Giustizia: reprimere o rieducare… il labirinto del carcere di Paolo Foschini Corriere della Sera, 2 ottobre 2011 La quarta dimensione esiste. Un mondo che sta dentro a quello in cui viviamo, eppure invisibile ai più poiché da esso separato. È l’universo della detenzione, in altre parole la galera, pianeta tanto antico nella sua invenzione quanto concettualmente contraddittorio nella sua stessa esistenza: da un lato la “separazione” come suo momento fondamentale per proteggere la società dai cattivi (e guarda un po’ come questo termine per noi sinonimo di “malvagio” sia appunto figlio medievale del latino captivus, prigioniero), dall’altra il fatto che ogni prigione non può comunque prescindere da un contatto con l’esterno anche solo perché contenente persone appartenenti alla stessa famiglia umana. Lo studio e la narrazione di questo pianeta, compiuti con la precisione di un saggio pieno di dati e la prosa chiara di un racconto pieno di fatti, sono l’obiettivo del volume curato da Domenico Alessandro Dè Rossi e scritto a otto mani con Luciano Bologna, Fabrizio Colcerasa e Stefania Renzulli. Il libro, un’analisi di tutto ciò che riguarda “storia, architettura e norme dei modelli penitenziari”, aiuta a riflettere sulla Giustizia e sull’Uomo, riproponendo quel principio che la società teorica ha impiegato secoli a elaborare (“Per una giustizia giusta è necessario che la certezza della pena sia unita a quella del suo fine, volto al recupero e reinserimento del condannato”) ma che la società reale traduce ancora - a meno che non si tratti di imputati dal colletto bianco - nel desiderio di prenderli e, come si dice, buttare la chiave. Dal Carcere Mamertino, in cui furono rinchiusi e talora giustiziati migliaia di prigionieri da Vercingentorige a San Pietro, fino ai penitenziari - modello di Butner (North Carolina) o Halden (Norvegia), immersi nel verde e con foresterie per parenti in visita, gli autori raccontano un lungo viaggio che attraversa l’Inquisizione e Beccaria, i Piombi di Venezia e San Vittore, il codice fascista del ‘31 (“La pena deve essere mezzo di repressione, espiazione, emenda, prevenzione generale”) e l’attuale legge Gozzini tanto all’avanguardia quanto tremendamente sotto applicata. Il tutto per ricordare, lungi da qualsiasi sequela buonista, ad esempio il semplice dato per cui il 70% dei detenuti che scontano una pena in una galera “normale” torna a delinquere una volta fuori, mentre la recidiva si riduce al 18 (diciotto) per cento quando si applicano pene alternative. Il che significa, rilevano gli autori, che il “criterio di sicurezza” dovrebbe essere determinato da qualche considerazione un po’ più ampia che non il tempo necessario a segare una sbarra. Eppure in Italia, nonostante gli indulti, il popolo dei galeotti è quasi triplicato in vent’anni, dai 26mila del 1991 ai 70mila di oggi: c’è ancora molta strada da fare. Se poi qualcuno pensasse che magari è facile far tanti bei discorsi sui diritti e sulla dignità dei detenuti quando la vittima del reato non sei tu, forse può bastare rinviarlo alle ultime righe della nota iniziale in cui - senza enfasi, quasi in un post scriptum - proprio De Rossi si sofferma a ricordare “con commozione” sua sorella Giovanna: una “anziana signora trucidata nella sua casa nel dicembre 2009 da mano ancora ignota”. Giustizia: Napolitano; sovraffollamento è vergogna ma non ci sono condizioni per amnistia di Sandra Fischetti Ansa, 2 ottobre 2011 “Il sovraffollamento delle carceri è una vergogna per l’Italia”, ma per ora non ci sono le condizioni per un’amnistia. In visita con il ministro della Giustizia Nitto Palma all’istituto per rieducazione per minori di Nisida, il capo dello Stato Giorgio Napolitano torna ad esprimere la propria preoccupazione per le condizioni insostenibili in cui sono costretti a vivere i detenuti, ristretti in penitenziari che scoppiano e a ribadire la necessità di intervenire subito per voltare pagina. Ma spiega di non ritenere praticabile in questo momento il ricorso a un provvedimento generale di clemenza, perché per approvarlo “ci vuole un accordo politico che allo stato non c’è”. Si tratta di un tema che sta molto a cuore al presidente della Repubblica, che più volte nei mesi scorsi ha parlato di una situazione drammatica, incompatibile con il rispetto della dignità delle persone, sollecitando il Parlamento a intervenire di fronte a una questione di prepotente urgenza. E oggi davanti ai ragazzi di Nisida scandisce: “non sono degne di essere umani le carcere sovraffollate”; per questo servono “passi rapidi per arrivare a un cambiamento radicale della situazione”. Interventi che non significano per forza, spiega Napolitano, un nuovo provvedimento generale di clemenza, come quello che stanno chiedendo da tempo inutilmente i Radicali con lo sciopero della fame e della sete e da ultimo con la scelta, che ha provocato una lacerazione con il Pd, di non partecipare al voto sulla mozione di sfiducia al ministro Romano. “Non ci si deve affidare solo all’amnistia”, osserva infatti il presidente della Repubblica, ricordando che dal 1945 a oggi si è già fatto ricorso 24 volte a questo strumento e spiegando che con il ministro della Giustizia sono già state messe a fuoco alcune possibilità di intervento; perché per eliminare la piaga del sovraffollamento non si deve pensare nei termini di tutto o niente. “C’è l’impegno del governo ad intervenire, ci auguriamo già dalla prossima settimana, sulla drammatica situazione del sovraffollamento della carceri”, assicura da parte sua Nitto Palma che già in occasione della sessione straordinaria del Senato sulla questione carceri aveva espresso la propria contrarietà all’amnistia; meglio puntare, aveva detto in quell’occasione, sulla depenalizzazione dei reati minori, su un ripensamento della custodia cautelare di cui si fa “abuso”, e su un ampliamento della cosiddetta svuota-carceri. Quanto la situazione delle carceri sia drammatica lo dicono i numeri: nei 206 penitenziari sparsi su tutta la Penisola i detenuti sono 67.377 a fronte di 45.732 posti regolamentari. Una condizione che ci allontana dal resto dell’Europa, visto che il numero dei reclusi per ogni 100 posti nel nostro Paese è 148,2 a fronte di una media che nel Vecchio Continente è del 96,6%. Giustizia: il ministro Nitto Palma; un’amnistia mi sembra del tutto irrealizzabile Adnkronos, 2 ottobre 2011 Il ministro della Giustizia durante la visita al carcere minorile di Nisida: “Non mi pare che vi sia un accordo politico”. Poi ha aggiunto: “Abbiamo un grave problema di sovraffollamento , è giunto il momento di intervenire”. Napolitano: “Prigioni così affollate non sono degne di essere umani, sono una vergogna per il Paese”. Sull’ipotesi amnistia: “Non so se si creeranno le condizioni”. “Non mi pare che vi sia un accordo politico” sull’amnistia, “e il dibattito al Senato ha chiarito questo punto in termini molto evidenti”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, visitando ieri il carcere minorile di Nisida. “Immaginare, a fronte di una maggioranza dei due terzi prevista dalla Costituzione, che si possa procedere a un’amnistia mi sembra un cosa del tutto irrealizzabile”, ha spiegato. “Abbiamo un grave problema di sovraffollamento carcerario”, ha sottolineato il Guardasigilli. “È in corso il dibattito al Senato, molto sereno e per certi versi anche molto condiviso e sono emerse tante possibilità che sono state oggetto di alcune risoluzioni della maggioranza e anche dell’opposizione - ha continuato. Credo che sia giunto il momento di intervenire con misure che non possono avere carattere definitivo ma che siano utili comunque per alleggerire la forte presenza nelle carceri”. In visita al carcere minorile di Nisida ieri anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che, parlando con i detenuti, ha dichiarato: “Carceri così affollate non sono degne di essere umani, sono una vergogna per il Paese”. “Con Nitto Palma la prima cosa di cui ho parlato è stata questa, e abbiamo messo a fuoco alcune cose che si possono fare. Dobbiamo fare passi sostanziali per un miglioramento radicale della situazione”, ha aggiunto Napolitano. “Ogni tanto si