Il diario di Elton: “Alla ricerca di un lavoro” Redattore Sociale, 21 ottobre 2011 “Non ho tante aspettative, vista la crisi che c’è, tuttavia penso di provare nel campo che più mi compete. Immagino come sarà: camminerò lungo strade sconosciute, busserò a ogni negozio di copisteria o grafica”. “Caro Elton, dovrei raccontarti quanto sono felice di essere uscito dal carcere e quanto sia bella la vita fuori, invece mentirei. È un mese che vivo nell’appartamentino dei miei genitori. Dormo in soggiorno sul divano-letto e non sono ancora riuscito a trovare un lavoro. Qui in quartiere sanno tutti che sono stato in gabbia e mi guardano come se avessi la lebbra. Adesso capisco perfettamente che cosa provate voi stranieri quando vi sbattono le porte in faccia…”. Inizia così la lettera di M., un ragazzo padovano, mio compagno di detenzione, uscito da poco. Tra pochissimo uscirò e inevitabilmente andrò a cercare lavoro. Non ho tante aspettative, vista la crisi che c’è, tuttavia penso di provare nel campo che più mi compete. Immagino come sarà: camminerò lungo strade sconosciute, busserò a ogni negozio di copisteria o grafica e chiederò se assumono. Certo, dapprima mi accoglieranno con un sorriso, ma una volta dichiarato il motivo per cui sono lì, nel migliore dei casi mi chiederanno cosa so fare. Dovrò imparare a sintetizzare il mio curriculum. Forse sarà meglio accantonare le lauree e passerò subito alle esperienze lavorative: dirò che ho lavorato in una redazione dove ho battuto testi, sbobinato interviste, impaginato riviste, stampato e rilegato opuscoli, creato pagine web, tagliato e montato riprese video, preparato e proiettato slides per seminari e convegni e, nel tempo libero, ho anche scritto un centinaio di racconti. Poi ci sarà forse una pausa, ci guarderemo, e poi… chi sa! Nel peggiore dei casi il sorriso si trasformerà in smarrimento, per non aver capito subito che non sono un cliente, e forse anche in paura, perché l’accento straniero potrebbe tradire cattive intenzioni. Il mio amico nella sua lettera raccontava come l’essere ex-detenuto lo faceva sentire, pur essendo italiano, uno straniero in casa propria, perché tutti sanno che è stato in gabbia. Allora mi domando se sia meglio nascondere di essere stato anch’io dentro? Quattordici anni di galera non sono un bel biglietto da visita. Conviene nasconderlo quindi, per evitare pregiudizi. Il problema è che ho un carattere complicato: non so rassegnarmi alla sofferenza o alle difficoltà, il che mi porta sempre a scegliere la strada più difficile, ma alla fine dei conti credo che reagire con dignità paghi. Se è vero che sto facendo la galera fino all’ultimo giorno, perché mi sono rifiutato di entrare in quei circuiti di delazione che spesso ti aprono le porte del carcere anticipatamente, è altrettanto vero che ho dedicato dieci anni della mia vita a fare informazione dal carcere, che in realtà significa combattere quotidianamente per difendere i diritti dei detenuti da un’informazione spesso incattivita e forcaiola. Significa esporsi, raccontare storie di uomini che non sono solo “reati che camminano”, lamentare disfunzioni del sistema, denunciare abusi di chi ha un ruolo di potere, insomma mettere la faccia, per quanto macchiata, in difesa di valori e di idee che vanno oltre ogni interesse di tutela personale. Si chiama sacrificio ed è il miglior allenamento alla dignità. Ecco perché, nonostante ci siano nel mio passato cose che non smetteranno di farmi vergognare, non negherò mai questa parte della mia vita, dovesse costarmi uno stato di disoccupazione perpetua. Elton Kalica (in collaborazione con Ristretti Orizzonti) Elton è un 35 enne albanese, detenuto nel carcere Due Palazzi di Padova con una condanna a 14 anni e 8 mesi per sequestro di persona a scopo di estorsione (senza armi e durato due giorni). Il prossimo 25 ottobre finirà di scontare la sua pena e tornerà libero. Firma storica della rivista Ristretti Orizzonti, attende di sapere se sarà rimpatriato in Albania o se potrà restare in Italia e lavorare da esterno per Ristretti. Ha deciso di raccontare su “Redattore sociale” i suoi ultimi giorni dentro. Giustizia: i Radicali; su riforme da Berlusconi l’ascolto che avremmo voluto avere dal Pd Notizie Radicali, 21 ottobre 2011 Nella serata di ieri, giovedì 20 ottobre 2011, si è tenuta una cena presso Palazzo Grazioli fra un delegazione Radicale - composta di Marco Pannella, Rita Bernardini, Maria Antonietta Farina Coscioni, Valter Vecellio - e Silvio Berlusconi, Angelino Alfano e Gianni Letta. Al termine dell’incontro, Pannella e Bernardini hanno dato la notizia in diretta audio video su Radio Radicale. Rita Bernardini: “Sui temi dei quali avremmo voluto parlare con il Partito Democratico, con Bersani, in realtà abbiamo trovato ascolto da parte del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Governo sul quale abbiamo sempre votato contro, dall’inizio della legislatura fino all’ultimo voto di fiducia dello scorso venerdì 14 ottobre. Credo che questo abbia la sua importanza, perché nonviolenza significa dialogo e quando si trova qualcuno dall’altra parte che ha deciso di ascoltare a lungo, credo che la nonviolenza imponga, per chi sappia usarla, il dovere della tenuta. Questa lotta - che richiede una Riforma, forse la riforma sociale più importante per il nostro Paese, quella dell’amnistia per la Repubblica - sarà probabilmente una lotta lunga, anche se ne abbiamo più che mai la consapevolezza: consapevolezza anche del Presidente della Repubblica, per le parole che ha pronunciato ormai mesi fa, quando - parlando di carceri e di giustizia, dei circa 5.900.000 procedimenti penali pendenti (dei quali 200.000 cadono in prescrizione ogni anno) e dei quasi 6 milioni di processi civili pendenti - ha detto che c’è una “prepotente urgenza” di intervento e che la classe politica deve avere uno “scatto”. Noi questo scatto lo stiamo cercando, cercando di convincere e di creare quegli spazi anche di informazione e di conoscenza che possano arrivare ai cittadini, che attualmente sono tenuti all’oscuro di tutto, su questa battaglia. Noi abbiamo fornito dei dati molto precisi, con una ricerca scientifica del Centro d’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva che hanno dimostrato come sulle reti Rai, Mediaset e La7 (nel periodo 1° luglio - 21 settembre) questo tema ha avuto lo 0,3% delle notizie nei telegiornali. Ecco perché riteniamo che quello di trovare spazi di ascolto sia fondamentale per questa battaglia. Siamo vicini e continuiamo ad essere in contatto con la comunità penitenziaria… siamo puniti in Europa sia per le condizioni delle carceri sia per la giustizia: c’è bisogno di una grande amnistia che possa trascinare le Riforme