Il diario di Elton: “Oggi giorno di colloqui” Redattore Sociale, 13 ottobre 2011 Undicesima puntata. “L’emozione mi teneva sveglio nelle notti che precedevano la partenza di mia madre dall’Albania. Poi arrivavano le poche ore di colloquio consentite. In una sala troppo fredda, oppure troppo calda, sempre affollata” Oggi è giorno di colloqui. Ogni tanto l’agente chiama dei nomi. Ci sono quelli che fanno colloquio abitualmente e sono già pronti a ricevere i parenti, vicino alla porta. Qualcuno, colto dalla sorpresa, si affretta a mettersi la camicia nuova e sistemarsi al meglio. Io non faccio colloqui. O meglio, ne facevo uno ogni tanto, quando mia madre riusciva a ottenere un visto d’ingresso dal Consolato italiano. Si trattava di periodi intensi. L’emozione mi teneva sveglio nelle notti che precedevano la sua partenza dall’Albania e pensieri preoccupati erano rivolti al suo viaggio. Poi arrivavano le poche ore di colloquio consentite. In una sala troppo fredda, oppure troppo calda, sempre affollata. Mi faceva soffrire pensare alle fatiche del suo viaggio, le attese fuori dal carcere, le perquisizioni, ma la felicità di poterla vedere cancellava i cattivi pensieri e mi immergevo così nei suoi abbracci. A volte il Consolato italiano concedeva un visto anche a mio padre. E allora potevano venire insieme. Un permesso eccezionale, per viaggiare in coppia. In quattordici anni di galera credo che gliel’abbiano concesso cinque volte. Il risultato di centinaia di ore trascorse in file interminabili, decine di colloqui umilianti con funzionari arrabbiati e sospettosi e poi una sfilza di respinte, con l’invito a fare ricorso a un tribunale italiano. Ormai i colloqui appartengono al triste passato. I miei genitori non dovranno più andare a elemosinare un visto, niente più attese, perquisizioni o altre umiliazioni, solo per vedermi. Tra poco sarò libero di abbracciarli e stare con loro tutto il tempo che vorrò. Sicuramente, tra un abbraccio e l’altro mi fermerò, stringerò il loro viso tra le mie mani e guarderò i loro occhi, che mi racconteranno quanto questi anni pieni di sofferenze li hanno segnati. Forse mi comporterò come quando venivano a colloquio: li bacerò, prometterò di non lasciarli mai più, parleremo e ci racconteremo tanti anni, scoprendo a vicenda i cambiamenti avvenuti nelle rispettive vite. Ripasseremo insieme la mia infanzia per rassicurarci di continuare a conservare i sentimenti, i rumori, i sapori, i dolori e i ricordi comuni e lontani. La pelle del viso si accenderà sotto le lacrime, ma potremo prenderci tutto il tempo che vogliamo perché lo stomaco non si stringerà più sussultante dalla paura dell’addio, dal dolore dell’ora di colloquio che finisce, dal rumore delle chiavi del cancello che si apre e di una voce che riempie la stanza avvisando che il tempo è finito. Elton Kalica (in collaborazione con Ristretti Orizzonti) Elton è un 35 enne albanese, detenuto nel carcere Due Palazzi di Padova con una condanna a 14 anni e 8 mesi per sequestro di persona a scopo di estorsione (senza armi e durato due giorni). Il prossimo 25 ottobre finirà di scontare la sua pena e tornerà libero. Firma storica della rivista Ristretti Orizzonti, attende di sapere se sarà rimpatriato in Albania o se potrà restare in Italia e lavorare da esterno per Ristretti. Ha deciso di raccontare su “Redattore sociale” i suoi ultimi giorni dentro. Giustizia: Pannella; la “prepotente urgenza” del carcere ignorata dalla politica Notizie Radicali, 13 ottobre 2011 “Dico che c’è il problema della giustizia: il problema che il presidente Giorgio Napolitano con ammirevole precisione ha denunciato come una “prepotente urgenza”; ma esistono troppe cose che fanno si che questa prepotenza sembra essersi persa”. Così, tra l’altro, Marco Pannella intervenuto prima a “Rai news 24”, successivamente a “Radio Radicale”. Pannella poi ricorda come si sia documentato, grazie al Centro d’Ascolto Radicale come questa “prepotente urgenza” sia clandestina: “ed è la cosa più grave: nei tre mesi intercorsi tra il 28 luglio a oggi, da quando il Presidente Napolitano ha denunciato la flagranza di violazione di legge in cui lo Stato italiano si trova, da quel momento, e malgrado che il 14 agosto vi siano stati migliaia di cittadini che hanno fatto un giorno di sciopero della sete e della fame per far conoscere quelle affermazioni degli italiani, quella denuncia del presidente è stata completamente ignorata…Abbiamo documentato che in questi tre mesi e mezzo si è dato infinitamente più spazio ad avvenimenti come i delitti di Avetrana o Melania Rea, che al presidente Napolitano e a quanto ha denunciato nella sua veste di garante dei diritti di tutti”. Si è impedito al popolo italiano di essere informati su questo problema, aggiunge Pannella, “sicché oggi si continua a sentir dire una cretinaggine: che l’indulto e l’amnistia sono provvedimenti provvisori, perché poi tanto le carceri si riempiono di nuovo; mentre noi sosteniamo che l’amnistia è l’unica proposta - altre non se ne sono fatte - di riforma irrinunciabile strutturale per la giustizia italiana, e quindi anche carceraria”. Accade quello che è accaduto in passato, aggiunge Pannella; quando, fin dagli anni ‘80 si denunciava la gravità e la insostenibilità del debito pubblico, la questione energetica, il problema della riforma delle pensioni, tutte quelle cose, insomma che oggi riguardano oggettivamente gli “indignati” di tutto il mondo: “I radicali hanno sollevato questi problemi più di trent’anni fa. Ebbene, non è mai stato possibile, in tutto questo tempo, avere un dibattito pubblico, far conoscere posizioni e proposte, mai un confronto…”. Giustizia: mentre si pensa al da farsi… nelle carceri i detenuti muoiono di Valter Vecellio Notizie Radicali, 13 ottobre 2011 Lo dice il responsabile del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, ascoltato dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani al Senato: con un ingresso di circa mille unità al mese ed una quota di detenuti che sfiora le 68mila persone, “il sistema penitenziario vive le difficoltà maggiori dal dopoguerra ad oggi”. Che è già meglio, non fosse per la forma lessicale, di quanto detto l’altro giorno dal ministro Nitto Palma, che ha parlato di “stress”. Nella custodia, oltre a “mura e sbarre”, dice Ionta, gioca una parte fondamentale “il recupero e il reinserimento dei detenuti nella società” ma il compito è sempre più difficile vista la situazione nelle carceri. E per sapere questo non c’era bisogno di un’audizione, ma tant’è. Inoltre, una delle forme più incompatibili con un sistema penitenziario efficiente è la presenza di numerosi detenuti che “permangono in carcere, in stato di arresto solo per brevi periodi di due o tre giorni. Questo è un fenomeno preoccupante: su un ingresso di novantamila persone circa l’anno, ventimila rimangono per tre giorni, sette giorni, un mese. Siamo investiti da un vortice di detenuti con scadenze brevi sui quali non si può applicare nessun approccio rieducativo proprio per