Giustizia: dal codice bianco al codice rosso, ecco i nuovi regimi di detenzione di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 30 novembre 2011 I direttori delle carceri hanno due mesi per classificare i detenuti con la colorazione suggerita dall’amministrazione penitenziaria. Una classificazione che incide su diritti fondamentali quale quello all’aria. È infatti del 25 novembre scorso la circolare n. 0445732 del 2011 firmata congiuntamente dal capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta e dall’ormai quasi ex direttore dell’ufficio detenuti Sebastiano Ardita con la quale si prevede il regime aperto (ossia vita diurna fuori dalla cella ma pur sempre dentro il carcere) per una certa tipologia di detenuti. La circolare si sovrappone, senza cancellarli, ai più vecchi circuiti penitenziari. Risaliva infatti al 1993 la precedente disposizione che istituiva i circuiti penitenziari distinguendoli in custodia attenuata per tossicodipendenti, alta sicurezza per chi avesse commesso taluni reati di particolare allarme sociale (sequestro di persona, mafia, narco-traffico) e media sicurezza per tutti gli altri. Restava fuori il più duro regime di cui all’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, che, a seguito di decreto ministeriale era ed è imposto a singoli detenuti ritenuti particolarmente pericolosi. Nella circolare dello scorso 25 novembre si prevede che tutti i soggetti di scarsa pericolosità potranno godere di una più ampia libertà di movimento dentro le mura carcerarie e quindi di un regime penitenziario più aperto. Si legge nella circolare che “ai fini della valutazione di pericolosità, a ciascun ristretto - condannato o imputato - del circuito di media sicurezza dovrà essere attribuito un codice che misuri il concreto rischio che lo stesso si renda autore di evasione o di episodi di turbamento dell’ordine e della sicurezza interna dell’istituto.” Si dice anche che “le presenti disposizioni non si applicano, per ragioni opposte, né ai detenuti del circuito alta sicurezza, né a quelli in custodia attenuata. Per questi ultimi restano ferme le regole attualmente in vigore, se più favorevoli”. Vi saranno i codici bianchi per i detenuti meno pericolosi. Costoro sono quelli ristretti in carcere per reati che non hanno comportato violenza o minaccia alle persone e che abbiano tenuto una buona condotta intramuraria, con ciò intendendosi non solo l’assenza di violazioni disciplinari rilevanti, ma anche l’atteggiamento aperto e disponibile nei confronti del personale penitenziario e degli altri reclusi, che testualmente “rispondano alla proposta rieducativa partecipando al trattamento in modo attivo, ossia in modo non formalistico, né strumentale”. Ai codici bianchi spetta quindi il regime aperto. Quanti sono in tutto? Non è facile dirlo. Concorrono parametri molto diversi, alcuni oggettivi e altri soggettivi. Permangono dubbi. Allo spacciatore di sostanze stupefacenti spetta il codice bianco? Che significa essere non strumentali nel partecipare all’opera rieducativa? La parola ultima spetterà agli psicologi? Ci saranno a seguire i detenuti dal codice verde, ossia quelli “che, non appartenendo ad associazioni per delinquere finalizzate a reati violenti né gravitando in alcun modo attorno ad organizzazioni di tipo mafioso, presentino tutte le precedenti caratteristiche, ma che siano ristretti per reati connotati da violenza o minaccia alle persone”. A loro sarà consentita l’ammissione al regime aperto tendendo conto della condotta interna al carcere. Qui correttamente si ammette che è spesso proprio la mancanza di spazi e la vita ristretta in pochi metri quadri a rendere i detenuti più aggressivi (soprattutto verso se stessi, visto l’alto numero di suicidi). I detenuti con il codice giallo sono invece quelli “che hanno compiuto reati violenti o che abbiano mantenuto atteggiamenti di tipo dissociale, ovvero siano incorsi in violazioni disciplinari” (le due cose spesso non vanno di pari passo visto che si può essere oggetto di un rapporto disciplinare anche a causa della commissione di fatti irrilevanti tipo appendere una foto di un calciatore alla parete della cella). Si legge nella circolare che “per tali soggetti la ammissione al regime aperto può avvenire solo dopo una prima ragionata scelta che tenga conto di altri fattori che siano in grado di escludere il pericolo di evasione o di turbamento dell’ordine e della sicurezza.” Alla fine c’è il codice rosso. Saranno così classificati i detenuti seguenti: autori di fatti di violenza in carcere o di tentativi di evasione dall’istituto penitenziario; detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare; appartenenti ad associazioni per delinquere finalizzate a reati violenti oppure comunque collegati ad associazioni di stampo mafioso, pur senza essere classificati in alta sicurezza. Per costoro il regime aperto dovrà essere di regola escluso. Bisognerà ora vedere quanto la circolare sarà attuata dalle direzioni delle sovraffollate carceri italiane (68 mila persone per 45 mila posti letto). Una precedente circolare del 1998 che prevedeva che tutti i detenuti di media sicurezza dovessero permanere all’aria aperta almeno 12 ore al giorno è rimasta praticamente sulla carta. Infine dubbi sono sollevati sulla assenza di giurisdizionalizzazione. Di fronte a un provvedimento di esclusione dal regime aperto, un detenuto color giallo o verde non ha alcuna chance di reclamo. Vedremo cosa ne penseranno i giudici di sorveglianza e a seguire la Corte Costituzionale. Giustizia: detenuti senza diritti umani.. parola di ministro! di Andrea Fabozzi Il Manifesto, 30 novembre 2011 “L’amnistia è fuori dalla portata del governo”. Severino riconosce il dramma ma si pone obiettivi limitati. E resuscita pure il braccialetto elettronico. Però di giustizia si discute. La scena è vagamente surreale. Smessi i panni di ministro, Carlo Giovanardi torna senatore in commissione giustizia con la missione impossibile di difendere la legge sua (e di Fini) in materia di droghe, sostenendo a dispetto di tutte le statistiche che non si tratta di una legge che riempie le carceri. Lo contestano e lo interrompono altri senatori della ex minoranza, oggi però alleati di Giovanardi. Il Pd trova il coraggio di ipotizzare, con la senatrice Della Monica, una correzione “minima” della Fini-Giovanardi. È il giorno della presentazione del programma del governo sulla giustizia e si finisce a discutere di carceri. Merito della ministra Paola Severino che decide di partire dalla condizione insostenibile dei detenuti. Anche se lo fa evitando di pronunciarsi sull’amnistia e ipotizzando rimedi parziali. Ma il cambio di registro è netto: i senatori parlano per due ore senza che vengano fuori accuse di uso strumentale delle leggi, da una parte, o dei tribunali, dall’altra. Il tappo almeno qui è saltato davvero. Dopo vent’anni di risse paralizzanti lo scetticismo si impone, eppure il debutto in senato lascia intravedere una discussione vera sui mali della giustizia. Anche perché la ministra ai senatori offre un’agenda dei lavori minimale. Per ragioni di tempo (l’anno e mezzo che sarà concesso al governo) e di priorità (l’economia, ovviamente) è bandito qualsiasi annuncio di riforma, fin qui obbligatorio per un nuovo ministro. Anzi, le riforme che sono in attesa, quelle dei codici penali ad esempio, aspetteranno ancora. D’un tratto dalle priorità del governo sono spariscono anche quelle leggi che il Pdl sosteneva essere nell’interesse del paese, e non di Berlusconi, come il processo lungo, la prescrizione breve e le intercettazioni. Del resto che non ci fosse più una maggioranza in grado di reggere le leggi ad personam era chiaro già prima della fine del governo del cavaliere. Nel programma “scarnificato” della ministra Severino, oltre all’emergenza carceri, c’è spazio solo per gli interventi che si accordano all’impegno generale del governo, brutalmente riassunto in due parole: “Risparmio ed efficienza”. Dunque informatizzazione degli uffici giudiziari (che in verità comporta una spesa, ma si tratterebbe di un “investimento fruttuoso”), sistemazione delle circoscrizioni giudiziarie e liberalizzazione della professione di avvocato. Due misure, queste ultime, di difficile realizzazione pratica per le resistenze delle categorie, dei magistrati ma soprattutto degli avvocati. Molti rappresentanti della ex maggioranza continuano a spendersi in difesa dei “territori” e quindi contro l’accorpamento dei tribunali e delle procure, malgrado il governo Berlusconi abbia inserito in una delle sue tante manovre estive una delega all’esecutivo per riordinare la geografia giudiziaria. Delega che la ministra assicura sarà portata avanti “con criteri oggettivi”. Quanto alle liberalizzazioni che altrettanto e più agitano gli avvocati - preoccupati che vengano cancellati l’esame e l’albo - ci sono degli obblighi europei cui stare dietro (a partire dal 1 gennaio del prossimo anno) ma Severino assicura che il governo si muoverà in modo da “non abbassare la qualità dei professionisti”. Resta il fatto che è proprio la diffusa lobby degli avvocati - fin qui largheggiante in parlamento - a subire i primi dispiaceri da parte di una ministra che pure della categoria fa notoriamente parte. Quanto alle carceri, la ministra riconosce che l’eccesso di detenuti rispetto alla capienza impedisce persino “il rispetto dei diritti fondamentali della persona” ma rifiuta in linea di principio gli interventi non strutturali. Tra i quali annovera l’amnistia, in ogni caso “fuori dalla portata del governo” (anche se la maggioranza che lo sostiene sarebbe eccezionalmente in grado di approvare il provvedimento). Quindi annuncia altre misure deflattive, nessuna nuovissima, se si eccettua l’ipotesi di una “carta dei diritti e dei doveri” del detenuto e dei familiari del detenuto. Il pacchetto di norme che Severino spera di mettere in campo a breve dovrebbe consentire di scontare il residuo della pena in forme diverse, di allargare la detenzione domiciliare, di concedere la messa in prova anche agli adulti. E poi la ministra immagina con molto ottimismo di recuperare l’uso del braccialetto elettronico, introdotto per legge dieci anni fa ma rimasto totalmente inapplicato. Salvo che per un centinaio di milioni pagati dallo stato alla