Il diario di Elton: “La cameretta che ritroverò” Redattore Sociale, 12 ottobre 2011 “Sarà difficile trovare una branda della stessa inospitalità quando sarò fuori. Forse mi aspetteranno serate tristi, persone disattente ma poi, quando sarà l’ora di dormire, sono sicuro che troverò rifugio in un angolo accogliente”. Stanotte la temperatura si è velocemente abbassata e a un certo punto ho avuto freddo. Ho provato a chiudere la finestra ma poi il caldo non mi permetteva di riprendere sonno. Dunque ho preferito riaprire all’aria fresca e raggomitolarmi sotto il lenzuolo, tepore dell’alba autunnale. Ancora poche settimane e mi troverò a dormire a casa dei miei genitori, nella mia camera da letto, su un letto vero. Oppure sarà un divano letto. Sarà difficile trovare una branda della stessa inospitalità quando sarò fuori. Forse mi aspetteranno serate tristi, persone disattente ma poi, quando sarà l’ora di dormire, sono sicuro che troverò rifugio in un angolo accogliente. I miei genitori hanno cambiato casa, ma non ricordo quando. Non mi dicono mai le cose appena accadono, mi forniscono le informazioni a piccole dosi, estendendo una notizia anche in un arco di diversi mesi, affinché io possa assorbirla lentamente. Ricordo però che qualche anno fa mia madre mi domandò se volevo mantenere nella nuova camera qualche vecchio arredo al quale ero affezionato, se poteva buttare via tutto e arredarlo secondo i suoi gusti, oppure se volevo che la lasciassero vuota, che l’arredassi io, una volta tornato a casa. Immaginavo che le sarebbe piaciuto occuparsi della mia camera, per sentirmi vicino. Nello stesso tempo sospettavo di incaricarla di un compito difficile e poi la mia camera deve rispecchiarmi, in qualche modo. Quindi le dissi di fare come meglio credeva. E da quella volta non abbiamo più parlato della mia camera, né del mio letto, che solo ora ha iniziato a prendere forma nella mia mente e allargare le mie preoccupazioni. Elton Kalica (in collaborazione con Ristretti Orizzonti) Elton è un 35 enne albanese, detenuto nel carcere Due Palazzi di Padova con una condanna a 14 anni e 8 mesi per sequestro di persona a scopo di estorsione (senza armi e durato due giorni). Il prossimo 25 ottobre finirà di scontare la sua pena e tornerà libero. Firma storica della rivista Ristretti Orizzonti, attende di sapere se sarà rimpatriato in Albania o se potrà restare in Italia e lavorare da esterno per Ristretti. Ha deciso di raccontare su “Redattore sociale” i suoi ultimi giorni dentro. La scrittura dal carcere, per testimoniare il sovraffollamento Ristretti Orizzonti, 12 ottobre 2011 Nel vedere in questi ultimi anni spostare fantasiosamente i numeri della “capienza tollerabile” delle carceri da 61.000, a 64.000, a 69.000 “posti letto”, la sensazione è che il sovraffollamento scompaia e ricompaia in un triste gioco sulla pelle di chi, in questi anni, sta in galera, ammassato in condizioni spesso disumane. La redazione di Ristretti Orizzonti ha allora pensato di lanciare un invito ai detenuti, a testimoniare il sovraffollamento con i loro racconti, perché la scrittura resta, e forse così resterà anche la memoria di questi tempi bui, e di un sovraffollamento che esiste eccome, al di là dei giochi di prestigio con le capienze. Lettera aperta ai detenuti dalla redazione di Ristretti Orizzonti L’unico modo che abbiamo per raccontare la nostra non-vita in carceri sempre più sovraffollate è la scrittura. Quando si sta stretti, il vero problema non sono i metri quadrati della cella che si riducono, ma il regime di vita che tiene le persone stese in branda per più di venti ore al giorno, la monotonia della quotidianità che abbrutisce le persone e la mancanza di attività. E nessun esperto - psicologo assistente sociale, giornalista, giudice - sarà mai in grado di spiegare i sentimenti e la sofferenza di chi vive tali esperienze. Ecco perché il racconto scritto diventa uno strumento ideale per informare i cittadini su ciò che sta succedendo oggi nelle carceri: le nostre storie descrivono i problemi con cui deve fare i conti una persona qualsiasi che dovesse entrare oggi in un carcere italiano. Scrivere di sovraffollamento significa anche raccontare la morte - i suicidi, tentati e riusciti, ma anche le malattie curate male - che continua a portare via qualcuno di noi. Soltanto che le morti che ci ritroviamo a raccontare non sono causate da un sovraffollamento misurato nella superfice di cella che spetta ad ognuno: a uccidere è il malessere delle persone, che non trova rimedio, che non trova ascolto. E allora la scrittura ci viene in aiuto per raccontare al mondo come un uomo è morto dopo aver inutilmente cercato di convincere il medico che aveva un dolore preoccupante, sintomo di un infarto che alla fine lo ha stroncato nel sonno. Oppure del ragazzo che sniffa il gas della bomboletta per evadere da una realtà che lo schiaccia, un male da galera che non sopporta più. Buona parte della società, oggi è convinta che va bene così, anzi c’è chi pensa addirittura che le carceri siano troppo “generose” con noi detenuti. Solo che le cose non sono così semplici. Dal carcere prima o poi si esce, e scrivere delle condizioni in cui vivono le persone che escono significa raccontare anche come l’equazione “carcere duro uguale più sicurezza” non solo non ha mai funzionato, ma rischia davvero di produrre l’effetto opposto. Perché il carcere sovraffollato certamente non insegna alle persone detenute come osservare la legge e assumersi la responsabilità dei propri reati. Spedite le vostre testimonianze a: redazione@ristretti.it Giustizia: 67mila detenuti vivono in celle sovraffollate, da inizio anno in 50 si sono uccisi di Giorgio Salvetti Il Manifesto, 12 ottobre 2011 La legge non è uguale per tutti. Per averne la certezza basta guardare i dati dell’ultimo rapporto dell’amministrazione penitenziaria aggiornati al 30 settembre. Le carceri scoppiano e più di un terzo dei carcerati sono stranieri (senza contare gli stranieri rinchiusi nel Cie). Dietro le sbarre in Italia ci sono 67.428 detenuti. 21.611 di troppo visto che la capienza regolamentare dei 206 istituti di pena sulla carta è di 45.817 posti. La regione con più detenuti è la Lombardia (9.559 a fronte di 5.652 posti regolamentari in 17 istituti, segue la Campania (7.858 nonostante la capienza prevista si fermi a 5.734 posti divisi in 17 case circondariali), al terzo posto il Lazio (6.594 detenuti per una capienza regolamentare di 4.855 persone per 14 carceri). Gli stranieri in carceri sono 24.401. 4.934 sono originari del Marocco, 3.616 sono romeni, 3.197 tunisini, 2.721 albanesi, 1.210 provengono dalla Nigeria, 749 dall’Algeria, 544 dall’Egitto, 372 dalla Cina. La percentuale altissima degli stranieri detenuti è se possibile ancora più alta nel caso delle donne in carcere: su un totale di 2.877 detenute ben 1.182 sono straniere. Le madri con figli in carcere in totale sono 43 e i bambini che vivono in un istituto sono 54. Le carcerate in gravidanza sono 18 e nelle carceri sono attivi 17 asili nido. Solo 873 detenuti sono in semilibertà, mentre 14.639 sono in attesa del primo giudizio. Gli imputati sono 28.564 mentre i condannati sono 37.213. “Le cifre dimostrano che dopo quel 28 luglio nel quale Giorgio Napolitano indicò come prepotente urgenza la necessità di una riforma della giustizia e della conseguente situazione carceraria, ci si è arenati sulle solite chiacchiere - ha commentato Marco Pannella - la sola e adeguata riforma della struttura dell’amministrazione della giustizia è l’amnistia”. “Il pianeta carcere si trova in condizioni di stress - ha ammesso il ministro della Giustizia Nitto Palma - ma una risposta positiva potrà venire dalla commissione sulla depenalizzazione. La sollecitazione dei radicali è opportuna: si tratta ora di dare risposte concrete”. Quasi non passa giorno senza che qualcuno dietro le sbarre si tolga la vita. Dall’inizio del 2011, 50 persone (età media 35 anni) si sono suicidate in carcere. Domenica notte nel bagno del carcere di Palermo si è impiccato un tunisino di 35 anni. I compagni di cella (sette persone) se ne sono accorti solo la mattina successiva. Giustizia: Associazione Antigone; indispensabili misure alternative… di Giuseppe Ariola Lab il Socialista, 12 ottobre 2011 A 25 anni dalla legge Gozzini sulla funzione rieducativa della pena, a Roma l’associazione Antigone ha organizzato una tavola rotonda che ha fornito l’occasione per un dibattito ed un confronto sulla situazione carceraria in Italia. Una situazione a dir poco drammatica, dal momento che, è stato sottolineato nel corso dell’incontro, le carceri in Italia sono sempre più affollate e molto ancora si deve fare per applicare le misure alternative e rieducare chi sbaglia in nome dei principi enunciati dalla stessa legge Gozzini. C’è da dire che le problematiche di cui è investito l’universo penitenziario del paese sono numerose, come molteplici sono, fortunatamente, le iniziative tese ad un miglioramento complessivo del sistema carcerario. Il Ministero della Giustizia, ad esempio, dedica molte energie alla questione, come dimostra l’operato del sottosegretario Casellati, impegnato in un vero e proprio tour delle carceri italiane, utile per evidenziarne i limiti ed al contempo esaltarne i meriti, al fine ultimo di migliorare il funzionamento e l’attività di tutti gli istituti penitenziari. Lo stesso sottosegretario in più occasioni ha ribadito proprio l’importanza della funzione rieducativa e riabilitativa della detenzione, tema, come detto, che ha fornito l’occasione per l’incontro svoltosi ieri, in cui si è parlato anche dell’adozione di misure alternative che sono fondamentali per ridurre il sovraffollamento in carcere ma anche come misura di contrasto alla recidività. “Gli ultimi dati - ha detto Alessandro Margara, ex responsabile del Dap ed ex presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze, oggi garante dei detenuti per la Toscana - dimostrano come le recidive siano solo il 19% tra coloro ai quali sono state applicate misure alternative mentre raggiungono il 68% per i detenuti che invece sono rimasti in carcere”. Il dibattito si è incentrato anche sulla necessità di una depenalizzazione, dal momento che, come ha spiegato il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, si avverte la necessità di ridurre l’obbligatorietà dell’uso della custodia cautelare e trovare forme alternative, non detentive, per contenere le persone nel paese. Questione anche questa all’esame del Ministero della Giustizia e del Guardasigilli Palma che in occasione dell’audizione a Palazzo Madama di qualche settimana fa aveva evidenziato come il ricorso a tale istituto dovesse verificarsi come estrema ratio. “Il 42,5% della popolazione detenuta è in