In galera per evitare di tornarci Il Mattino di Padova, 31 ottobre 2011 I ragazzi entrano in carcere non per restarci, ma per evitare poi di finirci. Le persone detenute che finiscono di scontare la pena a Padova e che hanno partecipato, in qualche momento, al progetto di confronto fra scuole e carcere, non potranno mai pensare di nascondere i loro precedenti penali e di “cancellare” in qualche modo la galera dalle loro vite: perché, girando in città, sono sempre di più i ragazzi delle scuole che li riconoscono e sanno tutto di loro e della loro storia personale. Ma è una sensazione non sgradevole, anzi per qualcuno è come la conferma di stare facendo qualcosa di utile, e non per se stessi ma proprio per quei giovani, che sono tentati dal piacere della trasgressione e magari riescono a ritrovare il filo della propria vita proprio ascoltando l’esperienza di chi, superando un limite dopo l’altro, alla fine si è trovato nella desolazione della galera. E così, ogni anno ci sono classi che “assaggiano” il carcere e detenuti che imparano a confrontarsi con gli studenti, timidamente, con le mani sudate dall’emozione e il cuore che batte, perché anche i “delinquenti” sono capaci di provare dei sentimenti. Il primo incontro con le scuole Incontrare i ragazzi è sempre un’esperienza emozionante e anche difficile quando si decide di raccontare il proprio passato. Ho provato anch’io a parlare agli studenti, con molta fatica ho cercato di mettere a disposizione la mia storia per trasmettere loro un messaggio che gli fornisse gli strumenti per riconoscere i comportamenti a rischio. I miei errori, gli stessi che poi mi hanno portato a vivere l’incubo del carcere, li vorrei utilizzare affinché qualche giovane riesca almeno a riflettere su quei comportamenti spesso superficiali, ai quali i ragazzi non danno la giusta importanza, e che da giovani difficilmente si capiscono, ma che possono comunque compromettere la loro vita. Mercoledì 26 ottobre è stato il primo incontro con una classe dell’istituto Calvi. Quando i ragazzi sono arrivati nella redazione, ho notato che erano intimiditi come spesso accade, tuttavia erano attenti. Una volta rotto il ghiaccio, e dopo aver ascoltato alcune storie personali, a partire dai reati che ci hanno portato in carcere, hanno cominciato a farci delle domande. Stavolta mi ha colpito una domanda rivolta a un giovane detenuto tunisino, condannato per omicidio in una rissa: come può una persona credente, un musulmano, commettere un reato e fare delle scelte sbagliate, proprio quando la sua religione gli impone delle prescrizioni molto rigide? Quello che io posso rispondere è che i reati purtroppo si commettono a prescindere dall’educazione familiare o dalla religione. Questo dimostra che qui dentro ci può finire anche chi pensa “a me non capiterà mai”. In carcere ci stanno soprattutto le categorie più deboli della società, ma le leggi sul consumo di stupefacenti e il nuovo Codice della strada insieme a qualche legge d’emergenza hanno fatto sì che siano ben rappresentati tutti i ceti sociali. Questo spero che sia d’insegnamento per tutti, e che nessuno si senta troppo al sicuro da questi rischi. Mohamed El Ins Comunichiamo sempre con il nodo alla gola Ai ragazzi delle scuole noi ci poniamo come un libro aperto, nessuna pagina viene celata o censurata, vogliamo che percepiscano quelli che sono stati i nostri punti deboli, quelli che ci hanno fatto cadere nella rete dei reati e distrutto ciò che ci era più caro, nel mio caso la mia famiglia. Non cerchiamo mai di giustificarci, ma diamo loro quelle informazioni utili per non arrivare a superare i limiti della legalità e a infilarsi in situazioni che portano all’annullamento della persona. E se alla fine avrai pagato il tuo debito, non finirà comunque mai la pena: perché sei sempre uno che è rimasto in galera e anche se molto hai fatto di buono, per quella parte della società che non ti ha conosciuto prima, rimani qualcuno da evitare. Gli studenti non hanno paura a domandare, di informarsi, infine traggono le loro conclusioni e spesso ci dicono che i pregiudizi che alcuni avevano sono svaniti. Raccontarci non è una cosa facile, eppure qualcuno afferma di aver raccontato agli studenti ciò che neppure al giudice aveva dichiarato. La sensibilità e il forte impegno che molti di noi sentono nel porsi a disposizione di chi ci ascolta è tale, che supera tutte le paure che ti assalgono . I ragazzi entrano in carcere e percepiscono un senso di oppressione attraversando i lunghi corridoi con tanti cancelli, le sbarre e dietro a quelle volti di persone che li osservano e magari si meravigliano nel vedere tanti giovani tutti assieme. Loro hanno avuto altri incontri con alcuni di noi nella loro scuola, hanno ascoltato storie ma hanno il desiderio di sentirne altre, di conoscere di più, e a loro volta racconteranno questa esperienza ai loro compagni che non hanno avuto questa opportunità e anche ai loro familiari. Ecco che il nostro messaggio arriva in un modo diverso, una verità diversa da quella che è stata raccontata dai giornali e dalla televisione. Quello che importa è che loro percepiscano che non vogliamo raccontare una favola ma tutta la tragicità di comportamenti sbagliati, che ci hanno portato a provocare un terribile danno e a provocare delle vittime, delle quali non possiamo dimenticarci. Ci vorrà tanto impegno personale per riemergere e per riabilitarci e dobbiamo essere per primi noi a cercare gli spazi per riflettere, e per non lasciarci travolgere dalla realtà del carcere. Spesso penso che sarebbe più utile essere impegnati in un ambito sociale, dedicarsi a chi ne ha veramente bisogno. Per il momento tanti di noi si dedicano ai giovani, che così hanno l’opportunità e la fortuna di entrare nel carcere, non per restarci ma per evitare di finirci. Noi ce la mettiamo tutta, siamo a disposizione mettendoci a nudo, spogliandoci di ogni difesa e trovando il coraggio di comunicare la nostra esperienza, ma sempre con il nodo alla gola ed il forte senso di colpa che ci opprime e che mai ci abbandonerà. Ulderico G. L’importanza di sentirsi “persone” In questi giorni noi detenuti di Ristretti Orizzonti abbiamo ricominciato con l’impegnativo Progetto scuole/carcere, che ci spreme tante energie. Parteciparvi raccontandosi e raccontando ai ragazzi quali sono stati i deragliamenti iniziali che ci hanno fatto arrivare qui, non è semplice. Raccontare dei reati commessi, delle proprie debolezze, delle cose delle quali andiamo meno fieri ora, ma che all’epoca ci facevano sentire più grandi dandoci un falso senso di appartenenza, o che ci facevano sentire anche semplicemente diversi dagli altri che facevano le cose “a modo”, decisamente per me è molto faticoso. Certe volte preferirei scaricare un paio di camion (per fare un paragone sulla fatica). Si tratta di rivivere un passato che fa stare male, una cosa del tipo “oltre al danno… (la galera) la beffa (raccontare quanto stupido sono stato o che illusioni ho inseguito per decenni usando la droga)”. Intendiamoci, noi stiamo comunque scontando la nostra condanna in condizioni di sovraffollamento e non è che ci aspettiamo o riceviamo particolari premi per questa partecipazione al progetto, anche se a me sembra un modo per ripagare in parte i danni fatti. A di noi sembra che questo progetto sia un buon modo affinché gli studenti a rischio devianza abbiano almeno la possibilità di riflettere vedendo come e dove siamo finiti noi, che spesso abbiamo alle spalle famiglie oneste come le loro. Gli altri (quelli cosiddetti “non a rischio”) possono riconoscere (e magari sorreggere) qualche loro compagno che sta deviando. Non si tratta di salire in cattedra, si tratta di interagire e dialogare con loro su come, perché e quando siamo arrivati a fare ciò che abbiamo fatto. Filippo F. Giustizia: terminati i soldi della “Legge Smuraglia”, in carcere è anche emergenza-lavoro di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 31 ottobre 2011 Investire sul lavoro dei detenuti per ridurre il costo economico e sociale della recidiva, e contribuire, quindi, alla crescita del Paese. Non è uno slogan ma quello che, ad esempio, si fa in Inghilterra, al contrario dell’Italia dove all’emergenza sovraffollamento se ne è appena aggiunta un’altra: non ci sono