Telecom. Giustizia: le idee della Severino che non dispiacciono a Palma di Alessandro Calvi Il Riformista, 30 novembre 2011 Fronte caldo. Berlusconi attacca i magistrati. L’ex Guardasigilli sulle parole della Severino: “Obiettivi condivisibili. Ma vedremo le proposte”. Intercettazioni, sovraffollamento delle carceri, custodia cautelare, processo penale: sono le priorità suggerite dall’ex ministro Nitto Palma nel giorno in cui il Guardasigilli Paola Severino ha messo nero su bianco quelle del governo, in Parlamento. E le differenze ci sono. E però, ci sono anche alcune somiglianze, a partire dall’attenzione alle carceri. Dunque, spiega Palma, “vedremo in concreto quali soluzioni il governo adotterà”. In ciò, dice ancora, non c’è nessuna intenzione di piantare paletti, anche se “nessuno può pensare di calare niente dall’alto”. Ma c’è soprattutto la sottolineatura di una circostanza che, dice ancora l’ex ministro, da quel recinto il suo successore non potrà uscire facilmente. E questo soprattutto perché quelle priorità rappresentano “problemi molto seri” i quali “non sono stati posto alla attenzione del paese da una o l’altra forza politica, bensì dal Presidente della Repubblica”. Sembrerebbe quello che di solito viene liquidato come un avvertimento. Eppure i toni di Palma sono tutt’altro che minacciosi. Anzi, spende parole di elogio per Paola Severino e garantisce che la giustizia “non sarà terreno di scontro”. Però allo stesso tempo ripete anche che, seppure “non c’è una contrarietà preconcetta mia e del partito a questo governo, questi sono i problemi e, se verranno presentate soluzioni condivisibili, le voteremo”. I toni usati ieri da Silvio Berlusconi, ad esempio, sono ben altri. Intervenendo alla presentazione del libro di Angelino Alfano, ora segretario del Pdl ma anch’egli con un recente passato a via Arenula, il Cavaliere è tornato ad attaccare magistratura, Quirinale e Corte Costituzionale, parlando di una “emergenza” italiana dovuta alla “esondazione della magistratura dal suo alveo che inquina la vita democratica”. Ma quando a parlare sono altri, soprattutto i tecnici, si ha ormai netta la sensazione che le parole del Cavaliere siano rivolte soprattutto agli elettori. Anche Palma, per dire, come Berlusconi sulle intercettazioni ritiene si debba intervenire. E, però, l’ex ministro è abituato a ragionare più che a fare comizi. E non è un caso se anche Palma evoca il Quirinale, ma lo fa in tutt’altro contesto. “Il Capo dello Stato - spiega - ha affermato che vi è un uso eccessivo oltre che abusivo delle intercettazioni, perché spesso vengono disposte in assenza dei requisiti richiesti dalla legge”. Di intercettazioni, però, il neo ministro non ha parlato, sinora. Anzi, ha fatto sapere che si deve iniziare a lavorare dai temi meno controversi. Ecco che, allora, Palma prova a suggerire: “Potrebbe scrivere un nuovo testo, un testo autonomo, che prenda atto dei rilievi del Presidente della Repubblica, e portarlo in Parlamento”. E sembra, di fatto, una indicazione di metodo. Il fatto è, però, che le priorità indicate da Palma e quelle indicate dalla Severino non coincidono in tutto, anzi. Appare significativo il battere di Palma sulla materia penale - seppure ricorda “il lavoro senza precedenti di Alfano sulla materia civile” - quando il nuovo governo sembra guardare molto più all’ambito civile, ed in ciò sembra doversi rintracciare il segno della transizione dal berlusconismo a ciò che sarà, di qualunque cosa si tratti. Le priorità coincidono, però, almeno su due punti non secondari: la revisione delle circoscrizioni giudiziarie e la situazione delle carceri. Soprattutto di questo, ieri, la Severino ha parlato in Senato. “La delega sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie dovrà essere attuata”, ha detto, riconoscendo indirettamente il lavoro portato avanti dal suo predecessore il quale, peraltro, lo rivendica con forza spiegando che “entro marzo si potrebbe arrivare al decreto legislativo. Ma dipende dalla volontà che si ha di fare o non fare le cose”. E, dice ancora Palma, il ministro Severino, “essendo espressione di un governo tecnico, potrà più facilmente percorrere la strada di criteri oggettivi senza subire pressioni che verranno dal territorio per mantenere piccole sedi giudiziarie per mere ragioni di prestigio campanilistico”. Quanto alle carceri, ieri la Severino ha ribadito quanto già nei giorni scorsi era stato detto e scritto, ma ha detto anche qualcosa di più quando, ad esempio, ha tirato fuori dal cassetto l’idea di usare i braccialetti elettronici che “porterebbero notevoli risparmi”. La sua utilizzazione in questi anni, ha aggiunto, “è stata scarsa. Mi sono chiesta il perché e ho già avuto una riunione con il ministro dell’Interno”. Anche sulle carceri Palma rivendica il lavoro svolto quando era in via Arenula, tanto che annuncia per la prossima settimana la presentazione di una serie di misure che sono il frutto di quel lavoro. Non è una gara, però. “Le leggi le fa il Parlamento”, insiste Palma. “Alcuni obiettivi sono condivisibili. Vedremo se lo saranno altrettanto i provvedimenti del governo. in tal caso li voteremo”. Giustizia: il ministro Severino rilancia il “braccialetto elettronico” di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 30 novembre 2011 Sono tre le “emergenze” della giustizia che il governo considera “prioritarie”: l’efficienza della giustizia civile, una nuova mappa dei Tribunali e il sovraffollamento nelle carceri, giunto a livelli insostenibili che impongono risposte “stabili” e “immediate”, niente a che fare con l’amnistia e la costruzione di nuove prigioni, ma semmai con un più ampio ricorso alle misure alternative, compreso - perché no - il braccialetto elettronico. Indicare altre mete - come la riforma dei Codici penale e di procedura penale - sarebbe “fuorviante” considerato il poco tempo a disposizione. Bisogna essere “trasparenti” dice il ministro della Giustizia Paola Severino alla commissione Giustizia del Senato, illustrando le linee programmatiche dell’azione di governo e ottenendo il plauso di Pdl, Pd, Idv e Udc, una punta di delusione dei radicali, il silenzio della Lega. Anche in Parlamento, dunque, la Severino parte dal carcere e dai numeri del sovraffollamento (68.968 detenuti e 39.121 poliziotti a fine 2010), “non sostenibili e non compatibili con il rispetto dei diritti fondamentali della persona”. Occorrono misure stabili, e l’amnistia non lo è. Occorrono interventi “immediati”, e la costruzione di nuove carceri non lo è (tra l’altro, bisognerà “valutare la compatibilità del piano di edilizia con i problemi economici gravanti sul Paese”). E allora: più spazio alla detenzione domiciliare, porte aperte alla “messa alla prova”, via libera a una “carta dei diritti e dei doveri dei detenuti”, e - a sorpresa - rilancio del braccialetto elettronico, un “successo” in Europa e negli Usa, un “fallimento” in Italia. Dal 2001, lo Stato continua a pagare (alla Telecom dal 2003) 11 milioni di euro l’anno per 450 braccialetti (il contratto è in scadenza) senza di fatto averli mai utilizzati per un problema tecnico che sembra “irrisolvibile” (la rintracciabilità del segnale) ma che ora la Severino e il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, vogliono verificare, in funzione di un ampliamento delle misure alternative, distinguendo, ha aggiunto il guardasigilli, tra carcere preventivo e definitivo. “Se il problema non è irrisolvibile come sembra, si potrebbe varare un progetto per l’uso del braccialetto, con risparmi notevoli - osserva il guardasigilli -. È evidente che il suo costo sarebbe compensato dai risparmi derivanti dalla mancata detenzione. E sarebbe - insiste - un risparmio notevole”. Il governo punta quindi sulle misure alternative. A cominciare dalla detenzione domiciliare. Resta da capire se si vuole soltanto allargare l’area dei “clienti” della legge 199, che oggi consente di dare i domiciliari a chi ha un residuo pena di un anno, o se invece si vuole modificare la ex Cirielli del 2005, che ha fatto crollare da 44mila a 15mila le misure alternative, escludendole per i recidivi reiterati (con l’effetto paradossale che è tale il venditore ambulante di Cd condannato per la terza volta e non anche il rapinatore con una precedente rapina alle spalle o l’omicida primario). Finora, la Lega ha sempre bloccato ogni ipotesi di modifica della Cirielli, nonché l’introduzione della “messa alla prova” e ha frenato sul braccialetto elettronico. Ora che il Carroccio è all’opposizione, la strada potrebbe essere in discesa. “Risparmio ed efficienza” è stato il leit motiv dell’intervento del ministro sulle priorità del governo, che oggi saranno illustrare anche alla Camera. Coniugare risparmio ed efficienza è un imperativo anche per restituire efficienza alla giustizia civile, “legata all’economia del Paese”. “Molto è già fatto ma altro si può fare” ha detto la Severino, preannunciando investimenti per garantire l’informatizzazione di tutti gli uffici. Infine, ha ribadito l’impegno per una “risistemazione delle circoscrizioni giudiziarie”, di cui ci sono già le premesse normative con la delega approvata a settembre, “che va attuata” dando “massima attenzione a criteri oggettivi” e che consentirà di “realizzare un enorme risparmio”. Nessuno a palazzo Madama, neppure il Pdl, ha parlato di “prescrizione breve” né di altre “riforme” considerate prioritarie dal precedente esecutivo, rilanciate ieri da Silvio Berlusconi, come le intercettazioni. Si è parlato d’altro, e tutti hanno riconosciuto alla Severino un approccio “concreto”. Può sembrare “il libro dei sogni”, ha osservato lei. Ma, ha aggiunto, “a volte i sogni si realizzano”. La fornitura di Telecom Il braccialetto elettronico è un dispositivo per il controllo a distanza di detenuti in misura alternativa e persone ai domiciliari. Ieri è stato rilanciato dal ministro della Giustizia Paolo Severino. È stato introdotto nel 2001 dal governo D’Alema ma da allora lo strumento è stato poco utilizzato. Durante la sperimentazione un detenuto fugge. Dal 2001, lo Stato continua a pagare (alla Telecom dal 2003) 11 milioni di euro l’anno per 450 braccialetti (il contratto è in scadenza) senza di fatto averli mai utilizzati per un problema tecnico che sembra “irrisolvibile”. Giustizia: il “braccialetto elettronico” risolverà il problema del sovraffollamento delle carceri? di Alessandro Longo L’Espresso, 30 novembre 2011 La titolare del dicastero della Giustizia Paola Severino rilancia il progetto del braccialetto elettronico, a suo tempo un flop, per ridurre il sovraffollamento delle carceri. Ecco come all’estero i detenuti sono sempre più ‘wireless’: dal Gps con allarme automatico ai controlli a distanza sull’uso di alcol e droghe. Il ministro della Giustizia Paola Severino Il ministro della Giustizia Paola Severino: “Là dove è applicato il braccialetto elettronico il tasso di recidiva è estremamente limitato”. Lo ha affermato il neo ministro alla Giustizia Paola Severino, riportando così in auge un oggetto costato finora decine di milioni di euro e applicato solo in una decina di casi. “Costruire più carceri è un rimedio che richiede tempi lunghi”, ecco spiegata quindi la necessità di affrontare i problemi tecnici che finora hanno ostacolato l’applicazione di questa misura alternativa. Eppure un futuro senza carceri non è un’utopia di libertà o di pace sociale. Piuttosto, è l’avvento di forme più sofisticate per controllare i condannati. L’idea è semplice: invece di metterli dietro le sbarre, far sì che le sbarre siano sempre con loro, in forma di strumenti wireless e Gps che ne analizzano i movimenti. Controllano se bevono o assumono droghe. Li costringono ad abitudini regolari. Impediscono loro di andare in certi posti. E poi, tanto per andare sul sicuro, le autorità mettono tutte queste informazioni su Internet, comodamente consultabili in una mappa: così chiunque può trasformarsi in un sorvegliante. Benvenuti nell’era del controllo individuale hi-tech e distribuito. Ci siamo già dentro: queste tecnologie sono largamente adottate nei Paesi anglosassoni e in futuro diventeranno non solo più diffuse, ma anche più sofisticate. In grado di analizzare e controllare ogni minima devianza del reo (o del sospetto) dalle regole. “È in atto una transizione. Dall’era in cui i colpevoli rinunciavano alla libertà fisica a quella in cui devono fare a meno della propria privacy, rendendosi sempre monitorabili e controllabili a distanza”, dice Euro Beinat, docente delle nuove tecnologie di localizzazione presso l’Università di Salisburgo. È stato a capo di progetti e aziende che hanno sviluppato tecnologie alternative alla detenzione classica. È considerato uno dei massimi esperti mondiali di questi temi. “La tecnologia più comune è quella del braccialetto o della cavigliera dotati di sistema di localizzazione”, dice Beinat. A fare avanguardia sono gli Stati Uniti, dove questi apparecchi di sorveglianza stanno diventando sempre più comuni: al momento sono imposti a circa 30 mila persone, al solito per 30-90 giorni. Dal 2009 hanno cominciato a diffondersi anche in Spagna e in Francia. In Italia no: risultano soltanto una decina di casi, tra l’altro con un ingente spreco di denaro pubblico. Giacciono inutilizzati 390 braccialetti, per una spesa di 110 milioni di euro, voluta nel 2003 dall’allora ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu. Il carcere di Lelystad in Olanda Il carcere di Lelystad in Olanda All’estero, braccialetti o cavigliere servono soprattutto come alternativa al carcere per i reati minori. Vengono imposti in realtà anche ai colpevoli di quelli più gravi, ma solo nell’ultimo periodo della pena e se il reo viene considerato non più tanto pericoloso. Lo localizzano fuori e dentro casa grazie a un mix di tecnologie Gps (satellitari) e basate sulle reti mobili. A seconda della pena, si è costretti quindi a restare all’interno delle mura domestiche oppure si può circolare in strada ma solo in certe zone della città. L’apparecchio crea insomma un carcere invisibile e individuale. Se l’utente prova a toglierselo o esce dal recinto permesso, parte un allarme alla polizia. Scatta quindi un mandato di cattura e il braccialetto viene sostituito con il carcere vero. Il sistema è molto flessibile. “Possiamo imporre all’utente per esempio di evitare certi luoghi collegati al suo reato: le scuole, il bar, la casa dell’ex moglie. Se entra nelle corrispondenti coordinate Gps, scatta un allarme”, dice Beinat. In Spagna si tengono lontani così dagli stadi i tifosi violenti. Un braccialetto Gps può costringere anche a rispettare i limiti di velocità, per chi è stato troppo scorretto alla guida. Ma il sistema può spingersi oltre, fino a imporre precisi percorsi di vita: andare a lavoro dalle 8 alle 17 e poi subito a casa. Ogni trasgressione di luogo e di tempo comporta il rischio del carcere. L’effetto è anche che le autorità conoscono gli spostamenti dell’utente: li vedono segnati su una mappa, che il braccialetto aggiorna via Internet in automatico. In California hanno già fatto il passo successivo: per i reati a sfondo sessuale, permettono a chiunque di localizzare la mappa, su un sito Web. È arrivata a imporre i braccialetti o le cavigliere Gps per molti anni dopo che la condanna è stata scontata. Così si può sapere, per esempio, se qualcuno con precedenti specifici circola vicino alla scuola del proprio figlio. “Il futuro? Sistemi di localizzazione che capiscono anche quando e che cosa mangi o bevi; se assumi droghe o bevi troppo. Oppure con un sistema di analizzatore vocale che percepisce se sei alterato”, dice Beinat. “Ci lavorano in tanti: ricercatori del Mit (Massachusetts institute of technology), di Harvard e di Stanford; e molte start up innovative”, aggiunge. Già qualcosa viene fatto, in realtà, dai soliti pionieri americani: in alcuni Stati la cavigliera ha un sistema che analizza la traspirazione corporea e riesce a capire se ci sono tracce di alcol. “È come fare la prova del palloncino alla tua caviglia: in automatico e di continuo”, dice Kathleen Brown, portavoce della Alcohol Monitoring Systems, azienda che produce questi sistemi, adottati per ora su 20 mila persone negli Usa. Giustizia: per l’amnistia serve meno tecnica… e più politica di Massimo Bordin Il Riformista, 30 novembre 2011 Nei due giorni scorsi il nuovo ministro della Giustizia ha avuto modo di presentarsi, prima alla stampa invitata in via Arenula e poi al Parlamento con l’audizione ieri in commissione giustizia al Senato. Con la nomina dei sottosegretari anche la struttura del ministero si è completata. Sul tema delle carceri, come più approfonditamente trovate negli articoli di Alessandro Calvi in questo stesso giornale, il ministro non innova rispetto alla precedente gestione del dicastero. Ribadisce la contrarietà all’amnistia e propone un maggior uso delle misure alternative. Si torna a parlare del famoso braccialetto elettronico, un tema che appassiona la stampa che si occupa della materia quasi quanto la scrivania ministeriale di Togliatti, di cui ieri le cronache erano piene. Ma, come della scrivania del Migliore, anche del braccialetto elettronico per ora non c’è traccia. E così delle misure alternative. Quanto all’amnistia però il ministro Severino non chiude tutte le porte, solo la sua. Quella del Parlamento, dice, resta aperta. Ma una presa di posizione governativa meno negativa sarebbe importante e potrebbe forse avere maggiori chances del passato. Se questo ministro, e questo governo, fossero meno “tecnici” e un pò più politici potrebbero osare di più visto che questo è il primo governo che non ha nella sua maggioranza stabile né la Lega né i dipietristi, ovvero proprio la massa parlamentare che ha sempre bloccato il provvedimento, chiunque governasse. Giustizia: il disastro delle carceri italiane sul tavolo del nuovo governo di Claudia Andreozzi www.linkiesta.it, 30 novembre 2011 Il nuovo Ministro Paola Severino ha detto oggi che, tra le varie soluzioni per ridurre il sovraffollamento carcerario, c’è anche quella del “braccialetto elettronico”. Dove applicato - ha detto la Guardasigilli - ha dato ottimi frutti. Di sicuro, nelle carceri italiane la situazione sta diventando insostenibile. Dati e numeri su una tragedia dimenticata, mentre il piano Carceri ereditato dal vecchio governo costa tanto, in mesi di risorse pubbliche da centellinare. Sovraffollamento, carenza di personale, programmi di rieducazione senza fondi, suicidi e morti sospette. Il nuovo Guardasigilli Paola Severino eredita un sistema carcerario vicino al collasso, causato sia dalle mancate riforme che da un enorme spreco di risorse. Oltre alle spaventose condizioni in cui vivono i detenuti, infatti, c’è il paradosso dei fondi stanziati per costruire nuove strutture nonostante le decine di carceri inutilizzate sparse per la penisola. La legge di stabilità, ultimo atto dell’esecutivo Berlusconi, prevede la dismissione del 20% di questi penitenziari fantasma, insieme a caserme e altri immobili dello Stato. La Severino ha già detto che le carceri sono in cima alle sue priorità; resta da vedere se aprirà quelle abbandonate, facendo risparmiare milioni di euro sulla costruzione di nuovi istituti. Il Piano Carceri Berlusconi-Alfano Se Mastella aveva fatto ricorso a un molto discusso indulto, il governo Berlusconi ha invece puntato tutto sull’edilizia, affidando al capo del DAP (dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) Franco Ionta un portafoglio da 661 milioni di euro e una delega in bianco per realizzare 9.150 nuovi posti letto entro il 2012. I superpoteri da Commissario Straordinario -deroghe a ogni norma vigente su gare d’appalto, procedure di affidamento ed espropri per pubblica utilità - sono valsi a Ionta il soprannome di “Bertolaso delle Carceri” ma sono serviti a poco altro: in meno di due anni il Dap ha speso quasi un milione di euro in consulenze senza però arrivare alla posa di una sola “prima pietra”. Non solo: la corsa ai futuri cantieri sta togliendo ossigeno al resto dell’apparato carcerario. Secondo i dati del Sappe (il principale sindacato della polizia penitenziaria) per finanziare la costruzione delle nuove carceri all’inizio del 2011 sono stati prelevati settanta milioni di euro dai capitoli ordinari del bilancio del Dap, quelli necessari, per esempio, ai normali lavori di manutenzione. Altri 100 milioni sono stati prelevati a settembre del 2010 dalla Cassa delle Ammende, l’ente che finanzia i programmi di rieducazioni dei detenuti attraverso le sanzioni pecuniarie dei processi. Otto in nove metri quadrati