attesa di giudizio - ha proseguito Gonnella - contro una media europea del 25%. Solo Cipro sta peggio di noi”. Gaetano Pecorella, avvocato e deputato Pdl, è poi intervenuto sulla necessità di una riforma strutturale della politica sul crimine, evidenziando che sono indispensabili il recupero di misure alternative, una riforma del codice penale e, tra le altre cose, anche ridurre i tempi della custodia cautelare. Ma, secondo il deputato Pdl, gli strumenti previsti per la funzione rieducativa della pena di fatto vengono disapplicati. L’on. Pecorella ha definito vergognoso nel nostro Paese il trattamento disumano a cui sono sottoposti i detenuti in spazi ristretti. Ma è ancora più vergognoso se si tratta di detenuti in custodia cautelare che non si sa se sono colpevoli o innocenti e non possono nemmeno godere dei benefici previsti per i detenuti condannati. Servono strutture custodiali dedicate e serve ridurre i termini della custodia cautelare, che oggi arriva sino a 9 anni. Presente all’incontro anche lo scrittore-giudice Giancarlo de Cataldo che a margine ha evidenziato come una riforma che mira alla depenalizzazione e misure alternative debba passare anche da un lavorio culturale di fondo per far capire alla gente la convenienza di un sistema di carcere minimo e i rischi della carcerizzazione della società. Giustizia: Ionta (Dap); nelle carceri la situazione peggiore del dopoguerra Ansa, 12 ottobre 2011 Con un ingresso di circa 1.000 unità al mese ed una quota di detenuti che sfiora le 68mila persone, “il sistema penitenziario vive le difficoltà maggiori dal dopoguerra ad oggi”. È il grido di allarme lanciato dal capo del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), Franco Ionta, oggi nel corso dell’audizione alla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani al Senato. Nella custodia, oltre a “mura e sbarre”, gioca una parte fondamentale “il recupero e il reinserimento dei detenuti nella società” ma il compito, ha detto Ionta, è sempre più difficile vista la situazione nelle carceri. Ma una delle forme più incompatibili con un sistema penitenziario efficiente, ha detto il capo del Dap, è la presenza di numerosi detenuti che “permangono in carcere, in stato di arresto solo per brevi periodi di 2 o 3 giorni. Questo è un fenomeno preoccupante: su un ingresso di 90mila persone circa l’anno, 20mila rimangono per 3 giorni, 7 giorni, un mese. Siamo investiti da un vortice di detenuti con scadenze brevi sui quali non si può applicare nessun approccio rieducativo proprio per i tempi”. Si pensa a estensione legge “svuota-carceri” Sono 3.500 le persone uscite oggi dagli istituti penitenziari grazie alla cosiddetta legge svuota-carceri che prevede i domiciliari per detenuti con residuo di pena non superiore ad un anno. Lo riferisce il capo del Dap Franco Ionta, oggi in audizione alla Commissione straordinaria per la tutela dei Diritti umani al Senato. “Ci aspettavamo di più da questa legge - ha detto Ionta - perché il bacino di riferimento era più ampio ma ci sono stati momenti di difficoltà. Per questo è allo studio un aumento a un anno mezzo della pena residuale da scontare ai domiciliari”. Il capo del Dap ha ricordato poi i risultati fino ad ora raggiunti dal “piano carceri”, non solo per quanto riguarda l’edilizia ma anche il miglioramento dello stato degli istituti penitenziari: “ad oggi abbiamo creato 3.800 posti detentivi e nei prossimi anni prevediamo di creare altri 3500 posti detentivi ordinari”. Sul piano edilizio Ionta ha ricordato l’istituzione di bandi di gara aperta, una scelta coraggiosa e difficile per garantire la trasparenza delle procedure, per cui entro fine anno, secondo Ionta, saranno assegnate le gare e quindi partiranno i lavori per i nuovi istituti, mentre sono state bandite già le gare su Taranto e Lecce. Per quanto riguarda l’assunzione di personale, altro punto del piano carceri, Ionta ha fatto sapere che a fronte di un piano organico aggiornato al 2001 a circa 45mila unità, siamo addirittura sotto di 6mila unità di personale ad oggi, ma per 758 persone sono partiti i corsi di formazione per l’assunzione su tutto il territorio, e saremo costretti a privilegiare per l’assegnazione di questi nuovi posti le strutture a nord di Roma perché là c’è maggiore carenza, con un vincolo di cinque anni dalla prima assegnazione per i trasferimenti per stabilizzare il sistema. È emergenza su Opg Barcellona Pozzo Gotto La situazione dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto è una emergenza nell’emergenza carceri ha detto il capo del Dap Franco Ionta, oggi in audizione alla Commissione straordinaria per i Diritti Umani al Senato. “Ci sono 1.300 persone internate - ha detto Ionta - ma oltre 200 persone teoricamente potrebbero uscire, ma per una serie di ragioni tra cui le difficoltà a trovare un’allocazione fuori dall’ospedale, rimangono dentro, e proprio perché non hanno dove andare i magistrati di Sorveglianza li ritengono ancora pericolosi. Comunque abbiamo avviato un contatto proficuo con il ministero della Salute per affrontare questa situazione”. Per risolvere casi come questi, secondo Ionta, la soluzione è la “sanitarizzazione” degli Opg perché “la polizia non può fare da infermiere, badante o interlocutore”. Un esempio positivo in questo senso è, secondo Ionta, l’istituto di Castiglione delle Stiviere, affidato appunto, al Servizio sanitario Regionale. Giustizia: Vitali (Pdl); governo dia risposte su assunzione 1.600 agenti penitenziari Adnkronos, 12 ottobre 2011 Il governo dia risposte sull’assunzione di 1.600 agenti della polizia penitenziaria così come stabilito dalla legge n.199 del 2010. È la richiesta avanzata da Luigi Vitali, responsabile nazionale dell’Ordinamento penitenziario per il Pdl che, a seguito di un’audizione in Commissione Lavoro con i sindacati della polizia penitenziaria porta avanti l’iniziativa, condivisa dagli onorevoli Moffa, Foti e Pelino, di interrogare con urgenza il Governo in merito alla questione che vedrebbe il Tesoro non intenzionato alle assunzioni previste. Il Parlamento - afferma Vitali - ritenne, con la legge citata, di disporre di assunzioni straordinarie per alleviare i disagi all’interno delle carceri. Per questo ci proponiamo di sollecitare il Governo a dare una risposta rapida e chiara sulla questione che pur non rappresentando la soluzione definitiva ai problemi del mondo penitenziario sarebbe un gesto di grande attenzione, oltre che di rispetto, per il Parlamento che ha legiferato in tal senso. Giustizia: Belisario (Idv); Ionta si dimetta, tre anni di politica penitenziaria fallimentare Italpress, 12 ottobre 2011 “Dopo tre anni di politica penitenziaria totalmente fallimentare, in cui la situazione nelle carceri italiane è diventata ogni giorno più indegna, il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria avrebbe il dovere di dimettersi”. Lo ha detto il presidente dei senatori dell’Italia dei Valori, Felice Belisario, rivolto al capo del Dap, Franco Ionta, nel corso dell’audizione alla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani a Palazzo Madama. “Nella colpevole indifferenza del governo - ha aggiunto - in Italia le carceri sono diventate ormai una bomba ad orologeria, con problemi di sovraffollamento e condizioni drammatiche di vita e di lavoro per i detenuti e per la polizia penitenziaria. Una vergogna che l’Italia dei Valori denuncia da tempo, un’emergenza che andrebbe affrontata con misure serie e immediate. Invece oggi Ionta è venuto a dirci anche meno di quello che ha detto in Aula qualche giorno fa il Guardasigilli Nitto Palma, che pure si è insidiato in via Arenula solo da pochi mesi. Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità: il Parlamento modificando leggi inadeguate e incivili, come la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Fini - Giovanardi sulle droghe, aggiornando i codici ed insistendo per la realizzazione di nuove carceri, Ionta - ha concluso Belisario - ammettendo di non essere all’altezza dell’incarico che ricopre e passando la mano ad altri, sperando che siano più capaci di lui”. Giustizia: Lepore (Procuratore Napoli); sovraffollamento colpa di politiche inidonee Ansa, 12 ottobre 2011 Il sovraffollamento delle carceri è dovuto “alla mancanza di politiche idonee”. Lo ha affermato il procuratore capo della Repubblica di Napoli Giovandomenico Lepore, a margine del convegno “Liberare la speranza” che si è svolto nel penitenziario di Secondigliano in occasione della giornata giubilare delle carceri indetta dal cardinale Crescenzio Sepe. Secondo Lepore, “in Italia le leggi che si fanno si buttano via. Sono state fatte - ha affermato - leggi per la rieducazione dei detenuti. Avremmo dovuto avere meno detenuti in carcere e invece abbiamo il sovraffollamento”. In merito all’ipotesi di un provvedimento di amnistia, il procuratore parla di “provvedimenti provvisori che non risolvono il problema”. “Le amnistie - ha spiegato Lepore - servono soltanto a svuotare e riempire di volta in volta i penitenziari, sono provvedimenti che si assumono per problemi di praticità, mentre si deve puntare sulla rieducazione non fatta di parole. Oggi - ha concluso - si trova l’alibi della mancanza di fondi e si fanno tagli indiscriminati che peggiorano una situazione già critica”. Lettere: ad Amanda Knox… e a tutte e tutti coloro che hanno subito errori giudiziari di Giulio Petrilli (responsabile giustizia Pd L’Aquila) Ristretti Orizzonti, 12 ottobre 2011 Un filo sottile lega la capacità di superare l’esperienza del carcere a vent’anni. Dopo tanti anni di carcere da giovane, giovanissima, non è facile dimenticare, non è facile uscire dal tunnel e districarsi dal labirinto della sofferenza. Anche ora che sei uscita Amanda, non riuscirai a districare più il bandolo della matassa, si la libertà ti renderà felice, ma la sofferenza della solitudine provata dentro quel pianeta tornerà all’improvviso senza avvisarti e non la fronteggerai, tornerai dentro l’incubo del rumore quotidiano della conta, attuata insieme alla battitura delle sbarre. Si in carcere gli agenti penitenziari contano i detenuti e le detenute tre volte al giorno, alle sette della mattina, alle quattro del pomeriggio e a mezzanotte, questa conta avviene entrando dentro le celle e sbattendo alle sbarre un pezzo di ferro per accertarsi che non siano state segate. I giorni passano anche così, oltre l’isolamento e la mancanza di libertà, anche questa cosa anacronistica. Poi gli odori non li senti più, percepisci solo quello della muffa che trasuda dagli angoli di celle vecchie, che ti trasmettono un freddo che ti entra dentro le ossa. Freddo, solitudine, angoscia, silenzio, disperazione, sofferenza, il carcere a vent’anni è solo questo. Non hai la forza di razionalizzare