“Carcere ed esecuzione della pena”, seminario di formazione per i giornalisti Ristretti Orizzonti, 9 novembre 2011 Il 29 novembre dalle 9 alle 15, la Casa di reclusione Due Palazzi di Padova ospiterà il terzo seminario di aggiornamento professionale riservato ai giornalisti del Veneto (professionisti, praticanti e pubblicisti), finalizzato ad approfondire i temi della giustizia e del carcere, con particolare attenzione agli aspetti relativi all’esecuzione della pena. A promuovere la giornata di studi, che nel 2009 e nel 2010 ha riscosso un notevole successo di partecipazione, è, insieme all’Ordine dei giornalisti del Veneto, la redazione di Ristretti Orizzonti (che dall’interno del carcere fa informazione attraverso una rivista e un sito internet). Si tratta di un’importante occasione di studio e approfondimento: l’obiettivo è fornire ai giornalisti - attraverso le relazioni di esperti, l’analisi di casi concreti e le testimonianze di detenuti - alcuni spunti di riflessione e qualche utile strumento per svolgere al meglio il proprio lavoro, garantendo una corretta informazione su giustizia, carcere ed esecuzione della pena. Si parlerà di cronaca nera e giudiziaria; di omicidi colposi (che possono capitare “a tutti”) e di come questi vengono raccontati a seconda degli autori; di reati che scuotono l’opinione pubblica per i quali spesso si chiede il massimo della pena; di misure alternative al carcere; di processo lungo; di diritto all’oblio nell’era di internet; della proposta di una “Carta deontologica delle pene e del carcere” per giornalisti e operatori dell’informazione. Tra i relatori, Elena Valdini, giornalista, autrice del libro “Strage continua”; Mauro Paissan, giornalista, membro dell’Ufficio del Garante nazionale della privacy; Franco Corleone, Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Firenze, autore del libro “Contro l’ergastolo”; Marcello Bortolato, magistrato di Sorveglianza a Padova; Carla Chiappini, vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna, e responsabile del giornale del carcere di Piacenza, Sosta forzata; detenuti e volontari della redazione di Ristretti Orizzonti, operatori della Casa di reclusione. Introdurrà i lavori il presidente dell’Ordine dei giornalisti del Veneto, Gianluca Amadori. Parteciperà anche il direttore della Scuola di giornalismo Buzzati, Orazio Carrubba. Moderatrici Ornella Favero, direttore di Ristretti Orizzonti e Alessandra Sgarbossa, consigliera Ordine dei giornalisti del Veneto. Iscrizioni aperte da oggi fino al 21 novembre Per iscriversi bisogna comunicare entro e non oltre lunedì 21 novembre i propri dati (nome, cognome, luogo e data di nascita, mail e numero di telefono cellulare) all’indirizzo Pec dell’Ordine dei Giornalisti del Veneto: odgveneto@gigapec.it. Potranno partecipare al massimo 60 colleghi (in ordine di arrivo della richiesta di iscrizione). Il giorno del seminario, l’ingresso dalle 9 alle 9.30 avverrà esclusivamente presentando un documento d’identità valido. Giustizia: direttori carceri in rivolta; siamo servitori dello Stato non complici dell’illegalità di Eleonora Martini Il Manifesto, 9 novembre 2011 Appello dei dirigenti penitenziari del Si.Di.Pe. Il sindacato: “Pronti alla mobilitazione”. “Siamo servitori dello Stato, non complici dell’illegalità istituzionalizzata che si concretizza ogni giorno nelle carceri italiane”. Stavolta a sollevare l’allarme su un sistema di giustizia penale adatto piuttosto a un Paese in via di sviluppo, e sulle “carceri che assomigliano sempre di più a favelas ingabbiate”, sono addirittura gli stessi direttori e dirigenti dei nostri istituti penitenziari. Per la prima volta nella storia del sistema carcerario italiano l’appello a mobilitarsi “prima che sia troppo tardi” per una emergenza assoluta parte proprio da un loro sindacato, quello autonomo del Si.Di.Pe che raccoglie la maggior parte dei dirigenti penitenziari, circa 130 su 400. E devono davvero aver perso la pazienza e la speranza proprio tutti, nelle carceri italiane, se a capitanare la “ribellione” dei direttori c’è una personalità come Enrico Sbriglia, il segretario nazionale del Si.Di.Pe., che oggi amministra il carcere di Trieste ma che per due mandati ha ricoperto il ruolo di assessore comunale alla sicurezza di An. Pentito? “No”. Consapevole del dramma, semmai. Tanto consapevole che se si chiede a Sbriglia, attualmente coordinatore di Futuro e Libertà della provincia di Trieste, quali siano le leggi da cambiare immediatamente in quanto produttrici di insensate fattispecie di reato, lui risponde senza indugio - ed è la notizia nella notizia: “Le norme sulla clandestinità (della legge Bossi-Fini, ndr), le tabelle sulle droghe (della Fini-Giovanardi, ndr) e la ex Cirielli sulle recidive, innanzitutto”. “Siamo in un Paese dove ormai a ogni problema si dà solo una risposta penale e l’attuale governo attribuisce al carcere solo un ruolo securitario - commenta Sbriglia. È una grande bugia: so, come direttore, che stiamo allevano nelle nostre prigioni i mostri di domani, persone che non usciranno rieducate ma più desiderose di vendetta e più preparate “professionalmente” al crimine”. “Non si può punire una persona - aggiunge parlando del reato di clandestinità - per il semplice fatto di aver avuto la fortuna di sopravvivere a viaggi spaventosi in cerca di una chance”. E sulle droghe ammette: “Si è sempre affrontato il problema con piglio ideologico, da una parte e dall’altra”. A criticare Fini non ci pensa nemmeno. Anzi, di politica, il coordinatore triestino di Fli, non vuole parlare ma è disposto a giurare che anche l’autore di quelle insane leggi, responsabili del sovraffollamento carcerario, oggi potrebbe tranquillamente ammettere la necessità di “rivederle, sulla scorta dell’ esperienza”. Il Si.Di.Pe. però, ci tiene a spiegare Sbriglia, è un sindacato “trasversale alle appartenenze politiche”, oltre ad essere “composto per la maggior parte da donne perché sono donne la maggioranza dei dirigenti penitenziari italiani”. “È un lavoro, il nostro, - spiega ancora - che richiede doti di attenzione, ascolto, sensibilità, analisi e freddezza”. Sono state soprattutto le donne, racconta il direttore sindacalista, “chiamate a dirigere anche tre o quattro istituti penitenziari contemporaneamente”, a non sopportare più la frustrazione di un lavoro inefficace. “Come si può immaginare un’azione di recupero che induca i detenuti a credere che le leggi sono fatte in favore e non contro le persone, se poi non si riconosce loro nemmeno il diritto a una branda o alla salute?”. Lo spazio, però, non è tutto. Sbriglia, infatti, non crede affatto che il piano di edilizia carceraria sia la soluzione: “Se riuscissi a impegnare i detenuti in mille attività, l’ultimo loro pensiero sarebbe quello dello spazio in cui dormire”. Ed è forse proprio per la composizione di genere, che l’appello diffuso ai media dal sindacato dei dirigenti penitenziari non usa mezzi termini: esprime “indignazione e rabbia” anche per come le parole di Giorgio Napolitano, quando aveva esortato la politica a dare risposte a una “questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”, siano poi risultate “ininfluenti”. Al capo dello Stato va un grazie particolare, come a Marco Pannella, ai Radicali e alle associazioni che “continuano incessantemente a ricordare la gravità della situazione”. Si lamentano però, i dirigenti, di non essere in “condizione di svolgere il nostro lavoro con dignità, nell’effettivo rispetto delle leggi solennemente enunciate e quotidianamente violentate”. “Noi direttori penitenziari d’istituto e degli uffici dell’esecuzione penale esterna - si legge ancora nell’appello -, privati di regole contrattuali in materia di rapporto di lavoro da sei anni, di un rapporto di lavoro speciale, solo nei doveri definito di “diritto pubblico” (alla stregua di quello dei magistrati, del personale diplomatico, dei prefetti, dei dirigenti delle forze di polizia, dei docenti universitari...), siamo stati, in verità, ricacciati negli angoli più bui di uno Stato che non sembra in grado di mantenere fede agli impegni ed alle promesse solenni celebrate nelle sue leggi”. Si dicono “davvero preoccupati” che “il