Nelle carceri, intanto, la misura è più che colma: a fronte di una capienza regolamentare di 45.572 posti, al 31 ottobre (ultimo dato del Dap disponibile) i detenuti erano 67.510. Di questi, quattordicimila non sono ancora stati condannati, ma aspettano dietro le sbarre la sentenza di primo grado. Gli stranieri sono 24.458 - molti condannati per il reato di clandestinità - e circa ventimila i tossicodipendenti. Cifre in parte già note, che parlano meglio se guardate da vicino: nel carcere di Livorno otto persone dividono una cella di nove metri quadrati. In quello di Genova un detenuto ha sporto denuncia al magistrato di sorveglianza perché la cella da quattro posti dove è rinchiuso ospita da sei a nove persone. A Rebibbia lo spazio è così poco che si fanno i turni per scendere dai letti a castello. Quanto ai programmi di rieducazione, poi, da qualche mese non ci sono più i fondi per retribuire il lavoro dei detenuti, né quelli destinati agli sgravi fiscali per le aziende e le cooperative che li impiegano. Solo nel 2011 i suicidi dietro le sbarre sono stati 59 (l’ultimo pochi giorni fa, nel carcere bolognese della Dozza) e le morti per altre cause 109. Rientrano in questa cifra anche due casi su cui sono aperte le indagini: quello di Cristian De Cupis, 36enne di Roma morto nel reparto penitenziario dell’ospedale di Viterbo dopo aver denunciato un pestaggio, e quello di Marcel Vitiziu, rumeno di 30 anni, morto quarantotto ore dopo il suo ingresso nel carcere di Messina. Carenza di personale Un ulteriore indizio - se necessario - della tensione e del disagio del sistema carcerario viene dal fatto che si suicidano anche le guardie: cinque nel 2010, sette nel 2011. Negli ultimi anni, mentre il numero dei detenuti aumentava, quello degli agenti penitenziari è andato diminuendo per la mancata sostituzione di chi andava in pensione, lasciando in alcuni casi un solo agente a sorvegliare fino a 150 detenuti. Gli straordinari sono quasi la regola ma vengono pagati a distanza di molti mesi, non ci sono soldi per la benzina e in più di un caso sono state cancellate udienze processuali perché mancava il personale per accompagnare l’imputato. Il Sappe denuncia una carenza di organico di almeno 7.500 unità, ma il Piano Carceri targato Alfano (oltre a ridurre da 12 a sei mesi il corso di addestramento) prevedeva l’assunzione di soltanto duemila agenti. Un mero palliativo, considerato che i pensionamenti sono quasi 800 l’anno e che il concorso è stato poi effettivamente bandito solo per 600 posti. I nuovi penitenziari non potrebbero aprire Un corto circuito che rende inutile continuare a costruire: “anche se fossero progettati e realizzati a tempo di record,” spiega il segretario del Sappe Donato Capece, “i nuovi penitenziari non potrebbero aprire”. Del resto, non sarebbe la prima volta. Strutture come quelle di Rieti e Ancona sono parzialmente chiuse per mancanza di personale, e secondo la Corte dei Conti tra il 2005 e il 2010 lo Stato ha speso 262 milioni di euro per costruire otto carceri che non sono ancora operative, progettate secondo criteri a dir poco inconsueti. In Sardegna, dove i detenuti “in eccesso” sono appena una ventina, i cantieri aperti sono quattro. E gli appalti ad assegnazione diretta hanno fatto la fortuna di imprenditori indagati per corruzione nell’inchiesta sul G8 della Maddalena. Il G8 delle carceri Secondo l’Ufficio Studi della Camera, lo Stato ha già pagato 48 milioni di euro alla Anemone Costruzioni S.r.l. per il carcere di Sassari, dove i lavori vanno avanti dal 2007. La gara d’appalto è stata segretata, e nonostante le decine di interrogazioni parlamentari (il penitenziario sardo compare nella famosa lista Anemone, quella della casa di Scajola) né Berlusconi né Alfano hanno fornito spiegazioni. Stessa storia a Cagliari, dove ad aggiudicarsi l’appalto è stato il Gruppo Gariazzo, che alla Maddalena costruì i depuratori: cantiere aperto dal 2006 per una spesa di 65 milioni di euro. Lavori in corso anche a Tempio Pausania, dove ha vinto Valerio Carducci, altro nome comparso nell’inchiesta sulla “cricca”. Due anni di ritardo sulla tabella di marcia, 48 milioni di euro già spesi. E poi Oristano, ancora in corso d’opera dopo 4 anni e 43 milioni di euro. Altri 117 milioni sono stati spesi per i cantieri di Savona (aperto nel 2004, fine lavori prevista nel 2014), Rovigo (2014), Forlì (2014) e Reggio Calabria. Neanche per la struttura reggina si è svolta una gara. Dopo quattordici anni di lavori la Pizzarotti ha abbandonato il cantiere quando mancava soltanto la strada di accesso, e a nulla sono serviti 14 ordini di servizio. Il carcere è ora l’ennesima cattedrale nel deserto, con un sagrestano piuttosto costoso: per il servizio di guardiania si spendono 125.000 euro l’anno. Uno spreco che diventa ancora più incomprensibile se, come ha fatto la Corte dei Conti, si dà uno sguardo alle strutture inutilizzate. Già nel luglio 2010 la magistratura contabile ne ha chiesto un accurato censimento, bacchettando l’Amministrazione penitenziaria per aver chiuso troppo frettolosamente alcune case mandamentali di proprietà dei Comuni “senza tener conto degli effetti negativi della perdita di tanti posti detentivi”. È bello qua, tutto nuovo! Ad oggi non si ha notizia di questo documento. L’appello delle carceri abbandonate è stato fatto dai Radicali Italiani, che lo hanno trasformato in un’interrogazione parlamentare all’ex ministro Palma. Nessuno però ha ancora spiegato perché si chiudano carceri modello come quello di Spinazzola: decoroso e tutt’altro che affollato, era stato costruito per 100 detenuti ma ne ospitava solo 40. C’erano efficaci programmi di riabilitazione e una bassa percentuale di recidività, ma per Alfano era “antieconomico”. Difficile pensare che costruirne uno ex novo a Bari, a soli 60 km, sia più conveniente. Ci sono le strutture di Squillace e Mileto, ristrutturate e poi chiuse, di Cropani, trasformata in deposito per la raccolta differenziata, o di Minervino Murge, Bovino, Orsara e Busachi, mai nemmeno aperte. Il carcere di Ancona invece, vanta un record di inaugurazioni. Quattro tagli di nastro e solo trentasei detenuti: i lavori per arrivare alla capienza prevista di 300 posti sono bloccati da anni. Due inaugurazioni e altrettanti pernottamenti al penitenziario di Gela: progettato nel 1959, costruito in venticinque anni al costo di cinque milioni di euro, ospita soltanto due guardie. Centrotrenta chilometri più a ovest, a Sciacca, se ne progetta un altro. Arredati e inutilizzati invece sono quelli di Castelnuovo della Daunia e di Pescia, vicino Pistoia, che qualche anno fa ha fatto da set per le riprese di un film, “L’aria salata”. Il protagonista è un detenuto trasferito da un carcere sardo: appena arrivato a Pescia si dà un’occhiata intorno e poi si rivolge al poliziotto che lo accompagna: “Ammazza è bello qua, tutto nuovo!” Giustizia: Pannella; riprendere agitazione per le carceri Ansa, 30 novembre 2011 “Ritengo, dopo le dichiarazioni del Ministro della giustizia di ieri, che occorre riprendere l’agitazione. Armi della nonviolenza, dunque. Entro due giorni … tornerò ad uno sciopero della fame”. Lo ha detto Marco Pannella, ospite di Radio Radicale. “Sono passati oltre 4 mesi da quando è stata proclamata dal massimo livello della nostra Costituzione repubblicana la “prepotente urgenza” di alcuni problemi e della necessità di una risposta di fronte alla denuncia di una flagrante condizione strutturale del nostro Stato, in condizioni, tecnicamente e senza alcun dubbio, di illegalità. La prepotente urgenza è diventata invece un affare da trattare come ordinaria amministrazione”, ha detto Pannella. “Noi riteniamo che abbiano avuto ragione tutti coloro che il 28 luglio - proprio a partire dal Capo dello Stato - hanno denunciato senza nessun dubbio questa condizione criminale di questa nostra Repubblica, del nostro regime repellente nei confronti dei diritti umani. Il problema di interrompere questa flagranza (che non riguarda solo le carceri, riguarda la giustizia) è il problema che continuiamo a porre”, ha concluso Pannella. Giustizia: Favi (Pd); a ministro Severino chiediamo coraggio e interventi di prospettiva Ristretti Orizzonti, 30 novembre 2011 Dichiarazione di Sandro Favi, Responsabile nazionale carceri del Pd: “Il Pd ha apprezzato le linee programmatiche illustrate dal ministro Severino alle Commissioni Giustizia del Senato e della Camera per l’emergenza che si vive nelle nostre carceri. Anche se l’orizzonte temporale di questo governo non lascia margini per interventi di riforma organica e strutturale, chiediamo al ministro di avere più coraggio per correggere alcune distorsioni dei meccanismi di applicazione delle misure cautelari in carcere e sulla esecuzione delle pene. Distorsioni che si sono pesantemente riverberate sul sistema penitenziario, con l’insostenibile sovraffollamento delle strutture detentive, come gli inasprimenti di pena per i condannati recidivi e sulla limitazione all’accesso alle misure alternative introdotti negli ultimi anni. Fino a ieri l’atteggiamento della Lega Nord aveva di fatto impedito l’adozione di interventi deflattivi e la revisione della normativa in materia di trattamento processuale e penale nei confronti dei tossicodipendenti, degli immigrati irregolari e dei recidivi e aveva pesantemente condizionato l’ampliamento delle opportunità di accesso alle misure alternative alla detenzione in carcere. Ora è possibile un confronto più responsabile ed equilibrato fra le forze politiche che sostengono questo governo. Al ministro Severino chiediamo, in una visione di prospettiva, una diversa progettazione delle risorse destinate al sistema penitenziario, a partire da quelle umane e professionali, da dedicare alla assistenza, alla cura e al sostegno delle persone in esecuzione penale, nonché investimenti per la sicurezza e per garantire condizioni umane e civili delle nostre carceri”. Domani conferenza stampa sulle proposte del Pd Anche a seguito delle audizioni in Parlamento del ministro della Giustizia, giovedì 1 dicembre, alle ore 13 presso la Sala Nassirya del Senato, si svolgerà la conferenza stampa del Pd per la presentazione dei propri progetti in materia di giustizia. In particolare verranno affrontati i temi della razionalizzazione e accelerazione