Giustizia: “Le prigioni malate”, presentato l’VII rapporto di Antigone sulle carceri italiane Redattore Sociale, 28 ottobre 2011 Detenuti a quota 67.428, un terzo stranieri. Nel corso dell’anno 84.641 gli ingressi totali. Le donne recluse sono 2.877. Tempi duri per i lavoranti. Oltre 18 mila in misura alternativa. È un sistema penitenziario in affanno, stretto tra il sovraffollamento e le difficoltà finanziarie, quello descritto dall’ottavo rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione redatto dall’Osservatorio Antigone, dall’emblematico titolo “Le prigioni malate” (Edizioni dell’asino), presentato questa mattina. La popolazione detenuta. Al 30 settembre 2011 erano 67.428 i detenuti reclusi nei 206 istituti di pena italiani, a fronte di una capienza regolamentare di 45.817 posti. Nel corso del 2010 sono stati 84.641 gli ingressi totali, di cui 6.426 di donne e 37.298 di stranieri. La componente femminile resta minima rispetto al totale della popolazione reclusa (2.877, di cui 1.182 straniere). Per 53 donne detenute e i loro figli (54 bambini) hanno funzionato 17 asili. Nel complesso, i detenuti non italiani sono poco meno di un terzo (24.401). Di questi, il 20,2% viene dal Marocco, il 14,8% dalla Romania, il 13,1% dalla Tunisia, l’11,2% dalla Albania. Delle detenute straniere presenti il 22,6% viene dalla Romania, il 15,9% dalla Nigeria. Al 30 giugno 2011 la fascia d’età più rappresentata era quella compresa tra i 30 e i 35 anni (11.594), seguita da quella compresa tra i 35 e 39 (10.835), 547 gli ultrasettantenni. Inoltre, 1.647 erano i detenuti in possesso di una laurea, 22.117 quelli con la licenza di scuola media inferiore, 789 gli analfabeti. Tipo e durata delle condanne. I detenuti con condanna definitiva sono in tutto 37.213. Nella precedente rilevazione di giugno 2011 erano 37.376, di cui il 6,7% in carcere per condanne fino a un anno e il 28,5% fino a tre anni. Inoltre, tra i definitivi il 26,9% aveva un residuo di pena fino a un anno, il 61,5% fino a tre anni. Nel mese di settembre le persone recluse in attesa di primo giudizio erano 14.639 e i detenuti imputati 28.564. Gli internati 1.572. Al 30 giugno erano 32.991 le persone ristrette per reati contro il patrimonio, 28.092 per reati previsti dalla legge sulle droghe, 6.438 per associazione di stampo mafioso, 1.149 per reati legati alla prostituzione. Svuota carceri e misure alternative. La cosiddetta legge “svuota carceri” (ex l. 199/2010) al 31 maggio aveva aperto le porte del carcere a 3.446 persone. Per quanto riguarda le misure alternative, al 30 settembre 2011 ne beneficiavano in 18.391, di cui 9.449 in affidamento in prova ai servizi sociali, 887 in semilibertà e 8.055 in detenzione domiciliare. La rilevazione di giugno dimostra che lo 0,46% delle persone in misura alternativa ha commesso reato nel frattempo. Carcere e lavoro. In base ai dati di fine giugno lavoravano in carcere 13.765 persone, il 20,4% della popolazione detenuta. Tra questi, 11.508 erano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e 2.257 per datori di lavoro esterni. Antigone registra il brusco calo del budget per la remunerazione dei lavoranti: dal 2006 al 2011 è sceso di 21.735.793 euro. Per il 2011 lo stanziamento è stato di 49.664.207, nonostante i detenuti siano aumentati di oltre 15 mila unità. Altre brutte notizie, nel frattempo, sono arrivate: gli incentivi alle assunzioni di detenuti in esecuzione penale all’interno degli istituti, previsti dalla legge “Smuraglia” (n. 193/2000), per l’anno in corso non sono operativi da giugno per esaurimento del budget a disposizione per la copertura dei benefici fiscali. Una notizia, questa, che ha suscitato forti reazioni e polemiche, tanto da spingere il Dap a impegnarsi a trovare la copertura almeno fino alla fine dell’anno. Ma è ancora tutto in forse. La mappa del sovraffollamento: maglia nera al carcere di Lamezia Terme (303%) La Puglia è la regione più sovraffollata (183%), mentre in Trentino Alto Adige i detenuti sono meno dei posti disponibili. Sotto controllo la situazione in Sardegna e Basilicata. Non migliora la situazione del sovraffollamento nelle carceri italiane. Le stime di Antigone parlano ancora di detenuti in eccesso rispetto alla capienza regolamentare (67.428 persone, 45.817 posti). Il carcere in assoluto più sovraffollato è quello di Lamezia Terme, il cui indice di affollamento raggiunge quota 303% (rilevazione al 30 giugno). A fronte di una capienza di 30 posti, sono 91 i reclusi, di cui 39 stranieri. Brescia “Canton Monello” è al secondo posto, con un indice del 258% (206 posti, 532 detenuti), seguito dal 253% di Busto Arsizio (167 posti, 423 reclusi). Valori di poco inferiori sono quelli del carcere di Varese (247%, con 131 detenuti per una capienza di 53) e di Piazza Armerina (240 (108 reclusi, 45 posti). Non va meglio a Pozzuoli (236%) e Bologna (235%), così come a Vicenza (234%) e San Vittore (230%). Ma la lista del disagio penitenziario è lunga e non fa sconti. Parallelamente, Antigone fa anche il punto sulle regioni più sovraffollate. Il primo posto va alla Puglia, con un indice di sovraffollamento del 183% (11 istituti, una capienza di 2.458 posti e una popolazione reclusa che arriva a quota 4.486). Segue l’Emilia Romagna con un 171%: 13 carceri, 2.394 posti, 4.089 reclusi. La Lombardia guadagna un 169% (19 istituti, capienza di 5.652 e 9.559 detenuti. Al quarto posto la Calabria (165%), al quinto il Friuli Venezia Giulia (164%) e in sesta posizione il Veneto (162%). In Trentino Alto Adige invece il sovraffollamento non è arrivato: con il suo indice del 65% la provincia autonoma si posiziona all’ultimo posto della lista: nei due istituti ci sono 520 posti disponibili, ma sono 340 i detenuti. La situazione non è grave in Sardegna, dove in 12 istituti sono garantiti 1.981 posti e i detenuti sono 2.012 (102%). Anche la Basilicata tiene: nei suoi tre istituti ci sono 482 detenuti, mentre i posti sono 440 (110%). Record sovraffollamento e ritardo nelle misure alternative: impietoso confronto europeo Buoni i dati sul tasso di criminalità, ma va male per quota di detenuti senza sentenza definitiva e per la percentuale di stranieri. Il sovraffollamento italiano non ha pari in Europa, a eccezione della Serbia. Lo dice l’ultima rilevazione di “Space I”: al 1° settembre 2009 il tasso di sovraffollamento in Italia era del 148,2% e rappresentava un record assoluto in Europa, superato solo dalla Serbia (157,9%). In Francia il tasso era del 123,3%, in Germania del 92%, in Spagna 141%, nel Regno Unito del 98,6%, mentre la media europea era del 98,4%. Va meglio per quanto riguarda i tassi di criminalità registrati da Eurostat: l’Italia, con 4.545 reati registrati ogni 100 mila abitanti, precede Spagna e Francia, rispettivamente a quota 5.147 e 5.559. Germania e Regno Unito presentano tassi di criminalità più elevati, rispettivamente 8.481 e 7.436. L’Italia si colloca sopra la media anche per presenze straniere negli istituti penitenziari: sempre secondo “Space I” gli stranieri nelle carceri francesi erano il 18,1%, in quelle tedesche il 26,4%, in quelle spagnole il 34,6%, in quelle britanniche il 12,6%, mentre in Italia erano il 37%. Duro anche il confronto per il numero di detenuti senza sentenza definitiva: in Francia erano il 23,5% dei reclusi, in Germania il 16,2%, in Spagna il 20,8%, nel Regno Unito il 16,7%, mentre la percentuale italiana era del 50,7%. Il paese spicca anche per la quota di persone condannate per reati previsti dalla legge sulle droghe. Al 1° settembre 2009 tra i definitivi in Francia il dato era del 14,5%, in Germania del 15,1%, in Spagna del 26,2%, nel Regno Unito del 15,4%. Alla stessa data la percentuale in Italia era del 36,9%. Grande distacco anche in materia di misure alternative: i beneficiari sono stati in Francia 123.349, in Germania quasi 120 mila, in Spagna 111.994, in Inghilterra e Galles 197.101, in Italia 13.383. Misure alternative: tribunale che vai, disponibilità che trovi “Situazione a macchia di leopardo”. Unanimità solo per gli affidamenti in prova ai servizi sociali. Basse percentuali per i domiciliari, a eccezione di Venezia. Irrigidimento sul fronte semilibertà In ordine sparso, così procedono i tribunali di sorveglianza italiani nella concessione o meno delle misure alternative. Nel suo ottavo rapporto Antigone mette i luce la diversa propensione all’autorizzazione di misure quali l’affidamento in prova, la semilibertà, la detenzione domiciliare nelle diverse sedi di giustizia italiane. Secondo quanto emerso dall’indagine esplorativa, per l’affidamento in prova ai servizi la forbice nelle percentuali di accoglimento delle istanze è ampia: va dal minimo dell’11,58% di Napoli al massimo del 39,43% di Milano. Tra i tribunali con gli indici meno elevati Antigone segnala Venezia (14,5%) e Torino (14,43%), mentre tra quelli con gli indici più elevati evidenzia Perugia (31,6%). La