dove ti trovi, ad accettarlo e allora diventa una goccia di minuti, ore, giorni di solo sofferenza. In qualsiasi attimo della giornata soffri sempre, non hai più un attimo di normalità. Quando questa sofferenza dura mesi, un anno, due anni, tre anni, poi anche una volta fuori ti permea completamente ed è sempre in agguato, perché oramai fa parte di te. Dopo quattro lunghi anni così, dopo un processo di primo grado dove sei stata condannata a 26 anni, dopo tutto il dolore c’è l’assoluzione in appello. Varchi quel muro, quella cinta, torni a respirare, ma il carcere oltre che il fisico ferisce anche la mente, sono ferite che un po’ la libertà cura, ma a volte si riacutizzano. Dicono che quando sei dentro i primi tre anni sogni ancora momenti di vita fuori, poi non più, dicono molti detenuti/e che superata la soglia di alcuni anni non si torna più indietro, il carcere è per sempre la tua seconda pelle. Poi ti dico che quando sei fuori gli incubi del carcere ritornano tutti nei sogni, non finiscono mai. All’innocenza calpestata pensano e riflettono in pochi, questa mia lettera aperta è una riflessione in tal senso. Lettere: 25 anni da cappellano nel carcere minorile di Caltanissetta di don Alessandro Giambra Avvenire, 12 ottobre 2011 Mi sono sempre chiesto, da quanto sono sacerdote e cioè da più di venticinque anni ormai, se il mio ministero presbiterale possa essere compreso o ricompreso, in maniera speculare, tramite il servizio che svolgo, da quanto ho ricevuto l’ordine sacro del sacerdozio, di cappellano presso il carcere minorile di Caltanissetta, e di volontario presso il carcere Malaspina del capoluogo nisseno. Questa missione, questo servizio, questo farmi Cristo per gli altri e accogliere Egli stesso nel viso e nei bisogni dei detenuti, è qualcosa che mi accompagna nel mio essere presbitero, nel mio essere uomo. Mi accompagna e ogni anno, con lo scorrere delle settimane, dei mesi, del tempo, mi fa sempre più conoscere una realtà per la quale la comunità ecclesiale, spesso con opera di supplenza, e la società civile con annesse Istituzioni, devono considerare con sempre maggiore attenzione e sforzo. La situazione delle carceri in Italia è davvero drammatica: lo dicono le statistiche, lo confermano il lavoro e la qualità della vita e dei detenuti e della polizia penitenziaria. Raramente, e spesso male, si investono risorse economiche per migliorare la permanenza in carcere dei detenuti, i quali certamente devono scontare le pene per i loro reati con la riduzione della loro libertà personale, ma rimangono uomini che devono essere accolti, rieducati, in alcuni casi educati per la prima volta; uomini che spesso sono immigrati, extracomunitari che non conoscono la lingua italiana, persone che in una situazione di vita sicuramente “anormale” hanno tuttavia bisogno di sentire i propri affetti vicini. Uomini ai quali e per i quali va annunciata la vera libertà di Cristo in un contesto in cui la libertà umana, materiale, a volte psicologica, viene meno. Pur nel clima di generalizzata crisi politica, economica, sociale, antropologica, non si può e non si deve dimenticare la parte, o le parti, più deboli della società. Proprio in questi momenti occorre uno sforzo pensante e d’azione da parte della Chiesa per mettere al centro la sofferenza di migliaia di uomini (la popolazione carceraria italiana si aggira intorno alle 70 mila unità) che sono persone da accettare e alle quali va data una seconda, a volte una terza o quarta, possibilità di cambiare, magari scoprendo o riscoprendo la fede. La Chiesa italiana in questo decennio “investito” per l’educazione deve continuare a esprimere e a esprimersi con il volto di Cristo, denunciando con la forza dell’onestà, della ragione, della carità intelligente i mali che affliggono la società del nostro tempo. Nelle carceri, e ne sono testimone ormai da anni, vengono meno le possibilità minime di relazione con l’esterno (impossibilità di chiamate telefoniche per via di mancanza di danaro o di interpreti nel caso di extracomunitari che non conoscono l’italiano); la possibilità di vestirsi in maniera dignitosa; la possibilità di avere delle relazioni veramente private con i propri cari; la possibilità di un reinserimento tramite lavori a progetto, cooperative...; la possibilità di ricevere aiuti economici e di altro tipo dalle famiglie; la possibilità di essere difesi dinanzi al giudice da avvocati con esperienza. Posso rileggere così, alla luce della mia consapevolezza di servizio e missione verso i detenuti, il ministero presbiterale dove il mio essere guida, il mio essere pastore, il mio annunciare e testimoniare la buona novella si traduce “solamente” e “semplicemente” nel farmi prossimo ad alcuni fratelli sfortunati, che hanno sbagliato; tramite l’annuncio della Parola di salvezza e il sostegno per alcuni bisogni “minimi” che in questo Occidente “opulento” e tante volte distratto, sembrano distanti anni luce. La comunità ecclesiale ripensi e si appropri con maggiore forza di quel servizio per i bisognosi facendosi voce forte di chi spesso, o sempre, non possiede più né la voce né la forza necessaria. Sardegna: 2,5 milioni di € per realizzare centri di digitalizzazione nelle carceri Agenparl, 12 ottobre 2011 Si concretizza il progetto di dematerializzazione degli archivi storici delle ex-colonie penali e la creazione di centri di digitalizzazione negli istituti di pena della Sardegna. L’assessore degli Affari generali, personale e riforme della Regione, Mario Floris, ha siglato l’intesa con il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, gli Archivi di Stato di Cagliari e Sassari e i rappresentanti della Conservatoria delle Coste della Sardegna, degli Enti Parco dell’Asinara e di Porto Conte e il Comune di Castiadas. L’iniziativa, che beneficia di uno stanziamento di circa 2,5 milioni di euro sui fondi Por Fesr 2007 - 2013, punta ad accrescere le competenze informatiche dei detenuti, favorendo processi di inclusione sociale in linea con le politiche portate avanti dalla Regione. “In linea con la strategia della Giunta di rafforzare il collegamento tra enti e cittadini per l’abbattimento del divario digitale infrastrutturale - ha spiegato l’assessore Floris - sono previsti corsi di alfabetizzazione informatica rivolti, in particolare, alla digitalizzazione del patrimonio archivistico custodito nelle carceri dell’isola”. L’intervento, che sarà realizzato in due anni, consentirà anche ai soggetti sottoposti a provvedimento dell’Autorità giudiziaria, di accedere a Internet e di sfruttare le potenzialità dello strumento informatico nell’ottica di un reinserimento lavorativo. Nella fase iniziale, con il coinvolgimento di una trentina di detenuti, si procederà alla dematerializzazione dei documenti presenti nelle tre ex colonie penali dell’Asinara, Tramaglio e Castiadas che, per la loro importanza e per l’interesse storico e sociale, consentono di ricostruire la vita negli istituti di pena tra la fine dell’ottocento e la metà del secolo scorso. “I detenuti, affiancati da personale esperto, dovranno inoltre realizzare ricostruzioni virtuali tridimensionali delle ex - colonie, visite guidate e panorami virtuali dei tre siti - ha aggiunto l’esponente della Giunta Cappellacci - per valorizzarne il patrimonio architettonico e naturalistico e renderne fruibili i contenuti tramite i portali tematici della Regione, e in particolare all’interno della digital library, e l’inserimento all’interno dei portali degli enti coinvolti nel progetto”. Castrovillari (Cs): detenuto romeno suicida, è il 51esimo che si toglie la vita da inizio anno Agi, 12 ottobre 2011 Nella tarda serata di ieri, nel carcere di Castrovillari, si è suicidato un detenuto di 37 anni di origine romena. L’uomo, dopo che l’agente della polizia penitenziaria era passato per il consueto giro di controllo, si è impiccato utilizzando il laccio dell’accappatoio. “Un’altra tragedia nelle affollate carceri italiane - affermano Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale - dove ormai la polizia penitenziaria fa fatica a garantire la sicurezza e a controllare tutti i detenuti, a causa del sovraffollamento e della carenza di personale. Molti agenti sono costretti a svolgere più posti di servizio contemporaneamente, proprio a causa della carenza di uomini e donne. A ciò si aggiunge anche la carenza di risorse economiche e materiali: spesso mancano i soldi per la benzina, gli automezzi per le traduzioni sono vecchi e non garantiscono la necessaria sicurezza su strada. In Calabria ci sono circa mille detenuti in più rispetto ai posti previsti, per un totale di oltre 3.200 persone. Di queste circa mille appartengono alla criminalità organizzata e circa 800 sono stranieri. A Castrovillari ci sono 280 detenuti, per una capienza di 130 posti disponibili”. A Cosenza, sempre ieri - fanno inoltre sapere i due sindacalisti - due agenti della polizia penitenziaria sono stati aggrediti da un detenuto piantonato in ospedale, che ha provocato loro ferite giudicate guaribili in 5 e 10 giorni. Palermo: Apprendi (Pd); ancora un suicidio nelle carceri, è allarme rosso Ansa, 12 ottobre 2011 Avendo appreso del suicidio di un giovane di 35 anni, tunisino, nel carcere di Palermo Pagliarelli, mi sono recato in visita, insieme al dott. Vincenzo Scalia del direttivo nazionale dell’associazione Antigone. La direzione ci ha riferito che il giovane era stato trasferito da Roma ad Augusta e poi a Palermo per motivi di litigiosità. Viveva in una cella, che abbiamo visitato, insieme ad altri 6 reclusi, tutti stranieri. Mohammed Nayli era nato nel 1976 e aveva una condanna a 12 anni per l’omicidio di un suo connazionale, fine pena 2019. Un compagno di cella lo ha trovato, attorno alle 5 di ieri mattina, impiccato con un lenzuolo, ad una sbarra del gabinetto, con la porta chiusa. Pare che si rifiutasse di parlare con gli educatori e non partecipava alle attività trattamentali. Il suo rapporto con gli agenti era buono. Pagliarelli, come tutte le carceri soffre di sovraffollamento., 1300 detenuti a fronte di una capienza di 780, di cui solo 836 con pena definitiva, gli altri in attesa di giudizio, appellanti o ricorrenti,350 stranieri e circa 200 tossicodipendenti. Una bomba inesplosa, malgrado gli sforzi che fa il personale in servizio, sottodimensionato e sott’organico. Gli agenti sono 715, di cui 200 sono impegnati nelle traduzioni e 170 in servizi indispensabili per cui rimangono 310 unità diviso 3 turni. Assolutamente insufficienti sono le 80 ore del servizio svolto dai psicologi. Quanto dobbiamo aspettare perché vengano revisionati i meccanismi per la custodia cautelare e per il rilancio delle pene alternative? In Sicilia con l’apertura del carcere di Favignana sono già stati