La storia di Elton, che oggi è libero, e quello che abbiamo imparato Ristretti Orizzonti, 29 ottobre 2011 Uscire dal carcere un giorno, dopo quindici anni, e immaginare di trovarsi alla sera in due posti diversi: o in Italia, da libero, con gli amici, perché in un carcere “aperto” come quello di Padova una persona può costruirsi anche della relazioni e dei legami importanti, o essere in Albania, a casa propria, con i genitori e le persone care, magari sentendosi un po’ estranei, magari un po’ come bambini, ma comunque sempre a respirare l’aria della libertà. Per Elton Kalica, autore del diario “Quando ero in galera” pubblicato da Redattore sociale, tutto questo non è successo, e l’uscita dal carcere la mattina del 25 è coincisa con una nuova privazione della libertà, il trattenimento nel Cie di Modena, una specie di moderno canile dove neppure tenere una penna è concesso. E per uno che ha fatto della scrittura una ragione di vita non è una privazione da poco. Ma dopo due giorni di permanenza al Cie, qualcosa di importante è avvenuto, il Giudice di pace non ha convalidato proprio il trattenimento nel Cie, ritenendo che la documentazione fornita dall’avvocato dimostrasse una cosa fondamentale: che Elton non è più pericoloso. A noi oggi di tutta questa storia preme dire una cosa: che le istituzioni italiane dovrebbero essere ben felici di poter dimostrare che Elton, dopo quindici anni di galera, non è rimasto “l’uomo del reato”, la fotografia di quello che ha commesso, ma che dalla galera è uscita una persona che ha conseguito una laurea magistrale e specialistica, che ha rafforzato la sua cultura, che ha imparato a esprimersi in un italiano perfetto, che sa difendere le proprie idee e rispettare quelle degli altri. Elton Kalica “non più pericoloso socialmente” è un successo, e a dire la verità in tanti ci abbiamo creduto, non solo la redazione di Ristretti Orizzonti. Ci hanno creduto i suoi docenti universitari, ci ha creduto il Magistrato di Sorveglianza, ci ha creduto la direzione del carcere, e oggi Elton è libero. Ma noi di Ristretti non siamo così felici, perché ora vorremmo una cosa normale in un Paese normale: che una persona che in carcere ha fatto un percorso importante, ha lasciato alle spalle il peggio della sua vita e si è costruito delle opportunità, quelle opportunità potesse metterle a frutto qui con noi: continuando lo studio, che è ormai una passione, e lavorando per la nostra redazione esterna, che ne ha grande bisogno. Per una volta che l’articolo 27 della Costituzione, il fatto che “la pena deve tendere alla rieducazione”, è stato rispettato, possibile che non si possa fare un passo avanti e dire che questa persona può restare in Italia, e continuare a lavorare per Ristretti Orizzonti, e per tutta quella parte di società, che ha voglia di imparare dalle esperienze negative, e farne tesoro, invece di cancellarle dalla propria vita? La Redazione Giustizia: sovraffollamento e degrado nelle carceri, unica soluzione l’amnistia di Paolo Persichetti Liberazione, 29 ottobre 2011 All’ex pm antiterrorismo Franco Ionta, oggi capo dell’amministrazione penitenziaria, non è piaciuto l’ottavo rapporto sulla condizione della detenzione, intitolato “Prigioni malate”, presentato ieri dall’associazione Antigone. Invitato alla presentazione del volume, il massimo responsabile delle carceri si è eretto a “coscienza critica” di chi, come Antigone, denuncia l’insostenibile situazione delle prigioni. Un singolare esercizio di “critica della critica” che sarebbe stato più utile rivolgere alla tragica quotidianità della realtà carceraria. Dietro alla valanga di cifre che il rapporto elenca emerge una situazione già ampiamente nota: siamo il Paese con il maggior tasso di sovraffollamento carcerario in Europa dopo la Serbia mentre i nostri tassi di criminalità sono scavalcati da Francia e Spagna. Antigone cita i dati comparativi rilevati dal Consiglio d’Europa e da Eurostat. Attualmente per ogni 100 posti disponibili ci sono 47 detenuti eccedenti. Gli istituti di pena sono oramai enormi lazzaretti, degli ospizi per derelitti, vaste discariche dove viene confinato ogni dolore e malessere sociale, nelle quali si ammassano umiliati e offesi, vite rottamate, sfigati senza speranza. Nel sistema penitenziario, quelle che con un eufemismo sociologico vengono definite “nuove povertà” ammontano oramai a circa l’80% della popolazione reclusa. Una parte della popolazione è predestinata a convivere con la reclusione, è questo il dato strutturale della politica penitenziaria. Guarda caso questa porzione di popolazione è sempre la stessa: un terzo degli attuali 67.429 incarcerati sono stranieri mentre nel corso di un intero anno hanno fatto ingresso in cella ben 84.641 persone. Il profilo classico è quello del giovane privo d’istruzione e con problematiche esistenziali legate alla tossicodipendenza. Un dato che rende uniche le carceri italiane rispetto alla situazione europea. Una buona parte dei reclusi proviene dall’Italia meridionale. Non a caso la Puglia risulta la regione più sovraffollata con un tasso del 183%. Chi viene dal Sud non ha titoli di studio, appartiene ai ceti sociali più bassi. Chi arriva dai paesi d’emigrazione vede aumentare, molto di più che nel passato, la probabilità di finire imprigionato. Cifre ch e indicano come il carcere rinvii ad uno degli aspetti più crudi della discriminazione di classe mentre il richiamo alla legalità è la macchina ideologica che legittima e riproduce questa dominazione. La misure alternative funzionano a macchia di leopardo rasentando un sistema che assomiglia ad un specie di feudalesimo giudiziario: a parità di reato attribuito, pena comminata, percorso penitenziario svolto, il trattamento riservato dai tribunali di sorveglianza assomiglia alla ruota della fortuna. La Cassa delle ammende, riservata per statuto al finanziamento delle attività trattamentali esterne, è stata stornata per finanziare nuove carceri e infrastrutture. Il Dap spende appena 4 euro a detenuto per tre pasti giornalieri, confidando nelle loro tasche per l’integrazione dei generi alimentari tramite il sopravvitto. Solo che il lavoro scarseggia e le mercedi sono state ridotte. Non esistono appalti trasparenti per le ditte fornitrici, ma un’attribuzione mafiosa concessa per “licitazione privata”. In altre parole, la gara non è aperta a tutti. “Questo sistema - denuncia Antigone - ha prodotto e continua a produrre un’oligarchia di fornitori di pasti a crudo priva di qualsiasi controllo e basata sugli introiti per le ditte appaltatrici derivanti dal sopravvitto”. In Italia - secondo quanto si legge nel rapporto - sono due le ditte a spadroneggiare in questo settore: “la Arturo Berselli & C. spa e la Seap spa”. La prima attiva, direttamente o attraverso società legate, in oltre 40 istituti; la seconda presente in 26 istituti. Che le prigioni fossero una purulenta sentina della società è stato scritto, detto e ribadito fino alla nausea. Un’ovvietà che suona come una vuota retorica dell’indignazione, non più udibile da chi vi è costretto a trascorrere periodi sempre più lunghi della propria esistenza. Secondo