misura alternativa con le maggiori possibilità di successo è in generale l’affidamento terapeutico: 7 dei 9 tribunali indagati presentano tassi di accoglimento superiori al 30%. A Milano e a Venezia la percentuale arriva quasi al 50%. All’ultimo posto invece si piazza Napoli, con l’8,4%, ma non spicca neanche L’Aquila (16,04%). Meno disomogenea è la concessione della detenzione domiciliare, che incontra una generale tendenza alla prudenza, con percentuali di accoglimenti che non superano mai il 25%. Si va dal 14,96% di Napoli e al 25,7% di Roma. In controtendenza solo Venezia, con il 49,63%. Intanto, sul fronte della semilibertà si deve fare i conti con un irrigidimento: il tribunale con la percentuale più elevata è Perugia con il 20,75%. Tra gli altri, Venezia raggiunge quota 18,44% e ancor più bassi sono i valori di Milano (5,67%), Napoli (8,25%), Roma (8,76%) e Torino (8,82%). Due le interpretazioni possibili di fronte a questi dati: “In primo luogo - scrive Antigone nel rapporto - , a eccezione degli affidamenti terapeutici, c’è una tendenza a un atteggiamento prudente da parte della magistratura di sorveglianza che merita un momento di riflessione e di ulteriore analisi”. In secondo luogo, i risultati parlano di una “giurisprudenza a macchia di leopardo”. Se in alcuni tribunali si riesce a “limitare l’impatto delle famigerate leggi Ammazza - Gozzini”, altrove si tenta di “aggravarne gli effetti in senso restrittivo”. A determinare le differenze territoriali sembra essere soprattutto “l’elemento culturale locale”. In crisi il sistema carcere: “Non riusciamo a pagare le bollette” A inizio anno giudiziario la relazione ministeriale ammetteva tutte le difficoltà. Antigone: “Sicuri che non ci sia destinazione migliore per i 600 milioni di euro del piano carceri?” La vera emergenza per le carceri italiane è la scarsità di risorse. Solo ieri il provveditore dell’amministrazione penitenziaria in Toscana, Maria Pia Giuffrida, avvisava che “non abbiamo più nemmeno i soldi per pagare il riscaldamento: per ora stiamo chiedendo aiuto alle ditte fornitrici. Qualcuna però ha già tagliato il servizio”. È quanto mai attuale, quindi, il quadro della situazione tratteggiato nell’ottavo rapporto Antigone, nel quale si descrive un sistema in affanno, a un passo dal collasso. D’altro canto lo aveva annunciato la relazione del ministero sull’amministrazione della giustizia, pronunciata a inizio anno giudiziario 2011 e citata da Antigone. Già in quella sede si parlava di un’esposizione finanziaria “di oltre 120 milioni di euro nei confronti delle aziende e dei fornitori di beni e servizi essenziali al mantenimento e all’assistenza delle persone detenute”. Per far fronte a tutti i costi l’unica soluzione è “l’artificioso rinvio delle liquidazioni da un esercizio all’altro. Non senza il ricorrente rischio di interruzione delle forniture da parte delle aziende erogatrici”. In particolare, per il capitolo di bilancio relativo alle spese di mantenimento e di pulizia sono stati stanziati 30 milioni di euro nel 2010, “valore ben inferiore rispetto a un fabbisogno stimato in circa 90 - 100 milioni di euro” come si indicava ella relazione. Per il 2011 le risorse previste erano di 42 milioni e 600 mila euro. “In questo modo oltre al resto sul bilancio gravano anche gli interessi moratori sempre più cospicui”. È una situazione che “vanifica ogni possibilità di contrarre l’elevata entità della spesa sostenuta per i suddetti servizi”. In pratica sarebbe possibile fare nuove gare d’appalto per ottenere tariffe più convenienti, ma “ci si trova nell’impossibilità di porre in essere iniziative in tal senso, a causa della mancata copertura finanziaria degli appalti che, quand’anche venissero aggiudicati, non potrebbero essere impegnati per assenza dei necessari fondi”. Quanto alla gestione dei veicoli dell’amministrazione, la direttiva è di un “drastico ridimensionamento dei mezzi a noleggio” e di massima razionalizzazione nell’uso dei veicoli di proprietà. “Forse per questo non sono infrequenti le notizie di processi o visite mediche saltate per la difficoltà di traduzioni dei detenuti” avvisa Antigone, che lancia una provocatoria domanda: “Siamo certi che non ci sia destinazione migliore per gli oltre 600 milioni di euro del piano straordinario di edilizia penitenziaria?”. Il sistema, intanto, deve fare i conti anche con un personale in numero insufficiente: i magistrati di sorveglianza sono 193 anziché 208. La pianta organica della polizia penitenziaria prevede 45.109 unità, mentre l’attuale organico è fermo a quota 39.232. Dovrebbero esserci 1.331 educatori e 1.507 assistenti sociali, mentre nel 2010 ne risultavano in servizio rispettivamente 1.031 e 1.105. Cassa delle ammende, il tesoretto scippato La cassa svuotata per l’emergenza carceraria: 100 milioni tolti al recupero dei detenuti e convogliati in nuove carceri. Costruire altre carceri non è la soluzione. Punta il dito contro il piano di edilizia penitenziaria il nuovo rapporto Antigone, che denuncia un uso distorto delle risorse a disposizione. Oggetto di attenzione e preoccupazione è la “Cassa delle ammende”, originariamente nata per finanziare i progetti di riabilitazione dei detenuti, ma di cui oggi si fa un uso ben diverso. Sui due conti che la compongono, quello depositi e quello patrimoniale, si trovavano fino a poco tempo fa oltre 150 milioni di euro. Soldi che arrivano dalle ammende, da sanzioni pecuniarie che il giudice impone al condannato, ma anche dai proventi delle manifatture realizzate dai detenuti o da versamenti cauzionali. La scelta dei progetti da finanziare, in capo al Dap e a un delegato del ministero del Tesoro, “avviene nel più completo arbitrio - scrive Antigone - . Se ciò è accettabile qualora i richiedenti siano soggetti pubblici è invece inaccettabile qualora siano soggetti privati”. Oltre all’arbitrarietà della gestione, il problema è che di soldi, oggi, in quella cassa ce ne sono pochi. È colpa dell’emergenza sovraffollamento: il decreto “mille proroghe” ha stabilito che per affrontare la situazione “i fondi disponibili nella Casa delle ammende possono venire utilizzati anche progetti di edilizia penitenziaria”. E così il “tesoretto” scivola via: 100 milioni sono stati vincolati all’edilizia carceraria, mentre gli altri 500 milioni necessari al piano carceri sono stati previsti dalla finanziaria 2010. Tra questo e la liquidazione di alcuni progetti approvati, oggi la cassa dispone di 22 milioni. Togliendo altri 10 milioni di euro spesi per la manutenzione degli istituti da gennaio a settembre 2011, “rimane ben poco per i progetti di recupero sociale” si scrive nel rapporto. Il problema, tra l’altro, è che anche con le nuove carceri il sovraffollamento non cesserà. Entro la fine del 2012 arriveranno 11 nuovi istituti e 20 padiglioni per un totale di 9.150 posti e un importo di 661 milioni di euro. Ma i posti mancanti sono molti di più, per l’esattezza 21.600. A tutto questo Antigone aggiunge “un’altra perplessità”, relativa alle carceri fantasma, “ossia a tutti quegli istituti penitenziari che negli ultimi 20 anni e più (circa 40) sono stati costruiti, spesso ultimati, a volte anche arredati e vigilati, ma inutilizzati, sotto - utilizzati o in totale d’abbandono”. Quindi l’amarezza: “Anziché varare un nuovo piano carceri non poteva essere più utile e meno costoso, a seconda dei casi, ultimare, mandare a pieno regime questi istituti o adattarli alle nuove necessità?”. Ricorsi dei detenuti alla Corte europea: 150 accettati dal difensore civico di Antigone Le richieste sono state 1.580 dal giorno della sentenza “Sulejmanovic contro Italia” del 16 luglio 2009. Antigone propone un viaggio nelle carceri italiane sulla scia dei ricorsi. Sono molti i detenuti che si rivolgono al difensore civico dei diritti delle persone private della libertà dell’associazione Antigone. Dal luglio 2009, a seguito della sentenza “Sulejmanovic contro Italia” del 16 luglio (ricorso n. 22653/2003), sono state 1.580 le richieste arrivate sulla scrivania del difensore, che ha accettato di presentare 150 ricorsi davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro le condizioni inumane di detenzione. Di questi, 30 erano ricorsi collettivi, 60 singoli. Altri 200 sono stati presentati dai detenuti e supervisionati dal difensore civico. L’ottavo rapporto Antigone riporta alcuni esempi: ad Asti 20 detenuti denunciano celle di 4,46 x 2,43 metri in cui vivono per 20 ore al giorno due detenuti, finestre con doppie grate apribili soltanto in parte, bagno privo di acqua calda e di finestra. Questa invece la situazione nel carcere di Larino (8 ricorrenti): in celle di 15x 2 metri vivono 3 persone per 18 ore al giorno. Il bagno è sprovvisto di finestra e di acqua calda. A Piacenza 7 ricorrenti riferiscono di celle di 9,48 metri quadri in cui vivono due detenuti (per 18 ore), scarsità di luce a causa delle grate alle