Giustizia: storie di malasanità in carcere.. e di una causa che dura da 35 anni di Valter Vecellio Notizie Radicali, 27 ottobre 2011 Ieri pomeriggio il direttore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, è stato ascoltato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari. L’audizione è finalizzata, Dio perdoni chi ha scritto il comunicato, “ad acquisire informazioni sul processo di transizione delle relative competenze dall’Amministrazione penitenziaria alle aziende sanitarie locali. Particolare attenzione sarà rivolta ai profili gestionali connessi alla traduzione dei detenuti nelle strutture sanitarie territoriali e alla qualità della tutela sanitaria di detenuti e personale di polizia penitenziaria in tale fase di passaggio di competenze”. Per dirla in termini che abbiano un senso, un’inchiesta sulla tutela della salute nelle carceri. “Garantire la tutela della salute a chi sta dentro così come a chi sta fuori dal carcere è un principio costituzionale e, come tale, impone di essere rispettato”, dice il presidente della Commissione Leoluca Orlando. “Attualmente, però, nella maggior parte delle carceri italiane, caratterizzate da un generale contesto di promiscuità e sovraffollamento, la possibilità di imporre adeguate profilassi non sembra poter essere garantita a causa delle precarie condizioni igienico sanitarie e a causa del depauperamento delle risorse umane, ovvero del necessario personale specialistico socio-sanitario e del personale di Polizia penitenziaria. Una situazione di quotidiano allarme tollerata oltre il tollerabile, che rischia continuamente di veder trasformato il disagio in tragedia”. Dio perdoni anche lui. Ad ogni modo se ne sono accorti. Parlano di “quotidiano allarme”… In realtà si può parlare a giusto titolo di vera e propria tortura. Rita Calia è la mamma di Angelo Buttazzo, 27 anni, detenuto nella casa circondariale di Lecce da tre anni. Dice che il figlio è costretto a vivere su una sedia a rotelle, tenuto in condizioni disumane. Il 18 settembre scorso in seguito a problemi alla schiena e una frattura all’osso sacro Angelo è stato operato. “Accusa continuamente dolori”, racconta la mamma. “È affetto da una malformazione congenita alla colonna vertebrale, come aveva diagnosticato il medico. L’8 ottobre doveva effettuare una visita di controllo a Brindisi ma non l’hanno mai portato, nemmeno quando doveva sottoporsi ai raggi x. Ho chiesto spiegazioni mi hanno risposto che mio figlio l’avevano portato a Lecce. Quello stesso giorno del controllo è stato trasferito al carcere di Turi, senza un motivo apparente”. Rita Calia si reca a Turi, nessuno le sa dire dove sia il figlio e perché era stato trasferito. Solo l’altro giorno racconta, è stata informata delle condizioni in cui si trovava e dove. Un’altra storia, quella di R.C., 33 anni, da cinque vive in una cella del carcere di Bellizzi. Da agosto scorso attende di essere trasportato nel reparto oncologico dell’ospedale per sottoporsi alla chemioterapia prescritta dal medico che gli ha riscontrato un tumore al testicolo. Il medico aveva previsto anche un immediato intervento chirurgico che doveva tenersi il 22 agosto scorso. Per ragioni mai chiarite non è stato disposto alcun il ricovero. Solo il 5 settembre viene trasportato in ospedale per un esame esplorativo. Il 14 settembre, dopo un esame istologico, R.C. viene finalmente sottoposto ad orchifunicilectomia radicale destra. Dopo una diffida presentata dall’avvocato, R.C. è sottoposto a visita oncologica, il medico prescrive per il 24 ottobre l’inizio della chemioterapia. Il 24 ottobre però non viene portato in ospedale. Come finirà questa storia non è dato saperlo. Ionta è stato ascoltato anche dalla Commissione tutela diritti umani del Senato. Ha riferito di quello che si intende fare per contrastare il fenomeno dei suicidi in carcere: potenziare i contatti con l’esterno, soprattutto con gli affetti familiari, e dei servizi di osservazione ai quali i detenuti sono sottoposti fin dal loro arrivo in carcere: “Troppi sono gli episodi che si verificano negli istituti italiani e ciascuno è una sconfitta per l’intero sistema”. Il lavoro più importante, ha detto Ionta è quello che faciliti i contatti con il mondo fuori dal carcere: “Aumentare i colloqui e le telefonate è un elemento fondamentale per limitare il pericolo”, che ha poi aggiunto di avere disposto “l’aumento del tetto di spesa settimanale per detenuto, anche questo per favorire la parte relativa alla corrispondenza”. Fantastico! Prima di finire una storia che da Brescia, un processo che va avanti da 35 anni. Nel frattempo le parti coinvolte sono morte, senza aver visto sentenza. La storia comincia nel 1975, quando una signora residente a Milano decide fare causa a una vicina per una questione di debiti insoluti. L’atto di pignoramento di un terreno di proprietà viene depositata in cancelleria il 13 gennaio 1976. L’udienza di comparizione delle parti viene fissata sette anni dopo, il 4 giugno 1983. Da allora si celebrano una trentina di udienze, l’intervallo tra l’una e l’altra è stato mediamente di 12 mesi. Nel frattempo rinvii, cambi di giudici e di avvocati, perdita del fascicolo. Sia la persona che ha intentato la causa, sia la controparte sono decedute; ora gli eredi hanno citato in giudizio il ministero di Giustizia, “colpevole” del processo lumaca. A pronunciarsi in questo caso sarà la corte d’appello di Brescia. Speriamo non fra 35 anni. Giustizia: risposta alla risposta di Valter Vecellio del Partito radicale di Lillo Di Mauro Ristretti Orizzonti, 27 ottobre 2011 Caro Valter e cari amici Radicali, premetto che vi ho sempre riconosciuto il merito di tante battaglie civili nell’ambito dei diritti umani che hanno fatto la storia del nostro Paese, battaglie che molte volte mi hanno visto al vostro fianco senza indugio né ripensamenti; che nella mia nota non vi era alcun tono polemico ma soltanto la volontà di ribadire ed evidenziare a chi devono essere attribuite le responsabilità di un sistema penitenziario e dell’esecuzione penale in genere che io definisco “fuori legge”. Mi sento costretto a rispondere alla tua/vostra risposta/chiarimento perché “Di Mauro, i tanti Di Mauro” sono uomini e donne che quotidianamente dedicano la loro vita al sostegno dei diritti delle persone detenute stando a diretto contatto con loro e condividendo i loro drammi personali. Persone che consentono all’intero sistema di non implodere offrendo sostegno sociale ed economico, opportunità lavorative e formative e quant’altro. Le richieste di intervento che quotidianamente giungono dai detenuti, dalle famiglie, dalle istituzioni, hanno nel tempo portato ad agire i Di Mauro non solo come figure di mediazione sociale ma, in un ruolo di supplenza, anche come servizio a cui viene chiesto di intervenire, orientare e risolvere situazioni particolarmente drammatiche. Professionalità, partecipazione, impegno, sono le loro parole d’ordine. Il loro intervento interpreta la politica per tracciare i percorsi nei quali si può migliorare la qualità della vita delineando nuove mappe dei diritti e della democrazia e offre strumenti sul terreno della rieducazione e del reinserimento. I Di Mauro, i tanti Di Mauro sono uomini e donne che hanno combattuto per la riforma della medicina penitenziaria, per ottenere una buona legge sulle detenute madri con i figli da 0 a 3 anni (pur non riuscendoci “grazie” alla maggioranza che sostiene Berlusconi). Uomini e donne che si sono opposti alla volontà del governo Berlusconi di stravolgere il sistema penale minorile, che si battono per la chiusura dei manicomi giudiziari e per tanto altro e quindi hanno tutte le ragioni nel chiedere trasparenza nei comportamenti dei loro rappresentanti istituzionali senza dare nulla per scontato. Credo serva a poco andare a cena con Berlusconi. Purtroppo la realtà è che, nonostante la buona volontà dei nostri interventi, i problemi si sono amplificati: la popolazione detenuta aumenta di giorno in giorno, così come i suicidi e il senso di rassegnazione. Nonostante i tentativi di apertura e umanizzazione il carcere è luogo di reclusione, luogo di diseguaglianze e di paradossi, di esistenze spente e senza comunicazione. Per la massa, per la gran parte dei detenuti il carcere rimane il luogo dell’ozio, dell’inutilità. Allora mi chiedo e vi chiedo se non bisogna cambiare sguardo, cambiare approccio, se invece di raccontarci quello che abbiamo fatto in carcere tutti, dagli operatori interni a quelli esterni, dagli amministratori della giustizia a quelli degli enti locali, dagli uomini della politica a quelli della cultura, non dobbiamo chiederci ed interrogarci su quello che non abbiamo fatto. Evitiamo di concepire l’impegno nel sociale e nei diritti come un prendersi cura, un senso unico che parte da noi e ritorna a noi. La legge sulle madri e sui bambini, la riforma della medicina penitenziaria, le attività trattamentali interne al carcere, tutto questo ha davvero cambiato il volto e il senso della detenzione? O manca qualcosa, c’è un luogo comune che ci rende ancora deboli e confusi quando parliamo di cosa fare in carcere? Qualcosa che non funziona nelle professioni di cura e nella politica che regola l’intervento sociale? È su queste riflessioni, amici