Giustizia: Cucchi e le morti bianche… “vogliono farci credere che è stato per colpa loro” di Salvatore Maria Righi L’Unità, 26 ottobre 2011 “L’idea di fondo è che la vita dei singoli va sacrificata a un interesse collettivo”. L’avvocato Anselmo che rappresenta le famiglie delle vittime contro lo Stato. Patrizia piange e nonostante ci provi e ci riprovi, proprio non riesce a parlare, per un dolore testualmente “incommensurabile” che le strozza la gola. Un dolore, aggiunge, “che si accumula e diventa troppo da sopportare, un dolore che non dovrebbe sentirlo nessuno”. Lucia preferisce non dire nulla, con un sorriso amaro dice no, grazie. Poi tocca a Domenica che a malapena pronuncia qualche parola a bassa voce, e poi si interrompe. Parla Ilaria, parla per tutte le mamme, le sorelle e le figlie - diventate una fila intera, sedute una accanto all’altra, ed è questo che raggela il sangue più di tutto - di chi è morto di morte bianca, senza motivo ma con tanti sospetti, tra caserme, ospedali e posti di blocco, dove pure di norma ci sono tanti, tantissimi servitori dello Stato che lo Stato manda allo sbaraglio per pochi euro e con ancora meno benzina nel serbatoio. Aldrovandi, Uva, Ferrulli, Cucchi, più tutti gli altri casi simbolicamente presenti qui a San Lorenzo, Roma, in un teatro che ascolta in silenzio, nella pancia di un quartiere che vuole bene, a quelle donne piene di dignità e di rabbia, unite da un filo atroce: “Loro sono le mie amiche, le mie sorelle, sentiamo lo stesso dolore e non chiediamo altro che la verità” dice Ilaria Cucchi a nome di tutte. Ma, appunto, è sempre più difficile raccontare quello che lei, Patrizia Moretti, Lucia Uva e Domenica Ferrulli vanno ripetendo da mesi, o da anni, per parlare di chi manca all’appello, Stefano, Federico, Giuseppe, Michele. Per mostrare a tutti la collana di parole e di foto, così hanno ridotto mio fratello, questo era mio figlio, che è sempre più difficile da portare. Nemmeno questo, a dire il vero, nel caso di Niki Aprile Gatti, 26enne che viveva a San Marino ed è stato arrestato il 19 giugno 2008 con l’accusa di truffa informatica, un ragazzo risucchiato nella colossale e nebulosa vicenda Telekom Sparkle-Fastweb: cinque giorni dopo viene ritrovato cadavere, ufficialmente per suicidio, nel carcere di massima sicurezza di Sollicciano, a Firenze. Di Niki non è rimasta nemmeno una foto del cadavere, e il suo appartamento fu ripulito da cima a fondo poco dopo la sua morte da ladri piuttosto strani. Poi tocca a Fabio Anselmo, l’avvocato che suo malgrado è diventato il collante di tutte queste storie, scoppiate dopo quella di Federico Aldrovandi che è stato un po’ come un tappo per una bottiglia troppo vivace. Il legale che ha portato o vuole portare in tribunale pezzi di Stato e pezzi di istituzioni. Invitato, anche lui, per il secondo anniversario della morte di Stefano Cucchi che - ricorda lui, scandendo le frasi e scegliendo le parole nel vocabolario dell’indignazione - per la giustizia italiana è ancora “un albanese senza fissa dimora”, quanto era scritto nell’ordinanza di custodia cautelare - poi convalidata - di quella maledetta sera di ottobre del 2009. “Le Nazioni unite hanno formulato 92 raccomandazioni al nostro governo che ne ha respinte immediatamente 16, la prima delle quali riguardava l’uso della tortura. I nostri politici l’hanno rimandata indietro con la motivazione “da noi non serve”. L’avvocato entra poi nel cuore del problema che è anche il filo conduttore di tutti i fascicoli di cui si occupa, accomunati tecnicamente anche - spiega lui - dallo stesso modo di redigere le autopsie, gli atti, di descrivere le vittime come in preda ad atti autolesionistici. Parla a braccio, Anselmo, ma tocca tutti: “Il concetto che accomuna tutti questi processi è il tentativo che stanno facendo di far passare l’idea che chi è morto, in fondo ha avuto quello che si meritava. Questo vale per esempio per Stefano Cucchi che era maleducato e non è stato collaborativo, al processo in corso la gran parte del tempo la passiamo a parlare dei suoi difetti e lo scopo di tutto è metterli in luce insieme a quelli delle famiglie. Per Federico Aldrovandi che camminava alle cinque del mattino in un parco pubblico, e non doveva esserci, o per Michele Uva che ha avuto un passato da clochard e ha fatto una fine terribile, ma anche per Michele Ferrulli che come gli altri è morto per colpa sua. E questo perché si vuol far passare l’idea di fondo che la vita umana dei singoli vada sacrificata per qualche supremo interesse collettivo dello Stato o della giustizia. Vi parla uno che è considerato un somaro, perché il 70-80% delle mie istanze e delle mie domande viene respinto dalla corte”. Basta leggere uno dei resoconti di agenzia sulle udienze: “Stefano Cucchi agli infermieri si mostrò poco collaborativo, esile e si alimentava in modo discontinuo”. E ancora, nella testimonianza dell’infermiera Maria Giulia Masciarelli: “Aveva gli occhi lividi, ma non gli chiesi il perché. Non voleva fare terapia endovenosa e rifiutò la visita oculistica. Durante il giro letti, una collega gli domandò con chi potevamo parlare per fargli avere biancheria pulita, ma Cucchi rispose che non gli interessava nulla; disse di no anche quando gli proponemmo l’utilizzo di biancheria del reparto”. I “no grazie” di un ragazzo che era pieno di lividi e piuttosto malconcio possono suonare in tanti modi, in un’aula di tribunale, e secondo l’avvocato Anselmo il rintocco che hanno non ci porterà lontano. Lo scenario tratteggiato dall’avvocato non induce pensieri sereni: “È utile riflettere su queste problematiche perché riguardano i valori sociali e l’impostazione culturale della nostra giustizia. Tutte queste vittime sono state massacrate due volte, anche durante il processo, un po’ come succedeva negli anni 70 per i procedimenti per violenza carnale in cui le donne erano vittime e poi sotto accusa. Il fine ultimo ovviamente è scoraggiare la denuncia per questo tipo di reati in nome delle istituzioni, della giustizia e della sicurezza nostra e dei nostri figli. La rabbia di queste persone è anche la nostra rabbia. Ed è terribile questa dicotomia tra la giustizia e il popolo in nome del quale viene amministrata e che invece diventa una frusta sulla schiena di queste donne e di queste famiglie”. Da qui un appello che riguarda 1a società civile, ma non solo: “Abbiamo bisogno dell’attenzione dell’opinione pubblica perché lo scopo di fondo è fare in modo che la gente si disinteressi perché tutto cada nel dimenticatoio. Il gioco è questo. Per questo vogliono far passare molti anniversari come questo per Stefano Cucchi, prima di arrivare alla sentenza. Il mio pronostico, anche se ovviamente spero di sbagliarmi, è che queste persone saranno condannate in primo grado, per tacitare un po’ l’opinione pubblica, ma poi con l’appello e la Cassazione tutto cambierà e vedrete che magari Stefano resterà un morto per colpa medica”. C’è anche un altro aspetto che spinge il percorso delle famiglie, di Ilaria, Patrizia e delle altre donne, verso un imbuto molto stretto. “Questo tipo di processi costringe i privati, queste famiglie, a sopportare altissimi costi e quindi ad un peso economico molto rilevante dato dalle spese legali e processuali, unitamente all’estremo garantismo che in realtà è un bizantinismo dove il cittadino, in questo caso le vittime e le loro famiglie, non possono che venire spazzate via”. E come si fa a continuare ad avere fiducia nella giustizia e nei processi? “Ci vuole pazienza, tanta, e tanta fiducia, direi quasi una pazienza e una fiducia divina, teologica”. Giustizia: non occorrono nuove leggi per ristabilire l’ordine pubblico di Ennio Fortuna Il Gazzettino, 26 ottobre 2011 Personalmente sono convinto che il vero problema dell’ordine pubblico consista oggi, almeno da noi, nell’esasperata cultura garantista maturata nel corso degli ultimi anni. Una nuova legge limitativa dei diritti individuali e che, contemporaneamente, incrementi i controlli preventivi e successivi delle forze dell’ordine potrebbe forse rivelarsi utile, ma difficilmente sarebbe risolutiva. Un acuto e famoso giurista - filosofo piemontese precisava in una delle sue opere più riuscite che la democrazia consiste soprattutto in un saggio equilibrio di diritti e di doveri da parte di tutti, delle autorità come dei cittadini. Ma che, storicamente, i doveri precedono i diritti. Ma oggi si bada soprattutto a questi ultimi, poco o niente ai doveri, e le stesse autorità fanno enorme fatica a ricordare agli interessati che esistono anche i doveri, e che in caso di violazione o di inosservanza delle norme dovrebbero (uso di proposito il condizionale) essere applicate le relative sanzioni. Da qui le continue proteste, i cortei dei manifestanti e le violenze sempre più diffuse e, in definitiva, le stesse leggi sempre più garantiste. In questa ottica è certamente sbagliato prendersela solo o soprattutto con i giudici, che non farebbero fino in fondo il loro dovere, o con le forze dell’ordine che interverrebbero in ritardo e senza la necessaria energia. Gli uni e le altre fanno infatti parte dello stesso contesto. Tutto in realtà dipende dalla cultura che ho prima sintetizzato, e che impedisce o ostacola i controlli preventivi e successivi nonché l’applicazione delle sanzioni più adeguate. Un esempio assai probante ci deriva dall’uso delle armi da parte delle forze dell’ordine in occasione di proteste con violenze diffuse e aggressioni. Con riferimento ai cortei e alle devastazioni di Roma, mi sono chiesto anch’io perché le forze dell’ordine non abbiano fatto uso delle armi. Sarebbe verosimilmente bastato sparare qualche colpo in aria per riportare ordine, ma neppure questo è stato fatto. Qualcuno oggi invoca il ripristino della legge Reale, ma in realtà non sarebbe necessario. Con le norme del 75 i carabinieri e i poliziotti potevano ricorrere alle armi in caso di necessità, anche in via preventiva, se indispensabile. Ma da sempre una fondamentale disposizione del codice autorizza il ricorso alle armi, se necessario, per respingere una violenza attuale o per superare una resistenza in atto. Ma le forze dell’ordine preferiscono rischiare l’incolumità e magari la stessa vita pur di non fare