finestre, bagno privo di acqua calda e di finestra. Per mangiare si deve fare a turno. Poco diversa la situazione al “Pagliarelli” di Palermo (5 ricorrenti): celle di 8 metri quadro in cui vivono per 20 ore due detenuti, scarsità di luce, bagno privo di acqua calda e di finestra, possibilità di accesso alla doccia soltanto per tre volte a settimana, assenza di riscaldamento. Sedici persone hanno invece presentato ricorso dal carcere di Prato: due persone vivono in 5 x 2,8 metri per 18 ore. Anche in questo caso bagno privo di acqua calda e di finestre, docce fatiscenti, celle sprovviste di interruttore interno per l’accensione della luce. Per l’ora d’aria i detenuti devono rinunciare a fare la doccia e mancano le cure specialistiche, effettuate solo per casi particolarmente gravi. Condizioni difficili anche a Poggioreale, dove un detenuto denuncia la presenza di 12 o 13 persone in celle di 8 metri per 4. Gli spazi adibiti a bagno e cucina sono uniti tra loro, le finestre sono munite di schermature. Il tempo trascorso in cella è di 22 ore. Giustizia: Ionta (Dap): nel rapporto di Antigone assenze e approssimazioni Redattore Sociale, 28 ottobre 2011 Il commento del direttore del dipartimento: “La polizia penitenziaria non viene citata neanche una volta, penso che si tratti di una omissione importante”. E c’è anche un “pregiudizio riguardo all’edilizia” “Quello di Antigone è un rapporto che contiene delle assenze e qualche volta anche delle approssimazioni”. È questo il primo commento del direttore del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, intervenuto questa mattina alla presentazione dell’ottavo rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia, avvenuto presso il Salone dell’Editoria sociale a Roma. Per Ionta sono diverse le omissioni da parte dell’associazione, tra cui un riferimento alle nuove strutture e alla polizia penitenziaria. “C’è una grande assente nello studio - ha affermato Ionta - ed è la polizia penitenziaria, che non viene citata neanche una volta e penso che si tratti di una omissione importante. Manca però anche un’attenzione a tutte le nuove strutture rese operative”. Sull’edilizia penitenziaria Ionta ha ribadito le sue posizioni. “Noto una sorta di pregiudizio rispetto all’edilizia - ha affermato Ionta, come se l’edilizia fosse un optional. L’edilizia invece non è un optional. Se non si migliorano le condizioni dell’edilizia è difficile fare un discorso di miglioramento delle condizioni detentive”. Tra gli interventi, ha ricordato Ionta, “ci sono in costruzione quattro nuove strutture in Sardegna, circa venti padiglioni nel resto d’Italia e nel cosiddetto piano carceri altri venti padiglioni e poi altri undici istituti nuovi”. Per intervenire contro il sovraffollamento, ha aggiunto Ionta, servono anche altre tipologie di intervento. “Ci sono misure strutturali che vanno studiate e che non dipendono da me - ha aggiunto - , ma che possono aumentare le possibilità di fuoriuscita dal carcere progressivamente e di minore ingresso a monte del sistema. Stiamo pensando ad un ampliamento della possibilità di scontare l’ultimo anno di detenzione in detenzione domiciliare portandola ad un anno e mezzo e valutando la possibilità di rendere meno automatici gli arresti all’inizio della carcerazione, perché uno dei problemi più grossi è determinato dal sovraffollamento che deriva da un turnover micidiale che c’è nel sistema penitenziale”. Un turnover che riguarda le 90mila persone che entrano nel sistema penitenziario italiano, ha spiegato Ionta, di cui tanti escono dopo pochissimi giorni o settimane dal momento dell’arresto. “Occorre ovviamente una legge per ampliare la detenzione domiciliare - ha specificato. Ho dato al ministro della Giustizia i riferimenti della platea possibile di riferimento di questa norma e ho anche riferito come la misura adottata nel dicembre 2010 ha fornito una prova positiva, perché nessuna delle persone poste in detenzione domiciliare è evasa dal suo domicilio”. Sul problema dei suicidi dei detenuti, Ionta ha ricordato come soltanto ieri ci sia stato l’ultimo di una lunga serie. Un detenuto che avrebbe dovuto tornare in libertà da qui a pochi giorni. Un caso che ancora una volta mette in evidenza tutte le difficoltà del sistema penitenziario. “Ogni suicidio in carcere è una sconfitta per l’amministrazione - ha affermato - , una sconfitta del sistema giustizia in generale. Penso che questa persona che si è suicidata ieri a Livorno ha avuto timore di fare nuovamente ingresso in una società, perché è impensabile che a tre giorni dalla liberazione si possa compiere un atto così drammatico”. Giustizia: Gonnella (Antigone); nessun intervento su cause sovraffollamento, piano carceri fermo Redattore Sociale, 28 ottobre 2011 Il presidente dell’associazione Gonnella: “L’unica novità è che grazie alla Corte Ue si sono fermati gli ingressi degli stranieri”. In risposta alle critiche di Ionta: “Il piano edilizio non è decollato, difetta di velocità e soffre di assenze di risorse. In una situazione di stallo generale, l’unica novità sulle carceri italiane è che sono calati gli ingressi degli stranieri ma solo per merito della Corte di giustizia dell’Unione europea. È questa per Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, una delle poche novità che riguardano il carcere che emerge dall’ottavo rapporto sullo stato della detenzione in Italia presentato questa mattina presso il Salone dell’Editoria Sociale a Roma. Per Gonnella la situazione delle carceri è “sostanzialmente uguale rispetto allo scorso anno, sia in termini numerici e di problemi. Forse c’è una maggiore consapevolezza che esiste il problema del sovraffollamento. Ormai nessuno può dire che non si sa. Detto questo, però, non ci sono state soluzioni al problema e non c’è stato alcun intervento sulle cause che producono il sovraffollamento”. L’unica vera novità, ha spiegato Gonnella, riguarda l’immigrazione, “non per merito italiano ma europeo perché la Corte di giustizia dell’Unione europea ha impedito che si potessero incarcerare persone per inottemperanza all’obbligo di allontanamento. Questo ha fatto sì che se nel 2010 ne sono entrati circa 16mila di persone in carcere per questo motivo, nel 2011 il trend di ingressi si è fermato”. Sulla questione del piano edilizio è scontro con il capodipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. “Il piano edilizio è un piano non decollato - ha affermato Gonnella: difetta di velocità e soffre di assenze di risorse”. Alle critiche che Ionta ha mosso verso il rapporto di Antigone sul tema, ha replicato Gonnella: “Abbiamo fatto un elenco di quaranta posti non aperti oppure mal funzionanti. Ionta ci ha raccontato di un sacco di cose che andranno ad essere inaugurate, però non ci ha spiegato che molte di quelle cose non c’entrano nulla col piano carceri. Ionta ha detto che fra un po’ verrà inaugurato il carcere di Gela, ma il carcere di Gela è stato iniziato nel 1959. Ha detto che fra un po’ verrà inaugurato il carcere di Sassari, ma il carcere di Sassari è stato fatto nel 2004 in procedura d’urgenza con la ditta Anemone e fortunatamente per lui non c’entra niente con il piano carceri. Il carcere di Rieti che oggi è parzialmente funzionante, è nato alla fine degli anni 90”. Cose “vecchie”, conclude Gonnella commentando il nuovo piano carceri. “Prevedeva 9mila posti, ma per ora non ce n’è neanche uno, solo tre bandi per tre padiglioni. Questo è quello che a noi risulta”. Giustizia: Scandurra (Antigone); diminuite le misure alternative per i tossicodipendenti Redattore Sociale, 28 ottobre 2011 L’analisi di Scandurra, curatore del rapporto 2011: “Con la Fini-Giovanardi e la ex-Cirielli non è stato raggiunto in alcun modo l’obiettivo proclamato di ampliare l’accesso a percorsi terapeutici esterni rispetto alla detenzione” “Da quando è entrata in vigore la Fini-Giovanardi e la ex-Cirielli sui recidivi, sono calate fortemente le misure alternative per i tossicodipendenti in carcere”. È quanto afferma Alessio Scandurra, curatore del Rapporto dell’associazione Antigone presentato stamattina presso il Salone dell’Editoria. Secondo lo studio, infatti, “a fronte di quasi 8mila beneficiari di programmi terapeutici nell’anno precedente all’indulto - si legge nel rapporto, nel 2010 i fruitori erano solo 2.526. Dunque, in coincidenza con il maggior numero di persone con problemi sociosanitari droga - correlati in carcere, gli affidamenti terapeutici sono stati circa un quarto rispetto al 2005, anno precedente all’indulto e all’emanazione della legge Fini - Giovanardi”. Secondo il rapporto di Antigone, i dati dimostrano come “la nuova legislazione non abbia raggiunto un alcun modo l’obiettivo proclamato di ampliare l’accesso a percorsi terapeutici esterni rispetto alla detenzione”. Per Scandurra, “tutti condividono che il carcere non sia il posto per il tossicodipendente, però poi nei fatti i tossicodipendenti