radicali, che chiudo questa nostra interlocuzione, che è stata un’occasione utile non per polemiche, che non ci aiutano perché servono soltanto a rendere opaco e spento il nostro bagaglio culturale e inefficace il nostro agire, ma per uno scambio di idee e un confronto, di cui abbiamo invece grande bisogno. Lillo Di Mauro Operatore sociale e volontario Presidente della Consulta penitenziaria di Roma Capitale Giustizia: Uil-Pa; aderiamo idealmente allo sciopero generale del pubblico impiego Adnkronos, 27 ottobre 2011 “Aderendo idealmente allo sciopero generale del pubblico impiego, indetto per domani dalla Uil, e condividendone totalmente le motivazioni, la segreteria generale della Uil-Pa Penitenziari ha deciso lo stato di agitazione del personale di Polizia Penitenziaria, a cui per legge è fatto divieto di scioperare”. A renderlo noto è Eugenio Sarno, segretario generale del sindacato dei baschi blu. “I lavoratori dell’amministrazione penitenziaria del comparto ministeri hanno già comunicato una massiccia adesione allo sciopero generale - assicura Sarno - i baschi blu della Polizia Penitenziaria invece non possono che sostenere idealmente lo sciopero. Molte delle motivazioni che hanno portato la Uil allo sciopero generale, - sottolinea il sindacalista - sono comuni sia al comparto ministeri che al comparto sicurezza. Basti pensare al blocco dei contratti e al congelamento degli effetti economici per promozioni ed avanzamento di grado. Su tutto, però, condividiamo le critiche rivolte al governo per l’insensata politica dei tagli orizzontali ai finanziamenti delle pubbliche amministrazioni”. E proprio la grave situazione economica che si riverbera nelle carceri italiane è ulteriore motivo di preoccupazione per la Uil Penitenziari. “Abbiamo da tempo lanciato l’allarme - ricorda il segretario generale Uil-Pa Penitenziari - sulla grave situazione debitoria dell’amministrazione penitenziaria”. Non è solo una questione di indennità non corrisposte al personale, che pure deve trovare soluzione. Si tratta, piuttosto - prosegue Sarno - di garantire l’ordinaria amministrazione e la piena funzionalità degli istituti penitenziari”. “Recentemente - ricorda - si è già dovuto procedere alla sospensione del servizio traduzioni per mancanza di fondi atti a garantire il pieno negli automezzi, da ieri in Toscana (per ammissione della stessa amministrazione) non si potrà garantire il riscaldamento degli ambienti detentivi. Tra qualche giorno, inoltre, si esauriranno i fondi per il pagamento delle varie utenze (acqua, luce, gas, ecc.) nonché i fondi per garantire il vitto ai detenuti”. “In questa drammatica situazione - conclude Sarno - l’unica certezza è l’immobilismo del Governo e del Parlamento sul fronte penitenziario. Una ragione in più per essere in piazza domani”. Giustizia: iniziato processo contro 5 agenti di Asti, l’associazione Antigone è Parte civile Ansa, 27 ottobre 2011 Tensione in aula ad Asti alla prima udienza del processo contro cinque agenti penitenziari accusati di aver picchiato e sottoposto a vessazioni due detenuti nel carcere cittadino tra il 2004 e il 2005 dopo la decisione del Tribunale di ammettere come parte civile l’associazione Antigone. “I legali dei cinque agenti penitenziari si sono opposti alla nostra richiesta - spiga Simone Filippi, l’avvocato dell’Associazione - ma il giudice ha deciso, invece, l’ammissione di Antigone come soggetto leso, al pari delle persone offese, i due detenuti denuncianti. Siamo soddisfatti di poter stare nel processo - aggiunge il legale - e ci stupiamo che non abbia chiesto di costituirsi parte civile anche il ministero della Giustizia”. Gli agenti, in momenti diversi, avrebbero picchiato e lasciato per alcuni giorni, in isolamento, completamente nudi due detenuti, Claudio Renne e Andrea Cirino, in una cella priva di vetri alla finestra, di materasso, di lavandino e di sedie; per vitto sarebbe stato fornito loro solo pane ed acqua. Ai due, inoltre - secondo l’ accusa - veniva impedito di dormire. Sono 36 i testi ammessi a testimoniare al dibattimento. La prossima udienza, nel corso della quale saranno ascoltati i due detenuti Renne e Cirino, è stata fissata per il 23 novembre, mentre la discussione finale è prevista non oltre il 22 dicembre. Giustizia: a 48 ore dalla scarcerazione il boss Rosario Gambino nuovamente arrestato Tm News, 27 ottobre 2011 Ad appena 48 ore dal suo rilascio Rosario Gambino, esponente dell’omonima famiglia mafiosa di New York, torna dietro alle sbarre. Il boss 69enne uscito martedì scorso dal carcere di Parma per decisione del tribunale della Libertà di Palermo, è stato infatti arrestato nuovamente oggi dagli agenti della Squadra Mobile di Roma, che lo hanno intercettato in una clinica della capitale, dove avrebbe dovuto sottoporsi ad alcuni esami clinici. Questa volta l’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dalla Corte d’Appello di Palermo. Sulla testa di Gambino pende un ordine di cattura per traffico internazionale di stupefacenti, firmato addirittura da Giovanni Falcone trent’anni fa. Condannato in Italia, in contumacia, a 13 anni, Gambino è stato processato e condannato anche negli Stati Uniti, nell’ambito dell’inchiesta “Pizza connection”. Rientrato in Italia due anni fa, era stato quindi rinchiuso in carcere a Parma. Il suo iter processuale ha visto per quattro volte la Cassazione annullare i provvedimenti nei suoi confronti, l’ultima volta la scorsa estate. La controversia nasce riguardo alla legittimità di un provvedimento risalente a 30 anni fa, quando in Italia vigeva un diverso sistema penale, e che vede opporsi i legali di Gambino secondo cui il loro assistito non sarebbe stato a conoscenza del processo celebrato a Palermo. Lettere: i detenuti di Spoleto al ministro Gelmini… “tagliate” le classi, negato diritto allo studio www.spoletocity.com, 27 ottobre 2011 Gentile Ministro dell’istruzione, On. Mariastella Gelmini, siamo alcuni detenuti della C.R. di Spoleto, abbiamo bisogno del vostro aiuto. Necessita per subito sottolineare l’importanza della Carta costituzionale, che prevede tassativamente il diritto inviolabile della “umanizzazione” e della “tendenza alla rieducazione” di tutte le pene, detentive o meno che siano. Sulla rieducazione il discorso è molto lungo, e non è questa l’occasione per approfondirlo. È certo, però, che tale finalità della pena può essere ottenuta principalmente con lo studio scolastico e, come ha detto la Corte costituzionale nella sentenza 2 luglio 1990, n. 313, è cogente e non facoltativa, coesiste nella pena. Il carcere deve proseguire nel cambiamento, il trattamento penitenziario si realizza con il progetto dell’istruzione scolastica presente in quest’istituto da parecchio tempo, che deve favorire a non bloccare il percorso di orientamento e di reinserimento sociale, perché è anche utile a sottrarre molti detenuti all’angoscia dell’ozio forzato, in cui spesso maturano tensioni e conflitti verso l’istituzione. Non è possibile che 5 alunni del quarto e 5 del quinto “anno scolastico 2011-2012”, non possono più frequentare l’istituto statale della scuola d’arte I.I.S. “Pontano Sansi - Leonardi” di Spoleto. È stata un’amara sorpresa venire a sapere dalla polizia penitenziaria che non sono stati istituiti i corsi scolastici del 4° e 5°. È stata appresa la notizia senza l’intervento del Dirigente Scolastico, Dr.ssa Roberta Galassi, ci è sembrato molto indelicato, irriguardoso. Tagliare il numero dei docenti per l’attuazione della riforma scolastica è un fatto a sé, ma chiudere la scuola a coloro che hanno intrapreso uno studio per 3 e 4 anni, è a dir poco sconcio, indecente. Studenti che hanno faticato studiando per anni, si vedono all’improvviso sbattuta in faccia la porta per completare lo studio, per ottenere un diploma, e magari successivamente intraprendere lo studio universitario, come è accaduto per tanti condannati. Anche l’anno scorso hanno accorpato in una unica classe il 2° e il 3°, per un totale di una decina di alunni, circostanza accettata da tutti, docenti compresi. Ci chiediamo: perché il Dirigente Scolastico, Dr.ssa Roberta Galassi, non ha accorpato in un’unica classe il 4° e il 5° ? Lo dice e lo prescrive il legislatore, razionalizzando il sistema e mettendo tutti i condannati sullo stesso piano, realizzando una vera parità di trattamento. Sono stati autorizzati quest’anno i corsi scolastici del 1°, 2° e 3°, escludendo il 4° e il 5°. Per molti di noi lo studio è una passione, molti sono rammaricati nel non aver studiato da bambini, sarebbe stata forse la nostra salvezza, e adesso ci troviamo in un contesto che ci può sicuramente far crescere. Se potessimo tornare indietro, andremmo a scuola appena iniziato a muovere i primi passi. Addirittura, per motivi di sicurezza è previsto fare socialità in poche persone, ma con la scuola cambia il metodo, dobbiamo essere invece numerosi, in barba alla sicurezza. Il legislatore ha imposto un punto fermo in modo chiaro: anche i condannati hanno dei diritti precisi, cui corrispondono doveri altrettanto precisi, la cui violazione, pur non specificatamente sanzionata, dà adito a responsabilità, anche sul piano etico, sociale e politico. Nel nostro caso è evidente addirittura la violazione di più disposizioni