che non sono più rinviabili. Questo sostanzialmente è il dialogo che abbiamo avuto col Presidente del Consiglio, ma abbiamo parlato anche di legge elettorale, della Riforma che sarebbe stata possibile se solo fossero stati rispettati i referendum per i quali i Radicali hanno ottenuto maggioranze schiaccianti”. Giustizia: detenuti nel “girone delle morti sospette” di Valentina Ascione Gli Altri, 21 ottobre 2011 Mostrava lesioni al naso e all’arcata sopraccigliare e i medici dell’ospedale “Piemonte” l’avevano giudicato guaribile in trenta giorni. A Marcel Vitiziu però ne sono bastati tre. Tre giorni e tre notti di calvario. Tre soli giorni per morire a trent’anni. I carabinieri l’avevano arrestato di venerdì sera per resistenza a pubblico ufficiale, nei pressi di una rivendita di tabacchi a Camaro Inferiore, nel messinese, dove l’uomo stava dando in escandescenze. Non era stato affatto semplice per i militari infilargli manette ai polsi perché, ubriaco com’era, al loro arrivo aveva preso a sferrare calci e pugni. E a dimenarsi al punto, pare, da sfuggirgli dalle mani, perdere l’equilibrio e sbattere il viso. sul pavimento. Neanche dopo quella botta, però, Marcel si era calmato e in ambulanza era stato tenuto ammanettato e legato alla lettiga. Poi l’arrivo al Policlinico, la diagnosi e una dose di sedativo. Poco dopo la mezzanotte il trasferimento nel carcere di Messina Gazzi e l’indomani, verso le 11, di nuovo in ambulanza verso il Policlinico per sottoporsi a una Tac, che rileverà un trauma cranico facciale, la rottura del setto nasale e un edema. Nonostante ciò, dopo l’esame l’uomo viene ricondotto in cella, ma nella notte le sue condizioni peggiorano e domenica mattina, come quelle anime che nella bolgia dantesca sono condannate a correre senza sosta, torna in ospedale, dove una seconda Tac conferma la diagnosi della prima. Quindi il rientro in carcere. Lunedì mattina le condizioni psicofisiche del detenuto sono tali che il giudice per le indagini preliminari non riesce a convalidare il fermo, poche ore più tardi l’uomo va in arresto cardiaco mentre è già a bordo dell’ambulanza per l’ennesima corsa verso l’ospedale. L’ultima, inutile corsa. Vano, infatti, ogni tentativo di rianimarlo e a mezzogiorno Marcel Vitiziu viene dichiarato morto. Una morte strana su cui la Procura di Messina ha aperto un’inchiesta, mentre la radicale Rita Bernardini ha già depositato un’interrogazione parlamentare per sapere se eventuali lesioni interne siano state provocate da traumi o percosse. Per una beffa del destino Marcel Vitiziu ha perso la vita proprio nei giorni in cui ricorreva il secondo anniversario della morte di Stefano Cucchi. E c’è solo da augurarsi, mentre si attende l’esito dell’inchiesta, che le somiglianze con il caso del geometra romano si limitino a questa circostanza. Giustizia: carceri sovraffollate e pochi soldi, in Lombardia e Campania situazioni peggiori di Giuliana De Vivo Il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2011 Sovraffollamento e misure alternative alla detenzione poco applicate. E una figura, quella del Garante dei detenuti, istituita a macchia di leopardo. La situazione dei penitenziari resta pessima, complici i tagli alla sicurezza e una legislazione non sempre chiara. I due Provveditori: “Cerchiamo di gestire al meglio i fondi”. Lombardia e Campania sono le due regioni con il maggior numero di detenuti. La prima ne conta 9312, a fronte di una capienza regolare di 5.652. La seconda 7.779 quando per legge potrebbero starcene al massimo 5.734. Un sovraffollamento che rischia di peggiorare con la diminuzione dei fondi prevista dal governo: il ddl stabilità contiene tagli lineari al comparto sicurezza per 60 milioni di euro. Troppo, tanto da scatenare la protesta dei sindacati di polizia, che oggi manifestano in piazza. Nel settore penitenziario significa un abbattimento delle possibilità di spesa che va dal quindici al venticinque per cento. “La situazione non è rosea”, ammette il Provveditore all’amministrazione penitenziaria della Regione Lombardia Luigi Pagano, che aggiunge: “Non a caso il governo ha dichiarato lo stato di emergenza e nominato Franco Ionta come commissario straordinario”. Era il gennaio 2009, ma da allora ad oggi grossi cambiamenti nello stato complessivo delle carceri non se ne sono visti. “C’è prima una fase burocratica, dopo comincerà quella pratica, e credo che per almeno due o tre anni non vedremo nulla”, spiega ancora Pagano. La parte burocratica vuol dire soprattutto rimettere a posto le strutture e crearne di nuove: “A Pavia, Voghera e Verona ci sono padiglioni che dovrebbero essere funzionali a fine anno”. Non molto diversa la situazione in Campania: il provveditore delle carceri Tommaso Contestabile racconta che “sono in corso da un anno e mezzo lavori in un padiglione del carcere di Poggioreale. E ci sono ristrutturazioni anche nei penitenziari di Carinola, nel casertano, e di Ariano Irpino, nell’avellinese”. Ma il problema del sovraffollamento resta. Diversi esponenti del partito Radicale da tempo insistono sulla necessità di un’amnistia o un indulto. Non condivide il ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma che, durante un dibattito sul tema tenuto al Senato lo scorso 21 settembre, le ha definite “misure tampone fatte perché non si vuole risolvere il problema alla radice”. Sull’ipotesi i due Provveditori non si esprimono: “Il mio è un ruolo amministrativo, non politico, ciascuno deve parlare nell’ambito della propria competenza”, dice Pagano. Più analitica la risposta di Contestabile: “In Campania, quando ci fu l’indulto qualche anno fa, quasi il 40% dei detenuti fu rimesso in libertà. Ma poi il legislatore sarebbe dovuto intervenire per evitare che la situazione tornasse quella di prima”. Con provvedimenti come, ad esempio, “la depenalizzazione dei reati bagatellari (piccoli furti e altri reati minori con pena massima inferiore a due anni, ndr)” o una facilitazione per quanto riguarda l’accesso alle misure alternative alla detenzione “anche per i recidivi”, ai quali oggi sono quasi precluse. “In Regione - spiega il Provveditore all’amministrazione penitenziaria della Campania - i recidivi rappresentano il 13,5% della popolazione totale dei detenuti”. Poter applicare anche a loro misure alternative significherebbe svuotare un bel po’ di celle. Ma, ammette Contestabile, “sono decisioni poco popolari tra l’elettorato, il politico di turno rischia di sentirsi accusare, a seconda del periodo, di avere il polso troppo morbido o troppo duro”. E se la Lombardia è la regione con il più frequente utilizzo di misure alternative, al sud la loro applicazione è ostacolata anche da un fattore sociale, visto che di occasioni di lavoro, fuori, ce ne sono poche. Sul problema del sovraffollamento anche il sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Osapp) ha avanzato una proposta: spostare i tossicodipendenti dalle carceri a strutture ad hoc. Il provveditore Pagano concorda in pieno, salvo far notare che se non viene messa in pratica è per la carenza di comunità di recupero: “Qualcuno deve pur pagare, e chi ce li mette i soldi?”