più i soldi della “Legge Smuraglia” per incentivare il lavoro dei detenuti, dentro e fuori il muro di cinta, attraverso sgravi fiscali alle cooperative e alle imprese che li assumono. I fondi sono finiti e non c’è aria di rifinanziamento. E ai datori di lavoro non resta che scegliere tra continuare a occupare i detenuti, con inevitabili passivi economici, o cambiare strada. La crisi non aiuta ma potrebbe diventare l’occasione per misure più strutturali anche sul carcere, per farne un luogo produttivo per la sicurezza collettiva e lo sviluppo del Paese. Il lavoro in carcere, sebbene la percentuale degli occupati sia esigua (20%), non apre solo prospettive di risocializzazione (soprattutto se inserito in un percorso “trattamentale”) ma contribuisce ad abbattere la recidiva determinando più sicurezza collettiva e risparmi economici. Qualche anno fa è stato infatti calcolato che la diminuzione di un solo punto percentuale di recidiva corrisponde a un risparmio di circa 51 milioni di euro all’anno. Non a caso, in Inghilterra, dove altissima è l’attenzione alla recidiva, il governo riconosce ai sottoscrittori di titoli che hanno consentito ai detenuti di lavorare una parte dei risparmi derivanti dall’abbattimento della recidiva. Perché più questa diminuisce, più alto è il profitto sociale. Con la legge Smuraglia, nel 2010 sono stati assunti da cooperative sociali 518 detenuti mentre 348 hanno lavorato presso aziende private. Con i semiliberi e i detenuti in “articolo 21” (che lavorano di giorno e la sera rientrano in carcere), le persone occupate da datori di lavoro diversi dall’amministrazione penitenziaria sono state 2mila (più 3.592 che hanno frequentato corsi di formazione professionale). Una goccia nell’oceano dei 67.428 detenuti delle patrie galere, che però sconta una “strutturale” inefficienza del sistema. “Il lavoro, e in genere le attività svolte in alcune carceri, producono una riduzione dei costi che altrimenti lo Stato dovrebbe sopportare per via della recidiva - osserva Salvatore Bragantini, economista da sempre attento ai problemi del carcere. Se facessimo questi conti ci accorgeremmo che sussidi come quelli della Smuraglia comportano dei costi, oggi, ma si traducono in risparmi economici e sociali, domani. Quindi sono un investimento, non un costo”. La chiusura dei rubinetti della Smuraglia è destinata ad aggravare l’emergenza carceraria. L’Italia è seconda in Europa soltanto alla Serbia quanto a tasso di sovraffollamento (148,2%) ma i tassi di criminalità sono piuttosto bassi con 4.545 reati ogni 100mila abitanti (5.147 m Spagna e 5.559 in Francia, 8.481 in Germania e 7.436 nel Regno Unito). Il sovraffollamento è figlio della politica della “tolleranza zero” (tutto va punito con il carcere) e della stretta sulle misure alternative alla detenzione. Con buona pace delle statistiche, da cui risulta che la recidiva di chi sconta l’intera pena dietro le sbarre è tre volte più alta di chi sconta la condanna con misure alternative alla detenzione: il 68,5% nel primo caso, il 19% nel secondo. Numeri emblematici, che tuttavia non bastano a invertire la rotta. Tant’è che il “pacchetto-carcere” messo a punto dal ministro della giustizia Nitto Palma per affrontare l’emergenza si è bloccato, sia pure momentaneamente, perché “incompatibile” - secondo indiscrezioni - con il “pacchetto-sicurezza nelle piazze” che il ministro dell’Interno Roberto Maroni vuole varare: il primo prevede meno carcere, il secondo, invece, ne prevede sempre di più. Giustizia: Nitto Palma; presto in Consiglio dei ministri nuovo decreto “svuota-carceri” Ansa, 31 ottobre 2011 L’aveva presentata come una delle sue priorità di fronte al sovraffollamento degli istituti di pena. E oggi il ministro della Giustizia Nitto Palma ha annunciato che presenterà a breve un nuovo decreto “svuota carceri”: obiettivo, innalzare da un anno a un anno e mezzo i termini di applicazione della normativa, entrata in vigore nel novembre del 2010, che consente la concessione della detenzione domiciliare ai condannati ai quali rimangono 12 mesi di pena definitiva da scontare. Un provvedimento che, secondo le stime del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, consentirebbe a diverse migliaia di detenuti condannati in via definitiva di scontare il residuo di pena a casa propria, allentando così la pressione su carceri che ormai scoppiano. Sarà ad uno dei “prossimi Consigli dei ministri” che il Guardasigilli presenterà il nuovo decreto, confortato dai risultati dei primi mesi di applicazione del nuovo istituto; un esperimento che ha dato “effetti estremamente positivi”. L’annuncio di Palma è arrivato nel giorno in cui il leader radicale Marco Pannella ha rivolto un nuovo appello al Capo dello Stato Giorgio Napolitano sulla situazione carceraria per ribadire che l’amnistia è lo strumento “essenziale” per una “radicale” e “non rinviabile” riforma della giustizia. Sdr: legge svuota carceri… bene proroga, ma non basta “Bene l’idea di estendere a un anno e mezzo la cosiddetta legge “svuota carceri”. Può aiutare ad alleggerire la presenza di detenuti ma per renderla più efficace occorre garantire a chi ne può usufruire un piccolo lavoro per mantenersi e un luogo in cui vivere. Senza questi provvedimenti aggiuntivi la sua applicazione resterà molto limitata e finito il periodo dei domiciliari ci sarà il rischio di un’alta recidiva”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, con riferimento alle parole del Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta con le quali ha sottolineato che i tempi sono maturi per estendere il beneficio dei domiciliari a chi deve finire di scontare un anno e mezzo di pena. “La prima “svuota carceri” avrebbe potuto avere un effetto maggiore se - sottolinea Caligaris - si fosse tenuto conto della situazione sociale reale della maggior parte dei detenuti. In particolare la popolazione cagliaritana di Buoncammino, nella maggior parte dei casi, non ha potuto accedere al beneficio perché la legge impone la disponibilità di una casa, dove peraltro le forze dell’ordine possano effettuare controlli in qualunque ora del giorno e della notte, e di una famiglia in grado di mantenere economicamente il congiunto ristretto. I domiciliari per questi cittadini sono un lusso che non possono permettersi”. “Si deve considerare inoltre che le amministrazioni comunali - ricorda Caligaris - si trovano davanti a delle scelte drammatiche in seguito all’aumento dei cittadini indigenti. È evidente infatti che i pochi mezzi finanziari siano dirottati verso le famiglie e trascurino i problemi di chi è privato della libertà. Difficoltà incontrano anche gli operatori sociali dell’Uepe. In un tessuto economico povero di iniziative è quasi impossibile trovare spazi lavorativi per chi esce da un periodo di detenzione”. “Affermare, come fa il dott. Ionta, che la Magistratura di Sorveglianza ha applicato la norma in modo limitato è vero, ma il perché ciò sia avvenuto è responsabilità del legislatore che ha posto troppi insormontabili paletti. Chi conosce la realtà detentiva in Italia sa che un provvedimento che potrebbe liberare un migliaio di posti va comunque bene ma con oltre 12 mila persone private della libertà in più rispetto alla capienza tollerabile delle celle non è certo risolutivo. È indispensabile in ogni caso - conclude Caligaris - rafforzare il sistema della prevenzione sociale e del reintegro positivo di chi ha sbagliato”. Giustizia: Emma Bonino; la crisi più grave è il degrado della legalità e del diritto Ansa, 31 ottobre 2011 “La peggiore crisi alla quale il nostro paese deve far fronte non è solo quella economica, ma soprattutto il degrado delle nostre istituzioni, della democrazia, della legalità e del diritto”. Lo ha detto Emma Bonino intervenendo al X Congresso nazionale dei Radicali Italiani. Il vicepresidente del Senato ha ricordato la battaglia dei Radicali contro le condizioni “disumane e incivili nelle quali vivono 70.000 detenuti, nella maggior parte in attesa di giudizio”. Tornando sulla questione della legalità e della democrazia, Bonino ha attaccato Gianfranco Fini: “la terza carica dello Stato non può andare da Ballarò. Lo facevano anche Bertinotti e Casini? Peggio mi sento, vuol dire che c’è continuità nell’errore istituzionale”. Una parte