Il diario di Elton: “Dall’ergastolo alla pena di morte” Redattore Sociale, 20 ottobre 2011 “Da un po’ di settimane in carcere non si parla d’altro che del processo lungo. Ci preoccupa la parte della legge che impedisce ai condannati all’ergastolo di chiedere permessi prima di aver scontato un minimo di ventisei anni” Da un po’ di settimane in carcere non si parla d’altro che del processo lungo. A noi detenuti interessa poco la parte, tanto discussa, che permetterebbe di portare in aula un numero infinito di testimoni e trascinare il processo fino alla prescrizione. Ci preoccupa l’altra metà della legge, quella che impedisce ai condannati all’ergastolo di chiedere permessi prima di aver scontato un minimo di ventisei anni di carcere. Nella nostra redazione di ergastolani ce ne sono diversi. Alcuni sono qui da tanti anni e hanno già iniziato a chiedere qualche permesso. Senza fortuna. Altri sono arrivati da poco e cercano di vivere le loro giornate lontano dai guai, aspettando che passino gli anni necessari per poter chiedere qualche permesso premio e iniziare poi un’eterna semilibertà. “Io ho quarant’anni”, mi ha detto un compagno oggi, “se devo aspettare ventisei anni per chiedere un permesso, significa che probabilmente uscirò di qui morto”. La sua paura mi ha fatto riflettere. Tra poche settimane sarò fuori, ma non potrò dimenticare le persone con le quali ho condiviso la mia vita qui dentro. Solo che la speranza di incontrarli fuori riguarda una parte di loro e dovrò salutare le persone condannate all’ergastolo con la paura di non rivederle mai uscire di qui. In fin dei conti, l’unica cosa che a un ergastolano dà il coraggio per andare avanti è la speranza che un giorno potrà uscire alla mattina per andare a lavorare e rientrare alla sera in carcere. Io credo che reinserimento per un ergastolano sia permettergli di fare almeno quell’attività, così essenziale per la nostra esistenza, che è lavorare. Certo, chi è condannato al massimo della pena ha delle responsabilità gravi. Ma questa legge non si accontenta del fine pena mai. Essa vorrebbe togliere definitivamente la speranza di un futuro diverso a un’intera categoria di persone. Un atteggiamento che rischia di colpire indiscriminatamente, così come ancora oggi le leggi emergenziali fatte vent’anni fa per colpire le mafie continuano a escludere dalle misure alternative detenuti che, come me, non hanno alcun legame con il crimine organizzato. Allora mi domando: se il “fine pena mai” non soddisfa abbastanza il “bisogno di giustizia” di alcune forze politiche, perché non chiedono di introdurre la pena di morte? Oggi viviamo in un’epoca in cui i media hanno forse il potere di modellare i desideri e i pensieri delle persone, impoverendone la cultura, e certe volte mi pare che non sarebbe difficile nemmeno ritornare alla legge del taglione. Ma se ci fosse un’informazione “pulita” e meno “rabbiosa”, nessuno vorrebbe delegare lo Stato a uccidere delle persone, indipendentemente dal loro crimine, e forse nessuno vorrebbe che ci fosse questa forma di tortura moderna, che obbliga chi ha un “fine pena mai” a stare in carcere fino a morire. Perché chiudere una persona in cella per il resto della sua vita, senza alcuna prospettiva diversa, è un trattamento inumano. Elton Kalica (in collaborazione con Ristretti Orizzonti) Elton è un 35 enne albanese, detenuto nel carcere Due Palazzi di Padova con una condanna a 14 anni e 8 mesi per sequestro di persona a scopo di estorsione (senza armi e durato due giorni). Il prossimo 25 ottobre finirà di scontare la sua pena e tornerà libero. Firma storica della rivista Ristretti Orizzonti, attende di sapere se sarà rimpatriato in Albania o se potrà restare in Italia e lavorare da esterno per Ristretti. Ha deciso di raccontare su “Redattore sociale” i suoi ultimi giorni dentro. Giustizia: 25 mila bambini hanno un genitore in carcere Redattore Sociale, 20 ottobre 2011 Dati del Dap al 30 settembre. Un convegno sul problema dei bambini invisibili, i figli dei reclusi e gli innocenti dietro le sbarre. A novembre scadono i 180 giorni per definire le tipologie di case famiglia per le madri detenute con i bimbi piccoli In Italia ci sono 24.355 figli di detenuti, secondo quanto dichiarato dagli stessi reclusi. Ci sono 20.089 detenuti coniugati, 645 vedovi, 1621 divorziati, 2737 separati, 5.966 conviventi. Sono 7654 coloro che hanno un solo figlio, 8380 ne hanno due, 4922 ne hanno tre, 2049 hanno dichiarato di avere 4 figli, 750 hanno ben cinque figli, 299 sei e 301 hanno più di sei figli. Sono i dati sui detenuti che sono anche genitori aggiornati al 30 settembre 2011 forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap). “Questi numeri ci parlano di un fenomeno importante che riguarda decine di migliaia di individui adulti e minori che quotidianamente si trovano dentro e fuori dal carcere ad affrontare problemi di carattere sociale, giuridico, culturale, economico” ha commentato Lillo Di Mauro, della Onlus “Cecilia” e presidente della Consulta penitenziaria di Roma Capitale. Nel caso dei minori, si tratta, secondo di Mauro di “bambini e bambine invisibili”. Nel suo intervento, ha sottolineato che “è consuetudine esaltare la tutela del bambino e della famiglia ma nella realtà ci si dimentica di quelli maggiormente colpiti dal disagio e soprattutto di quelli che sono colpiti dalla marchiatura del carcere”. Il problema è duplice: riguarda sia i figli minorenni di detenuti che vanno a visitarli in carcere, sia quei bambini che per legge fino a sei anni possono stare dietro le sbarre con le madri. Secondo l’ultima legge approvata la 62/2011, le detenute in carcere che siano madri di un bambino fino a sei anni di età avranno la possibilità di scontare la pena insieme ai loro figli in istituti di cura appositi o avvalendosi della custodia domiciliare, purché non abbiano commesso particolari delitti, quali ad esempio quelli connessi alla criminalità organizzata. “È un passo importante ma non basta perché ancora una volta l’intervento è esercitato sul sistema penitenziario, il quale è il terminale di tutte le disfunzioni del sistema giustizia. Il problema va affrontato sul diritto penale con la depenalizzazione dei reati minori e con la necessità di misure alternative alla detenzione come la messa alla prova per gli adulti, che in 22 anni di applicazione con i minori ha dato ottimi risultati”, ha affermato Pasquale Andria, Presidente del tribunale dei minori di Salerno. Secondo il magistrato “i bambini attualmente in carcere sono pochi e sono innocenti e il problema si pone anche per uno solo”. Andria ha ricordato che i sei mesi per la definizione da parte del ministro della Giustizia dei requisiti delle casa famiglia per le madri detenute con i bimbi piccoli scadono tra un mese. “In altri casi per l’applicazione di altre leggi ci abbiamo messo anche sei anni - ha sottolineato Andria - ricordiamoci che privare il bambino dei genitori è una violazione dell’infanzia ma anche portare un bambino dietro le sbarre è una violenza”. Ionta: penso a misure meno rigide per il 41 bis “Penso si possa arrivare ad ampliare i colloqui e a misure meno rigide quando i genitori detenuti al 41 bis incontrano i propri figli”. È quanto ha affermato questa mattina Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) durante il suo intervento al convegno “Genitorialità in carcere e diritti dei figli dei detenuti” organizzato in collaborazione con la Cooperativa Sociale “Cecilia” a Palazzo San Macuto. “Qualche infante in passato è stato usato come veicolo di comunicazione e questo è impensabile - ha