. Certo non siamo, né in Campania né in Lombardia, ai livelli dell’Emilia Romagna, dove una recente circolare del Dap ha avvisato che nel carcere di Bologna potrebbero mancare i soldi persino per il vitto dei detenuti. Ma la penuria di fondi c’è, si sente e non è una novità di adesso. “Tagli che vanno dal 10 - 15% al 20 - 25% si fanno ogni anno, e non da questa legislatura”, ricorda Pagano. E a subirne le conseguenze è proprio chi sta dentro. Che non sempre può contare su una figura istituzionale: il Garante dei diritti del detenuto esiste in 22 Paesi dell’Unione Europea, ma in Italia non è mai stata emanata una legge che lo preveda a livello nazionale. E così capita che ogni Regione si organizza come crede: in Lombardia un Garante c’era fino allo scorso anno ma l’incarico non è stato rinnovato. In Campania da qualche anno questo ruolo è ricoperto dalla professoressa Adriana Trocco, nominata dalla giunta regionale. In altre parti d’Italia la figura coincide con quella di difensore civico. Ai provveditori tocca occuparsi solo dell’aspetto gestionale. E con senso pratico spiegano che “all’inizio di ogni anno arriva la comunicazione del budget disponibile: non viviamo sulla luna, sappiamo che i fondi sono quelli che sono e quindi ci vuole anche fantasia per utilizzare al meglio le risorse”. Finché ce ne saranno. Giustizia: Della Vedova (Fli); garantismo è anche sdoganare pene alternative Agenparl, 21 ottobre 2011 “L’idea di inserire nella discussione sul problema delle carceri una riflessione sulle pene è fondamentale sul piano della cultura giuridica, scientifica ed economica. Bisogna uscire dalla logica secondo la quale il garantismo riguarda solo il processo e gli imputati e non anche la pena e i condannati”. Lo ha affermato il capogruppo di Fli alla Camera, Benedetto Della Vedova, intervenendo alla presentazione del libro edito da Liberi Libri “Giustizia relativa e pena assoluta” di Silvia Cecchi, nell’ambito delle Giornate del Libro Politico a Montecitorio. “Il dubbio che occorre seriamente sollevare è se, come molti dicono, il reato sia la malattia e il carcere la sua unica terapia - ha sottolineato Della Vedova - . È un interrogativo a cui non possiamo dare risposte semplicistiche e populiste. Dobbiamo lavorare culturalmente sull’idea che non per ogni atto, ai fini del recupero del reo e del risarcimento della vittima, la soluzione migliore debba necessariamente essere la galera. Mi accontenterei se, con questo tipo di riflessione, riuscissimo quantomeno, in tempi non biblici, a sdoganare le pene alternative, partendo anche dagli strumenti che sono già disponibili nella legislazione italiana”, ha concluso Della Vedova. Giustizia: un anno di carcere per mezzo grammo di hascisc… valore 5 euro La Repubblica, 21 ottobre 2011 Il caso del piccolo spacciatore tunisino, condannato a una pena pesantissima, è stato reso pubblicato dal suo avvocato: “Vorrei sapere se il popolo italiano, in nome del quale vengono emesse le sentenze, è d’accordo con questa sentenza” Un anno di carcere per aver venduto 5 euro di fumo. È la pena a cui è stato condannato, in primo grado e ora anche in appello, un tunisino. Il piccolissimo spacciatore è accusato di avere ceduto ad un italiano, in concorso con altre persone rimaste ignote, un quantitativo di hascisc pari a 0,55 grammi, ricavandone cinque euro. La vicenda è stata resa pubblica dl legale dell’uomo, avvocato Elisabetta D’Errico, che ha scritto una lettera agli organi di informazione sulla vicenda. “Per completezza - ha premesso il legale - il mio assistito è soggetto recidivo specifico e reiterato e il primo giudice ha ritenuto prevalente sulla recidiva l’attenuante del fatto di lieve entità. Conseguentemente, nessun aumento di pena ha determinato la recidiva. Non discuto della responsabilità penale del mio assistito, avendo egli ammesso l’addebito, né intendo rifare il processo sui giornali”. D’Errico - che è anche presidente della Camera penale di Bologna - chiede “essendo però le sentenze pronunciate in nome del Popolo Italiano”, di aprire un dibattito “al fine di comprendere se il comune sentire del cittadino, rispetto ad una sentenza di condanna ad un anno di reclusione per la cessione di un quantitativo di hascisc per un corrispettivo di 5 euro, ricavo da dividere tra più persone tra loro in concorso, sia di adesione oppure di stupore. Credo sia urgente nel nostro Paese interrogarsi e confrontarsi sulla finalità della pena, sulla corrispondenza delle sentenze ai principi costituzionali, primo tra tutti il principio di eguaglianza davanti alla legge”. “Aggiungo che il mio assistito dal 12 maggio di quest’anno - ha aggiunto D’Errico - è detenuto in custodia cautelare nella Casa Circondariale di Bologna, ed essendo straniero, privo di riferimenti in territorio italiano, presumibilmente sconterà tutta la pena in carcere, salvo forse fruire di 45 giorni di liberazione anticipata. Il mio pensiero, per quel che può contare, è che la pena inflitta non sia proporzionata rispetto al fatto commesso, così come sproporzionata rispetto al fatto è la misura cautelare applicata”. La durezza della condanna riporta alla mente un episodio recente, di segno diametralmente opposto: il caso della trentenne bolognese figlia di medici a cui la polizia, la settimana scorsa, ha trovato in casa 600 grammi di hashish e 2.100 euro. Ma siccome la donna ha detto che li conservava per conto del suo fidanzato spacciatore, è stata solo denunciata e la procura, per lei, ha già chiesto l’archiviazione. Lettere: la democrazia non si afferma sparando alla testa di prigionieri inermi di Giulio Petrilli (responsabile giustizia Pd L’Aquila) Ristretti Orizzonti, 21 ottobre 2011 Qualche settimana fa, quando avvenne il ritrovamento di una fossa comune vicino al carcere di Tripoli di Ali Salim con i corpi di 1.600 detenuti trucidati dal regime di Gheddafi nel 1996, non ebbi esitazioni a definirla una pratica doppiamente criminale, perché uccidere una persona già detenuta e inerme è un crimine doppio. Oggi anche uccidere Gheddafi, già prigioniero con un colpo di pistola alla nuca, denota una logica da barbarie che appoggiata anche dalla Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Italia fa venire i brividi. Critichiamo i criminali e ci comportiamo esattamente come loro, nessuna parola di condanna