Il diario di Elton: “Le paure del dopo carcere" Redattore Sociale, 11 ottobre 2011 “Solo quando uscirò di qui mi libererò del muro di nebbia che mi circonda e finalmente realizzerò davvero cosa sono stati per me questi anni”. Ho trascorso talmente tanti anni qui dentro che ho finito per non sentire più il peso dei ferri e a denti stretti faccio gli ultimi passi senza togliere lo sguardo dal traguardo, che ormai è vicinissimo. Ciò nonostante continuo a essere incapace di fare progetti. Un sentimento schiacciante, causato da una condizione prolungata di ristrettezza. La galera, si sa, proibisce di vivere: non si possono vedere i genitori quando ne avresti bisogno e non si può fare una camminata se ti prende un crampo al polpaccio, non si può mangiare ogni volta che si ha fame, non si può alzare il telefono e chiamare un’amica o chiamare il dentista e prenotare la visita se si ha mal di denti, non si può fare la doccia quando si ha bisogno e ci sono altre migliaia di cose che non è permesso fare. All’età di vent’anni ho visto sollevarsi intorno a me un muro alto diciassette anni di galera, del colore di una nebulosa intensa e fredda che impediva di vedere come sarebbe stata la mia vita. Oggi che mancano pochi giorni alla fine della condanna, continuo a essere circondato dall’ignoto. Non ho mai saputo cosa succede veramente a casa, come stanno di salute le persone che amo o come vanno le loro relazioni: loro si ostinano a tranquillizzarmi dicendo sempre di stare bene. Vivere circondato da questo muro di ignoranza rende difficile ogni tipo di pianificazione. Spesso mi ritrovo a ripassare mentalmente la giornata in cui ho commesso l’atto per cui sono finito qui dentro, ma un ventenne confuso che faceva cose difficili non può essere compreso da un trentenne che sta imparando a ragionare. Rivedo il processo concluso rapidamente, la difesa inesistente, la pesante condanna e puntualmente finisco per odiare il fato che mi ha intrappolato nello sfortunato vortice dell’odissea italiana. Certo, tutti i giorni sento di stranieri che incontrano destini più spietati del mio, e magari senza colpa alcuna, tragedie che trascinano donne incinte in fondo al mare, sfasciano impalcature sotto i piedi di uomini sudati, incendiano baracche mentre i bambini dormono dentro. Disgrazie che non consolano, milioni di progetti migratori fatti di sofferenza e di non-vita. Se qualcuno esce di galera e riesce a godere di appaganti opportunità sentimentali e lavorative, tanti altri non riescono a trovare gli appigli e la forza per costruirsi un’esistenza decente. Qui dentro invece, chi più chi meno, hanno tutti imparato a sopravvivere adattandosi anche alle condizioni più difficili, oppure rendendosi insensibili alla sofferenza. Forse anch’io ormai sono assuefatto alla galera a tal punto che la vedo come una sfortunata parentesi della mia vita piuttosto che il crudele castigo dell’emigrazione. Non mostro segni evidenti di questo trauma, come se non sia stato io a passare una vita qui dentro. Solo quando uscirò di qui mi libererò del muro di nebbia che mi circonda e finalmente realizzerò davvero cosa sono stati per me questi anni. Ovviamente uscirò una persona trasformata rispetto al ventenne che ero ma, nella stessa misura, anche il mio dimenticato mondo di amici e parenti sarà cambiato. E dovrò imparare a fare lavori che non ho mai fatto finora, dovrò relazionarmi con persone di un’età di cui conosco poco. Dovrò sopravvivere in una società complessa e sempre più ostile verso uno come me: concentrato a vincere le mie paure e a contenere il mio orgoglio. E infine scriverò anch’io ai miei compagni di cella per raccontare le delusioni o i successi della vita da libero, magari da un bar di Tirana, seduto insieme a collerici rimpatriati che progettano nuove odissee italiane. C’è chi dice che la difficoltà più grande è rappresentata dal momento in cui si attraversa la porta del carcere, ma che poi tutto diventa facile come prima. Io invece credo che sarà drammatico quando si apriranno le porte di questa galera, strapperò il velo d’ignoranza che mi ha avvolto in questi anni e scoprirò tutto quello che è successo, mentre io cercavo di sopravvivere alla galera. Elton Kalica (in collaborazione con Ristretti Orizzonti) Elton è un 35 enne albanese, detenuto nel carcere Due Palazzi di Padova con una condanna a 14 anni e 8 mesi per sequestro di persona a scopo di estorsione (senza armi e durato due giorni). Il prossimo 25 ottobre finirà di scontare la sua pena e tornerà libero. Firma storica della rivista Ristretti Orizzonti, attende di sapere se sarà rimpatriato in Albania o se potrà restare in Italia e lavorare da esterno per Ristretti. Ha deciso di raccontare su “Redattore sociale” i suoi ultimi giorni dentro. Giustizia: sovraffollamento; 21.611 detenuti di troppo negli istituti di pena italiani Adnkronos, 11 ottobre 2011 Quasi 22.000 detenuti di troppo nelle carceri italiane. I più recenti dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, aggiornati al 30 settembre, indicano che i detenuti presenti nelle carceri italiane sono 67.428, di cui 2.877 donne. Gli stranieri sono 24.401. La capienza regolamentare dei 206 istituti di pena italiani è di 45.817 detenuti. Il sovraffollamento è dunque di 21.611 detenuti. Quelli presenti in semilibertà (e compresi nel totale dei detenuti presenti), sono 873, di cui 90 stranieri. A ospitare il maggior numero di detenuti, si evince ancora dai dati del Dap, è la Lombardia, con 9.559 persone, di cui 594 donne, a fronte di una capienza regolamentare di 5.652 detenuti in 19 istituti di pena. A seguire, la Campania con 7.858 detenuti presenti (317 sono le donne), a fronte di una capienza regolamentare di 5.734 unità per 17 case circondariali. Al terzo posto per sovraffollamento si colloca il Lazio, con 6.594 detenuti presenti (414 donne) a fronte di una capienza regolamentare di 4.855 persone per 14 carceri. 24.401 i detenuti stranieri, le donne sono 1.182 Sono in totale 24.401 i detenuti stranieri presenti nelle carceri italiane. Le donne sono 1.182, gli uomini 23.219. È quanto emerge dai dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, aggiornati al 30 settembre. Di questi, 4.934 sono originari del Marocco; 3.616 i romeni; 3.197 i tunisini; 2.721 sono di nazionalità albanese, 1.210 provengono dalla Nigeria; 749 dall’Algeria; 544 gli egiziani, 372 i cinesi. 53 detenute madri con figli in istituto Sono in totale 53 le detenute madri con figli in carcere. I bambini che vivono in istituto sono 54, le detenute in gravidanza 18. In totale sono 17 gli asili nido in attività nelle carceri. È quanto emerge dai dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, aggiornati al 30 giugno 2011. Giustizia: Organizzazione Mondiale della Sanità; è allarme Tbc per le carceri italiane Il Gazzettino, 11 ottobre 2011 Tubercolosi farmacoresistente nelle carceri italiane. L’allerta è stata lanciata ad Abano da Raed Abu Rabi dell’International committe della Croce rossa di Ginevra nel corso della Conferenza europea su salute e continuità assistenziale dietro le sbarre, appena conclusa nella cittadina termale. “Siamo dinnanzi a una forma particolare che le terapie tradizionali non riescono a sconfiggere: la malattia - ha detto Raed Abu Rabi - rischia di essere sottovalutata e sta già creando seri problemi agli infettivologi”. La probabilità di contrarre la tbc in carcere è dalle quaranta alle ottanta volte superiore rispetto alla media nazionale, a causa del sovraffollamento. A rischio, ha sottolineato la Cri, anche coloro che lavorano nelle case di reclusione, in quanto la tubercolosi non distingue né lo status né la nazionalità di chi va ad infettare. “Appare evidente che la popolazione generale