della Carta Costituzionale, il diritto alla scuola, sancito dalla L. n. 390/ 1991, la tendenza alla rieducazione del condannato, ecc. Molti detenuti hanno voglia di imparare quale eventuale lavoro svolgere appena scontata la pena, imparare come muoversi preparati nel mondo del lavoro che fuori li attende. Con lo studio vogliono capire quello che non abbiamo capito prima, siamo certi che è un percorso che ci aiuterà a entrare nel mondo del lavoro. Molti di Noi sono bravi nei lavori artigianali, il laboratorio è un ambiente che fa venire fuori delle doti straordinarie, ringraziando le figure professionali degli insegnanti. Anche il cameriere, se impara bene a farlo, ha una professionalità che sarà spendibile per sempre appena fuori. Se ci togliete lo studio, restiamo disillusi, senza speranza. Noi non stiamo in carcere perché “bamboccioni”, che non vogliono uscire di casa, noi siamo l’eccezione , siamo stati puniti, ed anche ad essere un numero inferiore alla formulazione di una classe, non può esserci negata l’opportunità, perché non possiamo andare in un quartiere sito nell’altra parte della città, o in un paese vicino, per trovare una classe completa, e concludere il nostro studio. Il pensiero di tutti i detenuti è racchiuso sinteticamente in questo scritto, è stato redatto da un condannato alla pena dell’ergastolo ostativo, tale Marchese Carlo, che grazie allo studio scolastico in carcere, si è laureato in legge con “110 e lode”, e siccome uscirà di carcere solo da morto, per la propria acquisita professionalità, sarà in grado di svolgere la funzione di avvocato nelle aule giudiziarie dell’aldilà, dove la Giustizia del nostro Signore è giusta e benedetta. Ci sono anche degli ergastolani ostativi nella lista dei 10 studenti appiedati per la frequenza scolastica. Se non è possibile istituire il corso scolastico per il 4° e il 5° in forma autonoma, in subordine, chiediamo che siano accorpate le due classi in una sola. Siamo certi della disponibilità a venirci incontro due Direttori della C.R. Spoleto, Dr. Ernesto Padovani e Dr. Pantaleone Giacobbe, qualora fosse necessario, per la loro sempre dimostrata umanità, è giusto “dare a Cesare quel che è di Cesare”. Ai destinatari di questa lettera, in primis al Ministro dell’istruzione, On. Mariastella Gelmini, chiediamo cortesemente un rapidissimo impegno, perché ancora nulla è compromesso. Dai detenuti studenti, dalla Casa di Reclusione di Spoleto Puglia: carceri e Cie sono “bombe sanitarie”, rischi altissimi per la diffusione di epidemie La Repubblica, 27 ottobre 2011 La soluzione sarebbe decongestionarli, aumentare il personale e dare la possibilità anche ai medici di entrare più spesso. “Il rischio sanitario nei penitenziari e nei Cie pugliesi è altissimo. Stiamo parlando di vere e proprie bombe epidemiologiche pronte a esplodere”. Non usa mezzi termini Michele Quarto, direttore della unità operativa di igiene del policlinico di Bari, per descrivere la situazione sanitaria nelle carceri pugliesi, bandiera nera in Italia: 4.500 detenuti a fronte di una capienza carceraria pari a 2.500 posti. Professore, perché questo allarme? “L’allarme non lo lancio solo io, ma soprattutto i medici penitenziari. Io parlo di esplosioni anche sul piano sociale. Senza dubbio il problema maggiore è causato dal sovraffollamento. Considerando anche che si trascorrono 22 ore su 24 nella stessa cella. Senza dimenticare che più del 30 per cento sono tossicodipendenti, oltre il 50 per cento stranieri. Persone con un disagio sociale molto forte. Mancano i generi di prima necessità. Non ci sono rotoli di carta igienica, né vestiti o materiali essenziali all’igiene”. C’è una malattia più pericolosa per la popolazione carceraria? “Senza dubbio la tubercolosi, un paradigma delle altre malattie infettive. Buona parte dei malati di Aids contrae anche la Tbc, duplicando un problema che richiede un’assistenza sanitaria non sempre possibile nelle carceri italiane. Ma sono molto presenti anche casi di sifilide e scabbia. Spesso il detenuto che ha contratto una malattia infettiva non completa la cura, ma rimane in cella con altri detenuti. Ciò porta alla diffusione di ceppi difficili da debellare e resistenti ai farmaci”. Lo scenario peggiore? “La diffusione all’esterno di queste malattie. Le carceri e i Cie, dove la situazione è anche peggiore, sono dei potenziali centri di diffusione interna e esterna di malattie. Su questo aspetto c’è una scarsa attenzione da parte governativa, perché si tende a vedere il problema del sovraffollamento solo dal punto di vista giudiziario e non da quello sanitario”. Ci sono rimedi al problema? “Gli istituti penitenziari italiani sono una mortificazione della dignità umana. La soluzione sarebbe di decongestionarli, aumentare il personale e dare la possibilità anche ai medici degli ospedali pubblici di entrare più spesso nei penitenziari”. Tornano le malattie della povertà, è allarme Tubercolosi, scabbia e pidocchi, le cosiddette malattie della povertà, fanno la loro ricomparsa in Puglia. A rendere il quadro più fosco ci sono i dati sulla progressiva diffusione dell’Hiv fra i più giovani e la comparsa della febbre Dengue, malattia esotica sconosciuta alle nostre latitudini. È quanto emerge scorrendo gli ultimi dati dell’Osservatorio epidemiologico regionale, che monitora l’andamento delle malattie infettive sul territorio. In particolare si assiste a una rapida diffusione di scabbia (con un aumento dei casi da 44 a 66 nel giro degli ultimi tre anni) e pidocchi: cinquanta casi in più, dai 13 del 2007 ai 66 del 2010. Numeri molto sottostimati, dovuti alla vergogna sociale provocata da queste malattie. Secondo un calcolo non ufficiale ma più realistico sono centinaia i casi di scabbia e pidocchi segnalati in Puglia negli ultimi cinque anni. Con la crisi economica cresce il numero dei poveri e dei senza fissa dimora, come dimostrato dall’ultimo rapporto Caritas. In parallelo, i medici cominciano a segnalare l’aumento delle malattie storicamente legate alle classi sociali più deboli. Ma nel momento in cui in una comunità parte il contagio, gli effetti possono colpire tutti, come dimostrano i casi dei bambini contagiati al Policlinico Gemelli di Roma o alla scuola Da Vinci di Milano. Detenuti, senzatetto, immigrati, anziani sono i primi a essere colpiti. I più deboli, a causa della malnutrizione e di un sistema immunitario depresso. Negli ultimi quattro anni si assiste in Puglia a una lenta ma progressiva diffusione della tubercolosi, passata da 120 a 136 casi. Anche l’incidenza, che calcola la reale diffusione dell’infezione rispetto alla popolazione, è in aumento. Il cosiddetto “mal sottile” colpisce prevalentemente tutte le persone che vivono ai margini della società, in maggior proporzione gli immigrati: un dato quest’ultimo da prendere con le pinze: gli stranieri che arrivano sul nostro territorio sono definiti dai medici “i più forti tra i deboli”. In seguito, a causa della emarginazione che subiscono, il 15% di loro si ammala di Tbc nel primo anno di permanenza nel paese ospite e il 25% nel secondo anno. Inutile però cercare i colpevoli nel sistema sanitario o fra chi ha contratto il morbo. Se esiste un untore, questo è la povertà che colpisce italiani e immigrati senza alcuna discriminazione. In Puglia siamo sotto i dieci casi ogni centomila abitanti, una cifra che rappresenta lo spartiacque per definire una regione a basso livello di endemia. La tendenza, però, è in aumento. Il 2011 è stato anche l’anno dell’esordio di una malattia esotica mai comparsa in Puglia: si sono registrati cinque casi, tutti di importazione, di febbre “Dengue”. Si tratta di una malattia virale acuta trasmessa dalle zanzare del genere Aedes, ed è una delle principali malattie febbrili contratte da turisti che rientrano da Sud - est asiatico, Caraibi, America Latina e Africa. Non esiste un vaccino o una terapia specifica e nella forma più grave, quella emorragica, può degenerare fino alla morte. Attualmente non c’è allarme, ma “allerta continua” da parte dell’Osservatorio, soprattutto in previsione di una stabilizzazione della zanzara, vettore della malattia, nella nostra regione, come già successo per la zanzara tigre. Non sono per niente rassicuranti neanche gli ultimi dati sulla diffusione di Hiv. In Puglia si è passati dagli 83 casi del 2007 ai 142 del 2010. In quattro anni sono state identificate quasi cinquecento nuove infezioni. La via sessuale è la principale modalità di diffusione. Particolarmente colpiti risultano soprattutto gli omosessuali. Si assiste a una progressiva diffusione del virus, ma il fenomeno senza dubbio più pericoloso è la forte sottovalutazione del problema da parte dei più giovani. Parma: in via Burla 90 detenuti tossicodipendenti di Margherita Portelli www.gazzettadiparma.it, 27 ottobre 2011 C’è chi, in carcere, è rinchiuso in una doppia gabbia: quella tangibile della cella, e quella psichica (e spesso fisica) della dipendenza da droghe. I carcerati da sempre sono considerati una popolazione a rischio per quanto riguarda la tossicodipendenza. Alla fine degli anni Ottanta ci si era resi conto che un terzo dei reclusi, in Italia, aveva problemi di droga: questo, ovviamente, perché la dipendenza da sostanze facilita i comportamenti