Giustizia: ministro Severino; carceri nell’emergenza, il sovraffollamento non è sostenibile Dire, 29 novembre 2011 La questione del sovraffollamento delle carceri “mi sembra un tema di emergenza su cui è necessario concentrare l’attenzione. È un tema serio e da affrontare seriamente”. Il ministro Paola Severino mette questo tra le priorità della sua agenda di governo. Durante l’audizione in commissione Giustizia al Senato sulle linee programmatiche del suo dicastero, il guardasigilli fornisce alcuni dati. Nel 2010 “si è toccato il tetto del 68.968 detenuti e c’è stato un decremento del personale della polizia penitenziaria di 39.121 unità rispetto alle 45.121 fissate nel 2001”. Con questi numeri, continua, “siamo tornati a numeri assolutamente non sostenibili e non coniugabili con il rispetto dei diritti della persona, che, anche se detenuta, deve comunque vivere in un ambiente umanamente sopportabile”. E per questo, aggiunge, occorre anche un intervento sull’”edilizia penitenziaria”. Ma “costruire più carceri - continua - richiederebbe tempi inevitabilmente più lunghi”. Più immediato, osserva, “utilizzare i nuovi padiglioni” già esistenti delle carceri “ampliando” le strutture. Creare Carta diritti e doveri dei detenuti Va presa in considerazione la creazione di una “Carta dei diritti e dei doveri” dei carcerati. Così il Guardasigilli, Paola Severino, illustrando in commissione Giustizia del Senato le linee programmatiche del suo dicastero. Si tratta di uno strumento “poco costoso ma molto utile - spiega Severino - che farebbe sentire meno smarrito chi entra in carcere e lo aiuterebbe a sottrarsi a quelle forme di approfittamento da parte di chi invece il sistema lo conosce bene”. La “Carta” potrebbe essere tradotta in varie lingue” e potrebbe essere estesa “anche ai familiari dei detenuti per sapere quali diritti spettino loro e se possono fare dei colloqui”. Insomma, conclude il ministro, “consentirebbe di alleviare le sofferenze di chi entra in carcere”. Giustizia: ministro Severino; amnistia? meglio un maggiore ricorso alle misure alternative Redattore Sociale, 29 novembre 2011 L’amnistia “è un provvedimento di iniziativa non governativa ma che richiede iniziative parlamentari”. Così Paola Severino durante la sua audizione davanti alla commissione Giustizia del Senato sulle linee programmatiche del suo Dicastero. L’obiettivo, aggiunge il ministro, per affrontare il sovraffollamento, “è di cercare di verificare se non vi siano dei mezzi deflattivi che abbiano portata maggiormente stabilizzante del sistema carcerario. I provvedimenti svuota carceri - aggiunge - sono dei provvedimenti provvisori. Svuotano momentaneamente le carceri che poi sono destinate a riempiersi nuovamente”. Sarebbe come “svuotare il mare con un cucchiaino”. Meglio quindi, continua Severino, l’implementazione di “misure alternative” al carcere come “l’allargamento dell’istituto della detenzione domiciliare: questo potrebbe essere un obiettivo più immediato da considerare”. O ancora, la “messa in prova che è un istituto che con i minori ha funzionato benissimo. È chiaro che va trasferito e trasformato, ma potrebbe essere una forma ideale anche per cercare quel reinserimento sociale che è uno degli scopi che la nostra costituzione attribuisce alla detenzione”. Per affrontare l’emergenza carceri il ministro Paola Severino pensa “non a un rimedio” ma a “una serie di misure alternative alla detenzione da coordinare per consentire una deflazione che stabilizzi” il flusso dei detenuti. Una serie di misure, spiega durante l’audizione in commissione Giustizia al Senato, “che affronti il problema delle cosiddette porte girevoli”, ossia i casi di chi esce dal poi rientra magari dopo pochi giorni e ne riesce magari per andare ai domiciliari. “Sulla questione carceri servono anche interventi “per alleviare le sofferenze del detenuto”. È quanto dice il ministro Paola Severino durante l’audizione in commissione Giustizia al Senato sulle linee programmatiche del suo dicastero. in tal senso, spiega, sarebbe “l’istituzione di una sorta di carta dei diritti e dei doveri di chi è in carcere”. Naturalmente, “da tradurre nelle varie lingue”. Si tratterebbe, osserva il guardasigilli, di “un piccolo catalogo che farebbe sentire meno smarrito chi entra nel carcere e non sa cosa può fare o cosa gli è vietato fare”. E questa Carta, continua, “io la estenderei anche ai familiari. Mi è capitato” nella carriera da avvocato “di constatare” come i parenti dei detenuti “si aggirano smarriti per sapere che diritti hanno, ad esempio se possono fare dei colloqui”. Giustizia: ministro Severino; contro l’emergenza carceri anche il “braccialetto elettronico” Il Velino, 29 novembre 2011 “Il problema di sovraffollamento delle carceri non si risolve con interventi una tantum, come potrebbe essere un’amnistia, ma con azioni strutturali e durature nel tempo, come l’adozione del braccialetto elettronico o la detenzione domiciliare”. Il ministro della Giustizia Paola Severino nella sua prima audizione davanti alla commissione Giustizia del Senato, riapre l’annosa questione sulla non utilizzazione del braccialetto elettronico nel nostro paese. Seppur previsto dalla legislazione, i giudici soltanto in pochi e rarissimi casi lo hanno fatto applicare. Una decina in tutto i detenuti ai quali è stato applicato, per un costo di quasi dieci milioni. Tanto infatti deve dare ogni anno alla Telecom il ministero dell’Interno per aver programmato su tutto il territorio nazionale la rete alla quale sono allacciati i 400 braccialetti disponibili. I detenuti nelle carceri italiane hanno raggiunto il numero di 67.000 circa, di cui 24.400 stranieri. Una cifra record, superiore a quella, 63.000, che indusse il governo Prodi quasi cinque anni fa a varare l’indulto. Una situazione vicina al collasso, aggravata dalla mancanza di personale come denunciato dai sindacati della polizia penitenziaria. Una boccata d’ossigeno potrebbe arrivare dai “braccialetti elettronici”. Sulla carta la Telecom è nelle condizioni tecniche di assicurare il controllo di qualche migliaio di condannati a pene brevi e, comunque, di non particolare allarme sociale, ma i magistrati italiani difficilmente applicano le norme che lo consentirebbero. Furono l’ex ministro dell’Interno Enzo Bianco e l’ex Guardasigilli Piero Fassino a firmare con Telecom un contratto vicino ai dieci milioni di euro all’anno per dieci anni (scadrà alla fine del 2011) che il Viminale paga regolarmente per un servizio non utilizzato. Uno spreco enorme. D’altro canto la Telecom ha posto in essere 309 centraline su tutto il territorio nazionale collegate alle questure, ai comandi provinciali della finanza e dei carabinieri, connesse con i numeri di emergenza. Tutto fa capo a una sala di controllo che è stata installata presso la sede centrale della Telecom a Oriolo Romano. In Gran Bretagna circa 13mila “detenuti” sono controllati con il kit del braccialetto elettronico, quasi altrettanti in Francia. Nel nostro Paese la giustizia non si fida e così i pochi braccialetti in funzione costano quasi un milione di euro l’anno ciascuno. Giustizia: misure alternative, oltre 18 mila le persone che ne beneficiano Redattore Sociale, 29 novembre 2011 I dati al 30 settembre 2011. In detenzione domiciliare 8.055 persone; l’affidamento in prova ai servizi sociali concesso a 9.449 condannati. Tra questi, rientravano 2.923 tossico o alcol dipendenti. E con le pene alternative cala la recidiva “Amnistia? Meglio il ricorso alle misure alternative”. Ad affermarlo è stato il neoministro della Giustizia, Paola Severino, illustrando alla Commissione Giustizia del Senato le linee programmatiche del suo dicastero. Per rispondere al problema del sovraffollamento, infatti, la Severino ha auspicato l’implementazione di “misure alternative” al carcere come “l’allargamento dell’istituto della detenzione domiciliare, o la messa in prova. Ma qual è, al momento, la situazione in tema di misure alternative in Italia? I dati. In presenza di determinati requisiti, ad alcuni condannati può essere disposta una misura alternativa alla detenzione. Al 30 settembre 2011 erano in totale 18.391 le persone che beneficiavano delle misure alternative (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria). L’affidamento in prova ai servizi sociali è stato concesso a 9.449 condannati. Tra questi, rientravano 2.923 tossico o alcoldipendenti, di cui 906 erano stati affidati direttamente ai servizi, 332 vi erano stati posti in misura provvisoria e 1.685 erano già in carcere. I condannati affetti da Aids affidati ai servizi erano invece 36, di cui 34 stavano già scontando la pena in carcere. In semilibertà erano invece 887 persone, di cui 100 dallo stato di libertà. Della detenzione domiciliare usufruiscono 8.055 persone, di cui 2.527 erano i condannati dallo stato di libertà, 3.523 dallo stato di detenzione e 1.943 in misura provvisoria. Usufruivano degli arresti domiciliari anche 43 persone affette da Aids e 19 condannati con figli di età inferiore ai 10 anni. Pene alternative e recidiva. I numeri dimostrano che il detenuto a cui viene concessa una misura alternativa