Vittorio Antonini, coordinatore dell’associazione Papillon: “Dopo anni di denunce non è il più il momento di spiegare a partiti di maggioranza e di opposizione, o addirittura al governo, quanto sia drammatica la realtà nelle carceri. Questa fase è finita. Si tratta invece di imporre a tutti concreti e immediati atti di responsabilità prima che le carceri scoppino. Per quel che ci riguarda - conclude - continueremo a rivolgerci alla base elettorale di tutti i partiti per spiegare quanto sia criminogeno il comportamento dei loro eletti”. Giustizia: detenuto suicida a Livorno… “dentro queste mura la violenza è la norma” di Riccardo Arena (Direttore di Radiocarcere) La Repubblica, 29 ottobre 2011 È ancora poco chiara la dinamica del suicidio di Agatino Filia, 56 ani, che avrebbe terminato la sua pena proprio oggi. Lo hanno trovato per le scale del carcere con un lenzuolo vicino e dei lividi attorno al collo. Nell’istituto Le Sughere si sono avute 17 morti in 8 anni e 9 suicidi, un numero eccezionale per un carcere di medie dimensioni. Nel carcere Le Sughere di Livorno è stato trovato il corpo senza vita di Agatino Filia, che aveva 56 anni. Sarebbe tornato libero oggi. È il decesso numero 155 nelle carceri italiane e il 54° suicidio (se di suicidio si è trattato). Già, perché in verità questo ennesimo episodio appare assai anomalo, tanto da meritare maggiori e più seri approfondimenti. Anomalo soprattutto per il modo in cui è stato eseguito. Agatino non è stato ritrovato infatti, come accade di solito, appeso ad un lenzuolo. Né è stato ritrovato morto in quei luoghi dove più frequentemente i detenuti si suicidano, perché sanno di poter contare sulla solitudine, come il bagno della cella o un magazzino del carcere. Agatino Filia è stato ritrovato cadavere sulle scale del carcere. Ovvero un luogo che è tutt’altro che riservato e dove ben poteva essere visto da chi avrebbe dovuto sorvegliarlo. A poche ore dalla libertà. Non solo. Il suo corpo è stato rinvenuto a terra, con un pezzo di lenzuolo vicino al corpo e non attorno al collo. Unico segno della presunta impiccagione: i lividi rinvenuti sul collo. E infine: Agatino si sarebbe ucciso a pochi giorni dalla sua scarcerazione. Oggi infatti, a poche ore dalla morte, sarebbe tornato libero, perché la sua pena era ormai terminata. Nonostante tutti questi elementi, Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) ha dato per scontato il suicidio di Filia ed ha affermato: “Penso che abbia avuto timore di uscire perché forse non aveva possibilità di accoglienza nella società. Altrimenti - ha precisato Ionta - è impensabile commettere un atto così drammatico”. La prassi della violenza. Nel carcere di Livorno sono già morti ben 17 detenuti dal 2003 (di cui ben tre solo nel 2011) e diversi tra questi decessi si sono verificati in circostanze a dir poco misteriose. Ma, al di là dei numeri, è la vita che si è costretti a fare a Le Sughere. Dove, stando alle testimonianze di detenuti e agenti di polizia penitenziaria, non si mette in atto nessun processo di rieducazione, ma dove al contrario la violenza sembra sia la prassi. La testimonianza. Né è stato testimone Mario, 43 anni, che ha vissuto la detenzione nel carcere di Livorno e che, nel corso di una puntata di Radiocarcere su Radio Radicale 1, ha raccontato la sua terribile esperienza. Ovvero anni passati in piccole celle, dove le persone detenute vengono ammassati in 6 o in 7, costretti a vivere 22 ore al giorno uno sopra l’altro. Ma Mario racconta anche altro, che ha a che fare soprattutto con la violenza. “Nel carcere di Livorno” - racconta - “ne succedono di tutti i colori, ma nessuno ne parla. Nelle celle vivevamo come animali, ma guai a lamentarci, guai a chiedere anche una semplice medicina”. “Nella cella liscia”. “Alle guardie non si può chiedere nulla. Questa è la regola per sopravvivere nel carcere di Livorno, oppure si rischia la cella liscia, la cella di isolamento. Ci sono stato nella cella liscia - prosegue Mario - era inverno, ma mi hanno lasciato lì in mutante. Dormivo su un materasso buttato a terra e senza neanche una coperta. Nudo, rannicchiato su quel materasso non sapevo più dove ero e cosa ero. Una notte, siccome urlavo per la disperazione, sono entrati e mi hanno picchiato. Erano 6 o 7 guardie, con guanti e con gli scarponi che in cima hanno il ferro. E quelli fanno un po’ male. M’ hanno spaccato la faccia”. E non è un caso isolato. Quello di Mario è un caso eccezionale. “No non lo è stato - ha aggiunto il detenuto al microfono di Radiocarcere - non ero il solo a Livorno a subire questo trattamento. Ho visto tanti detenuti presi e portati via. Quando tornavano in cella avevano i lividi addosso, spaccati in faccia e gli occhi pesti. Dentro quelle mura sono cose normali”. Botte e degrado, dunque, sono la normalità a Le Sughere, a quanto pare. Un po’ di numeri di Ristretti Orizzonti: al carcere delle Sughere i detenuti sono circa 450 e 17 morti negli ultimi 8 anni, per un carcere di medie dimensioni, rappresentano un dato eccezionalmente grave. In altre carceri con un numero di detenuti compreso tra 400 e 500 nello stesso periodo i decessi sono stati molti di meno: Agrigento 3, Alessandria 4, Ancona Montacuto 5, Avellino 4, Busto Arsizio 5, San Gimignano 1, Trapani 1, Vibo Valentia 4, Vigevano 2. A Livorno si è registrato anche il caso particolarmente controverso di Marcello Lonzi, ritrovato cadavere in cella l’11 luglio 2003 (il corpo coperto di lividi), che è stato oggetto di una lunghissima inchiesta giudiziaria conclusasi recentemente con l’archiviazione: morto per “aritmia maligna”. Giustizia: “Giustamente”, la video-inchiesta di Radio Radicale all’interno delle carceri Ristretti Orizzonti, 29 ottobre 2011 Da tempo i Radicali chiedono che si apra un grande dibattito per informare l’opinione pubblica sul dramma della giustizia e della sua appendice carceraria, strozzata dal sovraffollamento e dalla carenza cronica di risorse. Eppure, da giugno a oggi, i temi della giustizia e delle carceri sono stati presenti in appena lo 0,8 per cento delle notizie nei telegiornali e negli spazi di approfondimento. Per questo motivo durante i mesi di agosto, settembre e ottobre Radio Radicale è entrata in otto diversi istituti di pena per raccogliere testimonianze e dare voce a detenuti, direttori, agenti, educatori, psicologi, cappellani e altri operatori: tutti membri di una comunità penitenziaria sofferente e tutti prigionieri di un sistema ormai al collasso. Nasce così “Giustamente”. Non una semplice video-inchiesta, ma un viaggio esclusivo all’interno di alcune tra le realtà più problematiche del pianeta carcere; in angoli remoti, in cui nessuna telecamera era mai entrata prima, dove vivono stipate migliaia di persone, confinate oltre i limiti della legalità costituzionale, tra miseria e solitudine, ai margini di una società per lo più ignara del dramma che ogni giorno si consuma nelle nostre galere. Radio Radicale ha poi scelto di mettere il proprio materiale a disposizione di telegiornali e reti televisive pubbliche e private, per favorirne la maggior diffusione possibile e