tempo delle barbarie verso il quale corriamo seppellisca le spinte legalitarie e riformiste che speravamo dovessero divenire gli strumenti principali per avviare, in modo progressivo e veloce, un concreto miglioramento del sistema carcerario, nonché favorire la formazione di una coscienza più forte e comune in materia di diritti umani e sistema penale”. Per questo avvertono: “Siamo ancora una volta pronti alla mobilitazione per denunciare tutto ciò”. Giustizia: detenuti al lavoro per ricostruirsi un futuro, le imprese entrano in carcere di Francesca Mencarelli Il Sole 24 Ore, 9 novembre 2011 Sono 23 nel Centro-Nord (su 40 istituti penitenziari) le associazioni e le cooperative con sito internet che organizzano lavoro per i detenuti, soprattutto in Toscana (14 aziende su 17 istituti) ed Emilia-Romagna (7 su 13). C’è chi si occupa di agricoltura e di allevamento, chi impara il mestiere dello chef o del gelatiere e chi, come a Volterra, è impegnato nella sartoria. All’interno del laboratorio si realizzano migliaia di manufatti ogni anno per conto dell’Amministrazione penitenziaria: pigiami, tute da lavoro, camicie e pantaloni, ma anche borse, copri letti e tappeti realizzati con la tecnica del patchwork, che poi vengono anche esposti e venduti in occasione di mostre e mercatini. Una realtà attiva da oltre 50 anni in cui oggi sono impegnati circa 30 condannati penali. “Con questa attività lavorativa - spiega Cristiana Venditti, funzionario delle professionalità giuridico-pedagogica della Casa di reclusione di Volterra - si vuole implementare le. competenze professionali dei detenuti, incentivandone il senso di responsabilità, nonché monitorare la tenuta lavorativa dei soggetti coinvolti”. Per i detenuti rappresenta un’importante occasione di riscatto, che permette loro di imparare un mestiere e di uscire dalla routine carceraria; uno svago, ma anche un percorso di reinserimento nella società, con la speranza di un lavoro, una volta scontata la pena. I detenuti sono impegnati per 20-25 ore a settimana e hanno uno stipendio di Circa 200-300 euro al mese. Secondo Alessandro Cini, funzionario area pedagogica della Casa di reclusione di Volterra, “l’attività del lavoro è un obiettivo anche individuale per l’invio di un aiuto economico a casa”. A Volterra le pene sono medio lunghe. La maggior parte delle persone recluse pensa alla fine della pena e il lavoro in sartoria rappresenta un istituto premiale. “L’apprendimento di un mestiere è un investimento su se stessi - spiega il detenuto D. R. - e il suo svolgimento aiuta a sperimentare le proprie capacità e a stimolare una riflessione”. “Ha la capacità - prosegue un altro detenuto - di dare dignità e fiducia e può far riflettere su come e dove vengono indirizzate le proprie energie e capacità”. Vuol dire infine, secondo il detenuto L. L., “sentirsi realizzati, cercare un’indipendenza economica, apprendere un’arte che potrebbe essere un lavoro per il futuro”. Iniziative del genere sono in essere anche a Bologna, presso la casa circondariale Dozza, in cui i carcerati sono impegnati nella raccolta differenziata dei rifiuti elettrici ed elettronici e guadagnano circa 500 euro al mese per quattro ore al giorno di lavoro. Il laboratorio è attivo da due anni e occupa tre uomini del reparto penale. Qui lavatrici e lavastoviglie arrivano intere e vengono suddivise tra plastica, rame e parti elettriche, poi smaltite da un consorzio. I detenuti sono stati sottoposti a un periodo di formazione, selezionati per competenza, conoscenza tecnica e velocità. Dopo il tirocinio e sei mesi di borsa lavoro del Comune, sono stati assunti dalla cooperativa sociale It2. “Questa attività - spiega Daniele Steccanella, responsabile Laboratorio Raee in carcere società cooperativa sociale It2 - permette di ottenere da un lato obiettivi di recupero ambientale, dall’altro il recupero sociale di persone che possono reintegrarsi e reinserirsi nella società; dati alla mano del ministero della Giustizia, in questi soggetti c’è un abbattimento della recidiva del 70 per cento”. Giustizia: Cassazione; ritardo udienza detenuto domiciliare per riparazione gomma è reato Ansa, 9 novembre 2011 La Corte di Cassazione mette sul “chi va là” tutti gli imputati agli arresti domiciliari. Niente “deviazioni” sulla tabella di marcia stabilita dal magistrato, nemmeno se la trasgressione dipende da una serie di sfortunate coincidenze. A stabilirlo è la sentenza n. 40510 dell’8 novembre 2011 depositata dalla Sesta Sezione Penale del Tribunale Supremo. Accade che un imputato ai domiciliari si debba recare in aula per un’udienza. Sfortunatamente, durante il tragitto, buca una gomma, e si ferma dal gommista per farla riparare. L’uomo, visto il conclamato ritardo era successivamente tornato a casa. Ma evidentemente, la cosa non è affatto piaciuta ai giudici. Naturalmente la “trasferta” verso l’aula di tribunale era stata regolarmente autorizzata dal magistrato di sorveglianza e l’imputato avrà pensato di avere un margine di tolleranza nella percorrenza del tragitto. Non per i giudici di secondo grado , né per quelli del Palazzaccio però, che lo hanno considerato assente ingiustificato. Si legge infatti nella sentenza: “l’imputato godeva di una autorizzazione di contenuto specifico e limitato, che prevedeva la possibilità di allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari per il solo tempo strettamente necessario a recarsi a presenziare all’udienza di un procedimento a suo carico. Egli doveva, recarsi all’udienza con altri mezzi e darne immediato avviso alle autorità di controllo e rientrare senza alcuno indugio e con i mezzi più spediti presso il proprio domicilio”. E prosegue infine: “l’assenza non comunicata all’udienza e il ritardo al rientro nell’abitazione hanno senza dubbio integrato la commissione del reato contestato. Il quale si realizza quale che sia l’allontanamento temporale e spaziale, e dal punto di vista soggettivo, richiede solo la consapevolezza dell’allontanamento e del provvedimento restrittivo. Nel caso di specie il ricorrente aveva senza dubbio il dovere e la possibilità di tenere un comportamento tale da evitare la riscontrata sua non presenza nel luogo di esecuzione degli arresti domiciliari”. Giustizia: Osapp; per le carceri meglio elezioni e nuovo parlamento che un governo tecnico Comunicato stampa, 9 novembre 2011 “Anche se nelle carceri italiane, da un mese, non viene superata la soglia delle 67.500 presenze detentive, come per il fiume Po a seguito del maltempo, quello che temiamo è l’arrivo di una ondata di piena che non possa essere arrestata e che travolga quel poco che ancora rimane della funzionalità penitenziaria.” ad affermarlo è l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) in una missiva a firma del segretario generale Leo Beneduci all’indirizzo dei Presidenti dei Gruppi Parlamentari di Camera e Senato. Secondo l’Osapp: “67.298 detenuti presenti per 45.572 posti-letto e con nove regioni (Calabria, Emilia Romagna, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Valle d’Aosta e Veneto) che hanno superato persino le capienze massime consentite, con 6.000 poliziotti penitenziari in meno su un organico di 45.109, 2.236 unità dei profili tecnici e amministrativi in meno su un organico di 8.737, circa 150 milioni di debiti su forniture e utenze per il 2011 e nel 2012 l’urgente necessità di reperirne altri 250, rendono evidente che solo le scelte coraggiose di governo stabile e duraturo possono fermare il disastro prossimo venturo delle carceri italiane”. “Passando da un piano-carceri irrealizzato e oramai di difficile realizzazione per mancanza di personale, per arrivare alla proposta di misure del tutto ininfluenti quali l’innalzamento da 12 a 18 mesi di pena residua per la detenzione domiciliare – prosegue il leader dell’Osapp – i gravi errori e i ritardi della politica non possono essere più recuperati attraverso l’azione di un Governo tecnico che non che non abbia il necessario e pieno consenso popolare”. “Per tali motivi e senza voler entrare in alcun modo nelle responsabilità istituzionali della più alta Carica dello Stato – conclude Beneduci – l’auspicio è che in tempo breve si addivenga alla