prelevati agenti dagli esigui organici ed altri saranno necessari con l’apertura del carcere di Gela e con il nuovo reparto di Pagliarelli. Quando il Governo Berlusconi pensa di assumere il personale della polizia penitenziaria che manca dall’organico previsto e gli operatori professionali, come psicologi, educatori e assistenti sociali? Il Ministro Nitto Palma è ora che passi dalla denuncia delle carenze nelle carceri alle proposte operative da realizzare prima possibile. Palermo: il Garante dei detenuti parte civile per accertare eventuali responsabilità suicidio Il Velino, 12 ottobre 2011 “Rispetto all’ultimo suicidio avvenuto proprio pochi giorni fa alla casa circondariale di Palermo Pagliarelli, ho già dato incarico all’Associazione nazionale forense, con la quale ho stipulato un protocollo d’intesa a titolo gratuito, di procedere alla mia costituzione di parte civile nel processo che si terrà per accertare le eventuali responsabilità circa il suicidio del detenuto Nayli Mohamed”. Lo afferma, in una nota, il senatore Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti in Sicilia. Lo stesso ha fatto il Garante “per il decesso del detenuto Salvatore Camelia avvenuto presso il carcere di Caltagirone”, ma il suo ufficio sta valutando anche i decessi di Giuseppe Siracusa nel carcere di Caltanissetta, di Alex Pantano all’Ucciardone di Palermo, di Narcise Adrian Manole ad Agrigento, di Marcel Vitiziu, nel carcere di Messina Gazzi, di Giuseppe La Piana e Ennio Mango al Pagliarelli. “Ove emergessero elementi significativi non esiterei ad agire di conseguenza. Rispetto a tutte queste morti sospette o a seguito di suicidio ho già acquisito tutta una serie di informazioni da parte dei competenti uffici che mi consentiranno di intraprendere le opportune iniziative solo dopo che esse verranno confermate anche per evitare inutili clamori che considero del tutto ingiustificati”, afferma Fleres. Messina: caso del detenuto romeno morto… l’on. Rita Bernardini vuole la verità Gazzetta del Sud, 12 ottobre 2011 Si trasforma in un caso nazionale la morte del detenuto trentenne romeno Marcel Vitiziu. La deputata dei Radicali Rita Bernardini vuole andare fino in fondo e ha depositato un’interrogazione a quattro ministri - Interno, Difesa, Giustizia e Salute - , per chiedere la verità sul decesso del detenuto. Sul suo blog ieri la parlamentare ha pubblicato l’intera interrogazione parlando anche di un possibile nuovo “Caso Cucchi” a Messina. Lo scorso 6 ottobre - scrive la Bernardini - , l’agenzia di stampa Agi ha diramato la notizia relativa alla morte di un detenuto rumeno che durante l’arresto si sarebbe fatto male da solo “sbattendo più volte il viso sul pavimento”; Marcel Vitiziu, 30 anni, ristretto nella casa circondariale di Gazzi, a Messina, è morto lunedì 3 ottobre per arresto cardiaco, mentre in ambulanza veniva trasferito al Policlinico; l’uomo era stato arrestato il venerdì precedente dai carabinieri in una rivendita di tabacchi di Camaro Inferiore. Al momento dell’arresto - prosegue la parlamentare - , sarebbe stato ubriaco e si sarebbe scagliato contro i militari con calci e pugni, tanto è vero che, secondo alcuni, i carabinieri sarebbero riusciti a mettergli le manette con molta fatica e che, ciò nonostante, Marcel Vitiziu sarebbe riuscito ugualmente a divincolarsi perdendo l’equilibrio, cadendo e sbattendo il viso sul pavimento. La Bernardini chiede quindi ai Ministri di conoscere la verità su questo caso anche attraverso un’inchiesta interna, e oggi affronterà l’argomento nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio. Su questa vicenda il procuratore aggiunto Vincenzo Barbaro e il sostituto Federica Rende hanno già aperto un’inchiesta, l’autopsia è stata eseguita nei giorni scorsi dal medico legale Cettina Sortino e tra circa due mesi si saprà la verità. Il difensore d’ufficio dell’uomo, l’avvocato Giuseppe Serafino, ha già espresso nei giorni scorsi dubbi sulle cause del decesso, che potrebbe essere stato provocato da lesioni interne “non correttamente diagnosticate tra venerdì sera e lunedì mattina”. Quindi il legale ha chiesto nei giorni scorsi alla Procura di accertare da dove eventualmente derivino, se da traumi o da percosse, ma anche perché sia stato trasferito in carcere in stato d’arresto per resistenza a pubblico ufficiale e non invece sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio. Sullo sfondo di tutto questo c’è la gravissima situazione in cui versa il carcere di Messina - Gazzi, di cui s’è già occupata anche l’on. Bernardini, dove attualmente operano 198 unità di polizia penitenziaria (147 ai servizi interni e 51 addetti alle traduzioni anche per Barcellona Pozzo di Gotto), a fronte di un organico previsto di 293 unità, con turni per il personale che vanno dalle 12 alle 20 ore consecutive. Sempre a Gazzi, a fronte di una disponibilità reale di 162 posti detentivi, sono presenti 393 detenuti. Una situazione impossibile, che costringe i detenuti a stare in cella come “sardine” in condizioni disumane e gli agenti a lavorare malissimo. Castelfranco Emilia (Mo): un progetto di recupero e reinserimento dei detenuti tossicodipendenti di Claudia Benatti La Gazzetta di Modena, 12 ottobre 2011 È definitivamente decollato il progetto di recupero e reinserimento dei detenuti tossicodipendenti al quale il carcere di Castelfranco si è votato, trasformando persino la propria denominazione da “casa di lavoro” a “casa di reclusione a custodia attenuata”. “Tant’è che le richieste per essere inseriti nel programma e nella struttura arrivano a decine dai carceri di tutta Italia e a molti abbiamo dovuto dire di no per carenza di spazio” spiega il direttore dell’istituto penitenziario Gianluca Candiano. Nella casa di reclusione chi sta espiando la pena e vuole uscire dal tunnel della droga ha a disposizione corsi di formazione per imparare un lavoro, attività interne in cui impegnarsi con una retribuzione e la possibilità di tessere rapporti con l’esterno in modo da garantirsi un impiego una volta liberi. “La primavera scorsa abbiamo avuto oltre quaranta richieste da detenuti di tutta Italia per entrare qui, ma ne abbiamo potuto accogliere solo dieci, arrivando ad ospitare una ventina di questi detenuti in totale - spiega Candiano - La ragione di questo interesse? Qui ci sono proposte mirate e opportunità concrete che danno al soggetto la possibilità di fare un lavoro su se stesso. Il tossicodipendente ha bisogno di costruirsi un senso di responsabilità e di sentire che ciò che fa è utile, ha bisogno di avere un obiettivo”. Gli spazi ricettivi non permettono però grandi numeri anche perché nella struttura sono ancora rinchiusi 72 internati, soggetti recidivi giudicati dal giudice socialmente pericolosi e destinatari della misura di sicurezza specifica. “Da quando ho assunto la direzione dell’istituto - continua Candiano - ho cercato di rilanciare il progetto della custodia attenuata per detenuti tossicodipendenti perché credo che rappresenti un esempio di percorso tra i più azzeccati per ricondurre queste persone in un ambito di legalità e abbattere moltissimo la percentuale di recidiva, un percorso che si basa sull’impegno lavorativo. Basti pensare che qui siamo riusciti a rilanciare e ad ampliare l’azienda agricola interna dotata di quattro serre industriali per la produzione orto florovivaistica e la lavanderia che attualmente lava e stira gli indumenti per la maggior parte dei carceri della regione. Nella stalla dove attualmente ci sono i bovini lavorano invece gli internati”. A coordinare i percorsi di formazione, lavoro e reinserimento è Sabrina Colella, unica educatrice attualmente in servizio nel casa di custodia (l’altra è in maternità), la cui somma di mansioni dà un’idea di ciò che significa la cronica carenza di personale negli istituti penitenziari e fa capire quanto dei risultati ottenuti siano spesso da attribuire alla buona volontà e alla passione di chi. “Ciò che permette al progetto di funzionare è proprio il collegamento con l’esterno, con i servizi sociali, con il Sert, con le scuole che ci garantiscono la formazione dei detenuti, con le aziende e le cooperative che ci permettono di costruire percorsi di lavoro concreti e soddisfacenti per le persone”. E a garantire la sicurezza, benché di custodia attenuata si tratti, è il comandante di reparto della polizia penitenziaria Armando Di Bernardo: “In chi esce da un regime di custodia attenuata come questo la percentuale di recidiva è molto bassa - spiega - ciò significa che creare opportunità di lavoro e puntare sul reinserimento è utile alla collettività, garantisce maggior sicurezza e diventa una risorsa per tutti”. Due regimi carcerari che convivono Nella casa di reclusione a custodia attenuata di Castelfranco ci sono due regimi carcerari. Nell’ala dell’edificio che ospita le celle, su un piano si trovano i detenuti tossicodipendenti con condanna definitiva inferiore ai cinque anni, attualmente una ventina, che hanno siglato una sorta di patto con il quale si impegnano a rispettare determinate regole in cambio dell’opportunità di una custodia, appunto, attenuata e di opportunità di lavoro. Su un altro piano della struttura si trovano invece gli internati, attualmente 72, destinatari della misura di sicurezza disposta dall’autorità giudiziaria perché ritenuti socialmente pericolosi. Puntiamo ad aprire un punto vendita per i nostri prodotti “Stiamo pensando, e per questo abbiamo preso contatti con gli enti locali tra cui anche l’amministrazione comunale, alla realizzazione di un vero e proprio punto vendita all’esterno della casa di reclusione dove mettere a disposizione dei cittadini tutto ciò che produciamo qui”. È questo un altro dei progetti che il vulcanico direttore della struttura, Gianluca Candiano, sta cercando di realizzare. “Abbiamo poi messo a norma e sistemato la lavanderia industriale - prosegue Candiano - e attualmente laviamo e stiriamo panni e indumenti per gran parte degli istituti penitenziari della regione Emilia Romagna. L’intendimento sarebbe quello di ampliare questa attività assicurandoci anche il servizio, per esempio, per le case protette e le case di cura. L’attività è stata esternalizzata e una cooperativa l’ha presa in carico e paga lo stipendio a cinque detenuti tossicodipendenti che risultano così assunti e hanno imparato il mestiere. Abbiamo preso contatti anche con un imprenditore per verificare se sia possibile assemblare qui, in uno spazio che è a disposizione, pezzi di arredo urbano per poi venderli alle amministrazioni locali”. E il carcere “firmerà” anche il Parmigiano Giovanni Lixi e Francesco Mitrano hanno entrambi 42 anni; il primo è detenuto da un anno, il secondo è tornato in carcere per un cumulo di pene da espiare. Si sono