riparare, almeno in parte, al grave deficit di informazione su un tema rimosso dall’agenda politica del nostro Paese. I primi ad accogliere l’invito di Radio Radicale sono stati la direttrice del Tg3, Bianca Berlinguer, e del Tg5, Clemente Mimun che mostreranno all’interno dei propri telegiornali alcune delle immagini girate nei penitenziari. Inoltre domenica prossima, 30 ottobre, il programma di approfondimento del Tg5 “Terra!”, dedicherà una puntata al tema delle carceri con le immagini fornite da Radio Radicale. Così anche la puntata di Coffee Break la7 di La7 di martedì prossimo sarà dedicata a questa inchiesta. Giustizia: sulla situazione carceraria nuovo appello di Pannella al presidente Napolitano Ansa, 29 ottobre 2011 Il leader Radicale Marco Marco Pannella fa un nuovo appello al Capo dello Stato Giorgio Napolitano sulla situazione carceraria. “Presidente, il 28 luglio ha parlato saggiamente della prepotente urgenza della necessità di affrontare la situazione nelle carceri. Ma i suicidi - dice Pannella collegato con Radio Radicale - continuano. Abbiamo posto il problema, e abbiamo detto che l’amnistia è lo strumento tecnico essenziale per rendere necessaria e non rinviabile, non diluibile, una radicale riforma dell’Amministrazione della giustizia, con le sue appendici”. Pannella lamenta poi la disinformazione riguardo al Partito Radicale: “C’è una regola contro il popolo italiano, di non potere conoscere, confrontare e paragonare l’opera del movimento, della galassia, del Partito Radicale. Una regola che dura dall’immediato dopoguerra, quasi. È una regola che si applica nei confronti delle sinistre liberali, laiche, azioniste. Lei lo sa”. E il leader Radicale cita un sondaggio realizzato dalla società Datamonitor, che mostra come ancora oggi, a due settimane di distanza dalla aggressione subita alla manifestazione del 15 ottobre, quasi due terzi degli italiani ritiene che i Radicali abbiano votato la fiducia al governo Berlusconi”. Giustizia: Perduca (Radicali); subito legislativi e strutturali, sì al braccialetto e all’amnistia di Paolo Salvatore Orrù Notizie Radicali, 29 ottobre 2011 L’Italia con i suoi 67.428 detenuti stipati in 45.817 celle presenta un tasso di sovraffollamento di 147,1 detenuti ogni 100 posti. Il 40% di questi detenuti sono presunti innocenti in attesa di giudizio, di cui almeno il 20% è incolpevole: esseri umani che - secondo le statistiche - alla fine delle indagini avranno marcito in galera per almeno due anni nelle celle di Stato: il record è di Amanda Knox con quattro. “Marco Pannella ha cominciato da tempo una campagna - non più solitaria - per chiedere un’amnistia”, spiega Marco Perduca, il senatore radicale che insieme alla collega Donatella Poretti ha presentato un ddl per permettere la socializzazione tra i detenuti e il proprio cane: “Una questione di buonsenso e di civiltà”. Senatore, le amnistie non piacciono agli italiani: si ricorda come reagì la piazza all’indulto concesso da Clemente Mastella, Ministro della Giustizia nel Governo Prodi? “I Radicali stanno chiedendo il varo di un’amnistia, di un indulto, la depenalizzazioni di alcuni reati e limiti alla carcerazione per chi è in attesa di giudizio. Dopo di che, però, si deve passare alla riforma della giustizia”. Quale riforma della giustizia? “In primis, secondo i nostri canoni classici, occorre abolire l’obbligatorietà dell’azione penale: oggi per qualsiasi segnalazione viene sempre aperto un fascicolo, sempre aperta un’indagine e quasi sempre rinchiuso in cella un presunto colpevole che a volte - nel 20% dei casi - è innocente”. E pensa che tutto questo possa bastare? “Occorre, finalmente, introdurre la responsabilità civile dei magistrati: perché non è possibile che 20 mila uomini - dopo il lungo iter che ho descritto - possano stare in galera da innocenti. Vuol dire che qualcuno ha sbagliato. Inoltre, sempre secondo noi, sarebbe opportuno separare la carriera dei pubblici ministeri da quello degli organi giudicanti”. Insomma, l’affollamento delle carceri è colpa dei magistrati? “Il primo vero colpevole è la politica. Noi, però, non abbiamo mai rinunciato alla lotta: all’inizio di questa legislazione abbiamo proposto decine di disegni di legge: spesso il sunto di norme, ottime, che sono state approvate ma mai applicate. Il carcere per i radicali è sempre l’estrema ratio. In Italia i nostri codici prevedono 35 mila fattispecie di reati: l’applicazione delle norme sugli arresti domiciliari e sui lavori socialmente utili, potrebbero aiutare a rendere più vivibili le patrie galere. In altri casi, in reati non di grossa entità, si potrebbe applicare una legge ormai esistente, quella del braccialetto (il governo sta già pagando un canone milionario a Telecom), una disposizione che i giudici hanno applicato solo una volta”. In carcere si sta bene: tivù, pasti gratis … ma c’è anche un altissimo tasso di suicidi. “In Italia si toglie la vita una persona su 100mila, in carcere questa percentuale lievita sino a 9,9 su 100mila: questo vuol dire che le nostre prigioni più che un luogo di detenzione sono un luogo di tortura. Il caso di Livorno in questo senso è esemplare: il detenuto sarebbe dovuto uscire fra due giorni. Si è tolto la vita perché non vedeva per sé un futuro. Eppure l’amministrazione carceraria ha a disposizione 40 milioni l’anno: li spende però per sistemare le celle, per fare altri carceri, ma non per insegnare un lavoro a questi uomini”. Nella famosa cena con Berlusconi di queste cose ne avete parlato o avete solo mangiato? “Pensavamo che disquisire di queste cose con chi dice di essere un perseguitato dalla giustizia fosse più semplice. Invece alla fine della cena il responso è stato questo: lui non vuole un’amnistia perché ha paura di perdere voti. Ma forse il premier non ha tenuto in considerazione che in Italia ci sono 67.428 carcerati che hanno, più o meno, 5 o 6 milioni di parenti, un bacino di voti considerevole”. Le carceri peggiori? “Purtroppo al Sud, in Sicilia in particolare”. Giustizia: Leoluca Orlando; le carceri specchio di mali e contraddizioni nostro paese Asca, 29 ottobre 2011 “Ascoltando quanto emerge dal rapporto Antigone viene, da pensare che ogni Paese, come diceva già qualche secolo fa Voltaire, ha le carceri che si merita. Abbiamo così, in Italia, un sistema carcerario che è diventato collettore di tutte le contraddizioni e i problemi che ci circondano”. È quanto dichiarato da Leoluca Orlando, Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario e le cause dei disavanzi sanitari, intervenuto oggi alla presentazione dell’VIII rapporto Antigone sulle carceri italiane. “Vediamo nelle carceri - ha aggiunto - quali sono le conseguenze della legge Bossi-Fini sull’immigrazione, che affolla le celle di persone che non hanno né ucciso, né rubato, né spacciato. Vi vediamo le conseguenze della legge Fini-Giovanardi sulle droghe, che porta in carcere chi dovrebbe essere assistito dai servizi sociali, nonché i guasti prodotti al sistema giudiziario dalla ex Cirielli. Vi vediamo rispecchiata, tra l’altro, la principale debolezza del nostro sistema sanitario: il passaggio di competenze