Giustizia: sulla pena e il carcere è tempo di una nuova sensibilità sociale di Giancarlo De Cataldo Il Futurista, 27 novembre 2011 I principi cardine del nostro ordinamento in materia di pena sono fissati dall’articolo 27 della Costituzione. Questa norma prescrive, fra l’altro, che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e che debbano tendere alla rieducazione del condannato. Ad incaricarsi di tradurre in concreto il precetto costituzionale furono, nel 1975 dapprima e poi nel 1986, le leggi sull’ordinamento penitenziario (quella del 1986 prende il nome di Legge Gozzini dal suo più autorevole propugnatore ed estensore, l’onorevole Mario Gozzini). “Concretizzare” il precetto significa dotarsi di strumenti operativi tali da rendere possibile l’applicazione in concreto dell’ambizioso disegno costituzionale, in modo che esso non resti confinato nel recinto delle buone intenzioni. Da qui istituti come la liberazione anticipata, la semilibertà, l’affidamento al servizio sociale, la detenzione domiciliare: tutte forme operative che intervengono a modificare la tradizione struttura della pena detentiva durante il corso della sua esecuzione. La precisazione di dati notissimi a tutti non risponde ad altra esigenza che a quella di chiarire una volta per tutte l’improprietà del continuo, assillante richiamo al quale abbiamo assistito negli ultimi anni al concetto di “certezza della pena”. Se per “certezza della pena” si intende che un individuo, una volta condannato ad una determinata pena detentiva, la espierà tutta senza usufruire di alcuno strumento alternativo alla detenzione, si intende allora un’espressione che non può avere dignità alcuna nel disegno costituzionale di cui sopra. La pena così come delineata dall’art. 27 è “certa” nella sua determinazione, e può essere soggetta, anzi, dovrebbe essere, nella maggior parte dei casi, soggetta a modalità esecutive difformi dalla mera reclusione, in considerazione, appunto, di quella finalità di “emenda” che il legislatore costituzionale aveva ben chiara. A corollario di quanto sin qui affermato si può citare la sentenza 313 del 1990 della Corte Costituzionale, la quale espressamente ammonisce circa la compresenza nella pena, sin dal momento in cui il giudice l’applica, di tutti gli aspetti: quello repressivo (punire il male fatto), preventivo (evitare, attraverso l’esempio della condanna, che altro male venga fatto) e di emenda (si comincia a lavorare per la rieducazione dal momento stesso in cui la sentenza è definitiva). Ne deriva, per intenderci, il divieto di pronunciare la cosiddetta “condanna esemplare”, che pure tanto successo sembra riscuotere presso vasti strati dell’opinione pubblica. Sarebbe quanto mai opportuno che gli amici giornalisti e opinion-maker tenessero a mente questo disegno costituzionale, e riflettessero qualche secondo prima di sparare titoli ad effetto su questo o quel condannato che viene liberato dopo aver scontato “soltanto” dieci o quindici anni, e via dicendo. Il sistema della rieducazione è strutturato come un gioco a tre che prevede l’intervento di tutte le componenti coinvolte: lo Stato, esaurita la fase di cognizione del reato, accertata la responsabilità del reo, gli offre chance di emenda, attraverso il trattamento penitenziario, che può essere articolato attraverso l’offerta di lavoro, studio, cultura; il condannato deve aderire e partecipare a questa offerta di emenda; la società è chiamata ad atteggiarsi in modo da tornare ad accogliere al suo interno la persona che ha sbagliato e che mostra volontà di reinserimento. Nel corso degli anni, questo disegno ha subito accelerazioni e brusche battute di arresto. La legislazione del 1975 venne ridimensionata sotto l’urto dell’emergenza terroristica (leggi speciali del 1977-78, regime ex art. 90, bracci speciali nelle carceri). La riforma del 1986, la Gozzini, approvata all’unanimità