verso una esecuzione sommaria, anzi parole di apprezzamento sulla rivoluzione compiuta da parte di Obama, Sarkosy, Frattini e un po’ tutti. Nessuna riflessione sulla necessità di aprire un nuovo ciclo, senza applicare la tortura nelle carceri e le esecuzioni sommarie. Quale differenza tra il regime di Gheddafi e i nuovi liberatori? Rastrellamenti e uccisioni ieri, rastrellamenti e uccisioni oggi. Tortura ieri e tortura oggi. Esecuzioni sommarie ieri, esecuzioni sommarie oggi. I bombardamenti Nato e delle potenze occidentali sono serviti a creare un nuovo regime, che uccide i prigionieri e li trascina lungo le vie con le macchine e non più i cavalli. Umbria: nomina del Garante dei detenuti è attesa da 5 anni… intanto i detenuti aspettano Notizie Radicali, 21 ottobre 2011 Dichiarazione di Liliana Chiaramello, Michele Guaitini ed Andrea Maori: “Sono passati 5 anni da quando il Consiglio Regionale dell’Umbria ha approvato la legge n. 13 del 18.10.2006 che istituisce l’importante figura del “Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale”, meglio noto come garante dei detenuti. La legge prevedeva che il garante fosse nominato dal Consiglio stesso con maggioranza qualificata dei 2/3 entro 90 gg. dall’entrata in vigore. Dopo 5 anni, in una seduta del Consiglio Regionale in cui è successo di tutto, il Garante non è stato ancora nominato per l’incapacità e l’immobilismo dell’attuale e del precedente Consiglio Regionale, in particolare per l’incapacità della maggioranza a gestire la seduta e i veti dell’opposizione.. Noi radicali abbiamo più volte sollecitato le istituzioni umbre, nazionali ed europee per porre fine a questa mancata nomina che è anche inosservanza della vigente legge. Dopo aver indetto una manifestazione davanti al Consiglio Regionale nel novembre 2008 e dopo aver interessato della vicenda il Presidente della Repubblica Napolitano e il Parlamento Europeo nel gennaio 2009, siamo riusciti ad ottenere l’iscrizione nell’Odg del Consiglio della nomina del Garante nel settembre del 2009 ma da allora abbiamo ancora assistito a continui rinvii, come quando nell’agosto 2010 l’Ufficio di Presidenza del Consiglio avviò la procedura di nomina del Garante senza però arrivare ad alcun risultato fino all’ultima seduta di qualche giorno fa quando il Consigliere Massimo Buconi a nome della maggioranza ha clamorosamente chiesto un ulteriore slittamento per la “necessità di riflettere ulteriormente sull’opportunità di dotarsi di questa figura a fronte del rapido cambiamento della società”. Evidentemente 5 anni di riflessioni non sono bastati. E intanto i detenuti aspettano. Liguria: parte da Genova un progetto di assistenza ginecologica per le detenute Ansa, 21 ottobre 2011 Ha avuto successo in Liguria sia in termini di adesione che di risultati il primo progetto in Italia di assistenza sanitaria ginecologica alle detenute di un carcere. Lo ha realizzato la associazione “Gravidanza gaia” nel carcere femminile di Pontedecimo a Genova, in collaborazione con la Asl3 e la Regione Liguria. Il progetto ha consentito tra l’altro di scoprire su una detenuta un cancro al collo dell’utero, sul quale è stato possibile intervenire per tempo. Nell’ambito del progetto sono state visitate 106 pazienti su base volontaria, che hanno ricevuto visite ginecologiche, pap test, ecografia transvaginale. “Oltre alla diagnosi e alla cura - ha spiegato Adele Teodoro, presidente dell’associazione ed esecutrice dello screening - c’è stata la collaborazione di tutti, detenute e personale di polizia giudiziaria, coinvolti dall’entusiasmo della dottoressa” ha detto la direttrice del carcere, Maria Milano. È emersa la necessità di fare prevenzione delle malattie trasmissibili, rieducazione sanitaria e sessuale a cominciare dall’igiene intima”. Soddisfatte dei risultati, Asl3 e Regione Liguria, che hanno firmato oggi un protocollo di intesa per proseguire l’iniziativa, a cui si sta interessando anche la Regione Lombardia. Genova: non riesce a vedere figlio, detenuto di 29 anni si impicca nel carcere di Marassi Agi, 21 ottobre 2011 “Non resisto più lontano da mio figlio”. È il messaggio lasciato da un detenuto di 29 anni nordafricano che ieri sera, all’interno del carcere di Marassi, a Genova, si è tolto la vita impiccandosi con le lenzuola nella sua cella. L’uomo, recentemente colpito da espulsione, stava scontando una pena per droga. Ad aprile sarebbe uscito e sarebbe stato rimpatriato. Da un anno la moglie non gli faceva più visita, negandogli gli incontri con il figlio. Il ventottenne non ha retto e ha deciso di togliersi la vita. Verso le 23.30 di ieri un detenuto di origini marocchine si è suicidato mediante impiccagione con strisce di stoffa ricavate dalle lenzuola in dotazione nella sua cella della sesta sezione del carcere genovese di Marassi. Rahamani Jalel 29 anni era detenuto per spaccio di stupefacenti e avrebbe terminato la pena tra circa due mesi. Ne da notizia il Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno. “Si tratta del 55° suicidio in cella di questo 2011. Aggiorniamo il pallottoliere per mera statistica avendo, oramai, la certezza che il dramma che ogni giorno si consuma all’interno delle nostre degradate carceri interessi solo agli addetti ai lavori e a pochi politici di buona volontà . Contrariamente - sottolinea Sarno - non si sarebbe fatto cadere nel vuoto il monito del Presidente Napolitano circa la prepotente urgenza di restituire civiltà e costituzionalità al nostro sistema penitenziario. Un sistema penitenziario, è bene ricordare, che lo stesso Capo dello Stato ha indicato come vergogna dell’Italia in Europa. Su questo l’immobilismo del Governo e del Parlamento è un dato di fatto”. La Uil-Pa Penitenziari ricorda come a Marassi siano attualmente ristretti 812 detenuti in luogo dei 456 posti disponibili. “Da tempo abbiamo segnalato l’ondata di violenza che attraversa Marassi - dice il segretario generale della Uil-Pa Penitenziari. Non solo per i due suicidi e i nove tentati suicidi, dal primo gennaio ad oggi, quand’anche per i circa 85 atti di autolesionismo grave, le dieci aggressioni perpetrate in danno di poliziotti penitenziari (con un complessivo di tredici feriti) e le circa cento proteste soggettive. E non crediamo che tutto ciò sia legato solo al sovraffollamento della struttura. Di sicuro, il depauperamento degli organici (con gli innumerevoli distacchi di poliziotti penitenziari verso sedi non operative) non aiuta a gestire l’ordinario stato di emergenza che si appalesa quotidianamente”. “Ribadiamo l’invito al Ministro Palma di stornare qualche milione di euro dal fantomatico piano carceri ad un più concreto e necessario piano di manutenzione straordinaria ed automazione degli