dal Ministero della Giustizia alle regioni, in materia di sanità, evidenzia un problema che troviamo anche fuori dalle carceri, ovvero la mancanza di omogeneità dell’assistenza. Vi sono strutture in cui si è curati meglio e con tempestività e strutture in cui lo scarso accordo con i sistemi sanitari regionali o la mancata attuazione della riforma mettono in pericolo la garanzia della tutela della salute”. “La Commissione che presiedo - ha detto ancora - considera sua missione istituzionale adoperarsi affinché sia pienamente riconosciuto il diritto alla salute dei detenuti alla stregua di quello di tutti gli altri cittadini. Non è accettabile che vi siano cittadini di serie A e B, e tanto meno è accettabile che i carcerati siano considerati sempre di serie B”. “Intendiamo, pertanto, verificare le condizioni dell’assistenza e l’adeguatezza del personale di polizia penitenziaria e di quello socio-sanitario. A tal fine, nell’ambito del filone di inchiesta sulla tutela della salute nelle carceri, coordinato dalle onorevoli Doris Lo Moro, Melania De Nichilo e Laura Molteni, provvederemo a raccogliere dati e numeri - struttura per struttura e regione per regione - in modo da verificare se e come opera il percorso di prevenzione, cura e riabilitazione dei detenuti e come sta funzionando, nel concreto, l’applicazione del Dpcm 1.4.2008 che prevede il passaggio della sanità penitenziaria alle regioni. In questo quadro assumono caratteri di drammaticità le condizioni di alcune strutture in particolare, come gli Ospedali psichiatrici giudiziari, veri e propri ricinti di disperazione lontani anni luce dai principi di cura della malattia mentale, come nel caso di Barcellona Pozzo di Gotto, che subisce la mancata decisione, da parte della Regione Sicilia, di assumersi la responsabilità della gestione della sanità penitenziaria e degli stessi Opg”, ha concluso Orlando. Giustizia: Emergency; Ospedali psichiatrici giudiziari… chiudete le carceri della vergogna La Repubblica, 29 ottobre 2011 Edifici sporchi, celle claustrofobiche, personale medico quasi inesistente, detenuti legati a letti di metallo con un foro centrale per far cadere le feci. E ancora, bagni alla turca con bottiglie d’acqua da bere depositate nel water per mantenerle fresche ed evitare che i topi risalgano dalle fogne. Flash agghiaccianti della situazione in cui si trovano i sei ospedali psichiatrici giudiziari ancora aperti in Italia. Ad Aversa, a Napoli, a Barcellona Pozzo di Gotto, a Montelupo Fiorentino, a Reggio Emilia e a Castiglione delle Stiviere. Ospitano 1.500 internati, condannati dalla giustizia ma ritenuti mentalmente infermi. Vivono in condizioni disumane, raccontate nel dettaglio in un’inchiesta uscita il 28 ottobre sul primo numero di E-il mensile, il nuovo periodico di Emergency. Il 27 settembre il Senato ha approvato all’unanimità la relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia del servizio sanitario nazionale, presieduta da Ignazio Marino. Un testo che impegna il governo a chiudere definitivamente gli ospedali psichiatrici giudiziari, nati nel 1975 con la riforma penitenziaria. Già nel 2008 un decreto della Presidenza del consiglio ne aveva imposto la chiusura, ma poi niente era stato fatto. Nel luglio dello scorso anno una commissione ha ispezionato a sorpresa le sei strutture con una videocamera. Ne è nato un documentario, girato dal regista Francesco Cordio. “Un viaggio nell’Ottocento - lo ha definito Ignazio Marino - quei luoghi sono abissi dove il tempo si è fermato”. Malati e dimenticati. Un’agente penitenziaria in servizio presso l’Opg di Napoli rivela: “Per il 40 per cento degli internati la pericolosità sociale è venuta meno, sono stati dichiarati “dimissibili”. Ma i magistrati di sorveglianza non sanno dove mandarli”. Giustizia: 6 ergastolani liberi dopo 17anni; li accusava un pentito ora ritenuto inattendibile di Lara Sirignano Ansa, 29 ottobre 2011 Quando 17 anni fa entrò in carcere con l’accusa di avere fatto parte del commando che trucidò il giudice Paolo Borsellino c’erano ancora le lire. Il pesante sospetto che la sua condanna all’ergastolo sia frutto di un incredibile errore giudiziario gli ha consentito oggi di tornare un uomo libero. E la prima sensazione che ha avuto lasciando la cella di Voghera è stata di confusione. Spaesato si è trovato un Paese cambiato: pure la moneta non è più la stessa. “Come pago? - ha detto Gaetano Murana, finito in manette da incensurato, al suo avvocato. Io con gli euro non sono pratico. Ne ho maneggiati pochi”. Insieme a Murana sono tornati liberi altri due detenuti per l’attentato di via D’Amelio, anche loro ergastolani. E altri quattro, domani, potrebbero seguire la stessa sorte, dopo che la corte d’appello di Catania, accogliendo la richiesta del pg di Caltanissetta, ha sospeso per tutti l’esecuzione delle pene. Tra loro c’è anche il falso pentito Vincenzo Scarantino, il “picciotto” della Guadagna che si è inventato una verità sulla strage suggellata da due sentenze diventate definitive nonostante i dubbi e le ritrattazioni di un testimone chiave palesemente poco credibile. Resta in carcere Gaetano Scotto, l’uomo dei misteri dell’eccidio di via D’Amelio. Legato ai Servizi, dicono i pentiti, anche lui condannato all’ergastolo ingiustamente per le accuse di Scarantino, deve scontare due condanne per altri reati: la sospensione della pena, dunque, a lui non si applica. La decisione della corte d’Appello è arrivata a sole due settimane dalla richiesta di revisione e di stop delle pene del pg Roberto Scarpinato che ha rimesso in discussione sentenze definitive sulla strage dopo le rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza. L’ex uomo dei Graviano, autoaccusatosi dell’eccidio, ha riscritto la storia dell’attentato, scagionato gli innocenti condannati e accusato i veri responsabili. I giudici di Catania hanno fatto in fretta, quasi a voler rimediare, almeno in parte, agli anni di carcere ingiusti sofferti da undici persone, otto delle quali fino ad oggi detenute. Per la Corte la revisione è inammissibile, ma la sospensione dell’esecuzione della pena è sacrosanta. Una decisione solo apparentemente contraddittoria già suggerita dal pg che solo proponendo la celebrazione di un nuovo processo, però, poteva chiedere la liberazione dei carcerati. “L’istanza di revisione fondata sull’asserita responsabilità di un terzo è inammissibile qualora la responsabilità non sia stata accertata giudizialmente in modo definitivo”, scrivono i giudici di Catania. In sostanza, adeguandosi alla giurisprudenza in materia, la Corte ha sostenuto che le nuove rivelazioni di Spatuzza non bastano da sole a chiedere la revisione di quei verdetti di colpevolezza. Serve infatti che le responsabilità alternative - dell’ex killer dei Graviano innanzitutto e poi di quelli che lo stesso pentito tira in ballo - vengano accertate con sentenza passata in giudicato: solo allora in presenza di due verdetti definitivi contrapposti si potranno rifare i processi. Ma il ragionamento, non impedisce la sospensione dell’esecuzione della pena per gli otto ingiustamente condannati che altrimenti