i tempi”. Bene. Se la situazione è questa, cosa si intende fare, cosa si sta facendo, cosa si è fatto? Si pensa. Si pensa ad estendere la cosiddetta legge “svuota-carceri”: sono 3.500 le persone uscite dagli istituti penitenziari in virtù della cosiddetta legge svuota - carceri che prevede i domiciliari per detenuti con residuo di pena non superiore ad un anno. “Ci aspettavamo di più da questa legge perché il bacino di riferimento era più ampio ma ci sono stati momenti di difficoltà. Per questo è allo studio un aumento a un anno mezzo della pena residuale da scontare ai domiciliari”. C’è poi il famoso e annunciato “piano carceri”. Finora sono stati creati, dice Ionta, 3.800 posti detentivi; “e nei prossimi anni prevediamo di creare altri 3.500 posti detentivi ordinari”. Cosa significa “prossimi anni” lo si lascia all’immaginazione, ma non importa. Tra i “creati” e i “creandi”, i nuovi posti sono meno di 7.500. Quanti sono i “posti detentivi ordinari” che andrebbero semplicemente aboliti perché costringono i detenuti in condizioni di letterale tortura? Ma soprattutto se entrano circa 12.000 detenuti l’anno, quei 7.500 posti detentivi, di cui 3800 da realizzare “nei prossimi anni”, lasciano il tempo che trovano. Altro punto dolente: la carenza di personale. Ionta fa sapere che a fronte di un piano organico aggiornato al 2001 a circa 45mila unità, siamo addirittura sotto di 6mila unità di personale ad oggi; ma per 758 persone sono partiti i corsi di formazione per l’assunzione su tutto il territorio, e saremo costretti a privilegiare per l’assegnazione di questi nuovi posti le strutture a nord di Roma perché là c’è maggiore carenza, con un vincolo di cinque anni dalla prima assegnazione per i trasferimenti per stabilizzare il sistema. Ionta poi riferisce di una situazione particolare, quella dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, definita “una emergenza nell’emergenza carceri”. In quell’OPG “ci sono 300 persone internate, ma oltre 200 persone teoricamente potrebbero uscire, ma per una serie di ragioni tra cui le difficoltà a trovare un’allocazione fuori dall’ospedale, rimangono dentro, e proprio perché non hanno dove andare i magistrati di Sorveglianza li ritengono ancora pericolosi. Comunque abbiamo avviato un contatto proficuo con il ministero della Salute per affrontare questa situazione”. Per risolvere casi come questi, secondo Ionta, la soluzione è la “sanitarizzazione” degli Opg perché “la polizia non può fare da infermiere, badante o interlocutore”. Un esempio positivo in questo senso è, secondo Ionta, l’istituto di Castiglione delle Stiviere, affidato appunto, al Servizio sanitario Regionale. Il “come” e il “quando” sono affidati, evidentemente, al “chissà chi lo sa”. Intanto, mentre si pensa a Castrovillari un detenuto romeno suicida, è il 51esimo che si toglie la vita da inizio anno. Aveva 37 anni. L’altra sera ha atteso che l’agente di polizia penitenziaria fosse passato per il consueto giro di controllo, poi con il laccio dell’accappatoio si è impiccato. “Un’altra tragedia nelle affollate carceri italiane - dicono Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, e Damiano Bellucci, segretario nazionale - dove ormai la polizia penitenziaria fa fatica a garantire la sicurezza e a controllare tutti i detenuti, a causa del sovraffollamento e della carenza di personale. Molti agenti sono costretti a svolgere più posti di servizio contemporaneamente, proprio a causa della carenza di uomini e donne. A ciò si aggiunge anche la carenza di risorse economiche e materiali: spesso mancano i soldi per la benzina, gli automezzi per le traduzioni sono vecchi e non garantiscono la necessaria sicurezza su strada. In Calabria ci sono circa mille detenuti in più rispetto ai posti previsti, per un totale di oltre 3.200 persone. Di queste circa mille appartengono alla criminalità organizzata e circa 800 sono stranieri. A Castrovillari ci sono 280 detenuti, per una capienza di 130 posti disponibili”. Si pensa. E mentre si pensa accade per esempio che dopo i furgoni della polizia penitenziaria di Sollicciano rimasti a secco perché erano finiti i soldi per il carburante, si profili ora una situazione, se possibile, ancora più grave. L’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, dove sono reclusi malati psichici in condizioni già difficilissime, si è visto sospendere le forniture di gasolio, perché la società fornitrice non è stata pagata. Alla casa circondariale di Empoli, invece, è stata sospesa la fornitura di gas, anche in questo caso per morosità. Per i degenti dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo la mancanza di gasolio significa niente acqua calda e niente riscaldamento. La situazione, già difficilissima, rischia di precipitare. Si pensa. E intanto la Uil Penitenziaria denuncia a proposito del carcere di Livorno: “È al capolinea. Siamo andati molto vicini al dover chiudere i battenti. Il penitenziario livornese possiede tutte le caratteristiche di un enorme deposito di merce, merce umana”, prosegue la Uil, ricordando che l’8 ottobre nel carcere erano stipati 460 detenuti a fronte dei 264 previsti come “ricettività tollerabile”, anche se “da sempre ci domandiamo cosa vuol dire “tollerabilità” quando in una cella di 9 mq sono montati 4 letti a castello. Si avverte la sensazione drammatica di non essere più in grado di garantire la sicurezza. Altro che processo di rieducazione e reinserimento nella società. Ormai sono slogan”. Si pensa. A Ferrara, racconta Eugenio Sarno, segretario generale Uil-Pa Penitenziari la locale Casa Circondariale ha comunicato di non essere più in grado di ricevere corrispondenza via fax per l’esaurimento della carta. Questo significa che “sono a rischio le attività ordinarie (finanche le scarcerazioni) in quanto la gran parte della corrispondenza viene evasa da tale mezzo, considerato che la tanto proclamata e pubblicizzata, dal Ministro Brunetta, informatizzazione della Pubblica Amministrazione non ha minimamente toccato l’Amministrazione Penitenziaria. A testimoniare ciò concorrono anche le centinaia di registri cartacei che oberano il già difficile lavoro della polizia penitenziaria. Questo è l’ennesimo segnale di quel default dell’Amministrazione Penitenziaria ampiamente, ma inutilmente, annunciato da tempo. Un’Amministrazione che soffoca nei circa 150 milioni di debito. Un’Amministrazione che non può più garantire il pieno ai mezzi di servizio per le traduzioni, non paga le missioni e gli straordinari al personale, non è in grado di far fronte alle spese ordinarie e al pagamento delle utenze. Anche i fondi per il vitto ai detenuti sono in via di esaurimento. Nonostante il Capo dello Stato abbia sottolineato come l’attualità del sistema penitenziario sia una vergogna ed un orrore nonché una prepotente urgenza da risolvere, all’orizzonte nulla si scorge in termini di impegni, efficacemente risolutivi, da parte del Governo e del Parlamento”. Intanto, si pensa. Giustizia: nel girone dei presunti innocenti che marciscono