formazione di un nuovo Parlamento e di un nuovo Governo che, sulla base della volontà popolare espressa, sappiano effettuare per le carceri e per il sistema giustizia scelte responsabili e risolutive a partire proprio da un provvedimento di amnistia i cui vantaggi, proprio il timore di una debacle elettorale, ha impedito sino ad oggi di considerare adeguatamente”. Giustizia: caso Uva; ignoti devastano l’abitazione del principale testimone della sua morte di Cinzia Gubbini Il Manifesto, 9 novembre 2011 Finestra sfondata, mobili rotti, cassetti aperti. Ma nessun furto. È inquietante la scena che si è trovata di fronte la mattina di venerdì Alberto Biggiogero. La casa dove abitò con il suo amico Giuseppe Uva a Varese, e che ancora usa anche se spesso dorme dai genitori che abitano giusto al piano di sopra, era stata distrutta senza un’apparente ragione. Biggiogero è il principale testimone sul caso della morte di Giuseppe. In molti ricorderanno la storia, venuta alla luce dopo la segnalazione dell’associazione A buon diritto: il 14 giugno del 2008 l’artigiano di 43 anni morì in ospedale dopo tre ore passate nella caserma dei carabinieri di via Saffi. Pino, così lo chiamavano parenti e amici, era stato fermato mentre vagava di notte per le strade della città, ubriaco, bisbocciando, insieme ad Alberto, suo amico da sempre. Che fin dal primo momento ha raccontato di aver vissuto un incubo dentro quella caserma, mentre assisteva a una via vai inspiegabile di polizotti e carabinieri, e soprattutto udiva le urla strazianti del suo amico e rumori come di colpi. Sulla morte di Pino è stata aperta un’indagine, ma il pm titolare dell’inchiesta, Agostino Abate, aveva individuato il “colpevole” della morte dell’uomo nello psichiatra Carlo Fraticelli, il medico che lo aveva preso in cura in ospedale, supponendo che la morte di Giuseppe sia stata causata dalla somministrazione dei medicinali sbagliati. Niente di niente, invece, sui presunti abusi subiti in caserma. Bigioggero non è mai stato chiamato a testimoniare. E come se non bastasse, poca o nulla rilevanza nell’inchiesta hanno avuto alcuni elementi oggettivi: sui pantaloni di Giuseppe ci sono tracce ematiche, e secondo le ultime novità addirittura di sperma. Pino era arrivato in ospedale senza slip, ma solo con pantaloni e una maglietta bianca. Le sue scarpe avevano le punte completamente consumate, forse a testimoniare una strenua resistenza, come mise a verbale un poliziotto. La famiglia Uva e Bigioggero hanno vissuto per quasi tre anni con terribili dubbi e sospetti, senza che nessuno si occupasse di questa vicenda. Che finalmente un paio di anni fa è venuta alla luce. L’attenzione mediatica sul caso, l’intervento dell’avvocato Fabio Anselmo - che ha seguito anche i processi Aldrovandi e Cucchi - il sostegno di associazioni come “Le loro voci”, fondata dai famigliari delle vittime della violenza di Stato, hanno di fatto cambiato il clima intorno alla vicenda. Proprio pochi giorni fa il giudice ha stabilito la necessità di riesumare il cadavere di Pino e di avviare una nuova perizia. Una svolta importante. A fronte di queste novità, contro Bigioggero stanno accadendo fatti strani. Subito dopo il servizio andato in onda nella trasmissione “Le Iene” due settimane fa aveva ricevuto una telefonata di minacce: “Vieni bene in video, ma guardati le spalle”. Non era la prima, alcune telefonate anonime erano arrivate anche un anno prima. Ma Alberto non aveva voluto drammatizzare. Ora l’effrazione, senza che sia stato portato via nulla degli oggetti di valore che pure c’erano: una videocamera, un televisore. La denuncia è partita. “Speriamo si possa far luce - dice Lucia Uva, la sorella di Pino - forse qualcuno ci vuole far paura. Ma noi andiamo avanti”. Giustizia: caso Cucchi; infermiera testimonia “mi disse che a picchiarlo furono i Carabinieri” Il Manifesto 9 novembre 2011 Continuano le udienze del processo per accertare le cause della morte del giovane Stefano Cucchi. Il romano 31enne, arrestato con l’accusa di spaccio e detenzione di sostanze stupefacenti, morì dopo un ricovero durato quattro giorni nel reparto penitenziario dell’ospedale Sandro Pertini. Imputati nel processo che si svolge in Corte d’Assise sono tre guardie penitenziarie, tre infermieri e sei medici. Ieri è stato uno di quei giorni in cui un testimone è venuto a confermare quanto detto durante la fase di indagine. Si tratta di una delle infermiere dell’ospedale Sandro Pertini, Silvia Porcelli: “Stefano Cucchi mi disse che qualcuno gli aveva menato e che erano stati i carabinieri - ha detto. Quando dissi a Stefano che avrei dovuto chiamare gli agenti come testimoni di quello che mi diceva - ha aggiunto Porcelli - lui, mentre stavo per uscire dalla stanza, mi disse “non chiamare nessuno, tanto non lo ripeto”. Da quel momento ha cominciato a negare tutto, anche il fatto che aveva già detto di essere celiaco”. Ieri in aula è stato anche visto un video dei sotterranei delle celle del tribunale, dove secondo i pm Cucchi fu picchiato dagli agenti penitenziari, pestaggio suffragato dalla testimonianza Yaya Samura già raccolta in incidente probatorio. La difesa degli agenti ritiene che da quella posizione era impossibile vedere. Mentre secondo i pm la visuale era adeguata. Giustizia: in carcere i Raee diventano opere d’arte da esposizione www.rinnovabili.it 9 novembre 2011 Dalla collaborazione tra le carceri e il Consorzio di recupero dei Raee nascono i laboratori artistici che hanno dato vita ad istallazioni interamente realizzate con rifiuti elettronici, in mostra ad Ecomondo. Da rifiuto ad opera d’arte. Seguendo questa linea di pensiero i detenuti della casa circondariale di Forlì e Bologna hanno realizzato una serie di opere d’arte utilizzando come materia prima i Raee. Dall’ingegno sono nati una giostra, un pesce e un settimino interamente composti da rifiuti elettronici che verranno presentati grazie alla collaborazione del Museo del Riciclo in occasione della quindicesima edizione di Ecomondo, che apre le porte oggi a Rimini. Le istallazioni, realizzate grazie all’organizzazione dei laboratori Raee gestiti all’interno delle carceri grazie alla collaborazione delle cooperative sociali Gulliver e IT2 e dell’associazione Recuperiamoci veicolate in fiera dall’iniziativa di Ecolight il “Museo del Riciclo”. “Abbiamo deciso di ospitare le opere nate all’interno del progetto Raee in carcere, un’iniziativa importante sotto il profilo sociale e ambientale dove, attraverso il disassemblaggio dei rifiuti elettronici viene data una solida opportunità di lavoro alle persone in esecuzione penale”, ha specificato Walter Camarda, presidente di Ecolight, consorzio per la gestione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, pile e accumulatori, e che è partner del laboratorio di Forlì. “Dopo la positiva esperienza dell’anno scorso, in occasione di Ecomondo il Museo del Riciclo si trasforma da portale web a spazio concreto da visitare. E si apre al tema del sociale. L’arte che nasce dai rifiuti diventa occasione per una rieducazione, nel rispetto dell’ambiente e nel rispetto della legalità”. “Portiamo un messaggio di valore in quella che è la più grande vetrina dedicata all’ambiente”, prosegue il presidente di Ecolight specificando che il Museo, nato un anno e mezzo fa, ha lo scopo di dare lavoro ad artisti che hanno a disposizione materiali di riciclo, in particolare impiegando rifiuti derivanti da materiale elettrico o elettronico. I Raee diventano quindi una risorsa e insieme una sfida per l’Italia e l’Europa nel raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio e di riuso. “Partendo dalla consapevolezza che gli oggetti elettronici caratterizzano quasi ogni momento della nostra vita, diventa quindi necessario raccoglierli e riciclarli non solamente per fornire importanti materie prime seconde, ma anche limitare la dispersione di sostanze inquinanti”, continua il direttore generale del consorzio Ecolight, Giancarlo Dezio. A Ecomondo in mostra le opere detenuti realizzate con Raee Una giostra, un pesce e un settimino realizzati con rifiuti elettronici. Sono le opere fatte dai detenuti dei laboratori Raee in carcere gestiti dalle cooperative