detto Ionta - il 41 bis non è una misura punitiva, è di controllo”. Sulla possibilità di aumentare i colloqui con i figli per i genitori detenuti in regime di carcere duro per reati di mafia, Ionta ha detto che ci saranno dei prevedibili ostacoli. “È duro da fare digerire quando si parla di mafia, ma bisogna fare in modo che questi tabù non blocchino le amministrazioni e la politica”. Giustizia: il 26 ottobre l’audizione di Ionta in Commissione d’inchiesta su errori sanitari Agenparl, 20 ottobre 2011 Il Direttore del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, verrà ascoltato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari e le cause dei disavanzi sanitari regionali, presieduta dall’on. Leoluca Orlando, nella seduta convocata per mercoledì 26 ottobre 2011, alle ore 14.15. “Tale audizione si colloca nell’ambito del filone di inchiesta sulla tutela della salute nelle strutture detentive ed è finalizzata ad acquisire elementi di informazione sullo stato di avanzamento e le modalità del processo di transizione delle relative competenze dall’Amministrazione penitenziaria alle aziende sanitarie locali”, ha commentato il Presidente Orlando in una nota. “In particolare - ha aggiunto - chiederemo a Ionta di riferirre alla Commissione sui profili gestionali connessi alla traduzione dei detenuti nelle strutture sanitarie territoriali e sulla qualità dell’erogazione della tutela sanitaria a detenuti e personale di polizia penitenziaria in tale fase di passaggio di competenze”. Giustizia: ministeri a confronto su come “liberare” gli internati negli Opg di Gabriella Meroni Vita, 20 ottobre 2011 Si è riunito per la seconda volta il tavolo comune dei ministeri della giustizia e della sanità sul problema delle carceri. In particolare si discute come affidare alle Asl non solo la sanità penitenziaria ma anche quella psichiatrica, e di poter affidare alle strutture territoriali coloro che vengono dimessi dagli Ospedali psichiatrici giudiziari. Sono 1.322 gli internati negli ospedali psichiatrici giudiziari di cui 213 sarebbero in teoria dimissibili, ma nei loro confronti il magistrato di sorveglianza ha prorogato le misure di sicurezza per le difficoltà di “riallocare il soggetto sul territorio”. Lo affermano i ministri della Giustizia Francesco Nitto Palma e della Salute Ferruccio Fazio che per la seconda volta in un mese si sono incontrati per fare il punto sul problema. I due dicasteri intendono garantire, con un accordo tra Stato e Regioni da stipulare entro fine novembre, le visite specialistiche all’esterno degli istituti penitenziari; potenziare l’assistenza psichiatrica con sezioni e reparti in uno o più istituti per ogni Regione, come già previsto dall’accordo Stato - Regioni del 13 ottobre scorso; creare un percorso congiunto tra Opg e dipartimenti di sanità mentale così da garantire, afferma Fazio, “un piano di trattamento diversificato paziente per paziente” sulla base dei dati aggiornati di coloro che sono effettivamente dimissibili. Le nuove stime saranno disponibili in novembre e - garantiscono Palma e Fazio - il tavolo tecnico dei due ministeri tornerà a riunirsi il prossimo 14 dicembre. Il Guardasigilli ha spiegato che lo scopo del tavolo tecnico non è soltanto quello di “affidare alle Asl la sanità penitenziaria ma anche quella psichiatrica, e di attuare la riallocazione sul territorio dei soggetti che possono essere dimessi dagli Opg. Ciò che è emerso sugli ospedali psichiatrici - aggiunge - è davvero drammatico”. Il ministro Fazio ha sottolineato che è in atto uno stretto monitoraggio della situazione delle carceri da parte dei due ministeri. I ministri hanno voluto esprimere gratitudine alla commissione del Senato presieduta da Ignazio Marino per il lavoro svolto e al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha posto la questione su questo problema specifico. Intanto la regione Emilia Romagna denuncia nuovamente il sovraffollamento delle carceri. Nella relazione si sottolinea come il presidente della Regione Vasco Errani, già nel 2009 aveva scritto al ministro della Giustizia Angelino Alfano per chiedere un intervento urgente, in particolare per la tutela della salute dei carcerati, ma non è mai arrivata una risposta. Sardegna: Sdr; sanità penitenziaria, primi licenziamenti per intoppi burocratici Agenparl, 20 ottobre 2011 “Sta facendo registrare pesanti risvolti negativi il passaggio della Sanità Penitenziaria dal Ministero della Giustizia alle Aziende Sanitarie Locali. Dallo scorso 30 settembre, a due infermieri che operavano nell’Istituto Minorile di Quartucciu non sono stati rinnovati i contratti e analoga sorte subiranno tra qualche mese diversi infermieri e specialisti convenzionati a Isili, Sassari e Nuoro i cui contratti scadranno il prossimo 31 dicembre. Se non sarà fatta immediatamente chiarezza sarà caos burocratico”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” avendo appreso che “nonostante il passaggio di funzioni alle Asl e la piena responsabilità alla Regione, la gestione dei fondi è rimasta al Ministero della Giustizia”. “L’intoppo - sottolinea Caligaris - è il frutto dell’operato della burocrazia ministeriale che ha coinvolto, oltre a quelli della Giustizia, i dirigenti delle aree della Salute e dell’Economia e Finanze. Il risultato è un groviglio normativo che il Presidente della Regione e l’assessore della Sanità dovranno necessariamente sciogliere. Risulta infatti che il personale medico, infermieristico e tecnico di ruolo con contratti a tempo indeterminato e in servizio al momento del passaggio alle Asl è stato trasferito dal Ministero della Giustizia ed è stato quindi cancellato dai relativi elenchi dei dipendenti. Ciò è avvenuto analogamente anche per il personale convenzionato che, se con una scadenza di contratto precedente il 5 settembre 2011, data ufficiale del passaggio di consegne, ha ottenuto una proroga di 12 mesi. Per tutti gli altri contratti invece il rinnovo non è previsto. Ma come sarà possibile effettuare i pagamenti degli emolumenti se il personale non risulta dipendente del Ministero della Giustizia e al contrario come garantire una gestione complessiva adeguata del sistema sanitario se l’ufficio erogatore dei pagamenti è ancora il Ministero?”. “È evidente che - sostiene la presidente di Sdr - c’è qualcosa che non quadra. La Regione Sardegna, a statuto speciale, è responsabile della sanità penitenziaria ma non ha ottenuto dal Ministero dell’Economia i fondi per esercitare il ruolo assegnatole. Ciò significa non avere piena autonomia. La preoccupazione, inoltre, investe i 250 lavoratori delle strutture penitenziarie che essendo stati cancellati dagli elenchi del Ministero della Giustizia rischiano di non vedere i compensi previsti in quanto ad erogare le indennità non sono le Asl a cui invece sono stati assegnati”. “Rimane inoltre ancora da definire - conclude Caligaris - in che modo la Regione garantirà uniformemente i livelli essenziali di assistenza per i cittadini privati della libertà, adulti e minori, e come intende valorizzare l’esperienza dei medici, infermieri e tecnici che operano nelle strutture penitenziarie alcuni da oltre 25 anni. Senza un chiarimento c’è il rischio che a pagare il prezzo più salato i detenuti e gli agenti di Polizia Penitenziaria “. Padova: Sappe; il carcere del Due Palazzi è invivibile… peggio di una pattumiera Il Mattino di Padova, 20 ottobre 2011 Venerdì notte a togliersi la vita ci ha provato un detenuto italiano, impiccandosi ad una finestra: salvato in tempo. Al Due Palazzi c’è un sovraffollamento tale che nulla, ormai, passa