autori di reati in comunità sono meno che in passato”. Secondo Scandurra, inoltre, “la presenza di tossicodipendenti e quella di detenuti per reati previsti dalla legge sulle droghe mostra dati fondamentalmente stabili negli ultimi dieci anni”. Tuttavia, aggiunge, “rimane il fenomeno di maggiore impatto sul sistema penitenziario”. Una variazione significativa sul fenomeno, però, riguarda gli immigrati. “Dieci anni fa i tossicodipendenti in carcere erano soprattutto italiani - ha aggiunto - , mentre gli stranieri erano pochi. Oggi la percentuale degli stranieri è uguale al resto dei detenuti. Probabilmente quelli che erano usati come manovalanza per lo spaccio sono entrati poi anche nei circuiti del consumo”. Giustizia: Favi (Pd); nel rapporto di Antigone fotografia delle distorsioni del sistema carcerario Agenparl, 28 ottobre 2011 “L’ottavo rapporto di Antigone sulla condizione della detenzione in Italia, intitolato con cruda sintesi - “Le prigioni malate” - certifica le distorsioni di un sistema fuoriuscito dalla legalità costituzionale, civile e democratica. Il secondo Paese, dopo la Serbia, per sovraffollamento, l’indice più elevato di detenzione in attesa di sentenza definitiva, la percentuale più alta di stranieri detenuti a cui non corrisponde analoga incidenza sugli autori di reati complessivamente accertati, migliaia di tossicodipendenti senza una prospettiva di riabilitazione; condizioni drammatiche per la salute delle persone detenute, suicidi ed autolesionismo; clima di tensione al limite della sostenibilità”. È quanto si legge in una nota di Sandro Favi, Responsabile carceri del Pd. “Le persone detenute, sono rinchiuse fino a 22 ore al giorno in spazi che non consentono quasi di muoversi dalla propria branda e come nel film “Le ali della libertà” diventano individui “istituzionalizzati”, poi incapaci di riguadagnare la dimensione della vita libera, a cui arrivano a preferire il suicidio. E, infine, il personale della Polizia penitenziaria, degli operatori professionali, del volontariato e dei dirigenti d’istituto, che non è stato dimenticato nel rapporto di Antigone - come ha affermato il Capo del Dap Franco Ionta - ma che si sente alla deriva in quel mondo di disperazione e di dolore, dubitando che il proprio capitano conosca la rotta e lo sappia condurre aldilà degli scogli”. Giustizia: Capece (Sappe); dare maggiore spazio alle misure alternative, per ripensare il carcere Comunicato stampa, 28 ottobre 2011 “L’allarmante dato di 68mila detenuti che sovraffollano le carceri italiane e che consegnano al nostro Paese il triste record europeo maggior affollamento penitenziario, tanto più che la capienza regolamentare delle nostre carceri è pari a poco più di 44mila posti, impone l’adozione di provvedimenti urgenti, come pure ha chiesto in più riprese il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Non si dimentichi che oltre il 40% dei detenuti è imputato, quindi in attesa di giudizio. Serve soluzioni idonee per superare la crisi penitenziaria. Da tempo il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, sostiene che è necessaria è una concreta riforma del sistema penale - sostanziale e processuale - che renda più veloci i tempi della giustizia. Ma come sigla sindacale più rappresentativa del Corpo di Polizia Penitenziaria abbiamo l’obbligo istituzionale di svolgere un’opera di controllo sulle questioni che ledono i diritti dei nostri iscritti ed anche l’obbligo morale di perseguire un’attività di proposta e di indirizzo sulle problematiche penitenziarie, seguendo le indicazioni che sono frutto della nostra decennale esperienza sul campo. Noi rinnoviamo il nostro appello ai ministri dell’Interno Maroni e della Giustizia Palma perché riprendano dai cassetti in cui inspiegabilmente è stato riposto da sinistre mani maldestre quello schema di decreto interministeriale finalizzato a disciplinare il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia Penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) nel contesto di un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione”. È l’auspicio di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, commentando la presentazione del VIII Rapporto Antigone oggi a Roma. “Per molti mesi” conclude Capece “abbiamo discusso con l’Amministrazione penitenziaria la bozza del decreto interministeriale Giustizia - Interno, ma inspiegabilmente quel decreto si è arenato in chissà quali meandri pur potendo costituire un importante tassello nell’ottica di una riforma organica del sistema penitenziario e giudiziario italiano. Si era previsto molto chiaramente come il ruolo della Polizia Penitenziaria negli Uffici per l’esecuzione penale esterna fosse quello di svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di Polizia la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova. Il controllo sulle pene eseguite all’esterno, oltre che qualificare il ruolo della Polizia Penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione, cui sarà opportuno ricorrere con maggiore frequenza. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica, non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene. Per questo motivo auspico che i ministri Maroni e Palma riprendano in mano quello schema di decreto interministeriale al più presto.” Giustizia: Ionta (Dap); allo studio estensione legge “svuota carceri” per pene fino 1 anno e mezzo Adnkronos, 28 ottobre 2011 La cosiddetta legge “svuota carceri”, datata dicembre 2010, potrebbe essere estesa “da un anno a un anno e mezzo”. A credere “che i tempi siano ormai maturi” per rafforzare la misura è Franco Ionta, a capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Il provvedimento consente di scontare l’ultimo anno di pena a casa, ma solo per reati minori. Ora, però, il tempo da trascorrere reclusi tra le mura domestiche potrebbe essere esteso di ulteriori sei mesi. La legge in questione “ha infatti ampiamente superato la prova - assicura Ionta a margine della presentazione del VIII Rapporto Antigone oggi a Roma - nessun recluso è infatti evaso” da quando la misura è entrata in vigore. Il Capo del Dap ha così deciso di fornire al Guardasigilli “i dati di riferimento” della platea di detenuti a cui potrebbe applicarsi la nuova versione della svuota carceri, “circa un migliaio di persone”, stima Ionta. Finora, comunque, il provvedimento “poteva avere un effetto maggiore - riconosce il Capo del Dap - in quanto la platea che poteva beneficiarne era il doppio. Ma i magistrati di sorveglianza - rivela - hanno applicato la norma in modo limitato”. Marche: firmata intesa tra Regione e Prap; detenuti impiegati in progetti di agricoltura sociale Agenparl, 28 ottobre 2011 Tra Regione Marche e Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria delle Marche è stato firmato oggi in Regione un protocollo d’intesa per la formazione e lo svolgimento di attività lavorative nel settore agricolo, da parte di detenuti o ex detenuti. “Obiettivo prioritario della Regione - ha detto il vice presidente e assessore all’Agricoltura, Paolo Petrini - è l’inclusione e la coesione sociale, le risorse e i trasferimenti sono sempre più scarsi su questo versante, ma proseguiamo tenacemente su questa strada. Mettiamo a disposizione l’esperienza e la competenza dell’Assam e del Servizio regionale Agricoltura per la formazione e per il recupero di chi si trova in esecuzione o di quanti hanno già scontato la pena. Un modo per dare opportunità di reinserimento sociale, in un settore che consente di stare a contatto con la natura e toccare con mano il prodotto del proprio lavoro”. “Il settore agricolo marchigiano ha bisogno di manodopera e spesso fatica a trovarla. Professionalizzando i detenuti o ex tali, si dà un’opportunità di riscatto a questi e un supporto al comparto”, ha detto il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Raffaele Iannace. “Consolidiamo l’esperienza avviata con i due istituti penitenziari di Ancona, Barcaglione e Montacuto, e Macerata Feltria, dove sono stati già improntati strumenti e attrezzature inerenti la formazione e il lavoro nel settore agricolo”, ha detto il dirigente del Servizio Agricoltura della Regione Marche. In particolare a Barcaglione le attività riguardano l’olivicoltura e l’utilizzo dei mezzi agricoli, mentre a Montacuto, considerata la vocazione dell’area, ci si occupa di viticoltura. A Macerata Feltria, infine, spazio ad apicoltura e vivaismo. In base all’intesa siglata Regione e Provveditorato, concorderanno annualmente attività e progetti, per una efficace opera congiunta di recupero e valorizzazione sociale. Coldiretti: bene progetto Regione per detenuti nei campi Il progetto promosso da Regione e Amministrazione penitenziaria per il coinvolgimento di detenuti ed ex detenuti nell’attività agricola conferma il ruolo dell’agricoltura come nuova frontiera della cooperazione sociale. È il commento della Coldiretti