ricorso alle armi da fuoco che le esporrebbero alle critiche e alle reazioni dei manifestanti e successivamente alle eventuali iniziative della magistratura. Il problema è tutto in questa, chiamiamola, timidezza che in realtà è l’altra faccia della cultura imperante del garantismo a tutto campo. Naturalmente non è sempre stato così, e non sarà sempre così, e l’esperienza insegna che se si esagera nella direzione indicata (come purtroppo si sta facendo) lo sbocco potrebbe essere proprio quello opposto: la fine della democrazia dei diritti e l’instaurazione di un regime autoritario, che nessuno invoca, ma che alla fine potrebbe imporsi. Ecco perché sono convinto che le leggi in vigore possono bastare e che non è necessario introdurre altre norme limitative dei diritti costituzionali, che poi dovremmo comunque subire, anche superata la fase attuale. Forse è più produttivo operare riflessioni serie ad ogni livello (istituzionale, politico e culturale) per giungere alla conclusione anticipata: la democrazia è fatta certamente di diritti, ma anche di doveri e di sanzioni. Se ci convinciamo che la soluzione del problema consiste in un armonico equilibrio di doveri e di diritti da parte di tutti, autorità comprese, non mi pare ci sia bisogno di norme nuove. Quelle in vigore sono o possono essere sufficienti, se si applicano con energia e imparzialità. L’essenziale è che tutti o almeno la maggioranza condividano questo giudizio e vi ispirino la propria opera. Giustizia: decreto “salva manganello”; sui reati della polizia decide il procuratore capo di Carlo Lania Il Manifesto, 26 ottobre 2011 Il governo prepara una corsia preferenziale per gli operatori di polizia accusati di reati commessi durante la gestione dell’ordine pubblico. Ad annunciarlo è stato ieri il ministro degli Interni Roberto Maroni riferendo alla Camera sugli scontri del 15 ottobre. Nel caso di reati, ha spiegato Maroni, le indagini non saranno più di competenza del pubblico ministero di turno, ma dovrà esserci “un intervento diretto del procuratore capo, cui spetterà procedere sottraendo la competenza al primo sostituto procuratore”. Il titolare del Viminale non ha specificato se l’intervento sarà limitato a un “visto” per le indagini oppure se sarà lui a dover condurre l’inchiesta. Di certo il provvedimento presenta non pochi punti oscuri, come spiega Donatella Ferranti, capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera. “Sembra quasi un atto di sfiducia nei confronti dei sostituti procuratori, e non si capisce a cosa sia dovuto. D’altra parte - prosegue la parlamentare - Maroni sembra essere convinto chissà perché di poter in qualche modo condizionare i procuratori capo”. La nuova norma, che Maroni ha spiegato essere ancora in via di “approfondimento”, dovrebbe essere inserita in un disegno di legge da presentare in uno dei prossimi consigli dei ministri. “È una norma richiesta dai poliziotti e dai carabinieri - ha spiegato Maroni - che dagli incidenti di Genova in poi hanno manifestato una sorte di timore psicologico a intervenire”. Prevista per i manifestanti anche l’estensione, come giù avviene per le manifestazioni sportive, dell’aggravante delle lesioni gravi e gravissime a pubblico ufficiale, con pene comprese rispettivamente da 4 a 10 anni e da 8 a 16 anni, e “un rafforzamento delle tutele patrimoniali” in caso di risarcimenti. Giustizia: il caso di Claudio Gentile… lunghe misure cautelari, processi che non hanno fine di Valentina Marsella Secolo d’Italia, 26 ottobre 2011 Subire misure cautelari ingiuste, un processo “lumaca” e, addirittura, un “doppio errore” giudiziario. E avere solo 43 anni: dei quali, gli ultimi dodici passati tra misure cautelari, rimpalli processuali e un conto ancora aperto con la giustizia contabile, un conto che rischia di pagare solo lui in una storia che all’inizio, nel ‘99 coinvolge quasi una ventina di persone. Colpa di un errore di prescrizione che si è abbattuto solo su di lui. Claudio Gentile, omonimo del noto calciatore che ha scritto la storia ai tempi di Maradona, ma con un destino molto diverso, è un dipendente della Provincia regionale di Palermo. Quando scoppia la bufera che porterà al suo arresto, nel ‘99, Claudio ha 31 anni e solo da quattro è in servizio come funzionario nei Servizi di Controllo Ambientale, dopo aver vinto il concorso nel ‘95. È notte quando viene prelevato dalla Digos di Palermo nella sua abitazione, dove vive con la moglie e i suoi tre figli (una dei quali di pochissimi giorni) per essere condotto in questura, con l’accusa di essere coinvolto in una serie di illeciti, commessi nella gestione da parte delle cooperative sociali “Madre Teresa di Calcutta” e “La Provvidenza” dei lavori di pulizia ambientale e degli operai preposti. Le convenzioni stipulate dall’amministrazione provinciale con le cooperative sociali erano finalizzate alla fornitura di servizi per l’ambiente, e al fine di creare opportunità di lavoro a favore di soggetti svantaggiati. Presidenti, consulenti e soci delle cooperative sociali convenzionate con la Provincia vengono arrestati nel giugno del ‘99: l’inchiesta individua un giro di richieste di “pizzo” sulle buste paga e una serie di truffe alla Provincia, che avrebbe pagato retribuzioni non dovute o per prestazioni inferiori a quelle previste dai contratti. Claudio vive tutte le misure cautelari, dalle più pesanti alle più leggere, e ancora oggi non vuole ricordare quel periodo, tanto è stato lo choc di una vita normale e serena spezzata improvvisamente dal destino giudiziario che ingiustamente lo coinvolge. Corruzione, associazione a delinquere e truffa sono i reati che vengono contestati a Gentile e agli altri: accuse, le prime due, da cui verrà assolto per non avere commesso i fatti con formula piena nel 2009; non è così per il reato di truffa che viene dichiarato estinto, per cui scatterà quel subdolo gioco della prescrizione che ora lo fa trovare faccia a faccia con un’altra giustizia. Infatti, la procura della Corte dei conti di Palermo nella persona del pubblico ministero Adriana La Porta, dopo averlo ascoltato lo rinvia a giudizio e la sezione giurisdizionale del tribunale contabile, a poca distanza dalla sua assoluzione in quel processo, lo condanna a versare alla Provincia circa 60mila euro, oltre agli interessi maturati nel frattempo e alla rivalutazione monetaria che fa lievitare la somma a più di 75mila euro. Claudio dà mandato ai suoi avvocati di presentare ricorso alla sede giurisdizionale di appello della Corte dei conti, che nel settembre del 2011, ritenendo inammissibile il ricorso, non entra nel merito della condanna contabile di primo grado. Oggi la cifra è salita a quota 75mila euro, in attesa di essere rivalutata per un ulteriore periodo di un anno a far data dal deposito della sentenza di primo grado. La condotta dell’uomo viene ritenuta dai magistrati contabili “determinante” per la realizzazione della truffa. E ciò nonostante la deduzione, nel merito, dell’ “assenza di elementi” per affermare la sua “responsabilità amministrativa, atteso che i compiti di verifica e vigilanza sui lavori effettuati dalle cooperative, secondo quanto previsto nelle rispettive convenzioni e capitolati d’appalto, doveva essere svolta soltanto dai direttori dei lavori e dalle cooperative sociali”. Manca dunque, per i giudici d’appello, un “rapporto diretto di causalità tra la condotta contestata” a Gentile e il danno erariale. Eppure questo particolare non viene tenuto in debito conto. Anzi, per la Corte dei conti, l’assoluzione di Claudio dall’imputazione di corruzione “deve ritenersi irrilevante ai fini della contestazione di responsabilità amministrativa - si legge nelle carte processuali - atteso che, a prescindere dalla mancanza di prova affermata dalla Corte di Appello, dell’effettiva commissione di questo reato da parte del Gentile”, non ci sono “margini di dubbio” circa il suo “contributo, la cui condotta appare determinante per la realizzazione della truffa ai danni dell’amministrazione provinciale, e per la conseguente indebita liquidazione di corrispettivi a fronte di prestazioni lavorative non rese”. Ecco che allora per Claudio Gentile scatta il pignoramento dello stipendio come somma da versare allo Stato per le spese processuali. Ma perché dev’essere l’unico a pagare? Gentile potrebbe rivalersi in un secondo momento sugli altri coimputati nel processo chiusosi con l’assoluzione, ma intanto è l’unico che dopo essere stato privato della libertà personale, ora viene privato di quella economica. “Un’assoluzione anomala - commenta Claudio Gentile - visto che dopo qualche mese da quella sentenza la vicenda si riapre davanti alla Corte dei Conti, che, dopo avermi ascoltato e visualizzato la mia memoria difensiva, riprendendo elementi già superati nel processo, dispone il mio rinvio a giudizio a febbraio del 2010”. Una vicenda dai contorni “misteriosi”, fa notare Gentile: “L’11 aprile del 2000 la procura della Repubblica trasmette alla Corte dei conti la copia del rinvio a giudizio, ed è da quel momento che parte tutto, e quindi non per la mancata prescrizione a cui poi, la documentazione contabile si ricollega”. Altra incongruenza evidenziata da Gentile, “il fatto che il giudice di udienza preliminare che a seguito di richiesta del pubblico ministero Guido Paolo aveva disposto il rinvio a giudizio, Cristodaro Florestano, ricompare in un’altra fase processuale, perché nel frattempo è diventato procuratore generale presso la Corte d’appello, chiamata a giudicarlo in secondo grado. Quello che mi pare assurdo, è che in dieci anni di processo penale - incalza il protagonista della storia - in nessun grado di giudizio mi abbiano mai notificato nulla. Siamo o non siamo in uno Stato di diritto?”