del discorso della dirigente dei Radicali è stato dedicato a Silvio Berlusconi: “il suo è un governo morto e nefasto. Prima ha negato la crisi, poi l’ha sottovalutata, poi ha detto che l’Italia comunque stava bene”. La parlamentare non ha detto che il premier è l’unico responsabile di tutte le colpe: “lui è solo l’ultimo anello di questa democrazia che non funziona, ma ci ha messo pesantemente del suo ritenendo che i suoi interessi privati venissero prima di quelli del Paese. Berlusconi - ha concluso Bonino - non ha cultura istituzionale perché non comprende che quando si assume un ruolo pubblico si assumono anche molti doveri e responsabilità. E questo perché quando va all’estero rappresenta perfino me”. Giustizia: Ionta (Dap); ho istituito Commissione di studio sui suicidi degli agenti penitenziari Il Velino, 31 ottobre 2011 “La notizia del suicidio dell’Assistente capo di Polizia Penitenziaria Luigi Corrado, avvenuto alle 7,30 di stamattina, è una di quelle notizie che non vorremmo mai ricevere, che mi addolora e mi spinge pubblicamente ad esprimere il mio personale cordoglio alla famiglia dell’Assistente”. Franco Ionta, capo dell’Amministrazione Penitenziaria, commenta così la notizia del suicidio di Luigi Corrado, 45 anni, in servizio presso il reparto colloqui del carcere di Bellizzi Irpino. “Ho immediatamente istituito una commissione, presieduta dal vice capo Simonetta Matone, che ha il mandato di studiare il fenomeno del suicidio tra il personale di Polizia Penitenziaria - continua Ionta - sia dal punto di vista quantitativo, con un esame comparato del fenomeno presso le altre Forze di Polizia e sia dal punto di vista qualitativo, per l’individuazione delle possibili cause dell’atto suicidario”. La commissione, che sarà composta da personale del Dap e da esperti del fenomeno, avrà il compito di individuare i possibili strumenti di sostegno psicologico al personale che manifesta segnali di disagio e sofferenza emotiva, legati al proprio vissuto, sia di carattere strettamente personale che lavorativo. “Spesso la persona che decide di suicidarsi non mostra segnali facilmente intercettabili, ma questo non ci esime dall’assumerci la responsabilità di mettere in atto ogni possibile strumento per prevenire i suicidi tra il nostro personale. Già in passato - continua Ionta - il Dap ha attivato gruppi di lavoro per lo studio del fenomeno, ma evidentemente occorre intervenire con maggiore incisività, ed è questo che intendo fare, in ciò sollecitato anche dalla sensibilità del Ministro della Giustizia”. Dal 2000 ad oggi sono 65 i casi di suicidio tra il personale di Polizia Penitenziario, 7 si sono verificati nel corso del 2011. “Alla moglie e al figlio dell’assistente Corrado l’Amministrazione assicuro vicinanza e sostegno - conclude Ionta - e ho già personalmente dato disposizione all’Ente di Assistenza di attivarsi”. Giustizia: Mantini (Udc); le carceri scoppiano, ma nella lettera all’Ue nessun accenno Agi, 31 ottobre 2011 A Poggioreale la conta odierna dei detenuti è arrivata a 2.655 presenze su 1.495 di capienza regolamentare. Dal carcere di Napoli, dove oggi è andato a trovare Alfonso Papa - il parlamentare Pdl in custodia cautelare per l’inchiesta cosiddetta P4 - il responsabile riforme dell’Udc, Pierluigi Mantini, lancia due moniti. Uno al Governo perché dia risposte urgenti, uno alla magistratura, ed osserva che “in Italia c’è troppa custodia cautelare”. “Ho trovato il carcere come sempre sovraffollato, gravemente sovraffollato. La conta dei reclusi odierna è di 2.655 presenze su 1.495 di capienza regolamentare. Da alcuni mesi sono finiti anche i soldi per pagare il lavoro interno dei detenuti e mancano i sacchetti di plastica per i rifiuti. È una crudeltà ed un’ingiustizia che deve finire”, osserva Mantini che rilancia la “proposta di legge Udc, presentata già tre anni fa” con la quale si introduce un termine preciso (non oltre 30 giorni) per la durata della custodia cautelare, almeno quando si tratta del pericolo di inquinamento delle prove. Al ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma “che, certo, non è l’unico responsabile, dico che è tempo di muoversi” sul fronte della “depenalizzazione e delle politiche carcerarie, come già sollecitato dalla mozione a firma Rao, e del tutto assenti nella lettera del premier alla Ue”, sottolinea Mantini e aggiunge: “come Udc chiediamo un impegno e risposte urgenti”. Giustizia: Osapp; al Sud nessuna nuova unità di polizia penitenziaria Ansa, 31 ottobre 2011 Il prossimo 21 novembre usciranno dai corsi di formazione 758 nuovi agenti di polizia penitenziaria ma - denuncia il sindacato Osapp in una lettera indirizzata al ministro della Giustizia, ai gruppi parlamentari e ai presidenti delle Regioni Campania e Sicilia - la maggior parte sarà destinata al Nord, mentre è il Sud che vede “il peggiore rapporto presenze detentive/posti disponibili” (in Puglia 4.464 presenze in 2.458 posti; in Calabria 3.054 presenze per 1.875 posti). “Le differenze sostanziali nel sovraffollamento delle carceri del Nord rispetto a al Sud - scrive il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci - riguardano il fatto che al Nord esiste una maggiore incidenza di detenuti extracomunitari con punte anche del 70%, come in Emilia Romagna, mentre al Sud il problema è legato all’alto numero di coloro che appartengono o sono comunque in contatto con la criminalità organizzata”. “Nell’uno o nell’altro caso le situazioni esistenti non farebbero propendere per una maggiore esigenza di personale per le carceri del Nord rispetto a quelle del Sud come, invece, al Dap si continua a fare da anni e come da ultimo si sta facendo non mandando neanche un poliziotto in sedi del Sud quali quelle della Sicilia, ma anche in quelle della Calabria o della Campania. Dal punto di vista penitenziario, invece, la Sicilia é tra le regioni italiane che - sottolinea l’Osapp - presenta le maggiori criticità con 7.850 detenuti in soli 5.406 posti mentre per quanto riguarda il Personale di Polizia Penitenziaria per 4.920 unità previste in organico ne mancano 734, pari al 15%”. In Campania, invece, “le condizioni risultano migliori dal punto della Polizia Penitenziaria, stanti le 416 unità mancanti su 4.838 in organico, ma non per quanto riguarda i detenuti con 7826 presenze in 5.734 posti”. “Non mandare neanche un uomo in più al Sud e neanche in Sicilia dove i rischi per la sicurezza sono evidenti e gravi, con la ‘scusà che tanto al Sud il personale è a casa - conclude Beneduci - è l’ennesima grave noncuranza di un’Amministrazione che si regge quasi esclusivamente sui sacrifici della polizia penitenziaria di cui continua ad ignorare le più elementari necessità”. Giustizia: Cassazione; tetraparesi è incompatibile con detenzione in carcere Ansa, 31 ottobre 2011 Per “l’incompatibilità col regime carcerario delle condizioni fisiche” in cui si trova Leonardo Forastefano - il boss di Cassano Ionico indagato per diversi omicidi e costretto sulla sedia a rotelle dopo uno scontro a fuoco, la Cassazione ha respinto il ricorso con il quale la Procura di Catanzaro chiedeva di rimettere in carcere l’indagato data la sua “eccezionale pericolosità”. Forastefano, dunque, potrà continuare a rimanere agli arresti domiciliari presso il reparto di riabilitazione dell’ospedale cosentino dove è assistito. Senza successo, il pm - in Cassazione - ha provato a chiedere che nei confronti del boss fosse almeno considerata “la possibilità di disporre gli arresti ospedalieri”, ipotesi a suo dire “trascurata” dal Tribunale del riesame di Catanzaro che, lo scorso febbraio, aveva dato il via libera al ricovero di Forastefano con possibilità di contatti quotidiani con i familiari. Ma i supremi giudici - con la sentenza 37900 - hanno convalidato la decisione del riesame in considerazione delle “condizioni altamente invalidanti” del capoclan che comportano “la necessità di spostamento con carrozzina e di assistenza continua nell’assolvimento di tutti gli atti della vita quotidiana”. Di contrario avviso, invece, era stata la Procura della stessa Suprema Corte che propendeva per l’annullamento con rinvio del provvedimento di scarcerazione e i insisteva per una rivalutazione della necessità di mantenere una maggiore sorveglianza sul boss. Giustizia: caso