in prigione di Renato Farina (Diavolo della Tasmania) Tempi, 13 ottobre 2011 Come sempre mi aggiro per le carceri cercando animelle da ghermire. A differenza di quello che scrive san Pietro, non mi atteggio a “leone ruggente”. Piuttosto sono un usignolo squittente. Non a caso non mi fanno tornare per premio in famiglia, giù in Tasmania. Sono un diavolo gentile. E non ne posso più di certe situazioni da Geenna delle prigioni italiane. Rendono inutile il mio lavoro tentatore: a precipitare la gente all’inferno basta il sistema italiano di reclusione. Il peggiore di tutti i reparti è il padiglione Torino di Poggioreale, Napoli. Mi fermo in una cella. Sono cinque o sei o sette, non ricordo, ma è un groviglio di gente malata, magra, pallidissima. Sono gli infetti da Aids. Li tengono insieme in questa stanza. Mi parla un loro portavoce. Mi pare di essere un Dante senza poesia accompagnato dalle guardie virgiliane, gentili, e impotenti a cambiare il corso dello Stige. Chiedo e ottengo di farmi aprire la porta d’acciaio. Do la mano. Questi ragazzi possono aver combinato guai enormi al prossimo (ma non credo, estenuati come sono), avrebbero bisogno di essere curati e rieducati, secondo la Costituzione. Invece stanno in condizione di promiscuità orribile, due docce la settimana, esposti ai virus reciproci. Nella loro condizione un malanno può scorticare la loro buccia sottile di vita. Inoltre, contro ogni legge di tutela della privacy, che dovrebbe valere Dersino Der i galeotti, sono nella condizione di vedere esibita la loro faccia e il loro nome come malati di Hiv. Tutto questo non è tollerabile. Chiedo al mio Avatar in Parlamento di scrivere un’interrogazione parlamentare. Mi dice che non serve a nulla. Non rispondono mai a queste domande sulla situazione degli istituti di pena. Mica possono ammettere che lo Stato calpesta le sue leggi. Ancora a San Vittore. Qui ci sono donne straordinarie a dirigere. Vado spesso nel raggio numero 6: è in condizioni di disfacimento. Incontro viados gentili. Domandano: e l’amnistia? Rispondo: non illudetevi, non ci sarà. Il Parlamento, vedrete - dico mentendo ma credendoci - , cambierà qualcosa sulla custodia cautelare. Loro sospirano. Infine raggio numero 3 o 4, tutti questi numeri non mi stanno più in testa. C’è un ex sindaco brianzolo. Sta dentro da quattro mesi. Non ammette nulla, non ha visto un soldo, non si è mai lasciato corrompere. Non me ne parla durante le ispezioni, è vietato. Ma lo so dai parenti, di questa sua ostinazione. Gli altri indagati sono tutti fuori: hanno ammesso di aver intascato mazzette di euro. Lui - ci metterei la mano sul fuoco (che per altro a me fa il solletico, è come l’acqua per i pesci, ma qui lo intendo alla maniera di Muzio Scevola) - proprio perché ha detto di no alle richieste del corruttore, ora è oggetto di vendetta. Non è pregiudicato. Perché sta in cattività senza essere stato giudicato? Se ci sono prove, i pm le tirino fuori al processo. È una atrocità da barbari tenerlo in carcere. Non c’è parità alcuna tra accusa e difesa. La difesa è vessata, indebolita, impossibilitata a dimostrare la propria estraneità. L’accusa ha le chiavi della cella, assecondata da gip con cui si dà del tu. L’11 ottobre (io scrivo prima: per cui non so la sentenza) la Cassazione ha deciso se scarcerare o no questo presunto innocente (in-no-cen-te!). Non si vuole l’amnistia? Almeno si disgorghino le carceri dai prodotti di una custodia cautelare assurda. Si approvi in fretta una legge che, nel caso di incensurati e in assenza di pericolo di violenze, impedisca la prigionia preventiva, magari dotando la persona di braccialetti elettronici. Ci vuol tanto? Se no il Diavolo di Tasmania si dà fuoco, tanto non muore. Giustizia: Moretti (Ugl); capo Dap conferma emergenza sistema penitenziario Agenparl, 13 ottobre 2011 “Il sistema penitenziario vive le difficoltà maggiori dal dopoguerra ad oggi”. Con questa dichiarazione resa dal Capo del Dap nel corso dell’audizione alla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani al Senato, si evidenzia maggiormente lo stato di disagio che attualmente soffoca il sistema penitenziario, anche per i riflessi futuri che può avere un continuo incremento dei detenuti nelle strutture ormai al limite massimo della capienza tollerabile”. Lo dichiara Giuseppe Moretti, segretario nazionale Ugl Polizia Penitenziaria ribadendo con forza che “per l’Ugl è importante la conferma delle assunzioni che sono previste dal piano carceri e che ancora ad oggi non sono certe pur nella consapevolezza dell’impegno del Ministro Nitto Palma”. “Per quanto riguarda, infatti, - precisa Moretti - l’assunzione di personale, le 758 unità a cui fa riferimento Ionta, rappresentano il personale arruolato per il turnover, quindi, non si tratta di un vero incremento dell’organico”. Per il sindacalista “l’apertura di nuove strutture deve avvenire solo in coincidenza dell’immissione in ruolo di nuovi agenti e con un incremento della pianta organica. Altrimenti, l’aumento della capacità delle carceri, anche se il dato fornito dal Dap non ci sembra quello effettivo, ricade sul personale di polizia penitenziaria come maggior carico di lavoro, perché di fatto la pianta organica carente oggi di circa 6mila unità continua ad essere limata perché non si riesce neanche a coprire completamente il turnover”. “È evidente che - conclude - misure come quelle riferite all’aumento a un anno e mezzo della pena residuale da scontare ai domiciliari potrà dare benefici solo se correlata ad altre misure deflattive, che il Guardasigilli, anche nell’incontro avuto solo ieri, ha confermato di avere intenzione di avviare con la necessaria condivisione di tutti gli organi parlamentari. Di certo, la presenza nelle carceri italiane di detenuti extracomunitari anche con pene inferiori ad un anno e mezzo, crea ugualmente difficoltà di applicazione alla norma suddetta perché molti detenuti non potrebbero usufruirne non avendo fissa dimora per giustificare il ricorso agli arresti domiciliari”. Giustizia: Osapp; carenze organico, lettera di protesta a ministro Palma e a Presidenti Camere Adnkronos, 13 ottobre 2011 “È inconcepibile che nell’attuale e crescente disastro delle carceri siano proprio i poliziotti penitenziari, che tra gli appartenenti alle forze di polizia percepiscono le retribuzioni più basse, a pagare il prezzo più alto delle disorganizzazioni del dipartimento penitenziario, anche nelle possibilità di carriera e di progressione economica interne al Corpo”. A dichiararlo, in una nota, è Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) preannunciando una lettera di protesta indirizzata al ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma e ai Presidenti di Camera e Senato. “Gli organici di ispettori e dei sovrintendenti di polizia penitenziaria su base nazionale dovrebbero essere circa il 19% dell’organico complessivo, rispetto ad una media che negli altri Corpi supera il 35% - prosegue il leader dell’Osapp - ma alla data odierna nella polizia penitenziaria ce ne sono meno del 12% mancando all’appello 1.796 Sovrintendenti e 1.360 Ispettori, mentre i concorsi interni sono inspiegabilmente bloccati da più di 3 anni e quindi da molto prima delle cautele della recente manovra economica.”