Marche all’intesa sottoscritta oggi ad Ancona. Non è un caso che il settore primario sia quello dove si sta registrando un vero e proprio boom dei progetti a carattere sociale, con la promozione di tutta una serie di servizi, dai bambini agli anziani, alle persone con problemi di disabilità, come l’ortoterapia o l’ippoterapia, per arrivare fino al recupero di detenuti ed ex detenuti. Proprio su impulso di Coldiretti, la Regione ha tra l’altro attivato recentemente un apposito bando che va a riconoscere il valore dell’attività agricola non solo come produttrice di beni primari, bensì come promotrice di servizi di welfare sociale, specie in ambito montano e periferico, con la possibilità di “coprire” ambiti di intervento altrimenti carenti. Un’opportunità garantita dalla Legge di Orientamento (la numero 228 del 18 maggio 2001) che ha di fatto rivoluzionato l’attività d’impresa nelle campagne italiane aprendo nuove opportunità occupazionali. Emilia Romagna: “Stanze di Teatro in Carcere 2011”, rassegna itinerante di teatro carcere Sesto Potere, 28 ottobre 2011 Si apre domani venerdì 28 ottobre e prosegue sabato 29 presso Ert - Emilia Romagna Teatro Fondazione, il Progetto Stanze di Teatro in Carcere 2011, inaugurato in aprile a Bologna all’interno della più ampia programmazione del Centro La Soffitta - Dipartimento di Musica e Spettacolo Università di Bologna, e proseguito al Teatro Comunale di Ferrara in giugno. Un progetto importante, nato dal Coordinamento Regionale Teatro Carcere Emilia Romagna, e realizzato grazie al sostegno della Regione Emilia - Romagna, del Prap (Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria) e degli enti teatrali che hanno ospitato le tre tappe. Attraverso questi tre momenti, il progetto ha approfondito le tematiche relative al lavoro teatrale che da oltre un ventennio è portato avanti nelle carceri della regione. Spettacoli, interventi e testimonianze di ospiti di grande prestigio, hanno permesso al pubblico di avvicinarsi alle pratiche e ai risultati artistici, ma anche al pensiero, al dibattito e alle sfide che il Teatro Carcere stimola e lancia al di là dei suoi perimetri. Un territorio teatrale per molti versi nascosto, che necessita del giusto riconoscimento come una delle espressioni più fertili dell’innovazione e delle nuove professionalità. A Modena la riflessione si immergerà nel tema partendo da alcuni concetti chiave: teatro, trattamento, carcere. Venerdì 28 ottobre il Teatro Storchi ospiterà alle ore 15:45 una presentazione del progetto in forma di “mappa” delle ideali “stanze da attraversare” nella tappa modenese, curata da Cristina Valenti, consulente scientifico del Coordinamento. A seguire alle ore 16 Gherardo Colombo, che, dopo un’importante carriera in magistratura, dove ha ricoperto un ruolo fondamentale nelle indagini su terrorismo, mafia, corruzione, è attualmente impegnato nell’educazione alla legalità nelle scuole, attraverso incontri con studenti di tutta Italia, e proprio per tale attività ha ricevuto il Premio Nazionale Cultura della Pace 2008. La sua lectio modenese verterà sulla realtà carceraria partendo dalla sua personale esperienza. L’incontro, aperto al pubblico, accoglierà anche gli studenti delle scuole superiori della città. Alle ore 21.00 (Teatro delle Passioni) il gruppo modenese Teatro dei Venti presenterà in prima nazionale Attraverso Caligola, con la regia di Stefano Tè, esito di un lavoro laboratoriale con i detenuti della Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia, liberamente ispirato all’opera teatrale Caligola di Albert Camus. Teatro dei Venti porta avanti da cinque anni un laboratorio teatrale all’interno del quale i detenuti sperimentano diverse tipologie di espressione artistica (musica, recitazione, danza). Il risultato del percorso è sempre finalizzato alla realizzazione di uno spettacolo da presentare pubblicamente, dentro e fuori le mura carcerarie. Il giorno successivo (sabato 29 ottobre) al Teatro delle Passioni alle ore 17:15 il Gruppo Carcere - Città di Modena - Associazione di Volontariato di Modena presenta Liberi Dentro esperienza laboratoriale di arte teatro terapia condotta da Carlo Coppelli e Tony Contartese in collaborazione con la Casa Circondariale S. Anna di Modena. Seguirà alle ore 18 la Cooperativa Sociale Giolli con S-guardi sul carcere, un percorso drammaturgico teatrale testimoniato attraverso video, tra detenuti del carcere di Reggio Emilia e studenti delle scuole superiori, in collaborazione con la Casa Circondariale di Reggio Emilia. Per chiudere le attività del pomeriggio alle ore 19 è programmato un Dialogo teatrale, coordinato dal critico teatrale Massimo Marino, dove sguardi provenienti da prospettive diverse, ma con il comune interesse per un teatro che, nei luoghi della reclusione, si interroga su prospettive e paradossi. Interverranno Piergiorgio Giacché (antropologo teatrale, Università di Perugia) e Desi Bruno (avvocato, già garante dei diritti dei detenuti del Comune di Bologna). Alle ore 21 l’attrice Francesca Mazza, già vincitrice del premio Ubu 2010 come miglior attrice, leggerà il testo dello spettacolo La verità salvata da una menzogna per la drammaturgia e regia di Paolo Billi del bolognese Teatro del Pratello. I detenuti della Sezione Penale della Casa Circondariale di Bologna hanno contribuito alla drammaturgia dello spettacolo, nell’ambito dei laboratori di scrittura Esperimento di Teatro alla Dozza a cura di Paolo Billi. Livorno: detenuto si impicca a 48 ore dalla libertà, alle “Sughere” è il 17esimo morto in 8 anni Redattore Sociale, 28 ottobre 2011 Nel carcere delle Sughere dal 2003 17 decessi. L’osservatorio permanente: “In carceri simili il numero di decessi è molto inferiore”. Da inizio anno 155 “morti di carcere”, 52 suicidi. Sarebbe tornato libero domani Agatino Filia, 56 anni, che nel carcere delle “Sughere” di Livorno lavorava come addetto alle pulizie. Invece è stato ritrovato morto nel tardo pomeriggio di ieri, a solo 48 ore dal rilascio. La morte di Filia fa salire a 155 il totale dei decessi negli istituti penitenziari nel 2011 in Italia, di cui 52 per suicidio. Il corpo è stato rinvenuto per le scale, in una delle sezioni del carcere delle Sughere. La dinamica non è ancora chiara perché da prime indiscrezioni il cappio sembra essere stato ritrovato a terra e non stretto intorno al collo. Quello che è certo, per ora, è che in 8 anni in quel carcere sono deceduti 17 detenuti. Dal 2003 a oggi la struttura toscana ha contato 9 suicidi accertati, 3 morti per cause naturali e 5 per cause da accertare. L’osservatorio permanente sulle morti in carcere fa sapere che “in altre carceri con un numero di detenuti compreso tra 400 e 500, nello stesso periodo i decessi sono stati molti di meno: Agrigento 3, Alessandria 4, Ancona Montacuto 5, Avellino 4, Busto Arsizio 5, San Gimignano 1, Trapani 1, Vibo Valentia 4, Vigevano 2”. Sempre a Livorno si è registrato il caso controverso di Marcello Lonzi, ritrovato cadavere in cella l’11 luglio 2003, con il corpo coperto di lividi. La lunga inchiesta giudiziaria che ne è seguita si è conclusa recentemente con l’archiviazione: morto per “aritmia maligna”. Filippi (Pd): in istituto condizioni inumane, ministero non ha fatto nulla Il suicidio ieri nel carcere di Livorno “non può passare sotto silenzio: le condizioni inumane in cui vive chi è detenuto e chi lavora in quell’istituto sono state denunciate troppe volte ed il ministero della Giustizia non ha mai fatto niente per migliorarle, tanto che si potrebbe parlare di una precisa volontà, quasi un istigazione al suicidio”. Così, in una nota, il senatore del Pd Marco Filippi che chiede di riaprire Pianosa “come carcere con regime leggero. “Sarebbe un intervento con un bassissimo costo economico che alleggerirebbe l’affollamento negli istituti toscani, evitando anche di far andare in rovina le strutture ancora esistenti sull’isola”. “Come si può pensare - si chiede ancora Filippi parlando del carcere livornese - che in un istituto pensato per 284 detenuti possano viverci con un minimo di dignità 440 persone? Se poi anche il personale è decisamente troppo poco è chiaro che quella struttura può solo fare repressione e non pensare alla rieducazione ed al reinserimento dei detenuti, come vorrebbe la nostra Costituzione”. Il Piano straordinario per le carceri” lanciato dal Governo, conclude, “è rimasto lettera morta, come molti altri interventi già finanziati, mentre, con un veloce intervento di adeguamento delle strutture, Pianosa potrebbe ospitare almeno 200 detenuti in fine pena o con pene lievi da scontare”. Fleres: la situazione penitenziaria italiana continua a rimanere drammatica “Se un detenuto che in carcere lavora e che sarebbe tornato libero il giorno dopo si toglie la vita vuol dire che a fare autocritica non deve essere solo l’Amministrazione penitenziaria ma anche la famiglia, gli enti locali, la