del processo penale e del processo civile. Verrà inoltre illustrato il piano di seminari che si svolgeranno tra gennaio e febbraio su altre questioni fondamentali come, tra gli altri l’emergenza carceri-custodia cautelare. Partecipano il sen. Felice Casson, vicepresidente del gruppo del senato, Andrea Orlando, repsonsabile Giustizia del PD, i capigruppo nelle commissioni Giustizia di Senato e Camera, Silvia Della Monica e Donatella Ferranti. Giustizia: Vitali (Pdl); scetticismo sul braccialetto elettronico, sarebbe meglio depenalizzare Italpress, 30 novembre 2011 È condivisibile la preoccupazione del Ministro della Giustizia Paola Severino sulla situazione delle nostre carceri”. Lo ha affermato Luigi Vitali, componente della Commissione Giustizia del Pdl, durante l’audizione del Ministro Severino. “Premesso che concordiamo nel non ritenere l’amnistia la soluzione - ha continuato il parlamentare - siamo ugualmente scettici sull’uso del braccialetto elettronico sia per le risorse umane necessarie ai controlli sia perché il nostro Paese non è pronto a subire il 30% di recidive e violazioni che si registrano lì dove questa misura è ottenuta da tempo”. “Meglio sarebbe - ha concluso Vitali - operare sulla depenalizzazione, introdurre la messa alla prova e utilizzare i 670 milioni di euro del piano carceri per adeguare le vecchie strutture penitenziarie e costruirne di nuove anche con l’ausilio dei privati”. Giustizia: Sappe; bene ministro Severino su braccialetto elettronico e misure alternative Comunicato stampa, 30 novembre 2011 “Mi sembrano assolutamente apprezzabili e condivisibili gli intendimenti del nuovo Ministro della Giustizia Paola Severino che si è detta intenzionata, per fare fronte all’attuale situazione emergenziale delle carceri italiane, a favorire maggiormente l’implementazione di misure alternative alla detenzione, valutando in primo luogo l’ampliamento dell’ambito applicativo dell’istituto della detenzione domiciliare anche ricorrendo al braccialetto elettronico per i detenuti. Analogamente percorribile appare la via del rafforzamento dell’istituto della messa in prova il quale ha già dato, peraltro nell’ottica del reinserimento sociale, ottimi risultati nella giustizia minorili. Da tempo il Sappe sostiene che si deve avere il coraggio di puntare maggiormente sulle misure alternative alla detenzione, ridisegnando un nuovo ruolo operativo al Corpo di Polizia Penitenziaria al di fuori delle mura perimetrali delle carceri, facendo ad esempio scontare in affidamento ai servizi sociali con contestuale impiego in lavori socialmente utili - che è detenzione a tutti gli effetti - il residuo pena ai detenuti italiani con pene inferiori ai 3 anni, anche avvalendosi di quel braccialetto elettronico per il quale lo Stato ha pagato e paga per dieci anni a Telecom 110 milioni di euro senza però veder decollare questo progetto che, allo stato, risulta essere l’ennesimo caso di spreco italiano del bene pubblico”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria. “L’allarmante dato di 68mila detenuti che sovraffollano le carceri italiane e che consegnano al nostro Paese il triste record europeo maggior affollamento penitenziario, tanto più che la capienza regolamentare delle nostre carceri è pari a poco più di 44mila posti, impone l’adozione di provvedimenti urgenti, come pure ha chiesto in più riprese il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Non si dimentichi che oltre il 40% dei detenuti è imputato, quindi in attesa di giudizio. Serve soluzioni idonee per superare la crisi penitenziaria. Da tempo il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, sostiene che è necessaria è una concreta riforma del sistema penale - sostanziale e processuale - che renda più veloci i tempi della giustizia. Ma come sigla sindacale più rappresentativa del Corpo di Polizia Penitenziaria abbiamo l’obbligo istituzionale di svolgere un’opera di controllo sulle questioni che ledono i diritti dei nostri iscritti ed anche l’obbligo morale di perseguire un’attività di proposta e di indirizzo sulle problematiche penitenziarie, seguendo le indicazioni che sono frutto della nostra decennale esperienza sul campo. Noi rinnoviamo il nostro appello ai ministri dell’Interno Cancellieri e della Giustizia Severino perché riprendano dai cassetti in cui inspiegabilmente è stato riposto da sinistre mani maldestre quello schema di decreto interministeriale finalizzato a disciplinare il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia Penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) nel contesto di un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione”. “Per molti mesi” conclude Capece “abbiamo discusso con l’Amministrazione penitenziaria la bozza del decreto interministeriale Giustizia-Interno, ma inspiegabilmente quel decreto si è arenato in chissà quali meandri pur potendo costituire un importante tassello nell’ottica di una riforma organica del sistema penitenziario e giudiziario italiano. Si era previsto molto chiaramente come il ruolo della Polizia Penitenziaria negli Uffici per l’esecuzione penale esterna fosse quello di svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di Polizia la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova. Il controllo sulle pene eseguite all’esterno, oltre che qualificare il ruolo della Polizia Penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione, cui sarà opportuno ricorrere con maggiore frequenza. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica, non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene. Per questo motivo auspico che i ministri Cancellieri e Severino riprendano in mano quello schema di decreto interministeriale al più presto”. Giustizia: detenute madri; estendere il modello dell’Icam, che per ora esiste solo a Milano Redattore Sociale, 30 novembre 2011 Giornata di studio a Palermo. Solo a Milano esiste l’istituto a custodia attenuata per madri. “Sul perché ancora non si sia riusciti a fare decollare altre realtà, ci sono grandi responsabilità istituzionale”. Una giornata di studio e di confronto sulla detenzione in carcere delle madri con figli che ha posto l’attenzione, in particolare, sulla innovazione legislativa che ha permesso la nascita a Milano dell’Icam, l’istituto a custodia attenuata per madri. È stato questo l’obiettivo dell’incontro, organizzato dalla Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Sicilia, patrocinato dall’assessorato regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro che si è svolto questa mattina presso il Centro per la Giustizia Minorile della Sicilia di Palermo. In Sicilia su 27 case di reclusione esistenti, sono presenti sette sezioni femminili annesse agli istituti maschili. Il carcere Pagliarelli di Palermo ha la sezione femminile più grande dell’Isola. Ad oggi, secondo i dati resi noti da Giuseppa Irrera, direttore ufficio detenuti e trattamento Prap Sicilia, ci sono 218 donne detenute di cui 67 straniere e 24 tossicodipendenti. Soltanto la sezione femminile di Messina ha un asilo nido in cui in questo momento ci sono tre bambini. Nonostante le molte previsioni normative volte a facilitare percorsi alternativi alla detenzione, ci sono ancora molte madri che sono detenute in carcere con i propri figli di età inferiore ai tre anni. L’Icam ha come finalità quello di far uscire i bambini dalle strutture detentive. “L’intento di oggi è quello di sensibilizzare gli altri ad un problema che non va assolutamente sottovalutato - riferisce Maurizio Artale, presidente della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Sicilia (Crvgs). Purtroppo poiché per il momento l’unico Icam esistente è quello di Milano, il problema principale che vivono queste donne è quello dello sradicamento forzato dal loro territorio di origine che, allontanandole dalla famiglia, le fa vivere una sorta di isolamento dai legami affettivi molto forte e sofferto. La nostra richiesta è che si postano costituire altri Icam in ogni regione. Per quanto ci riguarda il Centro Padre Nostro ha già disponibile una struttura alla quale potrebbe essere riconosciuto questo delicato ruolo”. “Impegniamoci perché questo tipo di istituti, gli Icam, possano avere la più ampia diffusione possibile - aggiunge Alberto Bellet, presidente del tribunale di sorveglianza di Palermo -. Ricordiamoci che il futuro potrebbe essere anche quello di aprire altre strutture per i detenuti padri qualora la madre non ci sia o sia impossibilitata ad occuparsi del bambino”. “Oggi il problema fondamentale è quello di predisporre le condizioni affinché la donna possa reinserirsi nella società - afferma Leda Colombini dell’associazione “A Roma Insieme”. Per fare ciò occorre lavorare ancora tanto per fare crescere nuovi percorsi di solidarietà ed accoglienza sociale. La nostra idea è che in custodia cautelare non devono stare i bambini fino a sei anni con le madri ma che le madri stiano fuori con loro. Sicuramente l’Icam è un passaggio importante ma deve essere assunto proprio nella sua valenza transitiva. Per moltiplicare i segni di civiltà del nostro Paese auspichiamo anche una maggiore attivazione di tutte le misure alternative alla detenzione come le case protette che possano davvero sfollare le carceri”. “Del pianeta carcere oggi sappiamo tutto ma quello che occorre fare è un vero e proprio salto di qualità dei nostri ragionamenti - sottolinea Francesca Corso, fondatrice dell’Icam di Milano. Dal 2007 ad oggi siamo stati in grado di avere in carico 181 bambini e 171 madri e questo per noi è un successo che spero dimostri la fattibilità di un modello che può essere esteso in altre parti del Paese. Sul perché ancora non si sia riusciti a fare decollare altre realtà, credo che su questo ci siano delle grandi responsabilità a livello istituzionale che non possono essere giustificate. Il salto di qualità che dobbiamo fare è quello di comprendere che l’Icam è un importante strumento di transizione delle detenute madri molto importante che può portare gradualmente e con il tempo anche a conclusioni diverse. Nello stesso tempo dobbiamo lavorare ancora molto a tutti livelli per predisporre maggiori condizioni atte a favorire le case famiglie protette senza perdere tempo o aspettare il 2014”. Giustizia: Idv; parte da Siena campagna per fronteggiare