. Gentile chiede anche chiarimenti al suo avvocato, ma anche questa volta, il legale gli dice di non aver saputo mai nulla. Ora il suo caso, passato nel lungo elenco di quelli seguiti dall’avvocato Gabriele Magno, presidente dell’Associazione vittime errori giudiziari Art. 643, può avere due diverse vie d’uscita: “Mi resta da un lato il ricorso in Cassazione - spiega Gentile - e la revisione processuale, sempre che vengano accolte”. Ma intanto, per lui, incombe il pignoramento, in una situazione familiare dove è soltanto lui a lavorare, con tre figli minori a carico e la preoccupazione di non arrivare a fine mese. “Quello che mi rattrista - afferma - sono le difficoltà che ho dovuto superare non da pubblico funzionario, ma prima di tutto da cittadino”. Ancora oggi, a lavoro, nonostante l’assoluzione, “vengo guardato con un’ombra di sospetto - racconta ancora - perché basta finire sui giornali per portare un marchio che difficilmente ci si scrolla di dosso. Finire sui giornali per una condanna o un’assoluzione? Poco importa”. Dal 2006 al 2009, fa notare, “ho dovuto anche subire tre anni di sospensione dal servizio e se sommiamo l’anno in cui iniziò il processo, siamo a quattro anni di sospensione con un assegno al 50 per cento. È stato duro rimanere un cittadino onesto, ma ci sono riuscito”. Dalle parole di Gentile, garbato e gentile, si legge quell’onestà di cui parla. Ha ancora fiducia, nonostante tutto, nella magistratura. Ed è ancora capace di commuoversi, quando ricorda, da buon siciliano qual è, l’onestà intellettuale di Falcone e Borsellino. Pensando a loro, e a chi subisce ogni giorno errori giudiziari, dice, “la sofferenza si attenua dietro lo humor che non sono riusciti a togliermi”. Giustizia: oggi audizione di Ionta in Commissione inchiesta su errori sanitari del Senato Tm News, 26 ottobre 2011 Il direttore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, è stato ascoltato oggi dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari e le cause dei disavanzi sanitari regionali, presieduta da Leoluca Orlando. L’audizione si colloca nell’ambito del filone di inchiesta sulla tutela della salute nelle carceri, coordinato dalle onorevoli Doris Lo Moro, Melania De Nichilo e Laura Molteni, “ed è finalizzata ad acquisire informazione sul processo di transizione delle relative competenze dall`Amministrazione penitenziaria alle aziende sanitarie locali. Particolare attenzione è stata rivolta ai profili gestionali connessi alla traduzione dei detenuti nelle strutture sanitarie territoriali e alla qualità della tutela sanitaria di detenuti e personale di polizia penitenziaria in tale fase di passaggio di competenze”. “Garantire la tutela della salute a chi sta dentro così come a chi sta fuori dal carcere è un principio costituzionale e, come tale, impone di essere rispettato. Attualmente, però - spiega Orlando in una nota - nella maggior parte delle carceri italiane, caratterizzate da un generale contesto di promiscuità e sovraffollamento, la possibilità di imporre adeguate profilassi non sembra poter essere garantita a causa delle precarie condizioni igienico sanitarie e a causa del depauperamento delle risorse umane, ovvero del necessario personale specialistico socio-sanitario e del personale di Polizia penitenziaria, incaricato di gestire il trasporto dall’interno all’esterno delle strutture penitenziarie. Una situazione di quotidiano allarme - conclude - tollerata oltre il tollerabile, che rischia continuamente di veder trasformato il disagio in tragedia”. Giustizia: Orlando; garantire assistenza sanitaria ai detenuti, non siano cittadini di serie B Il Velino, 26 ottobre 2011 "La Commissione che presiedo considera sua missione istituzionale adoperarsi affinchè sia pienamente riconosciuto il diritto alla salute dei detenuti alla stregua di quello di tutti gli altri cittadini. Non è accettabile che vi siano cittadini di serie A e B". è quanto dichiarato dal Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori sanitari e le cause dei disavanzi sanitari regionali Leoluca Orlando, a seguito dell'audizione del Direttore del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. L'audizione, che si colloca nell'ambito del filone di inchiesta sulla tutela della salute nelle carceri coordinato dalle onorevoli Doris Lo Moro, Melania De Nichilo e Laura Molteni, è finalizzata ad acquisire informazione sul processo in merito al passaggio di funzioni della medicina penitenziaria dal ministero della Giustizia al ministero della Sanità. Tale passaggio di competenze, nato dal presupposto che di gestione e programmazione della salute debbano occuparsene i medici e non i magistrati, risulta aver dato risultatati molto differenti da regione a regione. Analogamente a quanto avviene fuori dal carcere nell'ambito del Ssn, infatti, anche all'interno delle strutture penitenziarie si registra la stessa anomala diversità di assistenza. "Collettore finale di tutti i problemi del Paese, le strutture penitenziarie registrano un'assistenza sanitaria a due velocità: ci sono strutture in cui si è curati meglio e strutture in cui lo scarso accordo con i sistemi sanitari regionali o la mancata attuazione della riforma mette in pericolo la garanzia della tutela del diritto alla salute della popolazione carceraria. Il sovraffollamento, la carcerazione preventiva, l'inadeguatezza delle strutture che devono ospitare i tossicodipendenti, l'impossibilità di fare i rimpatri di detenuti extracomunitari, sono elementi che aggravano i problemi della gestione della salute della popolazione carceraria, dove spesso, peraltro, si registra un'incidenza statistica rilevante di malattie come la tbc, la meningite e l'epatite, che occorrono molto meno nella società libera". Tra i temi affrontati durante l'audizione, quello delle carcerazioni brevi, che contribuiscono in modo con molto incisivo al sovraffollamento e diminuendo all'incidenza dei suicidi, che si concentrano in genere nelle prime ore di detenzione. Altro elemento critico emerso, è quello dell'assistenza socio-psicologica ai detenuti, ridotta in conseguenza del passaggio della Sanità penitenziaria dalle competenze del Ministero della Giustizia al SSN. A seguito della transizione, infatti, i vincitori del concorso di psicologo nell'amministrazione penitenziaria, non hanno visto riconosciuto, dal Ministero della Salute, il legittimo diritto ad essere assunti. "Il carcere - ha dichiarato Orlando - è spesso luogo di emersione di disagi e di problemi, finanziari, normativi, territoriali, sociali e sanitari che riguardano tutto il Sistema Italia ma che si riversano con drammaticità nelle strutture carcerarie e ne peggiorano la qualità della vita all'interno. La relazione oggi acquisita conferma la gravità della situazione e l'importanza di proseguire nell'indagine sulla tutela della salute nelle carceri. La Commissione intende verificare, nel concreto, se e come opera il percorso di prevenzione, cura e riabilitazione dei detenuti e del personale che opera all'interno della strutture. Intende pertanto verificare come sta funzionando, regione per regione e struttura per struttura, l'applicazione del DPCM 1.4.2008 che prevede il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale. Cosi' come intende verificare, in generale e struttura per struttura, l'adeguatezza del personale di polizia penitenziaria e del personale soci-sanitario", ha concluso Orlando. Giustizia: Ionta (Dap); potenziare contatti detenuti con l’esterno, per combattere suicidi Adnkronos, 26 ottobre 2011 Il potenziamento dei contatti con l’esterno, soprattutto con gli affetti familiari, e dei servizi di osservazione ai quali i detenuti sono sottoposti fin dal loro arrivo in carcere. Sono questi gli elementi su cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria punta per contrastare il fenomeno dei suicidi in carcere. Lo ha detto il capo del Dap, Franco Ionta, nel corso dell’audizione tenuta ieri davanti alla Commissione tutela diritti umani del Senato. “Troppi sono gli episodi che si verificano negli istituti italiani - ha osservato Ionta - e ciascuno è una sconfitta per l’intero sistema”. Nel lavoro di monitoraggio e prevenzione, ha sottolineato il capo del Dap, “è importante tenere alta l’attenzione anche sugli episodi di autolesionismo e aggressione agli agenti di polizia penitenziaria”. Tra gli interventi previsti, il servizio Nuovi Giunti, per l’accoglienza dei detenuti, dal momento che molti suicidi avvengono nei primi 10 giorni di detenzione. Poi un servizio di osservazione che, ha spiegato Ionta serve a cogliere alcuni comportamenti che possano essere identificati come indicatori del rischio. Ma il lavoro più importante è quello che faciliti i contatti con il mondo fuori dal carcere. “Aumentare i colloqui e le telefonate è un elemento fondamentale per limitare il pericolo”, ha assicurato Ionta, che ha infine ricordato di avere disposto “l’aumento del tetto di spesa settimanale per detenuto, anche questo per favorire la parte relativa alla corrispondenza”. Il resoconto sommario dell’audizione In apertura di seduta il presidente Marcenaro ringrazia il dottor Ionta, ascoltato nuovamente dalla Commissione per rispondere alle domande poste nel corso dell’audizione precedente, all’interno dell’indagine conoscitiva cha la Commissione sta portando avanti, relativa alla situazione delle carceri italiane. Il dottor Franco Ionta, nel ringraziare per l’opportunità offerta, affronta innanzitutto il problema dei suicidi in carcere, rispondendo al senatore Della Seta. Sono cinquanta i detenuti che si sono suicidati nel corso del 2011 e, nonostante il dato possa essere considerato gestibile, esso rappresenta tuttavia una sconfitta per il sistema carcerario il cui compito è di garantire la vita e la salute delle persone detenute. Va sottolineato come sia impossibile immaginare un sistema di controllo continuo per ventiquattro ore su ventiquattro dei detenuti e l’attività di monitoraggio da parte degli agenti della polizia penitenziaria, seppur accurata, non può scongiurare del tutto il pericolo che un detenuto si tolga la vita. Un primo punto critico si presenta nel momento in cui il detenuto viene trasferito da una sede all’altra, nei primi giorni di detenzione. Si determina una posizione psicologica che è difficile da accettare poiché persone d’azione, abituate a risolvere di propria iniziativa i problemi, si trovano di fronte non solo alla perdita della libertà, ma anche all’impossibilità di agire e provvedere a se stessi. Altri momenti di criticità sono la comunicazione della sentenza definitiva o dell’aumento della misura cautelare. Gli interventi dell’amministrazione per contrastare il fenomeno puntano ad intensificare i rapporti del detenuto