al carcere ha una recidività minore rispetto a chi sconta la propria pena all’interno di una cella. Nello specifico, la recidiva, trascorsi sette anni dalla conclusione della pena, si colloca intorno al 19% in caso di pena alternativa, mentre raggiunge il 68,4% quando la stessa viene eseguita in carcere (ricerca del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria). Al 30 giugno 2011 solo lo 0,46% delle persone in misura alternativa ha commesso reato durante la stessa (Antigone, VIII Rapporto sulle condizioni di detenzione). La concessione delle misure alternative. I tribunali di sorveglianza italiani autorizzano le misure alternative in misura diversa. Secondo l’ottavo Rapporto di Antigone, per l’affidamento in prova ai servizi la forbice nelle percentuali di accoglimento delle istanze è ampia: va dal minimo dell’11,58% di Napoli al massimo del 39,43% di Milano. Tra i tribunali con gli indici più bassi Antigone segnala Venezia (14,5%) e Torino (14,43%), mentre tra quelli con gli indici più elevati evidenzia Perugia (31,6%). La misura alternativa con le maggiori possibilità di successo è in generale l’affidamento terapeutico: 7 dei 9 tribunali indagati presentano tassi di accoglimento superiori al 30%. A Milano e a Venezia la percentuale arriva quasi al 50%. All’ultimo posto invece si piazza Napoli, con l’8,4%, ma non spicca neanche L’Aquila (16,04%). Più omogenea è la concessione della detenzione domiciliare, che incontra una generale tendenza alla prudenza, con percentuali di accoglimenti che non superano mai il 25%. Si va dal 14,96% di Napoli e al 25,7% di Roma. In controtendenza solo Venezia, con il 49,63%. Intanto, sul fronte della semilibertà si deve fare i conti con un irrigidimento: il tribunale con la percentuale più elevata è Perugia con il 20,75%. Tra gli altri, Venezia raggiunge quota 18,44% e ancor più bassi sono i valori di Milano (5,67%), Napoli (8,25%), Roma (8,76%) e Torino (8,82%). Giustizia: Bernardini (Radicali); il carcere è l’appendice dolorosa della bancarotta del sistema Adnkronos, 29 novembre 2011 “Siamo di fronte a una vera e propria bancarotta della giustizia italiana. E il carcere è l’appendice dolorosa che ha portato il presidente della Repubblica a chiedere di intervenire con urgenza. Peccato che questa frase l’ha pronunciata a luglio ma da allora non è stato fatto niente, anzi la situazione si è aggravata”. Lo ha detto Rita Bernardini, deputato radicale intervenuta al programma radiofonico “Radio anch’io”, su Radio Uno, dedicato oggi all’emergenza carceri. “Noi abbiamo 5 milioni 200 mila procedimenti penali pendenti - ha ricordato Bernardini - e di questi almeno 180mila cadono in prescrizione, ovvero con un’amnistia di fatto, mentre nel civile ci sono 5 milioni 400mila cause in arretrato, e ci vorrebbero dieci anni per smaltirle”, dunque siamo davvero “alla bancarotta della giustizia”. Quanto alle soluzioni per l’emergenza carceri, quelle strutturali non sono state affrontate in tutti questi anni, e nelle carceri si vive in condizioni disumane, basti pensare che a Regina Coeli ci sono 3 detenuti in 6 metri quadrati per 23 ore e 40 minuti al giorno”. Bernardini ribadisce che “una risposta deve essere data, perché sappiamo che è in corso un reato, c’è una flagranza di reato. Non possiamo far finta di niente - ammonisce - e dire “aspettiamo le riforme strutturali” che in tutti questi anni non sono state fatte. Non possiamo aspettare che i magistrati si mettano lì a smaltire 10 milioni di procedimenti tra penali e civili. A chi parla tanto di amnistia, ricordo che l’ultima risale al 1991, e che solo un’amnistia può trainare le riforme. Se non vengono fatte il nostro paese sarà letteralmente in ginocchio perché - sostiene - quando una giustizia civile e penale non funziona come non funziona oggi non c’è sicurezza, non c’è certezza del diritto e il paese non funziona nemmeno dal punto di vista economico. Altrimenti - ha concluso - mi indichino strade altrettanto rapide per intervenire”. Giustizia: Testa (Ass. “Detenuto ignoto”); sull’amnistia partiti aiutino il ministro Severino Il Velino, 29 novembre 2011 “È da salutare perlomeno in maniera neutrale, per ora, l’intervento odierno della neo ministro della Giustizia Paola Severino in commissione Giustizia del Senato, rivolto all’illustrazione di misure governative che intende attuare per intervenire concretamente sulla grave e ormai drammatica situazione che insiste sulla realtà delle carceri italiane”. Lo dichiara Irene Testa, segretario dell’associazione radicale Il Detenuto Ignoto. “Chiaramente, come indica il Ministro, una soluzione come l’amnistia, sostenuta non solo dai Radicali ma da un ampio arco di forze (da direttori di istituti penitenziari, a importanti associazioni di settore e organizzazioni rappresentative di avvocati e magistrati fino a posizioni istituzionali), quale unico dispositivo in grado ora di ripristinare nella maniera più pronta e più lineare dal punto di vista legislativo costituzionale quello stato di legalità ora e in maniera reiterata ampiamente violato nel settore della giustizia e delle carceri in Italia, non rientra nelle competenze del Governo, ma deve essere esclusivamente proposta e votata dal Parlamento che la approva con maggioranza doppia. Tanto meno può rientrare, quindi, tra le iniziative di un Ministro di un esecutivo tecnico che non gode di un diretto collegamento con i partiti che siedono nel Parlamento. Bene, quindi, che il nuovo Guardasigilli, che pur non sostenendo chiaramente questo dispositivo, comunque non ne nega l’opportunità e anzi lo ricorda, si rivolga a illustrare e percorrere le vie a lei consentite e richieste per incidere in una situazione - quella delle carceri - che, al di là di promesse e interventi tampone poco risolutivi, sovente intentati assieme o dopo altri interventi, specie in materia di sicurezza, sciaguratamente peggiorativi, è stata finora, con colpevole inerzia, ignorata da troppi degli scorsi esecutivi. A maggior ragione, la questione amnistia, è invece tutta nelle mani delle forze politiche, che possono e devono scegliere ora, ma in fretta, se vogliono approfittare di questa occasione per aiutare, sostenere e accompagnare l’azione del neo Ministro con un provvedimento che, alla radice finalmente, possa ripristinare nei tempi più urgenti la legalità costituzionale, nazionale, europea, internazionale della giustizia italiana e della sua appendice carceraria, o se, con la stessa inerzia partitocratica finora sempre adottata, continuare a voler tenere un immane e non più sostenibile peso di illegalità a ogni livello sopra ogni ipotesi di intervento di questo esecutivo e del Ministro Severino in questa materia, fondamentale per lo sviluppo del Paese”. Giustizia: Gonnella (Antigone); emergenza carceri, riformare leggi su detenzione reati minori Adnkronos, 29 novembre 2011 Il problema dell’emergenza carceri si affronta a partire dalla “riforma di quelle leggi che portano dietro le sbarre persone non pericolose. Dobbiamo evitare insomma che ad esempio i giovani, ragazzi consumatori di droghe leggere finiscano in carcere”. Lo ha detto Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, intervenuto al programma radiofonico “Radio anch’io”, su Radio Uno, dedicato oggi all’emergenza carceri. “Si pensi alla storia di Stefano Cucchi - sottolinea Gonnella - che, al di là delle violenze, è entrato in carcere per poche ore ma si poteva portare direttamente a casa in stato di fermo il giorno in cui fu preso dai carabinieri con qualche grammo di droga leggera. Non c’è bisogno di incattivirsi per fatti che non sono di grande rilevanza criminale”. E sull’emergenza carceri, Gonnella ricorda “l’anomalia tutta italiana”. “Abbiamo il tasso di affollamento più alto dell’Unione europea - ricorda - con 148 detenuti per 100 posti letto, laddove in Germania ci sono meno persone rispetto al numero di posti”. E ancora: “la custodia cautelare. In Italia circa il 43% dei carcerati è in attesa di sentenza definitiva di condanna contro il 25% della media degli altri Paesi Ue. E non dimentichiamo - ha ammonito - che sono tutti presunti innocenti”. Quanto poi ai reati per violazione delle leggi in materia di sostanze stupefacenti “abbiamo il 37% di detenuti rispetto a Francia, Inghilterra e Germania che sono sotto il 20%. Dunque abbiamo le leggi più restrittive”. Infine: la percentuale di immigrati detenuti è del 35 - 36%, con circa 16mila persone, mentre in paesi con indici di immigrazione più alti la presenza è inferiore al 20%”. In totale sono 22mila i detenuti in sovrannumero nelle nostre carceri, ma “ci sono anche circa 40 istituti in Italia - conclude Gonnella - mai aperti o con lavori iniziati e non finiti”. Giustizia: Don Nozza (Caritas); importante considerare un’azione contro il sovraffollamento Adnkronos, 29 novembre 2011 “Vista la situazione in cui si trovano le carceri italiane, e l’aumentato numero delle presenze all’interno dei penitenziari, ritengo importante un’azione per così dire liberante, diminuente la situazione di tensione, debba essere opportunamente presa in considerazione”. Lo ha detto don Vittorio Nozza, direttore