società tutta”. Lo ha dichiarato il Sen. Salvo Fleres, coordinatore nazionale dei Garanti regionali dei diritti detenuti, con riferimento al suicidio di un recluso catanese impiccatosi, a 56 anni, nel carcere di Livorno. “La carente assistenza psicologica intramuraria, più volte denunciata, il mancato rispetto della territorialità della pena, a causa del sovraffollamento, il silenzio dei servizi sociali degli enti locali devono considerarsi concause di un delitto che probabilmente si sarebbe potuto evitare. Verificherò, con l’aiuto dell’Associazione Nazionale Forense, se esistono le condizioni per la costituzione di parte civile, nel caso in cui venga dato avvio ad un procedimento giudiziario che, personalmente, reputo indispensabile”. “Nonostante il recente impegno del Governo, ha aggiunto il Sen. Fleres, la situazione penitenziaria italiana continua a rimanere drammatica. È urgente il varo di idonei provvedimenti che prevedano la carcerazione solo nei casi più gravi e che impediscano la carcerazione preventiva se non esistono comprovati pericoli di fuga, di reiterazione del reato, di inquinamento delle prove. Basterebbe questo per dimezzare la costosa popolazione penitenziaria italiana ed evitare, o comunque ridurre, drammatici eventi come quello di Livorno”. Gazzarri (Idv): sopralluogo al carcere le Sughere, dopo l’ennesimo suicidio La capogruppo Idv in Consiglio Regionale della Toscana, Marta Gazzarri, e Daniela Sgambellone, membro dell’ Esecutivo regionale del Partito, visiteranno domani mattina il carcere Le Sughere di Livorno, per fare una valutazione sulla struttura e sulle condizioni di vita dei detenuti dopo una lunga serie di suicidi di cui l’ultimo avvenuto il 27 ottobre nell’istituto. Non è che uno dei tanti sopralluoghi effettuati da Idv Toscana nei carceri della regione (Firenze, Pisa, Livorno, Montelupo, Gorgona, Massa, San Gimignano, Arezzo) per controllare lo stato degli istituti di detenzione, spesso colpiti da problemi di sovraffollamento, carenza di personale e scarsa manutenzione alle strutture. Firenze: Sappe; ancora violenza dei detenuti nel reparto Centro Clinico di Sollicciano Comunicato stampa, 28 ottobre 2011 A solo poche settimane dal nostro ultimo comunicato stampa relativo al tentato omicidio compiuto nel reparto Centro Clinico di Sollicciano da un detenuto con problemi psichici ai danni di un suo compagno di cella, con un certo allarme dobbiamo segnalare un altro tentativo di aggressione con delle armi bianche (lame da rasoio) ai danni di un sovrintendente della Polizia Penitenziaria. L’episodio risale alla giornata del 27 ottobre u.s. ed è accaduto intorno alle ore 14/30 presso i locali del Centro Clinico di Sollicciano dove forse la forte concentrazione di detenuti con problemi psichici, sta manifestando degli effetti collaterali indesiderati. I fatti narrano di un detenuto di origine marocchina dell’età di 24 anni che è in carcere a Sollicciano da circa 30 giorni. Il motivo della sua presenza a Firenze è l’osservazione psichiatrica della durata di 30 giorni richiesta dalla A.G. competente. Allo scadere dell’osservazione il K.A. ha manifestato i primi segni di turbolenza culminati ieri col tentativo di aggredire al volto il sovrintendente di Polizia Penitenziaria con l’uso improprio di una lama da rasoio. Il pronto intervento del personale in servizio unito ai doni della fortuna hanno scongiurato il peggio ed il ricorso all’uso contenuto della forza fisica, ha ridimensionato la portata degli eventi. Si segnalano 15 giorni di prognosi alla Polizia Penitenziaria e 30 al detenuto che veniva posto all’attenzione dei sanitari nell’immediatezza dei fatti. Il SAPPe denuncia come a Sollicciano a fronte di un’alta concentrazione di detenuti con problemi di natura psichica all’interno del Centro Clinico, non sia prevista un’adeguata presenza di personale medico e specialistico per l’intero arco della giornata. Vogliamo porre l’attenzione sulla circostanza che i due episodi da noi denunciati, così cruenti, sono accaduti nella totale ed ingiustificata solitudine della polizia penitenziaria, costretta ad operare talvolta anche in sostituzione di operatori specializzati dell’area sanitaria troppo spesso assenti sul luogo. Il Vice Segretario Sappe della Toscana Francesco Falchi Prato: lo sciopero al contrario degli agenti… per protesta stanno ad oltranza sul posto di lavoro Il Tirreno, 28 ottobre 2011 Dignità è una parola da riempire di significato. E lo è di più in luoghi come il carcere. Alla Dogaia, l’istituto penitenziario pratese, questa parola comincia a essere vuota. Per i detenuti e anche per gli agenti di polizia penitenziaria. Ecco che ieri, quest’ultimi, hanno deciso di non tornare a casa. E rimanere in carcere. Per protesta. Uno sciopero al contrario, dove si sta ad oltranza sul posto di lavoro, per denunciare la situazione in cui sono costretti a lavorare. I numeri tratteggiano, meglio di altre parole, di cosa gli agenti - ieri riuniti davanti al cancello della struttura di Maliseti - raccontano. In carcere attualmente ci sono 730 detenuti e ce ne dovrebbero essere 476, i 254 in più sono sistemati alla meglio nelle celle costruite per un carcere moderno, e quindi con celle grandi come camerine singole. La realtà è diversa dai progetti degli architetti e degli psicologi e quindi ecco che si trovano tre, quattro persone per stanza con a disposizione un metro e mezzo ciascuno. Gli agenti invece sono 225, dovrebbero essere 345: più di cento in meno rispetto al necessario. Tradotto vuol dire 40 ore di straordinario al mese con accumuli di ferie, permessi e giorni di riposo che saltano all’ultimo minuto. Vuol dire 4 agenti di notte a controllare oltre 500 detenuti e uno solo per quelli di massima sicurezza. E poi ci sono gli episodi che rendono il carcere poco sicuro come le 20 aggressioni ai danni degli agenti negli ultimi mesi, i 6 suicidi da gennaio, i 10 tentati suicidi e perfino un incendio alcuni giorni fa scoppiato in una cella. “In quel caso - racconta Donato Nolè della Cgil - in quattro hanno dovuto far evacuare un’intera sezione, 80 detenuti, pressoché al buio”. Dopo i numeri che non tornano ci sono le altre difficoltà che sempre ai numeri riportano: cioè ai soldi che mancano nei bilanci per far fronte anche alla manutenzione ordinaria come la disinfestazione (nelle celle del primo piano ci sono gli scarafaggi) e all’acquisto dei neon che non funzionano. “In carcere mancano i neon - spiegano i rappresentanti sindacali di Cgil, Sappe, Osapp, Uil, Ugl, Fsa - Cnpp - e ci sono tantissime zone al buio sia all’interno sia lungo la recinzione. È evidente che lavorare al buio per noi è difficilissimo. Senza contare che siamo invasi dagli scarafaggi e ad agosto siamo stati giorni e giorni senz’acqua. È evidente che questo fa esasperare i carcerati e aumentare il rischio di risse, liti e aggressioni nei nostri confronti”. Le cose che non vanno alla Dogaia sembrano non finire mai e gli agenti le hanno elencate tutte, una per una, ai loro superiori a cui imputano anche alcune responsabilità come quella “di non aver rispetto dei diritti dei lavoratori e che in una situazione di emergenza applicano alla regola codici e codicilli per spostare permessi, ferire e giorni liberi rendendo impossibile ad alcuni agenti che abitano lontano incontrare le famiglie con regolarità”. Questa mattina arriverà alla Dogaia il provveditore regionale Maria Pia Giuffrida che incontrerà gli agenti. Loro si aspettano almeno tre cose: nuovo personale, il blocco degli arrivi da altri penitenziari e maggior rispetto nell’organizzazione del lavoro. E magari, per chi ha ancora meno voce, una disinfestazione e controlli per evitare che si ripeta la mancanza di acqua per giorni e giorni. Cagliari: Sdr; il Dap dispone per 2 volte senza attuarla assegnazione detenuto in Sardegna Agenparl, 28 ottobre 2011 “Ha ottenuto dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per ben due volte, dal 2002 al 2011, il trasferimento dal carcere milanese di Opera ad un Istituto sardo, ma il dispositivo non è divenuto esecutivo. Non solo, la mancata regionalizzazione della pena non gli consente di conoscere il figlio che ha ormai 10 anni e che non ha mai visto. Una condizione che danneggia pesantemente la situazione di una famiglia senza alcuna colpa”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, con riferimento all’incredibile vicenda di M.C., 33 anni, di Gonnosfanadiga (Mc) attualmente nella Casa Circondariale di Buoncammino per un periodo di tre mesi concesso per poter effettuare i colloqui con i familiari. “Non riesco a comprendere - ha detto ai volontari dell’associazione - come sia possibile che mi venga riconosciuta dal Dap con due appositi provvedimenti l’assegnazione a un Istituto sardo senza che questa opportunità si concretizzi. Tra l’altro mi trovo in stato di detenzione da 10 anni e non ho mai potuto incontrare mio figlio nato quando ero