delinquenziali, e quindi l’incarcerazione. Ecco perché da tempo, anche a Parma, esiste l’”Equipe carcere”, un team multidisciplinare, afferente alla Sanità penitenziaria, preposto all’assistenza dei detenuti con problematiche di dipendenza, operante all’interno della casa di detenzione. Da poco ribattezzata Nart (Nucleo assistenziale riabilitazione tossicodipendenza), questa realtà opera all’interno delle mura carcerarie della nostra città dagli anni Novanta, assistendo, al momento attuale, circa 90 persone. Quasi tutti dipendenti da droga (solo una decina gli alcolisti), i detenuti in questione vengono seguiti da una squadra che comprende 3 psicologi e 2 educatori (a rotazione), un medico e un infermiere (a 30 ore), e un coordinatore. L’importanza di trasformare la detenzione in un momento utile a motivare il cambiamento, ce la spiega Paolo Volta, coordinatore del Nart e direttore del Programma di dipendenze patologiche dell’Ausl di Parma. E il paragone che utilizza, calza a pennello: “Se un fumatore si trova un’intera giornata forzatamente senza sigarette, quando finalmente alla sera riesce a procurarsele, non solo fuma, ma magari se ne accende 2 o 3, una dietro l’altra”. Ecco perché un tossicodipendente che finisce in carcere, e magari passa dei mesi senza assumere sostanze, non può considerarsi “fuori dal giro”, ma, anzi, si avvicina a un momento, quello del ritorno alla libertà, potenzialmente molto pericoloso, perché a rischio overdose. L’astinenza forzata della detenzione non ha valore se non è supportata da un percorso di ripresa nel quale si tenta di accompagnare il tossicomane alla coscienza e all’intenzione. “Esserne fuori non è una questione di tempo, ma di convinzione” puntualizza Volta. “Tra le persone che seguiamo c’è un forte turn - over, perché solitamente i tossicodipendenti si macchinano di reati minori, e in poco tempo vengono rimessi in libertà - continua. A Parma, poi, le percentuali sono più basse rispetto ad altre carceri, e questo si spiega con il fatto che nel nostro penitenziario ci sono i detenuti del 41 bis, che solitamente non sono dipendenti da sostanze, e vi è inoltre una sezione per paraplegici”. La presa in cura da parte dell’”Equipe carcere” comporta dei benefici per i detenuti: “L’articolo 94 prevede che un detenuto (dentro per reati non gravi) la cui tossicodipendenza sia stata accertata, nel momento in cui decide di sottoporsi al programma per la tossicodipendenza, possa essere affidato ai servizi sociali dai 3 ai 4 anni prima del compimento della pena - spiega Volta . Noi li accompagniamo in un percorso che prevede consulto psicologico e il coinvolgimento in diversi progetti riabilitativi, anche culturali o creativi”.Una volta erano perlopiù eroinomani, i carcerati tossicodipendenti, “oggi ci sono anche molti dipendenti da cocaina, una droga, però, la cui dipendenza reale è più difficile da certificare” dichiara. Tra quelli che in carcere si ritrovano lontani dalle sostanze, c’è chi fa di tutto per tentare “l’evasione mentale”: “Oltre al giro di psicofarmaci, diverse volte capita che alcune persone cerchino l’alterazione psichica inalando il contenuto delle bombole di gas - spiega il direttore - . Seguire queste persone non è di certo facile: quello che si vuole fare è dare il via a un percorso che, necessariamente, dovrà continuare anche una volta liberi, quando gli ex detenuti saranno seguiti dai singoli Sert territoriali”. Quando saranno - in altre parole - fuori da una delle due gabbie, chini alla ricerca della chiave per aprire anche l’altra. Lazio: carceri di Viterbo e Rieti specchio della disastrosa situazione della giustizia italiana di Angiolo Marroni (Garante dei diritti dei detenuti del Lazio) www.giustiziagiusta.info, 27 ottobre 2011 Sovraffollamento estremo, polizia penitenziaria con vuoti di organico paurosi, una ormai cronica carenza di mezzi sia finanziari che strutturali stanno rendendo, di fatto, inapplicabile quella funzione di recupero sociale del reo stabilita dalla Costituzione che dovrebbe essere alla base del nostro sistema giudiziario. Una situazione, questa, riscontrabile anche nelle 14 carceri della Regione Lazio e, a maggior ragione, per gli istituti di Viterbo e di Rieti. Dall’inizio dell’anno, al “Mammagialla” di Viterbo, le presenze sono oltre le 700 (l’ultima rilevazione è 726 reclusi), a fronte di 444 posti disponibili. All’interno della struttura si vive una situazione drammatica, aggravata dalla carenza di personale di polizia penitenziaria - in costante calo per mancanza di turn over, come denunciato dalle organizzazioni sindacali al Sindaco di Viterbo, al presidente della Provincia e al Prefetto - con centinaia di persone molto spesso prive della possibilità di usufruire di bisogni primari, con gravi rischi per la salute collettiva e per la sicurezza stessa di quanti frequentano e vivono il carcere. Nel capoluogo della Tuscia, a differenza di altre Province, manca anche quella rete di sostegno ai detenuti scarcerati e residenti, i collegamenti pubblici tra città e carcere sono quasi inesistenti. I parenti dei reclusi arrivano in una landa desolata esposti, per ore, al caldo e al freddo, senza un bar e senza alcun tipo di servizio. In questo contesto, il carcere è rimasto a lungo senza direttore, essendo stato il precedente trasferito al Dap che, invece di trovare una soluzione definitiva, ha incaricato per mesi la dirigente del carcere di Civitavecchia di coprire anche il vuoto lasciato a Viterbo. L’elevato numero dei detenuti e la penuria di risorse hanno causato il peggioramento delle condizioni di vita dei detenuti per la scarsità di attività ricreative, formative, scolastiche e lavorative, e l’appesantimento dei ritmi e della qualità del lavoro per il personale di custodia e per quello sanitario, educativo e amministrativo. Per quanto riguarda la sanità, c’è stato un brusco decadimento delle attività: le liste d’attesa si sono allungate dato che i medici hanno a disposizione poche ore rispetto ai pazienti. L’èquipe maxillo - facciale per ora garantisce le visite, ma per le protesi bisognerà attendere l’erogazione dei fondi. Il SERT, presente con due psicologi, incontra serie difficoltà a seguire i detenuti tossicodipendenti e a selezionare quelli da inserire nelle comunità. Il reparto di Medicina protetta dell’ospedale “Belcolle”, molto efficiente dal punto di vista medico - sanitario, ha grossi problemi di vivibilità visto che i pazienti non hanno la possibilità di socializzare, di telefonare a familiari e avvocati, di avere momenti di svago. Un capitolo a parte è legato ai 250 detenuti da sottoporre a grande e grandissima sorveglianza per problemi psichici. I frequenti tentati suicidi, i gesti di autolesionismo, gli scioperi della fame e l’aumento di spesa per gli psicofarmaci inducono a pensare che l’Istituto, per le sue caratteristiche, non è il più adatto per accogliere detenuti con gravi disturbi psichiatrici o sanitari. Proprio per quanto riguarda la sanità, un recente incontro con il Direttore Generale della Asl Viterbese Adolfo Pipino ha consentito di fare il punto sulle problematiche più urgenti e di adottare alcune importanti iniziative, come l’aumento delle ore di servizio per la salute mentale e per gli specialisti in infettivologia, mentre per l’odontoiatria sociale sarà presto possibile riprendere la fornitura delle protesi dentarie. È stata inoltre decisa la stabilizzazione di tre medici. Per quanto riguarda l’istruzione, il Garante ha avviato l’iter per l’attivazione, in carcere, per il 2012/2013, di un corso di scuola media superiore, indirizzo ragioneria, per completare l’offerta scolastica al momento limitata alla scuola dell’obbligo. Un quadro, questo, già di per se problematico ed ora aggravato dall’emergenza dell’acqua ad alto contenuto di arsenico. Una situazione che ha costretto il Comune ad installare distributori pubblici di acqua depurata, Una soluzione, però, non attuabile in carcere, dove i detenuti sono costretti o a bere l’acqua che esce dai rubinetti o a pagare di tasca propria bottiglie di acqua minerale per bere e cucinare. Un sacrificio troppo grande per gente che, spesso, non ha soldi neanche per i francobolli. Il carcere di Rieti Nuovo Complesso presenta, invece, delle problematiche che sfiorano il paradosso. La struttura, inaugurata, il 24 ottobre 2009, si estende su un’area di 60.000 metri quadrati, ed ha le carte in regola per essere un istituto all’avanguardia visti gli spazi interni ed esterni destinati ad accogliere 306 detenuti comuni e di alta sicurezza, ma anche idonei per attività di formazione scolastica, professionale e trattamentale. Ma, a causa della carenza di personale di Polizia Penitenziaria e Sanitario, è stato aperto solo uno dei due padiglioni detentivi, che potrebbe ospitare 75 ristretti, ma che è già sovraffollato da 138 detenuti. I reclusi sono stipati in celle singole o doppie che contengono 4 persone ognuna, comprese sei celle di isolamento e il sovraffollamento ha reso necessario utilizzare anche alcune camere di isolamento come celle di detenzione. In questo contesto, le attività di trattamento sono molto limitate e si svolgono nelle tre aule scelte per la didattica e in una stanza, in origine adibita ai colloqui con gli operatori, che attualmente