sociali Gulliver e IT2, in collaborazione con l’associazione Recuperiamoci. Alla quindicesima edizione di Ecomondo, il Museo del riciclo (www.museodelriciclo.it) del consorzio Ecolight presenta l’arte che arriva dalle case circondariali di Forlì e Bologna. “Abbiamo deciso di ospitare le opere nate all’interno del progetto Raee in carcere, un’iniziativa importante sotto il profilo sociale e ambientale dove, attraverso il disassemblaggio dei rifiuti elettronici viene data una solida opportunità di lavoro alle persone in esecuzione penale”, precisa Walter Camarda, presidente di Ecolight, consorzio per la gestione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, pile e accumulatori, e che è partner del laboratorio di Forlì. “Dopo la positiva esperienza dell’anno scorso, in occasione di Ecomondo il Museo del riciclo si trasforma da portale web a spazio concreto da visitare. E si apre al tema del sociale. L’arte che nasce dai rifiuti - questo il tema centrale del Museo del Riciclo - diventa occasione per una rieducazione, nel rispetto dell’ambiente e nel rispetto della legalità”. Accanto alle opere realizzate dai laboratori di Raee in carcere, il Museo presenta anche alcune installazioni che sono state presentate all’ultima edizione del concorso internazionale di pittura e design “Rifiuti in cerca d’autore”. Tra queste, “Mediterraeneo” di Paolo Nicodemo, vincitrice del premio Ecolight quale miglior opera fatta con i rifiuti elettronici, ma anche “Tree of Life” di Davide Lazzarini, “Lampadoro” della statunitense Giorgia Smith e Compostuter di Giulia Conti e Leda Sacchetti. Assoluta novità sono invece “Electronic flower”, “Social Network: comunicare, emozionarsi”, “Calma apparente” e “Deva di bambù” opere che Olga Marciano e Giuseppe Gorga hanno realizzato appositamente per il Museo del Riciclo in occasione di Ecomondo 2011. Sono solo “assaggi” delle oltre 250 opere realizzate con materiali riciclabili e selezionate da una giuria di giornalisti professionisti che il Museo del riciclo custodisce nella sua sede virtuale: il portale www.museodelriciclo.it. Presso lo stand, sarà possibile esprimere la propria preferenza per l’opera che piace di più attraverso Facebook: ogni giorno, ai primi 150 sarà regalata una luce da lettura firmata Ecolight. “Portiamo un messaggio di valore in quella che è la più grande vetrina dedicata all’ambiente”, prosegue il presidente di Ecolight. “Il progetto Museo del Riciclo è nato un anno e mezzo fa con il preciso scopo di dare valore al lavoro dei molti artisti che, utilizzando materiali di scarto, arrivano a realizzare delle opere. È un modo per stimolare e accrescere la sensibilità sul tema dei rifiuti, in particolare sui rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche”. I Raee infatti rappresentano una delle sfide più interessanti per l’Europa e l’Italia. “Partendo dalla consapevolezza che gli oggetti elettronici caratterizzano quasi ogni momento della nostra vita, diventa quindi necessario raccoglierli e riciclarli non solamente per fornire importanti materie prime seconde, ma anche limitare la dispersione di sostanze inquinanti”, continua il direttore generale del consorzio Ecolight, Giancarlo Dezio. Con il laboratorio Raee in carcere, accanto a queste finalità, si aggiunge lo scopo sociale: permettere il reinserimento lavorativo delle persone in esecuzione penale. Dall’avvio della sperimentazione (settembre 2009) il laboratorio di Forlì ha impegnato complessivamente 6 persone detenute, di cui 3 assunte. Complessivamente, il laboratorio ha lavorato circa 300 tonnellate di Raee. Lettere: la speranza… anche dietro le sbarre di Samuele Govoni La Nuova Ferrara, 9 novembre 2011 Il carcere, per definizione, è il luogo dove le persone che hanno commesso reati devono scontare la loro pena e, spesso, è considerato una “struttura a parte”, al di fuori della società. Non è così. Negli ultimi anni si è provato in diversi modi se non ad abbattere, perlomeno a ridurre quelle barriere che isolano i detenuti dalla vita sociale; non si può parlare di reinserimento nella società se coloro che stanno all’interno della Casa circondariale ignorano com’è la vita al di fuori di essa. Ormai da parecchio tempo si stanno cercando metodi alternativi, da affiancare alle norme vigenti, per la riabilitazione di un individuo. Il settore culturale si fa sentire e fa la sua parte. Leggere, scrivere e studiare può servire a migliorare la propria condizione. Può dare la possibilità di esaminare la situazione presente e passata, valutare le proprie scelte, le conseguenze di ciò che si è fatto e cercare di capire cosa si può fare adesso per proseguire la vita in maniera efficiente e non soltanto stando sdraiato su una branda ad aspettare un giorno, facendo scorrere un tempo, che sembra infinito. L’altro ieri, alla Casa circondariale di Ferrara, si è tenuto un appuntamento molto importante; il detenuto Giuseppe Calabrò ha presentato il suo libro che racconta fatti e avvenimenti da lui vissuti. “Attraverso la scrittura e la riflessione, l’individuo, ha intrapreso un processo di introspezione molto utile ad esaminare e capire la sua posizione. - spiega Francesco Cacciola, direttore del carcere. Oltre alla buona condotta e allo svolgimento delle attività all’interno del carcere, la scrittura può aiutare moltissimo a riacquistare un contatto con il mondo esterno e intraprendere un vero e proprio percorso di reinserimento”. Il detenuto, presente nel carcere di Ferrara da undici anni, sta scontando due distinte condanne all’ergastolo per gravissimi reati, tra cui quattro omicidi volontari. Con questo libro “Una scia di sangue”, Calabrò, si propone di sensibilizzare i giovani perché non ascoltino le sirene dei facili guadagni e le suggestioni delle armi. Alla presentazione del testo, oltre a al direttore, hanno partecipato il senatore Filippo Berselli; Rosanna Buscemi, vicario del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria; Agostino Siviglia, in rappresentanza del garante dei Diritti dei Detenuti Giuseppe Tuccio, che ha curato la presentazione del libro e le istituzioni cittadine. “Ci auguriamo che questo non sia un caso sporadico, ma la prima di altre iniziative qui all’Arginone - conclude Cacciola. Sono momenti importanti per i detenuti e per noi che lavoriamo all’interno di queste strutture, e vanno incentivati”. Brescia: Federfarma regala 1.600 kit di igiene orale ai detenuti di Verziano e Canton Mombello Brescia Oggi, 9 novembre 2011 La rieducazione del detenuto inizia anche dall’igiene orale. Prendersi cura di sé è il primo passo per smussare i lati appuntiti e diventare persone migliori. Favorire il reinserimento sociale anche con spazzolino e dentifricio è il semplice gesto che i 1.600 kit donati da Atf Federfarma Brescia ai due istituti di detenzione cercano di valorizzare dando anche un sostegno concreto. “Un gesto molto utile che ci consente di dotare tutti i detenuti dell’essenziale per l’igiene orale, e di metterne da parte un quantitativo per chi arriverà in futuro, spesso in condizioni di indigenza che impediscono di provvedere a queste necessità”, sottolinea la direttrice di Canton Mombello, Francesca Gioieni, affiancata da Francesca Paola Lucrezi, direttrice di Verziano. “Abbiamo incontrato operatori e un ambiente di grande umanità e professionalità e per noi, che siamo a contatto quotidiano col pubblico, è emersa la necessità di comunicare all’esterno quello che avviene dietro le porte del carcere”, dice la presidente di Atf Federfarma Brescia, Clara Mottinelli. A Canton Mombello l’ufficializzazione della donazione è diventata occasione per presentare un mondo sconosciuto ai più, ma carico di problematiche quotidiane da affrontare: quello della sanità penitenziaria che dalla fine del 2008 viene gestita dagli Spedali Civili. Attorno ai due centri sanitari a Canton Mombello e Verziano ruota un’équipe di 13 infermieri e 11 medici, cui vanno aggiunti i diversi specialisti che intervengono a seconda delle necessità. “Tutte persone motivate da professionalità ed empatia particolari per lavorare al meglio nel contesto penitenziario”, assicura il direttore generale del Civile, Cornelio Coppini. La postazione sanitaria in