in carcere perché insieme a mia moglie abbiamo ritenuto inopportuno fargli conoscere il padre attraverso i colloqui dentro una struttura penitenziaria, trattandosi di sporadici incontri proprio a causa della distanza. È assurdo che in attesa di una soluzione positiva per il mio trasferimento un gesto di responsabilità genitoriale si stia rivelando una punizione per tutta la famiglia. Gli anni stanno passando e mi sto convincendo dell’impossibilità di conoscere l’infanzia di mio figlio”. “Esiste poi - ha sottolineato M.C. - un altro aspetto non secondario. In questo lungo lasso di tempo ho potuto usufruire di alcuni permessi di tre mesi per i colloqui e sono stato assegnato temporaneamente a Buoncammino, una condizione adeguata per le necessità familiari. Non riesco a capire perché non possa divenire definitivo in questo Istituto. Il dispositivo di assegnazione emesso dal Dap scadrà a fine novembre. Farmi ritornare a Opera per la mia famiglia sarebbe una disgrazia. Vi prego aiutatemi”. “Dinnanzi a situazioni di questo tipo - conclude Caligaris - non si può che fare appello al buon senso. L’umanizzazione della pena, non gravando sulla famiglia del cittadino privato della libertà, dovrebbe essere una buona prassi. Speriamo che ai responsabili del Dap sia sempre chiaro che la detenzione è l’unica pena inflitta dai Giudici, il resto sono torture aggiuntive non previste dalle norme e quindi non legalizzate”. Chieti: a Vasto un bar gestito da detenuti, con la cooperativa sociale Saima Redattore Sociale, 28 ottobre 2011 Il progetto nato dalla collaborazione tra la casa circondariale e la cooperativa sociale Saima che si occupa di reinserimento lavorativo delle persone svantaggiate. Il 3 novembre alle 10 l’inaugurazione del locale. Sarà gestito da due detenuti il nuovo bar spaccio della Casa circondariale di Vasto (Ch). Potranno beneficiare di un regolare contratto di assunzione da parte della cooperativa Saima alla quale l’amministrazione penitenziaria, diretta grazie Carlo Brunetti, ha affidato in concessione il servizio. “L’affidamento della gestione del bar - spaccio - spiega Brunetti - rappresenta per l’amministrazione la possibilità sia di avviare un percorso formativo e la creazione di posti di lavoro per la popolazione detenuta, sia un notevole incremento in termini di servizi offerti al personale operante”. “Anche dietro le sbarre è possibile cooperare e produrre così formazione e lavoro per chi è in attesa di una seconda possibilità per reinserirsi nella società”, sottolinea la cooperativa che si occupa di reinserimento lavorativo delle persone svantaggiate. Il locale verrà aperto ufficialmente giovedì 3 novembre alle ore 10. All’inaugurazione parteciperà anche il presidente di Confcooperative Abruzzo Giampiero Ledda insieme ai rappresentanti della cooperativa Saima e della casa circondariale. Roma: l’assessore regionale Cangemi visita l’Ipm di Casal del Marmo Adnkronos, 28 ottobre 2011 Sopralluogo questa mattina, dell’assessore regionale ai rapporti con gli enti locali e politiche per la sicurezza della Regione Lazio Giuseppe Cangemi, all’istituto penale minorenni di Casal del Marmo. Accompagnato dal direttore della struttura Maria Laura Grifoni, l’assessore ha voluto sincerarsi di persona che i lavori di ristrutturazione di alcuni impianti sportivi, finanziati dalla Regione Lazio, procedessero speditamente e senza problemi. Nel corso del sopralluogo Cangemi ha incontrato i ragazzi di Casal del Marmo e, con l’assistenza tecnica della dott.ssa Merlino dell’Asl Roma E, ha verificato lo stato dell’arte del progetto di ‘prevenzione a tutela della salute psico-fisica dei minori reclusi nell’Istituto penitenziario minorile di Casal del Marmò. Il progetto è finanziato dall’Assessorato regionale ai rapporti con gli enti locali e politiche per la sicurezza e mira a far acquisire l’attività fisica come stile di vita positivo, alla prevenzione dall’abuso di sostanze stupefacenti, dal doping, e all’insegnamento di una corretta alimentazione agli ospiti dell’istituto. “Ho sempre considerato - commenta Cangemi - il regime di reclusione quale momento di riflessione critica sul proprio operato e di crescita personale. L’istituto penitenziario deve rendere le persone migliori. Questo vale ancor di più quando si tratta di minorenni. Una corretta attività fisica, la conoscenza della pericolosità delle sostanze stupefacenti e dopanti, l’indirizzamento verso una corretta alimentazione, aiutano questi ragazzi, che sicuramente hanno sbagliato, a reinserirsi in società con maggior cura di sé e degli altri”. “Proprio per questo - conclude - abbiamo finanziato un simile progetto, che mira a rendere i giovani migliori, oltre che a recuperare e a mantenere il loro stato di salute elevato nel periodo di permanenza obbligatoria nell’istituto. Continuerò a seguire i lavori da vicino”. Treviso: l’incontro coi padri detenuti? In una sala piena di giochi La Tribuna, 28 ottobre 2011 Favorire gli incontri fra i papà detenuti e i loro bambini. È questo il progetto avviato a partire da giugno da Telefono Azzurro e dalla direzione della Casa circondariale di Treviso. A partecipare alla sperimentazione sono a oggi 12 detenuti e 25 bambini fino ai 12 anni. Finora sono stati una ventina i colloqui conoscitivi e motivazionali con i detenuti. Gli incontri avvengono dentro una stanza, dipinta dagli stessi detenuti nel corso di un’esperienza formativa, che per l’occasione si trasforma in ludoteca. In questo luogo bambini e papà, insieme alle mamme o a chi accompagna i piccoli in carcere, possono leggere libri, partecipare a letture animate e attività teatrali, giocare, dipingere, creare piccoli lavori con il pongo, creta e altri materiali. In estate si possono anche coltivare piante e fare sport all’aperto. A seguire il progetto sono due psicologhe volontarie di Telefono azzurro e due operatori professionisti che aiutano minori nell’accoglienza, animano il tempo del colloquio e cercano di alleviare il peso del distacco. Ancona: “Giustizia relativa e pena assoluta”… Antigone Marche presenta il libro di Cecchi Ristretti Orizzonti, 28 ottobre 2011 Venerdì 4 novembre, alle 18, alla Feltrinelli di Ancona, l’incontro con l’autrice e magistrato pesarese. “Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione”. Così scriveva il filosofo Voltaire. E oggi come allora, siamo nel XVIII secolo, nei decenni che precedono la Rivoluzione francese, queste sue parole interrogano la società sulla attuale situazione di vita delle persone detenute e sulla validità del sistema penitenziario. Per affrontare questi temi, l’ associazione Antigone Marche, insieme al Movimento delle Agende rosse di Pesaro e Urbino e all’associazione Libera contro le Mafie, ha organizzato la sua prima iniziativa pubblica da quando è nata, lo scorso 21 maggio. Si tratta dell’incontro con il magistrato pesarese Silvia Cecchi per la presentazione del suo libro “Giustizia relativa e pena assoluta”, con postfazione di Vittorio Mathieu, edito quest’anno da Liberi Libri (pp.184, euro 16,00). L’evento si terrà venerdì prossimo, 4 novembre, alle ore 18, presso la libreria Feltrinelli di Ancona (corso Garibaldi 35). Oltre all’autrice, all’appuntamento interverranno l’avvocato Samuele Animali, presidente di Antigone Marche, e il prof. Paolo Bonetti della casa editrice Liberi Libri. Sarà, quindi, la presentazione di questo libro, a cui tutta la cittadinanza è invitata a partecipare, a offrire lo spunto di riflessione sull’efficacia e sulla giustizia della pena carceraria. In questo libro, Silvia Cecchi denuncia innanzitutto l’antigiuridicità della pena carceraria. Scrive infatti che mentre in passato “l’entità della pena era commisurata alla gravità del reato. Oggi invece a chi ruba una mela e a chi uccide dieci persone tocca la stessa pena: il carcere. Senza considerare quanti vengono imprigionati in attesa di giudizio, quanti fra loro risulteranno innocenti, e quanti, pur innocenti, verranno condannati”. Il carcere indifferenziato, quindi. Che diventa barbarie giuridica, lesiva della personalità. “I nessi fra responsabilità penale e reato da un lato e sanzione carceraria dall’altro ci indicano orizzonti culturali e giuridici fra loro incommensurabili. I profili di irriducibilità sono molti: la relatività della nozione di responsabilità penale a fronte della assolutezza della pena carceraria; i rispettivi presupposti e le diverse finalità dei due istituti e il loro diverso atteggiarsi con il problema etico del male”, si legge nella recensione del volume. Divergenze, queste, che hanno una matrice comune secondo l’autrice nell’ “irrisolto problema del rapporto tra la persona del reo nella sua interezza e un suo atto: l’atto criminoso è sempre espressivo della personalità del reo? E in quale misura? L’atto esaurisce la personalità del reo?”