con l’esterno, aumentando la frequenza delle telefonate e degli incontri con i familiari, ad elevare il tetto di spesa settimanale e mensile a disposizione di ciascuno, oltre ad un’osservazione costante e attenta delle situazioni più critiche. Quanto al numero di risposte alle interrogazioni parlamentari relative alla questione suicidi da parte del Ministero della giustizia, nel 2010 ne sono state evase ottanta e nel 2011, cinquantadue. Riguardo alla gestione della sanità penitenziaria, argomento su cui il senatore Di Giovan Paolo aveva chiesto un approfondimento nella seduta scorsa, ci sono Regioni, come la Sicilia, in cui il passaggio della sanità al servizio sanitario nazionale non è stato ancora attuato, provocando un ulteriore sovraccarico per l’amministrazione penitenziaria. In particolare, la chiusura del solo ospedale psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto rappresenterebbe un risparmio per l’amministrazione di 12 milioni di euro. Il problema dei detenuti negli ospedali psichiatrici deve trovare presto una soluzione e si sono svolti recentemente degli incontri con il Ministero della salute e quello della giustizia per procedere alla dismissione di almeno 213 persone nei prossimi mesi. Fondamentale il coinvolgimento degli enti locali, attraverso un tavolo all’interno della conferenza Stato - Regioni, per trovare una forma di accoglienza per le persone clinicamente non pericolose, che punti alla completa sanitarizzazione, seguendo il modello di Castiglione delle Stiviere. Sulla Cassa delle ammende, va ribadito che sono molti i progetti avviati nel corso dell’ultimo anno relativi non solo all’edilizia carceraria, ma anche al reinserimento sociale dei detenuti. A Rebibbia, per esempio, è stato aperto un call center gestito dai detenuti per le prenotazioni delle visite mediche all’ospedale Bambin Gesù, offrendo loro formazione professionale e un possibile percorso per il reinserimento futuro. Riguardo alla richiesta di chiarimenti della senatrice Carloni sull’insufficienza delle risorse ordinarie per assicurare al carcere di Napoli Poggioreale il vitto ai detenuti, il Provveditorato competente ha assicurato che la ditta che rifornisce il carcere è stata pagata fino a luglio 2011, nel rispetto grosso modo della tempistica prevista. Sono stati inoltre avviati i lavori di sistemazione di uno stabile nei pressi di Poggioreale per accogliere i familiari in attesa di recarsi a colloquio con i detenuti. Quanto alla sollecitazione del senatore Perduca relativa all’accesso della stampa all’interno degli istituti penitenziari, può essere ricordato che nel 2010 sono stati autorizzati più di mille ingressi per giornalisti e reporter, e nel 2011 sono stati già 950. Quanto ai dati del Dap sul flusso di rientro in carcere dopo il provvedimento di clemenza del 2006, il tasso di recidiva è di circa un terzo del totale: al 30 giugno 2011 erano 12.462 i soggetti rientrati in carcere dopo aver beneficiato dell’indulto, di cui 3.060, circa il 24 per cento, sono stranieri. Riguardo alla carenza d’organico, a livello dirigenziale vi sono attualmente 46 unità in più rispetto alla pianta organica. Tuttavia, per affrontare la situazione di grande emergenza in cui si trova l’intero sistema delle carceri italiane, situazione determinata da una molteplicità di fattori, le complessive 45.000 unità di personale non sono sufficienti. Vanno sicuramente risolte alcune distorsioni, denunciate anche dal presidente Marcenaro, che riguardano la mobilità del personale e in particolare il gran numero di trasferimenti dal Nord al Sud del Paese e di distacchi presso altri corpi. Per arginare questi elementi di disfunzione del sistema, recentemente è stato innalzato a 5 anni il vincolo di sede alla prima assegnazione. Lo stesso problema di distribuzione sul territorio colpisce educatori ed assistenti sociali. Un altro elemento discusso nel corso dell’audizione precedente e sollevato dal senatore Fleres riguardava il problema delle traduzioni, il cui costo incide notevolmente sulle risorse economiche e di personale dell’amministrazione penitenziaria. La proposta di utilizzare la videoconferenza per la partecipazione ai processi da parte dei detenuti può sicuramente permettere un risparmio considerevole assicurando pienamente il diritto alla difesa degli accusati essendo garantite, anche se virtualmente, la presenza effettiva al procedimento e la riservatezza. Giustizia: i Radicali presentano ddl per permettere ai detenuti di avere un cane Agenparl, 26 ottobre 2011 “Fino ad ora la possibilità per un detenuto di poter incontrare il proprio cane era lasciata all’iniziativa di qualche direttore di istituto particolarmente illuminato. È successo recentemente a Verona e a Genova Pontedecimo, dove due detenuti hanno potuto incontrare il loro animale; noi vogliamo che questa possibilità venga estesa su tutto il territorio nazionale. Sappiamo che nella scala delle priorità di quello che serve in un carcere questa non è in cima alle lista in istituti dove ormai manca tutto. Se non altro però questa sarebbe una piccola rivoluzione a costo zero che può aiutare alcuni detenuti a vivere meglio una pena che si trasforma spesso in tortura. Non solo, questa possibilità ha un enorme valore zooantropologico che punta a prevenire quello stato di malessere che si crea nel cane quando il legame uomo-animale viene bruscamente spezzato come nel caso di un arresto. Infatti, quando al cane viene a mancare una persona della famiglia cui faceva riferimento, entra inevitabilmente in uno stato di smarrimento, di perdita di sicurezza e di sofferenza che può anche peggiorare il suo carattere e le sue risposte agli stimoli esterni. La presenza di altri esseri umani a lui familiari non riesce del tutto a sopperire alla mancanza del “capo branco” e al conseguente disorientamento dell’animale. Per un detenuto invece occuparsi di un cane serve a far emergere il senso di responsabilità: si hanno dei doveri, bisogna darsi da fare, lui dipende da noi. Anche questo è un buon lubrificante sul senso del dovere, sul piacere di prendersi cura di un altro, sulla soddisfazione di sentirsi importanti, almeno per qualcuno. Se queste, e altre ancora, sono le dinamiche che entrano in gioco in un positivo rapporto uomo-cane, è consequenziale argomentare come gli effetti benefici di questa relazione si amplifichino all’interno dell’istituzione carceraria, dove la situazione di durezza esistenziale non può che ricadere pesantemente sul detenuto, mentre tutti i suoi bisogni relazionali, affettivi, emotivi cercano risposte che risultano sempre inadeguate a contenere tutta la sofferenza. Il disegno di legge lascia ai direttori degli istituti la possibilità di organizzare come credono questa opportunità in modo da facilitarne l’adozione senza porre vincoli se non quello di trasformare il tutto in una iniziativa saltuaria che vanificherebbe gli effetti benefici. Inoltre bisognerà dimostrare di essere i reali tutori dell’animale tramite l’attestazione di iscrizione del cane all’anagrafe canina. Ci si continua a dire che in campo carcerario non si può fare nulla perché mancano fondi, quello che noi proponiamo con questo disegno di legge non comporta l’esborso di un solo euro e per questo ci auguriamo che anche altri parlamentari vogliano fare loro questa battaglia di civiltà anche grazie alla sensibilità emergente, anche nel Governo, della necessità di un rapporto nuovo tra uomo e animale”. È quanto si legge in una nota dei senatori Radicali, Donatella Poretti e Marco Perduca e di Alessandro Rosasco, membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani. Toscana: finiti i soldi, staccato il riscaldamento nelle carceri; il provveditore alza la voce di Franca Selvatici La Repubblica, 26 ottobre 2011 “Non abbiamo più nemmeno i soldi per pagare il riscaldamento delle carceri: per ora stiamo chiedendo aiuto alle ditte fornitrici. Qualcuna però ha già tagliato il servizio. Abbiamo chiesto alle Prefetture di attivarsi per il ripristino”. Lo ha detto in Palazzo Vecchio il provveditore dell’amministrazione penitenziaria in Toscana, Maria Pia Giuffrida. “Questi fornitori hanno ragione - ha aggiunto - perché noi non abbiamo pagato, non avendo i fondi a disposizione. Ma non possiamo imporre ai detenuti e a coloro che vigilano su di loro anche il surplus di pena del freddo per mancanza di riscaldamento. È inaccettabile”. Nelle carceri toscane ci sono circa 4.400 detenuti, mentre la capienza regolamentare complessiva è di circa 3.000. La percentuale di sovraffollamento è pari al 40%, mentre dall’organico mancano 800 persone, fra cui 18 dirigenti. Sette istituti ne sono del tutto scoperti. Il personale è stanco di tutto questo, ha spiegato il provveditore. Liguria: la denuncia del Sappe; entro fine anno la cifra record di 2.000 detenuti in Regione Comunicato stampa, 26 ottobre 2011 Un tasso di crescita costante della popolazione detenuta a fronte di un organico di Polizia Penitenziaria in calo. E il Sindacato di Polizia penitenziaria Sappe si appella al Ministero della Giustizia e torna a chiedere l’intervento della classe politica ed istituzionale della Liguria “perché quella della carenza di personale di poliziotti in Liguria e delle criticità penitenziarie regionali è e deve essere una preoccupazione di tutti”. La critica situazione penitenziaria genovese e ligure emerge dagli ultimi numeri sulle presenze in carcere. “La Liguria è la Regione con la percentuale minore di Poliziotti Penitenziari in servizio rispetto a quelli previsti”, commenta Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. “Attualmente nelle carceri liguri sono impiegati 866 Poliziotti rispetto ai 1.264 previsti. Questi devono fronteggiare un’emergenza sovraffollamento che ha abbondantemente superato quella capienza che al Dap definiscono “tollerabile”: oggi abbiamo in cella circa 1.850 persone detenute sulle 1.139 previste. E con la prossima apertura di nuovi piani detentivi nel carcere di Spezia, è facile presumere che entro l’anno la Liguria avrà duemila persone detenute: un triste record mai raggiunto prima.”