nazionale della Caritas, intervenuto al programma radiofonico “Radio anch’io”, su Radio Uno, dedicato oggi all’emergenza carceri. A fronte di ciò, però “è necessario e importante - ha aggiunto - che tra carcere e società si attivino e si incrementino forme per l’opportuna risocializzazione dei detenuti”. Don Nozza, poi, sottolineando quanto sia cambiata rispetto al passato la popolazione carceraria “quando c’erano meno immigrati e i detenuti provenivano soprattutto dalla lotta armata”, sottolinea che “oggi c’è una situazione di frantumazione della popolazione e di conseguenza diventa anche più difficile intercettarne i bisogni”. Infine quanto alla validità di usare detenuti per lavori socialmente utili, il direttore della Caritas ricorda che “in tempi meno gravi rispetto ad oggi avevamo fatto la proposta per giovani detenuti di poter accedere al servizio civile volontario. Un’iniziativa che avrebbe permesso ai detenuti di stare dentro contesti in cui operatori responsabili li avrebbero accompagnati nel loro reinserimento sociale”. Giustizia; Li Gotti (Idv); con ministro Severino ampia condivisione di linee programmatiche Dire, 29 novembre 2011 “Il ministro della Giustizia ha fatto una esposizione di linee programmatiche concreta, senza velleitari propositi”. Lo afferma il senatore Luigi Li Gotti, capogruppo dell’Italia dei valori in commissione Giustizia, dopo le comunicazioni del ministro della Giustizia, Paola Severino, sulle linee programmatiche del suo dicastero. “Ha parlato del problema del sovraffollamento carcerario, una grave emergenza da affrontare con provvedimenti strutturali (braccialetto elettronico, messa in prova, misure alternative), poi della necessità di dare impulso alla informatizzazione. Il ministro - osserva Li Gotti - ha escluso che l’amnistia sia una soluzione. L’Idv ha consegnato al ministro le proposte, estratte dai numerosi disegni di legge, di possibile immediata applicazione e molto coincidenti con le linee illustrate”. Giustizia: Sappe; auspichiamo presto incontro al Ministero su criticità penitenziarie Comunicato stampa, 29 novembre 2011 “Confidiamo molto sulla ministro della Giustizia Paola Severino: il fatto stesso che la sua sia una nomina tecnica, svincolata cioè dagli apparati politici e partitici che sono più attenti al responso elettorale che non alla soluzione dei problemi, ci fa ben sperare per una organica proposta di riforma del sistema dell’esecuzione penale italiana. L’emergenza carceri è sotto gli occhi di tutti e servono strategie di intervento concrete, rispetto alle quali il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, intende fornire il proprio costruttivo contributo. Il sovraffollamento degli istituti di pena è una realtà che umilia l’Italia rispetto al resto dell’Europa e costringe i poliziotti penitenziari a gravose condizioni di lavoro. Facciamo nostra l’impietosa osservazione fatta nei giorni scorsi dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha anche sottolineato con forza come ciò sia dovuto al peso gravemente negativo di oscillanti e incerte scelte politiche e legislative, tra tendenziali depenalizzazione e depenitenziarizzazione e ciclica ripenalizzazione, con un crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estensione della carcerazione preventiva. Auspico pertanto che la Ministro della Giustizia Paola Severino, che pure ha dichiarato all’atto del suo insediamento in via Arenula di voler porre la questione penitenziaria tra le priorità di intervento potenziando maggiormente le misure alternative alla detenzione, vorrà quanto prima incontrare il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. Capece sottolinea come sia giunto il tempo “che la classe politica rifletta seriamente sulle parole del Capo dello Stato ed intervenga con urgenza per deflazionare il sistema carcere del Paese, che altrimenti rischia ogni giorno di più di implodere. Il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è spesso lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensioni, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Torniamo a sollecitare l’adozione di riforme strutturali, che depenalizzino i reati minori e potenzino maggiormente il ricorso all’area penale esterna, limitando la restrizione in carcere solo nei casi indispensabili e necessari.” In merito, infine, alle polemiche di questi giorni sul provvedimento che ha portato al prepensionamento alcuni dirigenti dell’amministrazione penitenziaria, Capece giudica la decisione “positiva e legittima”: “Nell’Amministrazione Penitenziaria abbiamo bisogno di una classe dirigente giovane e nuova, che sia portatrice di una nuova cultura, nuova professionalità e nuove idee. Serve aria fresca. Non a caso siamo scesi in piazza quattro volte, solo quest’anno, per protestare contro quella parte di dirigenza dell’Amministrazione penitenziaria che da vent’anni ostacola ogni evoluzione ed accrescimento professionale della Polizia penitenziaria”. Giustizia: ben pochi hanno coscienza della reale situazione delle carceri in Italia… www.agoravox.it, 29 novembre 2011 Altri suicidi in carcere, si continuerà così perché è una crisi che non interessa a nessuno. Nel 1978 la Rai commissionò al cineasta Alberto Grifi un documentario sulla condizione carceraria in Italia. Il prodotto fu un piccolo film di soli 23 minuti, intitolato “Michele alla ricerca della felicità”, ed è un racconto di terrificante crudezza. Un pugno nello stomaco che narra della condizione carceraria in Italia, che la Rai provvide presto a censurare, e che andò in onda solo molti anni dopo, a notte fonda, nello spazio curato da Enrico Ghezzi, ed è oggi disponibile in rete cliccando su You Tube. Ben pochi comunque hanno visto quel film, così come ben pochi hanno coscienza della situazione delle carceri in Italia, anno 2011. Non ne parlano i giornali, non ne parla Bruno Vespa, e neppure Santoro, ma ogni anno in Italia avviene nel silenzio e nell’indifferenza generale una piccola pulizia etnica. Dal 1 gennaio di quest’anno, i detenuti suicidi nelle carceri italiane sono 59. Suicidi. Di questi 47 si sono impiccati, 6 sono morti per asfissia con il gas delle bombolette da cucina, 3 per avvelenamento di farmaci e 1 dissanguato per essersi tagliato la gola. Tossicodipendenti, immigrati, disoccupati, analfabeti e altri emarginati le vittime di questa ecatombe. Reietti, rifiuti della società, gente di cui nessuno si interessa, e la cui morte non richiama l’attenzione dell’opinione pubblica. Eppure l’Italia è lo stesso paese che reclama pene certe, e nel quale la gente si lamenta perché “nessuno va in galera”. In realtà la galera la evita chi ha i soldi, tutti gli altri la fanno, e devono fare i conti con una situazione indegna per un paese europeo avanzato quale ci fregiamo di essere. Il sovraffollamento ha raggiunto livelli intollerabili, il lavoro è un privilegio riservato a una estrema minoranza, l’assistenza sanitaria non garantisce neppure lontanamente il diritto alla salute, per la cronica carenza di farmaci (anche salvavita), per le visite specialistiche fissate dopo mesi, per le cartelle cliniche mai consegnate. A poco è servita la condanna all’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo nel luglio 2009 per violazione dell’articolo 3 ovvero per “trattamenti inumani e degradanti” nei confronti di un detenuto nel carcere di Rebibbia che, costretto a condividere una cella di 16,20 metri quadrati con altre cinque persone, disponeva di una superficie di 2,7 metri quadrati nella quale trascorreva oltre 18 ore al giorno. Decisamente inferiore agli standard del Comitato per la prevenzione della tortura che prevede in 7 metri quadrati a persona lo spazio minimo sostenibile per una cella, la Corte di Strasburgo ha stabilito una soglia minima di 3 mq per detenuto. Se il grado di civiltà di un Paese si misura dalle condizioni delle sue carceri, il nostro sistema penitenziario è l’ideale cartina al tornasole dell’Italia. Il paese che solo tre anni fa celebrava come una grande vittoria diplomatica in difesa dei diritti umani l’aver fatto approvare la moratoria sulla pena di morte dalle Nazioni Unite, vede ogni settimana almeno una esecuzione capitale, se pur spontanea, all’interno dei propri istituti penitenziari. Un piccolo risparmio per la collettività, un macigno sulla coscienza della Stato. Giustizia: il carcere è fuori dai dettami della Costituzione… lectio magistralis di Valerio Onida di Marco Parasiliti www.cittadigenova.com, 29 novembre 2011 Palazzo Ducale ospita una nuova rassegna di dibattito sulle condizioni dei detenuti del nostro Paese. Relatore del secondo incontro di “Uomini dentro. Ci mettiamo la faccia” il giurista Valerio Onida con una Lectio Magistralis. “Il carcere è fuori dai dettami della costituzione italiana”. Con queste parole, citando il Presidente Napolitano, Luca Borzani ha introdotto la lectio magistralis di Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale italiana, tenuta nella sala del Maggior Consiglio al Palazzo Ducale, per il ciclo “Uomini dentro. Ci Mettiamo la Faccia”, un insieme di iniziative volte a portar fuori dalle carceri il dibattito sulle