. “A questo punto, visto che è solo la polizia penitenziaria che consente alle carceri di continuare a funzionare alle attuali gravissime condizioni, l’intento è chiaro: fare in modo che negli istituti di pena attuali e futuri ci sia prevalentemente personale che lavora in silenzio, nella maniera più supina e subordinata possibile, come solo nel ruolo meramente esecutivo degli agenti può avvenire e come certamente non accadrebbe con un numero più alto di sottufficiali e di funzionari in servizio”- Lettere: siamo stanchi, signor Presidente, come i detenuti, e tutta la comunità penitenziaria… di Ada Palmonella Notizie Radicali, 13 ottobre 2011 La dottoressa Ada Palmonella, psicologa, esperta del Tribunale Penale e Civile di Roma e del Ministero di Grazia e Giustizia per gli Istituti Penitenziari ha scritto la seguente lettera aperta al presidente della Repubblica. Illustre Presidente Napolitano, abbiamo letto, con piacere, che è andato a visitare i giovani detenuti di Nisida. Vorremmo vederla anche tra altre mura, come quelle di Roma, di Regina Coeli per esempio. Sono in carcere da 22 anni (un ergastolo) ad operare come psicologo penitenziario. A Regina Coeli, appunto. Però non - anzi ne sono convinta - che se una persona detenuta a Regina Coeli le chiedesse se sia faticoso lavorare al Quirinale, non risponderebbe certamente come ha risposto ai giovani di Nisida, ovvero di “no, se tutti i pomeriggi fossero come questo”. Anche in un solo pomeriggio trascorso alla Lungara penserebbe che ci sono - evidenti - le condizioni per l’amnistia: Materassi unti, lisi, sporchi, buttati sul pavimento un po’ ovunque, con sopra panini e pezzi di sapone. (Ho pensato di portare le cucce dei miei cani che sono molto più pulite e morbide) Celle con 2 lettini con 4 persone. Due sul letto e due per terra sopra vecchie coperte. Altrimenti si dorme in piedi. Persone con i pidocchi che dormono con altre persone senza alcuna precauzione igienica. Celle precedentemente destinate a persone con la scabbia, ospitano adesso, senza essere state disinfettate, persone sane (ancora per poco)! Persone appena entrate in attesa nel corridoio, buttate per terra, alcune con tubercolosi. Fortunatamente i grandi topi che girano fanno da diversivo. Persone ferite senza essere state medicate, con il pericolo di infettarsi. Sciacquoni dei “bagni”.. ehm…” dentro le celle che scorrono ininterrottamente e bagnano il pavimento, dove poi dormiranno sulla coperta bagnata. Persone con disturbi mentali sbattuti in quelle celle a rischio dove avvicinarsi è impossibile per l’odore nauseante e le condizioni disumane. Celle sempre piene! Ed altro. Ed altro. Ed altro. L’intervento del ministro Palma per alleggerire la popolazione carceraria dovrebbe arrivare presto altrimenti una soluzione sarebbe di chiamare il canile municipale, sicuramente più salubre e vivibile, dove i cani randagi fortunatamente non subiscono - almeno si spera - le torture inflitte ai “reclusi umani”. L’amnistia è impossibile perché “non c’è l’accordo politico”. Ma, di fronte alle torture, alla vita umana, ai suicidi, alla disperazione, perché dare priorità all’accordo politico? Non comprendo! Non credo che risponderebbe nella stessa maniera come ai ragazzi di Nisida. Se il Suo lavoro fosse come un pomeriggio trascorso a Regina Coeli, senza canti, rappresentazioni e piante e tappeti messi per l’occasione, direi che il Suo lavoro sarebbe molto faticoso. Dovrei, come tutti i miei colleghi, essere abituata a vedere le persone ristrette in un a piccola cella, o camera - come la chiamo io per ridare un po’ di dignità alle persone che la abitano. Persone chiuse per tutto il giorno, anche 24 ore, senza nulla da fare se non parlare tra di loro. Vicini alla pazzia. Animali in gabbia come allo zoo, anche se si sta meglio nella gabbia sicuramente più comoda, dello zoo comunale. Attualmente, come allo zoo, si organizzano visite guidate per studenti o studiosi. O curiosi. Mancano le noccioline. E tutto questo, dopo tanti anni, ci fa ancora male. Noi psicologi che lavoriamo negli Istituti di “prevenzione” e pena da tanti anni viviamo empaticamente il dolore e sappiamo senza ombra di dubbio che chi ha commesso un reato ha un debito con la società che deve essere onorato secondo la legge e secondo la morale. Ma “buttare la chiave” e definire Galeotto la persona reclusa significa amplificare l’aggressività di chi ha commesso reato, facendola diventare vittima dello stesso Stato a cui è temporaneamente affidato. E, ricordiamoci, che quando uscirà dal carcere, il reo continuerà a compiere reati sempre più pesanti per tutta la giusta rabbia accumulata nel tempo della reclusione. Ma in questo nostro bel paese che si definisce civile, qualcuno dovrebbe andare in un paese latino americano come l’Ecuador, definito del terzo mondo, ad imparare cosa vuol dire civiltà. Molti detenuti che ho personalmente visitato, hanno preferito scontare tutta la pena in Ecuador che in Italia. Leggendo la lettera scritta da alcuni detenuti di Rebibbia, i quali segnalavano “l’ennesimo omicidio” in carcere, ho sentito il cuore farsi piccolo piccolo, fino arrivare, come un pugno, alla bocca dello stomaco. Solo chi lavora e vive direttamente il pianeta carcere conosce e sa che chi è dentro non è il mostro che ha commesso un reato, ma è anche una “persona” che vive, respira, pensa, sogna. Noi psicologi penitenziari parliamo e conosciamo queste persone e le aiutiamo, o cerchiamo di farlo, a ritrovare l’amore per la vita e per il prossimo. A proiettarli in un futuro degno di essere vissuto per rinascere una volta e camminare verso gli altri, lasciandosi alle spalle le catene. Come la scelta di un tipo di vita non è già stampata. È una storia che ogni giorno noi stessi scriviamo, guardando ogni giorno la vita con occhi nuovi. Le persone detenute di Rebibbia parlano di stanchezza nel parlare di morti, rivendicando il diritto alla salute e alla dignità. Anche noi siamo stanchi di difendere il nostro operato. Di spiegare che il lato psicologico per l’aiuto, il reinserimento psicologico al rientro nella società evitando così la recidività, è basilare. Siamo stanchi ed umiliati nel vedere il nostro lavoro così maltrattato. Siamo stanchi di vederci, da un giorno all’altro, tagliare il monte ore per essere ridotto ormai al minimo. Siamo stanchi di vedere bandire concorsi per psicologi e, come è l’ultimo bando per il nuovo progetto di un master per assistenti sociali nelle carceri che ha come obbiettivo un piano psicologico Siamo stanchi di non poter più aiutare le persone “perché non ci sono soldi”. Siamo solo 365 in tutta Italia ed attualmente molti psicologi stanno interrompendo la collaborazione con il Ministero. Spendiamo di più andando a lavorare di quanto guadagniamo. In più le varie