funge anche da biblioteca. Il teatro è stato aperto solo qualche mese fa grazie ad un finanziamento del Garante dei detenuti che ha consentito di acquistare il sipario e le quinte. Dal punto di vista sanitario, la Regione ha dotato il Centro Clinico di tutte le attrezzature, gabinetto odontoiatrico, oculistico e per le patologie cardiopatiche, tuttavia la Asl ancora non ha organizzato il servizio interno e le prestazioni sanitarie vengono effettuate direttamente nell’ospedale di Rieti. Il nostro impegno ha consentito che almeno fossero attivate le visite dell’odonto-ambulanza, in grado di garantire la cura delle patologie del cavo orale. Firenze: il dramma “ciclico” di Sollicciano… di nuovo oltre i 1.000 detenuti In Toscana, 27 ottobre 2011 In Consiglio provinciale la risposta dell’assessore alla Legalità Antonella Coniglio ai consiglieri provinciali di Rifondazione comunista. La gravissima situazione di sovraffollamento nel penitenziario fiorentino risponde a una ciclicità, con un picco massimo nei mesi di ottobre e novembre di 1.030 detenuti. Lo stesso dato si riscontra nel 2010. Frequenza che è poi caduta nei mesi di luglio a un numero di 835 detenuti. Il flusso dei detenuti, ha spiegato l’assessore provinciale alla Legalità Antonella Coniglio rispondendo a una domanda d’attualità dei consiglieri provinciali di Rifondazione comunista, dipende da decisioni nazionali: le autorità regionali possono spostare i detenuti nei diversi penitenziari solo sulla base di alcune tipologie di reato. Al momento, per esempio, è stata chiesa una mobilità per circa venti detenuti. Sullo sfondo la drammatica carenza di personale. “A noi interessa molto mettere in luce la protesta del garante dei detenuti Corleone per far rispettare i diritti dei detenuti come anche del personale - commenta Andrea Calò per Rifondazione - Il sovraffollamento e la mancanza di agenti costituiscono un mix inaccettabile. Esprimiamo perciò solidarietà al garante dei diritti dei detenuti e chiediamo all’Amministrazione provinciale di fare quadrato con le altre Istituzioni per dare sbocchi positivi a questa situazione”. L’associazione radicale “Andrea Tamburi”: lo Stato continua a delinquere “Il carcere di Sollicciano, per l’ennesima volta nell’ultimo anno, si è attestato come uno dei carceri più illegali del territorio nazionale. Infatti nelle ultime due settimane, la criminalità dello Stato italiano si è accentuata all’ interno dell’istituto penitenziario fiorentino: prima la mancanza per 72 ore del carburante necessario ai veicoli del “Nucleo Traduzioni” della Polizia Penitenziaria, poi il focolare di zecche di piccione all’interno delle celle, la popolazione carceraria che ha superato quota mille detenuti (con una capienza massima di 447) ed oggi il problema della carenza di risorse per il riscaldamento. Prosegue - continua la nota dell’ associazione radicale - la costante violazione dei diritti umani più elementari nei confronti dei detenuti: stipati all’interno di piccole celle all’interno di edifici fatiscenti, dove lo spazio vitale è ridotto al minimo. “Negando il provvedimento necessario di amnistia al Senato - dichiara il vice - segretario Maurizio Buzzegoli - si è solo peggiorata una situazione già insostenibile e indegna per un Paese democratico; anziché liberarlo da questo patente stato di illegalità, lontano da ogni forma di diritto, si è preferito mantenere la disumanità del sistema penitenziario italiano, sistema senza legge né giustizia. Prendiamo atto che le forze politiche, attanagliate nella morsa giustizialista di qualche partito, hanno ignorato le parole del 28 luglio scorso del Presidente della Repubblica che poneva il problema delle carceri italiane come problema di “prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Torino: 30 progetti di studenti per il logo del “Polo produttivo”, sette le cooperative coinvolte Adnkronos, 27 ottobre 2011 Nasce il “Polo produttivo Carcere di Torino” con l’obiettivo di far diventare sempre di più il Carcere luogo di rieducazione e riabilitazione, anche attraverso lo sviluppo di iniziative imprenditoriali che coinvolgano le persone in esecuzione penale. Per l’occasione gli studenti del corso di Design per la Comunicazione del Politecnico piemontese, hanno elaborato 30 progetti per il logo e l’immagine coordinata del nuovo Polo, basati sul significato del lavoro carcerario. Da domani e fino al 13 novembre i 30 progetti potranno essere votati dai cittadini sul sito www.uncarcereallavoro.it. scegliendo con un click il logo preferito. Nello stesso periodo un video promozionale, volto a pubblicizzare il concorso e a promuovere la votazione on line dei cittadini, sarà proiettato sui monitor Gtt della metropolitana. Il logo che avrà ricevuto il maggior numero di voti on - line verrà selezionato e premiato come vincente il 18 novembre. Per Paolo Tamborrini, coordinatore scientifico dell’iniziativa, si tratta di “un’esperienza formativa importante che incide anche sulla crescita personale degli studenti”. Il progetto del Polo produttivo è sostenuto e promosso dal Comune e dalla Direzione della Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” nell’ambito di una collaborazione pluriennale con il mondo delle imprese per favorire e implementare le attività produttive all’interno del carcere. Le 7 Cooperative sociali attualmente operanti all’interno della casa circondariale torinese (Liberamensa, Ergonauti, Eta Beta, Extraliberi, Papili factory, Pausa Cafè, Punto a capo) hanno scelto, attraverso la stipula di un protocollo con la direzione carceraria, una gestione unica e coordinata per ottimizzare le attività promosse. “Tra i settori di attività - spiega il direttore dell’Istituto, Pietro Buffa - catering, imputazione e archiviazione dati, torrefazione di caffè e cacao, produzione di arredo urbano e sartoria” e a breve vorremmo aggiungere nuove attività e commercializzare sempre di più i prodotti realizzati che sono di alto livello. La creazione di “veri posti di lavoro” secondo il vice sindaco Tom De Alessandri aiuterà anche “a superare concettualmente “il muro” e vedere il carcere inserito a tutti gli effetti nel sistema - città”. Rossomando (Pd): Polo produttivo segnale positivo “Un segnale positivo di come possa e debba essere affrontato il tema dell’esecuzione della pena e della sua effettività e funzione rieducativa”. Con queste parole Anna Rossomando, deputata piemontese del Partito Democratico e componente della Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati, commenta in una nota il progetto “Polo produttivo Carcere di Torino”, promosso dal Comune e dalla Direzione della Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno”, nell’ambito di una collaborazione pluriennale con il mondo delle imprese. “Oggi gli istituti penitenziari non possono essere considerati come separati dalle comunità e dai territori in cui si trovano - ha proseguito la Rossomando - per questo è più che mai utile ed importante il ruolo che gli enti locali possono esercitare anche come riferimento con chi opera a vario titolo nel settore produttivo. Solo un progetto che offra un ponte tra un passato di devianza e un futuro di cittadinanza responsabile può affrontare seriamente il tema della sicurezza di tutti i cittadini”. Rieti: Lisiapp; manca personale, metà carcere è inutilizzato e l’altra metà sovraffollato Comunicato stampa, 27 ottobre 2011 “Il carcere di Rieti Nuovo Complesso presenta, delle problematiche che sfiorano il paradosso. La struttura, inaugurata, il 24 ottobre 2009, si estende su un’area di 60.000 metri quadrati, ed ha le carte in regola per essere un istituto all’avanguardia visti gli spazi interni ed esterni destinati ad accogliere 306 detenuti comuni e di alta sicurezza, ma anche idonei per attività di formazione scolastica, professionale e trattamentale”, è quanto afferma in una nota il segretario provinciale del Lisiapp (Libero sindacato appartenenti polizia penitenziaria) Emanuele Michetti. Inoltre, sottolinea il segretario Lisiapp, a causa della cronica carenza di personale di Polizia Penitenziaria, è stato aperto solo uno dei due padiglioni detentivi, che potrebbe ospitare 75 ristretti, ma che è già sovraffollato da 138 detenuti. I detenuti sono sistemati in celle singole o doppie che contengono 4 persone ognuna, comprese sei celle di isolamento e il sovraffollamento ha reso necessario utilizzare anche alcune camere di isolamento come celle di detenzione. “Il caso di Rieti è l’emblema della lontananza della politica e dell’amministrazione centrale dalla realtà - aggiunge il dott. Mirko Manna Segretario generale del Lisiapp. L’emergenza carceri in Italia si potrebbe affrontare cominciando col rendere pienamente operative le strutture esistenti e sotto utilizzate, usando i fondi altrimenti destinati alla costruzione di nuove carceri per reintegrare il personale che manca. Abbiamo perso due anni a discutere dei piani straordinari di edilizia carceraria e di project financing conclude Manna quando, invece, basterebbe molto meno per migliorare il sovraffollamento e la qualità della vita lavorative dei poliziotti”. Matera: l’Ageforma avvia tirocini formativi per detenuti www.basilicatanet.it, 27 ottobre 2011 Si è tenuto presso l’Ageforma di Matera il Tavolo