lasciati alle spalle la droga e hanno scelto di sottoscrivere il “patto” che consente di scontare la condanna a Castelfranco. “Lavoro nella lavanderia, il cui servizio è stato esternalizzato ad una cooperativa che mi paga lo stipendio - spiega Giovanni. La mia aspirazione? Uscire, mettere a frutto ciò che ho imparato qui e riuscire a trovare un lavoro che mi garantisca tranquillità economica e la possibilità di costruirmi una famiglia”. “Io invece lavoro nella serra - dice Francesco - vengo dal carcere della Dozza dove sei un numero tra 1.200 altri numeri. Qui c’è più attenzione ai percorsi di recupero e sono grato per le opportunità che ho potuto avere e che voglio mettere a frutto”. Tante poi sono le attività in cui i detenuti sono impegnati con sbocchi all’esterno. “La nostra produzione ortoflorovivaistica viene acquistata da diversi ristoranti della zone e i nostri frutti di bosco finiscono in due gelaterie - spiega il direttore del carcere Gianluca Candiano - stiamo poi investendo 160mila euro di fondi messi a disposizione dal ministero per ristrutturare la stalla e convertire gli animali da carne in mucche da latte per produrre Parmigiano Reggiano con il marchio dell’istituto penitenziario. Anche questo è un modo per far arrivare sul mercato il frutto del lavoro svolto dai detenuti e dagli internati, perché questo crea una sorta di filiera che potrà poi funzionare come trampolino per chi, una volta fuori, vorrà costruirsi un percorso professionale che gli consentirà di vivere nella legalità e nella piena realizzazione delle proprie aspirazioni”. Ferrara: Uil; non c’è più carta per i fax, a rischio anche le scarcerazioni Ansa, 12 ottobre 2011 È finita la carta e il carcere di Ferrara non può più ricevere fax, mettendo a rischio anche le scarcerazioni. La situazione è stata denunciata da Eugenio Sarno, segretario generale Uil-Pa Penitenziari. Con comunicazione ufficiale - ha spiegato Sarno - inviata ai vari livelli dell’Amministrazione Penitenziaria, nonché alle Autorità Giudiziarie del distretto, la Direzione della Casa Circondariale di Ferrara ha comunicato di non essere più in grado di ricevere corrispondenza via fax per l’esaurimento della carta. Questo significa che sono a rischio le attività ordinarie (anche le scarcerazioni) in quanto la gran parte della corrispondenza viene evasa da tale mezzo, considerato che la tanto proclamata e pubblicizzata, dal Ministro Brunetta, informatizzazione della Pubblica Amministrazione non ha minimamente toccato l’Amministrazione Penitenziaria. A testimoniare ciò concorrono anche le centinaia di registri cartacei che oberano il già difficile lavoro della polizia penitenziaria. Questo è l’ennesimo segnale - ha aggiunto - di quel default dell’Amministrazione Penitenziaria che la Uil aveva ampiamente, ma inutilmente, annunciato da tempo. Un’ Amministrazione che soffoca nei circa 250 milioni di debito. Un’ Amministrazione che non può più garantire il pieno ai mezzi di servizio per le traduzioni, non paga le missioni e gli straordinari al personale, non è in grado di far fronte alle spese ordinarie e al pagamento delle utenze. Anche i fondi per il vitto ai detenuti sono in via di esaurimento. Nonostante il Capo dello Stato abbia sottolineato come l’attualità del sistema penitenziario sia una vergogna ed un orrore nonché una prepotente urgenza da risolvere, all’orizzonte nulla si scorge in termini di impegni, efficacemente risolutivi, da parte del Governo e del Parlamento. Quanto accaduto all’Istituto per Minori di Quartucciu (Cagliari), con la rivolta messa in atto dai minori detenuti, invece, dovrebbe essere di monito di quanto le tensioni e le pulsioni all’interno dei penitenziari siano sul punto di non ritorno. Bologna: visto che il Consiglio comunale non ci riesce… il Garante lo eleggano i detenuti Dire, 12 ottobre 2011 Vista la situazione kafkiana creatasi sull’elezione del garante dei carcerati di Bologna e l’impasse del Consiglio comunale, “lanciamo una proposta: il garante facciamolo eleggere alle persone detenute alla Dozza e al Cie, ma sulla base di candidature e programmi che parlino di salute, lavoro, alternative, prevenzione del suicidio, presentati e discussi pubblicamente”. Lo propone il portavoce del Circolo Chico Mendes e medico del lavoro, Vito Totire, lamentando la mancanza di contenuti e programmi per il lavoro del garante. Finora, dice Totire in un comunicato, è emersa “solo qualche deduzione sull’appartenenza di due dei candidati a questo o quell’altro schieramento, del terzo non è dato di sapere”. A questo punto, aggiunge, “occorre chiarire se il garante è una figura di fiducia delle persone detenute o se è il garante dei buoni propositi del Consiglio comunale”. Ma il messaggio a chi sta alla Dozza e al Cie è: “Occorre contare sulle proprie forze, dal sistema partitocratico non emergeranno tutele di nessun tipo; la vicenda attuale è emblematica; a fronte di un edificio come il carcere di Bologna, che è da dichiarare, immediatamente, inagibile, il ceto politico locale riesce a rimanere immobile e farsi bloccare dalla partitocrazia”. Sassari: il Garante; carcere di San Sebastiano è indecente, fatiscente e umiliante L’Unione Sarda, 12 ottobre 2011 Si riportano le dichiarazioni del Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Sassari, Cecilia Sechi, in merito alla morte del giovane detenuto avvenuta nei giorni scorsi all’interno del carcere di San Sebastiano. “Astenendomi da un commento del fatto in sé, sul quale non mi permetto di intervenire poiché ancora oggetto di indagine, continuerò il delicato compito che mi è stato assegnato nella convinzione, divenuta oggi ancora più dolente, che il carcere di San Sebastiano comporti per i detenuti una pena suppletiva che è quella di abitare una struttura fatiscente, indecente e umiliante per le persone. Dobbiamo tutti riflettere su cosa vuol dire il termine pena e quanto sia inutile e terribilmente dannoso proprio per l’efficacia della stessa, quando questa infierisce e nega la dignità delle persone. In questi pochi mesi ho trovato in carcere prevalentemente situazioni di svantaggio sociale, affettivo ed economico e non carriere di vita criminale. Questo è un aspetto particolarmente doloroso che deve riguardaci e interrogarci tutti come cittadini, come educatori, come persone, poiché rappresenta una sconfitta per la nostra società civile. Mi sentano vicina i familiari, i detenuti, la direttrice, gli educatori , gli agenti e quanti lavorano nel nostro carcere”. Livorno: Gazzarri (Idv); emergenza letti e niente benzina nei mezzi, il carcere rischia il collasso Adnkronos, 12 ottobre 2011 “Solo ieri ho denunciato l’ennesimo episodio che mette a nudo le carceri toscane. A causa della mancanza di fondi per fare benzina ai mezzi della polizia penitenziaria, i detenuti non hanno potuto raggiungere i tribunali per le udienze. Questo succedeva a Firenze. Caso isolato? Non direi proprio. Alle Sughere di Livorno la situazione è comunque critica”. Lo afferma, in un comunicato, Marta Gazzarri, capogruppo dell’Idv nel Consiglio regionale della Toscana. “L’intero reparto di polizia penitenziaria, solo pochi giorni fa, si è trovato a dover affrontare - ricorda Gazzarri - l’arrivo di una quindicina circa di detenuti, provenienti da altri penitenziari. Un dato che non dice molto a chiunque non sia a conoscenza della pessima situazione del carcere livornese. A fronte di una ricettività tollerabile di 264 persone, la struttura, già di per se fatiscente, ne ha accolte 460 lo scorso 8 ottobre. Come? Grazie all’ingegno degli operatori che, oltre ad improvvisarsi psicologi ed operai all’occorrenza, si sono inventati una soluzione emergenziale per garantire un posto letto di fortuna ai nuovi arrivati”. “E la denuncia più grande - sostiene la consigliera regionale dell’Idv Toscana - è quella che arriva dalla polizia penitenziaria stessa: si sente impotente ed impreparata a controllare questi casi critici ed a garantire la sicurezza di chi, in carcere, c’è per essere rieducato e reinserito nella società e non certo per essere parcheggiato in stanze sovraffollate prive delle normali condizioni igieniche”. “Raccolgo, ancora una volta - conclude Gazzarri - le comprensibili preoccupazioni degli agenti penitenziari e urlo, ad alta voce, la necessità di fare qualcosa per scongiurare quella che chiamo, a buon diritto, macelleria sociale. I fondi a disposizione dei penitenziari sono davvero esigui. A Livorno gli automezzi del personale penitenziario necessitano di manutenzione e, anche fare benzina, è diventato un problema. Le missioni ed il lavoro straordinario (diventato a dir vero sempre più ordinario) degli operatori non viene pagato. Come si può pensare di andare avanti così?”. Firenze: lo stato non paga le forniture; staccato gasolio all’Opg Montelupo e al carcere di Empoli di Franca Selvatici La Repubblica, 12 ottobre 2011 Dopo che i furgoni della polizia penitenziaria di Sollicciano sono rimasti a secco perché erano finiti i soldi per il carburante, si profila ora una situazione, se possibile, ancora più grave. L’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, dove sono reclusi malati psichici in condizioni già difficilissime, si è visto sospendere le forniture di gasolio, perché la società fornitrice non è stata pagata. Alla casa circondariale di Empoli, invece, Toscana Energia ha sospeso la fornitura di gas, anche in questo caso per morosità. Il procuratore Giuseppe Quattrocchi è stato informato ieri mattina dal Provveditorato toscano del Dipartimento della amministrazione penitenziaria e ha deciso di aprire un fascicolo nel quale verrà ipotizzato probabilmente il reato di interruzione di pubblico servizio. “Si possono lasciare i poveri malati senza gasolio, e dunque senza riscaldamento?”, si è chiesto: “Con tutta la comprensione che si può avere per la difficilissima situazione in cui versa il bilancio dello Stato, non si possono interrompere servizi come questi, che colpiscono persone in stato di minorata difesa”. Per gli internati nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo la mancanza di gasolio significa niente acqua calda e niente riscaldamento. La situazione, già difficilissima, rischia di precipitare. Non è la prima volta che si presenta una emergenza simile. Il 15 dicembre 2008 l’onorevole Donatella Poretti, radicale eletta nelle liste del Pd, mise in rete un telegramma ricevuto da un internato: “Caldaia scoppiata, manca acqua calda e riscaldamento da 9 giorni (era dicembre - ndr); no cambio lenzuola da 17 giorni; chiedi stufette protezione civile; guasti continui; chiedi inagibilità al provveditorato, assessore Rossi, direttore generale Asl 11 Empoli, dr. Porfido; stiamo congelando”. L’anno scorso la Commissione parlamentare