parla di un’amnistia, dal ‘45 ce ne sono state 24, non so se si creeranno le condizioni”, ha poi dichiarato il presidente della Repubblica. “Serve un accordo tra forze politiche in Parlamento e ora mi pare ci sia più disaccordo. Non si deve affidare solo all’amnistia la soluzione o l’alleggerimento delle carceri affollate”, ha concluso. In settimana misure contro il sovraffollamento “Il capo dello Stato può esser sicuro del mio impegno e di quello del governo per superare la drammatica situazione delle carceri nel più breve tempo possibile”. Lo ha assicurato il ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, nella breve introduzione all’incontro tra i ragazzi della comunità del carcere minorile di Nisida con il capo dello Stato Giorgio Napolitano. Il Guardasigilli ha quindi aggiunto: “Ci auguriamo di poter intervenire sin dalla prossima settimana”. Giustizia: Bernardini (Ri); vogliamo che l’amnistia apra la strada alle riforme mai fatte intervista a Rita Bernardini, di Alma Pantaleo L’Occidentale, 2 ottobre 2011 I Radicali e il difficile rapporto con il Pd culminato con il caso della sfiducia del ministro Romano e la minaccia di Dario Franceschini e Rosy Bindi di cacciarli dal gruppo. E ancora, il niet di Anna Finocchiaro in Senato sul tema dell’amnistia. Ma tra i temi in agenda politica c’è anche la questione del controverso comma 8 dell’articolo 1 del ddl sul processo lungo che annulla la gradualità delle pene “extra - murali” per chi è soggetto a ergastolo. Di tutti questi temi abbiamo parlato con Rita Bernardini, deputata Radicale e membro della Commissione Giustizia a Montecitorio. Onorevole, una delle vostre battaglie principali riguarda la carcerazione preventiva. Qual è la situazione nelle carceri e a che punto è il dibattito politico? La situazione nelle carceri è drammatica perché ci sono il 42% dei detenuti in attesa di giudizio e di questi 14mila sono in attesa di primo giudizio. Questa media è il doppio di quella europea, quindi in Italia, come ha anche ricordato il presidente della Repubblica Napolitano in un convegno al Senato, la custodia cautelare in carcere si trasforma in una vera e propria carcerazione preventiva, cosa letteralmente scandalosa. Ho conosciuto personalmente persone che si sono fatte un anno di carcerazione preventiva prima di essere, poi, riconosciute innocenti. Io ho depositato nei giorni scorsi una proposta di legge sulla custodia cautelare in carcere che rende ancora più difficile usare questo strumento in carcere per gli imputati. Questa proposta di legge, fatta in collaborazione con l’Unione delle Camere Penali, sta ricevendo diverse adesioni e, secondo quello che è l’iter legislativo, verrà restituita ai servizi della Camera. “Parlare di indulto o amnistia nel momento in cui non ci sono le condizioni nemmeno per pensare norme del genere sarebbe crudele nei confronti di chi, in carcere, ci costruisce sopra sogni di libertà”. Come commenta le parole pronunciate dalla Finocchiaro? La Finocchiaro dovrebbe forse ricordare che anche quando in passato abbiamo fatto la battaglia per l’amnistia e l’indulto non c’erano le condizioni, le abbiamo create. Le condizioni politiche le si crea di fronte al fatto che c’è una illegalità in corso, una violazione dei diritti umani. Quando facemmo la marcia di Natale, alla quale partecipò il presidente della Repubblica nel 2005, riuscimmo a distanza di un anno a ottenere il provvedimento di indulto. È chiaro che a dicembre non c’erano quelle condizioni, le abbiamo costruite politicamente perché ritenevamo allora scandaloso il fatto che sappiamo, anche perché è certificato in sede europea, che nelle carceri sono sistematicamente violati i diritti umani e civili. Loro cosa propongono di rapido? Sono anni che si parla di depenalizzazione e decarcerizzazione, ci sono state commissioni di natura di diversa, di centrodestra e di centrosinistra, ma non si è fatto niente di concreto. Noi vogliamo far sì che l’amnistia apra a queste riforme che fino a questo momento non sono state mai fatte. Ieri sul Foglio Adriano Sofri ha parlato di “governo forcaiolo” riferendosi al comma 8 dell’articolo 1 del ddl sul processo lungo che modifica il codice penitenziario e incide direttamente sulla possibilità dell’ergastolano di accedere alle misure alternative alla detenzione in carcere. Lei cosa ne pensa? La penso esattamente come Sofri, tant’è vero che quando il provvedimento era originariamente nato con la norma che solo certi benefici non potevano essere applicati a chi era imputato di un reato che poteva essere punito con l’ergastolo, presentai gli emendamenti e votai contro quella norma. La pena deve tendere alla rieducazione del condannato e non a tagliare qualsiasi ponte, anche quando il carcerato dia prova di comportamenti esemplari prolungati nel tempo. In che rapporti e che ruolo avete nel Pd, visto che non comparite neppure nel progetto del “Nuovo Ulivo”? Vi sentite penalizzati e sviliti? Noi avevamo fatto un accordo elettorale con quello che speravamo sarebbe diventato il Partito Democratico. Dopo certe prese di posizione di questi giorni sembra chiaro che anche loro abbiamo abbandonato il progetto che per noi Radicali è il progetto di una vita. Loro adesso stanno pensando al “Nuovo Ulivo”, che non so cosa sia. Comunque, a quanto pare, non sono interessati alla nostra partecipazione visto che non ci citano mai. Come giudica la posizione di Franceschini e della Bindi a favore della vostra espulsione dal gruppo? Ieri è stato deciso che se ne occuperanno i leader nazionali. Questo significa che c’è un caso politico? Il caso politico non c’è da oggi, c’è stato anche nel momento della formazione delle liste nel 2008, quando il Partito Democratico impedì ai Radicali di presentare la lista autonoma collegata con il Pd, cosa che invece consentì a Di Pietro. A noi impose, pensando che avremmo rifiutato, l’esclusione di Marco Pannella, Sergio D’Elia e Silvio Viale. Siccome si trattava di fatto di una proposta oscena pensava di essersi liberato definitivamente di noi ma i Radicali, con Marco Pannella ed Emma Bonino, decisero invece di accettarla. I problemi ci sono dall’epoca. Poi abbiamo visto che l’Italia dei Valori che aveva fatto l’accordo elettorale dichiarando e sottoscrivendo che si sarebbero costituiti in gruppo grazie al Pd, invece, ha fatto il gruppo autonomo. A proposito della lealtà di certi comportamenti... Caso intercettazioni. Le 100mila dell’inchiesta pugliese su Tarantini fatte dalla procura sono emblematiche del fatto che forse il nostro sistema giustizia non è poi così sano. C’è, a suo parere, un uso politico di questo strumento? Come al solito, e come ha dimostrato in tutta la magistratura, il centrodestra interviene dal punto di vista legislativo su cose poco importanti, tra l’altro snaturando e cercando di colpire lo strumento delle intercettazioni telefoniche. Il disegno di legge contiene cose che sono letteralmente vergognose, vedi il diritto di rettifica perfino per i blog. Si è fatto tutto questo anziché intervenire sulla riforma della giustizia. Noi Radicali siamo riusciti a far approvare una mozione che prevedeva una riforma vera della giustizia, quella che il centrodestra, sia nella legislatura dal 2001 al 2006, sia in questa non vuole fare e che prevede la separazione delle carriere, la responsabilità civile dei magistrati, l’obbligatorietà dell’azione penale, gli incarichi extra - giudiziari, le carriere automatiche dei magistrati, i magistrati distaccati, come ce ne sono anche presso il ministero della Giustizia. Loro preferiscono questa guerriglia immonda fra gruppi di magistrati, anziché fare le riforme che non servono ad una sola persona ma a tutto il Paese. Giustizia: De Rossi; il centro-destra deve sottrarre il tema delle carceri ai Radicali intervista a Domenico Alessandro De Rossi, di Stefano Fiori L’Occidentale, 2 ottobre 2011 Gli eventi politico-economici delle ultime settimane hanno inevitabilmente - ma in parte anche colpevolmente - oscurato il dibattito sul tema delle carceri italiane, alle prese con un sovraffollamento in quotidiana ascesa e con problemi strutturali che riguardano la stessa architettura