condizioni dei detenuti nel nostro Paese. Oggi, dopo i grandi passi avanti compiuti rispetto alla tremenda condizione dei luoghi di detenzione del nostro passato, il rischio di tornare indietro, molto indietro, è forte. Quella triste concezione del carcere concepito come “discarica sociale” che sembrava ormai superata, si ripropone amaramente se si da uno sguardo d’insieme alle nostre prigioni. La legge è uguale per tutti? Così recita la nostra costituzione, così è scritto in modo austero ed elegante nelle aule dei nostri tribunali. Eppure se si sbircia dentro le celle ci si accorge che oltre la metà dei nostri 64 mila detenuti ha la licenza elementare o meno, un terzo sono extracomunitari, un altro tanto sono i tossicodipendenti. Non resta che constatare amaramente il triste nesso tra la possibilità di finire dentro e l’appartenenza alle fasce sociali più disagiate, più povere, più discriminate. I Padri fondatori al momento di scrivere la costituzione avevano fresca nella mente l’esperienza delle carceri fasciste e ne fecero tesoro prevedendo con gli articoli 25, 26 e 27 garanzie inalienabili anche a chi fosse accusato di un crimine o lo avesse certamente compiuto. “I diritti dei detenuti devono mantenersi in equilibrio con le necessità di sicurezza - ha aggiunto Milò Berlotto, assessore con delega alle carceri della Provincia di Genova - si tratta di uomini e donne non di una discarica”. Il piano carceri proposto tempo addietro dall’ex ministro Alfano, che prevedeva l’incremento del numero delle prigioni per risolvere il problema del sovraffollamento, non sarebbe che un inutile palliativo perché con le attuali normative in tema di immigrazione e tossicodipendenza (le leggi Bossi - Fini e Fini - Giovanardi) le riempiremmo in breve tempo. Quindi è dalla revisione delle normative in materia penale che bisogna partire per riportare alla dignità le nostre prigioni, dove i detenuti vivono ammassati in modo disumano. Un trattamento insostenibile, una tortura. Non può che definirsi così una condizione che spinge al suicidio un numero di individui venti volte superiore alla norma. Il professore Valerio Onida ha iniziato il suo discorso partendo dall’articolo 3, che sancisce l’uguaglianza di tutti davanti alla legge, per poi spiegare gli importanti articoli 25 - 26 - 27. “Il sistema delle pene, non può essere concepito come una forma di contenimento dei soggetti inclini al reato, altrimenti sarebbe giustificabile anche la pena di morte” e ha ricordato come tale erronea concezione sia ancora troppo diffusa anche nella nostra classe politica. “Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, anzi sarebbe meglio parlare di “risocializzazione” per evitare termini che fanno pensare ai gulag ed ad altri orrori del Novecento. Se ammettessimo l’esistenza di persone con cui non c’è nulla da fare tali presupposti sarebbero inammissibili”. L’uomo è dotato di coscienza e quindi di capacità di cambiare, chi conosce la realtà delle carceri lo sa bene. È vero i casi di insuccesso sono tanti, ma il rischio del fallimento non giustifica la rinuncia. “È una scommessa che deve essere tentata e il fallimento di tale sistema è il fallimento dello Stato”. La Legge è, e deve essere, ottimista altrimenti non sarebbe propria di un paese libero e democratico. Gli strumenti di tale sistema sono previsti chiaramente negli ordinamenti carcerari: sono istruzione, cultura e lavoro, e vanno usati. Il professore Onida usa parole dure contro televisioni e giornali che troppo spesso presentano misure alternative alla detenzione, e cioè semilibertà, permessi, e lavoro esterno, come un atto di grazia nei confronti dei condannati, poiché tali misure mostrano margini di successo che non è possibile ignorare gridando allo scandalo. Infine, citando la sua esperienza di volontario, portata avanti all’interno del carcere di Bollate, dove offre pareri legali a detenuti che non possono permettersi un avvocato, sottolinea che le carceri non servono ad allontanare ma, al contrario, ad avvicinare i detenuti alla società che c’è fuori e che li aspetta, altrimenti non sarebbero altro che un inferno, un luogo che non trova spazio in una società civile. Bollate però è un’eccezione, dove il via vai senza sosta di volontari, educatori e parenti dei detenuti riaccende la speranza in chi si trova dietro le sbarre, fornendo chance di riscatto altrimenti improponibili. Un’eccezione che non dovrebbe essere tale, perché come scrisse Alexis de Tocqueville, ormai quasi due secoli fa, la democrazia di un popolo si vede dalle condizioni riservate ai suoi detenuti. Giustizia: Italia è in prima linea nella campagna per abolizione della pena di morte nel mondo Adnkronos, 29 novembre 2011 “L’Italia è in prima linea nella campagna contro la pena di morte”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Paola Severino, nel saluto rivolto in apertura del sesto Congresso internazionale dei ministri della Giustizia “Dalla moratoria all’abolizione della pena capitale”, organizzato oggi a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio. Quello della battaglia contro la pena di morte, ha ricordato il ministro, è un “tema caro all’Italia, paese da sempre attento alla tutela dei diritti della persona” e l’applicazione della pena capitale “non dà nessuna garanzia di sicurezza”. Il ministro che ha ringraziato la Comunità di Sant’Egidio per l’iniziativa, ha ricordato le tre risoluzioni, del 2007, del 2009 e del 2010, che ha definito “risultato storico e tappe fondamentali verso l’eliminazione”. “È un traguardo ancora lontano ma va perseguito con determinazione - ha ammonito Severino - da Stati, organismi internazionali, società civile, ong, tutti insieme nella stessa direzione”. Il ministro ha poi assicurato che “l’Italia non farà mancare il proprio contributo e proseguirà il suo impegno contro la pena di morte in tutte le sedi”. Lettere: sul risarcimento per ingiusta detenzione, sconfitta completa… la legge non passerà mai di Giulio Petrilli (Responsabile giustizia Pd L’Aquila) Ristretti Orizzonti, 29 novembre 2011 La campagna per l’introduzione della retroattività nella legge sulla riparazione per ingiusta detenzione, che avrebbe consentito il risarcimento anche a coloro i quali sono stati assolti prima dell’entrata in vigore della legge nell’ottobre 1989, non ha avuto successo. Il Senatore Luigi Lusi che più di tutti si è speso in suo favore, presentando anche un emendamento nell’ultima finanziaria dell’agosto scorso che non fu approvato per un solo voto, mi ha in modo molto chiaro e sincero, esplicitato che le possibilità che la legge passi in questa congiuntura è pari allo zero. Questo significa che purtroppo tutte le mobilitazioni, assemblee, articoli, convegni, raccolte firme, scioperi della fame non hanno portato a nulla. Mi dispiace rassegnarmi nel vedere negato il diritto al risarcimento per ingiusta detenzione per tutti, un sacrosanto diritto che non sarà più applicato a persone che magari sono state tanti anni in carcere ingiustamente, ma assolti prima dell’entrata in vigore della legge e io sono tra questi. Chiudere questo impegno di anni con una sconfitta completa lascia l’amaro in bocca. Era indubbiamente una battaglia difficile, ma vedere che nessun disegno di legge presentato in tal senso sia stato calendarizzato, fa capire il disinteresse totale di molti parlamentari e gruppi politici ad un argomento e a un diritto secondo me molto importante. Un ringraziamento sentito al Senatore Luigi Lusi, perché ha cercato realmente e seriamente di fare in modo che questa legge per introdurre la retroattività avesse un esito positivo. Lettere: più tecnologia anche per la sicurezza delle carceri di Roberto Martinelli (Segretario generale aggiunto Sappe) Secolo XIX, 29 novembre 2011 La notizia che nei giorni scorsi, grazie all’attenzione, allo scrupolo ed alla professionalità di personale di Polizia Penitenziaria in servizio, sono stati rinvenuti all’interno di una cella del carcere di Genova Marassi due telefonini cellulare e diverse sim-card ci impone di tornare a chiedere al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria interventi concreti come, ad esempio, un’adeguata strumentazione tecnologica ed un sistema di rilevazione ed inibizione dei telefoni cellulari, evitando così il potenziale uso dei predetti apparecchi da parte di persone detenute. Non a caso, in più occasioni il primo sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), ha richiamato l’attenzione delle Autorità dipartimentali in ordine ad alcune situazioni che con una certa frequenza interessano gli Istituti penitenziari ed in particolare sull’indebito uso di telefoni cellulari e altra strumentazione elettronica da parte dei detenuti per le comunicazioni con l’esterno. E il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ci aveva comunicato che, proprio al fine di innalzare il livello di sicurezza all’interno delle strutture penitenziarie, c’erano allo studio diverse soluzioni, fino ad oggi rimaste semplice teoria. Mi auguro che dopo i ritrovamenti dei giorni scorsi all’interno di una cella del carcere di Genova Marassi si passi finalmente alla