sull’efficienza del servizio sanitario nazionale presieduta dal senatore Ignazio Marino, accompagnata dai carabinieri del Nas, ha eseguito due ispezioni a sorpresa nell’opg di Montelupo, trovando una condizione strutturale molto grave e situazioni deplorevoli quanto ad igiene nelle celle. Nel luglio scorso la Commissione ha disposto il sequestro della sala di contenzione e di alcuni altri ambienti. Nel frattempo è stato attuato un intenso programma di dimissioni, per cui ora gli internati sono diminuiti di numero ma rischiano di ritrovarsi al gelo. L’universo delle carceri sembra ormai abbandonato alla deriva. “Si ha l’impressione di essere all’insolvenza come in Grecia”, ha commentato nei giorni scorsi un sindacalista del Sappe. La Uil Penitenziari teme che nel carcere delle Sughere di Livorno possa “esaurirsi presto il denaro destinato alla alimentazione e al mantenimento dei detenuti e ai loro trasferimenti in tribunale o in luoghi di cura”. Nei giorni scorsi l’arrivo di 15 detenuti provenienti da altri penitenziari ha portato il carcere sull’orlo del collasso. E’ stata un’impresa dare un letto a ciascuno di loro. “Il carcere di Livorno è al capolinea”, afferma la Uil Penitenziari: “Siamo andati molto vicini al dover chiudere i battenti”. “Il penitenziario livornese possiede tutte le caratteristiche di un enorme deposito di merce, merce umana”, prosegue la Uil, ricordando che l’8 ottobre alle Sughere erano stipati 460 detenuti a fronte dei 264 previsti come “ricettività tollerabile”, anche se “da sempre ci domandiamo cosa vuol dire “tollerabilità” quando in una cella di 9 mq sono montati 4 letti a castello”: “Si avverte la sensazione drammatica - conclude la Uil - di non essere più in grado di garantire la sicurezza. Altro che processo di rieducazione e reinserimento nella società. Ormai sono solo slogan”. Firenze: Bernardini (Pd); carcere di Sollicciano infestato da zecche dei piccioni Agenparl, 12 ottobre 2011 Come confermato da una notizia diffusa dall’agenzia di stampa Adnkronos, il carcere di Sollicciano è infestato dalle zecche dei piccioni. È quanto denunciano in un’interrogazione i deputati del Pd, primo firmatario Rita Bernardini, rivolta al Ministro della Salute e al Ministro della Giustizia. L’allarme per l’istituto fiorentino è stato lanciato dal segretario generale della Uil-Pa penitenziari Eugenio Sarno, il quale ha sollecitato “vivamente le autorità del Provveditorato e del Dipartimento, nonché le autorità sanitarie locali, ad attivarsi con immediatezza per garantire le necessarie attività disinfestatati”. Stando a quanto risulta agli interroganti, qualche settimana fa gli operatori giuridici-pedagogici del luogo hanno direttamente rilevato la presenza di nidi, residui nidacei e di escrementi di piccioni, tanto che si è dovuto procedere alla chiusura preventiva e cautelare per la disinfestazione di una sala colloqui ubicata presso l’infermeria del carcere. In una situazione igienico-sanitaria che negli istituti di pena risulta essere già compromessa dal sovraffollamento, ogni elemento critico aggiuntivo rischia di compromettere l’equilibrio nel giro di brevissimo tempo. Escrementi, nidi e carcasse, infatti, sono fattori veicolanti non solo parassiti ma anche pericolose patologie infettive, alcune mortali. Al Ministro della Giustizia e il Ministro della Salute viene chiesto dunque di intervenir e per garantire con immediatezza le necessarie attività disinfestanti nel carcere di Sollicciano e di provvedere con urgenza un piano di contenimento delle presenze dei volatili infestanti mediante l’installazione di sistemi di allontanamento o l’apposizione di materiale antiposatoio per i piccioni. Gela (Ct): dopo 50 anni di attesa a novembre apre il nuovo carcere, ma servono 100 agenti Redattore Sociale, 12 ottobre 2011 Annuncio dell’Osapp dopo l’incontro a Roma con l’amministrazione penitenziaria. Potrà ospitare 100 reclusi. Il Dap pronto a inviare 90 unità di polizia penitenziaria, 12 unità del comparto ministeri e un dirigente penitenziario. La notizia è stata annunciata dal vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp Mimmo Nicotra, subito dopo l’incontro sindacale avvenuto a Roma presso il Dap: la casa di reclusione di Gela, dopo un’attesa di ben 50 anni e due inaugurazioni andate a vuoto, dal mese di novembre dovrebbe finalmente attivarsi. Nel corso dell’incontro tenutosi a Roma l’amministrazione penitenziaria ha dichiarato, infatti, di essere pronta ad inviare 90 unità di polizia penitenziaria, 12 unità del comparto ministeri e un dirigente penitenziario. Il nuovo carcere potrà ospitare circa un centinaio di detenuti che dovranno scontare pene brevi e di basso livello di pericolosità. “Sono previsti, da quanto abbiamo appreso - ha dichiarato il vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Mimmo Nicotra, 93 appartenenti per il corpo di polizia penitenziaria e 13 del comparto Ministeri, compreso il direttore. Per aprire la struttura di Gela, l’amministrazione penitenziaria ha previsto un interpello straordinario nazionale e avrà carattere urgente anche la registrazione dell’organico”. Nell’attesa di stabilire la data ufficiale, il provveditore regionale ha disposto l’accensione e la verifica del funzionamento di tutti gli apparati tecnologici esistenti nella struttura, al fine di verificarne la corretta e completa efficienza. La conferma sulla sua imminente apertura, anche se non è stata fissata ancora la data, è avvenuta anche dal capo del Dipartimento di Polizia penitenziaria Franco Ionta che ha assicurato, alcuni giorni fa, che la struttura carceraria di Gela aprirà entro i primi giorni di novembre. Nei giorni scorsi, inoltre, il ministero della Giustizia aveva anche comunicato al sindaco di Gela Angelo Fasulo che, a seguito dell’interrogazione dell’onorevole Marilena Samperi in Commissione Giustizia, era stato disposto un crono - programma di interventi sulla base del quale è prevista l’apertura della nuova Casa Circondariale di Gela presumibilmente a novembre. “Questa è sicuramente una buona notizia - ha commentato il primo cittadino di Gela - adesso però attendiamo che ci comunichino la data definitiva per l’apertura, con la speranza che non ci siano altri intoppi”. Le vicende che hanno interessato la realizzazione della casa circondariale di Gela sono state molto lunghe e per questo salite alla ribalta nazionale. La casa di reclusione di Gela ebbe, infatti, un primo progetto nel lontano 1959, approvato definitivamente solo nel 1978 e con relativo inizio dei lavori nel 1982. Successivamente, nel novembre del 2007 avvenne la consegna simbolica delle chiavi dell’allora ministro Mastella all’ex sindaco Rosario Crocetta ma il carcere continuò a rimanere chiuso. Subito dopo un altro annuncio di apertura imminente da parte del deputato nazionale Alessandro Pagano che non è andato in porto. Il carcere, i cui lavori sono costati cinque milioni di euro, di fatto non è mai stato aperto. Proprio per questo lo scorso mese, il sindacato di polizia penitenziaria Osapp insieme al garante dei detenuti della Sicilia Salvo Fleres e il sindaco di Gela Angelo Fasulo hanno protestato davanti la casa circondariale al termine di un sopralluogo. Cgil: per aprire il carcere servono almeno tra 90 e 100 agenti Per l’apertura del carcere è imprescindibile un incremento di personale di Polizia Penitenziaria che si attesti obbligatoriamente tra le 90 e le 100 unità, per garantire da un lato il corretto funzionamento dell’istituto e dall’altro il rispetto dei diritti e della sicurezza del personale: lo ha sostenuto la delegazione della Cgil regionale presente lunedì a Roma all’ incontro indetto dal Dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria in preparazione dell’ apertura del carcere di Gela. La Cgil ha chiesto all’Amministrazione di elaborare innanzitutto un organico ufficiale per quella sede, che il Provveditore Regionale ha indicato in complessive 81 unità da impiegare in turni da 8 ore, ovvero in 93 unità se impiegate su 4 quadranti. Le unità mancanti, rispetto alla iniziale indicazione del sindacato , potrebbero reperirsi attraverso lo strumento dell’interpello straordinario nazionale; uno strumento già presente negli accordi pattizi, tuttora in vigore, e che consentirebbe a chiunque, su tutto il territorio nazionale, di poter concorrere per la sede di Gela secondo criteri prestabiliti e vedersi così riconosciuti i diritti contrattualmente sanciti (riposi, congedi, turni di 6 ore, ecc.). No del sindacato invece alla proposta dell’Amministrazione che propendeva per l’invio di un contingente di personale, esclusivamente attinto dalla regione Sicilia e con provvedimento provvisorio di distacco. “Abbiamo rivendicato con fermezza l’applicazione delle regole esistenti e vigenti - riferisce il coordinatore regionale della polizia penitenziaria Cgil Di Prima - in modo da consentire l’ adozione di una procedura trasparente ed equa che, in quanto tale, non comporti discriminazioni o lesioni dei diritti dei colleghi. L’Amministrazione ha comunicato che l’istituto di Gela sarà destinato a casa di reclusione nella quale si prevede che saranno inviati circa 94 detenuti comuni con posizione giuridica definitiva; per il personale occorrente alla casa di reclusione di Gela, si provvederà mediante l’ufficializzazione dell’organico occorrente e successivamente all’indizione di un interpello straordinario nazionale. L’Amministrazione inoltre ha avuto contezza che il Ministero del Tesoro ha sciolto la riserva e giudicato sostenibile la copertura finanziaria necessaria ad arruolare solo 1.086 agenti, rispetto ai complessivi 1.611, già 1.800/2.000, previsti dalla Legge Alfano del 2010. Cagliari: rivolta all’Ipm di Quartucciu, cinque detenuti tengono in ostaggio due agenti L’Unione Sarda, 12 ottobre 2011 Penne “bic” e spazzolini da denti, con in cima una lametta, trasformati in pericolosi coltellini. Con queste armi artigianali cinque detenuti, tre maggiorenni e due minorenni tutti italiani, hanno messo in atto una rivolta nel carcere minorile di Quartucciu tenendo in ostaggio due agenti della polizia penitenziaria e devastando una parte della sezione dove erano rinchiusi. Solo l’intervento dei rinforzi, una decina di uomini richiamati in fretta e furia dalle loro case, ha impedito che la clamorosa azione finisse nel sangue. Due i poliziotti feriti, mentre i cinque rivoltosi, su disposizione del pm Danilo Tronci, sono stati arrestati: l’accusa è di sequestro di persona, resistenza e danneggiamento. Oggi compariranno davanti al gip per la convalida dell’arresto. Un’ala del carcere è stata chiusa per i danni subiti. La rivolta è avvenuta lunedì sera, verso le 18 ma la notizia è trapelata solo ieri. Secondo una prima ricostruzione i cinque ragazzi, tra