penitenziaria. Il 21 e il 27 settembre scorsi, il Senato si è riunito in seduta straordinaria proprio per discutere in merito a questa situazione d’urgenza, con i Radicali che dichiarano lo Stato “fuorilegge” e invocano l’amnistia come soluzione immediata per ristabilire, almeno in parte, la legalità. “Ma il centro - destra ha i titoli e i diritti per sottrarre il tema delle carceri ai Radicali”, è quanto dichiara all’Occidentale Domenico Alessandro De Rossi, architetto e docente di Pianificazione Territoriale, Portuale e Costiera presso la Facoltà di Ingegneria Civile dell’Università del Salento, nonché consulente del Ministero dell’Interno e della Giustizia per il programma di costruzione nuove carceri. Quest’anno, inoltre, è stato pubblicato un volume a cura del Prof. De Rossi (L’universo della detenzione. Storia, architettura e norme dei modelli penitenziari, Mursia), in cui vari esperti del settore indagano sugli spazi della detenzione, mettendo in risalto l’impatto rieducativo che può avere l’architettura penitenziaria sul detenuto, che prima di tutto è una persona. Professore, mentre i Radicali chiedono urgentemente l’amnistia, il Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma ha ribadito in Senato di non considerarla una via percorribile. Secondo lei, chi ha ragione? Sono posizioni diverse e non comparabili, perché nascono da due visioni diverse delle cose ed entrambe descrivono correttamente la situazione. Fanno bene Pannella e i Radicali a reclamare che sia innanzitutto lo Stato a rispettare la legge e che, in caso contrario, sia chiamato a disporre l’aministia dei reati: è un principio tecnico - giuridico inappuntabile. D’altra parte, per disporre l’amnistia, occorrono i due terzi del Parlamento e ciò richiede di tenere conto delle opposizioni, che su questo tema spesso si nascondono, scaricando il problema unicamente sulla forza di governo. Il ministro, responsabilmente, dice quello che va detto: aprire le carceri in questo momento non appare percorribile. Sul no all’amnistia, secondo lei, pesa anche l’esperienza, molto contestata, dell’indulto concesso nel 2006 dal Governo Prodi, che non fu molto digerito dall’opinione pubblica? Chiedere all’opinione pubblica uno sforzo di questo genere nell’attuale momento storico suonerebbe come una provocazione al popolo italiano. Ripeto, la soluzione dell’amnistia è teoricamente praticabile e condivisibile, ma non oggigiorno. Pertanto, bisogna educare la popolazione in tal senso e nel frattempo mettere in campo riforme ben concepite e strutturate. Qual è il suo parere, invece, sull’annuncio del Ministro Palma di voler portare entro metà ottobre, in Consiglio dei Ministri, “il disegno di legge sulle depenalizzazioni dei reati minori”? È sicuramente necessario sfrondare tutti quei reati che comportano un turn over delle persone, che entrano ed escono dal carcere dopo pochi giorni. Ma occorre anche depenalizzare quei reati che non andrebbero puniti con la detenzione in carcere, bensì trattati in altra maniera: mi riferiscono ai reati legati al consumo di droghe, per cui andrebbero previsti centri alternativi finalizzati al recupero delle persone tossicodipendenti. Il Guardasigilli ha posto anche l’accento sul problema dell’ampia percentuale di cittadini stranieri presenti attualmente nelle nostre carceri... La soluzione è semplice: dove possibile, si fanno protocolli con i Paesi d’origine di questi detenuti che prevedano il rimpatrio. La questione principale, in ogni caso, rimane quella d’impiegare le risorse a disposizione in maniera equa. Non è accettabile il fatto che tenere la gente in galera costi alla collettività di più che pagare un ricercatore universitario. Se si dismettessero le carceri obsolete che spesso sono presenti sul territorio italiano, con il ricavato si potrebbe finanziare la costruzione di carceri modello praticamente a costo zero. Perché il nodo vero è che lo Stato non ha le risorse per costruire nuove carceri. “Evidente è l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona”. Crede che l’allarme lanciato questa estate dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano abbia contribuito quantomento a rendere meno oscuro il tema delle carceri in Italia? Il contributo del Capo dello Stato è stato sicuramente prezioso.È stata mia premura inviare al Presidente Napolitano, così come al Presidente del Senato Renato Schifani e al Ministro della Giustizia Palma, una copia del libro da me curato. Ho riscontrato sincera disponibilità a prenderne visione, nella speranza che possa essere uno strumento utile a chi ha l’autorità per prendere le decisioni. Purtroppo, in Italia è ancora molto carente la cultura, soprattutto a livello accademico, riguardo al tema dell’universo penitenziario... Cioè? Io insegno presso una facoltà d’ingegneria e sono uno studioso di questi argomenti, ma tale specificità professionale me la sono costruita in parte all’estero, in parte come consulente del Ministero della Giustizia. Se un architetto o un ingegnere fosse chiamato oggi a costruire nuove carceri non saprebbe dove mettere le mani, dal momento che non esiste un’adeguata documentazione in materia. Per colmare tali lacune, sarebbe necessario adottare un approccio sistemico che metta in collegamento diverse figure professionali (economisti, progettisti, ingegneri, architetti, sociologi), così come le diverse sensibilità ideologiche, in modo da far nascere una coscienza diffusa dei diritti umani che andrebbe applicata anche nel momento del progetto architettonico. È un dato di fatto che, all’interno delle carceri, i problemi nascano anche a livello di rispetto della normativa. La sicurezza è l’ultima cosa che viene tenuta in considerazione, ma in realtà è tanto importante quanto il discorso sulla depenalizzazione dei reati minori. Esiste anche il problema delle carceri isolate dal tessuto urbano. È una questione anch’essa cruciale. Troppo spesso cerchiamo di rimuovere, in senso strettamente letterale, realtà scomode come quella delle carceri o degli ospedali per i detenuti psichiatrici, che spesso non è esagerato considerare al limite dei campi di concentramento. In queste situazioni, i discorsi sull’ambiente architettonico non vengono minimamente presi in considerazione. È per questo che lei preferisce parlare di “architettura penitenziaria” piuttosto che di semplice “edilizia penitenziaria”? Sì, perché le posso garantire che l’ambiente architettonico è componente forte della rieducazione individuo, che costituisce uno degli alti scopi che si possono ritracciare nel dettato costituzionale. Ancora oggi, invece, concepiamo il carcere più come mezzo di vendetta sociale che come luogo di rieducazione civile. Occorre entrare in una logica che non concepisce la punizione come vendetta. Io stesso sono stato colpito duramente in famiglia (la sorella del Prof. De Rossi è stata uccisa nel dicembre 2009 in casa sua, ma non si conoscono ancora i colpevoli) ma nonostante ciò non nutro sentimenti di vendetta, bensì di giustizia, convinto che la detenzione sia utile come via verso il recupero. Un’ultima battuta, Professore. In seguito ai due terribili attentanti compiuti lo scorso luglio in Norvegia, costati la vita a oltre 90 persone, ha suscitato molto scalpore il fatto che Anders Breivik, autore del duplice attacco, fosse stato condotto nel carcere di Halden Fengsel, definito da più parti “prigione a 5 stelle”, per via del trattamento molto “soft” riservato ai pericolosi criminali ospitati al proprio interno. Lei come ha reagito? Vede, lo scalpore nasce principalmente dal fatto che c’è molta ignoranza in materia. Tenere una persona in carcere in condizioni al limite dell’umano, magari per tutta la vita, non solo è una stupidaggine a livello umanitario, ma, ripeto, è anche una contraddizione in termini con il predicato costituzionale. Oltre all’esempio dei Paesi nordici, si possono portare a modello le carceri americane: come risulta dagli studi realizzati per il volume da me curato, esse sono strutture polifunzionali, dotate di attribuzioni specializzate per i vari reati e per le diverse modalità di recupero. Del resto, fare un carcere pensando solo alle celle è quantomeno