pratica e si faccia concretamente qualcosa per contrastare questo grave fenomeno. Sulla questione relativa all’utilizzo abusivo di telefoni cellulari e di altra strumentazione tecnologica che può permettere comunicazioni non consentite è ormai indifferibile adottare tutti quegli interventi che mettano in grado la Polizia Penitenziaria di contrastare la rapida innovazione tecnologica e la continua miniaturizzazione degli apparecchi che risultano sempre meno rilevabili con i normali strumenti di controllo. A nostro avviso appaiono pertanto indispensabili interventi immediati compresa la possibilità di “schermare” gli istituti penitenziari al fine di neutralizzare la possibilità di utilizzo di qualsiasi mezzo di comunicazione non consentito e quella di dotare tutti i reparti di Polizia Penitenziaria di appositi rilevatori di telefoni cellulari per ristabilire serenità lavorativa ed efficienza istituzionale, anche attraverso adeguati ed urgenti stanziamenti finanziari. Milano: nasce Air (Acceleratore d’impresa ristretta), strumento per chi produce dietro le sbarre Adnkronos, 29 novembre 2011 Nasce l’acceleratore d’impresa ristretta per sostenere le attività imprenditoriali profit e non profit all’interno dei penitenziari milanesi, una realtà che a oggi conta 17 imprese. È la prima esperienza di un soggetto pubblico che si fa promotore gestionale e commerciale per le imprese nate negli istituti di reclusione. L’acceleratore viene inaugurato con il lancio di un’iniziativa concreta: un bando specifico, del valore di oltre un milione di euro (di cui 600mila dal Comune di Milano), rivolto alle imprese coinvolte dall’acceleratore a sostegno di investimenti di sviluppo. “La nascita di un acceleratore esterno è una grande novità per le imprese che in questi anni hanno prodotto attività imprenditoriali di eccellenza dentro il carcere”. Lo ha detto Cristina Tajani, assessore alle Politiche del Lavoro e allo Sviluppo economico del Comune di Milano. “L’attore pubblico dovrebbe offrirsi come costruttore di reti tra i soggetti economici, anche quelli collocati ai margini, poiché questi sono in grado di contribuire allo sviluppo della città, realizzando produzioni di qualità e occasioni di inserimento lavorativo per gli addetti reclusi. Mi piace evidenziare che abbiamo trovato una grande apertura da parte dei soggetti coinvolti proprio nei confronti di questo approccio, che punta a una collocazione più adeguata nel mercato delle realtà di produzione in carcere”. Due gli obiettivi di Air, progetto ideato dal Comune di Milano condiviso con il Provveditorato regionale, la cui realizzazione è affidata alla Cooperativa A&I: la valorizzazione e lo sviluppo delle realtà produttive che già da anni operano all’interno del circuito penitenziario milanese, e stimolare le imprese cittadine ad avviare produzioni presso i penitenziari milanesi. Si tratta di imprese molto diversificate: panifici, servizi di catering, produzioni di gelati, lavorazione del cuoio e del vetro, serre e vivai che offrono possibilità di sviluppo e grandi opportunità per il tessuto imprenditoriale di Milano se sostenute nel passaggio da logiche assistenziali a dinamiche economico - commerciali. “La costituzione dell’acceleratore d’impresa ristretta rispecchia alcuni dei principali obiettivi strategici dell’Amministrazione penitenziaria”, ha dichiarato il Provveditore regionale Luigi Pagano che, con la costituzione dell’Agenzia regionale “Articolo Ventisette” struttura dedicata al potenziamento del lavoro penitenziario, ha inteso promuovere azioni sinergiche con altre istituzioni per la realizzazione di progetti condivisi. “Il circuito penitenziario milanese rappresenta un ambito che ha già accolto iniziative innovative di produzione interna agli Istituti penitenziari. Una commercializzazione più adeguata di quanto viene prodotto in carcere è un salto di qualità”. l Provveditorato “è disponibile a valutare le proposte imprenditoriali che perverranno dall’acceleratore d’impresa ristretta e auspica che, in una logica di sistema, mediante l’apporto di tutte le istituzioni del territorio, a partire dal Comune che assume il ruolo di costruttore di reti, si possano, attraverso il lavoro, favorire concreti percorsi di inclusione”, ha concluso Pagano. Partner del Comune nel bando è Banca Prossima, specializzata nel favorire l’accesso al credito alle migliori iniziative del terzo settore. La Banca si fa garante dei rischi legati all’erogazione di finanziamenti per la quota non coperta dai fondi pubblici. “L’attenzione per le dinamiche della vita in carcere rappresenta un aspetto dell’emergenza penitenziaria denunciata con forza dal Presidente Napolitano. Banca Prossima avverte, anche sentendo le opinioni dei suoi 16mila clienti, l’esigenza di investire in quest’area” ha affermato Marco Morganti, amministratore delegato dell’istituto. “L’opportunità di lavorare con un Comune sensibile come quello di Milano è importante. Mi auguro che questa collaborazione possa essere l’inizio di un progetto ampio, dotato di standard nazionali e di un marchio comune, come abbiamo già fatto per asili nido, strutture per il dopo di noi e altri filoni di utilità sociale”. Milano: dal Comune un milione € per le imprese che vogliono lavorare con i detenuti Redattore Sociale, 29 novembre 2011 Bando del neonato Acceleratore d’impresa ristretta (Air) promosso dal comune. Per ora sono 17 le aziende o cooperative che impiegano reclusi nel capoluogo lombardo. Tajani, assessore: “Sono realtà in grado di contribuire allo sviluppo” Parte con una bella sgommata il neonato Acceleratore d’impresa ristretta (Air) promosso dal Comune di Milano: lancia infatti un bando da 1 milione di euro, per sostenere progetti di imprese che vogliano lavorare con i detenuti dei tre penitenziari milanesi. Sono per ora 17 le aziende o cooperative che impiegano reclusi nel capoluogo lombardo. L’obiettivo dell’Air è quello di valorizzarle e di invogliarne altre a investire sull’economia carceraria. “Sono realtà in grado di contribuire allo sviluppo della città, realizzando produzioni di qualità e occasioni di inserimento lavorativo”, afferma Cristina Tajani, assessore comunale alle Politiche del lavoro. Partner del progetto sono il Provveditorato regionale alle carceri e Banca Prossima. “Il circuito penitenziario milanese rappresenta indubbiamente un ambito che ha già accolto iniziative innovative di produzione interna agli Istituti penitenziari - afferma il Provveditore Luigi Pagano; diverse cooperative e imprese si sono attivate trovando presso i nostri istituti le sedi per sviluppare progetti imprenditoriali. Una commercializzazione più adeguata di quanto viene prodotto in carcere è un salto di qualità”. Del milione del primo bando dell’Air, 600 milioni sono stanziati dal Comune. Banca Prossima si fa garante dei rischi legati all’erogazione di finanziamenti per la restante quota. “L’attenzione per le dinamiche della vita in carcere rappresenta un aspetto dell’emergenza penitenziaria denunciata con forza dal Presidente Napolitano - affermato Marco Morganti, amministratore delegato di Banca Prossima. Mi auguro che questa collaborazione possa essere l’inizio di un progetto ampio, dotato di standard nazionali e di un marchio comune, come abbiamo già fatto per asili nido, strutture per il dopo di noi e altri filoni di utilità sociale”. La gestione dell’Air è affidata alla Cooperativa A&I, in via Bottego 6, Milano. Genova: l’appello dell’assessore Bertolotto… un indulto, per risolvere il problema delle carceri www.genova24.it, 29 novembre 2011 L’assessore provinciale alle Carceri, Milò Bertolotto, lancia un forte appello. “Occorre un provvedimento d’urgenza, amnistia o indulto, per risolvere l’emergenza carceraria italiana. Una situazione che ormai è diventata drammatica”. “Occorrono riforme strutturali - ha sottolineato Bertolotto - con una revisione del sistema sanzionatorio italiano perché ormai la realtà carceraria è una realtà umiliante per i detenuti”. Perché il carcere non è solo pena. “Ma - ha spiegato Onida - deve essere una scommessa sociale: un carcere aperto, dove la società esterna entra in contatto con i detenuti in un percorso in cui tutti siano in grado di inserirsi positivamente nel mondo esterno”. E allora occorre l’istruzione (oltre la metà dei detenuti non ha neppure la licenza elementare), il lavoro e la cultura. “Perché la recidiva - ha concluso il presidente - è un vero e proprio fallimento per lo Stato”. Gela (Ct): arrivano i primi detenuti, il nuovo carcere punta alla riabilitazione La Sicilia, 29 novembre 2011 Terza inaugurazione, questa volta definitiva, per il carcere. Le guardie penitenziarie sono giunte ieri mattina nel carcere di contrada Pezza Madonna che ha aperto i battenti. Ieri mattina il taglio del nastro effettuato dal Procuratore Lucia Lotti. Progettato cinquant’anni fa (diversi sono stati gli stop per il completamento dei lavori) ed oggi è previsto l’arrivo dei primi due detenuti. L’inaugurazione di ieri mattina è avvenuta in sordina. Dopo le prime due rivelatesi un flop, ieri non c’erano i big della Politica, solo alcuni parlamentari gelesi e della provincia