l’emergenza Aids nelle carceri Adnkronos, 30 novembre 2011 In occasione della Giornata Mondiale dell’Aids, Italia dei Valori Toscana torna nelle carceri della regione dopo la serie di sopralluoghi a tappeto effettuati quest’estate “per denunciare le condizioni dei detenuti e del personale carcerario, per portare l’attenzione sulle difficoltà dei detenuti con Hiv, per conoscere concretamente le condizioni di chi è sieropositivo in carcere e del personale preposto alle loro cure e sorveglianza”. La campagna prenderà il via sabato 3 dicembre da Siena, dove una delegazione Idv, guidata dal segretario regionale, Fabio Evangelisti, visiterà la Casa Circondariale di Piazza Santo Spirito. “Nel mondo - spiega Evangelisti - secondo quanto affermato dall’Unaids, 34 milioni di persone sono sieropositive, e quarantamila sono italiani. Tra questi, una parte risiede in carcere. In Toscana, in particolare, i reclusi sieropositivi sono 55, anche se il numero è sottostimato poiché solo il 35% dei detenuti accetta di fare il test all’ingressò. ‘Immaginare cosa possa voler dire vivere con l’Aids in carcere riesce difficile persino a chi, come molti di noi, ha visitato numerose volte gli istituti di pena”, continua Evangelisti. “I sieropositivi in carcere soffrono anzitutto di emarginazione, depressione e un’accelerazione del decorso normale della malattia che provoca sofferenza sia fisica sia psicologica. È una situazione molto complessa perché essere sieropositivi significa esser detenuti due volte: dal carcere e dalla malattia”, afferma Evangelisti. “Per questo, vogliamo toccare con mano anche questo peculiare aspetto della vita dei nostri istituti di detenzione, perché siamo convinti che per risolvere i gravi problemi che affliggono le nostre carceri sia necessario ricorrere a misure alternative alla detenzione, specie per i soggetti più deboli e a rischio dell’intero sistema. Lo ripetiamo da tempo, ma giova ricordarlo”, conclude Evangelisti. Lettere: il programma del nuovo ministro della giustizia sul dramma carceri… di Riccardo Polidoro (Presidente “Il Carcere Possibile Onlus”) Maggiore applicazione delle misure alternative alla detenzione, braccialetto elettronico per gli arresti domiciliari, queste alcune soluzioni a cui ha fatto riferimento, unitamente alla necessità di una Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti tradotta in più lingue, da distribuire in carcere. Intervenendo innanzi la seconda commissione del Senato, il neo Ministro della Giustizia, Paola Severino, ha indicato alcuni provvedimenti che il Governo potrebbe adottare per affrontare concretamente il dramma delle carceri italiane. Arresti domiciliari con uso del braccialetto elettronico per il controllo a distanza Tale misura, già prevista dall’art. 275 bis del Codice di Procedura Penale, introdotto con D.L. 24 novembre 2000, N. 341, non è stata mai applicata, se non in rarissimi casi. In questi anni, in particolare dal 2001 ad oggi, il Ministero della Giustizia ha corrisposto alla Telecom 11 milioni di Euro all’anno, per il funzionamento dei braccialetti. “Il Carcere Possibile Onlus”, nell’aprile scorso, ha depositato un esposto alla Corte dei Conti per l’enorme spreco del denaro pubblico. Quali dunque le intenzioni del Ministro ? Scoprire finalmente le ragioni della mancata applicazione ? Rinnovare il contratto ?Rivolgersi ad altro operatore ? Verificare perché in altri Paesi il braccialetto è largamente diffuso, mentre in Italia ha solo rappresentato un enorme danno per lo Stato ? Danno non solo in termini strettamente economici (aver pagato una prestazione per ben dieci anni, senza ottenere alcun risultato), ma anche per lo sperpero di risorse finanziarie derivanti dalla mancata realizzazione dell’atteso risparmio in termini di riduzione del personale di custodia dei detenuti e del costo di gestione dei detenuti stessi. Vedremo. Maggiore ricorso a misure alternative alla detenzione La soluzione più volte sollecitata dall’Avvocatura e dalle Associazioni, andrebbe immediatamente applicata, con una corretta campagna d’informazione che possa illustrare all’opinione pubblica l’efficacia della soluzione anche in termini di sicurezza. Chi sconta la pena in carcere torna a delinquere con una percentuale del 70%, mentre la recidiva è, in caso di misura alternativa, molto più bassa. Istituzione di una Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti L’intenzione del Ministro è lodevole. A 36 anni dall’entrata in vigore dell’Ordinamento Penitenziario, che prevede un Regolamento Interno per ogni Istituto di Pena, ancora oggi molti Istituti ne sono sprovvisti. “Il Carcere Possibile Onlus” unitamente al Garante dei diritti dei detenuti della Regione Campania, ha pubblicato nel giugno dello scorso anno una “Guida ai diritti e ai doveri dei detenuti” che ha reso possibile una facile lettura dell’Ordinamento e del Regolamento Penitenziario e, grazie alla collaborazione del Provveditorato della Campania dell’Amministrazione Penitenziaria, ha illustrato anche le prassi vigenti nei 17 Istituti della Regione. La Guida, tradotta in inglese, francese, arabo, rumeno e albanese è stata stampata in 10.000 copie e distribuita e illustrata ai detenuti in Campania. Una “Carta” dunque va fatta. Ma è molto più importante che i diritti dei detenuti - da troppo tempo calpestati - trovino rispetto, altrimenti alla mancata attuazione si aggiungerà la beffa di “vederli sulla carta”. Buon lavoro Ministro, c’è molto da fare. Agli annunci siamo purtroppo abituati e, allo stato, ci scusi non ci fidiamo. Basilicata: Commissione regionale visita il carcere di Potenza “situazione difficile” Asca, 30 novembre 2011 Una situazione logistica complicata, sia per la vetustà della struttura, sia per il numero ridotto degli operatori e per le condizioni igienico-sanitarie difficili. È la valutazione della IV commissione del Consiglio regionale della Basilicata dopo la visita alla casa circondariale di Potenza. “L’iniziativa - ha sottolineato il presidente della commissione Rocco Vita - nasce da nuove sensibilità dell’organismo verso tale tipo di problematiche e dall’attenzione dei consiglieri regionali”. Il risultato è stata l’approvazione, a settembre, “all’unanimità in Consiglio - ha precisato Vita - di una mozione con la quale si impegnava la Giunta a farsi promotrice di iniziative presso il Governo nazionale e il Parlamento per la soluzione dei problemi riguardanti la crisi della giustizia e l’emergenza igienico-sanitaria”. Iniziativa doverosa, secondo Vita, “dopo i richiami del capo dello Stato, Napolitano, che ha definito la “questione a livello nazionale di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”, e le sollecitazioni del presidente della Conferenza regionale Giustizia, in sede di audizione in IV Commissione, per gli aspetti sanitari e per la promozione di attività sportive presso le sedi carcerarie (segnalazione, quest’ultima, recepita nel Piano dello sport). Dopo il passaggio di competenze in materia sanitaria dal Ministero della Giustizia alla Regione - ha spiegato Vita - purtroppo si registrano ritardi nella fase applicativa. Un passo avanti, invece, è stato compiuto per i progetti formativi di inclusione, fortemente sollecitati in passato. Un’importante misura, quest’ultima, che sta andando avanti, grazie agli operatori che, anche se in numero ridotto, svolgono con dedizione e impegno il loro lavoro”. Il presidente della IV commissione ha concluso ricordando che “il prossimo 2 dicembre si terrà un osservatorio sulle politiche sociali, un appuntamento atteso e di grande rilevanza e che ci auguriamo venga convocato con maggiore frequenza. Il nostro auspicio è che su quel tavolo possano trovare soluzione alcune delle problematiche che abbiamo riscontrato presso l’istituto di pena del capoluogo. Noi, dal canto nostro, chiederemo che il Consiglio regionale dedichi un’intera giornata di approfondimento sulla questione”. Emilia Romagna: Sappe; assegnati 300mila € per riparare mezzi Polizia penitenziaria Dire, 30 novembre 2011 278.825 euro assegnati alle carceri dell’Emilia Romagna per riparare i mezzi della polizia penitenziaria. Ne dà notizia in una nota il segretario generale aggiunto del sindacato di polizia penitenziaria Sappe Giovanni Battista Durante. I fondi saranno così ripartiti: 61.100 euro a Bologna, 35.126 a Parma, 32.049 a Ferrara, 32.500 a Modena, 32.900 a Piacenza, 25.600 alla casa circondariale di Reggio Emilia e 1.200 all’ospedale psichiatrico, sempre a Reggio; 1.550 alla casa di lavoro di Castelfranco Emilia, 6.200 a Ravenna, 700 alla casa di Lavoro di Saliceta San Giuliano, 8.100 a Forlì, 22.700 a Rimini, 19.100 al Provveditorato regionale. Data la notizia, Durante ne rivendica la primogenitura. “C’è voluta ancora una volta la voce del Sappe per fare in modo che l’Amministrazione assolvesse ai suoi doveri istituzionali. Non è un problema del sindacato se i mezzi non partono ed i detenuti non vengono portati in aula per i processi, se non vengono trasferiti da un istituto all’altro del Paese; dovrebbe essere l’Amministrazione a preoccuparsi di queste cose, invece, non è così”. Belluno: progetto di Cariverona e Caritas, per un posto di lavoro agli ex detenuti Il Gazzettino, 30 novembre 2011 Uno spiraglio di luce in fondo al tunnel per un futuro con un’occupazione vera, una casa e la possibilità di uscire a testa alta dal buio delle mura del carcere. Sembra questa l’opportunità che il Progetto Esodo vuole offrire ai detenuti nel loro ultimo periodo di carcere e agli ex detenuti degli istituti penitenziari delle province di Verona, Vicenza e Belluno. Tre anni di formazione, accompagnamento al reinserimento sociale e lavorativo e al supporto nella gestione economica, del tempo libero e all’individuazione di soluzioni alloggiative. Il progetto interprovinciale è stato ideato e finanziato dalla Fondazione Cariverona con il coordinamento delle Caritas delle tre province. Un milione e 800 mila euro il valore dell’intera operazione e di questi la Fondazione ha assegnato a Belluno 430 mila euro distribuiti su due enti capofila, il Consorzio S.A.C.S. (Servizi alla cooperazione sociale) e il Ce.I.S. (Centro di solidarietà di Belluno). Il progetto è partito nel mese di maggio di quest’anno con la collaborazione dei servizi come la Uepe (Ufficio