dovrebbero stare in carcere fino alla nuova sentenza definitiva che punisca i veri colpevoli. Per loro - spiega la corte - “appare verosimile l’accoglimento (futuro n.d.r.) della domanda di revisione e la conseguente revoca della condanna”. Una previsione che è anche un giudizio sull’attendibilità di Spatuzza. La sua verità, paiono dire i giudici, reggerà a nuovi processi, porterà a nuove condanne e spazzerà via i verdetti errati. Nel frattempo, però, è giusto che chi in carcere ci sta per errore - determinato dalla fretta di chiudere le indagini su una delle pagine più oscure della Storia della mafia o frutto di un clamoroso depistaggio - torni libero. Giustizia: dalle sevizie di Pianosa alla fede, dopo 17 anni in cella parla Gaetano Murana di Romina Marceca La Repubblica, 29 ottobre 2011 Nell’inferno del supercarcere di Pianosa ho capito perché Scarantino mi accusava”. “Non ho visto crescere mio figlio ho subito angherie ma ho potuto tornare a studiare”. “Anche Vincenzo è una vittima. Vorrei chiedergli chi gli ha suggerito il mio nome”. Dal 18 luglio 1994 e fino a quarantotto ore fa è stato uno degli ergastolani accusati della strage di via d’Amelio. Ha attraversato l’inferno di Pianosa, che lui chiama la discoteca perché “si ballava dalla mattina alla sera per le sevizie”, è rimasto in isolamento al 41 bis, ha perso il suo lavoro al Comune come spazzino, portando addosso il marchio di essere uno dei mafiosi che ha preparato l’attentato al giudice Borsellino. Gaetano Murana, scarcerato con altri cinque, compie 54 anni il 4 novembre: il suo primo compleanno da uomo libero dopo 18 anni in cella. Si racconta nella sua prima intervista. Ha il viso scavato, adesso porta gli occhiali e ha le mani gonfie e rosse di chi ha maneggiato tanti detersivi per tirare a lucido le troppe celle in cui ha vissuto. Al polso l’unico “souvenir” che gli ricorda gli anni trascorsi in galera: un orologio Swatch di plastica, l’unico ammesso. Da dove cominciamo signor Murana, dall’inizio o dalla fine? “La conclusione dei miei giorni in carcere è assolutamente la parte più bella. A Voghera ho lasciato l’infinita tristezza per una falsa verità che non mi apparteneva e una pentola con il sugo di carne fatto con le mie mani, che, senza offesa, è uno dei migliori che si siano mai assaggiati nelle celle italiane. E io di carceri ne ho girate ben 8 in diciotto anni. È andata così: stavo arriminannu il sugo per non farlo appigghiare quando un agente è entrato nella mia cella di Voghera. Mi ha portato in infermeria dal capoposto che mi ha chiesto quale fosse la mia residenza. Lì ho capito e mentre già piangevo è stato il capoposto a dirmi: “Lei è liberante”. A quel punto i miei compagni mi hanno aiutato a fare le valigie. Anche loro piangevano. I vestiti, le scarpe, le tute da lavoro li ho donati ai più bisognosi. Quando la porta carraia si è chiusa alle mie spalle ho cominciato a tremare. Mi sono guardato attorno, ero confuso. Mi sono seduto su un gradino e ho cominciato a piangere tutte le mie lacrime”. Andiamo indietro di 18 anni, al giorno dell’arresto. Come andò? “Ancora ci penso e in certi momenti sorrido amaramente. Bisogna partire dal giorno prima per capire. Era il 17 luglio. Stavo guardando la finale Italia-Brasile del campionato mondiale di calcio Usa 94, abbracciato a mia moglie. Eravamo sposini. Mio figlio, Giuseppe, era nato un anno e un mese prima. Nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo l’annuncio che ha cambiato la mia vita. Il giornalista del tg diceva che un nuovo collaboratore di giustizia, Vincenzo Scarantino, stava raccontando fatti e misfatti sulla strage di via d’Amelio. Non dimenticherò mai la sua foto in televisione. È rimasta impressa nella mia memoria per tutti questi anni maledetti. Conosco Scarantino, abitava a 50 metri da casa mia. La mattina seguente sono stato arrestato mentre andavo al lavoro. Con la mia auto avevo fatto un’infrazione. Un’auto civetta mi ha subito bloccato. Credevo di ricevere una multa. I poliziotti mi dissero che avrei perso tre minuti. Ebbene, questi tre minuti sono durati 206 interminabili mesi e una manciata di ore. Quando alla squadra mobile mi hanno consegnato l’ordine di cattura per strage, ero stupefatto. Ho chiesto perché. I poliziotti mi hanno risposto: “Questo è un regalo che ci ha fatto Scarantino”. Lei è stato accusato di avere “bonificato e sorvegliato” il luogo dell’attentato a Borsellino. Ed è finito al 41 bis, il carcere duro. Come ha resistito? “Pianosa è quello che ha lasciato nella mia anima le ferite più profonde. Dopo l’arresto mi hanno portato nella sezione Agrippa, quella riaperta proprio per il 41-bis. Botte e sevizie, come hanno denunciato alcuni detenuti, erano all’ordine del giorno. Sono stato costretto a fare flessioni nudo per 3 anni, a subire violenza con l’uso del metal detector sui genitali. Ma non dimenticherò nemmeno i profilattici dentro alle minestre, il peperoncino nelle bevande, le sbarre battute a tutte le ore per tenerci svegli. Il 17 luglio del 1997 sono stato l’ultimo a lasciare Pianosa. Ma anche Caltanissetta è stato un altro posto da dimenticare. Mi rendo conto, adesso, che negli anni a tutte quelle botte mi ero quasi abituato”. Nel “Borsellino I” lei è stato assolto, e dal 2002 al 2005 è tornato in libertà. In appello poi è stato condannato all’ergastolo, pena confermata in Cassazione. Libertà a parte, cos’altro ha perduto in questi anni? “La crescita di mio figlio: l’ho rivisto e l’ho potuto toccare dopo i primi 5 anni di carcere. È stato un supplizio. Poi ho perso i migliori anni di matrimonio. Ero un ragazzo, adesso mi sento stanco e vecchio. Ho perso una sorella, morta di tumore e che non ho potuto salutare. E ho perso il lavoro. Adesso pretendo di nuovo il mio impiego al Comune. Credo mi spetti, no?”. C’è stato qualcosa di buono, nonostante tutto, nella sua lunga carcerazione? “Nel 2009, finalmente, dopo una lunga battaglia con l’avvocato Rosalba Di Gregorio, ho ottenuto la revoca del carcere duro. Ho potuto riprendere gli studi. Mi sono iscritto a ragioneria: andrò al terzo anno. Poi ho approfondito la mia fede. Ho letto e riletto i libri su San Francesco. Sono diventato anche un uomo più riflessivo e vorrei dedicarmi al volontariato”. Qual è il primo desiderio esaudito da uomo libero? “Mi sono fatto preparare un piatto di pasta con le sarde, la mia preferita”. Se avesse Scarantino davanti cosa gli direbbe? “Nulla, lo saluterei. È una vittima come me. Credo che le sue false dichiarazioni sono il frutto dei terribili anni a Pianosa. Vorrei solo chiedergli una cosa: “Chi ti ha detto di fare il mio nome?”