Contrada, la difesa reitera richiesta di “scarcerazione dai domiciliari” Il Velino, 31 ottobre 2011 Una reitera dell’istanza di scarcerazione per Bruno Contrada per poter comparire all’udienza dibattimentale per la revisione del processo a suo carico fissata davanti alla Corte d’Appello di Caltanissetta il prossimo 8 novembre. L’ha presentata il difensore dell’ex numero tre del Sisde, l’avvocato Giuseppe Lipera, che sottolinea: “Sarebbe necessario e opportuno che la Corte esaminasse e decidesse la proposta di istanza di sospensione della pena che altro non è che una vera e propria domanda de libertatis - prosegue Lipera. L’autorità giudiziaria di Caltanissetta avanza domanda di revisione per alcuni soggetti condannati all’ergastolo per la nota strage di via D’Amelio e la Corte di Appello di Catania, pur dichiarandone la inammissibilità, giustamente e in ogni caso li ha scarcerati immediatamente. Nel caso che ci occupa invece - aggiunge il difensore di Contrada, ove non è intervenuta ordinanza di inammissibilità, al contrario delle due altre volte precedenti, bensì decreto che dispone l’udienza pubblica dibattimentale, l’imputato, ottantenne e notoriamente ammalato, che deve espiare meno di 12 mesi ancora di detenzione per il suo fine pena, incensurato, fatta eccezione la condanna per concorso esterno di cui si discuterà la revisione, già dirigente generale della Polizia di Stato e prima ancora ufficiale dei Bersaglieri, nei cui confronti vi è acclarata assenza assoluta di pericolosità sociale. Fermo restando tutto questo - aggiunge l’avvocato Lipera -, si consideri che il dottore Bruno Contrada non ha bisogno della libertà né per darsi alla fuga (vive in detenzione domiciliare e non in carcere, quindi in teoria potrebbe fuggire in ogni momento) né per andare a divertirsi (gli manca la salute e la giovane età per farlo) ne tantomeno per andare a delinquere. Nel caso che non si decidesse sulla scarcerazione, fra l’altro, c’è il problema di garantire la comparizione dell’imputato all’udienza pubblica del prossimo 8 novembre. Un’udienza cui Contrada, come è suo diritto - conclude Lipera, intende presenziare, per cui andrebbe disposta la traduzione del medesimo a mezzo scorta dell’Arma dei Carabinieri”. Per legge, trattandosi di un ex dirigente generale della Polizia di Stato, rango equiparato a generale di Divisione, la traduzione del detenuto compete all’Arma e non alla polizia penitenziaria, cosa che invece si eviterebbe col provvedimento di scarcerazione. Giustizia: la figlia di Vincenzo Stranieri; mio padre è in 41-bis da 19 anni… fatemelo toccare Agi, 31 ottobre 2011 Al Congresso di Chianciano Laura Arconti, radicale, legge la lettera di Anna, figlia di Vincenzo Stranieri, numero due della Sacra corona unita, da 19 anni al 41 bis. Al decimo congresso dei radicali, che da sempre lottano per i diritti dei detenuti, Laura Arconti, membro del Partito Radicale, legge la lettera di Anna, figlia di Vincenzo Stranieri, boss della Sacra corona unita, che da 27 anni è in carcere e, da 19 al 41 bis, il regime di carcere duro. Nella Lettera la figlia spiega le gravi condizioni in cui versa il padre. Vincenzo Stranieri è nato a Manduria, in provincia di Taranto. Ha 49 anni e nel 1984 è stato condannato 29 anni, 4 mesi e 3 giorni di reclusione per associazione per delinquere di stampo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, sequestro di persona a scopo di estorsione ed altro. Non sta scontando ergastoli né ha condanne per omicidio. Dal 1992 è sottoposto al 41 bis, regime costituito dopo le strage di Capaci e via D’Amelio. Attualmente è detenuto nel carcere di L’Aquila. Basilicata: interrogazione sulla mancata operatività dell’Osservatorio sulla Sanità penitenziaria www.basilicatanet.it, 31 ottobre 2011 Per il presidente del gruppo consiliare Io amo la Lucania “siamo ad una grave emergenza umanitaria”. Navazio annuncia un’interrogazione sulla mancata operatività dell’Osservatorio sulla Sanità penitenziaria. “Dalla mancanza di posti letto per il grave sovraffollamento alle carenze igieniche delle strutture, fino alle difficoltà a carattere sanitario nello gestire un numero di detenuti, in alcuni casi, quasi doppio rispetto a quello previsto. C’è, altresì, il problema dei bagni quasi inesistenti, poca acqua, poca igiene, poca salute, poca aria, poco lavoro, poca assistenza psicologica. E ancora, c’è l’emergenza strutturale tanto da doversi chiedere se c’è uno studio di vulnerabilità sismica”. È quanto riferito dal consigliere Navazio circa la situazione delle carceri in Basilicata. “Sono solo alcuni dei punti emersi e analizzati nel corso dell’incontro avuto con il dirigente sindacale della Uilpa Penitenziari, Donato Sabia, a sole due settimane dalla visita presso la casa circondariale di Potenza. Particolare attenzione - sottolinea Navazio - è stata rivolta al problema sanitario che, nello specifico, sarà oggetto di un’ interrogazione che sarà presentata nei prossimi giorni e con la quale si chiede al presidente De Filippo di sapere quali iniziative intende adottare per ovviare all’inattività dell’Osservatorio Permanente sulla Sanità Penitenziaria e in che modo intende assicurare agli operatori sanitari che le Asl utilizzano per gli interventi nelle strutture detentive un rapporto di lavoro commisurato ai Ccnl e l’inserimento nell’organizzazione nel Ssr”. “L’Osservatorio sulla Sanità penitenziaria fu istituito nel 2009 con delibera di Giunta regionale - ricorda Navazio - ma, da allora, pare si sia riunito una volta sola, venendo meno così ai compiti ai quali è chiamato a rispondere come, ad esempio, valutare l’efficacia e l’efficienza, sia sotto il profilo della qualità organizzativa che della qualità di processo degli interventi, a tutela della salute dei detenuti, internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale, garantendo, nel contempo, l’efficacia delle misure di sicurezza; concertare i programmi di intervento socio-sanitari; redigere le linee guida regionali per la tutela della salute in ambito penitenziario a favore dei detenuti, internati e minori sottoposti a provvedimento penale. Va poi rilevato - continua Navazio - che accanto al problema del sovraffollamento definibile come quantitativo, esiste anche un affollamento di carattere qualitativo che si può ricondurre alle diverse tipologie di popolazione detenuta. La forzata convivenza in pochi metri quadri, per mancanza di strutture idonee, di detenuti imputati e condannati, di persone sane e di persone con problemi di tossicodipendenza crea una fotografia di promiscuità e di tensione anche in situazioni dove l’affollamento non è particolarmente rilevante. È di pochi giorni fa - riferisce Navazio - la notizia della chiusura di un padiglione detentivo (Reparto Penale) nell’istituto del capoluogo, per un possibile cedimento strutturale a causa delle infiltrazione di acqua delle docce. Tutta la comunità penitenziaria è sofferente perché non si parla solo dei detenuti, ma anche della carenza di una pianta organica del personale, delle condizioni in cui si trovano a lavorare gli agenti, il personale sanitario, gli educatori che ormai non riescono quasi più a far fronte ad una vera e propria emergenza. Le reiterate proteste delle associazioni sindacali del personale carcerario fanno capire come si è in presenza di evidenti i segnali di un malessere ormai giunto ad un punto di non ritorno”. “In occasione del prossimo Question Time - annuncia Navazio - quello delle carceri sarà un tema fondamentale che porrò all’attenzione del Governo regionale, ma in particolare dell’assessore Mancusi che, nel gennaio scorso, a margine di un incontro con la Uilpa, proprio a proposito delle difficoltà operative degli agenti e del personale amministrativo dei tre istituti penitenziari lucani, assicurò che la Regione Basilicata avrebbe inviato una nota ufficiale all’allora ministro della Giustizia, Angelino Alfano, chiedendo un intervento immediato per le criticità più impellenti. Chiederò - precisa Navazio - quale sia stato il seguito a quelle sue dichiarazioni”. Un altro punto su cui, il movimento politico “Io Amo la Lucania” interverrà nell’immediato riguarda i così detti reparti protetti intorno ai quali non c’è ancora nulla di fatto per quello del Madonna delle Grazie a Matera. Per