riduttivo. Bisogna insistere sulla funzione di recupero, oltre che di punizione, cui è deputato il carcere. Si eviterebbe così che i detenuti, una volta usciti di prigione, delinquano ancora più di prima, perché umiliati e frustrati durante il periodo di reclusione. Giustizia: il Partito democratico e il bavaglio all’amnistia di Maurizio Bolognetti (Direzione Nazionale Radicali Italiani) Nuova del Sud, 2 ottobre 2011 Orgoglioso di appartenere alla pattuglia democratica radicale che ha innalzato alla Camera il vessillo della legalità e dello stato di diritto. Nemmeno era venuta fuori la notizia di una possibile - e quasi verrebbe da dire auspicabile - espulsione dei Radicali dal gruppo del Pd, che la “soldataglia” e i quadri di partito lucani si sono scatenati in una sorta di caccia all’uomo. Insomma, l’ennesimo segnale di una insofferenza e di un riflesso quasi pavloviano di chi alla politica preferisce la lottizzazione e il clientelismo. Tra i primi a puntare il dito, il figlio del Presidentissimo di Acquedotto lucano, che per dirla con Salvemini ha dato più da mangiare che da bere. I toni? Potete immaginarli! Inquisitori, con il dito puntato a mo di lupara partitocratica. I Franceschini e le Bindi invocano i probi viri e i soviet locali si scatenano nella caccia al radicale. Da ore è in corso un “democratico” linciaggio, dove manca solo l’accusa di taglio togliattiano di radical fascisti. Addirittura c’è stato chi ha affermato: “Uno stato serio fa pagare chi sbaglia”. Ullalà, ma quanto rigore! Troppa grazia, madama la marchesa! Peccato, davvero peccato, che il nostro non sia né uno Stato serio, né uno Stato democratico, ma piuttosto uno stato delinquente abituale, che trasforma la detenzione in tortura per i detenuti e l’intera comunità penitenziaria. Uno Stato dove all’amnistia legale proposta dai radicali si preferisce l’amnistia clandestina e di classe che produce ogni anno 170mila prescrizioni. Uno stato canaglia pluricondannato dall’Europa sull’amministrazione della giustizia. Uno stato dove la possibilità di ricevere giustizia per imputanti e vittime è davvero scarsa. Ma in assenza di dibattito, un’indignazione fasulla e pelosa monta e assume, lo ripeto, i tratti e le caratteristiche del linciaggio senza uno straccio di possibile autentica replica. In questo paese si può discutere solo di escort e di cronaca nera e di certo non una volta è stato concesso a Marco Pannella e ai radicali di spiegare il perché della proposta di amnistia, da intendersi non come atto di clemenza, ma di giustizia. No, lor signori preferiscono l’amnistia di classe, quella di cui ha goduto Massimo d’Alema sulla vicenda cliniche riunite. Preferiscono aggiustare le cose loro come si fa tra cosche. E se no che palermitani e corleonesi sarebbero? Ma il linciaggio continua, e lì con il dito puntato arrivano a dirti che i deputati radicali sono dei nominati. Loro che hanno silurato la volontà popolare a favore dell’uninominale maggioritario. Loro che non hanno proferito verbo quando a pochi giorni dalle elezioni si è cambiata la legge elettorale. Loro che non hanno dato risposte sui brogli reiterati. Loro, quelli che “la legge si interpreta per gli amici e si applica per i nemici”. Loro che nulla hanno avuto da dire quando i radicali affermavano che senza democrazia non ci sono elezioni, ma solo violente finzioni contro i diritti civili e umani. Ed eccoci qui a parlare di probi viri e politburo, mentre si dovrebbe discutere di una democrazia malata. Ed eccoci qui, ad ascoltare il moralizzatore Di Pietro che parla di visibilità a buon mercato. Povero Tonino, lui di mercato e di mercanti se ne intende. Tonino, però, non rappresenta un problema per i “Democratici”, i radicali sì. Perché i radicali rappresentano un dato antisistema. I radicali prospettano alternative a questo pestilenziale status quo. Per dirla con Marco Pannella, cari Democratici questa non è “una crisi di legislatura, è una crisi di regime, dalla quale non si può uscire chiudendosi all’interno dei recinti dei propri partiti e degli equilibri e rapporti partitocratici, sempre più distanti dal sentimento e dalle speranze dell’opinione pubblica. Se ne può uscire avendo il coraggio di aprire un dibattito a tutto campo, che coinvolga l’intero Paese, sull’assenza di democrazia, la sistematica e consapevole violazione da parte delle istituzioni della loro stessa legalità costitutiva, sul soffocamento da parte dei detentori del potere politico dei principi e delle garanzie dello Stato di diritto”. Sono orgoglioso di appartenere alla pattuglia democratica radicale, che ha innalzato alla Camera il vessillo della legalità e dello stato di diritto, mentre tutti gli altri erano impegnati nella consueta guerra tra bande, dove non può esserci spazio per chi vuole onorare la politica e la nobiltà della politica. Il Pd vuole espellerci? E da cosa? Il regime, di cui il Pd è parte integrate, ci ha già espulsi. Hanno espulso i temi di cui ci occupiamo. Hanno espulso Marco Pannella e Luca Coscioni. Hanno espulso il nostro simbolo e le nostre liste. Sarebbe solo la ratifica di un’espulsione che va avanti dal 2008, o meglio da sempre. Perdonatemi, ma personalmente mi auguro che questa espulsione abbiano il coraggio di metterla in pratica. Giustizia: Cicchitto (Pdl); il carcere a Lele Mora, una tortura per farlo parlare Corriere della Sera, 2 ottobre 2011 “Ovidio Bompressi, l’assassino di Calabresi in concorso con Pietrostefani e con Sofri, ebbe la grazia perché non sopportava il regime carcerario. Analogo trattamento non viene riservato a Lele Mora e a molti altri perché contro di essi il carcere viene usato come sistema di tortura per farli confessare, o come punizione per non aver chiamato in causa altri. Riteniamo che il nuovo ministro di Grazia e Giustizia debba affrontare il gravissimo problema della carcerazione preventiva sia con interventi pratici sia con eventuali interventi legislativi”. Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, interviene in favore dì Lele Mora, in carcere da oltre tre mesi per bancarotta fraudolenta nel penitenziario di Opera, Milano. Giovedì Mora si è sentito male ed è stato ricoverato in ospedale, al San Paolo, nel capoluogo lombardo. Le sue condizioni di salute non destano particolari preoccupazioni ma i legali insistono nel chiedere i domiciliari, perché l’agente delle star della tv “è in una situazione di allarme, è a continuo rischio di ischemia, ha la pressione molto alta, sta davvero male, hanno spiegato gli avvocati Luca Giuliante e Nicola Avanzi. Lele Mora è dimagrito di oltre 24 chili e soffre anche di diabete. I suoi difensori sono certi che in ospedale riceverebbe cure più adeguate che in carcere e hanno preparato una memoria per i pm di Milano Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci, titolari dell’inchiesta sul crac della Lm Management, e al gip Fabio Antezza, per chiedere che acconsentano a “far entrare i nostri medici in ospedale, finora non l’hanno ancora fatto”. Sia il gip che il tribunale del Riesame, nelle scorse settimane, avevano rigettato la richiesta di domiciliari motivando la loro decisione con il pericolo di fuga. Poi il giudice Antezza aveva stabilito che le condizioni di Mora sono compatibili col carcere. Ma ieri i pm hanno infine consentito a far entrare i medici di Lele Mora nell’ospedale San Paolo ed anche ad acquisire le cartelle cliniche. Giustizia: figlio Riina è tornato a Corleone, annullato provvedimento per destinazione Padova Ansa, 2 ottobre 2011 Da ieri sera Giuseppe Salvatore Riina, 34 anni, figlio minore del boss della mafia, si trova, da uomo libero a Corleone (Palermo), sottoposto a regime di prevenzione. Lo ha confermato all’Ansa il suo legale vicentino, anch’egli sorpreso che l’uomo, scontati nel carcere di Opera gli otto anni e 10 mesi di reclusione per associazione di stampo mafioso, non abbia preso la via di Padova, dov’era atteso per un lavoro in una Onlus, ma quella della Sicilia. La svolta improvvisa è arrivata nel primo pomeriggio di ieri quando, prima di lasciare il carcere, a Riina è stato annullato il provvedimento di sorveglianza che gli avrebbe permesso, come previsto dal