umiliazioni che subiamo all’interno dell’Istituto. E sono innumerevoli! Fortunatamente, a parte i vari malanni dovuti all’età ed altre patologie, gli psicologi penitenziari hanno il cuore forte. Infatti molto spesso le notizie per noi sono da infarto! Da un momento all’altro ci decurtano il monte ore. È accaduto che stando in servizio, mi ha telefonato la Direzione perché dovevo lasciare l’Istituto avendo il provveditore ridotto le ore, senza preavviso, il giorno prima. Ora le voci di corridoio sussurrano che potrà, grazie ai tagli, essere eliminato il servizio Nuovi Giunti, anche in considerazione delle nuove disposizioni ministeriali che, a causa del sovraffollamento, saranno più scarse le entrate in carcere a favore delle misure alternative. Chi entrerà in carcere senza usufruire delle nuove misure si potrà comodamente ammazzare. Tanto saranno pochi! Chi ha scelto di rimanere nel servizio Nuovi Giunti, invece di passare alle tossicodipendenze (e quindi ora al Sert, regolarmente inquadrati) lo ha fatto perché ha creduto nell’Istituzione di questo servizio. La circolare Dap del 1987, creata da Nicolò Amato, per la tutela della vita e dell’incolumità fisica e psichica dei detenuti e degli internati, è preposta ad ovviare tragiche (come quelle attuali) conseguenze che si traducono in atti di auto od etero aggressività. È ovvio che per chi entra in carcere, specialmente per la prima volta, in uno stato comunque di fragilità psicologica, privato della libertà, subisce un trauma che può determinare estreme dinamiche. Il servizio nasce come sperimentale nel 1987, e continua a d essere sperimentale anche dopo 24 anni, con accordo rinnovabile di precariato da ben ventiquattro anni. Siamo stanchi anche noi, come i detenuti, di parlare di morti senza poter fare il nostro lavoro atto proprio ad evitare queste situazioni. Siamo stanchi di non essere ascoltati e di essere trattati da “invisibili” e di essere gestiti come gente inutile da mettere e togliere secondo dei calcoli ministeriali. Stanchi adesso di vedere anche il bando di concorso a titoli per 100 assistenti sociali che avranno come finalità il nostro lavoro. Allora perché non migliorare i nostri servizi? Giochi e svaghi, come eravamo nel capitolo sella finanziaria - ma lì erano anche le pie sorelle! Siamo talmente pochi in Italia che basterebbe un minimo per ridarci la dignità e l’opportunità di lavorare ed aiutare chi, in questa particolare situazione, è solo e debole. Molti di noi stanno abbandonando il lavoro, ormai sconfitti. Molti di noi continuano a lottare, a fianco di quei pochi, come Marco Pannella e Rita Bernardini e i Radicali Italiani che si rendono realmente conto della tragica situazione, così umiliante per il nostro paese e per chi lo governa, e che “si sono sporcati le mani” per la causa degli Istituti di Pena. Anche noi salutiamo tutti coloro i quali non hanno resistito alla detenzione, preferendo morire. O sono morti per indifferenza e cinismo. Ci scusiamo con loro per non essere stati presenti, ma lasciamo ad altri il rimorso di coscienza...ma noi sappiamo che in questo universo del carcere, con il nostro lavoro, piantiamo fiori che sbocciano, e che nessuno aveva ancora piantato. Ci venga a trovare Presidente. L’aspettiamo. Parma: cronico sovraffollamento, mentre la nuova ala è inutilizzata per mancanza di personale di Giorgio Ponziano Italia Oggi, 13 ottobre 2011 Marco Pannella fa lo sciopero della fame, Giorgio Napolitano sottolinea che bisogna intervenire, dal ministero della Giustizia assicurano che si sta completando un’indagine per poi agire, bypassando il blocco dei finanziamenti deciso dal ministro Giulio Tremonti: i1 sovraffollamento delle carceri è (anche) un problema di civiltà, chi è privato della libertà non dev’essere costretto alla degradazione, ciò che avviene quando celle per due persone ne ospitano sei e si dorme a rotazione, le docce non funzionano, l’igiene latita. Carceri invivibili e proteste in tutt’Italia. Ma a Parma cosa succede? Dopo anni di attesa qualche tempo fa sono arrivati i soldi del ministero per ristrutturare un’ala del carcere, 5 sezioni per 200 detenuti. Adesso l’area è pronta, imbiancata e moderna. Ma chiusa. I detenuti, quella porta, non la possono varcare. E rimangono stipati nelle vecchie celle, con le brande accatastate. Motivo di quest’opera meritoriamente portata a termine in tempi brevi ma non utilizzata? Mancano gli agenti penitenziari. Dovrebbero essere oltre 400 (in pianta organica), ce ne sono meno di 300, dei quali 90 distaccati a prestare servizio in altri istituti. Di fronte a questa situazione si è pensato bene di non aprire la nuova ala. Ministro Francesco Nitto Palma, se ci sei batti un colpo. “Parma? Non è un caso isolato”, assicura Giovanni Battista Durante, segretario aggiunto nazionale Sappe, il sindacato delle guardie carcerarle. “Si parla da tre anni di piano carceri e sono stati stanziati più di 700 milioni di euro, ma non si capisce che costruire nuove carceri è assolutamente inutile se non si assume nuovo personale. In Italia vi sono 6 mila posti detentivi inutilizzati perché non ci sono agenti”. Manca il personale e i processi incominciano a essere rinviati per l’impossibilità di portare i detenuti in tribunale. Poi in molte carceri i detenuti vengono ammassati in poco spazio in modo da garantire una certa sorveglianza anche con poco personale ma con rischi sia per i detenuti che per le guardie di contrarre malattie contagiose a causa della promiscuità. La casa di pena parmense dovrebbe ospitare 350 detenuti, ve ne sono 500, stipati in celle di 11 mq compreso il bagno. La struttura è a due blocchi materialmente distinti. Peccato che uno sia chiuso. “Meno personale, meno risorse, meno educatori e più detenuti”, dice Albertina Soliani, senatrice Pd, che ha visitato recentemente il carcere di Parma, “la situazione si sta ulteriormente aggravando”. Dalle galere parmensi sono passati Luciano Liggio, Licio Gelli, Luciano Lutring, Leoluca Bagarella, Nitto Santapaola, Giovanni Brusca. Da qui va e viene Calisto Tanzi, ex - patron Parmalat, e qui è detenuto Bernando Provenzano, nella sezione del 41bis. “Per portare in tribunale o comunque spostare un detenuto 41bis”, dicono le guardie carcerarie di Parma, “la normativa prescrive 5 agenti. Altre decine debbono espletare la gran mole di lavoro burocratico. Si tratta di risorse sottratte al quotidiano lavoro di sorveglianza”. Secondo il Sappe in Emilia Romagna mancano 650 agenti. E anche a Modena e Forlì ci sono parti dei penitenziari chiusi a causa della carenza di personale. Strutture vuote da un lato, sovraffollamento dall’altro. La ricetta del sindacato è più agenti e un maggiore ricorso alle pene alternative. “In Italia”, dice Durante, “sono reclusi 17 mila tossicodipendenti che potrebbero utilmente trovare posto in comunità o comunque essere inseriti in programmi di rieducazione al di fuori dal carcere”. Mentre la patata bollente delle sezioni chiuse a Parma rimbalza sui tavoli degli organi penitenziari e del