è anch’essa esposta in quanto per le carceri italiane transitano ogni anno almeno 80.000 detenuti e diverse altre migliaia di cittadini tra agenti, avvocati, familiari, magistrati. Da questo, la necessità di un innalzamento generale delle attività di screening, di prevenzione e di trattamento”. Ad Abano Terme si sono ritrovati, per tre giorni, i rappresentanti di 44 Paesi del mondo in quello che è stato un meeting di alto livello, organizzato dal professor Mac Donald e da Daniele Berto dell’Ulss 16 di Padova, incontro che ha visto partecipare attivamente 180 persone appartenenti all’Organizzazione mondiale della sanità, l’Onu, l’Osservatorio europeo sulle droghe, l’Unione europea e numerose università (da Oxford a Washington) che si sono confrontate su alcune delle tematiche sanitarie più scottanti. È apparsa subito evidente l’allerta (che non è ancora un allarme) lanciata da Raed Abu Rabi. Tracciate le linee della “Carta di Padova”, un insieme di buone pratiche affinché il tempo della reclusione sia un tempo di autentico recupero e ai carcerati vengano garantite le medesime possibilità di cura delle persone libere: dalla malattia psichiatrica alla tossicodipendenza, dall’Hiv / Aids alle epatiti, dalla gestione psicologica alla gestione socioriabilitativa, fino appunto alla lotta alla tbc. Fondamentale una maggiore integrazione operativa tra magistratura di sorveglianza, sanità e operatori sociali. La Croce rossa di Ginevra ha poi visitato la casa di reclusione di Padova complimentandosi con gli operatori per le numerose attività riabilitative messe in opera. Giustizia: Pannella; inascoltato l’appello di Napolitano, per le carceri serve un’amnistia Adnkronos, 11 ottobre 2011 “Le cifre sul sovraffollamento dimostrano che dopo quel 28 luglio nel quale il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, indicò come prepotente urgenza la necessità di una riforma della giustizia e della conseguente situazione carceraria, malgrado l’ammirevole comportamento dell’intera comunità penitenziaria e le lotte che hanno portato alla fin qui totalmente inutile autoconvocazione del Parlamento per la terza o quarta volta in sessant’anni, ci si è arenati sulle solite chiacchiere”. Lo dice all’Adnkronos il leader radicale, Marco Pannella, commentando i dati del Dap sulla situazione delle carceri italiane. Per Pannella, “la sola e adeguata riforma, radicale e immediata, della struttura dell’amministrazione della giustizia (oltre che delle carceri) è l’amnistia, come traino di tutte le altre proposte riformistiche maturate da anni e anni. Siamo assolutamente nella condizione, come Stato e come Repubblica, di soggetto criminoso e criminale, che ricorda gli inizi del trionfo nel mondo delle Mauthausen e dei luoghi di sterminio siberiani”. “Tutto questo - rimarca il leader dei Radicali - è stato possibile perché al popolo italiano, alla democrazia e alla legalità, è stato negato di prendere coscienza di questa tragica scadenza sociale ed istituzionale. Abbiamo informato e documentato a chi di dovere che agli italiani sono stati consentiti meno programmi e ascolti sul tema giustizia e carceri, di quanto non se ne sia dedicato alla cronaca nera di Avetrana o dintorni”. Giustizia: Palma; risposte al sovraffollamento da Commissione per depenalizzazione Adnkronos, 11 ottobre 2011 “Il pianeta carcere si trova in condizioni di stress”, ma una “risposta positiva” potrà venire dalla commissione sulla depenalizzazione. Lo sottolinea all’Adnkronos il ministro della Giustizia Nitto Palma commentando i dati Dap sul sovraffollamento. “La sollecitazione di Marco Pannella e dei radicali è stata oltremodo opportuna: si tratta ora di dare risposte concrete e tempestive”, osserva Palma, in merito alla situazione della carceri italiane fotografata dagli ultimi dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. “Penso e spero che una prima risposta positiva - rimarca il Guardasigilli - possa venire dal lavoro della commissione, già insediata, che deve occuparsi della depenalizzazione di alcuni reati, in modo che a una quantità di persone che oggi sono in carcere in regime di detenzione preventiva, possa essere applicato l’arresto domiciliare”. La commissione si è insediata a metà settembre e ha 45 giorni di tempo per concludere i lavori e proporre soluzioni. Giustizia: Berselli (Pdl); legge su intercettazioni, no al carcere per i giornalisti Agi, 11 ottobre 2011 “Personalmente non sono favorevole al carcere per i giornalisti. In carcere io manderei quelli che danno le notizie” che non si devono dare. È questa la posizione del presidente della commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli (Pdl), per il quale bisognerebbe essere più duri verso coloro che si rendono colpevoli delle fughe di notizie. “Io sarei - aggiunge - per una sanzione amministrativa anche pesante che colpisca giornalisti ed editori”. Secondo Berselli, sono “troppe le leggi che prevedono sanzioni penali. Se evitassimo nuovi reati ne beneficerebbe la giustizia”. Sul ddl intercettazioni, Berselli sottolinea ancora: “aspettiamo di vedere che cosa arriverà dalla Camera” e sottolinea che il testo inizialmente licenziato fu “modificato in meglio al Senato”. Giustizia: Alfonso Papa (Pdl); mi scarcerano… se parlo del premier Il Velino 11 ottobre 2011 “La prima lettera dal carcere di cui si venne a sapere, Alfonso Papa la scrisse a Renato Farina, ex giornalista, ex agente dei Servizi e oggi, come lui, deputato del Pdl. L’ultima, invece - racconta il Corriere della Sera -, l’ha consegnata ieri a quattro parlamentari del centrodestra che sono andati a fargli visita a Poggioreale, dove Papa è detenuto dal 20 luglio scorso perché coinvolto nell’inchiesta sulla cosiddetta P4 di Luigi Bisignani. In mezzo ce n’è stata almeno un’altra, inviata direttamente a Silvio Berlusconi. Le lettere sono diventate una specie di ossessione per l’ex magistrato (sospeso dal Csm) e unico deputato per il quale la Camera abbia votato l’autorizzazione all’arresto. Ne scrive molte ma il tenore è quasi sempre lo stesso: denuncia di essere vittima dei pm che lo hanno inquisito. Prima sosteneva che lo avessero preso di mira per vecchi rancori risalenti a quando anche lui era in servizio alla Procura di Napoli, poi ha cambiato registro e dice che lo ricattano. Nel testo diffuso ieri da Silvano Moffa e Giancarlo Lehner (due di quelli che sono andati a Poggioreale), Papa accusa il pm Henry John Woodcock di avergli “fatto sapere che sarebbe disponibile a farmi scarcerare a patto che ammetta almeno uno degli addebiti mossimi e renda dichiarazioni su Berlusconi e Lavitola o almeno su Finmeccanica”. Dice anche di aver presentato un esposto alla Procura di Roma, ma i suoi avvocati, Giuseppe D’Alise e Carlo Di Casola, non ne sanno niente. Anche a Farina Papa scrisse che “i pm mi hanno fatto sapere che posso farmi anche tutta la custodia cautelare in carcere se non confesso (...) ma io non posso e non potrò mai confessare cose false sotto estorsione”. A Berlusconi, invece, secondo quanto riportato sotto pseudonimo su Libero dal giornalista Franco Bechis, che sostiene di aver potuto fortunosamente vedere la lettera, il deputato, oltre a raccontare al presidente del Consiglio di aver subito pressioni dai pm per accusarlo, gli avrebbe chiesto un appuntamento per sua moglie Tiziana Rodà, e lo avrebbe anche informato - o avvertito - che la sua resistenza al regime di detenzione è ormai agli sgoccioli. Che Papa stia soffrendo lo sostengono da tempo i suoi avvocati, e infatti hanno ottenuto dal gip, dopo il rigetto dell’ennesima istanza di scarcerazione, il consenso a farlo sottoporre a perizia da uno psichiatra. Pure Moffa e Lehner dicono di averlo visto messo molto male. “Mi ha detto