loro nessuno straniero, avrebbero chiesto alle due guardie di turno nella loro sezione di poter uscire all’aria aperta. Una trappola per attirare gli agenti e iniziare una vera e propria azione di forza. Sappe: tentata rivolta e poliziotti aggrediti nel carcere minorile “La situazione penitenziaria è sempre più incandescente. Ogni giorno registriamo manifestazioni e proteste di detenuti sempre più violente. Le istituzioni e il mondo della politica non possono più restare inermi e devono agire concretamente. Sconcerta ed inquieta, ad esempio, quanto avvenuto l’altro ieri nel carcere minorile di Quartucciu a Cagliari. Un gruppo di giovani detenuti ha infatti dato vita ad una rivolta nella struttura penitenziaria distruggendo suppellettili e materiale vario delle celle e della sezione detentiva. Inizialmente la forma di protesta si è materializzata sbattendo oggetti contro i cancelli e le inferriate, ma nonostante i vani tentativi di mediazione posti in essere dall’esiguo numero di personale di Polizia penitenziaria presente, valorosi colleghi ai quali va tutta la solidarietà del Sappe, i detenuti non hanno esitato a mettere in atto atti violenti, che si sono concretizzati con il ferimento di due agenti. Esprimo dunque sincera preoccupazione se le tensioni che già da molto tempo si registrano nei penitenziari per adulti iniziano a verificarsi anche nelle strutture detentive per minori. La tensione è alta non solo nelle carceri per adulti ma anche in quelle per minori. E questo non è certo un segnale positivo”. È quanto Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. “Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe segnala come il personale di Polizia Penitenziaria di Quartucciu, prontamente intervenuto nel fronteggiare l’emergenza, si sia ancora distinto con professionalità e spirito di servizio nell’evitare che la situazione, già molto critica, degenerasse ulteriormente confermando così la particolare attenzione durante lo svolgimento del servizio, soprattutto in un contesto, quello minorile, che ha in carico per lo più soggetti particolarmente vulnerabili, considerata la giovane età e talvolta la mancanza di concreti punti di riferimento affettivi, familiari, educativi. È ancora una volta solo grazie alla professionalità, alle capacità, all’umanità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria che una situazione pur ad alta tensione è stata stemperata dal tempestivo intervento degli agenti penitenziari”. Capece sottolinea “che alla data del 15 settembre scorso erano 526 i minorenni detenuti negli Istituti di Pena per minori italiani” ed evidenzia come “anche altri episodi critici accaduti e che accadono nelle carceri per adulti confermano l’emergenza penitenziaria. È del tutto evidente che la tensione nelle carceri, caratterizzata dai problemi connessi alla detenzione ed alla promiscuità, sta salendo in maniera esponenziale. Eppure anche i numerosi richiami del Presidente della Repubblica sulla criticità situazione penitenziaria del Paese non sembrano suscitare l’attenzione di una classe politica colpevolmente distratta. È importante che il Governo ed il Parlamento mettano concretamente mano alla situazione penitenziaria del Paese, ormai giunta ad un livello emergenziale, come anche i gravi fatti di Quartucciu testimoniano”. Firenze: intesa tra Comune e direzione; al carcere minorile corsi per conseguire la licenza media Adnkronos, 12 ottobre 2011 L’obiettivo è non condannarli all’analfabetismo. Ed insegnargli, oltre alla storia, all’italiano e la matematica, anche la speranza. Perché quel diploma di terza media agevolerebbe un già difficile inserimento nel mondo del lavoro. Questa mattina, in Palazzo Vecchio, l’assessore all’educazione Rosa Maria Di Giorgi ha firmato il protocollo d’intesa con il direttore dell’istituto penale per i minorenni G.P. Meucci di Firenze per l’attivazione dei corsi di scuola secondaria di primo grado e, per chi ha già la licenza media, per il biennio della secondaria di secondo grado. Erano presenti il procuratore presso il tribunale dei minori di Firenze, Massimo Floquet, Tiziana Minelli, vicedirettrice del centro di giustizia minorile di Firenze e Fiorenzo Cerruto, direttore del Meucci. “È il primo accordo del genere in Italia - ha sottolineato l’assessore Di Giorgi - in nessun altro caso insegnanti del Comune lavorano con i giovani di un carcere. Questo succede a Firenze per coprire la grave carenza del Ministero che garantisce soltanto corsi di scuola primaria. La città non può consentire che non venga applicato uno dei principi fondamentale della nostra Costituzione, ossia il diritto all’istruzione. E, quindi, ha subito risposto, impiegando proprie risorse, all’appello del Meucci”. Le lezioni, che coinvolgeranno una ventina di ragazzi, saranno tenute dai docenti degli ex corsi serali del Comune e la direzione del carcere minorile si attiverà affinché i giovani detenuti inseriti nel progetto scontino l’intera pena al Meucci. “Dopo una prima fase di sperimentazione realizzata da gennaio a giugno 2011 - ha aggiunto Rosa Maria Di Giorgi - l’offerta educativa per il nuovo anno scolastico viene progettata in modo da inserirsi in modo organico e più efficace nella rete delle attività presenti nell’istituto che prevedono anche corsi di formazione professionale”. L’intervento educativo si presenta con una struttura flessibile, adattabile alle esigenze degli utenti. Le lezioni prevedono le discipline fondamentali della scuola media, ovvero italiano con grammatica e lettura, storia e geografia, lingua inglese, scienze e matematica, e vengono effettuate di volta in volta con l’aiuto di strumenti multimediali, fotocopie e testi, anche non strettamente scolastici e con una continua collaborazione con le altre offerte formative presenti nel Meucci. L’organizzazione è basata su moduli didattici con unità formative brevi, in modo da rispondere alle esigenze particolari di ogni studente, come anche alla diversa durata della permanenza nell’istituto. Al termine di ogni modulo didattico verranno effettuate verifiche per valutare il livello di apprendimento ed i progressi di ogni ragazzo. I risultati faranno parte del portfolio di ciascuno e potranno servire come crediti scolastici, con la validazione delle scuole statali. Genova: “Area di Servizio”, il giornale delle carceri liguri, a rischio sopravvivenza www.sevenpress.com, 12 ottobre 2011 Dal 2005 Area di Servizio-Carcere e Territorio racconta la vita nel carcere di Genova Marassi alla popolazione genovese. Una redazione di una decina di detenuti - grazie all’impegno della Cooperativa Sociale Il Biscione che si è fatta carico del progetto, con la collaborazione di diversi volontari e il supporto di alcuni insegnanti della scuola Vittorio Emanuele II/Ruffini - ha avuto modo di instaurare un canale di comunicazione fra il carcere e la città, invitando in carcere diversi personaggi del mondo politico e culturale genovese. Le esigenze sono sempre state ridotte: nonostante questo, a causa dei tagli e della prospettiva di non ricevere alcun finanziamento dagli enti locali per il 2012, il giornale rischia di chiudere. Per questo motivo la redazione ha deciso di fare di più: da oggi è online il sito www.carcereliguria.it, per sostenere quotidianamente un’azione culturale e informativa che permetta di comprendere il legame fra il sistema penitenziario e la società. “L’obiettivo è raccontare e raccogliere le informazioni su ciò che accade ogni giorno nelle carceri in Liguria in tempo reale - spiega Federica Seneghini, giornalista e redattrice di Area di Servizio - descrivere i servizi e le difficoltà che giorno dopo giorno chi sta dentro deve affrontare, stimolare un dialogo fra cittadini, i professionisti dell’informazione e gli operatori del carcere, per comprendere cosa accade nelle carceri liguri”. Oltre al sito, il 21 ottobre si terrà al Teatro Archivolto di Genova lo spettacolo “Nacqui delinquente. Non fu mia madre a partorirmi, ma io a evadere la prima volta”, il cui ricavato verrà destinato alle attività di Area di Servizio. Lo spettacolo sarà condotto da Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro, con la partecipazione di Roberta e Gianpiero Alloisio, Soggetti Smarriti, Andrea di Marco, Kabaret Kriminale, Alessandro Bianchi, Michelangelo Pulci, il gruppo spontaneo Trallallero, Esmeralda Sciascia, Roberto Martino. “L’obiettivo - spiega Enzo Paradiso, criminologo responsabile del progetto - oltre a sensibilizzare attraverso l’arte sulla realtà del carcere e di raccogliere fondi per rendere il giornale economicamente indipendente, è instaurare un canale di comunicazione diretto con la popolazione interessata. Oltre al giornale infatti, abbiamo sempre promosso e collaborato ad attività di informazione sul carcere, e vogliamo continuare a farlo anche nel corso del prossimo anno”. “Area di Servizio infatti non è uno strumento di contro-informazione”, conclude Maria Cecilia Averame, coordinatrice del progetto, “ma un servizio a disposizione anche di chi la informazione la fa quotidianamente e professionalmente”, e per tutti i cittadini che vogliano conoscere una realtà importante della propria città”. Genova: se in carcere fiorisce il giardino della speranza di Alessandra Ballerini La Repubblica, 12 ottobre 2011 Lei è una donna timida e forte. Dirige un carcere preso in eredità da un precedente direttore condannato per violenza sessuale ai danni delle detenute, la forza non può mancarle. Ci siamo conosciute nel corso delle mie visite nelle carceri insieme al consigliere Matteo Rossi (Sel) e da subito si è dimostrata disponibile e attiva. Organizza in carcere qualunque attività possibile e lecita coi pochi mezzi e i pochi uomini che l’amministrazione penitenziaria mette a disposizione e non si vergogna a chiedere quello di cui ha bisogno per, come dice Lei, “fare stare bene” i detenuti. Già, fare stare bene. Perché la pena da infliggere non è fare soffrire i carcerati, la pena è un’altra cosa. La pena è già la peggiore di tutte, la privazione della libertà, è vedere il mondo a sbarre lontano da affetti e legami contando i giorni, ma non deve essere l’annientamento della personalità. Quello a cui stiamo assistendo impotenti (mentre i potenti assistono indifferenti) negli ultimi anni, ovvero celle di pochi metri quadri condivise con altre otto o nove persone, letti a castello a tre piani da dove se cadi muori, attività trattamentali inesistenti per carenza del personale penitenziario che non può scortare i detenuti, mentre tra detenuti e guardie cresce ogni giorno il numero delle vittime. Questa non è la pena, che dovrebbe per Costituzione mirare alla rieducazione del detenuto, questo è il fallimento del sistema carcerario. Lei lo sa. E vorrebbe porvi