ministero, l’esasperazione per il sovraffollamento (in poco tempo all’interno del carcere si sono suicidati quattro detenuti e un agente penitenziario) ha provocato l’aggressione a cinque agenti da parte di un detenuto magrebino, per poco non è scoppiata una sommossa e gli agenti sono dovuti ricorrere all’infermeria. Luca Marola (Radicali) interviene sulla situazione del carcere La situazione in cui si trova il carcere di Parma non differisce per nulla da quella nazionale: cronico sovraffollamento, mancanza di personale, aumento esponenziale dei suicidi in cella hanno portato l’Italia ad essere condannata dall’Europa. Lo Stato italiano è un criminale abituale e recidivo, per le istituzioni europee competenti, proprio a causa del sistema carcerario inadeguato, incivile ed illegale. L’illegalità ed inciviltà di tale situazione è stata denunciata dai Radicali ed è al centro della più lunga e drammatica iniziativa politica del movimento al punto che anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha invitato governo e parlamento ad intervenire in modo urgente ed efficace. Da ventinove giorni il deputato radicale Rita Bernardini e Marco Pannella hanno ripreso lo sciopero della fame per chiedere alla politica ed alle istituzioni di intervenire... Se il carcere di via Burla non si discosta dalle pessime condizioni nazionali (500 detenuti stipati in celle di 11 metri quadri, bagno compreso, che ne possono contenere al massimo 350, organico dimezzato,...), per un elemento siamo un po’ diversi ed un po’ speciali. La nuova ala, composta da cinque sezioni per 200 detenuti, ultimata da poco, resta chiusa per mancanza di personale! Alla denuncia dei sindacati di polizia penitenziaria, dell’associazione dei direttori penitenziari, dei parlamentari locali e dell’intero movimento radicale, deve seguire uno scatto d’orgoglio da parte di tutte le istituzioni locali e della società civile affinché questa vergogna, drammatica ed incivile, termini al più presto. L’intera città, in primis i suoi rappresentanti più autorevoli come i parlamentari eletti, le amministrazioni comunali e provinciali, il Questore ed il Prefetto, intervenga presso il ministero competente affinché venga aperta nel minor tempo possibile la nuova ala del carcere di via Burla. Firenze: Uil-Pa; a Sollicciano guasto il 70% delle auto della polizia penitenziaria Dire, 13 ottobre 2011 È la denuncia di Eleuterio Grieco della Uil-Pa: “Su un parco auto di 31 vetture, soltanto 12 sono utilizzabili. Mancano i soldi anche per la benzina. A rischio difesa e salute dei detenuti”. “Circa il 70% delle auto della polizia penitenziaria di Sollicciano è guasto da tempo e non può essere riparato a causa della mancanza di soldi”. È la denuncia lanciata da Eleuterio Grieco, segretario della Uil-Pa Firenze. “Complessivamente - spiega Grieco - il parco macchine è formato da 31 mezzi di polizia, ma risultano utilizzabili soltanto 12. Sono guaste 19 vetture, qualcuna per il mal funzionamento dei freni, altre per problemi al motore”. Drammatiche le conseguenze: “In questo modo non riusciamo ad assicurare la difesa necessaria e il diritto alla salute dei detenuti”. Grieco fa qualche esempio: “Può capitare di non poter seguire un detenuto che viene ricoverato in ambulanza al pronto soccorso, oppure di non poter accompagnare i reclusi ai processi in tribunale, o ancora non poter effettuare il servizio di scorta nei confronti di politici, magistrati e collaboratori di giustizia”. E poi mancano le risorse per il pagamento della benzina, tanto che nei giorni scorsi sarebbero saltati alcuni processi a detenuti. “L’amministrazione di Sollicciano - ha concluso Grieco - ha 60 mila euro di debiti di benzina con Q8, che ha capito la drammaticità della situazione ed è venuta incontro ai disagi del carcere”. Trieste: penalisti in sciopero della fame a turno, contro l’affollamento delle carceri italiane Il Piccolo, 13 ottobre 2011 Uno sciopero della fame, da attuare a turno, per protestare contro “il costante aggravarsi delle condizioni in cui sono costretti a vivere i detenuti delle carceri italiane”. Lo attueranno, nell’ambito di una staffetta che durerà 13 giorni, a iniziare dal 13 di novembre per finire il 25, gli avvocati penalisti di Trieste, molti dei quali appartenenti all’Unione delle Camere penali italiane. Ogni giorno, uno dei 13 avvocati che hanno deciso di attuare questa particolare forma di protesta osserverà il digiuno per 24 ore. “La situazione si aggrava di giorno in giorno - si legge nel comunicato ufficiale diffuso dalla sede romana dell’Unione Camere penali - nella più assoluta indifferenza della politica che, peraltro, in nome di un costante demagogico richiamo alla tutela del valore della sicurezza collettiva, persiste nell’adozione di una politica legislativa carcero centrica. Il numero dei detenuti è in costante aumento - si aggiunge nel documento - e nessun beneficio apprezzabile ha sortito la recente legge che consente al condannato di scontare l’ultimo anno di pena in regime di detenzione domiciliare”. I penalisti italiani hanno più volte protestato “ma a nulla sono valsi i nostri appelli - insistono - e le iniziative di protesta che abbiamo posto in essere, nel tentativo di riportare la condizione carceraria nei limiti imposti dall’art. 27 della Costituzione, che vieta trattamenti detentivi contrari al senso di umanità e impone la finalità rieducativa della pena”. I penalisti italiani hanno dichiarato la loro approvazione allo sciopero della fame iniziato da Marco Pannella, fissando un calendario che prevede, a tappe successive, la partecipazione di tutte le sezioni provinciali dell’Unione. Il presidente per Trieste, l’avvocato Andrea Frassini, ha anticipato ai primi di agosto. Questo il calendario per Trieste: 13 novembre Elisabetta Burla, 14 Luca Maria Ferrucci, 15 novembre Deborah Berton, 16 Marzio Calacione, 17 Antonia D’Amico, 18 Francesco Oliva, 19 Emanuele Sergo, 20 Eleonora Sponza, 21 Pierumberto Starace, 22 Andrea Cavazzini, 23 Alessandro Giadrossi, 24 Alessandra Rosaroni, 25 Paolo Stern. Sassari: delitto di San Sebastiano, il teste chiave davanti al Gip La Nuova Sardegna, 13 ottobre 2011 Il 24 ottobre e il 7 novembre saranno giornate importanti per l’inchiesta sulla morte del detenuto Marco Erittu, avvenuto a San Sebastiano il 18 novembre 2007. Sono le date dell’incidente probatorio del teste chiave, Giuseppe Bigella, reo confesso del delitto in cella, ma anche accusatore del pezzo grosso della criminalità sassarese, Pino Vandi (presunto mandante), e dell’agente della Polizia penitenziaria Mario Sanna, sospettato di averli aiutati. Davanti al gip di Cagliari e al sostituto procuratore della Dda Giancarlo Moi, Bigella dovrà ripetere quelle accuse. Il verbale, a quel punto, potrà essere utilizzato direttamente nel corso di un eventuale dibattimento, qualsiasi cosa accada, pure se dovesse cambiare idea. Sarà la prima volta in cui oltre al pm, dovrà rispondere anche ai difensori di Vandi e Sanna, gli avvocati Elias Vacca, Patrizio