quanto riguarda Potenza pare che, invece, funzionerebbe soltanto al 70 per cento e, infine, c’è il caso di Melfi, l’istituto dove, lo ricordiamo, si registra il dato di sovraffollamento più alto, con il 59,4 per cento e dove basterebbero poche migliaia di euro per completare il settore dei reparti protetti. “La via dell’attuazione delle finalità rieducative della pena sancito dall’art. 27 della Costituzione, che passa attraverso il trattamento in carcere e le misure alternative alla detenzione, appare ormai - sottolinea il Presidente di Io Amo la Lucania - una semplice e sola dichiarazione di intenti. È incontestabile come la società, e la politica in questo caso, guardino con occhio disattento alla situazione delle carceri vista come un problema più comodo da rimuovere che da affrontare. E se è vero che la civiltà di un popolo si vede anche dalle condizioni delle sue carceri - conclude Navazio - facciamo in modo che la civiltà del nostro Paese finisca di apparire ad un livello davvero penoso”. Umbria: il Provveditore; mancano 225 agenti, inviata richiesta di integrazione al ministero di Chiara Fabrizi www.umbria24.it, 31 ottobre 2011 Dopo sei anni di anonimato il carcere di Capanne ha finalmente una pianta organica. Il chiarimento ai sindacati arriva direttamente dal provveditore regionale Ilse Runsteni. Insomma, da qualche giorno la casa circondariale di Perugia e gli oltre 200 agenti che tra mille difficoltà prestano quotidianamente servizio nei vari reparti non sono più dei fantasmi. In una lettera ai sindacati datata 27 ottobre Runsteni mette nero su bianco l’incrocio di comunicazioni col ministero e anche le carenze degli altri tre istituti di pena umbri: Spoleto, Orvieto e Terni. Ma vediamo. Capanne non è più un fantasma Almeno per il provveditore regionale l’istituto penitenziario di Perugia esiste e da qualche giorno dovrebbe essere così anche per il ministero. Una buona nuova che, pur arrivando dopo più di un lustro di attività del carcere perugino, rinfranca di non poco gli agenti della penitenziaria di servizio in Umbria. Il problema era sorto il mese scorso quando il Dap (dipartimento di amministrazione penitenziaria) aveva comunicato alle sigle sindacali che neanche una delle oltre 700 nuove unità appena formate e assunte sarebbero state inviate in uno dei quattro carceri umbri. Insomma, niente rinforzi perché non ne avete bisogno. In estrema sintesi, per i sindacati il Dap considerava ancora operativo il carcere di piazza Partigiani di ben più ridotte dimensioni e, dunque, i calcoli per le assegnazioni di agenti erano stati effettuati sulla base di un errore grossolano: non considerare l’apertura del nuovo carcere di Capanne. A Capanne mancano 142 agenti Il 27 ottobre invece il provveditore Runsteni nella nota ufficiale inviata a Roma ha prima ammesso l’errore del ministero e poi proceduto a comunicare la pianta organica dell’istituto perugino. Il documento è stato redatto da un gruppo di lavoro e ad oggi è in attesa dell’approvazione ministeriale. Secondo la tabella, l’organico di Capanne dovrebbe essere di 379 unità. Al 18 novembre 2011, invece, sono appena 237 gli agenti in servizio nell’istituto perugino. Che tradotto significa una carenza di personale di 142 agenti, il 37% circa. Per i sindacati il dato però non è effettivo. La pianta organica, infatti, è stata stilata sulla base di “tre o quattro turni”, quando invece una giornata di lavoro viene regolarmente suddivisa in quattro e mai in tre. Quello che è importante capire ora è se il ministero della Giustizia assimilerà il contenuto di questa comunicazione procedendo a una revisione delle assegnazioni oppure continuerà a fare orecchie da mercante lasciando operare gli agenti umbri in una situazione emergenziale. Spoleto, Orvieto e Terni Nella comunicazione ufficiale del 27 ottobre il provveditore allega anche le piante organiche degli altri tre istituti umbri. Nella tabella vengono rilevate, naturalmente, anche le carenze di personale di Spoleto (37), Terni (29) e Orvieto (17) che in totale ammontano a 83 unità. In totale mancano, quindi, 225 agenti in Umbria. In merito Runsteni chiede: “Emergendo per tali reparti una proporzionale carenza non si ritiene per l’attuale assegnazione degli agenti del CLXIII (i 700 appena formati e assunti, ndr) di procedere in P.C.D. in variazione. Si richiede di sanare o comunque attenuare proporzionalmente predetta carenza”. Avellino: Sappe; muore suicida un Assistente Capo della Polizia Penitenziaria di 45 anni Comunicato stampa, 31 ottobre 2011 “Siamo sgomenti e sconvolti. Un Assistente Capo di Polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Avellino si è suicidato a Battipaglia. Non sono ancora chiare le ragioni che hanno spinto l’uomo, 45 anni, a compiere il gesto estremo. Siamo impietriti per questa nuova immane tragedia, anche perché avviene a brevissima distanza di tempo dal suicidio di altri appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, in servizio a Mamone Lodè, Caltagirone, Viterbo, Torino e Roma. Oggi piangiamo la vittima di un’altra tragedia che ha sconvolto i Baschi Azzurri, nell’indifferenza assoluta e colpevole dell’Amministrazione Penitenziaria che sottovaluta questa grave realtà. Noi ci stringiamo con tutto l’affetto e la solidarietà possibili al dolore indescrivibile della moglie, della figlia, dei familiari, degli amici, dei colleghi”. È il commosso commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. Capece aggiunge: “Dal 2000 ad oggi si sono uccisi 100 poliziotti penitenziari, 1 direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e 1 dirigente regionale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). E sei suicidi in pochi mesi sono sconvolgenti. Da tempo sosteniamo che bisogna comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l’attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere. L’Amministrazione penitenziaria, dopo la tragica escalation di suicidi degli scorsi anni - nell’ordine di 10 casi in pochi mesi! -, accertò che i suicidi di appartenenti alla Polizia Penitenziaria, benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali, sono in taluni casi le manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante da un lavoro difficile e carico di tensioni. Proprio per questo il Dap assicurò i Sindacati di prestare particolare attenzione al tragico problema, con la verifica delle condizioni di disagio del personale e l’eventuale istituzione di centri di ascolto. Ma a tutt’oggi non sono stati colpevolmente attivati questi importanti Centri di ascolto e questa colpevole superficialità su un tema tanto delicato quanto importante è imperdonabile, se in poco tempo 6 appartenenti alla Polizia Penitenziaria si sono tolti la vita. Ed è grave che su un tema tanto delicato quanto il disagio lavorativo dei Baschi Azzurri ci sia così tanta superficialità. Chiediamo al Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma di farsi carico in prima persona di questo importante problema. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: l’istituzione di appositi Centri specializzati in grado di fornire un buon supporto psicologico agli operatori di Polizia - garantendo la massima privacy a coloro i quali intendono avvalersene - può essere un’occasione per aumentare l’autostima e la consapevolezza di possedere risorse e capacità spendibili in una professione davvero dura e difficile, all’interno di un ambiente particolare quale è il carcere, non disgiunti dai necessari interventi istituzionali intesi a privilegiare maggiormente l’aspetto umano ed il rispetto della persona nei rapporti gerarchici e funzionali che caratterizzano la Polizia penitenziaria. Su queste tragedie non possono e non devono esserci colpevoli superficialità o disattenzioni!” Caltanissetta: Osapp; tre carceri distanti pochi chilometri… non ha senso mantenerli tutti Il Velino, 31 ottobre 2011 “A fronte dei quotidiani proclami che giungono da tutte le parti per fornire soluzioni al fine di risolvere il sovraffollamento delle carceri e le carenze di organico nei reparti di polizia penitenziaria, sentiamo il dovere di denunciare le pessime condizioni strutturali in cui versano gli Istituti Penitenziari di Caltanissetta e di San Cataldo”. Lo dice il vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Mimmo