rimedio, almeno nel “suo” carcere. Loro li avevo conosciuti anni fa. Mi avevano invitata in una scuola a Vesima a presentare il film “Come un uomo sulla terra” e a parlare, in tempi non sospetti, di immigrazione e respingimenti in Libia. Loro sono dei ragazzi (se la gioventù in questa società non fosse un’aggravante) pieni di iniziative e di risorse. Si occupano di ecologia e solidarietà. Creano quasi dal nulla orti sinergici: orti non tradizionali dove varie specie di ortaggi e fiori vengono fatti crescere e convivere al di là di qualunque pregiudizio estetico. Non i soliti filari di pomodori ma, come semplifico io brutalmente, il carciofo insieme alla rosa: già, perché seppure diversissimi il carciofo e la rosa hanno ciascuno qualcosa che fa bene all’altro e lo stare vicini li aiuta a stare bene senza bisogno di sostanze chimiche o manipolazioni. L’orto sinergico dal punto di vista sociologico mi sembra un tocco di genio. Verrebbe da applicare la teoria della sinergia anche agli esseri umani, penso agli immigrati così disprezzati ma tanto utili alle “rose”.. Loro, i ragazzi, tra le altre cose, fanno parte dell’associazione “Terra” e vendono i prodotti dei loro orti direttamente alle persone “costrette” a visitare i terreni per vedere da dove viene quello che mangeranno e per imparare a conoscere rose e carciofi. I loro principi sono semplici ma complessi: cura di sè, cura degli altri, cura della natura. Lui, il presidente dell’associazione Terra lo conosco da tempo: le nostre strade si sono incrociate tra Genova e Lampedusa, impegnati entrambi nella difesa dei diritti umani. Un giorno, quest’estate, Lei, la direttrice, mi svela un suo sogno, utilizzare lo spazio verde che non manca intorno al “suo” carcere e creare degli orti in cui i detenuti possano impegnarsi per vedere crescere qualcosa dalle loro mani e dalla loro cura. Un insegnamento importante. La ascolto e penso subito alla rosa e al carciofo. Le racconto di Loro. Chiamo Lui. Li faccio incontrare. Mi sembra che tra tutti già la sinergia funzioni. Vediamo il terreno: si può fare, c’è spazio per tutti; rose e carciofi. Loro, l’associazione Terra, sono disposti ad impegnarsi gratis in questo progetto (la cura degli altri..) servono solo i soldi per le materie prime: iniziamo a fare collette tra amici e simpatizzanti. Lei non è una che si entusiasma facilmente, sa che nella burocrazia in cui si trova inserita ogni iniziativa può essere fermata da intoppi, cattiverie o stupidità. Ma il progetto le piace. Le piace, come a me, l’idea che i suoi detenuti possano impegnarsi a creare qualcosa di vivo, che sia rosa o carciofo. Roma: emergenza carceri; domani riunione con Marco Pannella nella sede del Partito Radicale Ristretti Orizzonti, 12 ottobre 2011 Domani alle 19.30 riunione con Marco Pannella nella sede del Partito Radicale, in Via di Torre Argentina 76, per discutere e cercare di decidere un possibile da farsi, dato lo stallo istituzionale in cui giacciono le proposte che mirano a porre fine a quel vulnus di legalità in cui versano carceri e tribunali. È di poche ore fa la notizia del 50esimo detenuto morto suicida nel carcere di Pagliarelli, l’ennesimo, nell’indifferenza delle nostre istituzioni. Da ogni dove ci giungono notizie allarmanti del totale stato di abbandono che riguarda sia i detenuti sia tutto il personale che opera nelle carceri. Alla riunione invitiamo le associazioni, i direttori penitenziari, gli agenti di polizia penitenziaria e le loro rappresentanze sindacali più attive oltre che le realtà che più si adoperano sul fronte della giustizia e delle carceri, e grazie alla cui mobilitazione abbiamo già ottenuto prima il dibattito al Senato di fine luglio con Napolitano e poi la convocazione straordinaria del Senato, anche se tristemente conclusasi con un nulla di fatto. Preghiamo chi può di essere presente fisicamente nella sede del Partito Radicale a Roma in Via di Torre Argentina 76 (3° piano con ascensore). Per chi proprio non può raggiungere la sede, è possibile collegarsi telefonicamente (ma abbiamo linee solo per 4 persone) oppure seguire la riunione su Internet a questo link http://service.radioradicale.it/diretta/live110927.html e fare il proprio intervento per telefono (in fondo alla pagina, le istruzioni). La vostra partecipazione è fondamentale perché vi sappiamo costantemente impegnati sul fronte difficilissimo degli ultimi, dei dimenticati, e perché, insieme, dobbiamo chiedere alla politica e alle istituzioni l’urgente interruzione della violazione in corso di diritti umani fondamentali universalmente acquisiti. Per seguire la riunione in diretta http://service.radioradicale.it/diretta/live110927.html. Per intervenire in riunione chiamate e lasciate il telefono possibilmente (ma non necessariamente) fisso dove volete essere richiamati: numeri regia Radio Radicale: 06.6833350, 06.6833349. Rita Bernardini Irene Testa Canada: violenze sui detenuti, il monito di Amnesty Corriere Canadese, 12 ottobre 2011 Il governo canadese dovrebbe controllare le condizioni dei detenuti consegnati dai soldati del nostro Paese alle forze di sicurezza afghane. È questo il monito lanciato ieri da Amnesty International in una missiva spedita dall’organizzazione umanitaria al governo federale, a ventiquattr’ore di distanza dalla presentazione di un rapporto delle Nazioni Unite nel quale si metteva in luce il sistematico ricorso alle violenze, alle torture e agli abusi ai danni dei carcerati afghani catturati dai militari della coalizione in Afghanistan. Nella missiva, spedita al ministro della Difesa Peter MacKay, si chiede al governo di fare luce sullo stato di salute di quei prigionieri consegnati dalle truppe canadesi fino allo scorso luglio, data in cui il Canada ritirò il proprio contingente da Kandahar per dare il via alla nuova missione di carattere civile nella capitale Kabul. Fino a pochi mesi fa - è questa la preoccupazione di Amnesty - i soldati canadesi affidavano i prigionieri alla National Directorate of Security, l’agenzia di sicurezza afghana direttamente citata nel rapporto delle Nazioni Unite. “Visto quanto è stato possibile leggere nel documento dell’Onu - ha dichiarato Paul Champ, responsabile del settore diritti umani di Amnesty International Canada - è probabile che alcuni prigionieri che avrebbero subito torture siano stati consegnati dalle truppe canadesi”. Nella lettera l’associazione ha chiesto al governo Harper di fare luce sulla vicenda e ha lanciato un appello ad Hamid Karzai affinché cessi la pratica della tortura nei penitenziari afghani. Birmania: liberati 300 detenuti politici, ma l’amnistia delude Agi, 12 ottobre 2011 La leader dell’opposizione birmana, Aung Saan Suu Kyi, si è dichiarata “davvero grata” per la liberazione di alcuni detenuti politici, avviata oggi dal governo birmano. “Speriamo che ne vengano scarcerati altri”, ha tuttavia aggiunto nel corso di un comizio con i suoi sostenitori. Il numero esatto delle scarcerazioni è ancora incerto: secondo un funzionario delle carceri sono stati liberati 300 detenuti politici; la premio Nobel per la Pace ha invece parlato di 100. I prigionieri per motivi politici nelle carceri birmane ammontano a circa 2mila e la comunità internazionale - così come l’opposizione interna - attendeva un provvedimento di clemenza più vasto. “È deludente”, ha commentato Benjamin Zawacki, ricercatore di Amnesty International, “avevamo motivi per aspettarci, considerati i progressi compiuti negli ultimi mesi, che le scarcerazioni fossero numericamente più consistenti di quelle che ci sono pervenute fino a ora”. Tra i detenuti scarcerati oggi vi sono anche figure prominenti dell’opposizione; il rilascio è avvenuto nell’ambito di un’amnistia proclamata dall’esecutivo di Rangoon per oltre 6.300 prigionieri. Liberato anche comico Zarganar, ma amnistia delude C’è anche il popolare comico Zarganar, reo di aver criticato il regime per la gestione dell’emergenza del ciclone Nargis, tra i circa 300 detenuti politici liberati oggi dal governo birmano. La scarcerazione è avvenuta nell’ambito di un’amnistia per 6.300 prigionieri proclamata da Rangoon come gesto di apertura verso le pressanti richieste di riforme e cambiamento giunte dai Paesi occidentali e dalla leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi. Ma ha deluso molti attivisti, che si aspettavano numeri assai più elevati. Ad aumentare lo scontento è arrivata la smentita della liberazione del 31enne monaco buddista Shin Gambira, leader delle proteste di piazza del 2007: condannato a 68 anni di detenzione, sembra sia ancora dietro le sbarre nella prigione di Kalay. Il premio Nobel per la Pace, liberata a novembre dopo anni trascorsi ai domiciliari, si è dichiarata “davvero grata” per il provvedimento di clemenza ma non ha mancato di dar voce alla delusione generale. “Speriamo che ne vengano scarcerati altri”, ha affermato nel corso di un comizio con i suoi sostenitori. Il numero esatto delle scarcerazioni è ancora incerto: secondo un funzionario delle prigioni sono stati liberati 300 detenuti politici mentre Kyi Toe, esponente della Lega per la Democrazia (Nld) della “Signora” di Rangoon (come viene spesso chiamata in Birmania Suu Kyi) ne ha finora confermati 184, di cui 100 appartenenti all’Nld. “Mi piacerebbe chiedere” al presidente Thein Sein “perché sia stato così avaro. Ci sono ancora moltissime persone in carcere che dovrebbero essere liberate”, ha commentato a caldo il celebre attore satirico Zarganar non appena arrivato nella capitale. Il comico era stato condannato a 59 anni di reclusione dopo aver criticato il regime per la cattiva gestione dei soccorsi durante il ciclone Nargis, che provocò oltre 140mila morti. In effetti, le aspettative dell’opposizione - ma anche della comunità internazionale e delle ong - erano di gran lunga superiori, visto che nelle carceri birmane si stima siano rinchiusi almeno 2mila prigionieri per motivi politici. “È deludente”, ha commentato Benjamin Zawacki, ricercatore di Amnesty International, “avevamo motivi per aspettarci, considerati i progressi compiuti negli ultimi mesi, che le scarcerazioni fossero numericamente più consistenti di quelle che ci sono pervenute fino a ora. L’amnistia di oggi non distingue il nuovo governo birmano dai suoi predecessori militari”. Per quanto deludente nei numeri, il gesto segna un nuovo passo nel graduale processo di dialogo con l’opposizione e apertura politica avviato dal governo civile di Thein Sein, che da agosto ha iniziato anche colloqui diretti con Aung San Suu Kyi. Alla fine di settembre Rangoon aveva già assunto una decisione clamorosa, bloccando la costruzione della diga Myitsone, sul fiume Irrawaddy, accogliendo le richieste in tal senso degli ambientalisti e della stessa Suu Kyi.