carcere è come un piccolo pronto soccorso. Si affrontano detenuti in crisi di astinenza, con psicopatologie o malattie di ritorno come la tubercolosi, “i pazienti seguiti sono oltre 670: tutti i detenuti almeno una volta passano in ambulatorio”, evidenzia Lucrezi. Oltre a combattere le malattie, bisogna anche far fronte al fuoco amico, perché gli ospiti non sempre vogliono guarire, e usano la propria salute come arma di ricatto o contrattazione, o come mezzo di simulazione: per questo è fondamentale la funzione di filtro svolta dagli operatori per capire le reali necessità sanitarie. Ed è anche per questo che infermieri e assistenti sanitari non ci stanno all’immagine di Canton Mombello veicolata da un recente servizio televisivo, concordando sulle criticità (sovraffollamento, presenza del 70 per cento di detenuti extracomunitari e di tossicodipendenti) ma rivendicando l’impegno e le competenze di chi opera per assicurare l’assistenza “qui, non meno di quanto avviene in qualunque altro contesto sanitario”. Ogni giorno dall’area sanitaria di Canton Mombello passano circa 150 detenuti, a Verziano la metà, senza contare le 2-3 traduzioni quotidiane per approfondimenti diagnostici o speciali necessità dal penitenziario di via Spalto San Marco al Civile, dove sono allestiti anche 4 posti letto dedicati ai detenuti. In carcere naturalmente si fa anche prevenzione, con gli screening sulla Tbc e quelli oncologici (tumore al seno, cervice uterina, colon retto) che l’Asl propone a tutta la popolazione. A dicembre, inoltre, arriverà la Carta dei servizi sanitari che verrà consegnata a ciascun detenuto per illustrare le tutele e le modalità di assistenza in carcere. Tutto questo come monito a ricordare, per dirla col garante dei detenuti Emilio Quaranta, che “i reclusi non sono degli esclusi, ma cittadini diversamente liberi”. Nuoro: l’ovile diventa scuola di vita e rieduca, chi ha sbagliato, al rispetto della legalità La Nuova Sardegna, 9 novembre 2011 Chissà quanto avrebbe gioito Salvatore Satta, autore de “Il giorno del giudizio” nel vedere che la “tanca” un tempo della sua famiglia - quella di Badde Manna, celebrata da Grazia Deledda - non è solo un ovile con orto e nemmeno un impervio costone di querce e graniti. Questo canyon sotto Nuoro - dove il decoro rurale è un esemplare e inedito biglietto da visita tra gerani in fiore e il profumo inebriante dell’erba Luisa - da alcuni anni è fattoria didattica. È un ovile-scuola perché accoglie oltre duemila studenti all’anno da tutta l’Isola e anche dal Nord Est sotto le Alpi. Il salto di qualità è avvenuto da pochi mesi, con la promozione a fattoria sociale dopo l’imprimatur di ministeri e tribunali, magistrati psicologi e pedagogisti. In mezzo a ettari sotto la vista dell’Ortobene da una parte e il Corràsi dall’altra si educano “le persone che hanno sbagliato” e che lontano dalle sbarre di un carcere - come da Ettore Cannavera a Serdiana o da Salvatore Morittu a Siligo - possono “rifarsi davvero una vita imparando bene un mestiere” per rientrare “a testa alta” nella società. Sembra una nemesi più che positiva della storia sarda, della lotta tra borghesia compradora e classi subalterne. Se Salvatore Satta, con la sua lucida radiografia, scriveva che “il problema di Nuoro era che ognuno viveva per conto suo” oggi - almeno in questa bella storia - si può dire esattamente il contrario. A Badde Manna l’egoismo ha conosciuto la metamorfosi dell’altruismo. L’interesse privato si è trasformato in interesse collettivo. La monocultura pastorale è diventata versatilità di impresa. Chi era servo nelle terre dei nobili-Satta oggi ne è diventato padrone a pieno titolo. E ha spalancato le porte alla prima social farm della provincia di Nuoro dove gli ospiti utilizzano una borsa lavoro in tandem col Centro della giustizia minorile, i Servizi sociali della Regione, la Fondazione Banco di Sardegna e la Coldiretti. Tra pecore e mucche, maiali e cavalli, si muovono anche due ragazzi di Orgosolo, Mauro di 18 e Mario di 17 anni. Sono eleganti e simpatici, un bel sorriso. Stanno cavalcando due bellissimi cavalli bianchi, Amsicora e Sansone. Hanno stile nello stare in groppa, hanno metodo nel sellare i puledri. La loro autentica balentìa è diventata il metodo nel lavoro, la precisione e l’igiene nel confezionare il formaggio o il prosciutto, la pulizia meticolosa degli animali, dare regolarmente la pastiglia a un cane che si è ferito, preparare le camere dell’annesso Bed and Breakfast sotto lo sguardo di Maria Paola di Bonnanaro, compagna solare di Gigi Sanna, il regista di questa impresa socio-economica. Gigi Sanna, 44 anni, all’anagrafe Luigi Antonio in omaggio ai nomi dei nonni paterni di Nuoro e materni del Sarrabus, è pastore-allevatore a tutto tondo. Pastore da xilografia di Giovanni Dotzo o Stanis Dessì perché ha la barba folta e nera di quei pastori-mito, il portamento, il loro dna, anche la voce baritonale anziché no. Munge le pecore e le porta al pascolo. Fa il salumiere e l’orticoltore. A giorni raccoglierà i cachi. Si fa aiutare da Silvio, ragazzo romeno di Galati, 26 anni, in Sardegna da sei, prima a Tertenia poi a Ulassai e adesso nel cuore della Barbagia a “lavorare con Gigi” e poter dire “ci lavoro e ci sto bene, ho imparato tante cose, e non solo a mungere o a preparare ricotta e casizzolu”. Perché il maestro è anche il leader del complesso musicale “Istentales” dal nome sardo della costellazione Orione, quella che guida i pastori dal tramonto all’alba. Un musicista in gambales che, da anni ormai, i concerti li fa non solo nelle piazze in festa ma nei cortili delle carceri di tutt’Italia, a Buocammino o Badùe Carros, a Regina Coeli e Rebibbia, tra pochi mesi sarà di scena a Milano San Vittore. Un giornalista della Nuova Sardegna, Luciano Piras, ci ha scritto un libro-cult, “Liberi dentro”. Qui i ragazzi sono Liberi e anche Fuori. Ecco perché è stato facile accogliere la proposta del ministero della Giustizia e del dottor Sandro Marilotti (Centro minorile di Quartucciu) per utilizzare l’azienda-ovile anche come fattoria didattica. Davanti a una roverella secolare, quasi sfidando Emmanuel Kant, dice che si può raddrizzare ogni “legno storto”. Basta volerlo. “Purché si offrano chances di riscatto”, dice Gigi Sanna mentre fischiando e urlando richiama nella stalla le sue trecento pecore. “Le campagne vengono popolate, i ragazzi apprendono un mestiere nobile e utile e si avvia soprattutto un ricambio generazionale. L’età media dei nostri pastori viaggia tra i 60 e i 65 anni. Qui accogliamo minorenni o quasi e sono entusiasti di lavorare all’aperto, di stare a contatto con la natura, di lavorare in stalla, di avere la camera dove leggere un libro o un giornale, di commentare insieme un film visto in cassetta. Da poco abbiamo riguardato “Le mani sulla città”. È stato un momento esaltante. I minorenni di oggi diventeranno così gli imprenditori di domani. Creando le professionalità in Sardegna anche per una zootecnia innovativa”. Gigi Sanna racconta la sua vita “ritto sovra un ciglione erboso”, come diceva la Deledda raccontando i suoi personaggi in “Canne al vento” o in “Elìas Portòlu”. Nasce a Nuoro, rione Sèuna, primo di quattro fratelli: Gianluca lavora con Gigi, Bastiano fa il vigile del fuoco, Mariella insegna a Olbia. Le elementari alla Podda con “un grande maestro, Francesco Olla”. La vita, da bambino in fasce, a Badde Manna dove “mia mamma è nata e dove noi eravamo servi degli eredi Satta”. Le medie alla numero 2, quelle di Elena Melis, la preside sorella dei sardisti Titino Pietro e Mario. Superiori, off course, all’Agrario dove “ho la fortuna di trovare insegnanti che amavano davvero la campagna e ne conoscevano le regole economiche: Dario Capelli docente di Zootecnia, Angelino Spano di Chimica, Francesco Mura di Matematica, l’unica insegnante che non mi andava a genio era quella di italiano, una siciliana di cognome Unìa, autentica classista. Ma gli anni all’Agrario sono stati fondamentali, ho fatto l’errore imperdonabile di non concludere gli studi. Si può lasciare un concerto a metà? Si può non fare la mungitura completa?”