di Caltanissetta. A regime il carcere entrerà il prossimo anno con i 98 detenuti, reclusi per reati non particolarmente gravi, che verranno ospitati nelle 48 celle. Al taglio del nastro della struttura carceraria c’era il provveditore dell’amministrazione penitenziaria in Sicilia Maurizio Veneziano ed il direttore della struttura Angelo Belfiore che già dirige le carceri di Caltanissetta e San Cataldo. “L’inaugurazione di questa struttura - ha dichiarato Maurizio Veneziano - permetterà a molti di poter scontare gli ultimi anni di detenzione qui, un presidio di legalità che questa città meritava. Si può togliere la libertà dell’individuo ma non la sua dignità ed è quello che questa struttura saprà garantire, nel rispetto del nostro ordinamento giudiziario”. I primi quaranta “detenuti - lavoratori” inizieranno a prestare la loro opera per piccoli lavori all’interno della struttura. “Certamente in questo carcere i detenuti avranno anche un compito sociale - ha detto il direttore Belfiore, come tutte le carceri qui i detenuti devono riabilitarsi prima ancora di iniziare con la vita di tutti i giorni”. Mons. Grazio Alabiso, che ha benedetto la struttura, ha regalato anche un Crocefisso per la cappella carceraria”. Deve essere per noi - ha detto mons. Alabiso - un impegno antropologico”. Mentre oggi i primi due detenuti varcheranno la soglia del carcere, Mimmo Nicotra, vicesegretario nazionale dell’Osapp, sindacato delle guardie carcerarie, pensa alla prossima battaglia. “Certamente - ha detto - ora bisogna ottenere un decreto ministeriale per trasformarla in casa di reclusione. Intanto siamo pronti a portare avanti tutte le altre battaglie. Intanto dopo cinquant’anni possiamo dire di esserci buttati alle spalle la tormentata storia di questa struttura”. “La definitiva apertura della Casa Circondariale di Gela - ha detto il sindaco Angelo Fasulo - è la prova che lo Stato, se opportunamente pungolato dalle istituzioni territoriali, è in grado di dare delle risposte concrete. L’apertura, dopo tante inaugurazioni a vuoto, rende giustizia al nostro territorio testimoniando una presenza ancora più forte dello Stato”. Eppure per raggiungere il carcere c’è una piccola strada, così stretta che sarà impossibile far transitare due “blindati” contemporaneamente. “L’avvio della detenzione - ha affermato Alessandro Pagano - rappresenta un primo ma significativo passo in avanti per porre rimedio al terribile problema del sovraffollamento carcerario, giunto ad un livello tale di iniquità e ingiustizia da considerarsi una grave e intollerabile violazione dei diritti fondamentali della persona. L’apertura della struttura deve inquadrarsi anche come risposta alle istanze e agli appelli provenienti dagli operatori penitenziari”. Intanto su questo fronte interviene l’Ugl Nazionale: “L’inaugurazione non è coincisa con un incremento del contingente di Polizia Penitenziaria - ha detto Giuseppe Moretti - noi non abbiamo mai osteggiato il piano carceri, che prevede l’aumento della ricettività per contrastare il sovraffollamento, ma é necessario procedere ad un incremento del personale prima di aprire nuovi complessi”. Forlì: un kit di prima necessità per chi esce dal carcere, progetto da 12mila euro l’anno Forlì Today, 29 novembre 2011 Un kit per il giorno dopo. Decollato un nuovo progetto triennale dell’Associazione Amici di Sadurano: 9mila euro già disponibili per aiutare i detenuti senza risorse giunti a fine pena e dimessi dal carcere circondariale di Forlì - Cesena. La Fondazione “Romagna Solidale” di Cesena, in partnership con l’Associazione Orizzonti Onlus, ha erogato un contributo di 6mila euro per l’anno 2011 e per i prossimi 2 anni. Il costo complessivo annuo del progetto è di 12mila euro. Don Dario Ciani ha già parlato più volte di questo nuovo progetto “Un Kit per il giorno dopo”, sottolineando l’estrema necessità di coloro che, liberi di uscire dal carcere per avere scontato la pena si ritrovano prigionieri di un “fuori “ anonimo e crudele nei confronti di chi non ha soldi. Attualmente il costo dell’annualità 2011 non è ancora totalmente coperto nonostante i 6.000 euro della Fondazione cesenate e i 3.000 euro messi a disposizione dell’Associazione Amici di Sadurano. Con la determinazione dei volontari dell’Associazione “Amici di Sadurano” e con l’aiuto indispensabile di don Dario è possibile creare un’efficace rete di aiuto e sostegno a quei detenuti che vengono dimessi dal carcere Circondariale di Forlì e Cesena per fine pena, a tutte quelle persone fragili che non hanno grandi competenze, che non hanno protezione familiare, né punti di riferimento certi e che, con l’uscita dal carcere, perdono anche quelle coperture sanitarie e quelle certezze come un pasto o un letto. Le azioni previste nel progetto di prima fase sono fornire al detenuto un “ kit di uscita” del valore di 50 o 100 euro per rispondere alle esigenze primarie: pasti, mobilità, necessità di comunicare, medicine. Promuovere una serie d’iniziative che illustrino le finalità del progetto anche attraverso la collaborazione dei media, delle Associazioni di volontariato, senza escludere gli aiuti di privati cittadini interessati al problema. Approvare un protocollo d’intesa con la Direzione del carcere per dare la giusta informazione al beneficiario del kit. Predisporre un’analisi dei bisogni e un’identificazione dei soggetti bisognosi. Considerando che i dimessi dalla struttura di Forlì per fine pena siano 150 all’anno e che il 20% non rientri fra le categorie bisognose, s’ipotizza l’esigenza di predisporre ogni anno n°120 “kit di uscita”. Il costo medio presunto di un “ kit di uscita “ è di 100 euro, l’esigenza complessiva su base annua è quindi di circa euro 12.000. Con la flessibilità necessaria da valutarsi da caso a caso, si ritiene che il “kit di base” debba almeno contenere 1 borsone da viaggio per gli effetti personali (attualmente vengono usati i sacchi neri della spazzatura), 1 buono pasto presso un ristorante preventivamente identificato, 1 buono pernottamento presso un albergo preventivamente identificato, 1 biglietto ferroviario per il territorio nazionale per raggiungere parenti o amici, 1 scheda telefonica per i primi contatti, eventuali medicine se necessarie. Per chi vuole contribuire alla riuscita del progetto, è possibile diventare soci dell’Associazione “Amici di Sadurano” con una modesta quota sociale di 10 euro o diventare “sostenitori” con il contributo preferito. Per informazioni in merito telefonare al numero di sede 0543.21900 o contattare il “coordinatore soci” Fussi Maurizio al 348.2684269. Parma: Luigi Lanzi, “ò professore” che aiuta i detenuti a riscattarsi Chiara Pozzati www.gazzettadiparma.it, 29 novembre 2011 Lui è “ò professore” di via Burla, come lo chiamano i suoi allievi che vivono dietro le sbarre. Ma in carcere, tra i corridoi del 41bis, c’è finito per parlare di Cristo. Insegnante di religione del Bodoni e dell’istituto penitenziario di Parma, Luigi Lanzi racconta la sua esperienza di “prof dietro le sbarre”. Nato a Traversetolo ma adottato dal quartiere Cittadella da oltre vent’anni, è considerato un vero e proprio luminare dai colleghi parmigiani. Profondamente appassionato di umanità, cultura e con il pallino per l’arte, il signor Lanzi non ha mai avuto idea di cosa avessero combinato quegli studenti un pò speciali che si ritrovava a lezione. “Fino all’anno scorso ho insegnato ai “ragazzi” del regime carcerario più duro - racconta con nonchalance - , dal 2011, invece, seguo una terza superiore composta da detenuti comuni”. Ò professore parla liberamente ma sceglie con cautela le parole: “Non mi è mai interessata la fedina penale dei miei studenti - precisa - e comunque non potrei informarmi sui guai che hanno avuto con la giustizia. Esiste, infatti, un rigido codice da rispettare per chi s’immerge nella realtà del penitenziario. Quel che conta è la funzione rieducativa del carcere, di cui si parla troppo poco”. Ò Professore non ha la cattedra e prima di entrare a lezione impiega un buon quarto d’ora tra porte che si chiudono ermeticamente e lunghi corridoi silenziosi. Poi si trova davanti a “ragazzi” (spesso coetanei, a volte anche più vecchi di lui) di ogni età, razza e religione. “Io non faccio catechismo ma cultura - assicura Lanzi - , certo è che i miei studenti hanno una gran sete di riscatto, di recuperare quella dignità mandata in frantumi. E la figura di Cristo che si fa carico delle pene e delle colpe altrui affascina parecchi”. “Sono convinto che molti di questi aspiranti ragionieri siano finiti in cella a causa di una privazione subita - continua il prof: magari di un’infanzia negata, di una stabilità familiare precaria, o della mancanza di cultura e lavoro. Non si tratta di una giustificazione ma di un dato di fatto”. Ecco perché Lanzi si batte per “ricordare a tutti la dignità dei detenuti e il valore riabilitativo del sistema carcere”. Ha un sogno: “Insegno anche al Bodoni e qualche ora al Rondani: mi piacerebbe molto “riunire” le classi almeno una volta”. Una sorta di scambio culturale tra studenti e detenuti accomunati dalla passione per ò professore: “Mi piacerebbe molto che i ragazzi visitassero il carcere per entrare in quel mondo aspro e certamente complesso, ma che non può e non deve rimanere ai bordi della società”. Cagliari: Sdr; l’ergastolano Annino Mele trasferito a Buoncammino per incontrare parenti Comunicato stampa, 29 novembre 2011 È tornato in Sardegna, dopo 17 anni, per poter effettuare i colloqui con i familiari. Annino Mele, 60 anni appena compiuti, condannato all’ergastolo, è stato trasferito dall’Istituto di Fossombrone, alla Casa Circondariale Buoncammino di Cagliari. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” che ha effettuato, con il segretario Gianni Massa, un breve colloquio con l’ergastolano di Mamoiada privato della libertà da 24 anni, 22 dei quali trascorsi in diversi penitenziari della penisola. “Un trasferimento - sottolinea Caligaris - che si configura non solo come un gesto umanitario nei confronti di una persona che sta scontando da quasi cinque lustri il suo debito con la giustizia non avendo mai usufruito di periodi di avvicinamento colloqui. L’unica recente presenza in Sardegna, di Mele è stata a Nuoro, nel carcere di Badu ‘e Carros, nello scorso mese di marzo. Aveva infatti ottenuto un permesso di due ore per riabbracciare l’anziana madre malata, Mariangela Meloni, 87 anni, che non vedeva da 11 anni. La donna era poi deceduta alcune settimane dopo”. “L’auspicio di Mele - evidenzia la presidente di Sdr - è quello di una permanenza in Sardegna fruttuosa di iniziative come poter avviare la ricerca sull’asfodelo e documentare adeguatamente l’arte dei maestri di Olzai ed in particolare dell’anziana zia Barbara Meloni”. Mele, che nei prossimi giorni potrà riabbracciare i parenti, ha espresso - sottolinea Caligaris - gratitudine per il ritorno nell’isola e per il comportamento tenuto dalla scorta. In tanti anni di carcere non avevo mai incontrato - ha detto - Agenti di Polizia Penitenziaria così professionalmente qualificati e di grande spessore umano. Mi dispiace sinceramente - ha concluso - se il mio arrivo a Buoncammino può aver determinato disagi ad altre persone. Non era nelle mie intenzioni”. La richiesta di trasferimento in Sardegna per colloqui è stata formulata in più occasioni. Annino Mele aveva tra l’altro inviato una lettera al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta sottolineando che, dopo la scomparsa della madre, nello scorso maggio, “sente la necessità di incontrare i familiari”. Mele si era rivolto al Capo del Dipartimento dopo il rifiuto degli Uffici del Dap di accordargli un trasferimento in Abruzzo per poter effettuare qualche colloquio con una tutrice volontaria de L’Aquila. L’istanza gli era stata però rigettata con la motivazione che la distanza tra i due centri non necessitava di un trasferimento in quanto “l’operatrice può viaggiare”. Autore di cinque libri, Annino Mele intende dedicarsi ad una ricerca sui cestini di asfodelo, una particolare arte che una sua anziana zia pratica da sempre. La richiesta di trasferimento quindi s’inserisce nel percorso personale di crescita e nella volontà di recuperare e valorizzare la cultura della comunità d’origine che peraltro - conclude Caligaris - mantiene viva con lavori di artigianato realizzati durante la detenzione. Mele mantiene inoltre collaborazioni con alcune scuole della Penisola con periodiche lettere che rispondono a quesiti posti dai ragazzi. Venezia: venerdì convegno “Il sovraffollamento di Santa Maria Maggiore… quale via d’uscita?” La Nuova Venezia, 29 novembre 2011 Parliamo del carcere. Questo l’obiettivo di una giornata di incontri organizzata per venerdì 2 dicembre a Cà Badoer dalla Funzione pubblica della Cgil e da “Il granello di senape”, con il patrocinio del Comune e della Camera penale veneziana. “Il sovraffollamento di Santa Maria Maggiore: quale via d’uscita?” è il tema del mattino, un dibattito al quale parteciperanno Sergio Chiloiro, segretario della Funzione pubblica, con comunicazioni di Michela Vincenzi (delegata Cgil Ufficio esecuzioni penali esterne) e Gaetano Panebianco (coordinatore Cgil Polizia penitenziaria). Le conclusioni saranno tirate dal senatore Pd Felice Casson. La questione del sovraffollamento del carcere veneziano non è ancora stato risolto e a Santa Maria Maggiore, dove potrebbero vivere poco più di 150 detenuti, ne sono rinchiusi sempre più di 350. La proposta del nuovo carcere da costruire a Campalto per ora è stata accantonata, ma non sembra del tutto abbandonata. Nel pomeriggio, dopo una visita al carcere, alle 17 presentazione del libro di Luigi Manconi e Valentina Calderone “Quando hanno aperto la cella. Stefano Cucchi e gli altri”. Parteciperanno l’assessore comunale Gianfranco Bettin, il presidente del Tribunale di sorveglianza Giovanni Maria Pavarin, Elisabetta Laganà, presidente Conferenza nazionale volontariato giustizia e Mara Teresa Menotto, presidente del Granello di senape. Firenze: concorso letterario Emanuele Casalini; il secondo premio a racconto di Doina Matei Adnkronos, 29 novembre 2011 Doina Matei, rinchiusa nel carcere di Perugia per aver ucciso Vanessa Russo dopo una lite nella metropolitana di Roma, ha raccontato la sua storia in un racconto, che ha vinto il secondo premio Racconti del concorso letterario itinerante, sostenuto dalla provincia di Livorno e dal Salone del libro, intitolato a Emanuele Casalini. La cerimonia di premiazione si è svolta ieri nel carcere di Sollicciano di Firenze, come riporta la stampa locale, ma Matei non si è presentata. È stato però letto il suo racconto: “Quando tornerò nel mondo il mio primo appuntamento sarà nuovamente con la morte: la prima cosa che farò sarà andare al cimitero di Prima Porta sulla tomba di Vanessa - ha scritto Doina Matei. Lo devo, lo voglio, voglio stare vicina al mio angelo custode, a cui un destino tragico mi ha unita per sempre”. “Non era mia intenzione, non volevo la morte di nessuno, ma è successo e devo pagare tra queste mura, pagare nella mia coscienza con un rimorso che non mi abbandonerà mai - ha aggiunto Matei. Ecco ha senso fare ancora dei progetti dopo che la vita mi ha sbattuto in faccia che i sogni non si avverano? Sognavo una casa per i miei figli e mi sono ritrovata in carcere con tutta l’opinione pubblica contro, chiamata con disprezzo “la prostituta rumena”, senza nessuno ad ascoltare il mio grido di dolore, la mia sofferenza, il mio pentimento per quella giovane vita che se ne è andata, senza nessuno a credere che non volevo uccidere che non sono malvagia”. Critiche dalla mamma di Vanessa, riporta la stampa locale: la famiglia della vittima infatti ribadisce che non intende perdonare Matei. Milano: “Buono dentro e buono fuori”, un panettone in ogni cella di San Vittore di Silvano Gianti Città Nuova, 29 novembre 2011 I giovani di Milano hanno lanciato l’iniziativa “Buono dentro e buono fuori”, per raccogliere dolci da regalare ai detenuti. Un gesto di condivisione al di là dei pregiudizi. I primi ad essere entusiasti sono i cappellani di San Vittore, don Pietro Raimondi e don Alberto Barin, che hanno visto un gruppo di giovani farsi carico dell’iniziativa che loro - i due sacerdoti - avevano iniziato qualche anno fa. La storia parte da quando un gruppo di giovani del Movimento dei focolari ha iniziato ad animare le messe della domenica: un’esperienza toccante che ha lasciato il segno in Valeria, Chiara, Stefano, Marco e nei loro amici. A distanza di qualche mese, pensando al Natale, hanno voluto lanciare quest’altra idea: raccogliere panettoni da regalare ai carcerati di San Vittore, che festeggeranno dietro le sbarre. “Buono dentro e buono fuori” è il titolo che hanno dato a questo gesto di condivisione per “partecipare al pranzo di Natale con i detenuti in un modo un po’ speciale: facendo arrivare in ogni cella un panettone”. Valeria spiega con l’aver voluto coinvolgere più persone possibili e sensibilizzarle sulla realtà del carcere la scelta di aver chiesto un contributo ai singoli, piuttosto che a qualche azienda dolciaria. “Abbiamo accolto l’invito dei cappellani con entusiasmo e, forse, con una nota di sano idealismo. Ci siamo resi conto del rischio di dover aprire l’argomento del carcere in ambienti a volte ostili, o forse coscientemente sordi. Tuttavia abbiamo capito che il bene è il bene e non deve essere fatto solo quando si ha il consenso della maggioranza, che non ha bisogno di bagni di folla ma chiede di essere costruito passo a passo. Aprire l’iniziativa a tutti quanti, anziché cercare uno sponsor, è un appello a scegliere il bene, a mettersi in gioco in prima persona, a uscire di casa e comprare un regalo per un uomo o una donna che magari ha ucciso, o si è macchiata di altri reati gravi, oppure per un innocente non ascoltato, non creduto e umiliato. Chiedere a tante persone diverse di portare il proprio panettone significa allargare il raggio d’azione del bene, perché questo non agisce secondo una logica lineare, ma la sua crescita è esponenziale: e solo facendolo circolare e creando delle reti possiamo essere parte di una vera rivoluzione”. Grosseto: la Compagnia della Fortezza in scena con “Hamlice - saggio sulla fine di una civiltà” La Nazione, 29 