istituti in uso. Più che nuovi posti detentivi - chiosa Sarno - servono carceri salubri e sicure. Per deflazionare il sovraffollamento basterebbe trasferire i tossicodipendenti nelle comunità, rendere automatico l’accesso alla detenzione domiciliare per chi ha residui pena non superiori a dodici mesi e, soprattutto, disciplinare il ricorso alla custodia cautelare”. Spoleto (Pg): 80enne, malato di tumore, ancora in carcere e in isolamento di Carmelo Musumeci www.imgpress.it, 21 ottobre 2011 In carcere capita spesso che si possa osservare meglio gli altri che se stessi. E scrivendo si può essere la voce di chi non ha neppure più la forza di avere voce. Questa è una storia vera che nessuno scriverà mai in un giornale e mai nessuno racconterà in televisione. Questa è una storia vera che rimarrà prigioniera nelle celle, nei cortili e nelle sezioni dell’Assassino dei Sogni (il carcere, come lo chiamo io). Io ci provo a fare evadere questa storia dalle sbarre della mia cella per farla conoscere aldilà del muro di cinta, al mondo dei “buoni”. Questa è la storia di Salvatore Liga, detenuto nel carcere di Spoleto in Alta Sicurezza, 80 anni compiuti l’estate scorsa, vecchio malato e stanco. E destinato con certezza a morire in carcere perché è stato condannato alla pena dell’ergastolo ostativo a qualsiasi beneficio, se al suo posto non ci mette un altro. L’ultima volta che l’ho visto era questa estate e si muoveva a malapena nel cortile del carcere con due stampelle sotto le ascelle. Stava sotto il sole seduto in una panchina di cemento armato tutto l’orario del passeggio a prendersi l’ultimo sole della sua vita. Poi un giorno non l’avevo più visto. In seguito avevo saputo che gli avevano trovato un tumore maligno allo stomaco e l’avevano trasferito d’urgenza in un centro clinico carcerario. Proprio l’altro giorno ho saputo che era ritornato, l’avevano operato, ma che adesso non riusciva più a camminare e gli hanno dato una sedia a rotelle. Oggi, da un suo paesano, ho saputo che per Salvatore Liga le disgrazie non sono finite perché gli hanno applicato un residuo d’isolamento diurno. A che serve e a chi serve applicare ad un povero vecchio in fin di vita una misura così sadica e vessatoria? Molti forse non sanno che l’isolamento diurno è una pena che si dà normalmente quando si è condannati alla pena dell’ergastolo e che ti costringe a non fare vita comune con i tuoi compagni. Che altro aggiungere, se non che il carcere non dovrebbe essere uno strumento di tortura, mortificazione, un luogo di violenza istituzionale e una fabbrica di emarginazione. E se siete dei credenti, aggiungo solamente che Gesù nelle sue predicazioni non chiedeva giustizia ma perdono. Visto però i risultati, credo che Gesù abbia perso solo tempo a venire su questa terra. Roma: Pd; fare chiarezza su agente penitenziario morto all’ospedale “Pertini” Il Velino, 21 ottobre 2011 Il Pd chiede chiarezza sulla morte martedì sera dell’assistente capo della Polizia Penitenziaria, Salvatore Corrias, presso il reparto detentivo dell’Ospedale Pertini di Roma. In un’interrogazione al ministro della Giustizia Nitto Palma, i senatori Nerozzi, Cosentino, Della Seta, Di Giovan Paolo, Ferrante e Vita chiedono “se il ministro non intenda dare corso, per quanto di suo competenza, alle procedure ispettive per verificare cause e responsabilità che hanno determinato questo drammatico incidente e se non intenda, inoltre, assumere iniziative per garantire condizioni di sicurezza per l’operato degli agenti penitenziari, troppo spesso costretti ad operare in condizioni non più sostenibili a causa dell’abbandono del sistema penitenziario dovuto a pesanti tagli subiti dal settore, dal degrado delle strutture e dalle carenze di organico”. In particolare Di Giovan Paolo, presidente del Forum della Sanità Penitenziaria, si “augura che la morte di questo operatore non sia vana e che non si risparmi sulla sicurezza e sulla qualità di vita dei detenuti e dei servitori dello Stato. Mi auguro - dichiara il senatore - che lo Stato prenda a cuore la famiglia di questo operatore”. Livorno: Uil; carcere nel degrado, vasta area delle Sughere transennata La Nazione, 21 ottobre 2011 La Uil, rilancia l'allarme sulla necessità di prevedere un piano straordinario di manutenzione degli istituti penitenziari. "Il transennamento di una vasta area alle Sughere di Livorno, i crolli di Taranto e di Marassi e la chiusura di un Padiglione a Potenza per l'instabilità strutturale sono solo alcuni esempi del degrado delle strutture penitenziarie con annessi rischi per l'incolumità fisica per chi in quelle strutture vive e lavora. Il segretario generale della Uilpa Penitenziari, Eugenio Sarno, commentando il suicidio di un detenuto nel Carcere di Marassi, lancia l'allarme sulla necessità di prevedere un piano straordinario di manutenzione delle carceri: "Si tratta del 55esimo suicidio in cella di questo 2011. Aggiorniamo il pallottoliere per mera statistica avendo oramai la certezza che il dramma che ogni giorno si consuma all'interno delle nostre degradate carceri interessi solo agli addetti ai lavori e a pochi politici di buona volontà". "Contrariamente - sottolinea Sarno - non si sarebbe fatto cadere nel vuoto il monito del presidente Napolitano circa la prepotente urgenza di restituire civiltà e costituzionalità al nostro sistema penitenziario. Un sistema penitenziario, è bene ricordare, che lo stesso capo dello Stato ha indicato come vergogna dell'Italia in Europa. Su questo l'immobilismo del governo e del Parlamento è un dato di fatto". "Di sicuro - dichiara il segretario generale della Uilpa Penitenziari - il depauperamento degli organici (con gli innumerevoli distacchi di poliziotti penitenziari verso sedi non operative) non aiuta a gestire l'ordinario stato di emergenza che si appalesa quotidianamente". "Pertanto ribadiamo l'invito al ministro Palma di stornare qualche milione di euro dal fantomatico piano carceri a un più concreto e necessario piano di manutenzione straordinaria e automazione degli istituti in uso. Più che nuovi posti detentivi - chiosa Sarno - servono carceri salubri e sicure". Prato (Fi): il carcere è al collasso, la polizia penitenziaria alza la voce La Nazione, 21 ottobre 2011 Gli agenti di polizia penitenziaria tornano ad alzare la voce. L’ormai stridente binomio tra unità presenti e unità necessarie ha assunto dimensioni enormi. Vi sono soprattutto problemi di sicurezza e diritti soggettivi (e oggettivi) che in questo stato di cose vengono puntualmente calpestati ripercuotendosi anche sulla vita privata degli stessi agenti. “Ogni giorno - scrivono le organizzazioni sindacali - gli istituti toscani sono scherniti del già striminziti numero di personale per far