inosservato, tanto meno la disperazione del singolo. Lunedì notte altro allarme: stavolta con il gas, un altro detenuto ha provato ad uccidersi. Anche in questo caso, la corsa al pronto soccorso è servita per scongiurare una morte. In altre cinque occasioni, dall’inizio dell’anno ad oggi, è andata diversamente. Una situazione drammatica descritta senza mezzi termini da Giovanni Vona, segretario regionale del Sappe, sindacato degli agenti penitenziari. “Il carcere sta diventando una pattumiera: è questo quello che si vuole ottenere? Ci sono letti a castello a tre posti, gente che dorme su materassi per terra, quando va bene: in alcuni casi manco ci sono i materassi. Ogni giorno si vedono risse: le stesse che ci sono per strada, nei quartieri cittadini, si riproducono poi all’interno del Due Palazzi e della casa circondariale”. I numeri parlano da soli: al Due Palazzi ci sono 850 detenuti circa, per una tollerabilità di 500 posti. Nella casa circondariale accanto (dove sta chi è in attesa di giudizio) almeno 250 presenze, con tollerabilità di 80 e celle che ospitano anche 14 persone all’interno. Oltre il triplo di quanto si potrebbe fare. “Siamo in grande carenza di personale, lo denunciamo da anni senza che si smuova assolutamente niente - spiega Vona - a Padova servirebbero almeno altre 90 persone, invece con il blocco del turnover neanche si sostituisce chi se ne va”. Non solo. “Ci sono poi distaccamenti in altri carceri, spesso del Sud, non motivati: un assoluta mancanza di trasparenza”. Ma come funziona una giornata al Due Palazzi? Turni formati da 12 - 13 agenti che devono controllare le 850 persone presenti. “Se la polizia sta male, noi stiamo peggio: siamo chiusi all’interno di quattro mura e la nostra situazione è quindi poco visibile - spiega Guglielmo, da 7 anni a Padova - prima lavoravo nel carcere di Belluno, che è in uno stato di abbandono peggio anche del Due Palazzi. Quella non è galera, è una cosa indescrivibile”. Guglielmo racconta una quotidianità durissima con la voce di chi, giocoforza, ha dovuto farci il callo. “Di tentativi di suicidio ne abbiamo quasi uno al giorno: andate a chiedere al pronto soccorso quanta gente arriva dal carcere - ricorda - per non parlare delle risse. Va detto che il direttore del carcere è molto impegnato nel trovare lavoro e occupazione ai detenuti, e che la cooperativa Giotto che li segue è molto preparata”. Seguire tutti, però, è un’utopia: un problema non solo di dignità, ma anche di risultati spiccioli, visto che le statistiche dimostrano che senza reinserimento il detenuto, una volta libero, ha un’alta probabilità di tornare a delinquere. Reggio Emilia: Sappe; dopo i nuovi tagli la situazione del carcere è insostenibile La Gazzetta di Reggio, 20 ottobre 2011 Ormai difficilissime da gestire anche le condizioni lavorative della polizia penitenziaria. A parlarne è Michele Malorni, segretario provinciale del Sappe. “La situazione dell’istituto penitenziario di Reggio è in linea con quella nazionale: le celle sono sovraffollate, il personale della polizia penitenziaria è numericamente esiguo, la maggioranza di detenuti è multietnica: per il 70% sono infatti extracomunitari che faticano ad inserirsi nella nostra società. Con i tagli ai finanziamenti anche il nostro settore ha problemi per la copertura dei turni, per l’acquisto del carburante, fatichiamo a pagare anche gli straordinari e chi va in pensione non viene rimpiazzato. I nostri automezzi poi, sono ormai vetusti: hanno raggiunto i 4mila chilometri e sono quindi insicuri. Ma il caso più emblematico della nostra situazione ormai alla follia, è la mancata fornitura delle uniformi al personale di servizio. Per poter indossare una divisa decorosa e dignitosa, come vuole la nostra deontologia, una volta usurata la propria uniforme, il personale deve chiederla in prestito al collega che va in pensione. In poche parole si viene a creare una sorta di passaggio di “eredità”. Questo è quanto, speriamo davvero che la situazione cambi, in fretta”, conclude Malorni. Roma: agente penitenziario muore schiacciato da un cancello difettoso Italpress, 20 ottobre 2011 È rimasto schiacciato dalla porta carraia che stava cercando di sbloccare, per consentire ad una ambulanza di uscire. È morto in questo modo Salvatore Corrias, 46 anni, agente di Polizia Penitenziaria in servizio nella struttura protetta per detenuti dell’Ospedale “Sandro Pertini” di Roma. Lo rende noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Secondo quanto appreso dai collaboratori del Garante, l’incidente è avvenuto ieri sera, poco prima delle 23. L’agente stava cercando di aprire la porta carraia di ingresso al reparto, che era rimasta bloccata, per consentire l’uscita di un veicolo di soccorso, quando il pesante cancello è uscito dalla guida schiacciandolo. “Questa morte - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - è l’emblema di come la drammatica situazione delle carceri italiane possa finire in tragedia. Gli agenti di polizia penitenziaria che prestano servizio al ‘Pertinì sono sotto organico, sono 28 e dovrebbero essere in 40 e, per questo, sono costretti ad affrontare gravosi turni di lavoro dovendo assicurare, al tempo stesso, le traduzioni, le scorte ai detenuti malati e la sicurezza di un reparto dedicato esclusivamente ai reclusi. Una situazione che più volte gli agenti avevano denunciato. Ma questo, evidentemente - ha concluso Marroni - , non è servito ad evitare questa morte. Ora spero che le istituzioni facciano celermente luce sulle circostanze di quanto accaduto per capire se esistano anche responsabilità nella manutenzione di questa struttura”. Sappe: nuova tragedia per i poliziotti penitenziari di Roma Dopo l’improvviso ma in un certo qual modo, annunciato suicidio di un Ispettore in servizio a Regina Coeli l’altro ieri, un’altra funesta tragedia ieri sera nella Capitale. Un Assistente Capo di Polizia Penitenziaria di circa 50 anni è morto schiacciato dal crollo di un cancello dell’Ospedale Pertini, già da tempo difettoso. Il collega lascia moglie e due figli. “È sconvolgente quanto è accaduto”, ha dichiarato il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe “l’assistente è intervenuto per sbloccare il cancello, cosa già avvenuta e segnalata in passato ma questa volta, purtroppo, è accaduta questa grave tragedia. Mi chiedo se anche questa morte era evitabile”. Capece torna anche sul recente suicidio di un Ispettore di Regina Coeli. “Il collega “sottolinea Capece” attraversava un difficile momento di disagio personale del quale erano in molti a conoscenza. Ma l’assenza di quei presidi psicologici che chiediamo da tempo è una colpevole mancanza, l’ennesima, di una Amministrazione Penitenziaria colpevolmente distratta”. Fp-Cgil: poliziotto morto al Pertini ennesima vittima dello Stato “La morte di Salvatore Corrias, assistente capo della Polizia Penitenziaria in servizio al nucleo traduzioni e piantonamenti di Rebibbia, avvenuta presso il reparto detentivo dell’Ospedale Pertini, non può essere derubricata come una tragica fatalità. Nell’unirci al dolore della famiglia di questo servitore dello Stato, a sua moglie e ai suoi due figli, non possiamo nascondere come quest’ennesima tragedia abbia una causa politica che risiede nell’abbandono del sistema penitenziario italiano”. Lo affermano Rossana Dettori, Segretaria Generale Fp - Cgil Nazionale e Lorenzo Mazzoli, Segretario Generale Fp - Cgil Roma e Lazio. “Non è possibile - ammoniscono - continuare a piangere vittime dell’immobilismo e dell’incuria dello Stato. Salvatore Corrias, lo diciamo senza