. Dai banchi di scuola all’ovile. “Sentivo la voglia di riscatto dei miei nonni e dei miei genitori sfruttati per secoli. Volevo cancellare la condizione di servilismo. Un esempio: i miei avi raccoglievano 13-14 carri di legna, un carro era per noi, tutto il resto per i padroni. Idem per gli altri tipi di raccolto, latte o ortaggi poco cambiava. Mia nonna materna, zia Bustianedda Canale, aveva venduto tutto il rame di cucina per potersi finire la casa. Noi abbiamo rischiato. Ci siamo indebitati fino al collo ma queste terre ora sono nostre. Mio padre non l’avrebbe mai fatto, era figlio di Su Connottu. Sono soddisfatto. Certo, lavoro sedici ore al giorno, ma non mi pesano”. Trecento pecore. Il latte conferito per due terzi alle fattorie Girau di San Gavino (“porto a casa 60 centesimi al litro, come tutti gli altri pastori sardi”). Un terzo viene trasformato in azienda. E diventa, con gli altri prodotti, la base dei cibi per l’agriturismo “dove il pane è fatto in casa, la pasta pure, idem i ravioli, la carne cucinata è solo quella del nostro allevamento, e così valga per i dessert o per le marmellate di fichi o fichidindia, i liquori al carrubo o alla liquirizia. Mia mamma Anna è una maga, aiutata da Maria Paola: sanno dare un tocco di eleganza a una tavola imbandita in campagna”. La pastorizia oggi: “Deve uscire dalla monocultura. Il pastore non può vivere di solo latte venduto, occorre aguzzare l’ingegno, fermo restando che il prezzo del latte è scandaloso. La fattoria didattica aiuta, ci spinge anche a essere più ordinati, più rispettosi per l’ambiente. Ed è bello vedere scolari che imparano qui a farsi il formaggio, che capiscono che il latte non lo dà il frigorifero ma la mammella di una pecora o di una vacca”. E il complesso musicale Istentales? Dovunque ci si muova ti ritrovi tra pianoforte e chitarre, cd e microfoni, libri e spartiti. Ma è un’altra storia scattata nel 1995 con Luca Floris, Tattino Canova, Daniele Barbato, Luca Chessa e Giampiero Carta. Ora c’è anche Davide Guiso. Gruppo di musica etnica, la Sardegna del disagio sociale, sequestri e faide, furti e rapine, animali uccisi per vendetta e bambine innocenti fucilate sul balcone di casa. La musica per esorcizzare vendette e odio. Anche con la musica l’egoismo diventa altruismo. Bologna: Sappe; ci tolgono pure fotocopiatrice… mancano soldi per rinnovare comodato d’uso Dire, 9 novembre 2011 Ieri la denuncia sui mezzi nuovi, ma fermi o bloccati perché mancano i soldi per le riparazioni, oggi un nuovo esempio di come “la situazione delle carceri peggiori ogni giorno di più”: questa mattina, alla Dozza di Bologna, “è stata ritirata una macchina fotocopiatrice dalla ditta proprietaria, perché l’amministrazione penitenziaria, che aveva la macchina in comodato d’uso, per mancanza di fondi non riesce a rinnovare il contratto, scaduto in aprile”. A segnalare il caso è, ancora una volta, Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe. L’esponente del sindacato di Polizia penitenziaria è sconsolato: “Dopo i mezzi di trasporto dei detenuti, fermi per mancanza di fondi, adesso non potremo più fare neanche le fotocopie. Si tratta di un’altra dura umiliazione per un’amministrazione che gestisce un settore importante, anzi fondamentale dello Stato”, scrive in una nota. Il Sappe chiede poi che “vengano eliminati i tagli a questo settore ed a quello della sicurezza in generale, un comparto che necessita, invece, di un adeguato incremento delle risorse, per poter assolvere ai compiti istituzionali e garantire la sicurezza dei cittadini e l’esecuzione della pena di quanti condannati o, comunque, ristretti nelle carceri italiane”. Ascoli: detenuti-giardinieri, una giornata ecologica per favorire il reinserimento sociale Corriere Adriatico, 9 novembre 2011 “È stata una giornata davvero unica. Vedere tre detenuti che, armati di rastrelli, scope e decespugliatori, pulivano la scalinata dell’Annunziata, è stata una bella esperienza” ha commentato il sindaco Guido Castelli che con il Consigliere comunale Francesco Ciabattoni e il direttore del carcere, Lucia Di Feliciantonio, ha seguito le varie fasi di questa giornata. “Un’occasione di reinserimento nella vita sociale e, al contempo, di tutela di un bene comune” ha proseguito il primo cittadino ascolano che nelle scorse settimane aveva aderito alla proposta avanzata dal Consigliere comunale Francesco Ciabattoni per lo svolgimento di una giornata ecologica nello spirito dell’articolo 18 della legge sull’ordinamento penitenziario. Così, grazie anche alla disponibilità della dottoressa Di Feliciantonio, una volta ottenuto il parere favorevole del magistrato di sorveglianza, tre detenuti sono usciti dal carcere di Marino del Tronto per trascorrere una giornata lavorativa all’aperto. Il carcere non può essere la solita risposta alla pena anche perché il risultato è quello di avere migliaia di detenuti in più rispetto a quanti ne potrebbero accogliere le strutture penitenziarie e allora ecco che si stanno moltiplicando le iniziative a forte valenza sociale che vede i detenuti impegnati in attività volte ad un futuro reinserimento sociale. Con questa iniziativa non solo si è offerto ai detenuti un riconoscimento della loro buona condotta ma è stato anche un modo per mantenere uno spazio verde nella città. Parma: a Susanna Magistretti (coop Cascina Bollate) il Premio San Martino 2011 www.parmaoggi.it, 9 novembre 2011 È Susanna Magistretti la vincitrice dell’edizione 2011 del Premio San Martino, il riconoscimento che la Provincia di Parma assegna ogni anno a persone che si sono distinte per la tutela e la valorizzazione della biodiversità. Dopo Libereso Guglielmi, Carlo Petrini e Vandana Shiva, la scelta della Provincia è dunque caduta sulla “maestra giardiniera di Bollate”, fondatrice e presidente di una cooperativa in cui giardinieri liberi e detenuti lavorano insieme in carcere coordinati da lei e da altri esperti; duplice l’obiettivo: da un lato costruire un vivaio di piante erbacee e arbusti con essenze rare e antiche (un vivaio che si autosostenti anche economicamente, che sia cioè anche un’attività economica), e dall’altro svolgere la funzione di “recupero sociale” dei detenuti fornendo loro una professionalità da spendere in ambito agricolo e florovivaistico. Susanna Magistretti riceverà il Premio San Martino sabato 12 novembre all’Auditorium del Carmine (via Duse, 1) dalle mani del vice presidente della Provincia Pier Luigi Ferrari. Lo farà nel corso di una mattinata interamente dedicata alla biodiversità, nella quale converserà davanti al pubblico presente con il giornalista Massimo Cirri, conduttore di Caterpillar di Radio 2 (trasmissione che promuove da sempre iniziative legate alla tutela ambientale) sul tema “La passione etica della biodiversità”. Con loro ci saranno anche gli agricoltori e allevatori custodi di Parma, impegnati a recuperare, con il sostegno della Provincia, l’infinita varietà di frutti, animali e vegetali di cui il Parmense era ricco. I rappresentanti dell’Associazione Agricoltori e allevatori custodi consegneranno a Susanna Magistretti i semi della biodiversità parmense. La mattinata prenderà il via alle 10 con i saluti dell’assessore alle Pari opportunità della Provincia di Parma Marcella Saccani. Alle 10,30 la consegna del premio a Susanna Magistretti. Alle 11 la conversazione di Susanna Magistretti e Massimo Cirri. L’appuntamento si concluderà alle 12 con la proiezione del video “Viaggio nella biodiversità parmense”, curato dalla Provincia. Susanna Magistretti Laureata in Storia Moderna nel 1976, Susanna Magistretti nel 1990 lascia il mestiere di pubblicitaria per fare quello di giardiniera, insegnando pratica del giardinaggio: la passione per il “suo giardino” la porta a sperimentare e conoscere situazioni nuove, anche a livello internazionale, in materia di biodiversità agraria e ornamentale, e lavorando sul campo si forma ad una cultura che le cambierà la vita. Nel 1999 fonda l’Associazione “Attraverso il giardino”, che si occupa di divulgazione nel settore del giardinaggio. Collabora con numerose riviste specializzate del settore e dal 2002 si dedica alla formazione in carcere, prima a San Vittore, poi a Bollate, dove lavora tuttora. Nel 2007 avvia la cooperativa sociale “Cascina Bollate”, della