Nicotra, che prosegue: “A parere di chi scrive, non dimenticando l’Istituto penale per i minorenni di Caltanissetta, non ha senso mantenere tre carceri nello spazio di pochi chilometri, non solo per evitare la frammentazione delle risorse, ma perché le condizioni strutturali dei predetti Istituti sono assolutamente al di fuori dai tempi. Noi crediamo che la realizzazione di un nuovo Istituto Penitenziario nell’area di Caltanissetta, dotato delle moderne tecnologie, non solo concentrerebbe le risorse economiche e di personale, ma garantirebbe a tutti, compresi i detenuti, condizioni di vivibilità migliori. Per questo - conclude Nicotra - le chiediamo di prendere in considerazione l’ipotesi che Le abbiamo segnalato invitandola, tra l’altro, a venire personalmente sul territorio per rendersi conto di persona che non ha senso tenere aperte tre strutture poco funzionali dove ne basterebbe una al passo con i tempi”. Spinazzola (Bat): incontro tra l’Ugl Polizia Penitenziaria ed il presidente della Provincia Gazzetta del Sud, 31 ottobre 2011 Nel pomeriggio di venerdì scorso, vi è stato l’incontro con Francesco Ventola, Presidente della Provincia Barletta - Andria - Trani ed una delegazione dell’Ugl Polizia Penitenziaria, composta dal vice segretario nazionale, Giampiero Pantaleo, e dai segretari regionali Luigi Pellè e Vincenzo Lamonaca, al cui seguito v’era un cospicuo numero di iscritti e simpatizzanti. L’incontro è servito per fare il punto della situazione sulla riapertura dell’Istituto Penitenziario di Spinazzola, fortemente voluta dal Presidente Ventola, e sostenuta in modo determinante dal Ministro Fitto, nonché dal Senatore D’Ambrosio Lettieri e dall’On.le Fucci. L’Ugl Polizia Penitenziaria ha salutato con favore l’interessamento bipartisan alla vicenda, cui non hanno fatto mancare la propria attenzione l’On.le Bernardini ed i consiglieri regionali Mennea e Pastore, ed ai quali si è aggiunto il contributo del neo-nominato Garante dei detenuti per la Puglia, prof. Rossi. Il Presidente Ventola ha confermato l’intendimento del Capo del Dap Ionta di addivenire rapidamente alla restituzione della struttura alla comunità, nel rispetto della medesima destinazione funzionale esistente prima della sua dismissione, e cioè la custodia di detenuti sex offenders, da affidare a quelle unità di Polizia Penitenziaria già formate a tale delicato compito, ma da implementare attingendo anche a risorse umane extraregionali, affinché possa essere definitivamente risolta la questione dell’organico del relativo reparto. L’occasione è stata, altresì, proficua per iniziare a discorrere di altre importanti questioni, afferenti le altre carceri della “Bat”, vale a dire la Casa circondariale maschile e la Casa reclusione femminile di Trani, sulle quali si ritornerà nell’immediato futuro. Indubbiamente, l’azione corale ha determinato la costituzione di una “massa critica” a tutela del territorio, rispetto alla quale non è stata da meno l’Ugl, che persevera per l’esigenza della riapertura, certi del fatto che il Provveditore Regionale Amministrazione Penitenziaria Dott. Giuseppe Martone dimostratosi tanto solerte per lo “sgombero” della struttura, adesso risulti altrettanto dinamico nei tempi, quanto quelli che lo hanno impegnato per la chiusura dell’istituto. Genova: il Festival della Scienza entra a Marassi, il genetista Boncinelli strega i detenuti La Repubblica, 31 ottobre 2011 Le porte del carcere di Marassi lasciano entrare anche Platone, Freud, Rain Man e l’interpretazione dei sogni, insieme allo scienziato Edoardo Boncinelli. Sono tutti lì, nel corridoio davanti alla Cappella delle Case Rosse, dove i detenuti stanno seduti divisi in due file e quasi quasi non si capisce se siamo allo scritto di un esame di Maturità o a messa. Non fiata nessuno, durante questa lezione di Festival della scienza dietro le sbarre: la voce roca di Boncinelli e il ronzio che risuona dalle casse riempiono la stanza stretta e lunga dalle piastrelle verde pallido. Si parla di cervello, di memoria, dei sensi, di un mondo “che non percepiamo in tempo reale ma con una differita di trecento millisecondi”. Di coscienza e di consapevolezza, di ragione e di istinto, nel quale “siamo immersi completamente”. Perché “dentro di noi c’è un sacco di parte animale, che ogni tanto sfugge al nostro controllo”, spiega Boncinelli, prima di essere inondato dalle domande dei detenuti che non si perdono una parola. A Marassi sono recluse quasi ottocento persone e il posto è per poco più della metà, ma non si parla di politica né di detenzione, qui: per un’ora si è trasportati da un’altra parte, nel profondo dell’inconscio, nella memoria. “Perché non mi ricordo mai i sogni al risveglio?” chiede uno. “Come si interpretano?”, gli fa eco il direttore del carcere, Salvatore Mazzeo, perché per un giorno non c’è differenza, sono tutti allievi allo stesso modo e se non fosse per il sole che filtra disegnando righe sottili sulle piastrelle sembrerebbe quasi di trovarsi in un’aula universitaria. “La corteccia celebrale ci mette un terzo di secondo prima di trasmetterci il messaggio sensoriale - spiega Boncinelli - per questo, quando guido, solo dopo aver frenato mi accorgo di quello che è successo: questo significa che viviamo nel traffico in modo inconsapevole. Ma anche giocando a tennis, se aspettassimo di vedere la palla prima di colpirla, non la vedremmo mai. Giochiamo d’istinto. E infatti, quasi tutto quello che ci passa per la testa è inconsapevole. Il problema, dunque, non è l’inconscio: il problema è la coscienza, che affiora solo ogni tanto”. Si discute di sogni (“Cicerone diceva che ad alcuni sogni bisogna dare ascolto e ad altri no: ma la verità e che sui sogni non sappiamo praticamente niente, se non che ci danno una sensazione di libertà”), del mito di Platone (“secondo lui la conoscenza è il ricordo di quello che l’anima aveva imparato prima di nascere”), di autismo (“come nel film con Tom Cruise, quando il cervello ha un deficit di certe funzioni ne sviluppa molto altre”) e del fatto che i primi ricordi dell’infanzia “si scolpiscono nella nostra mente e non li dimenticheremo mai più”. Ora davvero, sono tutti altrove. Bolzano: Max Leitner evade ancora, sotto accusa Cappellano che lo accompagnava in permesso Il Trentino, 31 ottobre 2011 Max Leitner, il pericolo rapinatore sudtirolese che sta scontando una condanna complessiva a 25 anni di reclusione, è evaso dal carcere di Asti. Non si è trattato di una evasione rocambolesca. Il malvivente altoatesino non è rientrato da una licenza premio. Leitner, che ha compiuto a maggio 53 anni, avrebbe dovuto rientrare in carcere, dopo alcuni giorni trascorsi in libertà, entro le 9.30 di mercoledì mattina. Secondo le disposizioni avrebbe dovuto restare, tassativamente, in città ad Asti. La segnalazione del mancato rientro in cella del bandito altoatesino è avvenuta un’ora dopo. A Bolzano sono subito stati allertati i carabinieri del comando provinciale. Max Leitner è una vecchia conoscenza. Quello che appare difficilmente comprensibile è come sia possibile che il nostro ordinamento giudiziario e penitenziario possa prevedere che ad un rapinatore incallito e pericoloso, autore di altri cinque evasioni (una delle quali effettuata con l’aiuto della criminalità organizzata del Sud) sia possibile concedere licenze premio. Max Leitner ha dimostrato in più occasioni di volersi sottrarre all’espiazione della condanna (peraltro molto pesante) inflittagli per una serie impressionante di colpi e rapine. Assaporare la libertà per qualche giorno costituisce in fondo una tentazione per cercare di vivere qualche giorno in più all’esterno del carcere. Soprattutto per un detenuto ancora lontano dalla prospettiva di chiudere i conti in sospeso con la giustizia. In effetti Max Leitner dovrebbe finire di scontare la maxi condanna il 27 settembre 2019. La notizia della sua evasione è stata comunicata ieri mattina anche al procuratore Guido Rispoli. Il nuovo reato di evasione è stato ovviamente commesso ad Asti ed è competente, pertanto, la magistratura di quella città. La Procura di Bolzano è però stata avvisata di quanto avvenuto in quanto giudice dell’esecuzione-pena. Da giovedì mattina, dunque, polizia e carabinieri sono stati nuovamente allertati