remore, è una vittima dello Stato e del suo disinteresse nei confronti dell’emergenza umanitaria vissuta dal mondo del lavoro in carcere e dai detenuti, della politica dei tagli indiscriminati e dell’assetto normativo che ha ingolfato le carceri per rispondere a logiche meramente propagandistiche”. “La magistratura farà il suo corso - concludono i sindacalisti - e come sempre siamo fiduciosi sul corretto svolgimento delle indagini. Ma è chiaro a tutti noi che senza interventi risolutivi da parte del Governo e del Ministro Palma il sistema penitenziario non potrà uscire dal baratro in cui è finito. Dopo il cordoglio e il dolore sarà necessario intervenire e con celerità”. Ugl: morte Corrias ennesima tragedia per polizia penitenziaria “Siamo costernati per l’ennesima tragedia che colpisce la Polizia Penitenziaria ed esprimiamo il nostro sentito cordoglio ai familiari del collega che ha perso la vita in servizio”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, in merito alla morte dell’assistente capo Salvatore Corrias, operativo nella struttura protetta per detenuti dell’Ospedale Sandro Pertini di Roma, a seguito delle ferite riportate dal crollo di un cancello. “È un fatto terribile, ma purtroppo non isolato, che sottolinea le difficoltà e i rischi che vive il Corpo nell’espletamento dei propri compiti al servizio della società. Rilanciamo con forza l’appello - conclude il sindacalista - affinché le istituzioni competenti concretizzino al più presto interventi atti ad evitare altre morti sul lavoro”. Ionta (Dap): dolore e sgomento per morte assistente Corrias “La morte dell’assistente di Polizia Salvatore Corrias ci lascia sgomenti”. Il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria, Franco Ionta, esprime “dolore e sgomento per la tragedia che stanotte ha colpito l’assistente Corrias, 48 anni, presso l’Ospedale romano Sandro Pertini, dove prestava servizio al reparto di medicina protetta”. Durante l’accompagnamento di un detenuto in ambulanza, spiega una nota del Dap, “al fine di aprire manualmente una cancellata elettrica, Corrias è rimasto schiacciato dal pesante cancello uscito dai binari che lo ha ucciso sul colpo. Il capo del Dap, avvisato del tragico evento, ha immediatamente disposto accertamenti inviando sul luogo il vice capo del Dap, Simonetta Matone. Sarà la Procura di Roma a fornire i doverosi chiarimenti sulla dinamica e sulle responsabilità”. “È una morte inaccettabile - continua Ionta - che colpisce la famiglia Corrias e tutto il Corpo di Polizia Penitenziaria che quotidianamente svolge un lavoro in situazioni difficili complesse, anche nei servizi esterni quale il trasferimento dei detenuti per ragioni sanitarie”. Il capo del Dap esprime le più sentite condoglianze alla moglie Nicoletta e ai figli Eleonora e Alessio, ai quali l’Amministrazione Penitenziaria assicura sostegno e vicinanza. Osapp: dolore, sgomento e rabbia per la morte “Dolore sgomento e rabbia per la morte dell’Assistente Capo di Polizia Penitenziaria Corrias a seguito della caduta accidentale di un cancello, ieri sera dopo le 23, presso il repartino detentivo dell’Ospedale Sandro Pertini di Roma, dove lo stesso prestava servizio”. Ad Affermarlo è Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp ( Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria ). “Oltre al sentito cordoglio nei confronti dei familiari e dei colleghi dell’Assistente Capo scomparso in maniera così tragica e assurda, l’evento, che si aggiunge alla lunga catena di morti dal e per il carcere - prosegue il sindacalista - ,ci spinge anche a considerare quanto pericolosi stiano diventando in tutta Italia gli ambienti di lavoro ove operano i poliziotti penitenziari. “Dalle visite che stiamo effettuando come sindacato sui posti di servizio sul territorio nazionale e, quest’oggi, dopo le carceri di Bologna e di Ferrara, presso gli istituti di pena di Piacenza e Modena - prosegue il leader dell’Osapp - emerge un quadro del tutto desolante in strutture vetuste e spesso prive di manutenzione per carenza di fondi, dove frequenti sono le infiltrazioni di acqua dai tetti o anche provenienti dal sottosuolo”. “Ci auguriamo, quindi, che il drammatico evento di ieri sera - conclude Beneduci - spinga i responsabili dell’Amministrazione Penitenziaria a disporre per un’immediata verifica delle condizioni delle infrastrutture ove operano poliziotti penitenziari e il Ministro sia a sua volta indotto a ricercare con immediatezza, unitamente al Governo, misure urgenti intese a deflazionare il gravissimo sovraffollamento penitenziario che aumenta i pericoli degli ambienti detentivi, a partire da quel provvedimento di amnistia che appare sempre più necessario”. Voghera (Pv): detenuto 45enne morì suicida in carcere, la madre chiede i danni al Dap La Provincia Pavese, 20 ottobre 2011 Una causa civile al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e la richiesta di pagamento dei danni. È la mossa dell’avvocato Sara Bressani sulla vicenda di Marcello Russo, il 45enne trovato morto in cella il 23 marzo 2009. L’uomo, secondo la ricostruzione resa dalle indagini, si tolse la vita infilando la testa in un sacchetto di cellophane al quale era collegato l’erogatore della bomboletta di gas utilizzata per cucinare i pasti in cella. Sulla vicenda si è già pronunciato un giudice, ma in sede penale. La madre di Russo, Addolorata Masiello, aveva sporto querela subito dopo la morte del figlio e la Procura aveva aperto un fascicolo con l’ipotesi di istigazione al suicidio. Al termine delle indagini, il pubblico ministero aveva chiesto l’archiviazione. Tra le motivazioni, i dubbi circa il fatto che l’episodio fosse un suicidio e non il tentativo, sfociato in tragedia, di inalare il gas a fini euforizzanti. E, soprattutto, l’assenza di riscontri su eventuali istigazioni o aiuti nell’azione. L’avvocato Bressani si era opposta alla richiesta di archiviazione, ma il giudice, alla fine, aveva accolto le conclusioni del pubblico ministero. Ora, i famigliari dell’uomo hanno deciso di intraprendere la via, civilistica, della richiesta di risarcimento danni. Il legale avrebbe già spedito una lettera raccomandata all’Amministrazione penitenziaria, annunciando la chiamata in giudizio. A sostegno della causa vi è una lunga serie di circostanze. In diverse occasioni, infatti, Russo aveva posto in essere comportamenti autolesionistici. Aveva ingerito lamette da barba, si era procurato tagli sul torace e sull’addome e ustioni alle dita. Di più. Il 13 febbraio, quindi poco più di un mese prima del decesso, era stato trovato riverso sul pavimento della cella, con la testa in un sacchetto collegato al gas. Era stato salvato, ma poco dopo gli era stata restituita la bomboletta del gas. La tesi dell’avvocato Bressani, dunque, è che il suicidio del 45enne non giunse come un fulmine a ciel sereno, ma venne preceduto da una serie di episodi che avrebbero dovuto allarmare le autorità penitenziarie e indurle a una maggiore sorveglianza sul detenuto che, tra l’altro, si trovava nella sezione dei collaboratori di giustizia. Da questo punto di vista, i mancati controlli su un detenuto “problematico” potrebbero essere identificati come la causa del decesso. Caltagirone (Ct): restano gravi le condizioni del detenuto 37enne che ha tentato di impiccarsi La Sicilia, 20 ottobre 2011 Restano gravi le condizioni del 37enne catanese che, ieri l’altro alle 13,30, nel carcere di Caltagirone in cui era detenuto, ha cercato di suicidarsi ingerendo del detersivo liquido e impiccandosi dopo avere legato un lenzuolo alle sbarre delle finestra del bagno