Rovelli e Agostinangelo Marras. Non è chiaro se il magistrato - che lavora in tandem col collega sassarese Giovanni Porcheddu - chiederà a Bigella anche dei sequestri di Giuseppe Sechi e Paoletto Ruju, mai tornati a casa. Secondo Bigella, Erittu sarebbe stato ucciso perché voleva confessare di aver assistito all’occultamento del corpo di Sechi, mutilato di un orecchio poi inviato ai familiari di Paolo Ruju. Brescia: il sistema bibliotecario della provincia entra tra le mura delle case circondariali Qui Brescia, 13 ottobre 2011 Un libro per evadere. Dalla routine, dalla noia, dalla condizione di privazione della libertà fisica in cui si trovano le centinaia di carcerati detenuti a Canton Mombello e a Verziano. Il sistema bibliotecario della provincia di Brescia entra tra le mura delle case circondariali cittadine grazie ad un’intesa sottoscritta mercoledì, all’interno della struttura di Canton Mombello, alla presenza dei direttori Francesca Paola Lucrezi, Francesca Gioieni (Verziano) e dell’assessore provinciale alla Cultura Silvia Razzi. Presenti alla firma dell’accordo anche l’assessore provinciale alla Sicurezza, Mario Maisetti, Carlo Alberto Romano e il garante dei detenuti Emilio Quaranta. L’accordo, di durata quinquennale, sottoscritto con il Broletto prevede la presenza di un bibliotecario incaricato dalla Provincia, per 100 ore, in ciascuno dei due istituti di pena, la catalogazione dei testi donati, la possibilità del prestito inter bibliotecario e l’arredo, già realizzato in passato, di locali appositi adibiti alla lettura e al servizio sia degli operatori che dei detenuti. Settimanalmente, il furgone della Rete bibliotecaria bresciana si reca nelle due carceri per consegnare e ritirare i volumi richiesti. Attualmente Canton Mombello dispone di una biblioteca di 4mila volumi, 3mila quelli a Verziano. Nel 2010 i prestiti richiesti da carcerati e personale della polizia penitenziaria hanno superato il migliaio nel 2010, a cui si aggiungono i 500 inoltrati ad altre biblioteche del sistema provinciale. In particolare, i detenuti hanno dimostrato di apprezzare i libri di Federico Moccia, grazie ai quali possono inserire frasi d’amore nelle lettere indirizzate a moglie, compagne e fidanzate. Altri sono i progetti che la Provincia vorrebbe realizzare per le case circondariali bresciane: uno legato alla musica per Verziano e un altro, sul settore turistico, a Canton Mombello. Resta però, sempre, il problema dei finanziamenti, che decrescono progressivamente e molte delle attività e delle risorse fanno affidamento sulla generosità dei volontari e dei cittadini, come è avvenuto, per esempio, con l’acquisto dei materassi nuovi. Roma: sottosegretario Lavoro e Politiche sociali visita Rebibbia “esempio di rieducazione” Il Velino, 13 ottobre 2011 Il sottosegretario al Lavoro e alle Politiche sociali, Nello Musumeci, ha visitato la casa circondariale maschile di Rebibbia, accompagnato dal direttore della struttura Carmelo Cantone. Nel corso della visita il direttore ha mostrato al rappresentante del governo le strutture dell’istituto penitenziario (che ospita 1700 detenuti) in particolare i laboratori di cucina, i campi da calcio e di pallavolo, un campo da tennis e una palestra. Di particolare rilievo per i connessi profili sociali, i laboratori all’interno dei quali vengono svolte, da 109 detenuti, attività lavorative per datori di lavoro esterni: call-center, caricamento dati su portali, centro cottura, centro Cup (Centro unico di prenotazione per visite sanitarie), lavorazione plastica differenziata. Il direttore ha inoltre reso noto che 235 detenuti svolgono attività lavorative alle dirette dipendenze dell’amministrazione carceraria. Di particolare apprezzamento l’area esterna dedicata agli incontri con i familiari, dotata di un’area giochi per permettere lo svolgersi dei colloqui in un clima più sereno. “È stata una esperienza davvero utile - ha commentato il sottosegretario Musumeci al termine della visita. Ritengo doveroso, per un uomo di governo, accostarsi a queste strutture delle quali si ha spesso una conoscenza distorta, non rispondente al vero. Mi devo complimentare con il direttore per aver promosso delle iniziative di interesse che consentono ai detenuti non soltanto di acquisire conoscenze e abilità professionali ma di restituirli alla società con una cultura rieducativa che è nello spirito e nella essenza della legge. Come governo dobbiamo impegnarci - ha proseguito Musumeci - a rendere vivibili le carceri. Dobbiamo convincerci che la detenzione deve consentire a chi ha sbagliato di poter essere recuperato alla società sana. E credo che Rebibbia, posso dirlo con serenità, sia una delle testimonianze più vere lungo questo percorso che tutti gli istituti di pena in Italia dovrebbero imboccare”. Sulmona (Aq): dono degli ergastolani al presidente del Senato Schifani Il Centro, 13 ottobre 2011 Il presidente del Senato Renato Schifani ha ricevuto in forma privata a Palazzo Madama i delegati dell’associazione “Liberi per liberare” che svolge volontariato nelle carceri di Avezzano e Sulmona. Al presidente è stata donata una scacchiera realizzata dalla sezione ergastolani di Sulmona per ringraziarlo della conclusione del progetto “Adotta una Chiesa” del quale i detenuti sono stati ideatori. Dopo il sisma hanno reperito fondi attraverso lettere destinate alle istituzioni e la creazione di oggetti, per la ristrutturazione della chiesa di Santa Felicita a Collarmele. Accontentando la richiesta fatta dai reclusi, il presidente Schifani ha promesso di mostrarla a tutti i senatori e di esporla al Senato. Conferita una targa ricordo. Erano presenti il cappellano don Francesco Tudini, l’assistente volontaria suor Benigna Raiola, la giornalista Fabiola Fanti, i volontari Antonio Masci e Pietro Pietrantoni. Pavia: tanti applausi ai detenuti attori nello spettacolo “Sartoria Torre del Gallo” La Provincia Pavese, 13 ottobre 2011 Tutto esaurito allo spettacolo teatrale “Sartoria Torre del Gallo”: circa 300 detenuti hanno assistito alla rappresentazione che si è tenuta lunedì scorso 10 all’interno dell’omonima casa circondariale di Pavia. La piacevolissima pièce è stata coordinata e diretta dall’attore Paolo Schiavetta e le musiche dal maestro Giovanni Mocchi, a compimento del laboratorio “Teatro al fresco d’estate” nell’ambito delle attività educazionali avviate dal direttore della casa circondariale, Iolanda Vitale in collaborazione con il comandante Angelo Napolitano e le organizzazioni di volontariato della nostra città. Un vero successo dovuto non solo alla numerosa partecipazione del pubblico (su base volontaria), ma anche qualitativa sul piano spettacolare che ha visto lavorare fianco a fianco l’amministrazione del carcere, con detenuti di diversissime nazionalità. Alla rappresentazione ha anche assistito il sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo. Libia: Amnesty denuncia torture su detenuti commesse da Cnt; interrogazione di Marcenaro (Pd) Corriere della Sera, 13 ottobre 