magistrato di Pavia, di arrivare in Veneto e notificato invece la norma di prevenzione emessa nel 2002 dal tribunale di Palermo. Un provvedimento, quest’ultimo, che, come indica l’avvocato, “cancella” quello relativo alla sorveglianza. Riina, che all’uscita del carcere è stato accolto da familiari e amici, ha dovuto quindi imbarcarsi su un volo per la Sicilia. Per il suo soggiorno Veneto se ne riparlerà ma, per il legale, forse tra non molto tempo poiché lo stesso professionista ha pronto un ricorso in Cassazione contro la prevenzione poiché sarebbero trascorsi troppi anni dall’emissione di quest’ultima notifica alla sua applicazione. Salvatore Giuseppe Riina, a detta dell’avvocato, avrebbe preso con filosofia la novità dicendosi comunque “confuso ma felice” di essere tornato a tutti gli effetti in libertà. Giustizia: Di Gregorio (penalista); nessuno è colpevole per eredità di Federica Sciacca Live Sicilia, 2 ottobre 2011 A Padova non lo vogliono Salvuccio, a Corleone neanche. E chi lo vuole il “figlio del padrino” come vicino di casa? “Se è vero che viviamo in uno stato diritto, allora dobbiamo accettare le leggi in toto. L’autorità giudiziaria ha ritenuto di doverlo condannare a 8 anni. Finiti questi lui avrà saldato il suo conto con la giustizia. Dopo la condanna che si è espressa con una pena, il nostro ordinamento prevede il reinserimento dei detenuti. Se la società si arroga un diritto di applicazione di pene “ulteriori”, non rispetta le leggi, creando un meccanismo punitivo parallelo a quello del nostro ordinamento. Ma questo è quello che fa la mafia”. Questo, il punto di vista secco e lineare di Rosalba Di Gregorio, avvocato penalista e legale di Bernardo Provenzano. Che continua: “Il problema è “rispettiamo le leggi? Oppure no?”. Se siamo rispettosi della pena stabilita e scontata, allora, dopo dobbiamo accettare anche il reinserimento”. “Il carcere ha, o dovrebbe avere, una funzione rieducativa oltre che punitiva. Almeno sulla carta. Io credo che in questo momento non ce l’abbia ma se ci affidiamo alle leggi dello Stato dobbiamo ammettere entrambe le funzioni. Allora non possiamo escludere, da società che si dica “civile”, una persona uscita dal carcere e che dunque è stata rieducata”. Sulla sua “rieducazione” poco si sa. Il suo legale ha sottolineato che lui non è un pentito della mafia, ma il cappellano del carcere di Voghera, don Luciano Daffra ha parlato di lui come di un bravo ragazzo, uno semplice, acqua e sapone: “sembra una persona molto trasparente” ha detto. Quello del reinserimento, poi, è un problema generale. Solo che in questo caso, Giuseppe Salvatore Riina, detto Salvuccio, porta la pesante eredità di un cognome. “Ma io non sono d’accordo sull’ereditarietà della colpa: non è che se sei figlio di martiri sei automaticamente una brava persona, o se sei figlio di un boss sei automaticamente uno cattivo. Non sono d’accordo con l’automatismo per cui i figli dei “buoni” debbano assurgere agli altari, e i figli dei boss debbano stare nel fango. Ognuno deve essere valutato per le sue azioni, non per quelle dei propri genitori: Riina è stato condannato ma ha scontato la sua pena. E in uno stato di diritto non dovrebbe continuare ad essere “punito” per il cognome che porta”: dice l’avvocato Di Gregorio. E conclude: “Se qualcosa in questo sistema non funziona allora che si promuova una riforma costituzionale. Che gli elettori, con il loro diritto - dovere al voto, eleggano dei rappresentati che possano promuovere una riforma. O si fa funzionare davvero la rieducazione nelle carceri, rendendole degne della funzione che hanno, o si abroga la legge”. Como: detenuto suicida, il carcere si mobilita La Provincia di Como, 2 ottobre 2011 Lettera dei compagni di carcere del montenegrino morto in cella: “Era innocente”. Hanno preso carta e penna e hanno riempito un’intera facciata di un foglio A4 di firme. Sono i detenuti della seconda sezione del carcere del Bassone dove, nelle scorse settimane, nella cella 33 è stato trovato morto un detenuto montenegrino: Vitomir Bajic. Suicidio, pensano gli inquirenti. Un mistero, ritiene l’avvocato della famiglia. Una controversia nella quale i compagni di carcere di Vitomir non entrano. La lettera, infatti, è stata inviata solo per raccontare all’esterno che “il nostro amico era detenuto ingiustamente”. La missiva, scritta a mano e indirizzata alla Provincia, i detenuti del Bassone sottolineano: “Siamo consapevoli di scontare una condanna perché ritenuti colpevoli, ma c’è anche chi si trova ingiustamente detenuto in attesa di giudizio. E c’è chi sopporta questa violazione e non trova la forza di combattere, non trova nessuno che lo ascolta”. Come Vitomir Bajic. “Vorremmo almeno, per la memoria del nostro compagno e per la sua famiglia, farvi conoscere la verità”. Il giovane montenegrino, in attesa di un processo per droga, è stato trovato impiccato nella sua cella. “Lascia la moglie, una figlia, madre e padre”, concludono i detenuti prima di firmare, uno per uno, il loro appello. Avellino: nel carcere di Bellizzi i detenuti restano senza acqua per 20 ore al giorno di Simone Arseni Terra, 2 ottobre 2011 “I detenuti devono avere sempre a disposizione l’acqua potabile”, così l’art. 9 della legge dell’ordinamento penitenziario sancisce la tutela di quel diritto riconosciuto a livello mondiale come bene primario per tutti gli individui. Dinnanzi ad un sistema penitenziario in crisi permanente anche l’acqua sembra essere divenuta un privilegio di pochi: nella Casa Circondariale di Bellizzi Irpino manca l’acqua per venti ore al giorno. Il detenuto che denuncia questa situazione è esasperato. Lui soltanto si espone dichiarando il proprio nome e cognome ma la sua lettera è scritta al plurale, ed è quindi una denuncia collettiva: “non siamo animali” si legge scritto, “siamo anche noi figli dell’Italia unita e della carta costituzionale”. Per comprendere cosa significhi la mancanza di accesso all’acqua per un detenuto ristretto in celle sporche e sempre chiuse nel caldo estivo che non dà tregua neanche di notte, si potrebbe ricorrere alla lettura di un brano scritto da L. Sciascia, in cui viene spiegato il significato di un detto siciliano: “focu all’arma” (fuoco all’anima). Si dice che sono fuoco all’anima dei momenti di riposo, di ricreazione, di refrigerio, nel senso che poi, passati quei momenti, il lavoro peserà di più, più si sentirà il dolore e la noia, più il caldo. Frequentemente, durante i lavori di mietitura e trebbiatura del grano, nella gran calura dell’estate, capita di sentir dire ai contadini che è focu all’arma quel vento che si leva improvviso e rapidamente cade […], o la breve pioggia, o il bicchiere di acqua fresca: perché poi di più soffrirà il caldo. Fuoco all’anima è dunque quel momento di refrigerio desiderato e maledetto allo stesso tempo, è quel piacere tanto intenso che si è portati a maledirne la brevità. La vita carceraria è costruita intorno a questi momenti brevi dal valore pratico e simbolico insostituibile. Nella Casa Circondariale di Bellizzi Irpino, il non avere acqua corrente per lavarsi o per rinfrescarsi un po’ il viso rende la reclusione ancora più inumana di quanto non sia normalmente a causa del sovraffollamento. Ora l’estate volge al termine e il primo fresco autunnale smorzerà le sofferenza dei detenuti, ma la profonda crisi del sistema carcerario attende ancora una soluzione organica, l’atteggiamento volitivo dei governi, una presa di coscienza collettiva della gravità del problema. Viterbo: emergenza Mammagialla, la Provincia si fa promotrice di un’azione istituzionale www.civitanews.it, 2 ottobre 2011 Il consiglio provinciale, nella seduta di ieri, ha approvato all’unanimità una mozione, presentata dal consigliere Gianluca Mantuano, che impegna l’Amministrazione a mettere in campo tutte le azioni necessarie per superare l’emergenza che da tempo interessa la casa circondariale viterbese di Mammagialla. Sovraffollamento, carenza di organico, difficoltà nella gestione di detenuti psichiatrici, pericolose commistioni esterne e, soprattutto, mancanza di un direttore titolare della struttura: queste le criticità evidenziate da Mantuano e