in tutto l’Alto Adige per Max Leitner. In occasione delle precedenti evasioni, il pericolo rapinatore sudtirolese aveva sempre dimostrato una certa debolezza “sentimentale”, cedendo prima o poi alla voglia di avere un contatto - anche magari solo telefonico - con i propri famigliari. Ecco perché non appena segnalata la nuova evasione del noto rapinatore sudtirolese, in Alto Adige sono stati organizzati i primi controlli a tappeto soprattutto nella zona della val d’Isarco. Non sarà semplice rimettere le manette a Max Leiter che, probabilmente, ha pianificato la fuga nei minimi dettagli e dunque si starebbe muovendo secondo un piano già studiato a tavolino. È molto probabile che gli inquirenti abbiano già predisposto anche l’intercettazione di tutti gli apparecchi telefonici in uso ai famigliari. Il Cappellano: “ho portato Leitner in Alto Adige” (Intervista di Mario Bertoldi) Max Leitner è in Alto Adige. La testimonianza diretta di don Giuseppe Bussolino, raccolta nella canonica della parrocchia Sant’Antonio di Valenzani (frazione di Asti), rivela aspetti sinora inediti dell’ennesima fuga del pericoloso rapinatore sudtirolese. Max Leitner è scappato poco dopo le 16 di mercoledì scorso, a circa un chilometro dalla casa dei suoi famigliari a Naz ove era stato accompagnato in macchina dallo stesso sacerdote. Nonostante il suo passato e le quattro precedenti evasioni, sembra che per primi i giudici si fossero convinti che il “terribile” Max avesse messo testa a posto. Nessuno l’ha messa in guardia sulla pericolosità di Max Leitner? “Assolutamente no. Ora tutti si scandalizzano per quanto è accaduto ma la verità è che, in primo luogo, io non avevo alcun compito di sorveglianza, in secondo luogo nessuno mi ha mai illustrato il passato di Max”. Leitner era stato altre volte da lei in canonica? “Sì, io mi ero detto disponibile ad accoglierlo per qualche giorno di permesso. Era già accaduto un paio di volte. Però in precedenza le indicazioni del tribunale di sorveglianza, erano state severe e dettagliate. In questa occasione era semplicemente previsto che lui potesse uscire dalla canonica alle 8 del mattino per farvi ritorno alle 21.30”. Ma lei che impressione si era fatto di questo detenuto? “Lui mi ha sempre raccontato di essere stato un rapinatore, raccontava di aver effettuato diverse rapine ma sottolineava sempre di non aver mai provocato vittime. Proprio per questo si riteneva vittima dell’eccessiva severità della giustizia italiana”. Lei sapeva che avrebbe concluso di scontare la pena solo nel 2019? “Assolutamente no. Anzi, tutti mi hanno sempre fatto intendere che fosse un detenuto verso fine pena. Grazie all’appoggio dei suoi legali e all’interessamento del fratello, Leitner aveva ottenuto un permesso di lavoro e in precedenza aveva ottenuto altri tre permessi per trascorrere qualche giorno da me in canonica. La prima e la seconda volta solo per tre giorni, la terza volta per quattro giorni, così come in questa occasione. Ma mai ho visto carabinieri o polizia effettuare controlli in canonica. Dimostrazione che nessuno lo considerava pericoloso. Aveva anche già ottenuto il permesso di trascorrere il Natale con i suoi famigliari e da gennaio contava di ottenere la semilibertà con ritorno definitivo in Alto Adige dove avrebbe lavorato di giorno con rientro la sera in cella per dormire”. Dunque questa nuova fuga rischia di essere un grave errore per Max Leitner? “Penso proprio di sì. Prima o poi lo prenderanno e sarà costretto a scontare il resto della pena senza i benefici che ormai si era conquistato...”. Ma perché lei ha deciso di accompagnarlo in macchina vino a Naz? “Mi ha chiesto un favore. Voleva incontrare la mamma. Mi ripeteva che il padre era morto di recente e che aveva paura che anche alla mamma non rimanesse molto tempo. Si metta nella mia situazione: l’ho fatto in completa buona fede, per aiuto ad una persona che me lo chiedeva...”. Ma lei sapeva che Max non avrebbe potuto allontanarsi da Asti? “Assolutamente no. Sulle disposizioni del tribunale di sorveglianza era previsto l’obbligo per Max di essere in canonica dalle 21.30 alle 8 del mattino successivo. Di giorno poteva uscire ed avrebbe potuto scappare mille volte. E poi io non avevo alcun compito di sorveglianza. Io sono un sacerdote”. Ma non è vero che Leitner è fuggito nella zona di Rovereto? “Ma no, in un’area di servizio a Rovereto ci siamo fermati a pranzare. Poi abbiamo proseguito sino a Naz. Siamo arrivati in zona verso le 16 di mercoledì pomeriggio”. E cosa è accaduto? “Semplicemente mi ha fatto credere di essere arrivato alla sua casa. Mi ha detto: ecco ci siamo, fermati qui. L’ho fatto scendere. Io ho parcheggiato l’auto nel cortile di casa e poi ho aspettato fuori. Non volevo essere invadente nel momento dell’incontro di Max con la mamma. In realtà ad un certo punto l’ho cercato perché si stava facendo tardi. Mi sono così reso conto che in quella casa non abitava nessuno della sua famiglia”. Allora cosa ha fatto? “Ho chiesto indicazioni sulla casa Leitner. Ci sono arrivato, ho anche incontrato il fratello che mi ha riconosciuto dato che ci eravamo visti ad Asti in canonica, ma di Max non c’era traccia. Prima di rientrare ad Asti l’ho ancora cercato ed aspettato. Purtroppo non si è più fatto vivo”. Ma perché ha dato l’allarme con due giorni di ritardo? “Anche questo non è vero. La verità è che sono tornato ad Asti nella notte e che ho dato l’allarme al carcere giovedì mattina, cioè la mattina seguente”. Campobasso: Sappe; sventata introduzione stupefacenti in carcere Adnkronos, 31 ottobre 2011 Ne dà notizia il segretario generale del Sappe che esprime il “sincero apprezzamento per l’importante attività dei baschi azzurri” del carcere molisano. “Esprimo il convinto e sincero apprezzamento del primo sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, per l’importante attività di Polizia giudiziaria dei baschi azzurri di Campobasso che ha sventato l’ingresso e quindi lo spaccio in carcere di stupefacente”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sappe, che aggiunge: “Ritengo che il ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria debba adeguatamente valorizzare questa attività di servizio, riconoscendo al Personale di Polizia impiegato una adeguata ricompensa”. “Il costante e pesante sovraffollamento - sottolinea Capece - fa fare ogni giorno alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria i salti mortali per garantire la sicurezza. Da parte mia intendo ancora una volta esprimere la testimonianza di vicinanza del Primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, ai disagi delle colleghe e dei colleghi in servizio nel Molise ed in particolare a Campobasso”. “Gli ultimi dati, riferiti al 31 agosto scorso - sottolinea Capece - ci dicono che in Molise sono presenti 539 detenuti a fronte dei 389 posti letto regolamentari. Poco o nulla ha inciso la legge sulla detenzione domiciliare , considerato che fino ad oggi ne hanno fruito in Regione solo 22 detenuti”. Livorno: colletta per i detenuti, i cittadini hanno aderito oltre ogni aspettativa Il Tirreno, 31 ottobre 2011 Il valore della merce raccolta in 12 ore sabato scorso è di svariate migliaia di euro e durante l’iniziativa “Un gesto di solidarietà oltre il muro” hanno partecipato, in incognito, anche alcuni detenuti in permesso. Oltre 800 tubetti di dentifricio, 750 flaconi di bagnoschiuma, 399 spazzolini da denti, 491 confezioni di assorbenti e ancora ciabatte per la doccia, detersivo per piatti e carta igienica. Sono stati consegnati stamani 4507 prodotti che i livornesi sabato scorso hanno voluto regalare ai detenuti del carcere delle Sughere durante le loro spese in 4 supermercati Coop della città. La consegna del materiale, a cura dei soci Coop e di varie associazioni di volontariato (tra cui Arci, Sant’Egidio e Caritas), è avvenuta stamani. “Un risultato oltre ogni aspettativa - dice il garante dei detenuti di Livorno Marco Solimano - Abbiamo fatto una stima: hanno aderito a questa iniziativa almeno 3 mila persone. In più abbiamo avuto l’opportunità di parlare con le persone, spiegare quale sia la situazione del carcere. Non mi sarei mai aspettato un risultato del genere”. Ascoli Piceno: la band “Santa Cecilia” si esibirà alla Casa Circondariale di Marino del