e avere allontanato - lui che è alto 1,60 metri, mentre la distanza della finestra dal suolo è superiore di una decina di centimetri - lo sgabello su cui era salito. L’uomo è nel reparto di Rianimazione del “Gravina”, dove i medici non hanno sciolto la prognosi. Il quadro clinico autorizza però un moderato ottimismo. Intanto, si chiarisce la dinamica: la tragedia è stata evitata per un soffio grazie anche all’intervento di un agente di polizia penitenziaria che, raccolto l’allarme del compagno di cella, è subito accorso, sorreggendo insieme a questi il corpo dell’uomo, tagliando il cappio, praticandogli il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca e chiamando i sanitari della struttura, che si sono adoperati per evitare il peggio. Sul posto anche altri agenti, coordinati dal comandante del Corpo, Vincenzo La Greca. Poi il trasporto in ospedale con un’ambulanza del 118. Il gesto sembra riconducibile a uno stato di stress psichico. L’uomo, che deve ancora scontare 5 anni (e non 2, come indicato inizialmente), era in attesa di conoscere l’esito di una sua richiesta di detenzione domiciliare. “Il grave sovraffollamento, che determina effetti negativi sulla vivibilità all’interno del carcere calatino”, è al centro dell’ennesimo Sos dell’Osapp, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, che si augura la situazione migliori con il nuovo padiglione e plaude “alla celerità con cui ha funzionato la macchina dei soccorsi”. Secondo l’Osapp, “è inconcepibile che un istituto nato per ospitare 150 detenuti, oggi ne abbia più di 300. E non vanno sottaciuti i sacrifici di un personale sempre più ridotto all’osso”. Emblematiche le cifre: in organico sono previsti 158 agenti. In realtà sono 104, ma a loro vanno sottratti i 12 del nucleo traduzioni (anche loro molti di meno del necessario) e si arriva a 92: davvero troppo pochi. “La considerazione che solo in Sicilia ne mancano 800 - si conclude dall’Osapp - non serve a confortarci”. Caltagirone (Ct): finanziata la costruzione di un nuovo padiglione, potrà ospitare 200 detenuti La Sicilia, 20 ottobre 2011 Fra le tre carceri siciliane che saranno ampliate con la costruzione di appositi padiglioni, destinati a ospitare 200 detenuti ciascuno, c’è anche quello di Caltagirone (insieme a Trapani e Siracusa). È quanto sancito dall’intesa firmata alla fine di dicembre dell’anno scorso, a Roma, dal commissario delegato per il Piano carceri, Franco Ionta, e dall’assessore regionale alle Autonomie locali e alla Funzione pubblica, Caterina Chinnici. E ancora a Roma, nel corso di un’apposita conferenza di servizio svoltasi alla presenza dei rappresentanti dei vari enti e organismi chiamati in causa e a cui è intervenuto, per il Comune di Caltagirone, il dirigente dell’Ufficio tecnico Ignazio Alberghina, è stato adesso approvato il progetto, con una conseguente accelerazione di un iter che, secondo ragionevoli previsioni, dopo l’esperimento della gara d’appalto al ministero (secondo particolari procedure), potrebbe far registrare il via ai lavori a metà del 2012, forse anche prima. La costruzione di un nuovo padiglione, che comporterà un investimento di 11 milioni di euro, aumenterà di oltre il doppio l’attuale capienza dell’istituto, che ufficialmente è di 150 unità e che oggi, dato che ospita un numero doppio di detenuti, soffre per un sovraffollamento divenuto cronico. “Si tratta di una buona notizia - commenta il sindaco di Caltagirone, Francesco Pignataro - I lavori, di grande utilità per porre fine all’eccessivo affollamento della struttura, che costituisce un chiaro vulnus nonostante l’encomiabile impegno degli operatori della polizia penitenziaria e dell’altro personale, potranno consentire anche di far tirare una boccata d’ossigeno al settore edile, con l’impiego di manodopera. Noi, dal canto nostro - aggiunge il primo cittadino - continueremo a darci da fare, in sinergia con la direzione e il personale dell’istituto, per rendere sempre più efficace l’integrazione della struttura carceraria col nostro territorio attraverso la conferma e/o il potenziamento di attività culturali e socializzanti”. La casa circondariale di Caltagirone, che si trova in contrada Noce ed è diretta da Valerio Pappalardo (il comandante del Corpo di polizia penitenziaria è invece Vincenzo La Greca), è già al centro di interessanti iniziative, come il centro per il recupero dei detenuti nel fondo che fu dei fratelli Mario e Luigi Sturzo di contrada Russa dei Boschi, la casa di accoglienza dei familiari dei detenuti realizzata dalla Curia (un’iniziativa sicuramente lodevole e nel segno della solidarietà) a brevissima distanza dall’istituto, corsi di ceramica, vari progetti (soprattutto cinema e serra), ma anche attività sportive. Modena: Costi (Pd); piano carceri… il Governo dopo 3 anni di annunci non ha fatto nulla La Gazzetta di Modena, 20 ottobre 2011 “Mentre il Governo è impegnato a fare leggi per Berlusconi, le carceri scoppiano anche a Modena”. A dirlo è la consigliera del Pd Palma Costi di Modena, all’uscita della Commissione Politiche per la Salute in Regione, dopo la presentazione dei dati dell’Aggiornamento sulla situazione delle carceri in Emilia - Romagna. “Il Piano Carceri del Governo, dopo tre anni di annunci, è ancora lontano dal produrre qualche effetto, nonostante la sollecitazione del Presidente Errani all’allora Ministro Alfano nel 2009 che sottolineava la situazione difficile degli istituti penitenziari in Emilia - Romagna - spiega la consigliera Costi. Si sono ormai alzate molte voci sulla drammatica situazione carceraria, che colpisce il nostro Paese, ed anche la Regione in particolare nel modenese. Ci uniamo alle recenti preoccupazioni espresse dal senatore Barbolini e dal Pd locale, vista anche l’imminente apertura del nuovo padiglione nella casa circondariale di Modena e proviamo a rilanciare in modo propositivo, sperando che il Governo finalmente si occupi della giustizia italiana, che non coincide propriamente con i problemi del premier”. “Occorre partire dalla revisione dei meccanismi della custodia cautelare che determinano l’elevata presenza di detenuti per periodi brevi, affiancandola ad una depenalizzazione dei reati minori, revisionando anche il codice penale - suggerisce la consigliera del Pd - Occorre poi rivedere la legge Fini - Giovanardi in materia di stupefacenti, aumentando contestualmente le risorse per i Sert e per le comunità di tossicodipendenti. Si deve inoltre lavorare per l’adeguamento degli organici della polizia penitenziaria, necessarie anche per la situazione modenese, e l’assunzione di 1.000 operatori professionali (educatori, assistenti sociali, psicologi); superare gli ospedali psichiatrici giudiziari le cui condizioni offendono la coscienza civile del Paese”. “La nostra Regione ha inteso tutelare i detenuti sia istituendo la figura del Garante, sia prevedendo percorsi di formazione, orientamento e reinserimento in vista di un futuro inserimento nella società, senza trascurare i legami familiari e la tutela dei diritti - spiega Palma Costi - per favorire l’utilizzo di misure alternative alla detenzione e percorsi individuali terapeutici, la Regione ha tra l’altro sottoscritto nel 2010 una Convenzione con il Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, che realizza più efficaci forme di collaborazione tra le istituzioni competenti e in primis le Ausl; nel 2010 inoltre la Regione ha stanziato 500 mila euro per il Programma Carcere, a cui bisogna aggiungere una quota di co-finanziamento da parte dei Comuni pari a quasi 300 mila euro, e 520 mila euro provenienti