che non sa se dal carcere uscirà vivo”, racconta Moffa. E Lehner riferisce di aver saputo dai suoi compagni di cella che ogni notte delira. Ma alle sue accuse la Procura oppone la secca replica del capo Giovanni Domenico Lepore: “Se la lettera è vera non merita commenti”. E se l’esposto esiste davvero, o se la pubblicità data alle accuse dovesse portare a un’indagine, Papa dovrà spiegare quando i pm gli avrebbero fatto le pressioni, visto che lo hanno incontrato solo in presenza del gip e dei difensori. A meno che il suo non sia un tentativo di mandare segnali all’esterno, e nello stesso tempo, in vista del processo che si aprirà il 26 ottobre e anticipando un punto del ddl sulle intercettazioni in discussione alla Camera, spingere i pubblici ministeri ad astenersi”. I compagni di cella di Papa… non reggerà più di un mese “Non sappiamo se riuscirà a reggere ancora un mese. Delira tutte le notti, invoca genitori e giustizia”. Anche i compagni di cella di Alfonso Papa, arrestato lo scorso 20 luglio nell’ambito dell’inchiesta P4 e ora detenuto nel carcere di Poggioreale a Napoli, sono preoccupati per le condizioni fisiche e psicologiche dell’ex magistrato e deputato Pdl. A riferirlo all’Adnkronos è Giancarlo Lehner, deputato di Popolo e territorio che oggi gli ha fatto visita insieme al capogruppo Pt al Senato, Silvano Moffa, e al deputato Arturo Iannaccone. Lehner teme il peggio. “Avevo paura che fingesse, che non stesse così male come diceva - aggiunge spiegando di avere parlato con i 2 detenuti presenti in cella per avere un riscontro obiettivo del reale stato psico-fisico del collega - così sono andato alle fonti. Ma il riscontro che ho avuto è stato ancora più negativo. Pensavo soffrisse semplicemente di una forte depressione e invece i compagni di cella dubitano che sopravviva fino alla fine del mese. In Italia - conclude - abbiamo il numero più alto di suicidi in carcere”. Giustizia: caso Cucchi; direttore carcere testimonia “ci furono problemi trasporto per ospedale” Ansa, 11 ottobre 2011 Ci furono problemi organizzativi per il trasporto di Stefano Cucchi nella struttura protetta dell’ospedale “Sandro Pertini” di Roma, dove la settimana dopo il suo arresto per droga, il 22 ottobre 2009 morì. La conferma viene dal direttore del carcere di “Regina Coeli”, Mauro Mariani, sentito come testimone al processo che per la morte del romano di 31 anni vede imputate dodici persone. “Fu il dottor Rolando Degli Angioli, del servizio sanitario del carcere - ha detto Mariani - ad avvertirmi telefonicamente il 16 ottobre 2009 che era entrato un detenuto per il quale occorreva fare accertamenti radiologici all’esternò. E fu lo stesso Degli Angioli ad avvisare il direttore che c’era un problema organizzativo per la polizia penitenziaria. Quale è presto detto: “c’erano i due uomini di scorta non l’autista del mezzo comune disposto per il trasporto di Cucchi al pronto soccorso del Fatebenefratelli”. Il passaggio successivo fu che “contattai il medico del carcere pregandolo di cambiare il mezzo disponendo il trasporto con un’ambulanza convenzionata. Io non potevo fare la sostituzione; è il medico che, a seconda delle condizioni, sceglie il mezzo con il quale un detenuto dev’essere portato in ospedale”. Il direttore del carcere seppe successivamente che furono i sanitari del “Fatebenefratelli” a disporre il ricovero di Cucchi al “Pertini” dove morì una settimana dopo l’arresto. Giustizia: che cosa insegna il processo di Perugia di Giancarlo De Cataldo La Repubblica, 11 ottobre 2011 La sentenza di Perugia e il dibattito internazionale che ne è scaturito potevano essere sfruttati per avviare una seria riflessione sulle falle del sistema processuale italiano, ripensare criticamente alcuni istituti, spingere politici e operatori del diritto a costruire un modello più comprensibile e utile alla collettività. Invece su tutto è calata come un macigno la beffarda domanda di un ex-ministro: “Chi paga”? Su questa cultura del “chi paga?” prima o poi bisognerà interrogarsi. Da un lato, riflette il disprezzo del produttore di cose materiali per chi opera nei settori dell’immateriale: solo ciò che si può fisicamente misurare, o forse pesare sulla bilancia, ha un valore, ovviamente espresso in denaro. Tutto il resto non conta, ameno che non sia riconducibile allo stesso metro di valutazione. “Chi paga?” è, sotto questo aspetto, il perfetto pendant di “con la cultura non si mangia”. A un diverso livello, il “chi paga?” incarna una sorta di ossessione sociale che trasforma in rischio patrimoniale ogni assunzione di responsabilità. La medicina, per dirne una, da scienza e arte della cura del corpo, con annessi sofisticati risvolti tecnici, muta in un esercizio commerciale e burocratico teso a evitare la compromissione della sfera patrimoniale del medico: vuoi la diagnosi? Prima firmami una caterva di carte e sciroppati una miriade di analisi, perché “non si sa mai”. E poi stiamo a vedere. Il medico non deve salvarti la vita perché è un professionista e ha un’elevata coscienza etica. Deve salvarti per salvare se stesso. E così la giustizia. Il giudice non studia gli atti e scrive le sentenze nel rispetto della legge e dell’etica, ma per salvare il portafogli. Nella cultura del “ chi paga”, il processo non è luogo di accertamento della (probabile) verità, centro di tutela e garanzia dei diritti dei cittadini tutti, attività complessa regolamentata da leggi che, se pure discutibili, sono frutto di alcuni millenni di elaborazione dottrinaria e culturale. Eppure, proprio dopo Perugia, il “New York Times” ha ringraziato la nostra giustizia. “Brava Italia”, si legge in un editoriale, per aver trovato il coraggio di “do-over”, cioè di ribaltare la sentenza di primo grado: fatto da noi ordinario, ma alquanto raro da quelle parti. Contemporaneamente, l’inglese “Guardian” ha puntato il dito contro il nostro sistema processuale, accusato di tendere alla spettacolarizzazione, e, in particolare, contro la singolarità di processi separati per imputati dello stesso reato. Ma da noi, l’elogio del Nyt è passato inosservato, o è stato interpretato tendenziosamente. Ne deriva che, ogni volta che qualcuno viene assolto in appello, il sistema, invece di dimostrare la sua serietà, infligge all’opinione pubblica, per definizione “sconcertata”, una ferita insanabile. Tanto vale dire, sbrigativamente, che ogni processo è un processo serio, valido, giusto e quant’ altro soltanto se si conclude con l’inesorabile condanna del sospetto. Da qui alla tortura per ottenere la confessione che ci manda tranquilli a nanna il passo (solo culturale, mi auguro) è breve. E, sempre da noi, la critica del “Guardian” è stata invece recepita e valorizzata in tutte le salse: il processo italiano fa acqua da tutte le parti, e la colpa, ovviamente, è dei giudici, o, peggio ancora, dei pm. Premessa accettabile: il sistema è carente, pletorico, confuso e contraddittorio. Il regime processuale di imputati e coimputati è scarsamente decifrabile anche dagli addetti ai lavori, e la frammentazione dei riti rasenta l’ingestibile. Qualcuno si è preso la briga di spiegare alla “gente” che i vari racconti resi da Amanda Knox possono essere pubblicati sui giornali ma il giudice ha obbligo di non tenerne conto perché “inutilizzabili”? Che qualunque imputato ha il diritto di mentire, tacere, ritrattare e di ottenere a richiesta il giudizio abbreviato, senza che nessuno, tanto meno il pm, possa opporsi? Che esito avrebbe avuto la vicenda di Perugia se, come accade in altri ordinamenti, l’accesso ai riti alternativi o la riduzione di pena fossero vincolati all’impegno a rendere dichiarazioni secondo lo schema concordato con la pubblica accusa? O se gli imputati fossero