esecutivo penale esterna) e i servizi sociali del Comune di Belluno, coinvolgendo 26 detenuti all’interno del carcere di Belluno che stanno ristrutturando, inquadrati al momento con uno stage formativo, un capannone di 420 metri quadrati all’interno della casa circondariale per adeguarne gli spazi all’utilizzo delle successive attività formative ed esperienze di lavoro secondo le richieste del mondo lavorativo come ad esempio nel settore dell’artigianato, addetto alle lavanderie, tinteggiatura e panetteria-pasticceria. La fine dei lavori di restauro all’interno del carcere di Belluno è prevista alla fine dell’anno. Fuori dal carcere, invece, sono 12 gli ex detenuti che stanno vivendo un percorso di inserimento sociale e lavorativo. “Esodo è un progetto nato dall’incontro nel 2010 tra la Fondazione Cariverona, la Caritas diocesana Bellunese, Veronese e Vicentina e il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria del Triveneto - spiega Paolo Conte, consigliere bellunese della Fondazione Cariverona - una squadra di persone che in mente avevano da tempo l’intento di promuovere e sostenere percorsi strutturati e di inclusione socio-lavorativa a favore di persone detenute o ex detenute. E monitoreremo annualmente la gestione e i risultati del progetto”. Ennio Colferai, coordinatore del Progetto per conto della Caritas, aggiunge - “Oltre all’area di formazione, di inclusione sociale e del lavoro, a Belluno è prevista anche un’area di sensibilizzazione, ossia delle azioni di promozione sul territorio, attraverso una corretta informazione, volta a sensibilizzare le diverse componenti sociali creando consenso e coinvolgimento. Stiamo esaminando la disponibilità da parte delle imprese bellunesi ad assumere, al termine del periodo di formazione, gli ex detenuti e abbiamo già oggi raccolto numerosi assensi in questa direzione”. I numeri della casa circondariale di Belluno Le 45 persone degli enti della provincia di Belluno, tra operatori, consulenti, psicologi, tutor e formatori, che lavorano in rete e coinvolte nel progetto Esodo dovranno confrontarsi con un totale di 38 destinatari tra detenuti ed ex detenuti per il programma di formazione e di reinserimento sociale e lavorativo. Di questi il 63,8% ha cittadinanza straniera e il 36,2% italiana e la maggior parte ha in media un’età compresa tra i 25 e i 50 anni con un’istruzione prevalentemente fino alla terza media. I dati forniti dal report di monitoraggio della Fondazione Cariverona registrano anche l’elevato 21,1% di chi non ha alcun titolo di studio e con sorpresa il 2,6% di chi, invece, possiede una laurea. 26 detenuti nell’ultimo periodo di pena, di cui 5 italiani e 21 stranieri. 12 ex detenuti avviati, di cui 9 italiani e 3 stranieri, tra cui anche un trans. Due di loro hanno inoltre ospitalità abitativa. Sono sostenuti da percorsi educativi e psicologici oltre che da azioni di orientamento e accompagnamento in azienda con tirocini gestiti dalle Cooperative sociali del Consorzio SACS, le Associazioni di Volontariato e gli Enti di Formazione del territorio. Belluno: il lavoro estingue il reato… ma molti enti ancora non accettano dipendenti-condannati Il Gazzettino, 30 novembre 2011 Il lavoro di pubblica utilità estingue il reato, dimezza il periodo di sospensione della patente e permette di revocare la confisca del mezzo. È l’ideale dunque per chi non vuole sporcarsi la fedina penale con una condanna per guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti. La novità prevista dall’ultima revisione del Codice della Strada è infatti molto richiesta dai difensori degli imputati condannati per la violazione dell’articolo 186 e 187, quelli che indicano appunto il reato di guida in stato di alterazione. Quelli che stentano ad aderire sono semmai gli enti che dovrebbero accogliere i lavoratori. “Abbiamo riscontrato infatti un po’ di titubanza da parte delle pubbliche amministrazioni - spiega Anna Rosa Bianchi Bridda, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Belluno - che temono di portarsi dentro dei galeotti. Fino a qualche tempo fa la possibilità di richiedere di essere messi in prova ai lavori di pubblica utilità era prevista solo per condotte relative agli stupefacenti e valutate di lieve entità, oltre ai reati di competenza del giudice di pace. Ma ora che la casistica è allargata ai condannati per guida in stato di ebbrezza si può dire che quasi chiunque può esserne interessato”. L’adesione dei Comuni del Bellunese non è affatto omogenea. “Delle 69 amministrazioni - continua Bianchi Bridda - al momento hanno aderito solo in 30, più qualche Comunità montana e organizzazioni onlus come il Ceis. Inoltre le attività offerte dagli enti si limitano al momento a lavori manuali, come la manutenzione e la pulizia delle strade e del territorio, mentre sono ancora pochi quelli relativi all’area amministrativa”. L’Ordine degli Avvocati, prima dell’estate, ha preparato una lettera che è stata inviata a tutti gli enti locali proprio con l’obiettivo di ampliare le convenzioni da stipulare con il ministero della Giustizia, rappresentato dal presidente del Tribunale, per i lavori di pubblica utilità evidenziando anche l’opportunità di attingere, in tempi di crisi, a un’attività lavorativa gratuita. “L’ente infatti non paga niente - aggiunge il presidente - mentre all’assicurazione pensa l’Inail secondo una formula espressamente prevista dalla legge. Enti con difficoltà a trovare e pagare personale possono avvalersi di questo aiuto nell’attività di magazziniere o per la manutenzione delle strade. Tenendo conto però che possono capitare anche professionisti o impiegati che possono essere utilizzati in lavori di concetto”. Al momento la discussione a livello provinciale è su come convertire la pena. “Stiamo stabilendo un protocollo - spiega il consigliere Alessandra Conti - per deciderne l’applicazione. La legge indica parametri giornalieri fra le 2 e le 4 ore per la conversione della pena detentiva. Ma potremmo farne fare anche otto, volendo. Ma bisogna fissare dei punti su come considerare il “giorno”. La discussione impegna l’Ordine degli Avvocati con la Procura e il Tribunale”. Ogni giorno di lavoro sconta 250 euro di condanna. Considerando che in genere le pene per la guida in stato di ebbrezza sono abbastanza elevate, chi chiede l’ammissione ai lavori di pubblica utilità si può trovare a dover impegnare un periodo lungo per pareggiare il proprio debito con la giustizia. “Ovviamente il condannato, a meno che non sia un disoccupato o uno studente, si trova a dover conciliare le necessità del proprio lavoro con quello di pubblica utilità - precisa il presidente Bianchi Bridda - in genere cercano di approfittare di un periodo di ferie o di concentrare l’impegno nel servizio sociale al sabato”. “Alcuni chiedono se una volta attivata la convenzione, nel caso non si trovassero bene con la persona in questione, possono annullarla - aggiunge Conti - ma questo evidentemente non è possibile. La convenzione implica disponibilità. Può darsi che capiti una persona inadatta ma non è possibile rifiutare per motivi di gradimento o fiducia. Si può fare solo quando si sia raggiunta la capacità massima. Bisogna inoltre considerare che il giudice, quando ammette ai lavori di pubblica utilità, ordina anche il controllo alle forze dell’ordine. L’ente da parte sua può segnalare se le prescrizioni non vengono rispettate”. Da quando la possibilità è stata allargata alle violazioni del Codice della strada le richieste in tal senso sono tantissime. Spetta all’avvocato difensore contattare l’ente e chiederne la disponibilità, quindi presenta al giudice la dichiarazione e il relativo programma. Nel caso del 187, la guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, è obbligatorio seguire anche un programma terapeutico in una struttura abilitata oltre ai lavori. “Non è una novità assoluta - conclude Bianchi Bridda - era già utilizzata dal giudice di pace, ma le pene prevalentemente pecuniarie ne scoraggiavano in realtà l’applicazione. Ora che l’elenco è stato riaggiornato e si sono aperte nuove possibilità si sta rivelando un metodo molto utile da diversi punti di vista. E non solo quello del condannato”. Le convenzioni: dalle attività manuali alla custodia per le mostre Sono quasi un centinaio, 95 per la precisione, i posti al momento messi a disposizione dalle diverse amministrazioni per i lavori di pubblica utilità. Diverse anche le possibilità offerte dai vari enti. Le maggiori riguardano i lavori di manutenzione ambientale, il servizio di raccolta e smaltimento rifiuti, la pulizia delle strade e lo sfalcio di prati e manutenzione dei giardini. Ad offrirle i Comuni di Taibon Agordino, Limana, Santa Giustina, Pieve d’Alpago, Vallada Agordina, Falcade, Belluno, Santo Stefano di Cadore, che prevede un lungo elenco di interventi, dalle manutenzioni ambientali a prestazioni di manutenzione su fabbricati. E ancora Sappada, Arsiè, Lentiai, San Pietro di Cadore, San Vito, Borca, Ponte nelle Alpi, Vas, Mel, Seren del Grappa, Domegge, Sospirolo, Sedico. I Comuni di Pedavena, Cencenighe, Voltago Agordino, Agordo e Lamon offrono anche possibilità di svolgere attività amministrative, o da decidere di volta in volta “con riferimento alle professionalità individuali”. A Trichiana sono previste anche prestazioni all’ufficio servizi sociali nel sostegno alle persone svantaggiate o alla polizia locale per collaborare nella sicurezza stradale. Cortina d’Ampezzo, San Nicolò Comelico e Comelico Superiore e ancora Santo Stefano, prevedono la possibilità di custodia di mostre e di esposizioni. Il Ceis, onlus di Belluno, contempla attività nell’area dei servizi e in quella amministrativa, mentre la Comunità Montana dell’Alpago, unica al momento, prevede servizi sociali o tecnico manutentivi. Foggia: Cisl; carcere a rischio di crolli e 720 detenuti su 350 posti della capienza regolamentare www.statoquotidiano.it, 30 novembre 2011 La visita della Cisl Fns, con la presenza del Segretario Generale Regionale Crescenzio Lumieri e del Segretario Territoriale Cisl Fns Michele Lanza, effettuata in data 29 novembre 2011, ha rimarcato e messo in evidenza il gravissimo disagio della Polizia Penitenziaria. “La Casa Circondariale di Foggia, super affollata, ospita circa 720 detenuti, alla data odierna, a