dal Fondo sociale europeo”. “All’analisi della situazione regionale delle carceri va quindi affiancata una discussione seria e puntuale sulle soluzioni da adottare affinché si recuperi oltre alla dignità dei luoghi di detenzione, anche la dignità di un Paese allo sbando”, conclude Palma Costi. Livorno: il Garante; serve piano straordinario per risolvere problemi del carcere delle Sughere Il Tirreno, 20 ottobre 2011 Solidarietà agli agenti della penitenziaria per l’impossibilità di usufruire della mensa. La esprime Marco Solimano, garante dei detenuti delle Sughere, dopo la denuncia del segretario del sindacato Sinappe (Sindacato nazionale autonomo polizia penitenziaria), Calogero Panevino, sulla situazione di degrado dell’istituto detentivo, a cui da due settimane si è aggiunto il problema dell’inutilizzo della mensa. “Un ulteriore elemento critico in una situazione già difficilissima che lede fortemente i diritti dei cittadini reclusi, ma anche di coloro che nel carcere svolgono la loro attività lavorativa e professionale. A loro la disponibilità dell’ufficio del Garante del Comune”. Solimano condanna il non intervento dell’amministrazione. “L’assordante silenzio e la latitanza dell’amministrazione penitenziaria, a fronte delle proprie responsabilità, rende il governo di queste criticità ancora più complesso. Il livello di sovraffollamento ha raggiunto livelli oramai insopportabili e non degni di un Paese civile, cui si aggiunge una carenza rilevantissima di personale civile e di polizia penitenziaria che non consentono di misurarsi con una situazione oramai divenuta emergenziale”. Solimano propone quindi una possibile soluzione: “Urge un piano straordinario, che coinvolga anche Comuni, Province, Regioni ed associazioni di volontariato per cominciare a costruire percorsi di decarcerizzazione, pensare a pene riparative e risarcitorie, fuori dal carcere. Ma bisogna soprattutto ripristinare negli istituti di pena diritti e dignità, elementi imprescindibili senza dei quali anche la costruzione di una prospettiva diversa diventa difficile a cominciare dal sovraffollamento, dalla sanità, dall’alimentazione e dal sopravvitto”. “Uno stato democratico non può tollerare - conclude Solimano - una continua e perdurante lesione dei diritti fondamentali delle persone così come che opera all’interno degli istituti deve avere la garanzia di poterlo fare con professionalità, efficienza e decoro”. Grosseto: Cisl; il carcere resta senza mensa, agenti fanno turni di otto ore senza un pasto caldo Il Tirreno, 20 ottobre 2011 Non ha una mensa, il buono pasto promesso (che comunque non potrebbe essere usato) e neanche un distributore automatico di alimenti. È il personale del carcere di Grosseto, che da dieci giorni copre turni da otto ore senza un pasto caldo. E la direzione non sa spiegare il perché. Dal 10 ottobre è arrivato l’ordine categorico dell’amministrazione penitenziaria regionale (che gestisce tutte le carceri in Toscana): chiusura immediata della mensa della casa circondariale di Grosseto, insieme alle strutture di Livorno e Gorgona. “Ci hanno detto per problemi tecnici” dice il segretario provinciale della Cisl-Fns Pierangelo Campolattano. È un caso anomalo quello del carcere di Grosseto, che presenta diversi aspetti da analizzare. Partiamo dalla causa di tutto: i motivi tecnici. Riguarderebbero le cucine e l’impianto elettrico, denunciati come non idonei dalla società che ha vinto l’appalto (regionale) per la preparazione dei pasti. “Eppure la ditta, quando si è aggiudicata l’appalto tre o quattro anni fa, è venuta a fare un sopralluogo delle strutture, senza però sollevare nessuna problematica - continua Campolattano. Cos’è cambiato rispetto a quindici giorni fa, tale da richiedere un intervento così immediato?”. Una domanda posta lunedì mattina alla direzione della struttura, che ha convocato le sigle sindacali per discutere sull’argomento. “Non è stata in grado di darci le motivazioni di questa decisione” spiega però il segretario. Di sicuro c’è che la mensa rimane chiusa, senza sapere per quanto. L’amministrazione penitenziaria ha dato un’alternativa al servizio sì, ma anche questa rappresenta un’anomalia, per diversi aspetti. “Ci hanno promesso un ticket da consumare come buono pasto. Però ad oggi ancora non ce li hanno consegnati”. Ticket forniti dalla ditta che si è aggiudicata l’appalto. “Ma quando la mensa viene interrotta per motivi riguardanti il servizio stesso, a dare buoni pasto dovrebbe essere la stessa amministrazione” spiega Campolattano. Il problema comunque (e qui sta un altro caso eccezionale per Grosseto) non sussiste. “All’interno della struttura non c’è uno spaccio, un bar o comunque un posto dove poterlo consumare questo buono. Non ci sono neanche le macchinette automatiche, fatta eccezione per quella del caffè. Per di più, il regolamento ci vieta di lasciare il carcere durante il servizio”. Rimane un’unica soluzione, quindi: “mettersi le mani in tasca a portarsi il cibo da casa, ricordando che in molti hanno famiglia e che qualcuno è pendolare”. Eppure il servizio mensa è “garantito per legge” ai dipendenti della casa circondariale. “L’età media dei dipendenti è di 40-45 anni: insomma, un’età con cui non si può andare avanti a panini. - conclude il segretario - Faccio un esempio: se un dipendente attacca con il turno delle 16 stacca a mezzanotte (dura 8 ore); mettiamo poi riprende il servizio con il turno delle 8. Cosa deve fare? Farsi un piatto di pasta a notte fonda?”. Pistoia: istituita figura del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Il Tirreno, 20 ottobre 2011 Il consiglio comunale ha approvato a larga maggioranza il regolamento che istituisce e disciplina la figura e l’attività del garante dei diritti delle persone private della libertà personale, cioè di quanti sono in carcere. Il garante dei detenuti ha fra i suoi compiti quello di favorire la partecipazione delle persone private della libertà personale alla vita civile e alla fruizione dei servizi comunali, di promuovere iniziative di sensibilizzazione e di vigilare sul rispetto dei diritti. Il garante è tenuto ad interessare le autorità competenti qualora riceva notizia di violazioni. Il regolamento è stato illustrato in aula dall’assessore alle Politiche sociali Paolo Lattari. “Il garante è una figura interessante sia per la mediazione fra il territorio e il carcere sia per l’attenzione che può suscitare sulle problematiche della detenzione”. Il garante è eletto dal consiglio comunale. “È una figura di tipo volontaristico, che riceve soltanto un rimborso spese. Rivestirà un alto profilo morale. Fa riferimento al tema dei diritti dei detenuti. Non può essere considerata solo una forma di assistenza sociale. Qui si parla di tutelare i diritti della persona ristretta nella sua libertà”. Il sindaco Renzo Berti ha sottolineato l’importanza del provvedimento. “Oggi segniamo un punto forte nella direzione della civiltà, che deve trovare sostanza nell’esercizio dello stato sociale, della salvaguardia dei diritti. Il carcere è sovraffollato, le celle sono esigue. La situazione è negativa, foriera di tante conseguenze”. L’Idv ha espresso soddisfazione per il recepimento di alcune sue proposte di emendamento: incompatibilità dell’incarico con l’esercizio delle professioni forensi e per chi ha parentela ed affinità fino al terzo grado con amministratori comunali, provinciali, regionali. Terni: Magistrato di sorveglianza ordina all’Asl di pagare cure ormonali a detenuto transessuale Ansa, 20 ottobre 2011 Ha disposto che l’Asl di Terni eroghi a proprie spese