fronte alle gravose necessità dei Nuclei traduzioni piantonamenti, al fine di poter garantire la presenza dei ristretti nelle aule di giustizia, sempre e comunque sotto scorta compreso il taglio dei fondi per il carburante”. E ancora, “il personale di polizia penitenziaria lamenta turni e orari di servizio insostenibili che spesso vanno al di là dell’ordinario, al fine di garantire livelli minimi di sicurezza, inoltre percepisce con preoccupazione le condizioni igienico sanitarie dovute all’eccessiva presenza dei detenuti”. Concetti che le sigle sindacali della polizia penitenziaria hanno espresso in una dura nota inviata alle istituzioni competenti, per chiedere una presa di posizione nei confronti degli operatori di polizia che da sempre sono in prima linea ma come sempre bistrattati da tutti. “Le intenzioni dei poliziotti penitenziari e dei rappresentanti sindacali sono bellicose perché attuare un autoconsegna in caserma dopo lo svolgimento del servizio programmato, è un atto estremo che deve far riflettere ma allo stesso tempo dare risposte concrete e rapide alle problematiche. Faremo anche uno sciopero della fame. Aspetteremo fino a mercoledì, poi inizieremo a fare sul serio”, ha detto Giuseppe Boccino, segretario generale aggiunto del Lisiapp, il Libero sindacato degli appartenenti alla polizia penitenziaria. Firenze: all’Opg di Montelupo internato tenta di impiccarsi, salvato dagli agenti Ansa, 21 ottobre 2011 Nuovo tentativo di suicidio da parte di un internato dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. Un detenuto ha tentato di togliersi la vita impiccandosi con un lenzuolo legato alle sbarre della cella. L’episodio stato reso noto dal Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) il quale riporta che sono stati gli agenti di custodia a salvarlo intervenendo subito. Il fatto risale al pomeriggio di tre giorni fa ma è stato reso noto solo ieri. Dopo esser stato soccorso dagli agenti e da personale sanitario, il detenuto è stato trasferito all’ospedale di Empoli. Eseguiti i controlli medici, l’uomo è poi stato ricondotto all’interno della struttura. Matera: tentato suicidio nel carcere, detenuto salvato dalla Polizia penitenziaria Agi, 21 ottobre 2011 Tentativo di suicidio, la notte scorsa, all’interno della Casa circondariale di Matera. Secondo quanto riferito da Giovanni Grippo, segretario lucano della Uil-Penitenziari, un detenuto avrebbe cercato di impiccarsi ma alcune unità della Polizia penitenziaria, in servizio di controllo, sono riusciti a scongiurare il peggio liberando l’uomo e rianimandolo immediatamente e con efficacia, al punto tale da non essere stato necessario neanche il trasporto in ospedale. Ora - ha detto Grippo - l’uomo si trova sotto stretta osservazione da parte del personale penitenziario. Genova: rischia di chiudere il giornale dei detenuti, stasera spettacolo all’Archivolto www.carcereliguria.it, 21 ottobre 2011 Area di Servizio - Carcere e Territorio, il giornale che dal 2005 racconta la vita nelle carceri liguri attraverso le voci di una decina di detenuti dal carcere di Genova Marassi, rischia di chiudere a causa della mancanza di finanziamenti per il 2012. Per raccogliere fondi per la prosecuzione delle attività, oggi, venerdì 21 ottobre, si terrà al Teatro Archivolto di Genova lo spettacolo “Nacqui delinquente. Non fu mia madre a partorirmi, ma io a evadere la prima volta”, il cui ricavato verrà destinato ad Area di Servizio. Lo spettacolo sarà condotto da Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro, con la partecipazione di Roberta e Gianpiero Alloisio, Soggetti Smarriti, Andrea di Marco, Kabaret Kriminale, Alessandro Bianchi, Michelangelo Pulci, il gruppo spontaneo Trallallero, Esmeralda Sciascia, Roberto Martino. “L’obiettivo - spiega Enzo Paradiso, criminologo responsabile del progetto - oltre a sensibilizzare attraverso l’arte sulla realtà del carcere e di raccogliere fondi per rendere il giornale economicamente indipendente, è instaurare un canale di comunicazione diretto con la popolazione interessata. Oltre al giornale infatti, abbiamo sempre promosso e collaborato ad attività di informazione sul carcere, e vogliamo continuare a farlo anche nel corso del prossimo anno”. Brindisi: domani convegno su giustizia e carceri, con Marco Pannella Agi, 21 ottobre 2011 Sabato 22 alle 11 presso l’Hotel Internazionale di Brindisi, si terrà l’assemblea pubblica sul tema: “La giustizia e la sua appendice carceraria: una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”, promossa da Nessuno Tocchi Caino, Associazione Brindisi di Tutti, Associazione Famiglie Fratelli Ristretti e dall’Associazione Radicale Diritto e Libertà. All’assemblea prenderanno parte, tra gli altri, il leader radicale Marco Pannella, il segretario di Nessuno Tocchi Caino Sergio D’Elia, le deputate radicali Rita Bernardini ed Elisabetta Zamparutti e l’avvocato Giuseppe Napoli. Al termine è previsto un incontro di radicali pugliesi per uno scambio di opinioni sulla situazione politica. Molano; danza-terapia contro il disagio… quando il corpo “guarisce” la mente Affari Italiani, 21 ottobre 2011 Aprirsi agli altri e comunicare il disagio attraverso la danza: così i detenuti riescono a vivere meglio dietro le sbarre. È questa una delle attività dell’Associazione Sarabanda di Milano: i corsi sono stati realizzati nella Casa circondariale di Opera (Mi), nel carcere di Como e di Forlì. Elena Cerruto, direttrice artistica e responsabile didattica, racconta ad Affaritaliani.it l’utilità sociale del linguaggio corporeo. Non solo in carcere ma anche per gli anziani, chi ha una disabilità o nei centri psichiatrici. Che cos’è e a chi si rivolge la Danza Terapeutica? “La Danza Terapeutica è un percorso di cura e ascolto di sé, realizzato attraverso differenti stimoli, materiali e musiche che facilitano l’incontro e l’apertura verso un terreno creativo possibile per tutti: bambini, adolescenti, persone con disagi psichici, non vedenti, pazienti psichiatrici ma anche persone “normalmente nevrotiche”. Chiunque nella propria vita ha provato sensazioni come solitudine, stanchezza, mancanza di autostima, disagio nella relazione, rabbia inesplosa, ma anche dolori articolari, incapacità di prendere iniziative, senso di colpa, stress tecnologico, irritabilità, inadeguatezza per stare meglio basta decidere di dedicare una o due ore alla settimana a se stessi, fermarsi e danzare! Il percorso si rivolge a tutti, per questo diciamo che tutti possono danzare e con la danza stare meglio. E proprio per venire incontro ad ogni esigenza, abbiamo creato a Sarabanda diversi percorsi esperienziali: si va da quello breve (un ciclo di 8 incontri) a quello annuale, agli stage”. Utilizzate la Danza