sottolineate dal voto unanime dall’assemblea di Palazzo Gentili. “Plaudo all’approvazione unanime della mozione presentata da Mantuano - afferma il presidente della Provincia, Marcello Meroi, che mi dà l’occasione per entrare nel merito di una vicenda che seguo da anni, tanto da trattarne, in veste di parlamentare, fin dal 2005. Da allora, purtroppo, a Mammagialla nulla è cambiato. È vero che i problemi del carcere viterbese, evidenziati dalla mozione approvata in consiglio provinciale, sono comuni alle strutture penitenziarie di tutta Italia, ma quella di Viterbo è una casa circondariale di massima sicurezza, e la condizione in cui essa versa da tempo è particolarmente gravosa”. “Lo avevo già fatto presente in più occasioni al direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e l’ho ribadito ai sindacati di polizia penitenziaria che ho ricevuto qui a Palazzo Gentili qualche giorno fa - continua il presidente Meroi, il rapporto con il Dap da parte delle istituzioni del territorio deve essere più collaborativo. O affrontiamo questa emergenza tutti insieme dalla stessa parte, o non si risolve. Mi faccio, quindi, portavoce delle istanze di Mammagialla e promotore di un incontro con il prefetto, il sindaco di Viterbo, i consiglieri e gli assessori regionali eletti nella Tuscia e con tutte le rappresentanze istituzionali territoriali per mettere appunto una strategia comune e per porre finalmente la parola fine a questa situazione inaccettabile”. Anche l’assessore alle Politiche sociali della Provincia, Paolo Bianchini, che di recente ha portato la solidarietà dell’Amministrazione ai lavoratori della polizia penitenziaria in protesta al carcere di Mammagialla, commenta l’approvazione del documento di Mantuano e lancia una proposta. “Nelle scorse settimane ho già avuto modo di occuparmi di questo argomento - afferma - e giudico quindi positiva l’approvazione di questa mozione da parte del consiglio provinciale. Credo sia necessario convincerci tutti del fatto che la battaglia per il carcere di Mammagialla è e deve essere una battaglia in difesa del nostro territorio, sempre più esposto al rischio d’infiltrazioni mafiose proprio a causa della presenza, nella casa circondariale, di detenuti in regime di 41 Bis e di Alta Sicurezza”. “La Provincia di Viterbo si farà promotrice di una mobilitazione istituzionale generale - continua - che coinvolga le scuole, i sindaci dei Comuni della Tuscia, i sindacati, gli agenti di polizia penitenziaria, il mondo del volontariato e della società civile, le associazioni e i cittadini tutti. Sono disponibile anche a organizzare una manifestazione pacifica per dare un segnale forte, importante, di tutela del nostro territorio. Chi non capisce che la Tuscia è in pericolo è miope - conclude - , e per questo è necessario tenere alta l’attenzione su questi temi, anche attraverso azioni di protesta che destino l’interesse della collettività”. Roma: Cgil; poco più di 100 mezzi per trasporto di 25mila detenuti ai tribnunali Adnkronos, 2 ottobre 2011 “Sempre più grave la situazione delle carceri del Lazio. Se non bastasse il sovraffollamento, la mancanza di personale e di fondi, ad affossare il sistema penitenziario del Lazio è la situazione scandalosa dei mezzi”. Lo dichiara, in una nota, Natale Di Cola, segretario di Fp-Cgil Roma e Lazio. “Nella regione - spiega - sono poco più di un centinaio i mezzi a disposizione della polizia penitenziaria per effettuare il trasporto ogni anno di oltre 25mila detenuti nelle aule di tribunali, negli ospedali, in altri istituti penitenziari dentro e fuori il Lazio”. “A causa della mancanza cronica di personale che abbiamo più volte denunciato - continua la nota - ricordiamo che nel Lazio mancano all’appello oltre 2mila agenti di polizia penitenziaria, tutte queste attività sono rallentate, posticipate, incidendo negativamente sul sistema giustizia ma soprattutto non avvengono secondo i criteri di sicurezza previsti”. Il segretario afferma che “nel Lazio come nel resto del paese un detenuto tradotto fuori da un istituto dovrebbe viaggiare scortato con 4 uomini. Nella nostra regione questo è un miraggio. Nella stragrande maggioranza delle oltre 15mila traduzioni che vengono effettuate ogni anno si viaggia con meno della metà della scorta prevista con grandi rischi per la sicurezza dei cittadini. Oltre alla sicurezza dei cittadini è a rischio la sicurezza dei detenuti e degli agenti perché i mezzi su cui viaggiano sono obsoleti e fatiscenti”. “Non è difficile trovare agli angoli delle strade mezzi fermi o poliziotti che provvedano ad effettuare la manutenzione per far funzionare i mezzi o costretti ad anticipare i soldi per la benzina. Al solo nucleo traduzioni di Rebibbia - denuncia Di Cola - dei 77 mezzi in carico solo 37 risultano disponibili ma ad un esame più attendo della lista solamente 15 sono i mezzi effettivi deputati al servizio delle traduzioni”. “Invitiamo i dirigenti della Polizia penitenziaria che utilizzano le Jaguar a farsi un giro nel piazzale autorimessa di Rebibbia. - sostiene - Potranno constatare come si stia trasformando in un cimitero di auto e mezzi. Sono molti gli autoveicoli incidentati o in avaria che giacciono in loco, ormai da tempo lasciati al deterioramento. Inoltre considerata la situazione appena descritta, siamo convinti che presto potrebbe essere chiesto al personale di effettuare i servizi per i 41 bis o per i detenuti di alta sicurezza con automezzi non protetti”. “Questa situazione non è più ammissibile: il dipartimento e le istituzioni locali intervengano immediatamente, ad oggi infatti solo grazie all’impegno dei poliziotti penitenziari che svolgono, costretti a turni massacranti, con serietà e professionalità il loro lavoro, si è evitato il peggio” conclude la nota. Catanzaro: il ministero della Giustizia premia progetto dell’Asp per i minori del circuito penale Gazzetta del Sud, 2 ottobre 2011 Importante riconoscimento del Ministero della Giustizia per il progetto “Percorso socio-sanitario per la tutela dei minori e giovani adulti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria minorile” predisposto dall’Azienda sanitaria provinciale. Il direttore generale del Dipartimento giustizia minorile del dicastero ha infatti inviato una nota di merito per il progetto dell’Asp, definito “modello d’eccellenza”, realizzato in collaborazione con il Centro per la giustizia minorile per la Calabria e la Basilicata, e finalizzato alla tutela e alla protezione delle fasce più deboli e maggiormente vulnerabili poiché a maggior rischio di esclusione sociale e volto alla tutela della salute e al recupero sociale dei minorenni entrati nel circuito penale. L’iniziativa si propone di fornire ai ragazzi che hanno commesso reati la possibilità di riconciliarsi con la comunità dando loro occasioni in cui poter sviluppare comportamenti produttivi e socialmente condivisi. Per il direttore generale dell’Asp, Gerardo Mancuso, “l’importante e autorevole riconoscimento è certamente motivo di soddisfazione, ancor di più se si considera che il protocollo sottoscritto consentirà di migliorare i servizi, le condizioni di salute e il recupero sociale dei detenuti, degli internati adulti e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale, con azioni condivise tendenti a favorire il benessere psico-fisico e sociale, nel rispetto della dignità della persona”. Siracusa: detenuto lancia l’ennesimo appello per essere curato La Sicilia, 2 ottobre 2011 Dalla casa circondariale di Cavadonna, dove è detenuto perché accusato di associazione mafiosa e di due tentate estorsioni che gli sono contestate nell’ambito dell’operazione denominata “La Morsa”, Giuseppe Musumeci, detto “Mezzo chilo”, lancia l’ennesimo disperato appello per vedersi accogliere dal Gip del Tribunale di Catania la sua istanza di essere ricoverato all’ospedale Muscatello di Augusta. “Chiedo di andare agli arresti ospedalieri in quella struttura sanitaria perché i medici conoscono la mia situazione clinica”, scrive il detenuto. Musumeci elenca le patologie più gravi di cui è sofferente, oltre al diabete mellito che lo sta divorando e lo sta rendendo una larva umana. “Le patologie