stati processati insieme e al giudice fosse stato consentito di acquisire e verificare le loro dichiarazioni incrociate? Il processo non funziona. Ma a disegnarlo in questo modo non sono state né le toghe rosse né le procure eversive: semmai, le maggioranze che si sono alternate in questi anni al governo. Dunque, per stare al gioco: chi paga? Lettere: sono una mamma che ha un figlio detenuto nel carcere fatiscente di Lecce… Europa, 11 ottobre 2011 Sono una mamma che ha un figlio detenuto nel carcere fatiscente di Lecce, ieri sono stata a colloquio e mio figlio mi ha riferito che le cose stanno malissimo e che tutti i politici parlano ma solo per farsi pubblicità. I detenuti apprezzano lo sforzo di Pannella ma sanno tutti che l’amnistia rimarrà un vero miraggio. Quello che serve è un indulto immediato e chi è in attesa di giudizio deve avere una pena alternativa ed essere mandato a casa. Ma ci vuole tanto a capire tutto questo? Giorni fa il capo dello stato a Napoli ha detto che per la situazione attuale dei detenuti la notte lui non dorme: domandasse se i detenuti dormono su un letto di ferro e con 8 persone a cella di 4 metri quadrati. Io come mamma faccio un appello accorato a chi è di competenza affinché possano fare urgentemente qualcosa perché ogni giorno ci sono detenuti che cercano il suicidio ma nessuno fa trapelare niente. Gemma Campilungo, Bari Friuli Venezia Giulia: l’assessore Brandi; inclusione socio lavorativa favorisce la sicurezza Agenparl, 11 ottobre 2011 L’assessore regionale al Lavoro Angela Brandi ha partecipato questa mattina alla presentazione di “Bread & Bar”, Cooperativa costituitasi all’interno della Casa circondariale di Trieste attraverso un percorso che, come ha sottolineato lei stessa, “è stato di notevole finalità sociale”. Il progetto “Bread and Bar. L’esperienza di impresa di transizione nel carcere: una concreta opportunità di inclusione sociale e solidale” era stato promosso dal Centro di formazione professionale Opera Villaggio del Fanciullo, rappresentato oggi dal presidente del Villaggio, don Pier Giorgio Ragazzoni, e dal direttore del Centro di Formazione, Massimo Tierno. Angela Brandi ha ringraziato il direttore del Carcere, Enrico Sbriglia, “per aver creduto in questo progetto e colto le opportunità di inclusione e reinserimento , necessarie affinché la fine della pena possa rappresentare l’inizio di una nuova vita”. “Inoltre - ha notato l’assessor e Brandi, in sostanziale accordo con Sbriglia, che a sua volta ha evidenziato l’importanza del lavoro “per aumentare la sicurezza e raffreddare i conflitti in carcere” - se vogliamo garantire la sicurezza nei nostri territori, non si può prescindere dal reinserimento sociale e lavorativo di chi sta scontando, o ha scontato, una pena carceraria”. Il riconoscimento della Regione ha dato al corso di panificatore e pasticcere destinato ai detenuti valenza europea, e rappresenta, ha ricordato l’assessore, uno dei tanti tasselli delle politiche e delle strategie che l’Amministrazione regionale sta mettendo in campo per favorire l’integrazione della formazione con la dimensione occupazionale. Una scelta che nello specifico ha visto la formulazione di un accordo tra la Regione e il ministero della Giustizia, sottoscritto lo scorso mese, per l’attuazione del progetto “Interventi per il miglioramento dei servizi per l’inclusione socio lavorativa dei soggetti in esecuzione penale”. Le azioni da intraprendere saranno decise dalle Regioni in collaborazione con i Provveditorati regionali del Dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria, ed anche in Friuli Venezia Giulia verrà attivato un tavolo tecnico che diventerà, grazie al coinvolgimento di tutti i soggetti sociali ed istituzionali interessati, la sede per la redazione del programma annuale degli interventi di inclusione sociale dei detenuti. “La Regione sta comunque assicurando tali interventi dal 2010 attraverso un programma specifico finanziato dal Fondo sociale europeo - ha ricordato Angela Brandi - ed abbiamo già predisposto un nuovo avviso per l’anno 2011-12 per supportare, con un milione di euro del Fondo, un piano formativo destinato alla popolazione detenuta”. Affermando che “solo nella dignità del lavoro ci può essere la consapevolezza di sentirsi a pieno titolo liberi cittadini”, l’assessore ha spiegato che “su Trieste il piano prevede un investimento di 250 mila euro per 6 tipologie di corsi professionali che spaziano dalla falegnameria alla panificazione, dalla sartoria alla lavorazione della pietra, dalla tappezzeria al catering; un ventaglio di mestieri in risposta ad una offerta che riguarda migliaia di posti di lavoro scoperti (centomila in tutta Italia) proprio per mancanza di adeguata preparazione professionale”. Sardegna: l’assessore Floris domani firma intesa per digitalizzazione archivi carceri Agenparl, 11 ottobre 2011 L’assessore degli Affari generali, personale e riforme della Regione, Mario Floris, illustrerà alla stampa domani, mercoledì 12 ottobre, alle 11 nella sala riunioni dell’Assessorato in viale Trieste 190, il progetto di dematerializzazione degli archivi storici delle ex-colonie penali e della creazione di centri di digitalizzazione negli istituti di pena dell’isola. Nell’occasione sarà siglato il protocollo d’intesa con il Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Gianranco De Gesu, con i direttori degli Archivi di Stato di Cagliari e Sassari, Anna Pia Bidolli e Angelo Ammirati, il direttore della Conservator ia delle coste della Sardegna Alessio Satta, i presidenti degli Enti Parco Asinara e Porto Conte, Pasqualino Lorenzo Federici e Francesco Sasso, e il Sindaco di Castiadas Quintino Sollai. Palermo: detenuto tunisino di 35 anni si impicca nel carcere “Pagliarelli” Ristretti Orizzonti, 11 ottobre 2011 Nelle carceri siciliane è il quarto suicidio di un detenuto dall’inizio di settembre, il secondo a Palermo nell’ultimo mese. A togliersi la vita è stato Mohamed Nahiri, 35 anni. L’uomo si è impiccato domenica notte alle sbarre del bagno della sua cella con un lenzuolo. Intorno alle 3, Nahiri ha afferrato il lenzuolo della sua branda, l’ha bagnato e si è impiccato alle sbarre della finestra del bagno. I suoi sette compagni di cella si sono accorti di quanto accaduto solo ieri mattina, quando non c’era più nulla da fare. Il magistrato di turno non ha ritenuto necessario disporre l’autopsia. Mohamed Nahiri era arrivato al Pagliarelli nel maggio scorso. Ad Augusta, dove era rinchiuso dal 2007, Nahiri aveva avuto alcuni problemi con gli altri carcerati e con il personale penitenziario che avrebbe aggredito in più di un’occasione. Finito in cella per l’omicidio di un connazionale a Roma, il tunisino sarebbe uscito nell’ottobre del 2019. Neanche al Pagliarelli Nahiri aveva intrecciato buoni rapporti con i compagni, tanto da essere trasferito qualche settimana fa in un’altra cella, nella quale dormivano in otto. Un mese fa, un altro caso simile all’Ucciardone. A uccidersi era stato Alex Pantano, 38 anni, torinese, accusato di spaccio e furto. I poliziotti penitenziari lo hanno trovato impiccato alla finestra con i pantaloni del pigiama. Prima, altri due detenuti si erano tolti la vita a Messina e ad Agrigento. Da inizio anno sale a 146 il totale dei “morti di carcere”: 50 detenuti si sono suicidati, 1 è stato ucciso (il 24enne Abbedine Kemal, “pestato” nel carcere di Opera il 23 giugno scorso da persone non ancora identificate e poi deceduto in ospedale per le ferite riportate), 29 sono morti per “cause da accertare” ed i restanti 66 per “cause naturali”. L’età media dei suicidi era di 35 anni, quella dei morti per cause diverse dal suicidio di 41 anni. 42 dei “morti di carcere” erano stranieri, 104 italiani. 