. Martinelli snocciola i dati riferiti ai singoli istituti: “La capienza regolamentare di Savona è 36 posti letto ma i detenuti sono 78, a Sanremo sono 370 rispetto alla capienza di 209 posti, 122 ce ne sono ad Imperia strutturata per ospitarne 78, 100 a Chiavari che ha 78 posti, oltre 800 a Marassi rispetto alla capienza di 450 posti e 182 a Pontedecimo, con 96 posti letto regolamentari. La Spezia, ancora a parziale funzionamento. ora ospita oltre 180 detenuti e la capienza regolare è 186 ed è imminente l’apertura della nuova sezione detentiva”. A questo si contrappongono le carenze della Polizia Penitenziaria: “Chiavari ha 14 agenti in meno, Marassi 158, Pontedecimo 53, Imperia 23, La Spezia 54, Sanremo 86 e Savona 10”. Per questa ragione, Martinelli si appella “alla classe politica ed istituzionale della Liguria, a cominciare dai parlamentari eletti in Liguria, affinché si intervenga con urgenza per risolvere queste criticità, anche prevedendo una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria, anche alla luce della sostanziale inefficacia degli effetti dell’indulto e della recente legge sulla detenzione domiciliare”. Lazio: accordo per istruzione universitaria ai detenuti, cultura è strumento riscatto sociale Dire, 26 ottobre 2011 È stato siglato questa mattina dal Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni, e dal rettore di Roma Tre, Guido Fabiani, un protocollo tra le due istituzioni che prevede forme integrate di collaborazione. L’obiettivo prefissato dai firmatari del protocollo è di offrire ai detenuti delle carceri laziali, l’opportunità concreta di intraprendere un percorso di studi universitario e di garantire loro il diritto all’istruzione. A tal proposito Marroni ha dichiarato: “Oggi firmiamo un atto che garantisce la piena tutela del diritto all’istruzione che è patrimonio di tutti, indipendentemente dalle condizioni in cui ciascuno si trova”. Inoltre, attraverso questa iniziativa, i firmatari dl protocollo intendono esaltare il valore della cultura intesa come strumento in grado di combattere l’ illegalità e offrire, a chi è sottoposto a regime di detenzione, la possibilità di riscattarsi e reinserirsi in società. Il rettore Fabiani ha messo in evidenza come il protocollo rappresenti un’ ulteriore conferma degli ottimi rapporti collaborativi già esistenti tra la sua università e le carceri, “Il protocollo siglato oggi con l’Ufficio del Garante dei Diritti dei Detenuti della Regione Lazio - ha dichiarato Fabiani - è di grande importanza e rappresenta la formalizzazione di una collaborazione già esistente tra le due istituzioni: nel nostro ateneo sono attualmente iscritti 9 detenuti”. Il rettore ha già annunciato, che l’ateneo da lui presieduto si impegnerà ad individuare strumenti didattici flessibili, idonei a garantire la partecipazione alle attività didattiche degli studenti detenuti. Cagliari: a Buoncammino emergenza sanitaria, reclusi stipati nelle celle e pochi agenti L’Unione Sarda, 26 ottobre 2011 Su 530 detenuti 230 sono tossicodipendenti, 25 malati psichiatrici puri e 90 con doppia diagnosi (malattia mentale e tossicodipendenza). All’appello mancano 60 poliziotti. Sovraffollamento e sanità penitenziaria. Nel carcere di Buoncammino va in onda il solito film: detenuti ammassati nelle celle e mancanza di fondi per curare i reclusi. Il passaggio della sanità penitenziaria tra ministero della Giustizia e Regione è avvenuto solo sulla carta: finanziamenti, bilanci, passaggio e inquadramento di medici e infermieri sono ancora in alto mare. E dal primo gennaio, così come dichiarato al nostro giornale dal provveditore Gianfranco De Gesu, il Ministero non verserà più un centesimo. Il direttore di Buoncammino, Gianfranco Pala, spera di superare in breve tempo le sabbie mobili della burocrazia. “I finanziamenti concessi dal Ministero sono già finiti. Abbiamo saldato le prestazioni mediche sino a settembre. Per il momento stiamo andando a debito , nell’attesa che arrivi il contributo della Regione”. Dove sono finiti quei soldi? “Siamo in attesa di 750 mila euro dell’assessorato regionale alla Sanità bloccati per chissà quale motivo in qualche ufficio del ministero delle Finanze, che poi dovrà girarli agli istituti di pena”. Lo spettro della chiusura del Centro clinico del carcere, con la conseguente interruzione di cure dentistiche, cardiologiche o specialistiche, non è poi così remoto. Le incognite non riguardano solo i reclusi, ma anche medici e infermieri, soprattutto dopo l’eventualità di licenziamento (visto che il contratto non verrà rinnovato) dei precari. “L’assessorato - afferma il direttore Pala - deve accelerare le procedure. Serve con urgenza un tavolo tecnico per stabilire l’inquadramento di medici e infermieri”. Il passaggio della sanità penitenziaria non sarà indolore. Matteo Papoff è il responsabile medico del carcere cagliaritano. “Venerdì è in programma un incontro con i vertici dell’assessorato alla Sanità per la presa in carico dei locali di Buoncammino. Con i funzionari di via Roma c’è massima collaborazione, quello che ci preoccupa è la mancanza di fondi”. La sanità penitenziaria in Sardegna costa 5 milioni all’anno. Se tutto va per il meglio, l’anno prossimo lo Stato finanzierà appena 3 milioni, il resto sarà a carico dei già asfittici bilanci della sanità regionale. Il carcere di Buoncammino è stato costruito per ospitare 380 detenuti. Una cifra del tutto indicativa, mai sfiorata, neppure il giorno dell’indulto. La tolleranza, che dovrebbe fissare la capienza massima, è di 476 persone. Ma siamo ancora lontani dalla realtà. Ieri i reclusi nel carcere cagliaritano erano 530, dei quali 27 donne. Quello che stupisce è la tipologia: 230 sono tossicodipendenti, 25 malati psichiatrici puri e 90 con doppia diagnosi (malattia mentale e tossicodipendenza). Gli agenti di Polizia penitenziaria assegnati a Buoncammino sono 203, ma gli effettivi in servizio sono meno di 150. La pianta organica dovrebbe essere di 260 poliziotti. I nuovi istituti intitolati ai morti di Alghero Il capo del Dipartimento Franco Ionta ha avviato le provvedere le procedure per intitolare i quattro nuovi istituti penitenziari agli agenti di custodia sardi che hanno perso la vita durante la sanguinosa rivolta del 1945 nel penitenziario di Alghero. La casa circondariale di Cagliari (realizzata a Uta) sarà intitolata al vice brigadiere Ettore Scalas; la casa circondariale di Sassari all’agente Giovanni Bacchiddu; la casa circondariale di Tempio Pausania all’appuntato Paolo Pittalis e la casa circondariale di Oristano all’agente Salvatore Scalas. I quattro poliziotti sardi, furono uccisi con l’agente calabrese Ugo Alberto Caridi, il 18 novembre del 1945, quando all’interno del casa di reclusione di Alghero nel corso di una rivolta dei detenuti. Bologna: la Garante dei detenuti Elisabetta Laganà; basta polemiche… lavoriamo insieme Dire, 26 ottobre 2011 A chi mette in discussione la sua nomina risponde: “Lavoriamo tutti insieme perché sul carcere la pensiamo allo stesso modo”. È il messaggio di Elisabetta Laganà, la nuova garante dei detenuti del Comune di Bologna, apparsa questa mattina a Palazzo D’Accursio per scambiare qualche parola con i capigruppo del Pd e del Pdl, Sergio Lo Giudice e Marco Lisei. L’inizio burrascoso del suo mandato, commenta Laganà, “rispecchia la situazione carceraria, è direttamente proporzionale alla situazione complessa e drammatica del carcere”. Ma più che alla polemica, la garante invita a unire le forze. “Spero che chi ha sollevato questioni del tutto legittime abbia lo stesso impegno e la stessa volontà di costruire un progetto insieme - manda a dire Laganà - perché nessuno può farcela da solo. Credo che la pensiamo tutti allo stesso modo: un carcere sovraffollato non garantisce i diritti dei detenuti”. Tra l’altro, aggiunge la garante, l’associazione Papillon (che per prima ha sollevato il problema dell’incompatibilità di Laganà) “ha svolto un ruolo molto importante in città culturale e di sensibilizzazione, perché i carcerati normalmente sono sempre l’ultima voce ad essere ascoltata”. Proprio questa è per la garante una “questione importantissima da porre a tutta la città. Le problematiche che si incontrano in carcere sono sempre trasversali alla giustizia e alla società. Parlando con un detenuto si cerca sempre di capire perché è arrivato lì, cosa si poteva fare prima e cosa non ha funzionato”. Per questo, secondo Laganà, “è importante che ogni detenuto abbia un ruolo attivo nei confronti della città”. Intervista a Elisabetta Laganà (www.bolognatoday.it) Bologna Today ha intervistato la neo - eletta garante della Dozza Elisabetta Laganà. Dopo quasi un anno e mezzo una svolta per i detenuti. Ecco come si lavorerà da oggi. Con Elisabetta Laganà si chiude lungo capitolo che ha lasciato senza garante per quasi un anno e mezzo il carcere di Bologna. Eletta ieri in Consiglio Comunale, la pedagogista e psicologa che dal 2009 è a capo della Conferenza nazionale volontariato giustizia, si può mettere finalmente al lavoro, visto che di lavoro da fare ce n’è. Come si lavora da oggi? Solo se tutti si mettono d’accordo e lavorano insieme si possono ottenere dei risultati. C’è bisogno di congiunzione con gli enti locali, quali interlocutori per legislazioni scritte ma poco applicate che se avessero trovato il loro esercizio, non ci troveremmo oggi nelle condizioni in cui siamo a livello nazionale. Si riscontrano ritardi sul piano delle riforme e sull’aumento delle carcerazioni: il vero punto di incontro sarebbe creare tavoli di lavoro trasversali e invertire la tendenza lavorando con i giudici a tutti i livelli. Quale la condizione dei detenuti della Dozza? Come migliorarla? Vanno assolutamente migliorate le condizioni di vita dei detenuti, e il garante resta comunque una figura limitata, ma spesso molto importante per rendere note determinante situazioni, per fare da collegamento e per fare leva sui diritti dei detenuti, spesso non esercitati. Quando si entra in un carcere ci si rende conto che mancano persino i materassi, i soldi per il vitto e si devono cercare i fondi. La situazione è comunque difficile a livello nazionale. Bisogna dare gambe alle possibilità delle misure alternative, alloggi, lavoro e così via. Tutti sono d’accordo sulle misure alternative e sulla bontà dei risultati, ma poi fuori non ci sono le condizioni adeguate. Come