da quel parlamento, ha conosciuto numerosi impedimenti e forti limitazioni. In sostanza, dati i limiti del presente intervento, si può osservare che il carcere ha compiuto notevoli sforzi per adeguarsi al disegno costituzionale, mentre la società nel suo complesso è costantemente pervasa da una dialettica oscillante fra momenti di apertura e di condivisione e altri di maggior chiusura, specialmente negli ultimi anni, segnati dall’impronta imposta alla legislazione penale dalle predominanti ideologie sicuritarie. Oggi le carceri sono strapiene, e numerosi sono i suicidi di detenuti: suicidi inaccettabili, che suonano, ciascuno di essi, come un doloroso atto di accusa verso le inefficienze del sistema, al pari degli episodi di violenza, di morti per mancanza di assistenza, di lesioni gravi. Tutti fatti che ripugnano alla coscienza di un popolo civile. In una condizione di sovraffollamento come l’attuale, l’offerta di rieducazione è ridotta al minimo, o del tutto assente, e la stessa pena rischia di risolversi in quel trattamento contrario al senso di umanità che il legislatore espressamente vieta. L’attuale condizione non è frutto di un caso, ma di ben precise scelte legislative in tema di repressione, enfatizzazione della recidiva, ampliamento dell’area della penalità (vedi le leggi ex-Cirielli e Bossi-Fini, con l’equiparazione delle pene fra droghe “leggere” e “pesanti”), interventi “a pioggia”, spesso scoordinati, sul processo penale, ormai ingovernabile e bisognevole di una profonda riforma. Il carcere è il terminale ultimo di tutte queste tensioni: nessuna riforma del carcere sarà possibile senza una più vasta riforma del processo penale e un mutamento di sensibilità sociale: l’auspicio è che si inauguri una nuova stagione, in cui si torni a ragionare delle cose concrete da fare, e non di ciò che paga in termini di consenso spicciolo, della sostanza reale delle cose, e non dell’apparenza percepita delle stesse. Giustizia: Sidipe; mancano fondi e tempo per riforme, l’amnistia è unica soluzione Ansa, 27 novembre 2011 L’amnistia come unica soluzione possibile all’emergenza carceraria, in una situazione in cui non ci sono risorse su cui poter contare. Mentre il nuovo ministro della Giustizia Paola Severino sembra nutrire dubbi su questa scelta, sono i direttori delle carceri a premere sull’acceleratore. E a invitare il Guardasigilli a farsi un “tour” nelle prigioni che scoppiano prima di “immaginare le medicine da somministrare”; nella convinzione che forse alla fine di questo giro il Guardasigilli possa cambiare idea su quella che oggi appare un’opzione “dissacrante”. A lanciare il sasso è il Sidipe, il sindacato maggiormente rappresentativo dei direttori penitenziari. “La situazione nelle carceri è così critica - dice il segretario Enrico Sbriglia - che richiede una soluzione straordinaria: non possiamo aspettare la revisione del codice penale; occorre avere il coraggio di tagliare, con un’amnistia, l’enorme numero della popolazione detenuta che ormai viaggia verso le 68.000 unità”. Una strada imposta anche dalle ristrettezze finanziarie: “visto che le risorse per le carceri non ci sono, le possiamo reperire solo all’interno dell’amministrazione penitenziaria. E l’unico modo per farlo è l’amnistia, intesa come soluzione speciale a un problema di contabilità penitenziaria”. L’effetto sarebbe innanzitutto “liberare le carceri da molte migliaia di persone recluse per violazioni risibili e per la cui detenzione i costi sono soverchianti rispetto al risultato che si vuole ottenere”; ma anche quello di far ripartire la macchina della giustizia, che oggi deve fare i conti con “150 mila processi che vanno in prescrizione e 4 milioni e mezzo di cause pendenti”. Tempo da perdere non ce n’è. Le celle sono straripanti e non ci sono le condizioni minime per assicurare la dignità dei detenuti, dice Sbriglia ricordando che