. Giustizia: Alfonso Papa verso i domiciliari, via libera dal tribunale di Napoli Ansa, 29 ottobre 2011 Il tribunale di Napoli avrebbe concesso il beneficio degli arresti domiciliari al parlamentare del Pdl Alfonso Papa, recluso nell’ambito dell’inchiesta P4, accogliendo parzialmente le istanze dei difensori. Lo si è appreso da fonti giudiziarie: i legali di Papa, Giuseppe D’Alise e Carlo Di Casola, non hanno ancora preso visione dell’ordinanza e attendono di poterlo fare lunedì. Papa però non lascia il carcere di Poggioreale, essendo detenuto anche per un’ipotesi di concussione su cui procede la procura di Roma. Rispetto all’accusa di concussione, i legali del parlamentare presenteranno quanto prima un’apposita istanza alla procura di Roma. Se il responso sarà favorevole, Papa potrà lasciare il carcere di Poggioreale dove si trova dal luglio scorso. Puglia: alla regione la “maglia nera” per il sovraffollamento carcerario Agi, 29 ottobre 2011 Nell’ottavo rapporto di Antigone l’analisi della condizione carceraria in Italia. Negli undici istituti pugliesi circa 4mila e 500 detenuti, 2mila oltre la capienza. Ma a Lecce una sentenza unica. Le carceri italiane scoppiano e mancano le risorse. Impietoso, puntuale, arriva l’ottavo rapporto dell’associazione indipendente Antigone. Che consegna alla Puglia la maglia nera tra le regioni italiane, con un indice di sovraffollamento del 183 per cento. Sono undici gli istituti penitenziari che in teoria potrebbero accogliere solo 2458 detenuti, ma la cifra reale è di 4486. Delle situazioni di ordinario disagio si è detto più volte, grazie anche alle ripetute prese di posizione di alcuni sindacati di polizia penitenziaria. Proprio a Lecce, del resto, c’è stata una pronuncia del giudice che ha accordato un risarcimento per condizioni inumani e degradanti. Una sentenza che potrebbe fare scuola. Per quanto riguarda il penitenziario di Borgo San Nicola, secondo fonti di polizia penitenziaria il sovraffollamento sarebbe quasi al doppio della capienza consentita. Nel giorno di Ferragosto la struttura è stata visitata dall’onorevole Pierferdinando Casini in occasione della visita organizzata a livello nazionale dai Radicali italiani per sensibilizzare l’opinione pubblica su una questione che è essenzialmente di civiltà. E che nemmeno i dati ufficiali del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria possono tacere. L’allarme sul carcere leccese è stato denunciato da più parti anche dal mondo dell’associazionismo. Nelle pagine del rapporto del Centro servizi volontariato Salento Visti da noi nel 2010 risultavano 1.441 detenuti, con un indice di sovraffollamento del 120 per cento e con una serie di problemi collegati. Ad esempio, sempre secondo il dossier del volontariato salentino, il 90 per cento dei detenuti ha problemi di ansia e depressione e la sanità pubblica non riesce a far fronte alle emergenze quotidiane. In un solo anno si contano oltre 24mila visite mediche. Tra spazi ridotti, personale assente, mancanza di qualsiasi percorso educativo, si consumano i giorni dei detenuti nelle carceri del nostro Paese, ristretti non solo dalle gabbie fisiche. Lazio: dalla Giunta 450mila euro per i diritti della popolazione carceraria Il Velino, 29 ottobre 2011 In arrivo dalla Regione Lazio nuovi fondi a sostegno dei diritti della popolazione carceraria del territorio. La giunta Polverini ha infatti approvato una delibera che stanzia circa 450mila euro a favore delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Nel dettaglio, oltre 290 mila euro andranno a finanziare 23 progetti per la realizzazione di attività trattamentali, ovvero laboratori ed attività ricreative, a favore della popolazione detenuta. Attraverso le associazioni e le cooperative che operano negli istituti penitenziari del Lazio, si andranno quindi a sostenere economicamente laboratori teatrali, ludoteche, giocoteche, attività di espressione creativa, progetti di musicoterapia, sport e attività di volontariato. Previsto anche un contributo per un progetto destinato a soggetti in esecuzione penale esterna. “Con questo provvedimento - dichiara l’assessore regionale alla Sicurezza e agli Enti locali, Giuseppe Cangemi - prosegue l’impegno di questa Giunta a favore dei diritti della popolazione carceraria del Lazio, per migliorare le loro condizioni di vita. Un’iniziativa concreta, con alcune attività che partiranno da subito, fin da Natale, per offrire ai detenuti ospiti negli istituti della Regione, un giusto momento di svago”. Umbria: impegno della Regione per iniziative volte al reinserimento sociale e lavorativo La Nazione, 29 ottobre 2011 “L’impegno della Regione Umbria nei confronti dei detenuti si è sviluppato in particolare attraverso iniziative volte al loro reinserimento sociale e lavorativo, con un occhio attento alla tutela della salute. In questo contesto assume un ruolo centrale la formazione al lavoro che non può escludere la conoscenza del linguaggio informatico”. Lo ha sottolineato la coordinatrice dell’ambito conoscenza e welfare della Regione Umbria Annalisa Doria durante il suo intervento al seminario “Carcere e formazione informatica”. “La regione - ha detto la Doria - ha sviluppato azioni formative e di informazione in collaborazione con i soggetti del terzo settore e azioni promozionali nei confronti delle istituzioni del territorio, del volontariato, della cooperazione e dell’associazionismo che si sono concretizzate in alcuni progetti territoriali per l’integrazione e l’inclusione lavorativa dei detenuti e degli ex-detenuti con il coinvolgimento sia degli istituti di pena che del mondo del lavoro e della produzione. Nel Piano sociale regionale inoltre, assume particolare rilevanza la costruzione di progetti personalizzati integrati che includano un percorso di accompagnamento da dentro a fuori il carcere e di tutoraggio fino al reinserimento. Le azioni di formazione per favorire l’occupazione dei detenuti - ha concluso - sono state finanziate dalla Regione con il Fondo Sociale Europeo in collaborazione con le amministrazioni provinciali, con i soggetti del terzo settore”. Lazio: il Garante Angiolo Marroni; nelle carceri sovraffollamento ai massimi storici di Helene Pacitto www.romacapitalenews.com, 29 ottobre 2011 L’emergenza carceri tocca la Regione Lazio in particolar maniera. A tal punto che il garante dei diritti dei detenuti, Angiolo Marroni, si batte quotidianamente per chiedere soluzioni ad un sovraffollamento che rende la vita dei detenuti insopportabile. Garante Marroni, com’è la situazioni nelle carceri laziali? I rappresentanti del mio ufficio sono perennemente nelle carceri. Il nostro dovere è compito imposto anche dalla legge regionale è quello di essere presenti sempre, non facciamo visite sporadiche. Per questo motivo possiamo dire con cognizione che a Roma e nel Lazio c’è un’emergenza mai vista prima. Il sovraffollamento è un problema che interessa tutta l’Italia ma nella nostra regione e nelle carceri della Capitale in particolare ha raggiunto vette mai toccate prime, superando di gran lunga il numero di ospiti regolamentare. A Roma abbiamo 1.750 detenuti quando invece dovrebbero essere non più di 1.000. A Regina Coeli siamo arrivati a 1.200, tetto mai raggiunto. Tutte le sezioni, dal penale al femminile, soffrono la carenza di spazi e il numero elevato di detenuti che poi ha ricadute su tutti gli aspetti della vita quotidiana dei detenuti. Come si potrebbe, secondo lei, uscire dall’emergenza? Bè innanzi tutto una soluzione potrebbe essere quella di fuori i detenuti che sono tossicodipendenti in carcere per reati minori. Si potebbe pensare di inviarli in centri di