di cui sono afflitto sono: pancretite cronica acuta necrotico emorragica; ipertensione arteriosa; sindrome disventilatoria Bco; epatite cronica Hcv correlata. Contrariamente a quanto pensano i giudici si tratta di patologie che non mi consentono di simulare assolutamente disturbi fisici e sofferenze indicibili, che mi costringono a stare sveglio tutte le notti, e, anche se volessi mettermi a letto, sono “aggredito” da fortissimi dolori al pancreas. Come si può ben capire sono un uomo più morto che vivo. Ho bisogno tutti i giorni di ossigeno, e qui dentro non possono darmele perché non sono attrezzati per tale tipo di intervento. I sanitari della casa circondariale, a ragione, mi dicono che è inutile che mi iscriva tutti a giorni nella lista per chiedere la visita medica perché tanto loro, con i mezzi che hanno, non possono fare assolutamente nulla. L’unica via di scampo per me è il ricovero all’ospedale Muscatello perché i medici che vi lavorano da anni mi seguono e sanno come tenere sotto controllo i miei malanni fisici. Capisco le accuse che mi sono mosse, ancora tutte da provare, ma non riesco a comprendere come mai ci sia tanta diffidenza nei giudici sul mio conto, come se io fossi un “pericolo pubblico” da tenere a tutti i costi in gabbia”. Il pensiero di Musumeci è rivolto all’anziana madre, che “per me piange dalla mattina alla sera e si dispera perché non riesce a darmi una mano d’aiuto” e al suo difensore, avvocato Puccio Forestiere, al quale “dico non una, ma mille volte grazie per ciò che sta facendo per farmi ottenere gli arresti ospedalieri”. Sulmona (Aq): protesta della Uil penitenziari, il segretario provinciale Nardella soddisfatto Il Centro, 2 ottobre 2011 “Tutto l’Abruzzo “carcerario” ha avuto modo di essere rappresentato nella riuscitissima manifestazione di protesta indetta dalla Uil penitenziari (foto), svoltasi dinanzi il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria alla quale hanno partecipato più di 500 agenti provenienti da tutt’Italia e che ha fatto seguito al consiglio nazionale direttivo, al quale hanno partecipato il segretario generale Angeletti e della pubblica Amministrazione Attili oltre a tutti i massimi vertici dell’amministrazione penitenziaria”. Così Mauro Nardella, segretario provinciale della Uil penitenziari, commenta la manifestazione che si è tenuta a Roma contro carenze di organico della polizia penitenziari e sovraffollamento delle carceri, fra cui l’istituto di pena sulmonese. “Le innumerevoli problematiche restano - spiega Nardella - insite nel mondo penitenziario abruzzese quali sovraffollamento e taglio delle risorse economiche che stanno rendendo estremamente difficile e vulnerabile ai detenuti e agli agenti la vita all’interno e fuori dai reparti detentivi. Un agente a vigilare 100 detenuti ed ecco annullato il disposto costituzionale che dovrebbe garantire l’applicazione in toto delle prerogative alle quali sono chiamati gli uomini della polizia penitenziaria. Il motto “Vigilando redimere”, che sta alla base del disposto normativo di cui all’art 5, c.2. della legge di riforma della polizia penitenziaria e che prevede la partecipazione diretta dei baschi blu all’opera rieducativa e risocializzante del detenuto, è stato di fatto riposto negli scantinati per l’impossibilità sopraggiunta dai continui tagli perpetrati a danno dell’intero sistema di poter disporre di un adeguato apparato (si è passati dai 25.000 detenuti dei primi anni 90 ai 68.000 attuali a fronte di 7.000 unità in meno di polizia penitenziaria giacché si è passati dai 43.000 di 20 anni orsono agli attuali 35.000)”. Napoli: pubblica notizia su nozze in carcere di un “pentito”, minacce al quotidiano Metropolis Ansa, 2 ottobre 2011 Grave atto di intimidazione denunciato dalla direzione del quotidiano Metropolis, diffuso nelle province di Napoli e Salerno, dopo la pubblicazione di notizie riguardanti Salvatore Belviso, esponente del clan D’Alessandro attualmente in carcere. Questa mattina l’edizione Sud del giornale riportava in prima pagina la notizia delle nozze in carcere di Belviso, definendolo “pentito”. Intorno alle 6.30, secondo quanto riferito, alcuni familiari di Belviso si sono recati presso la sede della redazione, chiedendo di ritirare il giornale dalle edicole e di bloccare la messa in onda della prima pagina dell’edizione Sud nel corso della rassegna stampa del mattino di Metropolis Tv. Contemporaneamente, secondo la denuncia presentata dalla direzione del quotidiano ai carabinieri, alcune persone avrebbero fatto il giro delle edicole di Castellammare di Stabia strappando le locandine ed esortando i giornalai a non vendere Metropolis. Probabilmente a non essere gradita è stata sia la notizia del matrimonio in carcere che, soprattutto, quella del pentimento di Belviso. Gli episodi di intimidazione sono stati denunciati dal direttore responsabile Giuseppe Del Gaudio ai carabinieri del Comando Gruppo di Torre Annunziata che sul caso hanno aperto un’inchiesta. “È un episodio gravissimo - dichiara Del Gaudio - è una vera e propria intimidazione che mira a limitare la libertà di stampa. Questo gesto non fermerà il nostro lavoro di cronisti che hanno sempre raccontato i fatti del nostro territorio”. Bergamo: ieri convegno “Non buttate la chiave”, per i 30 anni della Cooperativa Città Alta www.bergamonews.it, 2 ottobre 2011 Convegno sulla realtà del carcere e sul rapporto tra carcere e cittadinanza. Dopo gli appuntamenti del mese di settembre, prosegue il ricco programma di spettacoli, eventi ed incontri culturali organizzati dalla Cooperativa Città Alta per festeggiare i 30 anni della sua fondazione. Per l’occasione si è tenuto un convegno dal titolo “Non buttate la chiave” nel corso del quale sono intervenuti, oltre al presidente della Cooperativa Città Alta Aldo Ghilardi, dirigenti, operatori e rappresentanti di associazioni ed enti che lavorano alla Casa Circondariale di Bergamo, tra cui il direttore Dott. Antonino Porcino. L’obiettivo di questa tavola rotonda è quello raccontare la realtà del carcere - e nello specifico della Casa Circondariale di Bergamo - presentando le esperienze vissute in prima persona dalle figure dirigenti e dai rappresentanti delle diverse associazioni che operano al suo interno. Si affronteranno i temi legati alla situazione attuale della struttura carceraria, al lavoro di recupero educativo dei detenuti e al rapporto che la cittadinanza vive con il carcere inteso non come spazio finalizzato alla segregazione, bensì come luogo di riscatto ed opportunità di reinserimento sociale. “La Cooperativa Città Alta ha fortemente voluto questo momento di incontro e di scambio culturale - ha dichiarato il Presidente Aldo Ghilardi - perché riteniamo che sia di fondamentale importanza conoscere la complessa natura del carcere attraverso le diverse realtà operanti al suo interno. La conoscenza rappresenta infatti il primo passo per eliminare il pregiudizio e per sviluppare una capacità di incontro capace di andare oltre ogni frontiera”. Per quanto riguarda il rapporto fra la Cooperativa Città Alta e la Casa Circondariale di Bergamo, esso ha origini lontane. Sono diverse, infatti, le opportunità offerte negli anni dalla cooperativa ad ex detenuti quali, ad esempio, inserimenti lavorativi nell’ambito delle diverse attività di ristorazione svolte dalla stessa. Da alcuni anni la Cooperativa Città Alta ha inoltre instaurato con il Comitato Carcere e Territorio di Bergamo una serie di progetti mirati all’inserimento/accompagnamento lavorativo di ex detenuti, in libertà grazie all’ indulto o in condizione di semilibertà. La finalità progettuale condivisa è quella di consentire a questi soggetti svantaggiati un ritorno graduale e mirato nel mondo del lavoro e delle relazioni umane. Al termine del convegno seguirà un buffet. L’ingresso all’auditorium è libero per tutti coloro che sono interessati all’argomento. Livorno: detenuto schiaccia la mano nella porta a una guardia penitenziaria La Nazione, 2 ottobre 2011 Un detenuto ha schiacciato la mano nella porta di un ascensore ad un agente di polizia penitenziaria. È successo ieri nel carcere delle Sughere. Secondo quanto riferisce