fronte dei 350 previsti dalla capienza regolamentare”. “Il rapporto tra personale e detenuti risulta essere meno di mezzo agente per ogni detenuto. In effetti, i circa 300 agenti attualmente utilizzati in organico sono suddivisi in quattro turni o in tre e, 49 di questi, sono assegnati al Nucleo Traduzioni e Piantonamenti per le attività del Tribunale, trasferimenti, piantonamenti e visite ambulatoriali”. “Una gravissima carenza di risorse umane è rilevata presso la sezione femminile. Circa il reparto femminile, la Cisl Fns deve evidenziare che presso il carcere di Lucera vi è un congruo numero di agenti donne senza la presenza di un reparto femminile”. A tal riguardo la Cisl chiede al Dipartimento i motivi per i quali si verificano tali incresciose situazioni. “La situazione igienico-sanitaria della struttura è da ritenersi drammaticamente carente, soprattutto nei servizi igienici del block house e nel reparto denominato transito per il quale si chiede la chiusura qualora non fossero adottati interventi urgenti e risolutivi. Durante i turni pomeridiani e notturni gli 720 detenuti vengono gestiti da un numero di agenti che in alcuni casi è inferiore a 20. Tale circostanza assume rilievo sul piano della sicurezza in modo negativo. Si denuncia con forza il mancato funzionamento del sistema di anti scavalcamento del muro di cinta, dove l’amministrazione penitenziaria e lo Stato hanno investito somme ingenti per risparmiare unità di polizia penitenziaria da impiegare per il servizio di vigilanza esterno”. La domanda della Cisl, rivolta ai vari livelli dell’amministrazione penitenziaria è la seguente: “come mai si investono risorse economiche, e il servizio non garantisce l’efficacia e l’efficienza sperate?”. La carenza di Personale crea gravi disagi alla vita quotidiana dei poliziotti e delle loro famiglie. Le ore lavorative giornaliere superano i criteri contrattuali, determinando stress che, aggiunto alle continue aggressioni subite, sta decimando il Personale. Basta verificare le assenze per malattia e convalescenza. “I disagi dovuti ai tagli dei fondi creano invivibilità nella dimensione carceraria, che si ripercuote sui Poliziotti che subiscono, in prima persona, lo stato di malessere prodotto dalla carenza di fondi e dal grave affollamento esistente. L’attuale situazione di sicurezza è messa a repentaglio, in primo luogo, dalle crepe presenti sulle pareti del nuovo complesso che hanno determinato la chiusura del normale passaggio dei detenuti che, per godere della zona passeggio, devono spostarsi dal nuovo istituto al vecchio percorrendo un tragitto di circa 500 metri, con gravi conseguenze che scatenano liti tra di loro e, che il Personale della Polizia Penitenziaria, non può affrontare, considerato che a tale sorveglianza è previsto quotidianamente quasi sempre un solo Agente. Altra grave carenza è rappresentata dal reparto colloqui, dove un solo Agente deve vigilare su due o tre sale. Appare ovvio il mancato controllo, poiché non è ancora possibile avere il ‘dono dell’ubiquità’, per dividersi in tre parti”. “Si è costretti ad evidenziare l’utilizzo di una sola unità in due o tre posti di servizio contemporaneamente, fattispecie che può essere tollerata in momenti di emergenza, che non giustificano comunque, il disagio prodotto ai lavoratori. Di conseguenza, non è accettabile il protrarsi di questa situazione oltre il periodo delle ferie estive, durante il quale i lavoratori hanno superato ogni limite di straordinario consentito, per la copertura dei turni, violando in toto quanto previsto dall’articolo 9 dell’Aqn”, conclude il Segretario generale Crescenzio Lumieri, confederazione italiana sindacati lavoratori federazione nazionale sicurezza, segreteria generale regionale della Puglia. Sanremo (Im): detenuto ingoia punte di due forchette, finisce all’ospedale in prognosi riservata www.riviera24.it, 30 novembre 2011 Il detenuto ha manifestato un forte dolore allo stomaco ed è stato portato d’urgenza all’ospedale, dove è stato subito sottoposto ad intervento chirurgico allo stomaco. L’uomo avrebbe avvolto le punte in metallo nella mollica di pane. Un detenuto del carcere di Valle Armea si trova ricoverato in prognosi riservata all’ospedale “Borea” di Sanremo dal momento che aveva ingoiato le punte di due forchette quando qualche giorno prima era in carcere a Genova. Il detenuto ha manifestato un forte dolore allo stomaco ed è stato portato d’urgenza all’ospedale, dove è stato subito sottoposto ad intervento chirurgico allo stomaco. L’uomo avrebbe avvolto le punte in metallo nella mollica di pane, formando una pallina che poi ha ingoiato. Una delle punte ha però trapassato l’intestino. Torino: inaugurato il nuovo anno accademico del Polo Universitario per studenti detenuti Ansa, 30 novembre 2011 Parte il nuovo anno accademico del Polo Universitario per studenti detenuti presso la casa circondariale Lorusso e Cotugno di Torino. Alla cerimonia di inaugurazione hanno partecipato il rettore dell’università di Torino, Ezio Pellizzetti, il Procuratore della Repubblica, Giancarlo Caselli, il direttore della casa circondariale, Pietro Buffa e il responsabile dell’Area Politiche Sociali della Compagnia di San Paolo, Luigi Morello. Mario Chiavarino, professore di Procedura Penale, ha tenuto la lectio magistralis sul tema “L’immunità politica”. “Il carcere - ha detto Caselli - è sofferenza, istituzionalmente necessaria e legalmente dovuta. La Procura della Repubblica è una delle artefici di questa sofferenza, ma nel momento in cui s’infligge non si può che registrare una grande positività: combinare la sofferenza con forme di aiuto e questa iniziativa è una di quelle che più significativamente vanno in questa direzione”. Attualmente gli iscritti al Polo Universitario sono 27, dei quali otto in misure alternative e di semilibertà. Dieci sono iscritti a Giurisprudenza, nove a Scienze Politiche. Finora i laureati sono stati 21, uno si laurea il 13 dicembre e tre stanno ultimando la tesi. La Compagnia di San Paolo ha stanziato in dodici anni 260 mila euro a favore di questa iniziativa. Stati Uniti: Amnesty; stop ad ergastolo senza possibilità rilascio per condannati minorenni Adnkronos, 30 novembre 2011 Gli Stati Uniti devono vietare le le condanne all’ergastolo senza possibilità di rilascio sulla parola per i minorenni. È quanto richiede Amnesty International in nuovo rapporto pubblicato oggi in cui l’organizzazione per i diritti umani ha anche sollecitato le autorità statunitensi a riesaminare i casi di oltre 2500 prigionieri che si trovano in tale condizione, anche per reati commessi all’età di 11 anni. “Negli Usa, chi ha meno di 18 anni non può votare, acquistare alcoolici e biglietti della lotteria o dare il consenso alla maggior parte delle cure mediche. Può però essere condannato a morire in prigione a causa delle sue azioni e questo deve cambiare” ha dichiarato Natacha Mension, di Amnesty International Usa. Gli Usa sono l’unico paese al mondo a imporre condanne all’ergastolo senza possibilità di rilascio sulla parola, si legge in un comunicato diffuso da Amnesty che spiega che questa pena può essere inflitta automaticamente nei confronti di imputati minorenni, senza dunque prendere in considerazione circostanze attenuanti, come un passato di traumi e di abusi, il livello di coinvolgimento nel reato, le condizioni di salute mentale o la propensione alla riabilitazione. “Non intendiamo scusare i crimini commessi da questi minorenni né minimizzarne le conseguenze. La realtà pura e semplice è però - ha aggiunto Mension - che queste condanne ignorano la particolare predisposizione alla riabilitazione e al cambiamento che possono avere i criminali in giovane età”. Nel maggio 2010, la Corte suprema degli Usa ha stabilito che l’ergastolo senza possibilità di rilascio sulla parola è una pena particolarmente severa nei confronti di un minorenne, dato che questi trascorrerà in media più anni in carcere e passerà la maggior parte della sua vita in prigione, rispetto a un criminale adulto. “Una persona di 16 anni e una persona di 75 anni, condannati all’ergastolo senza possibilità di rilascio sulla parola, ricevono la stessa punizione solo sulla carta”, scriveva la Corte ha quindi proibito questo genere di condanna per i reati non collegati a un omicidio commessi da persone di età inferiore a 18 anni. Lo scorso 8 novembre i supremi giudici hanno poi accettato di esaminare la questione in relazione ai reati che includono un omicidio. La decisione è attesa non prima della metà del 2012. La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, entrata in vigore oltre due decenni fa, proibisce espressamente l’imposizione della condanna all’ergastolo senza possibilità di rilascio per i reati, di qualsiasi gravità siano, commessi da persone di età inferiore a 18 anni. Tutti i paesi del mondo, a parte gli Usa e la Somalia, l’hanno ratificata. “È arrivato, da molto tempo, il momento che gli Usa ratifichino la Convenzione, senza riserve o altre limitazioni, e applichino in pieno il divieto di imporre la condanna all’ergastolo senza possibilità di rilascio nei confronti dei minorenni, anche in relazione ai prigionieri già condannati”, ha concluso Mension. Il rapporto, intitolato “Ecco il posto dove morirò, descrive le storie di tre prigionieri, Jacqueline Montanez, David Young e Christi Cheramie. Proprio oggi Christi Cheramie, che sta scontando la condanna all’ergastolo senza possibilità di rilascio sulla parola, presenta richiesta di clemenza al Comitato per il rilascio sulla parola della Louisiana. È stata condannata all’ergastolo senza possibilità di rilascio sulla parola nel 1994, quando aveva 16 anni, per omicidio di secondo grado nell’uccisione della prozia del fidanzato. Christi Cheriamie che ha attualmente 33 anni, sostiene che l’omicidio sia stato commesso dal fidanzato. Siria: rilasciati 912 detenuti coinvolti nelle manifestazioni degli ultimi mesi Ansa, 30 novembre 2011 La Siria continua a rispettare l’accordo preso con la Lega araba, nonostante questa abbia di fatto dichiarato una guerra economico-finanziaria a Damasco. Oggi, sono state rilasciate altre 912 persone fermate nei mesi scorsi in relazione alla violenza in corso nel Paese. Coloro che sono stati rimessi in libertà non sono stati coinvolti in fatti di sangue.