le cure ormonali alle quali si sottopone un transessuale rinchiuso nel carcere della città umbra ritenendo che non possa essere negata piena tutela al diritto alla integrità psico-fisica della persona il magistrato di sorveglianza di Spoleto che ha accolto un reclamo del detenuto stesso. Ordinanza impugnata però dalla struttura sanitaria secondo la quale, tra l’altro, le norme non includono la prescrivibilità di ormoni sessuali femminili a soggetto maschile. La Asl non intende quindi accollarsi le spese e le cure sono ora somministrate dal carcere ternano. Il provvedimento risale alla metà del luglio scorso. Il magistrato di sorveglianza ha ritenuto che l’integrità psico-fisica del transessuale venga garantita unicamente dalla prosecuzione delle cure ormonali già intraprese prima della detenzione. Ha quindi evidenziato la peculiarità della posizione della persona detenuta rispetto al libero tanto sotto il profilo della scarsità (per non dire assenza) di risorse economiche a disposizione sia delle problematiche comportamentali anche gravi che possono derivare da una improvvisa cessazione delle cure, tali da mettere a rischio l’ordine e la sicurezza dell’istituto penitenziario. Il magistrato spoletino, competente anche per il carcere di Terni, nel suo provvedimento ha fatto riferimento anche al diritto ad una esecuzione penale che tenda alla rieducazione. Finalità certamente negata - ha scritto nell’ordinanza - ove il condannato venga costretto in una condizione che accresce la propria disforia di genere e lo fa regredire rispetto a obiettivi in tal senso già anche in parte raggiunti prima della detenzione. È stato quindi il magistrato di sorveglianza a disporre che in caso di qualsiasi inerzia della Asl nel provvedere tempestivamente all’erogazione a suo carico delle spese sia il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a supplire provvisoriamente, come sta facendo per altro da tempo rispetto alle cure ormonali necessarie per i detenuti transessuali della casa circondariale di Belluno, e dunque in ossequio ad un principio di pari trattamento rispetto a persone detenute in diversi istituti penitenziari del territorio nazionale. A rivolgersi al magistrato di sorveglianza era stato lo stesso transessuale, in carcere per scontare un cosiddetto cumulo con un fine pena previsto nell’agosto del 2013. Nel suo reclamo aveva sostenuto di non venire adeguatamente curato presso il carcere di Terni, essendogli negate le terapie ormonali alle quali si sottoponeva da tempo per cambiare sesso. Farmaci i cui costi non sono alla sua portata. Il detenuto ha inoltre fatto presente che l’interruzione delle cure gli ha comportato notevoli disagi psicofisici, chiedendo perciò al magistrato di sorveglianza di consentirgli di fruire al più presto delle cure di cui ha bisogno. Dopo la decisione dell’Asl di Terni di impugnare l’ordinanza a occuparsi della vicenda sarà la Cassazione. Vigevano (Pv): capi firmati all’asta per aiutare le detenute-sarte La Provincia Pavese, 20 ottobre 2011 Il Rotary club Cairoli per il laboratorio di sartoria della casa circondariale di Vigevano. Il Rotary club Cairoli, presieduto da Raffaella Spini, grazie al generoso contributo dell’impresa “Luisa Spagnoli”, che ha messo a disposizione quattordici capi d’abbigliamento, ha organizzato un’asta tra tutti i presenti per la raccolta di fondi. Il ricavato dell’asta, spiegano dal Rotary club Cairoli, “permetterà l’acquisto di macchinari specifici, dedicati alla confezione di borse con materiale di riciclo, che le detenute della sezione femminile stanno preparando dalla casa circondariale nell’ambito del programma di recupero attuato dal direttore, Davide Pisapia”. Il direttore della casa circondariale è stato ospite della serata, assieme a una delle educatrici carcerarie, Claudia Gaeta. Che ogni giorno a contatto con le detenute, ha parlato di donne “che hanno anche avuto la sfortuna di incontrare compagni difficili, di cui in primo luogo sono diventate vittime, prima di diventare a loro volta colpevoli di reati”. Un’importante interazione del territorio con la casa circondariale della frazione Piccolini, il cui obiettivo, come ha spiegato lo stesso direttore, Davide Pisapia, “è riabilitare i detenuti e permettere loro di reintegrarsi nella società”. L’asta dei modelli è stata condotta da Marisa Battino, curatrice del negozio “Luisa Spagnoli” di via del Popolo, che ha evidenziato l’eleganza degli abiti creati dalla discendente della fondatrice della celebre casa di moda, Nicoletta Spagnoli. Alla serata organizzata dal Rotary club Cairoli, hanno partecipato anche l’assessore comunale alle pari opportunità Brunella Avalle, e Patrizia Cottino, presidente della consulta femminile della città di Vigevano. Ilaria Cavalletto Teatro: Amleto in galera… Shakespeare e Carroll raccontati dalla Compagnia della Fortezza La Repubblica, 20 ottobre 2011 Che succederebbe se Gertrude, Amleto, Polonio, Ofelia cominciassero a sentirsi oppressi nei ruoli per loro stabiliti dalla penna di Shakespeare? Se la tragedia che si ripete immutata dal 1600 apparisse loro vetusta, persino anacronistica? Rinchiusi nel loro claustrofobico castello di Elsinore, i personaggi dell’Amleto scelgono la via della trasformazione fino a imbattersi nel mondo alla rovescia di Alice nel paese delle meraviglie. È questo percorso mirabolante, onirico e imprevisto il cuore di “Hamlice, saggio sulla fine di una civiltà”, lo spettacolo con cui torna a Torino - solo questa sera alle 20.30 alle Fonderie Limone di Moncalieri, nell’ambito della rassegna - la Compagnia della Fortezza di Volterra. Al gruppo “storico” di attori detenuti si aggiungono, nel cast, Stefano Cenci e il tenore Maurizio Rippa, ed è in scena anche Armando Punzo, da sempre regista e anima della Compagnia. Vent’anni di teatro in carcere, che cos’è cambiato? “Prima di tutto la Compagnia. Che è un’esperienza unica non solo per l’Italia. La nostra storia non è quella di una qualunque esperienza carceraria, dove il teatro è uno strumento rieducativo. Nei nostri allestimenti, il destinatario è il pubblico” Però la Compagnia ha avuto un ruolo fondamentale nel cambiare il carcere. “Quando cominciai a lavorare a Volterra, il carcere era un luogo senza speranza. Oggiè all’avanguardia. Ed è stato merito del teatro, di quella cosa “inutile” che ha contribuito alla metamorfosi enorme di mentalità, che oggi riguarda molte carceri italiane. Certo, non che tutto vada bene: il problema del sovraffollamento è disastroso”. Hamlice nasce per parlare dell’esperienza carceraria? “Assolutamente no. Hamlice è un lavoro complesso, iniziato due anni fa, con l’idea di mettere in scena Amleto. Abbiamo cominciato a lavorare sull’idea che i personaggi dell’Amleto si rifiutassero di prestarsi alla rappresentazione, e si proponessero di migliorare, di cambiare... Ne è nato “Alice in Wonderland”, che abbiamo messo in scena nel 2009 all’interno del carcere (ndr. Lo spettacolo ha vinto il premio Ubu): si pensava al romanzo di Lewis Carroll ma le pareti delle celle erano tappezzate dai versi di Shakespeare”. Hamlice è dunque un’evoluzione. “Il plot in un certo senso è lo stesso: i personaggi dell’Amleto vogliono cambiare e cominciano a leggere, a ripercorrere la letteratura... nello spettacolo ci sono molte citazioni, che spaziano da Cechov a Enzo Moscato, da Annibale Ruccello a Genet. L’approdo è il mondo anarchico di Alice, un personaggio che è di volta in volta è grande o piccolo, che alle domande risponde con le domande, che mette tutto in discussione, che è l’emblema dell’anarchia”. Hamlice parla di