Tronto www.ilquotidiano.it, 31 ottobre 2011 Giovedì 3 novembre 2011 la rock band ascolana Santa Cecilia si esibirà presso la Casa Circondariale di Marino del Tronto con il concerto “Voi chiusi fuori” eccezionalmente filmato da Alessandro Galassi, documentarista e film-maker, che per la trasmissione “Il cuore dei giorni” di TV2000 intende raccontare il progetto dei Santa Cecilia. Lo spettacolo sarà seguito anche dalla giornalista de ilQuotidiano.it, Anna Laura Biagini in visita al carcere insieme alla band. Dopo i successi locali di Piazza del popolo e Folignano, prosegue il tour dei Santa Cecilia “Voi Chiusi Fuori” all’interno delle Case Circondariali e con l’appuntamento presso il carcere di Marino del Tronto, i ragazzi ascolani torneranno nel luogo dal quale è partito il tour. Questa volta la band proporrà integralmente lo spettacolo così come costruito per i Secret Concert e per il Tour Estivo, con la regia e il disegno luci di Leonardo Chittarini e le coreografie di Chiara Ameli che faranno da cornice ai 13 brani inediti, composti ed arrangiati da Gianluca Di Benedetto (voce), Luca Pichinelli (batteria), Paolo Mariani (basso) e Wizard (chitarre). “Voi Chiusi Fuori”, titolo di una delle più significative canzoni dei Santa Cecilia, è un progetto ambizioso che sta permettendo ai componenti della band di esibirsi all’interno di diverse Case di Reclusione italiane ed Istituti di Pena per minori, condividendo l’idea della “giusta pena da scontare con la dignità dovuta ad ogni uomo”. Il progetto ha permesso ai giovani rocker ascolani di collaborare con diverse associazioni di volontariato che si occupano di detenuti e da questo è nata l’idea di un vero e proprio tour nelle carceri italiane che sta riscuotendo successi e richieste oltre le più rosee aspettative. Queste esperienze hanno confermato la validità del progetto “Voi chiusi fuori” che permette di esibirsi dinanzi a uomini o ragazzi spesso dimenticati, giudicati e mal compresi, scrutandoli negli occhi, suscitando in loro emozioni che li trasporti, sostenuti da note e parole, in un mondo “esterno” pieno di attenzione, curiosità e umanità. Un doveroso ringraziamento va a chi, ancora una volta, ha reso possibile questo appuntamento e cioè alla direttrice del carcere di Marino del Tronto, dott.ssa Lucia Di Feliceantonio. Immigrazione: Everyone; garantire il gratuito patrocinio i per ricorsi dei rifugiati Ansa, 31 ottobre 2011 Servono maggiori garanzie per i migranti che si rifugiano in Italia, fuggendo da Paesi in cui rischino o abbiano subito persecuzioni e discriminazioni: è quanto chiedono Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti dell’organizzazione umanitaria Everyone. “Le Commissioni Territoriali per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, composte da rappresentanti del Ministero dell’Interno e dell’Unhcr - spiegano - negano sempre più spesso la protezione internazionale a soggetti legittimamente richiedenti. Lo abbiamo dimostrato in più occasioni, recentemente con i casi dei nigeriani Joshua Jean Paul (omosessuale) e Tina Richard (donna violentata, torturata e minacciata di morte in Patria) e spesso si tratta di profughi che, una volta rimpatriati, subiscono il carcere, diverse forme di persecuzione e tortura e in molti casi la morte. Non esiste infatti un organo di controllo incaricato di monitorare il destino di coloro che vengono rimpatriati”. Secondo Everyone, le Commissioni territoriali per l’asilo “valutano le domande senza tenere conto delle condizioni sociali e personali dei profughi, adducendo motivazioni spesso pretestuose sulla credibilità in relazione alla loro appartenenza a un determinato gruppo sociale, e spesso non viene dato tempo sufficiente ai profughi di procurarsi la documentazione necessaria a provare fatti avvenuti in Patria che abbiano pregiudicato la loro libertà e sicurezza”. Attualmente, in Italia, continuano gli attivisti del Gruppo EveryOne, il profugo che non abbia sufficienti mezzi di sussistenza e al quale non venga riconosciuto il patrocinio a spese dello Stato, non può di fatto presentare il ricorso al provvedimento di diniego della protezione internazionale: dovrebbe spendere una somma che supera i 300 euro. “Peraltro - dicono - sempre più spesso riceviamo notizia da profughi che ci contattano affermando che molti avvocati negano il gratuito patrocinio, perché non accettano di attendere i tempi, spesso lunghi, del rimborso delle spese procedurali, che a volte richiede anni, e pretenderebbero il pagamento anticipato delle spese, che ovviamente quasi nessuno di loro può permettersi”. Cina: arresti e carcere per scrittori e letterati, per colpire la cultura tibetana Asia News, 31 ottobre 2011 Un noto scrittore tibetano condannato a 3 anni di carcere, nel Sichuan tibetano, è detenuto da un anno e si ignorano le accuse. Le autorità cinesi arrestano intellettuali, monaci e semplice insegnanti tibetani, per stroncare la cultura tibetana. Non ha soste la persecuzione contro gli intellettuali tibetani. Il tribunale di Barkham (in cinese: Màerkang), nella prefettura di Ngaba (Aba) in Sichuan, ha condannato nei giorni scorsi a 3 anni di carcere l’insegnante e scrittore tibetano Jolep Dawa, 39 anni. Fonti tibetane riferiscono che nemmeno si conoscono le accuse, né le ragioni per cui Dawa è detenuto dal 1° ottobre 2010. Egli è editore della rivista in lingua tibetana Durab Kyi Nga (I, of this Century) ed organizzatore di conferenze culturali tibetane. Secondo queste fonti, egli pochi giorni prima della condanna ha potuto vedere la moglie e i figli, ma anche a loro è proibito parlare della sua detenzione. Dopo l’arresto, la polizia ha confiscato il suo computer e tutti i diari e i suoi scritti letterari. Dawa è stato già detenuto negli anni scorsi. Dapprima, per un mese, perché coinvolto in una campagna contro l’uso di pellicce di animali tibetani per fare vestiti. Poi per 3 mesi dal marzo 2008. Il 19 ottobre la polizia ha anche arrestato, nella sua casa nella contea Yatsi, il giovane scrittore tibetano Choepa Lugyal Aka Meche, noto per il suo prolifico lavoro di saggista e commentatore politico. Non si conosce l’accusa, la polizia ha perquisito l’abitazione portando via il computer e una copia del libro tibetano “Shar-dungri”, proibito dalle autorità. Il Tibet da anni è sottoposto a un continuo controllo militare e isolato dal mondo, con censura e taglio di internet e linee telefoniche mobili e fisse. La persecuzione cinese da tempo ha preso di mira gli intellettuali tibetani, che molto contribuiscono a tenere viva la ultra millenaria cultura e lingua del Tibet. A giugno un tribunale di Karze, prefettura di Aba, ha condannato a 4 anni di carcere lo scrittore ed editore Tashi Rabten, per avere aiutato a pubblicare la rivista “Eastern Conch Mountain”. Nei giorni scorsi il Dalai Lama, leader spirituale dei buddisti tibetani, ha ripetuto che “Non vogliamo separare il Tibet. Vogliamo l’autonomia solo per preservare la nostra cultura, lingua e religione”, alludendo alla sistematica repressione cinese contro la cultura e la religione tibetana. Intanto il 14 ottobre la polizia ha arrestato il monaco Geshe Tsultrim Gyatso del Monastero Amdo Ditsa, nella prefettura di Tsolho (Hainan) provincia di Qinghai. Gyaltso da 10 anni è amministratore capo del monastero e per anni ha insegnato nelle scuole tibetane della zona. Nei giorni scorsi è stato pure arrestato il monaco Lodroe, 36 anni, del monastero di Kirti. Se ne ignora la sorte. Svizzera: detenuti Champ-Dollon chiedono condizioni più umane e si rifiutano di tornare in cella Asca, 31 ottobre 2011 Una sessantina di detenuti del penitenziario ginevrino di Champ-Dollon si sono rifiutati di tornare nelle loro celle al termine dell’ora d’aria delle 16.00”: lo ha indicato il direttore del carcere Constantin Franziskakis, confermando notizia di stampa. L’agitazione si è conclusa verso le 20.00: non ci sono stati né danni, né feriti. Il direttore ha detto che la protesta non è da mettere in relazione al sovraffollamento del carcere. I prigionieri, tutti ospitati nella nuova ala del penitenziario, chiedevano piuttosto condizioni di detenzione “più umane” e un più facile accesso alle strutture sportive. Domani è previsto un incontro tra la direzione del carcere e una delegazione dei detenuti.