quale è presidente; qui giardinieri liberi e detenuti lavorano insieme con l’obiettivo di costruire un vivaio di piante erbacee perenni e soprattutto formare veri esperti giardinieri e non solo semplici esecutori. Inoltre, nell’area esterna del carcere, viene messo in opera un giardino didattico, dove è possibile mettere in pratica gli insegnamenti teorici appresi nei corsi. Il lavoro della “Cascina” in questi anni ha portato ad un “capitale” di piante rare, in via di estinzione e antiche che si aggira intorno alle 70mila unità, oltre ad essere diventato un centro di riferimento per formazione e divulgazione su queste tematiche. In tutto ciò Susanna Magistretti ha mostrato come la salvaguardia della biodiversità possa essere anche un momento di rinascita sociale. Lanciano (Aq): “raccolta differenziata” in carcere, è stato fatto un passo avanti www.lanciano.it, 9 novembre 2011 “L’accordo raggiunto con l’amministrazione carceraria rappresenta un passo avanti rispetto a quello della precedente amministrazione”: anche l’assessore comunale all’Ambiente Evandro Tascione ribatte all’ex sindaco Filippo Paolini, che aveva preso spunto dalla questione per accusare la giunta guidata da Mario Pupillo di immobilismo. “La convenzione prevede una raccolta differenziata spinta”, spiega Tascione, “oltre alla semplice raccolta differenziata costituita da un eco punto all’interno del carcere, è prevista anche una partecipazione attiva dei detenuti e del personale di polizia penitenziaria, sanitaria e infermieri Asl”. “In particolare per i detenuti è stata prevista l’operazione di differenziazione direttamente in cella dopo una formazione sulle tipologie di rifiuti differenziabili e con contestuale consegna di appositi contenitori”, continua l’assessore, “i rifiuti differenziati vengono trasferiti nei bidoni dell’eco punto e nei cassoni aggiunti appositamente per essere poi trasportati negli impianti di recupero”. Sulla gestione dei rifiuti e la pulizia cittadina da parte dell’Ecologica Sangro, Tascione precisa che “è una problematica importante e complessa che non può trovare soluzione in pochi mesi: semmai il problema avrebbe dovuto già trovare soluzione sotto la precedente amministrazione, dato che da oltre un decennio è operante il codice ambientale”. “La situazione ereditata è risultata subito critica, anche alla luce del lacerato rapporto con la stessa Ecologica”, aggiunge l’assessore, “questa amministrazione sta cercando di recuperare, nei limiti del possibile, un contratto d’appalto costruito su rapporti di forte contrasto con la società e nel contempo sta valutando la possibilità di una rimodulazione dello stesso, nel rispetto dei impegni contrattuali, al fine di avviare una raccolta differenziata porta a porta così come previsto nel programma elettorale”. Napoli: Osapp; sventato il suicidio di un detenuto a Santa Maria Capua Vetere Adnkronos, 9 novembre 2011 “All’alba di questa mattina è stato sventato presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere il tentativo di suicidio di un detenuto italiano di 36 anni e con fine pena nel 2016”. A darne notizia è l’Osapp, Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria. “Il tentativo di suicidio, con un lenzuolo legato alle grate - spiega il segretario generale Leo Beneduci - sarebbe seguito a una colluttazione tra i detenuti del giorno precedente e non sarebbe giunto a compimento solo grazie all’immediato intervento dell’agente di polizia penitenziaria in servizio nella sezione richiamato dai rumori provenienti dalla cella”. “Come sindacato dei poliziotti penitenziari - prosegue il leader dell’Osapp - siamo più che soddisfatti che gli appartenenti al Corpo riescano ad intervenire con tale prontezza anche in un carcere, quale quello di Santa Maria Capua Vetere, che può considerarsi un vero e proprio inferno non solo per il numero di detenuti (900 presenze per una capienza massima tollerabile di 858) e per la gravissima una carenza di organico di 90 unità pari al 20% in meno, ma anche in ragione dell’altissimo numero di ristretti legati a fazioni della criminalità organizzata in guerra tra loro”. “Peraltro - conclude Beneduci - anche sul restante territorio nazionale nonostante una carenza di organico nella polizia penitenziaria di portata epocale e pari ad oltre 6.000 unità sulle 45mila previste e malgrado i 67.300 detenuti presenti per 45.500 posti, proprio grazie allo spirito di sacrificio ed al senso del dovere dei poliziotti penitenziari hanno esito infausto meno del 5% dei tentativi di suicidio nella popolazione detenuta”. Volterra (Si): dal 18 novembre ricominciano le “Cene Galeotte” nella Casa di Reclusione In Toscana, 9 novembre 2011 Sarà Igles Corelli, chef di fama internazionale, ad aiutare in cucina i detenuti della Casa di Reclusione di Volterra nella preparazione di un menu d’autore per il primo appuntamento delle Cene Galeotte 2011/12 Sono bastati pochi giorni dalla comunicazione del nuovo programma delle Cene Galeotte, per intasare il centralino delle prenotazioni. Alla base del successo l’idea rivoluzionaria di aprire un carcere, quello di Volterra (PI), per dare la possibilità ai detenuti di realizzare una cena aperta al pubblico, creando un evento dalla forte carica sociale ed emotiva. Un momento, quello delle cene, molto sentito dai carcerati stessi, ma anche dai partecipanti esterni, che prenotandosi, possono varcare la soglia della Fortezza Medicea, dove a sede la Casa di Reclusione, e vivere così un’esperienza unica. Per il primo appuntamento del nuovo ciclo delle Cene Galeotte, che vedrà i detenuti impegnati nella preparazione di otto cene d’autore realizzate con cadenza mensile da novembre 2011 fino a giugno 2012, in cucina a dar manforte ai carcerati ci sarà uno chef dalla fama internazionale come Igles Corelli, da un anno alla guida del ristorante Atman di Pescia (Pt). Un aiuto importante per la realizzazione di un menu d’autore, che come consuetudine inizierà con un piacevole aperitivo consumato all’interno del cortile, nello spazio sotto le antiche mura. Nella cappella, invece, trasformata per l’occasione in una sala da pranzo con tanto di candele, camerieri/carcerati dall’impeccabile servizio, sarà servito il resto della cena composto da cinque emozionanti portate pensate da Igles Corelli e realizzate dai detenuti. Ad accompagnare i piatti, i vini offerti dall’azienda Morisfarms di Massa Marittima (Grosseto) serviti dai sommelier della Fisar di Volterra. Il ricavato della cena, 35 euro il prezzo a persona, come sempre sarà integralmente devoluto alla campagna internazionale “Il Cuore si scioglie” (www.ilcuoresiscioglie.it), che dal 2000 vede impegnata Unicoop Firenze, insieme al mondo del volontariato laico e cattolico nella realizzazione di progetti umanitari. L’iniziativa, giunta alla sesta edizione, è realizzata grazie ad Unicoop Firenze, che come ogni anno fornirà le materie prime e assumerà i detenuti retribuendoli regolarmente, in collaborazione con il Ministero di Grazia e Giustizia, la direzione della Casa di reclusione di Volterra, la direzione artistica del giornalista e critico enogastronomico Leonardo Romanelli e il supporto comunicativo dello Studio Umami (www.studioumami.com). Un ruolo fondamentale è ricoperto dalla Fisar delegazione di Volterra, che oltre al servizio vini seleziona le otto aziende che offriranno i prodotti in abbinamento al menu. Calendario delle cene 2011/12 Apertura pubblico 19.30 - inizio cena ore 20.00 - Costo € 35,00 Ogni appuntamento avrà un azienda vinicola protagonista che metterà a disposizione i suoi vini in abbinamento al menu realizzato per l’occasione. 