novembre 2011 In programma stasera alle 21 al Moderno il terzo appuntamento con la stagione teatrale del Comune di Grosseto e di Fondazione Toscana Spettacolo. Arriva “Hamlice - saggio sulla fine di una civiltà” lo spettacolo teatrale messo in scena dai detenuti ed ex detenuti del carcere di Volterra. Per la regia di Armando Punzo, l’opera che dopo aver raccolto ovazioni entusiaste dal pubblico e recensioni di grandissimo apprezzamento dalla critica, il prossimo 29 novembre è di scena a Grosseto al Teatro Moderno. Da Amleto ad Alice nel Paese delle meraviglie, dalla tragedia del potere nel chiuso di un palazzo all’anarchia di Carroll, al suo mondo alla rovescia e ancora oltre, in un viaggio di cui non si conosce la fine. La trasformazione è la possibilità di sottrarsi al proprio ruolo definito per sempre. L’origine è nella realtà di questa compagnia che come un doppio sotterraneo offre una riflessione quotidiana su questo tema. È come se lo spirito dei personaggi di Shakespeare potesse sottrarsi alla propria funzione sociale. Come spiriti pensanti, in perenne trasformazione, attraversano libri di altri autori, allontanandosi da quello che li conteneva come una prigione di ruoli immutabili. Quello che per altri è teatro per noi, per questi spiriti liberi, è vita negata. Cercano altre parole, altre azioni, un’altra possibilità, forse ancora non prevista, nemmeno ancora immaginata. “L’Essere inerme”, il non ancora nato, il non ancora definito. “C’è un laghetto poco lontano da qui, nelle giornate luminose calme e senza vento riflette con infinita meraviglia la natura che si affaccia sulle sue rive, un’immagine doppia, appena velata, lontana da quella reale, eppure così fedele, ma cosa accade quando si solleva il vento e nulla è più in equilibrio... lo specchio s’infrange e della serena e rassicurante immagine si perdono i contorni ed emerge una rivolta degli elementi...”. (Armando Punzo). I biglietti possono essere acquistati il giorno stesso dello spettacolo presso il botteghino del Teatro Moderno in via Tripoli dalle 16 alle 21. Libia: denuncia Onu; settemila detenuti senza processo nelle carceri del Cnt Aki, 29 novembre 2011 Sono circa settemila i detenuti in Libia nelle carceri gestite dagli ex ribelli e attuali rappresentanti del Consiglio nazionale transitorio libico. Lo denunciano le Nazioni Unite, sottolineando che la maggior parte di loro è in prigione senza aver avuto un regole processo in quanto i tribunali non sono ancora funzionanti. Alcuni di loro hanno anche subito torture, come denuncia l’Onu. Molti dei detenuti sono cittadini africani sub - sahariani sospettati di essere mercenari che hanno combattuto per la difesa del regime di Muammar Gheddafi contro le milizie ribelli e le forze della Nato. Palestina: Fatah e Hamas verso accordo rilascio per il rilascio dei rispettivi prigionieri politici Aki, 29 novembre 2011 Fatah e Hamas hanno avviato dei colloqui per il rilascio dei rispettivi prigionieri politici nel tentativo di porre fine a tutte le divergenze tra i due partiti rivali. Lo ha svelato un parlamentare affiliato a Fatah, Faysal Abu Shahla, all’agenzia di stampa palestinese “Maan”. Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen (Mahmoud Abbas) “ha dato istruzioni al direttore dei servizi di intelligence dell’Anp, Majid Faraj, per il rilascio di detenuti affiliati ad Hamas sulla base di una lista ricevuta da Hamas stesso”, ha dichiarato Abu Shahla, precisando che a Ramallah non vi sono detenuti politici, ma solo alcuni sospettati per reati legati alla sicurezza. “Abbiamo sottoposto una lista di 47 nomi di affiliati a Fatah detenuti dai servizi di sicurezza del governo de facto e abbiamo fatto notare che altri sono stati convocati per essere interrogati”, ha aggiunto il parlamentare. Hamas ha fatto pervenire all’Anp una lista di prigionieri detenuti in Cisgiordania e una commissione speciale sta esaminando nomi. Le parti decideranno presto una data per il rilascio simultaneo dei rispettivi detenuti, ha spiegato Abu Shahla. Il presidente Abbas e il capo dell’ufficio politico di Hamas, Khaled Mashaal, si sono incontrati giovedì al Cairo per un vertice che ha spianato la strada a una riconciliazione tra le parti. “Mi preme dire che non vi sono divergenze su qualsivoglia argomento”, aveva dichiarato Abbas ai giornalisti al termine dell’incontro. L’accordo prevede la fine delle detenzioni su base politica e delle restrizioni ai movimenti, la riapertura dei rispettivi uffici e la libertà di svolgere attività politiche e popolari. Abu Shahla ha annunciato che Abbas si recherà in visita a Gaza dopo che l’accordo di riconciliazione sarà entrato nella fase esecutiva. La questione della formazione di un nuovo governo sarà invece discussa il 20 dicembre in un incontro che si svolgerà al Cairo e al quale parteciperanno tutte le fazioni palestinesi. Quanto alle elezioni, Abbas ha espresso l’augurio che si svolgano il 4 maggio prossimo. Palestina: ministro detenuti; nessun negoziato con Israele senza rispetto dei diritti nelle carceri Info Pal, 29 novembre 2011 Il ministro per gli Affari dei detenuti palestinesi, Isaa Qaraqe, è tornato a parlare delle difficili condizioni che prigionieri e detenuti palestinesi vivono nelle prigioni di Israele. Le stesse condizioni di cui tanto si è parlato nel corso dell’accordo di scambio tra Israele e Hamas. Nel corso di un conferenza nella quale si è discusso della seconda fase dei rilasci, attesa a breve, Qaraqe si è detto rammaricato per il fatto che Israele non mantenga gli impegni, ovvero non accetti di rivedere e revocare le proprie brutali pratiche contro i detenuti palestinesi. “Anzi, dall’accordo di scambio, la situazione dei detenuti in Israele è peggiorata e l’amministrazione carceraria non ha accolto nessuna delle richieste avanzate dai detenuti, come non ha abbandonato la politica delle detenzioni in isolamento”. Il ministro palestinese non ha potuto non ricordare in conferenza oggi l’arresto di Hamza at-Taraitah, condotto ieri da Israele, mentre l’ex detenuto malato di cancro, tornava dalla Giordania dove era stato in cura. Il messaggio principale di Qaraqe ha riguardato i negoziati con Israele: “Sottrarsi da qualunque possibilità di negoziare con Israele se questo non affronterà seriamente le richieste dei prigionieri e la questione della loro liberazione nel complesso”. Infine, il ministro ha ricordato che il prossimo anno è stato dedicato dalle Nazioni Unite ai prigionieri e, a tal proposito, ha chiesto alla comunità internazionale di affrontare la causa dei detenuti palestinesi secondo il file dei prigionieri di guerra, assumendosi la responsabilità sul loro destino. Stati Uniti: governatore Oregon sospende esecuzioni capitali fino a conclusione del suo mandato Tm News, 29 novembre 2011 L’Unione europea accoglie positivamente la decisione “coraggiosa” del governatore dell’Oregon, nel nord ovest degli Stati Uniti, di sospendere le esecuzioni capitali fino alla conclusione del suo mandato. “Saluto la coraggiosa iniziativa del governatore John Kitzhaber ed esorto gli altri governatori a seguire il suo esempio”, ha detto il capo della diplomazia dell’Ue, Catherine Ashton, in un comunicato. “Ogni errore giudiziario nell’applicazione della pena capitale determina la perdita irreversibile di una vita umana”, ha sottolineato Ashton. “È per questo che l’Ue si oppone alla pena capitale in ogni circostanza”. L’abolizione della pena capitale è una delle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che sancisce che “nessuno può essere condannato a morte o giustiziato” nell’Unione. Dall’inizio dell’anno sono 43 le persone giustiziate negli Stati Uniti; nel 2010 ne sono state uccise 46. Nel Paese sono circa 3.200 i detenuti in attesa di esecuzione, 37 in Oregon. Norvegia: strage di Oslo; secondo perizia psichiatrica Breivik non in possesso facoltà mentali Ansa, 29 novembre 2011 Anders Breivik non può essere considerato legalmente responsabile della strage di Oslo del 22 luglio. Lo hanno stabilito gli psichiatri incaricati dal tribunale di effettuare una perizia sulle capacità mentali dell’uomo, secondo quanto riferiscono i media. Attualmente detenuto in una prigione di massima sicurezza, Breivik, 32 anni, è accusato della morte di 77 persone. Il processo a suo carico doveva cominciare il 16 aprile 2012. Gli esperti psichiatrici hanno ritenuto che l’autore degli attacchi di Oslo non era in possesso delle sue facoltà mentali al momento dei fatti, secondo quanto riferito dal giornale Verdens Gang sul suo sito internet. Il giovane, fanatico di estrema destra, è reo confesso: ha ammesso di aver piazzato un’autobomba nel centro di Oslo e di essersi poi recato sull’isola di Utoya, dove si teneva il campo estivo dei giovani laburisti, aprendo il fuoco sulla folla. Il 14 novembre Breivik era apparso di fronte al giudice Torkjel Nesheim che aveva prorogato la detenzione preventiva nel carcere di massima sicurezza di Ila, a pochi chilometri dalla capitale. Breivik aveva ammesso di essere l’autore del duplice attacco ma si è rifiutato di dichiararsi colpevole, sostenendo che le sue azioni sono state “atroci ma necessarie”.