. Non solo. Dal momento che, “la sanzione detentiva comminata mostra la sua abnormità anche in una prospettiva retribuzionistica della pena - secondo Silvia Cecchi - essa va ripensata anche alla luce dell’indirizzo assunto da diversi ordinamenti stranieri che hanno sperimentato sanzioni alternative alla detenzione”. Un ragionamento, quello di Silvia Cecchi nel suo libro, portato avanti con la lucidità della ricercatrice e l’esperienza del magistrato. E non a caso Antigone Marche, l’associazione che da 20 anni a livello nazionale, e da maggio anche nella nostra regione, lavora sia per sensibilizzare l’opinione pubblica e avviare una riflessione allargata sulla condizione di vita delle persone private della libertà personale sia per monitorare la situazione degli istituti penitenziari del Paese, abbia organizzato come sua prima iniziativa pubblica la presentazione di questo libro. Perché quello che Silvia Cecchi tratta è il punto nodale della questione, prima ancora del sovraffollamento e delle altre problematiche che emergono sulla stampa: qual è la prospettiva della pena, quale dovrebbe essere e come va ripensata. (Nota biografica dell’autrice) Silvia Cecchi vive a Pesaro, dove esercita la professione di magistrato. È diplomata in pianoforte e autrice di saggi giuridici, di raccolte poetiche e di testi narrativi. In collaborazione con il compositore Adriano Guarnieri ha scritto il testo dell’azione lirica Solo di donna (2004) e il testo dell’opera All’alba dell’umano, Processo a Costanza (2009), per voci, nastro magnetico ed ensemble strumentale editi entrambi da ricordi. “Giustizia relativa e pena assoluta”, di Marcello Pesarini (Antigone Marche) Giustizia relativa e pena assoluta, libro di Silvia Cecchi, magistrato di Pesaro, edito da Liberi Libri, recensito su Liberazione, Micromega, Manifesto ed altri giornali della sinistra, e non è passato affatto inosservato in altri ambienti. Mi sembra degno di segnalazione l’impegno dell’autrice, da anni impegnata nel campo dell’amministrazione della giustizia, nel sollevare il problema della pena legata alla giustizia stessa, e della sua utilità sociale, sull’esempio della giustizia minorile. Non è comportamento frequente quello di un servitore dello Stato che si interroga a fondo sull’utilità del proprio operato, vaglia altre scuole di pensiero che considerano il carcere solo l’estrema scelta, e considera ogni reato come una storia che va letta a partire dalla riparazione, e non solo come causa di una retribuzione nei confronti della vittima, senza poi sincerarsi della riuscita del percorso. In giorni nei quali si agita davanti al popolo l’immagine del carcere duro nei confronti dei grandi evasori fiscali per non affrontare cause e connivenze nel fenomeno dell’evasione, un libro come quello di Silvia Cecchi può servire ad una riconsiderazione della giustizia e della pena. Una rappresentazione della realtà coraggiosa, che rischia di capovolgere i nostri compiti ed i nostri ruoli. Se chi ha commesso un omicidio deve essere preso in carico ( non premiato, come direbbero i forcaioli) tenendo conto della propria storia, per far si che non finisca nel dimenticatoio della società, anche chi è libero dovrebbe essere indotto a rivedere le proprie azioni, non solo rispetto alla legge, ma anche all’etica. Un mondo senza colpevoli assoluti ed innocenti assoluti? Cosa ci hanno insegnato allora? Ci hanno insegnato che si può perdonare, comprendere, ma soprattutto che la pena senza giustizia non è neanche utile, perché chiude il circuito rischiando di bruciarci tutti , chi chiuso in galera, chi chiuso nella paura. Diamo spazio alla sepoltura dei reietti come fece Antigone, ma per tempo, o daremo coraggio alla carneficina. Napoli: “La poesia ci aiuta”, Yves Bonnefoy a Nisida tra i giovani detenuti Il Mattino, 28 ottobre 2011 “Mi sentivo chiuso in rappresentazioni troppo strette e le parole mi davano invece la possibilità di andare oltre. Perciò ho cominciato a scrivere”. Si è rivolto così il poeta francese Yves Bonnefoy - in questi giorni in Italia ospite del Premio Napoli - ai giovani reclusi del carcere minorile di Nisida ai quali ieri ha fatto visita. A loro Bonnefoy ha parlato dello studio come “chiave per conquistare la libertà”, e si è entusiasmato quando le educatrici e gli educatori del carcere gli hanno fatto leggere i versi composti in oltre vent’ anni da ragazzi che sono passati per le celle di Nisida: “Vivi e fammi vivere, ora che la mia vita non vive più”; “È stata un’ intrusa la detenzione nella mia vita. E per uscire ho fatto fatica. E tu sofferenza non farmi più male. Ho già sofferto abbastanza per ritrovare la mia libertà”; “Vorrei farla finita ma la voglia di vivere è più forte di prima”. “Abbiate fiducia nei vostri versi”, è stato l’ incoraggiamento del poeta ai ragazzi. Perché, ha aggiunto, “la poesia è uno strumento formidabile per trasgredire le espressioni ordinarie e riflettere sulle cose importanti”. Televisione: "Giustamente", immagini dalle carceri su Tg3, Tg5, “Terra!” e “Coffee break” Ristretti Orizzonti, 28 ottobre 2011 Immagini esclusive di Radio Radicale in onda su Tg3, Tg5, “Terra!” e “Coffee break” Il materiale è parte della video-inchiesta "Giustamente", realizzata tra agosto e ottobre in otto istituti di pena italiani, per raccontare il dramma della giustizia e delle carceri. Da tempo i Radicali chiedono che si apra un grande dibattito per informare l’opinione pubblica sul dramma della giustizia e della sua appendice carceraria, strozzata dal sovraffollamento e dalla carenza cronica di risorse. Eppure, da giugno a oggi, i temi della giustizia e delle carceri sono stati presenti in appena 0,8 per cento delle notizie nei telegiornali e negli spazi di approfondimento. Per questo motivo durante i mesi di agosto, settembre e ottobre Radio Radicale è entrata in otto diversi istituti di pena per raccogliere testimonianze e dare voce a detenuti, direttori, agenti, educatori, psicologi, cappellani e altri operatori: tutti membri di una comunità penitenziaria sofferente e tutti prigionieri di un sistema ormai al collasso. Nasce così “Giustamente”. Non una semplice video-inchiesta, ma un viaggio esclusivo all’interno di alcune tra le realtà più problematiche del pianeta carcere; in angoli remoti, in cui nessuna telecamera era mai entrata prima, dove vivono stipate migliaia di persone, confinate oltre i limiti della legalità costituzionale, tra miseria e solitudine, ai margini di una società per lo più ignara del dramma che ogni giorno si consuma nelle nostre galere. Radio Radicale ha scelto di mettere il proprio materiale a disposizione di telegiornali e reti televisive pubbliche e private, per favorirne la maggior diffusione possibile e riparare, almeno in parte, al grave deficit di informazione su un tema rimosso dall'agenda politica del nostro Paese. I primi ad accogliere l’invito di Radio Radicale a mostrare alcune delle immagini girate nei penitenziari sono stati la direttrice del Tg3, Bianca Berlinguer, e del Tg5, Clemente Mimun. Inoltre, domenica 30 ottobre il programma di approfondimento del Tg5 “Terra!” dedicherà una puntata al tema delle carceri con le immagini fornite da Radio Radicale. Mentre mercoledì 2 novembre sarà la volta di Coffee Break, in onda su La7. La versione integrale dell'inchiesta di Radio Radicale, realizzata da Valentina Ascione, Simone Sapienza e Pasquale Anselmi, sarà disponibile sul sito d'inchieste dell'emittente: www.fainotizia.it. Egitto: non si fermano le torture in carcere, giovane detenuto muore al Cairo Aki, 28 ottobre 2011 Un detenuto egiziano di 24 anni, Essam Ali Atta Ali, è morto nella notte all’ospedale Qasr El-Eini del Cairo in seguito alle lesioni procurategli dalle brutali torture subite in carcere. Il caso, riportato dal sito del quotidiano al-Ahram, testimonia come, con la caduta del regime di Hosni Muabarak, non siano finiti gli abusi e le violenze commesse dalle forze dell’ordine egiziane. Ali era stato condannato il 25 febbraio a due anni di carcere per un reato comune e scontava la sua pena nel carcere di Tora. Secondo la testimonianza di alcuni compagni di cella, gli agenti della polizia penitenziaria hanno deciso di punirlo dopo avergli trovato addosso una Sim card e gli hanno infilato ripetutamente un grosso tubo nella bocca e nel retto fino a procurargli un’emorragia. Il fratello del giovane ha raccontato di aver visto il cadavere di Ali, che riportava segni evidenti della tortura, e gli stessi medici dell’ospedale in cui è stato trasferito hanno confermato che si è trattato di una morte violenta. Il caso è stato denunciato dal Centro El - Nadeem per la riabilitazione delle vittime di torture ed è approdato su Facebook, dove è stato creato un gruppo in cui si trova anche una foto del cadavere, con escoriazioni sul viso. Una campagna è stata lanciata anche dal gruppo Facebook, “We are all Khaled Said”, dal nome di un giovane torturato dalla polizia, il cui caso ha contribuito all’esplodere della rivolta contro Mubarak.