dall’inizio dell’anno 59 di loro si sono suicidati e il personale è fortemente demotivato. Per questo il leader del Sidipe liquida la nuova circolare del Dap sul trattamento penitenziario che prevede “celle aperte” per i detenuti meno pericolosi, nel senso che durante i giorno potranno muoversi liberamente all’interno del carcere, come “la tesina di uno studente, in netto contrasto con la realtà” e per questo è convinto che dopo aver visto lo stato delle carceri il ministro possa cambiare idea sull’amnistia. Amnistia che andrebbe comunque affiancata da un ammodernamento e da una messa a norma delle carceri esistenti, senza costruirne delle nuove, e seguita da “una rivisitazione delle norme penali che renda effettivamente il ricorso al carcere un’extrema ratio”. Giustizia: Pannella rimprovera Napolitano… ti sei dimenticato delle carceri? Apcom, 27 novembre 2011 “L’ottimo presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, facendosi garante del diritto di tutti, ha parlato, riguardo lo stato della giustizia in Italia, di “prepotente urgenza” di giungere a soluzioni migliorative. Adesso però ogni giorno, presidente non sei responsabile di omissione di intervento al quale sei obbligato? Sei sicuro di poter continuare ad alimentare una Repubblica in cui abbiamo degli spazi obbligati per il trasporto di suini, polli e galline mentre le carceri sono sovraffollate?”. Così, Marco Pannella si è rivolto al Capo dello Stato Giorgio Napolitano nel suo intervento conclusivo al convegno “L’arma spuntata del giustizialismo - Cosa resta del garantismo dopo Berlusconi”, organizzato a Grosseto dalla Fondazione internazionale per la giustizia Enzo Tortora e dalla rivista Futurista. Quando il presidente ha usato quelle due parole è stato utile - ha proseguito Pannella. A reti unificate tutti i giorni interviene periodicamente nel nostro Paese, sulle questioni economiche etc., sicuramente fornendo un grado di assistenza, di esperienza notevole. Adesso, sono passati dei mesi da quel messaggio - ha aggiunto il leader radicale rivolgendosi di nuovo direttamente al Capo dello Stato - hai fatto un messaggio alle Camere per dire ‘badate, c’è una proposta, tiratene fuori delle altre però che immediatamente interrompano la flagranza del reato di Stato di assassinio di diritti umani”. Un atto obbligato, ha sottolineato Pannella, perché dal presidente stesso riconosciuto. “Ma - ha proseguito nuovamente rivolgendosi a Napolitano - ogni giorno presidente non sei per caso responsabile di omissione di intervento al quale sei obbligato?”. Pannella ha poi ribadito di aspettare, a brevissimo, risposte concrete sul tema della giustizia ed essere pronto a prendere nuove iniziative per sollecitarle. Giustizia: Bernardini; su amnistia e misure alternative il Pd ascolti i Giuristi democratici Ansa, 27 novembre 2011 Il Pd ascolti i Giuristi democratici su amnistia, misure alternative e depenalizzazione. L’invito viene da Rita Bernardini, che oggi ha partecipato all’Assemblea Generale dell’ Associazione Nazionale Giuristi Democratici. Si tratta di un’importante presa di posizione, dice la deputata radicale, segnalando che i Giuristi Democratici chiedono l’amnistia per superare l’attuale stato di degrado della situazione carceraria, e sollecitano modifiche di diritto sostanziale che riducano l’area di punibilità di certe condotte prive di pericolosità sociale e l’ incremento delle misure alternative alla detenzione. “Mi auguro che il Pd, del cui gruppo parlamentare faccio parte con la delegazione radicale, presti l’ascolto dovuto alle parole del Presidente dei Giuristi Democratici - dice Bernardini. È indubbio, infatti, che come radicali, fino a questo momento, abbiamo trovato solo chiusure sia in sede di partito che di gruppo parlamentare”. Eppure si tratta dell’affermazione di diritti umani fondamentali, di porre fine alla flagrante violazione della