3 le donne: Loredana Berlingeri, 44 anni, morta per un’infezione il 4 marzo nel carcere di Reggio Calabria; Adriana Ambrosini, 24 anni, suicida nell’Opg di Castiglione (Mn) il 3 aprile scorso ed Elena D., 30enne deceduta il 12 luglio nel carcere di Trani (Ba) per cause non ancora accertate. Sassari: detenuto morto per “sindrome asfittica” dopo aver inalato gas della bomboletta Ansa, 11 ottobre 2011 È stato soffocato da una sindrome asfittica, Fabrizio Piras, il detenuto di 23 anni morto venerdì scorso all’interno di una cella del carcere di San Sebastiano a Sassari dopo aver cercato lo “sballo” con il gas di una bomboletta da campeggio. Lo ha stabilito l’autopsia eseguita stamattina dal medico legale Francesco Lubinu, su disposizione del sostituto procuratore Gianni Caria. Bisognerà ora attendere circa un mese per conoscere i risultati degli esami tossicologici disposti per stabilire se il giovane avesse assunto altre sostanze oltre al gas che lo ha soffocato. Venerdì notte, Piras era in cella con altri cinque detenuti che lo hanno visto uscire dal bagno e cadere a terra svenuto. Inutili tutti i tentativi di soccorrerlo: solo un’immediata tracheotomia avrebbe potuto salvare il giovane detenuto. Firenze: l’assessore Scaramuccia; per superare l’Opg necessario uno sforzo comune Nove da Firenze, 11 ottobre 2011 “Quella de Le Querce è stata un’esperienza antesignana, nata proprio dalla collaborazione tra istituzioni e volontariato, da un lavoro sinergico, dalla volontà comune di rendere possibile un’alternativa all’Opg. Se vogliamo intervenire in maniera concreta sull’ospedale psichiatrico giudiziario, necessariamente dobbiamo lavorare insieme: Enti locali, Sanità, Giustizia”. L’assessore al diritto alla salute Daniela Scaramuccia ha partecipato il 7 ottobre alla tavola rotonda su “Salute e giustizia: percorsi condivisi per la persona con disturbi psichici autrice di reato”, che si è tenuta all’Educatorio del Fuligno nell’ambito del convegno “We can, ovvero la costruzione perseverante di un’alternativa all’ospedale psichiatrico giudiziario”, organizzato da Regione Toscana e Caritas Diocesana di Firenze. Il convegno è stato organizzato per celebrare i 10 anni della struttura residenziale psichiatrica Le Querce, che dal 10 settembre 2001 (data della sua apertura) ad oggi ha accolto 63 persone con gravi problemi psichici e autori di reati, provenienti dall’Opg di Montelupo, ma anche dalle carceri ordinarie. Le Querce, situata nella canonica della chiesa di San Pietro a Sollicciano, a Firenze, è gestita dalla cooperativa sociale San Pietro a Sollicciano onlus, in collaborazione con la Asl 10 di Firenze. È una delle poche strutture psichiatriche residenziali in Italia, e costituisce un tramite tra lo stato di internamento-detenzione e la libertà. Gli invii dall’Opg sono attuati in una stretta collaborazione con l’Unità Operativa della Asl 11, nella garanzia di una continuità terapeutica; ogni Dipartimento di Salute Mentale dell’Area Vasta Centro ha un costante monitoraggio ed informazione sull’inserimento. “La Toscana - ha detto l’assessore Scaramuccia - ha messo in atto da tempo tutti gli interventi previsti dal Dpcm del 2008, che sancisce il trasferimento delle funzioni sanitarie in tutte le istituzioni penitenziarie, Opg compresi, dal Ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale. Il superamento dell’Opg di Montelupo è un obiettivo prioritario che la Regione si è data, portando avanti contemporaneamente gli interventi sulla struttura penitenziaria e un intenso programma di dimissioni: nel 2010 sono state dimesse 84 persone (di cui 28 pazienti toscani), nel 2011, 60 (di cui 20 toscani). Mi auguro si possa continuare a lavorare insieme, con l’unico obiettivo comune di cercare di migliorare le condizioni di vita e di salute dei detenuti, e di coloro che ci lavorano”. I dati sull’Opg di Montelupo Nel 2010, a fronte di una degenza media di 175 persone all’interno dell’Opg, sono state attuate dimissioni per un totale di 84 persone (ampiamente superiore all’obiettivo di 48 indicato dal Dpcm), di cui 28 pazienti toscani, inviati per il 65% in comunità terapeutica, per il 25% al domicilio proprio o dei familiari, per il 10% in residenze sociali. Nel 2011 sono stati dimessi complessivamente oltre 60 pazienti, di cui 20 toscani; i non toscani hanno fatto ritorno nei propri territori di residenza. Questo lavoro di dimissione ha consentito di ridurre le presenze da oltre 165 (registrate alla fine del 2010) a 124 (dato del 20 settembre 2011). Dopo il passaggio delle competenze, la Asl 11 di Empoli ha arricchito la dotazione organica dell’Opg con ulteriori 9 unità di personale: 2 psicologi, 2 infermieri, 2 operatori socio sanitari, 2 educatori professionali, 1 medico specialista psichiatra. Bologna: la maggioranza non trova un accordo, slitta la nomina del Garante dei detenuti Redattore Sociale, 11 ottobre 2011 Divisioni interne alla maggioranza bloccano la nomina del garante. L’associazione formata da detenuti ed ex detenuti chiede di ricominciare da capo e contesta la scelta dei candidati. Guizzardi (Papillon): “Non siamo mai stati interpellati”. “Mentre la Dozza sta finendo i soldi per pagare i pasti dei detenuti, la politica ha fatto una figura pessima, si è dimostrata molto lontana dalla realtà”. Valerio Guizzardi, responsabile per l’Emilia-Romagna di Papillon, associazione formata da detenuti ed ex detenuti, commenta così la mancata nomina del garante dei detenuti da parte del consiglio comunale di Bologna: ieri, infatti, per la quarta volta in consiglio non si è arrivati alla fumata bianca. Il garante dei detenuti a Bologna manca da più di un anno (la carica è ricoperta al momento dal difensore civico), ma nessuno dei tre nomi selezionati dalla commissione Affari generali ha ottenuto i 19 voti necessari all’elezione. Nella votazione di lunedì Giovanni Pipitone, il candidato indicato dal Pd, ha ottenuto solo tre voti, Nello Cesari, sostenuto dal Pdl, ha raggiunto i sei voti e il terzo candidato, l’avvocato Mario Turco, si è fermato a tre preferenze. Le schede bianche invece sono state 17, due quelle nulle. Ma mentre in città tengono banco il lato politico della vicenda e le divisioni interne alla maggioranza, Papillon chiede che si torni a parlare di contenuti: “Ho seguito i lavori e non si è parlato mai dei problemi del carcere e dei detenuti”, dice Guizzardi. Per Papillon infatti i nomi dei candidati non erano convincenti, soprattutto nel caso dell’ex questore Giovanni Pipitone e dell’ex provveditore Nello Cesari. “Persone che hanno sicuramente svolto il loro lavoro in modo degno”, spiega Guizzardi, “ma per tutta la loro carriera hanno arrestato o tenuto in carcere: come si può pensare che ora possano garantire i diritti e la dignità dei detenuti?”