recupero per curare la loro dipendenza. Già questo darebbe una grande mano, basti pensare che i detenuti connessi ai reati di droga sono al momento il 25%. Inoltre si dovrebbe cercare di fare ricorso a scelte alternative al carcere, come gli arresti domiciliari anche perché il carcere non è sempre la soluzione migliore. Anche se la legge prevede che questa sia anche una via per il reinserimento, in temi di tagli di risorse e sovraffollamento, mettere in atto il recupero diventa impossibile. La figura del garante dei detenuti che compito svolge? Esiste una legge regionale che regolamenta diritti e doveri della figura del Garante dei detenuti. Il nostro compito primario è quello di vigilare e garantire sul rispetto dei diritti dei detenuti, dal diritto alla cultura, alla dignità personale, alla cultura, la salute e così via. In linea di massima riusciamo nel nostro compito nei limiti delle difficoltà di chi si trova ad operare in carcere. Il diritto alla sanità, ad esempio, chiama in causa anche le asl e la regione. Sono loro che devono garantire cure, igiene, interventi, ospedali e assistenza chirurgia anche a favore dei detenuti. Spesso però le risorse sono poche, il personale anche e si finisce col gravare sulle strutture e sui medici che sono troppo pochi. È difficile operare in un periodo di crisi e di tagli come questo? Ovviamente si. I tagli delle risorse sono enormi e toccano tutti i settori della vita pubblica. Spesso ci troviamo ad affrontare emergenze che chiamano in causa anche il ministero della giustizia che non ha fondi da destinare alle carceri. Ci troviamo per questo ad operare, come regione e come garante, in ruoli che non ci competono, svolgiamo un lavoro di supplenza pur di dare risposte immediate ai detenuti. Il consiglio regionale del Lazio ha dedicato una seduta al tema dell’emergenza carceri, pensa sia servito? Il Consiglio regionale del Lazio ha approvato una mozione utile e condivisa da tutti a favore delle carceri. Tuttavia renderla concreta non è facile perché tocca tematiche che interessano il ministero, l’amministrazione penitenziaria ed altre istituzioni. Finché rimarrà sulla carta non servirà a superare l’emergenza. Pavia: Fli; carcere sovraffollato, serve il Garante comunale dei detenuti La Provincia Pavese, 29 ottobre 2011 È il problema del sovraffollamento e della possibilità di costruirsi un futuro le due criticità che emergono dal carcere di Pavia. Ieri mattina una delegazione del gruppo consiliare “Pavia città per l’uomo - Futuro e Libertà” ha visitato il carcere di Torre del Gallo. C’erano i consiglieri Francesco Adenti e Niccolò Fraschini, l’assessore Rodolfo Faldini e l’ex consigliere di quartiere Valter Mangiarotti. Numeri da confrontare con il futuro del carcere, quando i lavori di ampliamento saranno finiti (entro la primavera 2012) e ci saranno circa 300 posti in più. “Ho trovato nella direttrice e nei suoi collaboratori grande determinazione - dice Francesco Adenti - e impegno nel garantire condizioni di vivibilità accettabili, anche se non sempre è facile, se pensiamo al sovraffollamento con la presenza di 507 detenuti (di cui 247 imputati e 260 condannati) a fronte di una capienza prevista di 247 e tollerata di 456. In alcune celle in spazi angusti vivono anche tre persone in situazioni in cui i diritti personali e la dignità vengono lesi”. “A regime, a lavori finiti - aggiunge Faldini - sarà una comunità di circa mille persone, tra detenuti, guardie penitenziarie, educatori, medici, parenti, una comunità con i propri problemi e le proprie esigenze”. “C’è da augurarsi che con l’ampliamento dei posti si possa assicurare contesti migliori di vivibilità”, dice Fraschini. “Altro tema da non dimenticare è il numero degli stranieri, sono 220 , il 44% del totale - dice Adenti - spesso queste persone una volta all’esterno non hanno nulla”. E aggiunge Adenti: “Il nostro gruppo ha intenzione di proporre l’istituzione del Garante comunale dei diritti delle persone private della libertà personale”. Milano: un giornale online per mettere in dialogo le carceri milanesi con la società www.redattoresociale.it, 29 ottobre 2011 Si chiama “Voci dal ponte” e a lanciarlo è l’associazione Trasgressione.net, un gruppo attivo nei tre istituti penitenziari (San Vittore, Bollate e Opera). Un giornale online per mettere in dialogo le carceri milanesi con la società. Si chiama “Voci dal ponte” e a lanciarlo è l’associazione Trasgressione.net, un gruppo attivo nei tre istituti penitenziari (San Vittore, Bollate e Opera) che unisce detenuti e cittadini esterni per ragionare sulle forme della trasgressione e, quindi, promuovere un percorso di crescita e di responsabilità (vedi lancio del 15 luglio 2011). Il target della testata sono soprattutto gli studenti delle scuole superiori e delle università, che insieme a docenti ed esperti di diritto, psicologia, letteratura, arte e scienze dell’educazione, avranno la possibilità di confrontarsi sui temi cari al gruppo, quali la devianza e l’evoluzione della persona. Tra i collaboratori anche “Terre di mezzo-street magazine”, “Ristretti Orizzonti” e la Fondazione De Andrè. La presentazione del nuovo portale avverrà venerdì 28 ottobre nella sede della Provincia di Milano. Il giornale rappresenta un traguardo importante per l’associazione. E uno strumento per diffondere e incentivare quello che Trasgressione.net coltiva da sempre: le alleanze e i progetti tra detenuti, ex detenuti e liberi cittadini nell’ottica del recupero del delinquente e della prevenzione alla tossicodipendenza e al bullismo. È così che, in linea con la storia del gruppo, la struttura di “Voci dal Ponte” si declina in tre profili diversi: vetrina e flusso continuo del materiale prodotto dal lavoro del Gruppo; selezione di link a rubriche e di contenuti elaborati da altri enti o associazioni altrettanto impegnati nell’educazione del criminale; community (interazione tra utenti della rete e membri del gruppo della trasgressione). Trieste: detenuto minaccia ed aggredisce agente Polizia penitenziaria con una lametta Comunicato Sappe, 29 ottobre 2011 “La situazione penitenziaria è sempre più incandescente. Ogni giorno registriamo manifestazioni e proteste di detenuti sempre più violente. Le istituzioni e il mondo della politica non possono più restare inermi e devono agire concretamente. Sconcerta ed inquieta, ad esempio, quanto avvenuto ieri sera nel carcere di Trieste. Un pluripregiudicato detenuto tunisino, già allontanato per motivi di sicurezza da diversi Istituti del Triveneto, dopo numerosi e pressoché quotidiani atti di autolesionismo e minacce al personale, ieri sera verso le ore 22.40 ha dapprima minacciato con una lametta un collega della Polizia Penitenziaria, aggredendolo successivamente con uno schiaffo e un colpo di manico di scopa. Il detenuto, oltre a creare continue difficoltà a tutto il Personale di Polizia, ha problemi di convivenza anche con i compagni di pena, in particolare con quelli di etnia albanese e marocchina con conseguente divieto d’incontro con quest’ultimi. È evidente che la notizia di questa nuova aggressione ad un poliziotto nel carcere di Trieste, collega al quale esprimiamo la nostra solidarietà e vicinanza, è sintomatica della tensione che si registra nelle carceri italiane. Credo che l’Amministrazione Penitenziaria non dovrebbe sottovalutare queste criticità in danno dei Baschi Azzurri ma piuttosto fare qualcosa di concreto.” Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, in relazione all’ennesima aggressione di un poliziotto in carcere, questa volta a Trieste. “I nostri Agenti, a Trieste, pagano ancora una volta in prima persona le tensioni che si registrano nelle carceri. Parliamo di una realtà caratterizzata da un pesante e costante sovraffollamento penitenziario, che aggrava le già pesanti condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria. A fronte di 150 posti regolamentari, sono infatti presenti oltre 260 detenuti (per più del 65% stranieri e per il 50% imputati) mentre 34 sono gli agenti di Polizia Penitenziaria che mancano dagli organici del Reparto. La grave aggressione al collega, cui rivolgiamo un pensiero di sincero affetto e vicinanza, non deve passare inosservato perché la dimostrazione concreta della realtà quotidiana della nostra professione di Baschi Azzurri è rappresentare ogni giorno lo Stato nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità. Si pensi che nel solo 2010 nel carcere di Trieste si sono verificati 1 episodio di autolesionismo, 2 tentati suicidi e 9 episodi di ferimenti. Questo dovrebbe indurre gli Uffici centrali dell’Amministrazione penitenziaria di Roma all’urgente invio di nuovi Agenti di Polizia Penitenziaria a Trieste e nel Triveneto, non solo limitarsi a registrare gli eventi critici che si verificano con inquietante periodicità nelle nostre carceri”. Prato: fugge dal tribunale con le manette ai polsi, inseguito e poi preso Ansa, 29 ottobre 2011 Ha tentato di evadere dal tribunale di Prato, colpendo gli agenti di polizia penitenziaria, ma è stato riacciuffato e arrestato dopo un rocambolesco inseguimento durato mezz’ora, e dopo un chilometro. Protagonista un detenuto libanese di 19 anni che, stamani verso le 10.30, è riuscito a scappare mentre gli agenti di polizia penitenziaria lo stavano facendo salire sul furgone dopo un interrogatorio. Con ancora le manette ai polsi, il giovane è fuggito in direzione della ferrovia e del fiume Bisenzio. Il 19enne è stato localizzato mentre camminava lungo i binari della ferrovia e arrestato: non ha opposto resistenza. È stato nuovamente arrestato per evasione, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, e ricondotto in carcere. Ferrara: il nuovo monologo di Ascanio Celestini, fra storia e carcere La Nuova Ferrara, 29 ottobre 2011 A cinque anni dallo spettacolo La Pecora Nera (stagione di Prosa 2006/07), Ascanio Celestini torna al Teatro Comunale di Ferrara e inaugura la stagione di Prosa 2011/2012. Da stasera a domenica l’attore e drammaturgo romano porterà in scena lo spettacolo “Pro Patria. Senza prigioni senza processi”. Sul teatro di Celestini si è detto molto e ogni suo debutto è salutato ormai come un vero evento. Narratore puro, si è imposto con grazia parlando di storie di semplici, di popolani, di lavoratori, di malati di mente. Il suo nuovo lavoro resta coerente con questa ispirazione, pur proiettandosi nella Storia con la esse maiuscola. Sono due le vicende che si mescolano, una dentro l’altra, il passato e il presente: Pro Patria è un monologo che celebra la storia del nostro Paese, il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia e, allo stesso tempo, è la storia di un detenuto dei nostri tempi che legge libri sul Risorgimento repubblicano del 1849, gli unici libri concessi in carcere. Da questa lettura, per il prigioniero ha inizio un viaggio nel passato: scopre che gli anni del Risorgimento sono stati anni di lotte armate e violenti battaglie, scopre la sua anima politica che, pagina dopo pagina, desidera avere voce in capitolo. Da solo, nella sua cella, non può fare altro che confrontarsi con quei testi e con l’uomo protagonista di quelle letture: Giuseppe Mazzini, personaggio storico fondamentale per l’unione del nostro Paese. Il sottotitolo “Senza prigioni, senza processi” è appunto una citazione mazziniana: nella Repubblica romana, anche se per poco, ci fu un governo democratico, si votò per la scuola pubblica e laica, per la libertà di culto e contro la religione di Stato, si sancì che il lavoro è un diritto e nacque la Costituzione che cento anni dopo diventerà quella della Repubblica italiana. Poi tornò il Papa e ripristinò censura e ghigliottina, stracciò la Costituzione e processò tremila cittadini. “Luigi Cardullo, ex direttore del super carcere dell’Asinara - ricorda Celestini - sosteneva che la prigione è il cuore dello Stato. E ne è anche lo specchio. Nelle carceri risorgimentali, così come negli anni Settanta, c’era, in qualche misura, una grande vitalità: circolavano idee, e queste idee mettevano in contatto strati sociali diversi. Oggi le nostre carceri ci parlano di immigrati, tossicodipendenti, problemi sanitari. Io le prigioni vorrei vederle vuote...”. Pro Patria è un manifesto contro la reclusione, una celebrazione della Costituzione, un teatro fatto solo di voce perché a Celestini non occorre altro che la parola per comunicare. Le parole e la nobile arte del raccontare sono le vere protagoniste dello spettacolo, prendono il posto di una scenografia assente, dinnanzi a un fondale fatto di ritagli di giornale e vecchi manifesti teatrali. Accompagnato solo dai suoni curati da Andrea Pesce, l’artista, abile affabulatore, parla al suo pubblico e lo conduce in vicende emozionanti accompagnandolo in diversi luoghi, dalle sbarre asfissianti di una cella romana alle grandi battaglie italiane del Risorgimento repubblicano. Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Comunale con quattro repliche: stasera alle 21 e domenica alle 16 (turno E). Prezzi da 8 a 30 euro; i giovani entro i 30 anni hanno diritto a una riduzione del 50% sul costo del biglietto intero (loggione escluso). Info: www.teatrocomunaleferrara.it. Oltre alle rappresentazioni, Ascanio Celestini, domani alle 17 al Ridotto del teatro con ingresso libero, incontrerà il pubblico: introduce Alberto Castelli, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Ferrara. Arabia Saudita: 91 attivisti chiedono al pricipe Nayef liberazione dei detenuti politici Adnkronos, 29 ottobre 2011 Un gruppo di 91 attivisti sauditi per i diritti umani ha indirizzato una petizione al principe Nayef Bin Abdelaziz, nominato da re Abdullah erede al trono dopo la morte del principe Sultan, per chiedere la scarcerazione di tutti i detenuti politici nel regno. Secondo quanto riferisce la tv iraniana in lingua araba al-Alam, nella lettera gli attivisti, tra cui figurano anche diverse donne, chiedono di rimuovere il provvedimento di divieto di espatrio che pende sui loro colleghi impegnati nel richiedere il rispetto dei diritti umani in Arabia Saudita. A promuovere questa iniziativa è l’associazione saudita per i Diritti Umani (Hasm) fondata nel 2009 da alcuni accademici che erano stati arrestati senza un regolare processo nel regno arabo.