Costituzione italiana e delle convenzioni europee e transnazionali. Si tratta, insomma, della democrazia e dello stato di diritto, la cui mancata affermazione mortificano la vita di milioni di italiani che hanno a che fare con una giustizia “ingiusta” che produce 180.000 prescrizioni all’anno e un “debito” da parte dello Stato nei confronti dei cittadini pari a 5.400.000 procedimenti penali pendenti e altrettanti nel civile; una giustizia che “sequestra” l’intera comunità penitenziaria fornendoci quotidianamente un macabro bollettino di morti, suicidi, disperazione. Giustizia: nuova Circolare Dap prevede celle aperte durante il giorno per i detenuti di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 27 novembre 2011 Celle usate solo per il pernottamento, ogni detenuto avrà il suo codice. E “carceri aperte” per i soggetti meno pericolosi. È quanto dispone la nuova circolare diramata dall’amministrazione penitenziaria ai provveditori e direttori. Si tratta di una piccola rivoluzione, un tentativo di rendere meno dura la vita nelle prigioni sovraffollate come mai lo erano state prima d’ora. Un tempo si chiamavano celle, e tutti continuiamo a usare quel termine. Ma la dizione ufficiale è “camere di pernottamento” e così dovranno essere di fatto, non solo di nome. I detenuti italiani assegnati al regime di “media sicurezza” - la grande maggioranza, più di 50.000 rispetto al totale di 67.500 - dovranno tornare nelle “camere” solo di notte. Durante il giorno potranno muoversi liberamente all’interno della prigione: “Il perimetro della detenzione dovrà estendersi quanto meno ai confini della sezione ovvero, dove possibile, anche agli spazi esterni alla stessa, seguendo così l’indicazione dell’ordinamento penitenziario sin qui scarsamente attuata”. È quanto dispone la nuova circolare intitolata “Modalità di esecuzione della pena - Un nuovo modello di trattamento che comprenda sicurezza, accoglienza e rieducazione”, diramata ieri dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a tutti i provveditori e direttori delle carceri. L’ha firmata il responsabile del Dap, Franco Ionta, insieme a Sebastiano Ardita, il direttore dell’Ufficio detenuti che l’ha materialmente redatta come ultimo atto della sua decennale permanenza al Dipartimento, prima di tornare a fare il pubblico ministero in Sicilia. Si tratta di una piccola rivoluzione, un tentativo di rendere meno dura la vita nelle prigioni sovraffollate come mai lo erano state prima d’ora, e di attuare il principio costituzionale della pena tesa al reinserimento sociale dei condannati. Anche attraverso la loro collaborazione. Il presupposto del nuovo corso è che “per larga parte della popolazione detenuta è possibile e saggio applicare un regime penitenziario più aperto”. E forse anche alla luce di episodi più o meno gravi di persone che dietro le sbarre hanno subito abusi o soprusi, nella circolare si ricorda che nei confronti del detenuto “devono essere attuati interventi trattamentali conformi ad umanità e rispettosi della dignità della persona”. Quanto ai reclusi, con le norme appena varate viene “elevato il grado di responsabilizzazione di ciascuno, potendo ogni ristretto contribuire, con la propria condotta, alla adozione per tutti del regime meno afflittivo”; cioè quello di una “vita penitenziaria connotata da libertà di movimento, secondo precise regole di comportamento”. Entro tre mesi negli istituti dovranno essere pronte le sezioni aperte dove i reclusi ammessi potranno muoversi a piacimento per l’intera giornata, al di là della tradizionale ora d’aria. E per stabilire chi potrà accedere a questo regime si procederà al censimento e a un’inedita catalogazione della popolazione detenuta. Tenendo conto della “ragione dell’ingresso in carcere”, quindi dei reati di cui si è accusati, ma anche della “condotta intramuraria” (cioè all’interno dell’istituto), della “risposta al trattamento penitenziario”, delle “reazioni mantenute nei momenti difficili” e del “rispetto non meramente formale né strumentale delle disposizioni interne”, nonché del “modo di relazionarsi con altri ristretti”. Ne verrà fuori una classificazione legata alla pericolosità che ricalca quella adottata nei Pronto soccorso degli ospedali: codice bianco, verde, giallo e rosso, per misurare la pericolosità del detenuto, e dunque “il concreto rischio che il ristretto, condannato o imputato, si renda autore di evasione o di episodi di turbamento dell’ordine e della sicurezza interna all’istituto”. Col codice bianco saranno classificati i reclusi per “reati che non hanno comportato violenza o minaccia alle persone”, oppure che risultino potenzialmente preliminari ad atti di violenza, come il possesso di armi; che non appartengano ad associazioni per delinquere o “comunque gravitanti in contesti di criminalità mafiosa” e che abbiano fin qui tenuto una “buona condotta intramuraria, partecipando al trattamento in modo attivo”. Questi andranno direttamente ammessi al “regime aperto”, senza altri accertamenti e vincoli. Per i detenuti col codice verde - stessi requisiti del bianco a parte il primo, e cioè siano accusati di reati “connotati da violenza o minaccia alle persone” - andrà fatta un’attenta valutazione per escludere pericoli di fuga o di “turbamento dell’ordine e della sicurezza” prima di essere ammessi alla libertà di movimento, che in ogni caso andrà “tendenzialmente” concessa. Il codice giallo verrà attribuito ai detenuti per reati di violenza che “pur non avendo tenuto comportamenti intramurari violenti né condotte pericolose, abbiano mantenuto atteggiamenti di tipo dissociale ovvero siano incorsi in violazioni disciplinari”. Per loro la regola s’inverte, e la possibilità trascorrere le giornate fuori dalle “camere di pernottamento” sarà riconosciuta solo dopo “una prima ragionata scelta che tenga conto di altri fattori in grado di escludere il pericolo di evasione o turbamento”. Infine ci sarà il codice rosso, assegnato ai reclusi responsabili di atti di violenza o tentativi di evasione, che abbiano partecipato ad associazioni per delinquere finalizzate a reati violenti o collegate, sia pure indirettamente, alla criminalità organizzata. Ad essi il regime aperto sarò di norma negato, “salvo il manifestarsi di specifiche evidenze di senso contrario tanto rilevanti da far escludere in modo ragionevole la possibilità di pericoli”; in ogni caso ciò potrà avvenire dopo un “adeguato lasso di tempo” nel quale l’équipe di osservatori e responsabili dovrà decidere all’unanimità l’ammissione al “regime aperto”. L’assegnazione del codice non sarà definitiva bensì legata a “riunioni periodiche dell’équipe che potranno rivedere in senso positivo o negativo le valutazioni sul livello di pericolosità del detenuto e procedere ad una loro modifica”. Inoltre, “l’ammissione alla detenzione aperta non costituisce un diritto acquisito”, ma potrà essere revocata “ove il detenuto tenga condotte che ne dimostrino la pericolosità e quindi l’inidoneità ad un regime meno custodiale di quello “chiuso”. Da oggi i direttori del penitenziari hanno sessanta giorni di tempo per attribuire i codici - che andranno indicati nei fascicoli personali e in tutti i documenti delle persone finite in carcere, subito dopo il nome e il cognome - stilare gli elenchi di coloro che possono essere ammessi alla detenzione aperta e indicare gli spazi da assegnare a chi potrà circolare durante il giorno all’interno delle sezioni “aperte”. Giustizia: Circolare Dap… arriva il “codice rosso” per detenuti più pericolosi Agi, 27 novembre 2011 Il codice rosso entra in carcere insieme al codice bianco, verde e giallo ed è una vera rivoluzione negli istituti di pena per il trattamento dei detenuti, non tutti in carcere per le stesse ragioni e con le stesse