. Nomi che soprattutto non coincidono con lo statuto che regola la figura del garante, statuto che lo stesso Guizzardi ha contribuito a stendere: “Dev’essere una persona terza, equidistante, di rappresentanza, in altre parole deve arrivare dalla società civile: fra le candidature i nomi adatti c’erano, ma non sono stati scelti”. Cosa succederà a questo punto? “Per noi sarebbe meglio ripartire da capo, fare un nuovo avviso e stavolta ascoltare anche le associazioni che lavorano in carcere”, continua Guizzardi, “per la nomina dell’ultimo garante, l’avvocato Desi Bruno, che ha lavorato secondo noi benissimo, eravamo stati interpellati. Questa volta no”. Poi la politica dovrà fare “una scelta saggia: basta seguire il regolamento”. Un nuovo avviso pubblico è in effetti una delle ipotesi sul campo. Valentina Castaldini (Pdl), presidente della commissione Affari generali, ha chiesto oggi un parere della Segreteria generale del comune e intende convocare la commissione entro venerdì: in quella sede si deciderà se scegliere altri nomi fra le candidature pervenute o procedere a un nuovo avviso. “Noi della minoranza crediamo che si debba ripartire”, spiega Castaldini, “non ha senso tornare su nomi che avevamo scartato in precedenza: col nuovo avviso potremmo arrivare alla nomina del garante in 25 giorni”. Si torna in Commissione per cercare accordo su rosa di 22 nomi Nuova fumata nera sul garante dei detenuti. La maggioranza di centrosinistra in Consiglio comunale a Bologna ancora una volta non è riuscita a trovare la quadra sul successore di Desi Bruno. Già la scorsa settimana era stato impallinato il candidato in quota Pd, l’ex vicequestore Giovanni Pipitone, a causa anche di alcuni franchi tiratori tra i democratici e con l’astensione (in polemica) di Sel. Questa volta il Pd ha trovato la compattezza, ma sulle schede bianche, di fatto mettendosi in minoranza da solo. La nomina del garante dei detenuti torna così in commissione e non è escluso che si debba pubblicare un nuovo bando per cercare il candidato giusto (si attende il parere della segreteria generale). “Abbiamo scelto di votare scheda bianca perché non c’era la maggioranza su un nome - conferma il capogruppo Pd, Sergio Lo Giudice - non mi sento sfiduciato, perché la proposta di Pipitone non era la linea del capogruppo: non c’era un ordine di scuderia. Il fatto che non ci fosse condivisione fa parte della democrazia ed è la conseguenza di aver valutato i curricula senza aver puntato su un nome deciso a tavolino”. La votazione di oggi in Consiglio comunale ha dato questo risultato: 17 schede bianche, due nulle, tre voti a Pipitone, tre a Mario Turco e sei a Nello Cesari (candidato sostenuto dal centrodestra). “Ora si torna in commissione per trovare un nome condiviso da tutti sui 22 curricula arrivati - spiega Lorenzo Cipriani, consigliere comunale di Sel - se non si trova una quadra, dovremo valutare se rifare il bando con altri criteri”. Ma il centrodestra attacca a testa bassa. “Per la vostra incapacità di trovare un accordo state impedendo ai detenuti di avere un punto di riferimento fondamentale”, punta il dito il berlusconiano Daniele Carella. E ora diventa una corsa contro il tempo la nomina del garante dei detenuti del Comune di Bologna, assente di fatto da oltre un anno. Il 30 ottobre scade infatti l’interim che il commissario Anna Maria Cancellieri aveva affidato al difensore civico di Palazzo D’Accursio, Vanna Minardi, la quale a inizio mandato ha inviato una lettera alla Giunta Merola precisando di non avere intenzione di proseguire anche il lavoro del garante. E l’impasse di oggi in Consiglio comunale non fa che complicare le cose. Il capogruppo Pd, Sergio Lo Giudice, assicura: “Alla fine troveremo il nome, quello di oggi è stato un intoppo politico”. E il consigliere comunale di Sel, Mirko Pieralisi, aggiunge: “Ci siamo imbucati in buona fede per tutelare chi andava tutelato”. Ma sta di fatto che la presidente del Consiglio comunale, Simona Lembi, ha rimesso gli atti nelle mani della presidente della commissione Affari istituzionali, Valentina Castaldini, la quale aspetta il parere della segreteria generale prima di convocare di nuovo la commissione. Insomma lo stallo continua, con la seria possibilità che si debba pubblicare un nuovo bando, anche se in via informale il segretario generale Luca Uguccioni avrebbe consigliato di cercare un accordo in commissione, prima di arrivare all’avviso pubblico. Nel frattempo, il centrodestra gongola. “Non si può saltare a piè pari il vostro fallimento- attacca il consigliere comunale del Pdl, Lorenzo Tomassini, rivolto in aula alla maggioranza- lo avete voluto voi questo aborto istituzionale”. Pieralisi ci tiene però a spiegare che “la nostra non soddisfazione non dipende dal profilo delle persone, ma perché ritenevamo ci fossero possibili pregiudizi o diffidenze (da parte dei detenuti, ndr) nei confronti di un ex dirigente carcerario e di un ex poliziotto. A questo punto la cosa peggiore che possa succedere è che ci dividiamo sulla procedura”. Al termine della votazione sul garante, il Consiglio comunale di oggi ha discusso per circa due ore della mancata nomina, sfruttando il dibattito sull’Ordine del giorno presentato da Francesco Errani (Pd) proprio sul carcere. Da segnalare le scintille tra il berlusconiano Daniele Carella e la capogruppo di Sel, Cathy La Torre, che agli attacchi del Pdl replica: “Il garante serve anche per difendere i detenuti dallo storture prodotte dal vostro Governo, visto che non ci sono neanche i soldi per i pasti”. L’Odg, che alla fine è stato approvato all’unanimità, impegna Giunta e Consiglio a garantire il rispetto delle condizioni minime in campo igienico-sanitario nel carcere, a favorire il reinserimento sociale e lavorativo, a promuovere i lavori socialmente utili tra i detenuti e a promuovere la partecipazione della società civile attraverso i comitati locali. L’Idv attacca il Pd: spaccatura sconcertante Sul Pd piovono critiche anche dagli alleati dell’Idv (e non solo dal centrodestra) per la fumata nera oggi in Consiglio comunale sul nuovo garante dei detenuti del Comune di Bologna. “Spiace constatare il nulla di fatto di oggi - critica Pasquale Caviano, esponente Idv a Palazzo D’Accursio - e appare sconcertante che su un tema così drammatico come quello delle carceri, il Pd non riesca a trovare al suo interno un accordo su una figura all’altezza del compito”. Anche perché, sottolinea Caviano, “dopo quattro sedute andate a vuoto, il tempo passa e gli enormi problemi che affliggono la Dozza non si risolvono”. All’interno del carcere di Bologna, infatti, “si registra un indice di sovraffollamento elevatissimo che rende difficili le condizioni di vita dei detenuti”, mentre il Consiglio comunale “si ritrova impantanato a visionare curriculum”. Secondo il dipietrista, “abbiamo il dovere di fornire risposte immediate per far fronte a questa situazione, per assicurare il rispetto dei diritti fondamentali delle persone detenute e favorirne il reinserimento nella società. Solo così la pena detentiva potrà svolgere la sua funzione rieducativa”. Dunque, esorta Caviano, “è necessario trovare quanto prima un accordo, perché c’è in ballo la vita di migliaia di persone. Faccio quindi un appello ai consiglieri comunali del Pd, perché trovino una quadra al loro interno per eleggere al più presto il nuovo garante dei detenuti”, conclude l’esponente dell’Idv. Firenze: celle senza riscaldamento e mezzi della polizia penitenziaria senza benzina La Sicilia, 11 ottobre 2011 Celle delle carceri fiorentine senza riscaldamento e auto della polizia penitenziaria senza benzina. Sono alcuni dei disagi denunciati negli ultimi tempi da associazioni e sindacati. La procura di Firenze vuol capire se vi siano delle responsabilità e ha aperto un fascicolo. Al momento non ci sono né indagati né ipotesi di reato. Pochi giorni fa, la Uil-Pa ha denunciato uno stop di 72 ore del servizio di trasferimento dei detenuti dalle carceri ai tribunali per le udienze. La causa era la mancanza di benzina per i furgoni della polizia penitenziaria. La conseguenza sono state 16 udienze e tre visite in ospedale saltate. Nei mesi scorsi, sono stati invece segnalati disagi alla casa circondariale di Empoli e all'ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino per lo stop ai riscaldamenti dovuto alla mancanza di metano o gasolio. "Pur nella comprendendo profondamente le difficoltà legate alle ristrettezze di bilancio - ha spiegato il procuratore Giuseppe Quattrocchi - riteniamo che non sia possibile interrompere servizi di questo tipo". Augusta (Sr): l’Osapp denuncia; nel carcere superati i limiti di vivibilità