si muove il volontariato a Bologna? Bologna è molto attenta alla solidarietà ed è inventiva nel mettersi a disposizione, basti ricordare l’idea “Imbianchiamo le mura del carcere” e il progetto con cui l’attore Bergonzoni ha portato i libri nelle celle. Il volontariato è un mondo sfaccettato, composto da diverse realtà. Circa 12 anni fa si è deciso di mettere insieme grandi sigle come Seac, Arci e Caritas perché si è capito che era necessario un coordinamento che rappresentasse tutti. Ora continuiamo così. Pistoia: nasce il coordinamento per i diritti dei detenuti Il Tirreno, 26 ottobre 2011 Forze politiche, sindacati, associazioni laiche e cattoliche hanno dato vita al coordinamento “Cittadini anche in carcere”, un’iniziativa che ha lo scopo di seguire tutte le problematiche presenti nella casa circondariale di Pistoia. Tutto è iniziato lo scorso 11 agosto con la manifestazione in favore dell’amnistia, in piazza Gavinana, promossa dai Radicali italiani. “Sono state molte le adesioni che ci hanno incoraggiato a proseguire su questa strada e a dar vita ad un coordinamento molto ampio - spiega Nila Orsi di Radicali Italiani - Il prossimo appuntamento sarà una tavola rotonda sul tema del carcere, fissata per l’11 novembre”. Intanto giunge anche una buona notizia dal consiglio comunale di Pistoia: “Finalmente è stata approvata la figura del garante che è un modo per avvicinare la comunità alla difficile realtà carceraria”, ha sottolineato Daniela Belliti, già consigliere regionale e oggi esponente dell’associazione Palomar. Proprio i Radicali e Palomar, infatti, sono stati i protagonisti iniziali di questa battaglia che, strada facendo, ha trovato molti consensi. Al coordinamento hanno aderito il Partito democratico, i Giovani democratici, i Giovani Idv, la Federazione della sinistra, Sel, i Verdi, Fli e l’Udc e ancora Arci solidarietà, la Cgil, Legambiente, il Centro di quartiere Casermette, la Caritas, le Acli e il Consiglio pastorale della Diocesi. Il coordinamento è aperto al contributo di tutti coloro che condividono la battaglia per un miglioramento delle condizioni del carcere, che anche a Pistoia è caratterizzato da un sovraffollamento di detenuti, dal sottodimensionamento del personale di controllo, da problemi sanitari e da numerose altre problematiche. Roma: sovraffollamento al Nuovo Complesso di Rebibbia, la denuncia del Garante www.romatoday.it, 26 ottobre 2011 La denuncia arriva dal Garante dei Detenuti Angiolo Marroni e riguarda il carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. “1725 detenuti, oltre 500 in più rispetto alla capienza regolamentare”. Il clima è talmente insostenibile che qualcuno si è sfogato appiccando un fuoco al suo stesso spazio vitale. Forse perché di “vitale” quello spazio non ha molto. Sovraffollamento e condizioni di degrado nelle carceri romane sono regolarmente segnalate dal Garante dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, che, questa volta, prende di mira il Rebibbia Nuovo Complesso dove, “secondo gli ultimi dati diffusi dal Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria “i detenuti sono 1725, oltre 500 in più rispetto alla capienza regolamentare e addirittura superiori al limite “tollerabile” indicato dal Ministero”. “Dall’inizio del 2011 nella Regione Lazio - ha dichiarato il garante Marroni - i detenuti sono aumentati di circa 200 unità. Ciò nonostante l’entrata in vigore di un provvedimento come il cd. “decreto svuota carceri” che avrebbe dovuto alleviare il sovraffollamento negli istituti”. Sovraffollamento che sembra, a detta del garante, tutt’altro che alleviato dal momento che “anche gli spazi destinati alla socialità sono stati trasformati in celle”. Oppure, altro esempio di un clima che sembra al limite del sostenibile, è il G9, uno dei reparti più grandi del complesso, che ospita 500 detenuti su 3 piani. Nei giorni scorsi, un detenuto, approfittando dell’ora d’aria dei compagni, ha dato fuoco a materassi, giornali e cuscini, creando un caos generale sul piano che è stato evacuato per motivi di sicurezza. “Il I piano del G9 è la sezione precauzionale - riservata agli autori di reati sessuali e agli ex appartenenti alle Forze dell’Ordine - dove le condizioni di detenzione - ha spiegato il Garante unite al sovraffollamento, generano una situazione di conflittualità perenne, con disagi e tensioni tra agenti di polizia penitenziaria e detenuti e fra detenuti stessi. Qui sono frequenti gli episodi di autolesionismo e i tentativi di suicidio, l’ultimo dei quali pochi giorni fa, quando un detenuto ha provato ad impiccarsi ma è stato salvato dagli agenti. Rieti: la Camera penale di aderisce allo sciopero della fame sulle carceri Il Tempo, 26 ottobre 2011 Anche la Camera penale di Rieti domani aderirà all’iniziativa avviata da Marco Pannella con una giornata di sciopero della fame per portare l’attenzione dell’opinione pubblica e del governo sulle gravi condizioni che attanagliano le carceri. “Si tratta di un grave problema - spiega il presidente della Camera penale reatina, avv. Marco Arcangeli - le cui soluzioni devono essere ora affrontate con urgenza e con il massimo pragmatismo, pena il cronicizzarsi di una situazione di illegalità, anche costituzionale, non degna di un Paese civile”. Domani anche il presidente Arcangeli, raccogliendo il testimone di una staffetta iniziata il 1 giugno e che terminerà il 30 novembre, si sottoporrà allo sciopero della fame in piena condivisione di un’emergenza che riguarda da vicino anche il nuovo carcere di Vazia. La Camera penale denuncia le pesanti condizioni di disagio di molti detenuti per una prassi giudiziaria che vede un utilizzo “disinvolto dello strumento della custodia cautelare”. Inoltre il sovraffollamento pregiudicherebbe le attività lavorative dei detenuti e il loro percorso riabilitativo. Genova: Radicali e familiari dei detenuti domani manifestano davanti a sede Regione www.genova24.it, 26 ottobre 2011 “Rahamani Jalel, 29 anni, detenuto a Marassi, si è tolto la vita. Sarebbe dovuto uscire tra pochi mesi. Quanti ancora dovranno seguire la sua sorte affinché le istituzioni facciano quanto è necessario e urgente per rientrare nella legalità?”. Così esordiscono i Radicali di Genova, che domani, insieme ai familiari dei detenuti, manifesteranno davanti alla Regione Liguria in piazza De Ferrari. “Venerdì scorso si è ucciso in carcere a Marassi Rahamani Jalel, un detenuto di 29 anni: è il 55esimo suicidio in carcere in Italia dall’inizio dell’anno. Il carcere di Marassi ha al momento 812 detenuti nonostante i posti regolari siano circa la metà, ossia 456: dall’inizio dell’anno ci sono stati nove casi di tentato suicidio, 85 atti di autolesionismo grave, due suicidi e dieci aggressioni ad agenti di polizia penitenziaria”, raccontano. “Ci sono leggi che regolano il trattamento dei detenuti, che lo Stato sistematicamente non rispetta. Abbiamo fatto negli ultimi mesi due visite ispettive nelle carceri genovesi di Marassi e Pontedecimo in cui abbiamo potuto constatare la tipica situazione italiana di legalità violata: il cronico sovraffollamento, la mancanza di adeguata assistenza sanitaria e psicologica, le condizioni dei detenuti chiusi in celle per 20 ore al giorno, la mancanza di un numero adeguato di agenti di polizia penitenziaria, messi di conseguenza in condizioni lavorative molto difficili. A seguito di queste visite, Marco Perduca e Rita Bernardini, rispettivamente senatore e deputata radicali, hanno fatto richiesta di acceso ai verbali delle relazioni eseguite dalla Asl di competenza, riguardanti le condizioni igieniche e ambientali e lo stato delle strutture edilizie dei due istituti penitenziari, richiesta a cui ad oggi non è ancora stata data risposta, nonostante le assicurazioni e l’interessamento dimostrato dal Sindaco, Marta Vincenzi, e dagli altri esponenti politici che hanno partecipato il 26 luglio scorso alla fiaccolata davanti al carcere di Marassi”. “Noi Radicali ribadiamo la necessità di agire concretamente e denunciamo quindi il comportamento omissivo della Regione Liguria e delle altre istituzioni locali tornando a chiedere con forza di poter visionare la documentazione richiesta nel luglio scorso dai parlamentari Marco Perduca e Rita Bernardini - concludono. Da mesi inoltre portiamo avanti la battaglia Amnistia per la Repubblica per denunciare che quando lo Stato non rispetta le sue stesse leggi il prezzo da pagare in termini di diritti umani calpestati è altissimo come possiamo vedere quotidianamente nelle carceri. Per questo i Radicali propongono l’amnistia come provvedimento d’urgenza per rientrare nella legalità, in attesa di avviare una seria riforma del sistema penale e carcerario”. Barletta: Ugl; riapre il carcere di Spinazzola dopo mobilitazione politica bipartisan Comunicato stampa, 26 ottobre 2011 Appena due giorni fa avevamo lanciato l’invito a Fabio & Mingo di “Striscia la Notizia” ad occuparsi della incredibile chiusura del Carcere di Spinazzola. Che il decreto di chiusura fosse provvedimento “balneare”, adottato cioè con tempistiche tali da evitare l’interessamento di sindacati, politici e mass-media, l’abbiamo detto subito, e subito abbiamo cercato di far comprendere come tutto andava fatto al Carcere di Spinazzola, tranne che chiuderlo. Noi dell’Ugl-Polizia Penitenziaria, al contrario degli altri, invitavano a recuperare quei 12 agenti necessari per consentire il potenziamento della capienza della struttura ad oltre 100 detenuti, come auspicato dalla direzione dello stesso carcere. Ebbene, oggi autorevolissime fonti del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, non solo hanno confermato la riapertura della struttura, ma hanno anche precisato che il Presidente Ionta pare abbia dato (o stia per dare) incarico al Provveditore Martone di riattivarsi in tal senso, recuperando in regione gli agenti necessari alla riattivazione del carcere, secondo modalità analoghe a quelle previste per la prossima apertura del carcere di Gela. Come potrebbe fare qualcun altro, noi dell’Ugl-Polizia Penitenziaria non vogliamo “mettere il cappello” su questa splendida notizia (non è nostro stile). Il merito della riapertura è in primo luogo della Comunità di Spinazzola, di quelle persone che