il segretario Ciriaco Serluca un assistente capo è stato aggredito da un giovane nordafricano dopo uno scambio verbale: il detenuto avrebbe chiuso la mano dell’agente nella porta dell’ascensore, provocandogli traumi e ferite che i medici del pronto soccorso hanno giudicato guaribili in 21 giorni. “Questa - scrive nella nota Serluca - non è una situazione emergenziale momentanea, ma una linea di gestione quotidiana, oltre ogni tipo di aspettativa. Noi ci troviamo a dover combattere (il termine vuol fare intendere il vero senso) tutti i giorni non potendo far rispettare in toto le regole che in un penitenziario più che in altri contesti ci dovrebbero essere per permettere agli operatori di polizia penitenziaria il giusto andamento nel quotidiano. La polizia penitenziaria deve gestire tutti i giorni più attività con carichi di servizio in un ambiente ormai stretto, con sempre più divieti d’incontro tra la popolazione detenuta in una struttura fatiscente e strutturalmente pericolante”. Catania: fuochi d’artificio per i detenuti in prossimità del carcere di Piazza Lanza Adnkronos, 2 ottobre 2011 Fuochi d’artificio in prossimità del carcere di piazza Lanza a Catania. Con la segnalazione di un video amatoriale da parte di un cittadino fatta pervenire all’emittente televisiva Video Mediterraneo, c’è chi nelle ore serali spara fuochi d’artificio assai vicino la casa circondariale etnea, dedicandoli, probabilmente, agli stessi detenuti. A sentire diversi residenti della zona, questo fenomeno si ripeterebbe con una cadenza bisettimanale da circa due mesi a questa parte. A disturbare la quiete serale degli abitanti c’è anche il carosello con il suono dei clacson di numerose auto, non è escluso, per gli stessi organizzatori dei singolari festini. Il direttore della casa circondariale catanese ed il suo vice, come confermato dal garante per i diritti dei detenuti, il senatore Salvo Fleres, “oggi non sono in sede ma - ha detto - approfondiremo immediatamente questa situazione per capire se questi episodi sono connessi alla vita detentiva o a fatti casuali”. Radio: Jailhouserock. Suoni, suonatori e suonati dal mondo delle prigioni di Marco Incagnola Terra, 2 ottobre 2011 Il carcere è rock, la giustizia è lenta, si potrebbe dire parafrasando il celebre tormentone di Adriano Celentano. Che la giustizia sia lenta, d’altronde non è un mistero. Circa il 45% dei detenuti presenti all’interno delle patrie galere, è in attesa di giudizio. Una lentezza che provoca sofferenza e affollamento. Più difficile dimostrare la sua vocazione rock. Ma basta ripercorrere la biografia di buona parte dei musicisti rock, per scoprire che il carcere è parte integrante di molta produzione musicale del ‘900. Carcere e musica, dunque. Un binomio ben raccontato da Patrizio Gonnella e Susanna Marietti, autori e conduttori di “Jailhouserock. Suoni, suonatori e suonati dal mondo delle prigioni”, trasmissione radiofonica in onda tutti i lunedì 21 alle 22 e 30 su Radio Popolare Roma (103.3) e, a partire dal 2 ottobre, tutte le domeniche dalle 21 alle 22 e 30 su Radio Popolare Milano. “Un orologio digitale Timex rotto, un profilattico non usato, uno usato, un paio di scarpe nere”. È l’inizio dell’elenco dei beni che la guardia riconsegna a John Belushi prima di metterlo in libertà all’inizio del film The Blues Brothers. Alla fine l’intera band sarà di nuovo dentro a cantare Jailhouse rock, dopo aver trionfato nella propria missione per conto di Dio. Da Johnny Cash a James Brown, da Leadbelly ai Sex Pistols, da Vìctor Jara ai fratelli Righeira: suoni e suonatori, racconti di storie che in un modo o in un altro attraversano le prigioni. Il carcere di ieri e il carcere di oggi, dove capita ancora che qualcuno venga suonato”. È così che presentano la loro trasmissione Patrizio Gonnella e Susanna Marietti, uniti da un lungo impegno nella vita e da un matrimonio. Memorabili alcune puntate della prima edizione: come quella dedicata a Ozzy Osbourne, in cui si racconta del suo bisogno corporale espletato sul monumento sepolcrale nei pressi di Fort Alamo; o quella in cui si raccontano le gesta del chitarrista degli Stones, passato alla storia anche per aver sniffato le ceneri di suo padre. La musica nel carcere, il carcere nella musica, la musica dal e per il carcere: Jailhouserock, è un esperimento ben riuscito. Con leggerezza e ritmo i due ci raccontano uno dei luoghi tabù della nostra società. Il luogo sempre più spesso evocato per fronteggiare i mali contemporanei. Un luogo che in realtà è sempre più fonte di insofferenza e di ingiustizie. Il luogo che per molti degli idoli moderni è stato una tappa del percorso esistenziale e creativo. E spesso anche significativa. Per il futuro Jailhouserock pensa in grande. È in cantiere, infatti, un Gr carceri interamente prodotto dai detenuti di Bollate e Rebibbia nuovo Complesso. Il carcere dunque punta a far notizia. Ma questa volta in prima persona. Immigrazione: rivolta nel Cie di Brindisi; fuggono 18 tunisini, 11 poliziotti feriti Corriere della Sera, 2 ottobre 2011 Una fuga in massa si è verificata dal Centro di identificazione ed espulsione di Restinco, alle porte di Brindisi. Diciotto tunisini sono riusciti a dileguarsi nel corso di scontri con le forze dell’ordine che hanno provocato il ferimento di undici tra poliziotti, finanzieri e militari del Reggimento San Marco. La rivolta si è protratta per alcune ore all’interno della struttura e ha visto coinvolti gli 84 ospiti, tutti provenienti da Lampedusa. I rivoltosi hanno sradicato le porte per utilizzarle come grimaldello per creare un varco nella recinzione attraverso cui sono fuggiti in diciotto. Quattro di loro sono stati rintracciati a ammanettati. Devono rispondere di violenza, resistenza, minacce, lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento del patrimonio dello Stato. I sindacati di polizia sono intanto tornati a denunciare con forza la carenza di personale che non consente di lavorare in sicurezza. Giuseppe Tiani, segretario generale del Siap, ha lamentato i tagli e “gli ulteriori 700 milioni sottratti all’Interno eppure - ha detto - il ministro Maroni all’inizio dell’estate è stato, chiaro nel rimarcare che per evitare la paralisi della sicurezza aveva bisogno di un miliardo di euro e a Ferragosto aveva richiesto di non effettuare altri tagli al ministero”. Libia: Human Rights Watch; Cnt metta fine ad arresti sommari e violenze su prigionieri Adnkronos, 2 ottobre 2011 Human Rights Watch (Hrw) ha rivolto un appello al Consiglio nazionale di Transizione (Cnt) libico, chiedendo di mettere fine agli arresti sommari e alle violenze sui prigionieri in Libia. Hrw ha visitato 20 penitenziari e ascoltato il racconto di 53 detenuti, che hanno denunciato “maltrattamenti in sei prigioni, raccontando in particolare di essere stati picchiati e di aver subito l’elettroshock, alcuni hanno mostrato cicatrici”, come si legge in un comunicato dell’organizzazione. Hrw sottolinea anche come nelle carceri libiche ci siano problemi di sovraffollamento e mancanza di approvvigionamenti. “Il Cnt, con l’aiuto dei suoi sostenitori internazionali, deve mettere in piedi il prima possibile un sistema giudiziario in grado di affrontare la situazione di tutti i prigionieri, un obiettivo al quale non è stata data priorità”. Per l’Ong, dopo la caduta del regime di Gheddafi, in Libia sono state arrestate migliaia di persone, in gran parte libici neri o africani subsahariani accusati di aver combattuto come mercenari per il colonnello. Tunisia: figlia del deposto presidente Ben Alì condannata a due anni di carcere Adnkronos, 2 ottobre 2011 La figlia del deposto presidente tunisino Zine el Abidine ben Alì è stata condannata oggi a due anni di carcere per possesso e consumo di droga. Il processo a Tunisi si è svolto in assenza dell’imputata, Nesrine Ben ben Alì. fuggita dal paese il 14 gennaio assieme al marito, l’uomo d’affari Sakhr el Materi. La coppia è imputata in altri processi per corruzione e traffico di beni archeologici. La settimana scorsa il cognato di Ben Alì, Belhassen Trabelsi, è stato condannato in contumacia a 15 anni di carcere per corruzione e traffico di valuta.