La Sicilia, 11 ottobre 2011 Situazione difficile e al limite del collasso per le carceri italiane. Da tempo la gravità della situazione viene denunciata da più parti. Troppi detenuti a fronte di strutture insufficienti e, spesso anche obsolete. Il risultato è di invivibilità della popolazione carceraria. Un disagio che si aggrava e si ripercuote anche sul personale della polizia penitenziaria, costretto a far fronte con le scarse risorse umane (e finanziarie) a disposizione. In particolare in alcune strutture come quelle siciliane, e in particolare in quella di contrada Piano Ippolito ad Augusta, dove da tempo le forze sindacali di categoria denunciano la drammaticità della realtà quotidiana. Una situazione al centro di una lettera che il vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Mimmo Nicotra, ha indirizzato al Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Veneziano e al direttore della Casa di Reclusione di Augusta Gelardi. “Con estrema preoccupazione - scrive Nicotra - ci vediamo costretti a denunciare la situazione di emergenza che vive la Casa di Reclusione di Augusta dove, allo stato, a fronte di circa 700 detenuti presenti, prestano servizio appena 210 poliziotti penitenziari. La situazione è nota a tutti e per questo non condividiamo lo stato di inerzia che, prima o poi, magari dopo qualche malaugurato evento critico, costringerà chi di competenza a prendere quegli opportuni provvedimenti che allo stato non riteniamo posticipabili. L’emergenza sopra evidenziata viene acuita dal malessere che palesa il personale che è costretto a sostenere carichi di lavoro massacranti. Riteniamo che un primo opportuno segnale potrebbe essere quello di far rientrare in sede i molti distaccati che allo stato - conclude Nicotra - non costituiscono la soluzione per le diffuse emergenze che sono la costante nei penitenziari siciliani”. Gela (Ct): superati i problemi tecnici, il nuovo carcere aprirà a novembre La Sicilia, 11 ottobre 2011 La nuova struttura carceraria potrà ospitare 98 detenuti che saranno sorvegliati da 93 agenti. Nella sede romana del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria si è svolto ieri un incontro dedicato al carcere di Gela. Vi ha preso parte il vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Mimmo Nicotra, che il mese scorso effettuò un sopralluogo alla struttura gelese verificando che non c’erano motivi ostativi alla sua apertura in quanto il problema della carenza idrica era stato già da mesi superato. Durante l’incontro è stato comunicato al sindacato che la struttura sarà utilizzata come casa di reclusione per detenuti con pene brevi e di basso livello di pericolosità. Una decisione facilmente comprensibile considerato che quella gelese è una piccola struttura con 98 posti. Chi sarà detenuto là, per la pena di breve periodo da scontare, avrà il bagno nella cella e il campanello per chiamare dalla cella stessa la guardia carceraria. Per l’apertura del carcere manca ancora il personale ed è su questo che il sindacato ha insistito. Definita la pianta organica del carcere. “Sono previsti a quanto abbiamo appreso - ha detto Nicotra - 93 appartenenti al corpo di polizia penitenziaria e 13 del comparto Ministeri compreso il direttore”. Questo è quanto previsto sulla carta ma all’apertura la pianta organica difficilmente sarà coperta per intero. “Per aprire la struttura di Gela - continua il sindacalista - l’amministrazione penitenziaria ha previsto un interpello straordinario nazionale. Avrà carattere urgente anche la registrazione dell’organico”. Di certo l’interpello nazionale non andrà deserto. Ci sono tantissimi agenti di polizia penitenziaria che dopo decenni di servizio al Nord hanno voglia di tornare in Sicilia e ve ne sono tanti altri che vivono a Caltagirone, Niscemi, Gela e nel comprensorio cui verrebbe più comodo lavorare in quel carcere invece che viaggiare ogni giorno per Catania ed Augusta. Proprio durante la visita di Nicotra con i deputati Fleres e Samperi al carcere si sono presentati molti di questi agenti siciliani a rendere la loro testimonianza di decenni di sacrifici, di viaggi, di rischi per recarsi al lavoro. L’aspetto che più bruciava è lo stare poco con moglie e figli. Il lavoro più vicino a casa ovviamente sanerebbe questa situazione. Dal Ministero hanno ipotizzato l’apertura del carcere entro la prima decade di novembre. Dopo due finte inaugurazioni negli anni passati il sindaco Angelo Fasulo ci crederà solo quando vedrà arrivare gli agenti e i detenuti. Reggio Calabria: premiazione del premio letterario “Carlo Castelli”, dedicato alla riconciliazione Vita, 11 ottobre 2011 Sarà assegnato giovedì 13 ottobre in una cerimonia a Reggio Calabria il premio organizzato da San Vincenzo e Fondazione Ozanam. Alla sala Teatro della Casa Circondariale di Reggio Calabria si terrà, giovedì 13 ottobre, la cerimonia di premiazione del premio “Carlo Castelli” organizzato dalla Società di San Vincenzo De Paoli federazione nazionale italiana e dalla Fondazione Federico Ozanam Vincenzo De Paoli, rivolto ai detenuti delle carceri Italiani. Il tema prescelto per la quarta edizione 2011 del Premio “Carlo Castelli” riguarda il complesso nodo della riconciliazione, tra reo e vittima, tra reo e società. “ Ogni reato ha sempre due facce: su una è impresso il crimine, sull’altra il danno e la sofferenza. Gli strappi causati da una condotta criminosa, anche quando sono irreparabili, possono e devono lasciare spazio ad una profonda meditazione, che vada oltre il dolore e gli effetti spesso inutili e devastanti della pena”. Questo in sintesi lo spunto su cui i concorrenti detenuti delle carceri italiane sono stati chiamati a riflettere ed esprimere elaborati letterari nelle forme espressive preferite. Nel corso della cerimonia saranno proclamati i tre vincitori del Premio a cui andranno i tre premi in denaro previsti dal concorso; saranno inoltre segnalati con attestato di merito altri dieci autori dei migliori elaborati. Alla cerimonia parteciperanno tutto lo staff organizzativo del premio della Società S. Vincenzo - Segreteria Castelli, tutte le autorità civili e religiose, gli operatori penitenziari e tutti i volontari e le Associazioni di volontariato. Alla cerimonia, inoltre, parteciperà una rappresentanza di detenuti, circa venti, appartenenti al circuito “ alta sicurezza”. Televisione: domani sera a “Sbarre” (Rai Due) la storia di Giovanni Arcuri Italpress, 11 ottobre 2011 Da ragazzo di buona famiglia a professionista del crimine. È la storia di Giovanni Arcuri, raccontata nella puntata di “Sbarre”, in onda domani, alle 23.35 circa su Rai 2. Una vita trascorsa in giro per il mondo tra il gioco d’azzardo, una relazione con la figlia di un potente narcotrafficante boliviano, il coinvolgimento nei malavitosi affari collegati al traffico internazionale di coca e la collusione con un maresciallo dei Carabinieri. Giovanni Arcuri da ragazzo normalissimo si trasforma in un professionista del crimine a tal punto da potersi permettere di sfidare potenti boss latino americani e di sopravvivere all’inferno della detenzione in un carcere venezuelano. Un ragazzo di buona famiglia che all’epoca di questi fatti aveva ventuno anni esattamente come quelli che oggi ha Andrea, il giovane pronto a varcare la soglia del carcere di Rebibbia per confrontarsi con quello che oggi è diventato un uomo di 54 anni. Birmania: la televisione di stato annuncia il rilascio di oltre 6.300 detenuti Ansa, 11 ottobre 2011 La tv di Stato in Birmania ha annunciato oggi la liberazione di più di 6.300 “prigionieri”, senza precisare se tra questi ci siano anche detenuti politici. La Commissione nazionale per i diritti dell’Uomo, istituita lo scorso mese dal governo birmano, aveva richiesto poche ore prima, attraverso un quotidiano ufficiale, la liberazione dei “prigionieri di coscienza”, per rispondere alle richieste in questo senso da parte della comunità internazionale. Ieri, altri responsabili governativi avevano già indicato all’Afp che sarebbe stata concessa a breve un’amnistia, estesa anche a prigionieri politici. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e l’opposizione democratica birmana hanno chiesto la liberazione di circa 2.000 prigionieri politici - attivisti, avvocati, artisti, giornalisti - per dimostrare la sincerità delle riforme politiche che si stanno attuando a Myanmar, l’ex Birmania. La liberazione dei detenuti politici è considerata una conditio sine qua non per la revoca delle sanzioni economiche e politiche applicate dalla comunità internazionale dalla fine degli anni Novanta. Israele: si estende sciopero fame detenuti palestinesi, mobilitazione popolare in Cisgiordania Ansa, 11 ottobre 2011 A due settimane dall’inizio, si sta estendendo uno sciopero della fame ad intermittenza proclamato da attivisti del Fronte popolare per la liberazione della Palestina in sostegno del loro leader, Ahmed Saadat. Questi è da tempo confinato in isolamento e secondo il quotidiano al-Hayat al-Jadida le sue condizioni di salute si stanno rapidamente deteriorando. Nelle fasi iniziali lo sciopero della fame è stato osservato da alcune decine di reclusi, a giorni alterni. Nel frattempo si sono aggiunti alla protesta anche detenuti delle prigioni di Rimonin (Neghev) e di Gilboa (Galilea). Secondo il quotidiano Haaretz, 235 detenuti sono adesso impegnati nella protesta e minacciano di ricorrere “alla formula irlandese”, ossia di rifiutare anche l’acqua. L’agitazione sta suscitando una crescente mobilitazione popolare in Cisgiordania. Oggi una manifestazione di solidarietà ai detenuti è stata organizzata da al-Fatah e da altre organizzazioni politiche palestinesi ai cancelli della prigione israeliana di Ofer (Cisgiordania). Militari hanno disperso i dimostranti con gas lacrimogeni. Domani diverse organizzazioni palestinesi osserveranno una giornata di sciopero della fame. Da parte sua il premier dell’Anp, Salam Fayad, ha chiesto alle Nazioni Unite di interessarsi delle condizioni di reclusione dei palestinesi detenuti in Israele, che assommano a diverse migliaia. La stampa dei Territori nota con toni critici che i detenuti di Hamas non prendono parte per ora alle agitazioni. Fonti palestinesi aggiungono che negli ultimi giorni le autorità carcerarie israeliane hanno annullato ai detenuti in sciopero alcuni diritti, fra cui quello di ricevere le visite dei familiari. Agli scioperanti sono stati inoltre requisiti gli apparecchi elettrici. Nel frattempo un incidente è avvenuto oggi ai cancelli del carcere di Shatta (Galilea) dove i parenti di detenuti palestinesi che intendevano visitare i loro congiunti sono stati affrontati e respinti dai sostenitori di Ghilad Shalit, il caporale israeliano prigioniero di Hamas, in totale isolamento dal 2006. Secondo i dimostranti, Israele dovrebbe impedire le visite dei familiari palestinesi a tutti i detenuti fintanto che la Croce rossa internazionale non avrà avuto la possibilità di visitare Shalit a Gaza. Da governo palestinese appello a Onu per sostegno detenuti Il primo ministro palestinese Salam Fayyad ha invitato le Nazioni Unite a sostenere i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, il cui sciopero della fame entra nella seconda settimana. Lo indica un comunicato del governo palestinese. Fayyad si è recato a Ramallah nella zona dove sono state piazzate tende in solidarietà con i detenuti e nella sede della Croce Rossa nella località di al Bireh, ha precisato il testo. “Ha rivolto un appello al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e alle istituzioni delle Nazioni Unite a portare il loro sostegno ai diritti dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane e ha sottolineato che “la più grande ingiustizia è mantenerli in detenzione in contrasto con le convenzioni e norme internazionali”, ha indicato il comunicato. “Più di 6mila palestinesi sono ancora detenuti nelle carceri israeliane, tra cui 38 donne, 280 bambini, 270 in detenzione amministrativa e 22 membri del Clp (Consiglio legislativo palestinese)”, ha indicato il governo. D’altra parte, il Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp, sinistra radicale), i cui militanti sono i promotori dello sciopero della fame lanciato il 27 settembre per protestare contro l’isolamento carcerario e in particolare quello cui è sottoposto da quattro anni il loro leader Ahmad Saadat, ha messo in guardia contro il deterioramento delle condizioni di salute di quest’ultimo. Olanda: carcere Tribunale penale internazionale; Mladic ricoverato in ospedale per polmonite Ansa, 11 ottobre 2011 Ratko Mladic, l’ex capo militare dei serbi di Bosnia catturato lo scorso maggio e detenuto nel carcere del Tribunale penale internazionale dell’Aja (Tpi) con l’accusa di genocidio e crimini contro l’umanità, è stato ricoverato in ospedale per un attacco di polmonite. Lo hanno riferito vari media serbi, citando Milos Saljic, l’avvocato difensore dell’ex generale. Saljic si è limitato a dire che i responsabili del carcere di Scheveningen presso l’Aja, dove Mladic è detenuto, hanno riferito del ricovero dell’ex generale, senza fornire altri particolari nè precisare in quale ospedale si trovi. Ieri il quotidiano belgradese Kurir, citando l’altro legale di Mladic, Branko Lukic, aveva riferito delle cattive condizioni di salute di Ratko Mladic, parlando in particolare di problemi ai reni. Mladic è stato catturato il 26 maggio scorso a Lazarevo, nel nordest della Serbia, dopo 16 anni di latitanza. È accusato in particolare dell’assedio di Sarajevo durante la guerra di Bosnia (1992-1995) e del massacro di 8 mila musulmani a Srebrenica nel luglio 1995. Nigeria: lotta a corruzione, arresti eccellenti nel mondo della politica nigeriana Ansa, 11 ottobre 2011 Tutti accusati di corruzione, tra i problemi cronici più difficili da estirpare nel Paese più popoloso del continente. In manette sono finiti, con l’accusa di aver sottratto alle casse dello Stato qualcosa come 700 milioni di dollari, tre ex governatori: Olugbenga Daniel dello stato sud-occidentale di Ogun; Adebayo Alao-Akala di Oyo (sud-ovest) e l’ex governatore dello stato centrale di Nassarawa, Aliyu Akwe Doma. Secondo l’accusa, incarnata dalla Commissione per i crimini economici e finanziari (Efcc), i tre “durante il loro incarico, hanno commesso abusi negli appalti pubblici e distratto fondi del governo centrale verso conti personali”. Gli ex governatori appariranno davanti a un giudice nei prossimi giorni. Della cifra complessiva circa il 50 per cento sarebbe stata frodata da Daniel (387 milioni), mentre Alao-Akala e Doma dovranno dimostrare di non aver sottratto rispettivamente 167 e 120 milioni di dollari. In Nigeria i governatori dei 36 Stati confederali che compongono la Repubblica hanno un potere molto importante, in diversi casi più di un ministro o di un capo di Stato di qualche Paese “minorE” del continente. Non è la prima volta che l’Efcc compie arresti eccellenti, ma è pur vero che è difficile arrivare fino in fondo all’accertamento della verità; complice un sistema giudiziario con poche risorse, lento e anch’esso, secondo organizzazioni internazionali, non immune da corruzione. Da segnalare, come riportano i media locali, che la notizia dell’arresto di Daniel è stata accolta dai cittadini di Abeokuta, capoluogo Ogun, con molta soddisfazione: giovani si sono ritrovati in strada e si sono diretti verso la locale sede dell’Efcc per cantare cori e applaudire i dipendenti.