18 novembre 2011 Igles Corelli Ristorante Atman - Pescia (PT) Cantina: Morisfarms - Fattoria Poggetti - Massa M.ma (GR) - www.morisfarms.it 16 dicembre 2011 Andrea Mattei Ristorante Magnolia Hotel Lord Byron - Forte dei Marmi (LU) Cantina: Poggio al tesoro - Bolgheri (LI) - www.poggioaltesoro.it 20 gennaio 2012 Andrea Bianchini – La Bottega del Cioccolato (Firenze) Giuseppe Calabrese – Critico gastronomico della guida “I Ristoranti d’Italia” de L’Espresso Alessandro Frassica – ‘Ino (Firenze) Cantina: Tenuta Argentiera - Bolgheri (LI) - www.argentiera.eu 24 febbraio 2012 Sergio Maria Teutonico Chef trasmissione “Chef per un giorno” in onda su La7 Cantina: Podere la Regola - Riparbella (PI) - www.laregola.com 23 marzo 2012 Daniele Pescatore Ristorante Cenacolo del Pescatore - Firenze Cantina: Guidi - San Gimignano (SI) - www.guidisrl1929.com 20 aprile 2012 Debora Corsi Ristorante La Perla - San Vincenzo (LI) Cantina: Fattoria Colleverde – Lucca - www.colleverde.it 25 maggio 2012 Barbara Zattoni Ristorante Pane e Vino - Firenze Cantina: Vignamaggio - Greve in Chianti (FI) - www.vignamaggio.com 22 giugno 2012 Stefano Pinciaroli Ristorante PS - Cerreto Guidi (FI) Cantina: Felsina - Castelnuovo Berardenga (SI) - www.felsina.it Per prenotazioni: Agenzie Toscana Turismo. Argonauta Viaggi. Tel. 055.2345040 Lecce: detenuto rientra in carcere con dieci grammi di hascisc, ma il cane antidroga lo fiuta Ansa, 9 novembre 2011 Rientrava in carcere, dopo aver usufruito di un permesso premio, con dieci grammi di hascisc, ma il suo ingresso nella casa circondariale di Lecce non è passato inosservato al cane antidroga della polizia penitenziaria. È accaduto al detenuto romano Rodolfo Vetrari, di 35 anni, a disposizione ora della Procura della Repubblica di Lecce con l’accusa di detenzione di stupefacenti. La notizia è stata diffusa dal sindacato Ugl polizia penitenziaria il quale sottolinea lo “spirito di dedizione e sacrificio” del corpo. Libri: “Alice nel Paese delle domandine”… dove il buio non nasce solo da una lampada fulminata http://tg24.sky.it, 9 novembre 2011 Disagi, vicissitudini e relazioni complicate: un’antologia pubblicata da Le Lettere (“Alice nel Paese delle domandine”) racconta la quotidianità del penitenziario di Sollicciano attraverso le testimonianze dirette delle detenute. Leggiamone un estratto. “Con il discorsetto che c’è crisi e non ci sono fondi a Sollicciano si naviga a vista, anzi, nemmeno quello, dato che tra tutti i tagli e le carenze (struttura, scuole, corsi) la situazione più assurda riguarda le lampadine che non ci sono da mesi, che ne è arrivate una mandata-pacco, sicuramente cinesi, che si sono fulminate in un paio di settimane, dopo di che ce ne hanno date di nuove ma tempo poche settimane siamo punto e a capo e non si trova una lampadina funzionante neppure negli uffici degli agenti. Nella cella dove sto adesso, cioè la 18 della sezione penale, siamo completamente al buio, e infatti sto scrivendo un po’ con l’illuminazione della televisione un po’ con il senso dell’orientamento. L’ultima lampadina sopravvissuta, delle tre che normalmente farebbero parte della fornitura minima indispensabile, ha fatto il giro delle plafoniere a seconda della necessità: sul mio letto di norma, perché nell’angoletto più lontano ma più vicino all’unico tavolo da pranzo, da cena, da gioco, da scrittura e da fumo; se poi dovevamo cucinare bisognava spostarla sopra al ripiano dove teniamo fornellino e utensili da cucina; nel malaugurato caso invece servisse il bagno dopo il tramonto e sciaguratamente dovevi proprio chiudere la porta senza poter approfittare della luce della tele, in quel caso salivi sul panchetto, avvitavi l’eroica lampadina alla plafoniera sopra al lavandino e, una volta fatto il necessario, risvitavi la lampadina e la mettevi al suo posto. Tutto questo lusso fino alla scorsa settimana, poi abbiamo iniziato a scorgere preoccupanti cali di tensione e ci siamo dette “la stiamo perdendo”, dopo poco si è spenta per non riaccendersi mai più. In ogni cella c’è comunque un neon al soffitto, che di notte ne rimane acceso un angoletto di un viola psichedelico, ed è appunto la notturna, solo che pure qui ci sono dei problemi perché non viene mai spento e nel caso una persona sia impossibilitata a prendere sonno con delle luci intorno…, nel caso questa persona sia abbarbicata nella parte superiore di un letto a castello, e quindi con il neon proprio sparato in faccia…, nel caso la mia concellina sia quell’asociale, viziatella di Raperonzolo, con gli occhini smarriti, la lunghissima treccia nera e la paranoia delle varie luci, il problema va risolto con le risorse a disposizione, tipo tenere il blindo chiuso per evitare le luci dei corridoi; tende alla porta finestra e spessi giornali di carta appiccicati al neon; e così è risolto il problema della notte, un po’ meno quello di poter leggere, scrivere o anche limarsi le unghie quando tutto è buio pesto, dove già scende spesso l’ombra sul cuore e sulla mente. I rimedi sono pochi e cioè che Raperonzolo dall’alto del castello stacchi un pezzo di giornale per poi riattaccarlo quando dobbiamo dormire, mentre riguardo al bagno c’è la luce della radiolina, ma è una manovra difficilissima perché per mantenerla accesa con una mano la devi tenere pigiata e dovresti fare tutto con una mano sola, e come fai a lavare il viso o i denti? Poi il bidet non c’è e l’acqua calda è un’utopia così dobbiamo risolvere con delle bottiglie di acqua tenute tutto il giorno sul termosifone, quindi tralascio i dettagli tecnici. Per tornare alle lampadine la risposta ufficiale dell’Amministrazione è che quelle a incandescenza sono fuorilegge (capirai! fosse tutto a norma…), per comprare quelle a risparmio energetico ci vogliono soldi e perciò, nell’immediato, cazzi nostri. Come dice Raperonzolo “fatti la galera e stai zitto”, e se lo dice lei siamo proprio a posto, ma d’altronde parla un pò per proverbi e frasi fatte che sembra mio nonno, tipo “al peggio non c’è mai fine e la fine è sempre peggio”; “non può piovere per sempre”; “accidenti a chi ci ha mescolati”, quest’ultima perla di saggezza perché essere di destra fa tanto figo con quegli slogan a effetto, e intanto è detenuta e gli agenti sono sbirri, è più tossica di me e soprattutto non paga le scommesse! Ma si può convivere 24 ore con qualcuno che se perde a carte dopo si rifiuta di chiamare “Bruno” dal terrazzino? Io le dico che è scorbutica e lei mi corregge “introversa”, però mi porta il caffè a letto dato che si sveglia per prima; prepara delle crèpes con la Nutella e la zuppa inglese da Dio; e poi disegna benissimo e scrive poesie zuccherose perciò, va beh, dai, le dirò che è introversa; e poi uno scoop: per San Valentino ha elaborato una roba tutta cuoricini ritagliati dalla carta dei Mon Cheri (che ci siamo fatte fuori tanto per ricordare un vago sapore alcolico) e poi incollati su una poesia per il suo amore. Naturalmente su Raperonzolo ho esagerato, come sempre, ci scherzo su perché ha un gran senso dell’umorismo ed è una dote che apprezzo moltissimo; e poi se la Raperonzolo della fiaba si calava dalla torre grazie alla treccia, con la mia Raperonzolo non si sa mai si potesse tentare un’evasione. (Tratto da “Alice nel paese delle domandine”, a cura di Monica Sarsini, pp. 228, euro 16,50). Siria: attivista in carcere smentisce Assad, nessun detenuto politico liberato Aki, 9 novembre 2011 La notizia data dal governo di Damasco di aver liberato 530 detenuti siriani arrestati durante le manifestazioni cui si assiste da mesi nel Paese per chiedere la dipartita del presidente Bashar al-Assad è solo una “falsa pretesa”. È quanto ha dichiarato il detenuto politico siriano Najati Tayyara, il quale ha spiegato che “le autorità siriane vogliono far credere di aver liberato 530 detenuti, ma in realtà si tratta solo di un’amnistia di routine e che riguarda i crimini comuni”. Nessun detenuto politico è quindi uscito di prigione, secondo Najati, che ha fatto pervenire la sua protesta ad Aki-Adnkronos International per mezzo di mediatori dell’opposizione siriana. L’oppositore, che si trova in carcere da maggio, ha dichiarato che i detenuti del carcere centrale di Homs, ossia circa 970 prigionieri, tra i quali Tayyara stesso, arrestati soprattutto a Homs, Banyas, Idlib e Jableh, hanno deciso di dare il via a delle misure drastiche, tra cui lo sciopero della fame, per denunciare “il loro mancato rilascio, come previsto dalla road map araba, e le pessime condizioni di detenzione”. L’iniziativa della Lega Araba per una soluzione della crisi in Siria prevedeva la liberazione di tutti i detenuti politici e dei manifestanti arrestati durante le recenti proteste, che secondo fonti dell’opposizione siriana si aggirano tra i 30 e i 50mila.