sotto il sole di agosto hanno partecipato alla nostra manifestazione di protesta, che hanno fatto lo sciopero della fame per gridare il proprio disappunto (Annarita Di Giorgio dei Radicali), di quei politici nazionali (On. Fucci e Bernardini, Sen. D’Ambrosio Lettieri) e locali (il Presidente della Provincia Ventola ed il consigliere regionale Mennea), che hanno letto i nostri comunicati e hanno dato fiato alla voce dei colleghi che hanno dato sette anni della propria vita per consentire al carcere di diventare quella piccola e bella realtà risocializzante, apprezzata anche in seno alla Commissione Parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario e le cause dei disavanzi sanitari regionali. Uno splendido esempio di attivismo politico bipartisan, dove non conta il colore della bandiera che sventola, ma la necessità di realizzare qualcosa di buono, insieme, e che andrebbe emulato per il bene del Paese! Il sipario calato dopo l’interrogazione parlamentare dell’On. Bernardini, quindi, sembra essersi magicamente risollevato e la politica sembra essere tornata ad occuparsi dei problemi della comunità. Oggi è programmata l’audizione del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria innanzi alla Commissione Parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario, per discutere dello stato della sanità penitenziaria. Potrebbe essere l’occasione buona per il dott. Ionta per comunicare ufficialmente all’On. Fucci, componente di quella Commissione, non solo che il Carcere di Spinazzola riapre, ma che sarà fatto l’impossibile per riattivarlo al pieno delle sue potenzialità, riprendendo il progetto sanitario sperimentale, finanziato dalla Asl-Bt con 130.000 euro, e destinato a quei detenuti sex offenders, stipati ora nelle sezione precauzionali della regione. Sappiamo che il compito del Provveditore Martone è arduo, visto che già in passato aveva manifestato difficoltà a reperire le unità per mandare a pieno regime l’istituto di Spinazzola. Sappiamo, però, che il Provveditore è persona preparata e volitiva, un Uomo delle Istituzioni che ama le sfide, e non facciamo fatica a credere che si cimenterà da subito per raccogliere quella lanciatagli dal Presidente Ionta. Nonostante la bella notizia, è palpabile la sgradevole sensazione che possa esserci nascosto nell’ombra il solito “franco tiratore”, disposto a tutto pur di non restituire a Spinazzola sedie, scrivanie e condizionatore. Di conseguenza, allora saremo veramente soddisfatti del nostro piccolo contributo, quando l’Istituto di Spinazzola sarà riaperto e funzionante! Lanciano (Ch): i detenuti faranno la raccolta differenziata Il Centro, 26 ottobre 2011 La raccolta differenziata entra nella casa circondariale di Villa Stanazzo, a Lanciano (Chieti), grazie al protocollo d’intesa siglato tra Comune, direzione della Casa circondariale ed Ecologica Sangro S.p.A., azienda che svolge servizi di igiene urbana nelle province di Chieti e Pescara per un bacino di utenza pari a 100 mila persone circa e operante nel settore delle energie rinnovabili (gas di discarica e energia fotovoltaica). Grazie a questo accordo, 400 persone, tra reclusi e personale di Polizia Penitenziaria, personale del comparto Ministeri, sanitari e infermieri della locale Asl e consulenti vari potranno avvalersi di un servizio capillare di raccolta differenziata. I costi derivanti da questo accordo saranno interamente sostenuti da Ecologica Sangro. “Si tratta - ha ricordato il presidente di Ecologica Sangro, Alessandro Di Francesco - di un percorso soprattutto culturale che vogliamo iniziare con la casa circondariale di Lanciano, una delle prime di questo tipo a livello italiano”. “Siamo orgogliosi - ha continuato Di Francsco - di poterla attuare noi in Abruzzo, sperando che questa intesa possa rivestire una funzione di stimolo per la società, nel percorso del cambiamento culturale in materia di raccolta e gestione dei rifiuti”. La direzione della Casa circondariale predisporrà all’interno della struttura una capillare raccolta dei rifiuti (carta, plastica, metalli, vetro) con l’impegno di raggiungere nel più breve tempo possibile il massimo del risultato nella raccolta differenziata, eccezion fatta per quelli speciali non assimilati agli urbani che saranno conferiti a ditte specializzate. Cosenza: concluso il progetto “Ricomincio da qui”, ieri il convegno finale www.italia24.it, 26 ottobre 2011 “Ricomincio da qui”…e poi? è il titolo del seminario conclusivo del progetto “Ricomincio da qui”, avente l’obiettivo di presentare i risultati delle attività progettuali e di porre le basi per la continuazione dell’iniziativa; da qui il titolo “Ricomincio da qui”… e poi? L’incontro, tenutosi nella Sala degli Specchi del Palazzo della Provincia, è stato introdotto dall’Assessore Provinciale alla Formazione Professionale, Politiche del Lavoro, Mercato del Lavoro, Informalavoro, Giuseppe Giudiceandrea. Di seguito sono intervenuti Francesco Cosentini, Presidente dell’Associazione di Volontariato Penitenziario “LiberaMente”, capofila del progetto Ricomincio da qui; il Dr. Piero Caroleo, Direttore della Cooperativa Sociale Promidea, il Dr. Giovanni Cuconato, Direttore del Centro per l’Impiego di Cosenza, ed il Responsabile Acli di Cosenza, Beniamino Tramontana. Ha concluso il Presidente della Provincia di Cosenza, Gerardo Mario Oliverio.Il progetto “Ricomincio da qui” è stato finanziato nell’ambito del Bando 2008 - Perequazione per la progettazione sociale - Regione Calabria, che ha origine nel Protocollo di intesa del 5 ottobre 2005 siglato dalle fondazioni di origine bancaria rappresentate dall’Acri (Associazione Fondazioni Bancarie e Casse di Risparmio), dal Forum del Terzo Settore, dalla Consulta nazionale del Volontariato, dalla Conferenza Permanente dei Presidenti Associazioni e Federazioni Nazionali del Volontariato (Convol), dal Coordinamento nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato (CSVnet) e dalla Consulta nazionale dei Comitati di gestione dei fondi speciali previsti dalla legge per il volontariato (Co.Ge.), volto a promuovere una migliore infrastrutturazione sociale delle regioni meridionali del Paese, individuata come leva strategica per il loro sviluppo, e a potenziare il sistema nazionale di sostegno e qualificazione del volontariato. Il progetto “Ricomincio da qui”, iniziato nel Marzo del 2010 e che si concluderà a fine ottobre 2011 è stato promosso dall’Associazione di Volontariato Penitenziario Libera Mente, in partenariato con la Provincia di Cosenza - Assessorato Mercato del Lavoro e Formazione Professionale, il Centro per l’Impiego di Cosenza, la Cooperativa Sociale Promidea, il patronato Acli di Cosenza, il Centro Socio Culturale “Vittorio Bachelet”, la Fondazione “Roberta Lanzino”. Alla realizzazione del progetto “Ricomincio da qui” ha poi partecipato l’Istituto Penitenziario di Cosenza, da sempre sensibile e aperto alle iniziative finalizzate alla riabilitazione delle persone ivi detenute, che ha rappresentato non solo il contesto di riferimento dell’intervento progettuale (avendo lo stesso come destinatari principali i detenuti della Casa Circondariale della cittadina brutia e le loro famiglie) e il contesto di realizzazione di buona parte delle attività stesse, ma anche e soprattutto un attore chiave della rete territoriale istituzionale che con il progetto è stata creata, rompendo quel diaframma che storicamente separa l’universo carcerario dalla società civile. Il progetto “Ricomincio da qui” ha perseguito l’obiettivo generale di sostenere e supportare le persone detenute nell’Istituto Penitenziario “Sergio Cosmai” di Cosenza e le loro famiglie, attraverso azioni di contrasto e superamento delle conseguenze negative (patrimoniali e non) connesse alla detenzione e/o restrizione di un componente del proprio nucleo familiare. Individuati in sede di formulazione dell’idea progettuale in numero pari a 100, i beneficiari che hanno concretamente usufruito delle attività, sono stati quasi il triplo. Oltre ai destinatari originariamente previsti, delle attività progettuali hanno beneficiato anche familiari di persone detenute in altri Istituti Penitenziari ed ex detenuti. Al fine di raggiungere gli obiettivi del progetto, “Ricomincio da qui” è stato articolato nelle seguenti attività: Orientamento al lavoro: il servizio - erogato dalla Provincia di Cosenza attraverso il Centro per l’Impiego - è consistito nel fornire ai beneficiari supporto rispetto alla creazione del curriculum vitae e della lettera di presentazione, all’individuazione delle potenzialità dei soggetti spendibili sul territorio, alla ricerca di corsi di formazione per la qualificazione e la ri - qualificazione e di opportunità lavorative e successiva gestione dei colloqui presso le aziende, alla consulenza sull’autoimpiego e sulle forme contrattuali. Orientamento sulle opportunità formative: il servizio, a cura della Provincia di Cosenza, Assessorato Mercato del Lavoro e Formazione Professionale, ha avuto l’obiettivo di contrastare la dispersione scolastica e migliorare la qualificazione dei beneficiari dell’intervento. Consulenza e supporto nel disbrigo di pratiche: a cura del patronato Acli di Cosenza, l’attività ha avuto l’obiettivo di supportare i detenuti e le loro famiglie nel disbrigo di pratiche concernenti aspetti legali, fiscali, amministrativi, previdenziali; di rispondere tempestivamente ai loro bisogni e facilitarne l’accesso alle informazioni e ai percorsi burocratici necessari per il riconoscimento di tutte le opportunità a disposizione. Il servizio è stato è stato articolato in un’attività a sportello, due volte a settimana c/o la sede dell’Acli e una volta a settimana nell’Istituto Penitenziario di Cosenza in uno spazio all’uopo adibito. Dopo scuola e attività ludico-ricreative: a cura dei volontari dell’Associazione di Volontariato Libera Mente e del Centro Socio Culturale “Vittorio Bachelet”, l’attività ha avuto l’obiettivo di prevenire l’abbandono scolastico e l’insorgenza di fenomeni di devianza giovanile e di promuovere la socializzazione tra bambini con medesime problematiche familiari. Il servizio di dopo - scuola e attività ludico - ricreative, è stato è stato prestato tre volte a settimana c/o la sede