2011 Bastoni di legno, corde, cavi e tubi di gomma. L’armamentario della tortura è lì, sul pavimento di un centro di detenzione della “nuova Libia”. I centri di detenzione di Tripoli e al-Zawiya sono pieni zeppi di persone prese per strada, in ospedale, in casa senza un ordine di cattura e senza possibilità di ricorrere contro questa situazione: soldati e miliziani pro - Gheddafi, veri e presunti chi lo sa, cittadini dell’Africa subsahariana che in quanto tali potrebbero essere mercenari, libici neri della zona di Tawargha che, siccome da lì Gheddafi aveva lanciato gli attacchi contro Misurata, potrebbero essere lealisti. Dei circa 2.500 prigionieri di Tripoli e al-Zawiya, Amnesty International ne ha incontrati 300 in 11 distinti centri di detenzione: in un nuovo documento che viene diffuso oggi, racconta, tra le molte, la storia di un ragazzo di 17 anni del Ciad, accusato di essere uno stupratore e un mercenario: catturato nella sua abitazione, ad agosto, è stato portato in una scuola dove è stato preso a pugni e percosso con bastoni, cinture, calci dei fucili e cavi di gomma. “Alla fine ho detto quello che volevano sentire; che avevo stuprato le donne e ucciso i libici”. Almeno due guardie, in due distinti centri di detenzione, hanno ammesso ad Amnesty International di aver picchiato i detenuti per ottenere “confessioni” più rapidamente. A nessuno dei detenuti incontrati da Amnesty International è stato mostrato un mandato di cattura. I detenuti sono posti nelle mani di consigli locali civili o militari o di brigate armate, lontano dalla supervisione del ministero della Giustizia. I pestaggi più brutali si verificano al momento dell’arrivo, chiamato il “benvenuto”. Questi detenuti rischiano di finire in un buco nero, con la scusa del periodo di transizione. Senza un’azione ferma e rapida da parte del Cnt, il Consiglio nazionale di transizione, il passato rischia di tornare. Le detenzioni arbitrarie e la tortura erano un punto fermo del regime di Gheddafi e stanno macchiando i primi passi della “nuova Libia”. A settembre, rappresentanti del Cnt avevano ammesso che c’era un problema nei centri di detenzione e si erano impegnati a riportare sotto controllo le loro milizie armate e ad assicurare il rispetto dei diritti dei detenuti. Da lì a un mese, la situazione non è cambiata. I procedimenti giudiziari nella Libia occidentale restano sospesi da quando il Cnt ha assunto il controllo della regione. Nella Libia orientale, erano stati già sospesi a febbraio. Per questo, Amnesty International ha rinnovato oggi le sue richieste al Cnt: non vi siano detenzioni in assenza di un ordine di custodia del procuratore generale; tutti i centri di detenzione siano posti sotto il controllo del ministero della Giustizia; che ogni detenuto possa presentare ricorso contro la legittimità della sua detenzione. Interrogazione Marcenaro (pd) su torture da parte di Cnt Questa mattina il senatore Pietro Marcenaro, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, ha presentato un’interrogazione parlamentare sulle violazioni dei diritti umani e gli episodi di tortura in Libia e sulle condizioni drammatiche in cui versano circa 5.000 rifugiati lungo il confine libico - egiziano e libico - tunisino che andrebbero incontro alla persecuzione o alla guerra se rinviati nei paesi di origine. L’interrogazione - nella quale si chiede quali iniziative siano state adottate dalla comunità internazionale, l’Unione Europea e l’Italia nei confronti del Governo Transitorio affinché vengano rispettati i diritti umani dei rifugiati, dei detenuti e dei presunti combattenti anche in funzione dei trattati internazionali che il Governo Provvisorio si è impegnato a ratificare e rispettare - segue la denuncia di Amnesty International sulla situazione dei centri di detenzioni di Tripoli e al-Zawiya. In questi centri sarebbero detenuti 2500 prigionieri, tra cui persone prese per strada, in ospedale, in casa senza un ordine di cattura, soldati e miliziani pro - Gheddafi veri e presunti, cittadini dell`Africa subsahariana che in quanto tali potrebbero essere mercenari e libici neri della zona di Tawargha che potrebbero essere lealisti. Amnesty International ha inoltre documentato come da febbraio, quando è iniziato il conflitto libico, cittadini provenienti da paesi dell’Africa sub - sahariana siano stati presi di mira, in quanto presunti mercenari, dai combattenti ostili a Gheddafi. Quando Bengasi e altre città della Libia orientale sono cadute nelle mani del Consiglio nazionale di transizione, le forze anti - Gheddafi si sono rese responsabili di raid nelle abitazioni, uccisioni e altri attacchi violenti contro le forze fedeli a Gheddafi e anche contro i presunti mercenari sub - sahariani. Inoltre, un numero sempre maggiore di rifugiati cerca di rientrare in Libia per poter partire via mare verso l’Europa, attraverso uno di quei viaggi pericolosi che hanno causato la morte di oltre 1500 persone dall’inizio del conflitto libico. Russia: celle di lusso per boss della mafia, con bar, internet e armi Ansa, 13 ottobre 2011 Celle di lusso in Russia per due presunti capi mafiosi, con mobili eleganti, tv al plasma, impianto di climatizzazione, un acquario, un bar pieno di alcolici e un frigo zeppo di cibo costoso. Alle pareti, invece, foto di altri noti boss russi accanto a icone ortodosse e crocefissi. Succede nella colonia penitenziaria numero 12 della regione del Volga, come riferisce la stampa russa. Tali celle venivano chiamate “sale di lavoro educativo”, ironizza Izvestia, raccontando che i detenuti avevano accesso a internet e al telefono. Nei loro armadi sono stati trovati anche molti profumi e vestiti civili, nonché armi bianche. Tra gli alcolici di cui era fornito il bar, l’immancabile vodka, cognac e whisky d’importazione. Ora la procura esamina la possibilità di aprire un’inchiesta contro i responsabili che hanno permesso queste violazioni. Non è la prima volta che si scoprono simili privilegi nel sistema penitenziario, dove impera la corruzione. Il caso più recente risale ad alcuni mesi fa, quando su internet finirono le foto di alcuni detenuti che festeggiavano il compleanno di un boss travestiti da improbabili gladiatori, intorno ad una tavola imbandita con caviale, tequila, verdure e frutta fresche. Palestina: tribunale militare di Gaza condanna a morte 3 persone Aki, 13 ottobre 2011 Un tribunale militare di Hamas ha condannato a morte tre abitanti della Striscia di Gaza con l’accusa di tradimento e terrorismo. Lo ha riferito una nota del Centro palestinese per i diritti umani, una Ong con sede a Gaza, citata dall’agenzia d’informazione Dpa. Nel comunicato è precisato che il tribunale ha emesso il verdetto contro i tre cittadini di Gaza martedì scorso. Due dei detenuti sono stati condannati a morte per terrorismo, un altro invece per tradimento. I tre condannati, precisa l’Ong, saranno impiccati. Sono otto le condanne a morte eseguite a Gaza dal giugno 2007, quando il movimento islamista prese il controllo della Striscia.