tecnico operativo denominato “Chance-inclusione sociale e lavorativa”, parte del Progetto Inclusione sociale e lavorativa dei soggetti, adulti e minori, sottoposti a provvedimento dell’Autorità Giudiziaria nella Basilicata, per la fase relativa ai Tirocini formativo-lavorativi. L’attività progettuale, che ha riguardato la Formazione professionale degli utenti della casa circondariale di Matera con l’avvio dei tirocini formativi, è stata indirizzata a minori o adulti, sottoposti a provvedimenti restrittivi dell’autorità giudiziaria o ammessi a misure alternative alla detenzione. “Si è trattato al contempo - ha dichiarato il presidente Ageforma Nicola Trombetta - di un’azione svolta dall’agenzia con il preciso intento di fornire risposte ad una utenza troppo spesso posta ai margine delle attività della formazione professionale. All’isolamento fisico, dovuto alle misure di detenzione carceraria, va non di rado a sommarsi una distanza rispetto alle pratiche di inclusione sociale che questo specifico provvedimento ha mirato a colmare. I risultati conseguiti rincuorano ed indicano come l’azione di affiancamento degli enti, nel processo rieducativo proprio dell’istituto carcerario, è in grado di conseguire risultati di valore, per l’intera comunità. Di rilievo - ha sottolineato Trombetta - anche il buon esito di un tirocinio, che ha portato al collocamento lavorativo di un utente, in un’azienda del territorio”. La sinergia che ha consentito una simile iniziativa è stata riconosciuta dall’Assessore provinciale Salvatore Auletta, che ha ricordato tutta l’attenzione con cui la Provincia ed il Presidente Stella guarda a questa iniziativa: “Dobbiamo proseguire lungo questa strada, costruendo una sorta di rete dedicata, con la quale poter avere una continua bussola lungo questa azione; il coinvolgimento delle istituzioni - ha detto - risulterò centrale per la buona riuscita finale”. Livorno: la solidarietà oltre il muro, sabato i soci Coop organizzano una colletta per i detenuti www.greenreport.it, 27 ottobre 2011 Sabato 29 ottobre i soci Coop organizzano una colletta per i detenuti delle Sughere in nome della dignità umana. Coinvolte le associazioni di volontariato. La sezione soci Coop di Livorno organizza una raccolta straordinaria di generi non alimentari in favore dei detenuti della casa circondariale Le Sughere. Sabato 29 ottobre i clienti che faranno la spesa nei quattro supermercati Coop della città (“La Rosa” di Via Settembrini e gli InCoop di Via Mastacchi, Via Toscana e Via Anna Frank) saranno invitati ad acquistare prodotti specifici per venire incontro alla grave situazione igienico - sanitaria e al sovraffollamento del carcere labronico, caratterizzato anche dalle condizioni di precarietà e di estrema povertà dei detenuti. All’SOS delle Sughere hanno risposto anche alcune associazioni cittadine che collaboreranno alla raccolta di sabato: Arci, Banco di Solidarietà, Caritas, Cesdi, Comunità Sant’Egidio, Ufficio esecuzione penale esterna del Ministero di Giustizia, Commissione Pari Opportunità Comune di Livorno. L’iniziativa, chiamata “Un gesto di solidarietà oltre il muro”, è stata presentata stamani presso la saletta soci Coop di Via Settembrini da Marco Solimano - Garante dei diritti dei detenuti per il Comune di Livorno, Luigi Pini - Consigliere di amministrazione Unicoop Tirreno e Gabriella Cecchi - Vice presidente sezione soci Coop Livorno alla presenza di tutte le associazioni coinvolte. I prodotti da donare sono bagnoschiuma, shampoo, dentifrici, spazzolini da denti, detersivo per piatti, ciabatte per doccia, slip uomo, assorbenti femminili, buste da lettera, quaderni, carta igienica, rotoli carta da cucina. Da evitare invece prodotti spray e contenitori di vetro. Una lista che da sola lascia immaginare lo stato di degrado e di abbandono della popolazione carceraria. L’iniziativa segue la donazione avvenuta il 26 agosto scorso quando Unicoop Tirreno consegnò al carcere 800 confezioni di carta igienica, 600 dentifrici, 1000 spazzolini da denti per venire incontro a un’emergenza non più rimandabile. Con la colletta di sabato 29 ottobre Coop non fa una semplice donazione, ma mette in campo soci, clienti e dipendenti, chiamando a rinforzo tutte quelle associazioni cittadine attive che quotidianamente si occupano dei detenuti. Piacenza: il progetto Svep sulle carceri si aggiudica il premio “Solidalitas Innovation” Piacenza Sera, 27 ottobre 2011 Importante riconoscimento per Il Centro di Servizio per il Volontariato di Piacenza - Svep vincitore del Premio “Sodalitas Innovation” nella categoria Disagio ed Emarginazione Sociale. Il progetto dello Svep dal titolo “Sala d’attesa: sportello per per i familiari a colloquio” è stato premiato a Milano nella prestigiosa sede di Assolombarda da Beatrice Collarini di Corporate Responsability Edison. Hanno ritirato il premio il Presidente di Svep Giuseppe Pistone e la presidente dell’associazione “Oltre il muro” Valeria Viganò. Il progetto, redatto a quattro mani dalle piacentine Elisabetta Gazzola e Carla Chiappini e presentato da quest’ultima davanti a un folto pubblico di addetti ai lavori, prevede la costituzione di uno sportello di servizio ed accoglienza per le persone in visita ai circa 2200 detenuti delle carceri di Piacenza, Modena, Bologna e Forlì, offrendo informazioni sulla città sede del carcere e sulle regole per confezionare i pacchi cibo e vestiario in base alle norme di sicurezza vigenti. Siracusa: detenuto di “Alta Sicurezza” aggredisce due assistenti della Polizia penitenziaria Gazzetta del Sud, 27 ottobre 2011 Un ennesimo episodio di violenza si è registrato all’interno della casa di reclusione di contrada Piano Ippolito. Protagonista un detenuto della sezione “alta sicurezza” che, secondo quanto riferito dalle organizzazioni sindacali di categoria, ha aggredito e malmenato due assistenti capo che hanno riportato contusioni giudicate guaribili dai sanitari, in alcuni giorni. I sindacati ed in particolare: Fsa-Cnpp e Fnpp Ugl P.P., denunciando le gravi carenze più volte segnalate. Per Massimiliano Di Carlo, segretario provinciale della Fsa-Cnpp, “queste violenze si alimentano anche attraverso le difficili condizioni di detenzione determinate dal sovraffollamento della popolazione detenuta e le gravi condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari che operano sistematicamente a livelli minimi di sicurezza per le notevoli carenze di personale di Polizia e devono quindi fare fronte a carichi di lavoro particolarmente delicati e stressanti”. Particolarmente critica la consistenza degli organici di 210 unità a fronte delle 357 previste che devono peraltro assicurare turnazioni e vigilanza ad una popolazione carceraria più che triplicata, 700 detenuti rispetto ai 320 previsti. A ciò si devono aggiungere alcune carenze strutturali che i sindacati individuano nella cronica carenza d’acqua, locali fatiscenti che rendono inagibili alcuni reparti e carene igienico - sanitarie. “Tutti gli organi istituzionali sono a conoscenza delle gravissime problematiche - afferma Di Carlo - ma nessun intervento risolutivo è stato adottato. Ma questo non può in alcun modo giustificare le aggressioni e i ferimenti dei nostri colleghi a cui esprimo sentimenti di vicinanza e solidarietà”. Dello stesso avviso è anche Sebastiano Bongiovanni, componente del consiglio nazionale Fnpp Ugl P.P. che in merito dice: “Pretendiamo una pubblica e forte presa di posizione anche da parte della direzione della casa di reclusione; pretendiamo questa volta una sanzione esemplare prevista dalle norme vigenti per il detenuto colpevole di questo gravissimo gesto; pretendiamo rispetto per tutto il personale di Polizia Penitenziaria che ogni giorno rischia la vita con enormi sacrifici, in quanto da un pò di tempo anche qualche appartenente dell’amministrazione penitenziaria in servizio presso la casa di reclusione di Augusta pensa di essere al di sopra delle parti e chi deve pagare deve essere solo ed esclusivamente l’agente di polizia penitenziaria”. Il comunicato del Garante Salve Fleres Il Sen. Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti, a seguito dell’aggressione subita da due assistenti capo di Polizia Penitenziaria ad Augusta ha rilasciato la seguente dichiarazione: “La situazione nelle carceri siciliane è ormai al collasso, il sovraffollamento, la carenza di personale di Polizia Penitenziaria e quanto più volte e da più parti denunciato, sono un mix esplosivo che poi sfocia o in atti di autolesionismo, nella migliore delle tristi ipotesi, o in aggressioni ai danni degli operatori della Polizia Penitenziaria. Peraltro, proprio dal carcere di Augusta si erano di recente sollevate lamentele relative alla carenza di organico, problematica che stenta ad essere risolta né si intravedono ipotesi di revisione ed aggiornamento della pianta organica orami datata. Fermo restando che ho già chiesto notizie alla Direzione del Carcere, agli operatori di Polizia Penitenziaria coinvolti nell’incidente, va tutta la mia solidarietà e i migliori auguri di una pronta guarigione. Ai reclusi, che vivono condizioni di forte disagio legate all’insopportabile sovraffollamento, rivolgo, invece, l’invito a non compiere atti di violenza su se stessi o su terzi ed a confidare sull’azione che, da più parti, si sta compiendo per migliorare la drammatica situazione penitenziaria italiana”. Agrigento: “Pedagogicamente” propone l’istituzione del Garante dei diritti dei detenuti La Sicilia, 27 ottobre 2011 Il centro studi di alta formazione e ricerca “Pedagogicamente”, di Sciacca, ha proposto al Presidente della Provincia regionale di Agrigento l’istituzione del “Garante dei diritti dei detenuti”. Si tratta di una figura che molte altre province italiane hanno già istituito e che rappresenta un organo di garanzia per la tutela delle persone private o limitate della libertà personale. Questa figura, con diverse denominazioni, funzioni e procedure di nomina, è presente in 22 paesi dell’Unione europea e nella Confederazione Elvetica. In Italia non è ancora stata istituita la figura di un garante nazionale per i diritti dei detenuti, ma esistono garanti regionali, provinciali e comunali. Il presidente D’Orsi ha già ricevuto il direttore del centro studi, Antonello Nicosia, che ha prospettato il progetto e il lavoro che il garante svolge nell’interesse dei detenuti e nello stesso tempo contribuisce alla risoluzione degli innumerevoli problemi che all’interno di quelle mura spesso purtroppo sfociano in terribili suicidi. “L’articolo 27 della Costituzione italiana è chiarissimo - dice Nicosia - le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. In provincia di Agrigento - continua - ci sono circa 650 detenuti ristretti nelle carceri di Agrigento e Sciacca che non vivono in condizioni adeguate. Gli stessi operatori di polizia penitenziaria - aggiunge - denunciano le pessime condizioni di vita carceraria. Il carcere di Agrigento ha urgente bisogno di essere ristrutturato, nelle celle di 8 mq a causa del sovraffollamento vivono 3 a volte anche 4 persone non ci sono ancora le docce e l’acqua calda. A Sciacca da anni il direttore denuncia le condizioni di degrado della struttura”. Roma: Antigone; domani la presentazione dell’VIII Rapporto sulle condizioni di detenzione Ristretti Orizzonti, 27 ottobre 2011 “Le Prigioni Malate”, presentazione dell’VIII Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia. Roma, 28 ottobre 2011, ore 10.30 - Salone dell’Editoria sociale - Spazio Porta futuro, Via Galvani 106 Sarà presente Franco Ionta (Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria). Interventi di: Rita Bernardini (Deputato Pd), Roberto Di Giovan Paolo (Senatore Pd, Presidente del Forum nazionale della salute in carcere), Fabio Evangelisti (Deputato Idv), Sandro Favi (Responsabile carceri Pd), Carlo Leoni (Responsabile giustizia Sel), Pietro Marcenaro (Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato), Leoluca Orlando (Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario della Camera), Flavia Perina (Deputato Fli), Giovanni Russo Spena (Responsabile giustizia Prc). L’ottava edizione del Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia è frutto del lavoro dell’Osservatorio di Antigone che da oltre quindici anni entra in tutti gli istituti di pena italiani per restituire una fotografia del sistema penitenziario. Dal primo rapporto, Il carcere trasparente, la filosofia di fondo del lavoro non è cambiata: nessun luogo pubblico deve mai rimanere oscuro, e tanto meno il carcere. Dai numeri alle cause del sovraffollamento, dai diritti negati ai detenuti alle riflessioni sull’edilizia penitenziaria, il Rapporto è uno strumento indispensabile per affrontare i problemi e farsi domande sul sistema carcerario, parte della società che non può essere ignorata. (info 0644363191 - 3395889039). “Le Prigioni Malate” a cura dell’Associazione Antigone (edizioni dell’Asino 2011) pp. 203, euro 15. Ascoli: “La voce oltre il muro”, la radio entra nella Casa circondariale di Marino del Tronto www.ilquotidiano.it, 27 ottobre 2011 “Radio Bravi Ragazzi, la voce oltre il muro” è la trasmissione radio realizzata dai detenuti della Casa circondariale di Marino del Tronto, risultato di un ciclo sperimentale di laboratori di radiofonia realizzato dall’Associazione culturale Radio Incredibile. “L’idea è quella di migliorare la convivenza negli istituti sviluppando le capacità comunicative ed espressive dei detenuti - spiegano i curatori del progetto - grazie alla simulazione di attività tipiche di una redazione radiofonica, dalla scrittura alla registrazione. Ognuno dei partecipanti è stimolato a mettersi in gioco attraverso il racconto del proprio vissuto individuale, ma anche attraverso la condivisione della propria cultura di origine, costruendo così un dialogo interculturale. L’esperienza rientra a pieno titolo nelle attività rieducative, e rappresenta quindi un’opportunità di crescita e formazione in vista del reinserimento in società”. Radio Incredibile è la web - radio nata nel centro di aggregazione giovanile DepArt di Grottammare: dall’area podcast del sito è possibile scaricare la prima puntata di “Radio Bravi Ragazzi”. Vicenza: “Hamlice”… i detenuti attori di Armando Punzo in viaggio da Shakespeare a Carroll www.nonsolocinema.com, 27 ottobre 2011 Da Amleto ad Alice nel paese delle meraviglie, in un viaggio di cui non si conosce la fine, attraverso l’immaginario letterario che in ogni tempo ha affrontato il tema della trasformazione: si apre con “Hamlice - Saggio sulla fine di una civiltà”, la decima edizione del progetto Laboratorio Olimpico che ha invitato sul palcoscenico del Teatro Olimpico di Vicenza il regista Armando Punzo e i detenuti attori della Compagnia della Fortezza del carcere di Volterra. Con un allestimento site specific appositamente pensato per gli spazi particolarissimi dell’Olimpico, “Hamlice” andrà in scena venerdì 28 ottobre alle 21; grazie alla collaborazione tra i promotori del Laboratorio Olimpico (direttore artistico Roberto Cuppone) - Accademia Olimpica e Comune di Vicenza - e La Piccionaia I Carrara Teatro Stabile di Innovazione, lo spettacolo costituirà contemporaneamente il primo appuntamento della nuova stagione del Teatro Astra di Vicenza, niente storie 2011 - 2012. Il giorno dopo, Laboratorio Olimpico proseguirà con un incontro con il regista, artisti, docenti e associazioni. Con un cast di 25 attori, e una macchina organizzativa che ha mosso complessivamente 52 persone, lo spettacolo si preannuncia un evento unico per la città: grazie alla capacità di andare oltre la drammaturgia tradizionale, il lavoro della compagnia, guidato da più di vent’anni da Armando Punzo, è divenuto infatti esempio di successo artistico riconosciuto a livello internazionale con premi tra i più ambiti del settore (tra gli altri, cinque Premi Ubu e il Premio Europa). “Hamlice - Saggio sulla fine di una civiltà” propone un percorso che parte dalla tragedia del potere di William Shakespeare e arriva all’anarchia di Lewis Carroll. Il lavoro affronta il tema della trasformazione, intesa come possibilità di sottrarsi a un ruolo che sembra definito per sempre. I personaggi di Shakespeare incarnano la volontà forte di liberarsi del proprio ruolo e attraversare “un’altra storia”: e il richiamo ai detenuti di questa Compagnia, che trovano nel tema dell’esistenza negata il centro della loro quotidianità, diventa lampante. La Compagnia della Fortezza si configura infatti come un progetto di “teatro necessario”, sviluppato per dare l’opportunità ad alcuni detenuti di costruire una carriera artistica all’interno di quella porzione della società che si sviluppa in carcere: e proprio per approfondire le specificità di questa realtà artistica, il giorno dopo lo spettacolo, sabato 29 ottobre (ore 10), il Laboratorio Olimpico propone un incontro con Armando Punzo sul tema “Per un Teatro Stabile in carcere”. All’incontro, programmato all’Odeo del Teatro Olimpico di Vicenza, parteciperanno Massimo Marino (Università di Bologna) e due esponenti della scena teatrale contemporanea veneta: Michele Sambin per Tam Teatro di Padova ed Enrico Castellani di Babilonia Teatri (Verona). L’incontro coinvolgerà anche la Consulta per le problematiche penitenziarie, con la partecipazione di Federica Berti, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, oltre alle associazioni della città: interverranno infatti anche Andrea Moroni (Ctp Vicenza est), Davide Bellarte (Progetto Jonathan) e Massimo Cassan (Lembo del Mantello - Caritas Vicenza). I biglietti per “Hamlice. Saggio sulla fine di una civiltà” (15 euro intero, 13 ridotto) sono acquistabili presso il botteghino del Teatro Olimpico dalle 20 della sera di spettacolo; oppure, in prevendita, all’Ufficio Teatro Astra dal martedì al venerdì dalle 9.30 alle 13 e dalle 15 alle 18; mercoledì fino alle ore 19. L’ingresso all’incontro è libero. Mondo: 3mila italiani detenuti all’estero, i Consolati fanno quel che possono, ma mancano risorse di Alessandro Cavallini Secolo d’Italia, 27 ottobre 2011 Lo scorso 3 ottobre la Corte d’Assise di Perugia ha assolto Amanda Knox e Raffaele Sollecito, condannati in primo grado rispettivamente a 26 e 25 anni di detenzione, dall’accusa di aver ucciso la studentessa inglese Meredith Kercher. Il processo ha avuto una vasta eco mediatica, soprattutto per il fatto che uno dei due imputati fosse un cittadino statunitense. I giornali americani, dopo queste sentenza, hanno attaccato la giustizia italiana, rea