una mancanza di libertà che affligge tutta la società? “Viviamo tutti fra vincoli e prigioni dalle quali ci sembra di non poter uscire. Il mondo sembra incapace di guardare oltre. Hamlice cerca di regalare la sensazione che tutto può essere buttato all’aria, che bisogna sempre cercare, non dare nulla per scontato, che già il provare a cambiare è un modo per guardare avanti e trasformare il mondo”. Televisione: ieri sera a “Sbarre” (Rai Due) il carcere… visto da Carmine e da Giuseppe www.ilsussidiario.net, 20 ottobre 2011 Carmine ha 19 anni. È nato a Castellammare di Stabia, ma si trasferisce in provincia di Como quando frequenta la terza media. Ha avuto una brutta esperienza da giovanissimo: tre giorni nel carcere minorile di Milano, il Cesare Beccaria, a diciassette anni. Le forze dell’ordine l’hanno scoperto con un grosso quantitativo di hashish. Anche se afferma fosse per uso personale, il giudice emette la propria sentenza definitiva: è spaccio. Sette mesi in comunità e tre agli arresti domiciliari. La sua maturità non può festeggiarla insieme a parenti, amici, persone care: è in comunità. Ma sono i tre giorni di carcere minorile che l’hanno segnato di più. La mancanza della sua ragazza, conosciuta alle superiori, è la molla che lo spinge a riflettere sul proprio errore, sulla propria vita. Carmine percorre 1200 chilometri in treno per arrivare a Roma. Rebibbia è il carcere dov’è rinchiuso Giuseppe Massa, che è stato condannato a una pena di ventidue anni per furto e concorso in omicidio. Carmine entrando a Rebibbia ha un impatto devastante: è l’ulteriore conferma per chi, in un luogo simile, non vuole mai più mettere piede. I due s’incontrano e scherzano subito sulla comune origine campana. L’impressione di Carmine al suo primo incontro con Giuseppe è di avere di fronte una persona che appare felice agli altri, nonostante la pena che deve scontare. Giuseppe è di Bacoli, provincia di Napoli. Il 20 settembre del 1999, irrompe in casa di un’ottantaduenne in compagnia di un complice. “Dovevo fare solo il palo: quel giorno non sono uscito di casa per compiere un omicidio”, cerca di giustificarsi Giuseppe. La rapina finisce male. Maria Gamba, la vittima, viene legata e percossa perché i ladri vogliono farsi confessare il nascondiglio dei gioielli. Durante il programma, scorrono le immagini del servizio del telegiornale dell’epoca: “Pochi oggetti preziosi e alcune migliaia di euro il magro bottino che è costato la vita all’ottantaduenne”. Due balordi, li definisce il giornalista. Giuseppe Massa ha una sua teoria sull’omicidio: secondo lui è stata uccisa perché ha visto troppo, ha riconosciuto il complice e doveva essere messa a tacere. La sentenza, in ogni caso, è lapidaria: 22 anni. Giuseppe ne ha scontati già dodici e ne restano cinque. Nel primo anno di detenzione è stato in diciotto carceri diversi: Poggioreale, Secondigliano, il manicomio criminale di Aversa. Poi ancora Orvieto, Spoleto - nel supercarcere dove ha trascorso cinque anni - Torino, Bologna. Giuseppe chiama la propria cella il “box dei cavalli” perché, spiega, “qua entrano solo i cavalli di razza”. La cella singola, infatti, è per Giuseppe un privilegio: in un certo senso, ha avuto la “fortuna” di una condanna alta. Si perché se sei in carcere da molti anni, riesci a scalare una speciale graduatoria: puoi guadagnare “punti” per ottenere una cella che sia solo tua, per sentire meno il peso del sovraffollamento. In Italia ci sono duecento carceri, con ben 68mila detenuti. Circa 20mila in più del massimo consentito: il 30% di esuberi. Giuseppe quindi può ritenersi fortunato. Ma anche così, gli spazi sono angusti: “Sei rinchiuso in cinque passi”, spiega. 8 metri quadri, la grandezza dell’abitacolo di un auto. Un auto che però deve restare ferma. Iran: il Governo critica il rapporto Onu su diritti umani… non è imparziale Adnkronos, 20 ottobre 2011 Il governo di Teheran ha criticato un rapporto stilato dal rappresentante delle Nazioni Unite in Iran, Ahmed Shaheed, secondo cui negli ultimi tempi nella Repubblica Islamica sono aumentati gli abusi nel campo dei diritti umani e sono state eseguite in segreto centinaia di condanne a morte. Eshagh al-Habib, vice ambasciatore dell’Iran alle Nazioni Unite ha definito le accuse contenute nel rapporto, pubblicato all’inizio di questa settimana, “obsolete ed esagerate”. Il contenuto del dossier, ha precisato al-Habib, “è assolutamente ingiustificato ed è inaccettabile per l’Iran. È privo, inoltre, dei principi di indipendenza e imparzialità”. Tra le accuse mosse da Shaheed a Teheran ci sono “le torture, il trattamento riservato ai detenuti e l’imposizione della pena di morte”. Nel dossier si condanna anche la decisione delle autorità di porre agli arresti domiciliari i due leader dell’opposizione, Mir - Hossein Mousavi e Mehdi Karoubi. Secondo Amnesty International, l’Iran è il secondo Paese al mondo per numero di condanne capitali eseguite, dopo la Cina. Stati Uniti: l’attrice Lindsay Lohan torna in carcere a causa troppe assenze ai servizi sociali Ansa, 20 ottobre 2011 Lindsay Lohan, qualche giorno fa, aveva pubblicamente risposto ai siti web che l’accusavano di aver interrotto le ore di servizio sociale obbligatorio assegnatele dopo aver scontato gli arresti domiciliari la scorsa primavera. Per i media la star si starebbe dedicando, più che altro, ai suoi impegni di lavoro. L’attrice ha espresso il suo disappunto scrivendo su internet: “Sto lavorando sodo e rispettando i miei obblighi giorno dopo giorno, sia quelli che mi impone la corte che quelli che ho con me stessa. Se viaggio lo faccio solo per lavoro e con l’approvazione del tribunale, come ogni cosa che faccio quando esco dallo Stato della California”. A quanto pare, però, il giudice della Corte Superiore di Los Angeles, Stephanie Sautner, la pensa come i media americani e, nelle ultime ore, ha fatto arrestare la Lohan dopo averle revocato la libertà vigilata, perché Lindsay sarebbe stata estromessa dagli incarichi che le sono stati assegnati presso un consultorio femminile, come servizio sociale, proprio a causa delle sue molte assenze. “C’è stata violazione dopo violazione” ha detto la Sautner che ha fissato a 100.000 dollari la cauzione per rimettere in libertà l’attrice in attesa della nuova udienza. “Abbiamo a che fare con qualcuno in libertà vigilata” ha spiegato l’avvocato della Lohan, Shawn Holley, per difenderla dagli immancabili attacchi della stampa. “La maggior parte delle persone in libertà vigilata non sempre fa le cose che gli vengono prescritte dal tribunale alla perfezione”, ha aggiunto il legale. Il giudice ha fissato al 2 novembre un’udienza per decidere se la Lohan dovrà tornare dietro alle sbarre, facendo capire che, fino ad ora, l’attrice è stata molto fortunata ad essere sempre stata rilasciata prima dei termini a causa del sovraffollamento delle carceri californiane. Lindsay, dal mese di aprile, è stata assegnata al “Downtown Women’s Center” un’associazione che aiuta le donne senza tetto, presso la quale deve svolgere 360 ore di servizi sociali. L’attrice ha saltato finora nove giorni di lavoro e una volta si è presentata per poi andarsene dopo un’ora. Il giudice ha anche messo in dubbio come la Lohan possa avere rispettato l’altra prescrizione del tribunale, quella di frequentare settimanalmente uno psicoterapeuta, visto che l’attrice è stata in viaggio in Europa dal 9 settembre al 5 ottobre. La star, nonostante rischi fino ad un anno e mezzo di carcere, per tutta risposta ha definito il compito che le è stato assegnato al centro femminile “poco appagante”!