Terapeutica anche nel sociale, per esempio in carcere: in che modo questa attività può essere un aiuto per il recupero dei detenuti? “La Danza Terapeutica esprime anche risorse, competenze e tecniche rivolte al lavoro psicosociale, pedagogico e formativo. I nostri percorsi ideati per i detenuti, non sono solo un’occasione di “svago” e “rilassamento”, ma vengono studiati più specificatamente sulla base dei bisogni osservati e sulla cura della persona presa nella sua totalità del Corpo-Cuore. Ad esempio, per migliorare le condizioni di vita delle mamme detenute e dei loro figli da 0 a 3 anni, abbiamo lavorato per facilitare la relazione madre - bambino e la convivenza delle detenute all’interno della struttura di custodia detentiva. A livello individuale con la Danza Terapeutica si favorisce il miglioramento delle capacità di espressione corporea, della capacità di ascolto e di comunicazione del disagio di qualsiasi natura, nonché il recupero dell’autostima alla base del processo di rielaborazione sociale. A livello collettivo, invece, si raggiungono ottimi risultati inserendo le detenute in un gruppo eterogeneo per età, religione, cultura e istruzione. Questa modalità terapeutica favorisce l’apertura a se stesse e agli altri attraverso esperienze di attività non verbali e permette di utilizzare le differenze etniche e culturali come stimolo creativo per il gruppo e non come barriera comunicativa, proprio perché la danza è un linguaggio non solo non - verbale ma pre-verbale. In questo modo migliorano la convivenza e la capacità di collaborazione reciproca. Il contesto conduce a rielaborare in modo creativo il proprio vissuto emotivo per giungere al momento del Cerchio Finale di Condivisione, un momento conclusivo in cui mamme e figli si ri-incontreranno, dopo aver seguito il proprio percorso, per raccontarsi e in cui si favorisce il confronto diretto tra i vissuti personali entro un contesto protetto da giudizi”. Quali altri “interventi” sociali avete realizzato con la Danza Terapeutica? “Quella del danzaterapeuta è una figura professionale molto particolare, che opera in campo clinico e/o socio - educativo, con funzioni di prevenzione, riabilitazione e terapia per mezzo del linguaggio corporeo. I gruppi di Danza Terapeutica possono collaborare con centri geriatrici, per aiutare gli ospiti a superare il disagio dovuto al sentimento di abbandono e sfiducia che provano, ma non solo anche le comunità terapeutiche e gli enti o le associazioni per i diversamente abili si rivolgono ai danzaterapeuti per impostare un lavoro che aiuti l’utente a ristabilire un senso di percezione corporea globale e ad affrontare positivamente il senso del limite. La figura professionale del danzaterapeuta è di grande importanza anche nei centri psichiatrici ove il senso del suo lavoro diventa, ad esempio, quello di sostenere il malato nel percorso personale di recupero della propria percezione fisica, inevitabilmente compromessa dagli psicofarmaci. Per diventare danzaterapeuti, Sarabanda ha attivato da tanti anni una prestigiosa Scuola di Formazione, inserita nell’ampio contesto della Danza Movimento Terapia italiana Apid (Associazione Professionale Italiana DMT), che propone un percorso di 3/4 anni, suddiviso in moduli, per un totale di 1200 ore, compresi tirocini, supervisioni e stages con docenti ospiti. I corsi si svolgono un weekend al mese e si rivolgono prevalentemente a insegnanti, infermieri, educatori professionali, professionisti della danza, medici e psicologi”. Napoli: rassegna teatrale “Il Carcere Possibile”, al San Ferdinando detenuti in scena Adnkronos, 21 ottobre 2011 Promossa dalla Camera Penale di Napoli in collaborazione con il Teatro Stabile della Città e il Provveditorato Amministrazione Penitenziaria della Campania, torna da martedì 25 a venerdì 28 ottobre al Teatro San Ferdinando di Napoli, l’appuntamento con la rassegna dedicata alle compagnie di detenuti/attori, “Il carcere possibile”, giunta alla settima edizione. Un ricco programma con 10 spettacoli proposti da altrettanti Istituti di pena campani (Secondigliano, Lauro, S. Maria Capua Vetere, Pozzuoli, Poggioreale, Airola, Eboli, Nisida, Opg di Aversa e Opg di Napoli) - realizzati nell’ambito dei piani pedagogici annuali svolti dai rispettivi penitenziari. “Malgrado le ridotte risorse finanziarie - affermano i curatori - anche quest’anno grazie al contributo delle Istituzioni penitenziarie e delle Direzioni carcerarie, sono stati realizzati i laboratori teatrali che hanno coinvolto detenuti, registi, attori, magistrati, operatori, personale di polizia penitenziaria e associazioni di volontariato.” L’ingresso alle rappresentazioni è gratuito ed è consentito fino a esaurimento dei posti disponibili. I risultati di queste attività e i loro approdi scenici verranno presentati al pubblico e agli addetti ai lavori nel corso della tre giorni al San Ferdinando, la sala dello Stabile che per la prima volta ospita la rassegna, in continuità con le edizioni al Teatro Mercadante di questi anni, e a conferma della consolidata collaborazione dello Stabile con la manifestazione per la sua importante funzione civile. Si parte alle 18.30 di martedì con i detenuti/attori dell’Istituto penale di Secondigliano nello spettacolo “Il Re è ancora vivo”, drammaturgia e regia di Giorgia Palombi, che mette a confronto da prospettive e condizioni diverse, come quella dell’ex detenuto Giuseppe Esposito, ora libero cittadino, e quella di due uomini ancora detenuti, il senso della loro esperienza e del loro incontro con il teatro e la creatività in generale. A seguire, alle 20.00, la compagnia della Casa Circondariale di Lauro presenta “Più leggero di un suspir”, testo di Francesco Niccolini e la regia Teatro di Gluck. Un viaggio sospeso tra sogno e realtà nel pianeta Shakespeare, l’autore che più di chiunque ha saputo trasformare in opera d’arte il tema della morte e di tutte le sue forme. Il gruppo di detenuti/attori, catapultato chissà da dove sul palcoscenico, si troverà di fronte al pubblico nel disperato tentativo di ricordare le battute, le parti e le azioni del loro repertorio scespiriano. Mercoledì , alle 17.30, i detenuti/attori della Casa Circondariale di S. Maria Capua Vetere propongono una libera rivisitazione di un classico del teatro napoletano, “Miseria e Nobiltà“ di Eduardo Scarpetta, con la regia di Salvatore Mincione. I temi dell’amore e dell’inganno scandiscono la storia e le vicende del suo protagonista, intorno al quale ruota e si muove un coro di singolari personaggi. In un crescendo di esilaranti colpi di scena il divertimento del pubblico è assicurato. Alle 19.00, le detenute/attrici della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli presentano lo spettacolo “Sonno”, liberamente ispirato a Samuel Beckett, con la regia di Simone Petrella. È il racconto di tre donne vicine di bara che, come se fossero ancora in vita, si raccontano, discutono, litigano perfino. Solo il passare dei treni scandirà un tempo reale, in attesa di un definitivo trapasso che non si sa se e quando avverrà. Ultimo appuntamento della giornata quello delle 20.00 con la Casa Circondariale di Poggioreale in scena con lo spettacolo “Sogni smarriti”, dal laboratorio di Patrizia Giordano. Una rivisitazione di “Catastrofe” di Samuel Beckett come ‘lento processo di disumanizzazione di un individuò è per la regista ‘una scelta obbligata perché questa volta non ci sia ombra di dubbio sul messaggio che si intende far arrivare in maniera per niente consolatoria.’ Giovedì si inizia alle 17.30 con lo spettacolo “Spugliete a te e viestem’ a me” proposto dall’Istituto per Minori di Airola, con la regia di Antimo Nicolò e Enza Di Caprio. A seguire, alle 18.30, la compagnia di detenuti/attori dell’Istituto Circondariale di Eboli presenta lo spettacolo “Unità d’Italia: liberati o conquistati?”, con la regia di Pino Turco. Un breve viaggio nella storia dell’Unità d’Italia attraverso gli occhi dei contadini meridionali, quei rivoluzionari del nostro Sud noti ai più come briganti, che per l’unità del nostro Paese pagarono un caro prezzo di sangue. Si chiude alle 20.00 con la compagnia dell’Istituto per Minori di Nisida, presente alla rassegna con lo spettacolo “Pe vicule…sottovoce”. Un tempo in versi musicati, coordinamento e regia di Antonio Iavazzo, Veria Ponticiello, Pino Di Maio, Salvatore Sannino. Un omaggio al sommo menestrello Viviani, poeta e cantastorie della città partenopea, tra quelle Voci di Napoli, lungo vicoli e panni stesi dove, a ben guardare, si scorge in filigrana il male raccontato dal Bardo, un’eco del cantore brechtiano e folle di figuri di animo genettiano. Venerdì, alle 18.30, l’O.P.G. di Aversa e Teatri InGestAzione presentano “Caini d’Aversa”, un film documentario di Giovanni Nicois e Luca Palamara, realizzato all’interno dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa con il gruppo di attori protagonisti dello spettacolo “Fratello mio, Caino”, dal “Caino” di Byron, presentato alla scorsa edizione de “Il carcere possibile”. I sei attori raccontano nel film quella esperienza, quanto è avvenuto nei lunghi mesi delle prove prima che lo spettacolo prendesse forma definitiva. Il film è una produzione Primapagina. Seguirà la presentazione del libro di Adolfo Ferraro “Materiali dispersi. Storie dal Manicomio Criminale”. Un viaggio nel tempo trascorso all’interno dell’Opg di Aversa, dove agisce una schiera di esseri umani con vari ruoli gerarchicamente distribuiti che si aggira, aspetta, si ricorda, ride, piange, si lamenta, si arrabbia e poi ricomincia daccapo. Alle 20.30 ultimo spettacolo della rassegna quello proposto dall’Opg di Napoli, “Morale della favola”, drammaturgia collettiva o.n.g.Teatri & Etèrnit, su ideazione e regia di Pino Carbone. L’esplorazione teatrale del ‘ricordò come condizione del presente, dove la messa in scena è lo spazio della nostra infanzia, quel tempo in cui non esisteva ancora il reato, la malattia, il senso di fallimento, la detenzione e tutto è ancora possibile: un ritorno rigeneratore alla parte migliore di noi stessi. Livorno: un pomeriggio di teatro e danza, il carcere risuona di libertà Il Tirreno, 21 ottobre 2011 “Suonare dentro un carcere e davanti ai detenuti è un’emozione forte per noi, e per loro è un’occasione di divertimento, libertà e inserimento sociale”. Mark Randy Watson, nome d’arte di Marco Pellizzon, ovvero il cantante della Sexual Chocolate Blues Band inquadra così il pomeriggio passato ieri dentro il campo sportivo delle Sughere, la casa circondariale di Livorno. Uno spettacolo di danza, teatro e musica ha scandito l’iniziativa che rientra nel progetto “Diversamente Liberi”, trainato dall’Arci Livorno. Comune, Regione Toscana e poi tante associazioni del territorio sostengono un percorso già approdato dentro piazze e teatri della città, per far capire il carcere non è una cellula staccata dal nostro tessuto sociale. Così lo spiega Marco Solimano, garante dei detenuti: “Il carcere è un pezzo della nostra città e per troppo tempo ne è rimasto distante. L’apertura reciproca permette di confrontarsi con problemi più complessi, come la qualità della vita dentro il carcere, sanità, cibo e sovraffollamento. Il percorso di “Diversamente liberi” comincia da qui la sua fase conclusiva, ma si tratta di iniziative da ripetere più spesso per facilitare la comunicazione tra il dentro e il fuori”. Il corpo di ballo del Centro studi Artedanza ha aperto il pomeriggio con uno spettacolo di danza moderna e contemporanea, portato in scena da otto ballerine livornesi, di età compresa tra i 15 e i 25 anni. Loro sono: Dunia Disgraziati, Chiara De Plano, Camilla Mantovani, Rachele Raddi, Lisa Anselmi, Selene Chetoni, Lorena Lucarelli e Arianna Bernardi. “È la prima volta che veniamo qua - ci dicono - ed è un’esperienza che fa crescere. All’inizio avevamo un po’ di soggezione, ma alla fine è andata bene”. Poi entrano in scena i detenuti, per recitare uno spettacolo di teatro incentrato sul tema dell’Unità d’Italia, invocando personaggi storici come Pisacane, Matteotti e Pasolini. In chiusura, palco in mano ai Sexual Chocolate per circa un’ora di blues ancorato ai classici del genere, reinterpretati da: Marco Pellizzon (voce), Davide Loi (chitarra), Dario Orlandini (basso) e Fabio Michelazzi (batteria). La gente intorno balla, ride e si prende la dedica di un concerto che fa volare lo spirito sulle ali della libertà. Arondeband, il blog dei musicisti livornesi, ha realizzato un video del concerto, che si può vedere su www.iltirreno.it, alla voce Connetti Livorno. Iran: tre persone impiccate nel carcere di Qazvin Aki, 21 ottobre 2011 Tre detenuti sono stati impiccati nel carcere di Qazvin, ad ovest di Teheran. Lo riferisce il sito web della magistratura di Qazvin, stando a quanto riporta l’ong Iran Human Rights (Ihr). Tutte e tre gli uomini giustiziati sono stati riconosciuti colpevoli dell’omicidio avvenuto nel 2006 di un uomo di 39 anni, identificato come Gholamreza. Secondo fonti citate da Ihr, gli uomini saliti al patibolo si chiamano Hamidreza, Meghdad e Rahman. Secondo i siti attivi nell’ambito dei diritti umani, nell’ultimo anno sarebbero state impiccate in Iran oltre 450 persone. Nel Paese, a partire dalla rivoluzione del 1979 e con l’istituzione della Repubblica Islamica, vige il diritto penale islamico sciita che prevede la pena capitale per una serie di reati, tra cui omicidio, rapina a mano armata e traffico di droga.