del Centro Socio Culturale “Vittorio Bachelet”. Distribuzione di beni di prima necessità: a cura del Centro Socio Culturale “Vittorio Bachelet”, l’attività ha avuto l’obiettivo di ridurre il disagio economico conseguente alla carcerazione del proprio congiunto, attraverso la distribuzione di alimenti e vestiario. La prima a cadenza mensile, la seconda secondo le esigenze. Supporto psicologico: a cura della Fondazione “Roberta Lanzino”, l’attività ha avuto l’obiettivo di aumentare l’autostima e diminuire il senso di abbandono e di solitudine dei familiari dei detenuti. Promozione, diffusione e monitoraggio dell’intervento: a cura della Cooperativa Sociale Promidea, l’attività ha avuto l’obiettivo di promuovere, diffondere e monitorare le attività progettuali, anche al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica, la società civile e le istituzioni sul tema e costruire una maggiore attenzione verso la realtà della detenzione ed i problemi che questa crea al detenuto e a tutte le persone coinvolte, con particolare riguardo alle famiglie. Napoli: i vincitori del “Premio Napoli 2011” incontrano i detenuti di Poggioreale Il Mattino, 26 ottobre 2011 Il Premio Napoli 2011 prosegue il suo viaggio alla scoperta della città stratificata. Appuntamento speciale a Poggioreale con le voci dal carcere, dove gli scrittori vincitori, Ruggero Cappuccio e Helena Janeczek, hanno incontrato i comitati di lettura presenti nel penitenziario. Ad aprire la mattinata di lettura, l’artista Peppe Barra che ha ricordato la sua infanzia, la bellezza di Procida e la casa a picco sul mare. Seduti sulle panche della chiesa all’interno della casa circondariale, i detenuti hanno seguito ipnotizzati le parole dell’artista napoletano, che ha lanciato la sua proposta: “Faremo qui, a Poggioreale, la cantata dei pastori”. L’incontro è stato organizzato con l’aiuto dell’associazione il “Carcere Possibile”, in collaborazione con il personale della polizia penitenziaria del reparto Salerno, con il contributo della responsabile del “Comitato lettori di Poggioreale”, Anna Farina. “Sono diciassette detenuti che hanno partecipato al laboratorio di lettura - ha spiegato la responsabile. In tanti si sono appassionati, diventando dei lettori accaniti. Hanno letto con passione i libri di Ruggero Cappuccio e Nadia Fusini, hanno particolarmente apprezzato i testi storici. Per questo motivo, abbiamo ampliato il laboratorio e abbiamo proiettato la pellicola di Francesco Rosi, “La Tregua”“. Israele: ritorsione all’accordo sullo scambio di detenuti; campagna di violenza nelle carceri www.infopal.it, 26 ottobre 2011 I detenuti palestinesi nel carcere del Negev hanno reso noto che “la direzione carceraria israeliana sta conducendo una violenta campagna all’interno di alcune prigioni in ritorsione all’accordo di scambio raggiunto tra Israele e Hamas”. La campagna è stata denominata infatti “il rendiconto dell’accordo”, con irruzioni nelle celle e violente ispezioni tra i detenuti. La direzione del carcere di Hasharon ha installato delle telecamere nello spiazzo dove le detenute palestinesi possono trascorrere alcune ore all’aperto. Il gesto ha suscitato l’ira delle detenute che lo hanno definito “un provvedimento irresponsabile diretto a monitorarne i movimenti e invadere la loro privacy”. Le detenute hanno reagito ritirandosi a oltranza nelle proprie celle”. Restano nel carcere di Hasharon sette detenute palestinesi: Lina al-Jarbouni, Rania Halsah, Bushra at-Tawil, Mona Manà, Khadija Abu ‘Aiyash, Hanyah Nasser, Fidà Abu Saninah. Due invece le detenute palestinesi nel carcere di Damoun, in attesa di essere trasferite ad Hasharon: Wuroud Qassem e Sùad Nazzal. Ieri notte, le forze d’occupazione israeliane hanno fatto irruzione nel carcere di Ramon. Molti detenuti sono stati trasferiti. Per telefono, alcuni prigionieri del carcere del Negev hanno raccontato all’agenzia palestinese Màan: “Le forze d’occupazione stanno effettuando irruzioni e violente ispezioni a sorpresa tra i detenuti”. Stando al racconto dei detenuti: “Il direttore del carcere li ha informati ufficialmente che gli sconti di pena sono cancellati definitivamente e, con riferimento alla seconda fase dell’accordo di scambio, se questa dovesse anticiparsi, avverrà in concomitanza o dopo l’Eid al - Adha, la festa islamica del sacrificio, il prossimo 6 novembre. “Due sezioni saranno chiuse nel carcere di Negev e anche le due prigioni di Eishel e di Ashqelon a Bìr as-Sabq (Bersheeva) sono in via di chiusura”, avrebbe riferito il direttore del carcere. La direzione del carcere di Negev ha posto in isolamento il detenuto Tareq Ibrahim, palestinese di 19 anni, punito per tentata difesa durante l’assalto nella cella dove si trovava insieme agli altri detenuti. Tareq aveva cercato di proteggere gli oggetti personali degli altri. Il detenuto palestinese era stato condannato a tre anni di prigione, già scontati. Nei suoi confronti si è decisa l’estensione della detenzione. Turchia: dopo il terremoto rivolta nel carcere di Van, detenuti chiedono il trasferimento Ansa, 26 ottobre 2011 È stata rapidamente sedata la rivolta scoppiata oggi in un carcere a Van, capoluogo dell’omonima provincia nella Turchia sud - orientale, colpita dal devastante terremoto di domenica scorsa e abitata a larga maggioranza da esponenti dell’etnia curda: lo hanno riferito fonti giornalistiche presenti in città. I detenuti avevano appiccato le fiamme ad alcuni locali della prigione e, armati di forbici e coltelli, avevano attaccato le guardie penitenziarie. Sono stati quindi uditi una decina di colpi di arma da fuoco esplosi dagli agenti, che sono bastati a placare gli animi e a convincere i rivoltosi ad arrendersi. Sembra che questi ultimi non intendessero approfittare delle particolari circostanze per evadere, come avevano già fatto circa duecento loro compagni nel giorno del sisma. Al contrario, erano furibondi e spaventati per essere stati tenuti nelle celle con le porte sprangate, malgrado le continue scosse di assestamento che temevano potessero far crollare muri e soffitti. Carcerati Van saranno trasferiti I detenuti del carcere di Van che oggi ha vissuto una rivolta saranno trasferiti in altri penitenziari: è questo, secondo fonti di sicurezza sul posto, l’esito della mediazione condotta da due parlamentari curdi. Dopo i lavori di consolidamento della struttura colpita dal terremoto di domenica scorsa, i detenuti saranno riportati qui. Poco prima delle 23.30 locali l’assembramento di parenti dei detenuti, tenuti a bada anche con blindati e idranti, si è sciolto. Kazakhstan: amnistia a 16mila detenuti, per i 20 anni dell'indipendenza Ansa, 26 ottobre 2011 Un'amnistia di massa per festeggiare i 20 anni dell'indipendenza del Kazakhstan dall'Urss, che cade il 16 dicembre prossimo. L'ha votata oggi il parlamento di Astana per liberare 16 mila detenuti nelle prigioni del paese. Lo riferisce il quotidiano Kazakhstanskaya Pravda. Ora la legge dovrà essere approvata dal Senato, poi la firma finale del presidente Nursultan Nazarbaiev. Attualmente le prigioni kazake ospitano circa 46 mila detenuti, di cui 6.600 in custodia preventiva. Israele: il Governo approva scambio prigionieri con l’Egittto Adnkronos, 26 ottobre 2011 Il gabinetto di sicurezza israeliano ha approvato all’unanimità l’accordo di scambio di prigionieri con l’Egitto, grazie al quale l’israelo - americano Ilan Grapel verrà messo in libertà in cambio della scarcerazione di 25 detenuti egiziani in Israele. Grapel, detenuto in Egitto dallo scorso 12 giugno, verrà liberato giovedì, in base all’accordo giunto ieri sera, che si è avvalso anche della mediazione americana. Un comunicato diffuso dall’ufficio del primo ministro israeliano ha precisato che i 25 egiziani sono criminali comuni. Grapel, studente di diritto, era stato inizialmente arrestato di spionaggio, ma l’accusa è stata poi mutata in insurrezione e danni ad edfici pubblici nell’ambito della protesta che ha portato alla caduta del presidente egiziano Hosni Mubarak. Israele ha intanto promesso di continuare i negoziati per giungere anche alla scarcerazione di Ouada Tarabin, un beduino israeliano da 11 anni in carcere in Egitto con l’accusa di spionaggio. Mozambico: detenuti sul palco, per il festival “Tambo Tambulani Tambo” Ristretti Orizzonti, 26 ottobre 2011 Per la prima volta nella storia del Mozambico un gruppo musicale di soli detenuti ha partecipato a un festival internazionale. L’idea è stata di Carlos Alberto, responsabile culturale di Progetto Mondo Mlal nell’equipe di “Vita Dentro”, il programma di cooperazione che coinvolge le prigioni della Provincia di Nampula. “Anamavechiwa”, che nella lingua locale macua significa “riabilitato”, “recuperato”, raccoglie un gruppo culturale costituitosi nella Penitenziaria Industriale di Nampula, dove sono reclusi coloro che devono scontare pene particolarmente lunghe. Il gruppo comprende 64 artisti che esprimono diverse aree artistiche: danza, musica, poesia, pittura, teatro. Al festival di Pemba hanno partecipato i musicisti di Mbira, strumento tradizionale del nord del Mozambico. Durante il festival, il gruppo ha fatto parte di una jam session con altri musicisti mozambicani e riscosso molto successo per la bravura, oltre che suscitato grande ammirazione e curiosità per la condizione di reclusione dei componenti, che hanno avuto anche l’occasione di esibirsi con il prof. Warilla, vero re della Mbira, accompagnandolo in un canto che ha emozionato tutti i partecipanti al festival. Lo stesso Warilla si è alla fine detto molto ammirato dal coraggio e dalla grande forza che hanno saputo trasmettere i nostri artisti! Un successo che andrà riproposto altrove, perché le buone prassi, sperimentate nel progetto “Vita Dentro”, fanno particolarmente bene a un Paese che, in questo modo, riscopre le proprie risorse anche dove non immaginerebbe di trovare dei talenti così portentosi. Progetto Mondo Mlal è un’Organizzazione non governativa (Ong) di volontariato nazionale e internazionale. Costituita nel 1966, con sede a Verona, promuove e sostiene l’impegno dei volontari in America Latina e in Africa stimolando e rafforzando il volontariato sul territorio. Sara Laruffa, Casco Bianco Progetto Mondo Mlal Mozambico