ai loro occhi di aver tenuto in galera per ben 4 anni due ragazzi ora giudicati innocenti. Ma nessuno ha ricordato i numerosi casi di cittadini italiani detenuti ingiustamente all’estero, c’è una sorta di oblio. I numeri, però, a parlare chiaro: nelle prigioni all’estero sono detenuti ben 2905 cittadini italiani, di questi 1400 si trovano in Germania e 400 negli Stati Uniti, molti dei quali (975) ancora in attesa di giudizio. Sono le singole storie a far rabbrividire, come quella di Luciano Vulcano, detenuto nelle carceri della Repubblica Dominicana da più di un anno, cioè ben oltre l’anno di detenzione preventiva prevista dalla normativa locale. Nonostante gli interventi dell’ambasciatore italiano, il processo continua a essere rinviato per i motivi più assurdi, come l’assenza di traduttori. L’accusa nei confronti di Vulcano è molto grave, rapina a mano armata, anche se i testimoni si sono contraddetti più volte tra di loro, non riuscendo nemmeno a mettersi d’accorso sui vestiti indossati quel giorno da Vulcano. Senza dimenticare le numerose anomalie procedurali: la polizia ha dichiarato di aver fermato Vulcano durante un controllo in corso Duarte, ma lui in quel momento stava effettuando un’operazione bancaria in una filiale del Banreserva, come facilmente documentabile; hanno poi affermato che Vulcano fosse armato, ma la pistola che di solito portava per motivi di sicurezza è stata trovata nella sua camera d’albergo durante la perquisizione successiva al suo fermo; infine, il suo arresto è avvenuto senza regolare mandato né autorizzazione di alcun giudice. Un vero e proprio incubo, di cui non si intravede ancora la fine. Uguale trattamento riservato anche ad Ambrogio Semeghini, anch’egli detenuto nelle carceri dominicane con l’accusa di omicidio. Nel suo caso la situazione è ancor più drammatica, a causa delle sue gravi condizioni di salute. Semeghini dovrebbe sottoporsi a una biopsia, a causa di un tumore alle corde vocali, ma la Repubblica Dominicana, che in base agli accordi bilaterali con l’Italia dovrebbe sostenere tutte le spese dei detenuti italiani presenti sul proprio territorio, non è in grado di effettuarla. Abbiamo anche il caso di N. M., per il quale l’ambasciata italiana non è riuscita nemmeno a entrare in possesso delle carte processuali. Anche in questo caso la detenzione è aggravata dalle pessime condizioni di salute del nostro concittadino: continua necessità di medicine a causa di due precedenti infarti, ma le spese dovrebbero essere completamente a suo carico, dato che la ridicola diaria giornaliera che passa la Repubblica Dominicana basta a mala pena per mangiare poco cibo e bere dell’acqua potabile. Una vera e propria condizione detentiva disumana. Queste brutali situazioni avvengono anche nel mondo “civilizzato”, ad esempio gli Stati Uniti. Pensiamo al caso di Carlo Parlanti, l’ingegnere informatico arrestato nel 2004 a Duesseldorf per poi essere estradato negli States, dove aveva lavorato per sei anni. Anche in questo caso le accuse sono molto pesanti: sequestro di persona, violenza domestica e violenza sessuale. L’accusatrice è una donna più grande di lui, con cui aveva instaurato una breve relazione prima di tornarsene in Europa. Nonostante un processo contradditorio, in cui la presunta vittima ha cambiato versione più volte, e con prove quanto meno poco attendibili (alcune foto erano palesemente false, la denuncia di stupro è stata presentata ben 21 giorni dopo la presunta violenza, non vi erano test medici idonei a verificare quanto realmente accaduto), alla fine la giuria popolare ha deciso per una condanna di nove anni. Adesso Parlanti si trova rinchiuso nel carcere di Avenal, in California, con poche speranze anche su un eventuale giudizio di appello, a causa degli ingenti costi di difesa del sistema americano. In tutti questi casi, i detenuti italiani possono sperare unicamente nell’assistenza delle nostre autorità diplomatiche presenti all’estero. Come ricordato il febbraio scorso dal sottosegretario Alfredo Mantica, a seguito di un’interrogazione dell’onorevole Marco Zacchera del Pdl, gli interventi a favore dei detenuti italiani sono numerosi: visite consolari; l’indicazione di un legale; la collaborazione con le autorità competenti per il trasferimento in Italia, qualora il connazionale sia detenuto in Paesi aderenti alla Convenzione di Strasburgo sul trasferimento dei detenuti o ad accordi bilaterali ad hoc; l’intervento in casi particolari per sostenere domande di grazia per ragioni umanitarie. Tutti interventi, però, che richiedono dei costi. E nell’attuale crisi economica non sempre si riescono a garantire. Così i nostri connazionali si trovano rinchiusi in carcere senza alcun aiuto dall’esterno, con la triste possibilità di non riveder mai più il Belpaese. Somalia: bambini detenuti e processati, anche per reati minori, insieme agli adulti Agenzia Fides, 27 ottobre 2011 Gli attivisti per i diritti dei minori sono preoccupati per il ristagno di una legge sulla giustizia minorile nell’autoproclamata Repubblica indipendente somala del Somaliland, dove si stima che circa 200 bambini vengano arrestati ogni mese dalla polizia. Secondo un gruppo di attivisti a favore dei bambini di Hargeisa, i minori sono regolarmente detenuti per crimini minori e finiscono per dividere le prigioni con gli adulti perché non esistono centri di riabilitazione né carceri per bambini. In Somaliland nel 2007 è stata approvata una legge sulla giustizia minorile, ma ancora non è stata messa in atto a causa di vincoli economici e della scarsa conoscenza della materia legale da parte dei responsabili delle istituzioni e del loro staff. La legge prevede la perseguibilità penale dall’età di 15 anni, e richiede che i provvedimenti siano proporzionati alle circostanze del bambino e alla gravità del reato. Limita la condanna massima a 15 anni e vieta sanzioni corporali, ergastolo e pena di morte. Tuttavia, secondo uno studio condotto ad agosto dal ministero per la giustizia del Somaliland, in media solo il 5% dei 200 bambini detenuti ogni mese viene processato in tribunale; spesso sono arrestati e liberati arbitrariamente. Nel periodo dell’inchiesta, 104 bambini erano detenuti per reati come furto, possesso di droghe illegali e stupro, il 10% erano femmine. Il 59% di tutti i bambini detenuti sono stati condannati dai tribunali principalmente per stupro, possesso di droga e reati minori, mentre il restante 41% sono stati rinviati a giudizio. Nel corso del processo, si è appreso che il 46% dei condannati è stato sottoposto a detenzione arbitraria. Tradizionalmente, le cause penali contro i minori in Somaliland sono trattate dagli anziani del clan, con il clan che si assume il crimine e non il bambino. La legge del 2007 mira a tutelare i diritti dei bambini secondo la legge internazionale sui diritti umani. Francia: troppo elevato il rischio di contrarre malattie infettive, le carceri sono fuorilegge Galileo, 27 ottobre 2011 Nel caso specifico non si tratta del regime di detenzione, quanto dell’elevato rischio di contrarre una malattia infettiva. Uno studio pubblicato dell’Istituto di Sorveglianza del Ministero della Sanità mette in evidenza come i penitenziari d’Oltralpe scontino un deficit importante nell’applicazione delle misure di prevenzione di patologie come epatiti e Hiv. Le mancanze potrebbero essere definite di base se si pensa che in molte prigione scarseggiano addirittura i preservativi. Senza contare poi che, riguardo ad un tema delicato eppure importante come la tossicodipendenza, solo il 27% delle strutture osserva le raccomandazioni dell’Oms per l’erogazione della terapia sostitutiva degli oppiacei. Gravi lacune anche nell’informazione che i detenuti ricevono. La metà, infatti, non è al corrente della possibilità di utilizzare, per ridurre le possibilità di avere contratto l’Aids, un trattamento post-esposizione. Alla luce dei fatti, in Francia, la ridefinizione di una politica di cura e prevenzione in un luogo come il carcere sembra essere prioritaria. Egitto: opposizione contesta accordo con israele su scambio detenuti Aki, 27 ottobre 2011 L’opposizione egiziana ha contestato l’accordo raggiunto dal Consiglio supremo delle Forze Armate con Israele sullo scambio dei detenuti dicendo che non ha soddisfatto le aspettative. “Questo accordo è ingiusto”, ha detto Khaled Arafat, membro del partito Karama a Taba, nel sud della Penisola del Sinai, dove il cittadino israelo-statunitense Ilan Grapel verrà consegnato alle autorità dello Stato ebraico. “Lo scambio doveva includere tutti gli 81 detenuti egiziani che si trovano nelle carceri israeliane”, ha detto Arafat all’agenzia di stampa Dpa. Sono invece 25 i prigionieri egiziani, tra cui tre minori, che verranno liberati oggi in cambio di Grapel, detenuto in Egitto da giugno con l’accusa di spionaggio. Ashraf al-Hefni, esponente politico dell’opposizione egiziana nella Penisola del Sinai, ha definito l’accordo fallimentare. “È fallimentare perché non include i detenuti politici o coloro che sono stati catturati per aver combattuto l’occupazione israeliana del Sinaì dal 1967 al 1973, ha detto. “Gli egiziani che hanno negoziato questo accordo avrebbero dovuto tenere questo (aspetto, ndr) in considerazione”, ha aggiunto.