modalità di comportamento, e per gli stessi agenti della polizia penitenziaria, che svolgerà più compiti di polizia che non di custodia. La “rivoluzione” porta la firma di Sebastiano Ardita, alla guida della direzione generale detenuti, che dopo nove anni lascia per tornare alla procura della Repubblica di Catania. L’innovazione guarda alla nostra Carta Costituzionale e sottolinea come la rieducazione sia un obiettivo primario del trattamento penitenziario. Quarantatré pagine controfirmate dal capo del Dap, Franco Ionta, la circolare sul nuovo trattamento penitenziario rappresenta una vero cambio di passo nel sistema carcerario: mira ad innovare la gestione dei detenuti comuni introducendo un codice per ogni categoria per evidenziare il livello di rischio che presenta, introduce un regime a celle aperte per i detenuti non pericolosi e garantisce più ampi spazi di trattamento e di recupero sociale. Le disposizioni non si applicano, per motivi opposti, né ai detenuti del circuito alta sicurezza, né a quelli in custodia attenuata per cui restano ferme le regole attualmente in vigore, se più favorevoli. Il codice bianco verrà utilizzato per individuare i detenuti che non sono stati autori di reati di violenza (i tossicodipendenti, gli extracomunitari, i nuovi poveri), e che al tempo stesso abbiano mantenuto una buona condotta ed abbiano risposto al trattamento penitenziario. Il codice verde potrà essere individuato per identificare i soggetti autori di reati di violenza, che abbiano risposto bene al trattamento e mantenuto buona condotta. Il codice giallo è per i detenuti che abbiano realizzato violazioni disciplinari. Il codice rosso per gli autori di reati in carcere e di tentativi di evasione. I codici bianchi dovranno essere tenuti a celle aperte, e tendenzialmente anche i verdi. I codici gialli potranno essere tenuti a celle aperte dopo attenta osservazione. I codice rosso dovranno essere mantenuti chiusi. La polizia penitenziaria perderà la funzione di custodia ed opererà con funzioni di polizia, andando in giro per gli spazi aperti ed assicurando l’ordine, la disciplina e la sicurezza pubblica. Vengono introdotte anche nuove regole di assistenza ed un gruppo di intervento interdisciplinare per prevenire i suicidi. Viene sostanzialmente abolita la sorveglianza a vista, ossia verrà impedito d’ora in poi che i soggetti a rischio vengano sottoposti a misure preventive con contenuto esclusivamente custodiale, favorendone il recupero. Quanto ai tempi di attuazione, per garantire che tutti gli istituti di pena possano attuare contestualmente quanto previsto dalla circolare, si procederà per tappe. Intanto verrà stabilmente convocata , in ogni istituto, un’equipe per avviare il censimento della popolazione detenuta e individuare le sezioni da destinare ai detenuti a regime aperto. Gli elenchi dei detenuti da ammettere al regime aperto verranno inviati entro 60 giorni al provveditorato regionale competente che raccoglierà le proposte e verificherà la fondatezza della eventuale mancata attuazione del regime aperto, inviando poi, entro 30 giorni, alla direzione generale dei detenuti, il progetto completo su base regionale. L’attribuzione del codice è legata a riunioni periodiche dell’equipe dell’istituto che può rivedere in senso positivo o negativo le valutazioni sul livello di pericolosità del detenuto, comunicando ogni decisione al provveditorato. Se un detenuto viene trasferito, l’istituto che lo accoglie dovrà confermare o modificare il codice assegnatogli. Giustizia: Circolare Dap; l’equivoco delle celle aperte, quando un diritto diventa premio di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 27 novembre 2011 Un diritto trasformato in concessione, l’abc teorico del vivere in carcere (in cella di notte, in sezione e spazi esterni di giorno) fatto invece dipendere da impressioni sul comportamento del detenuto quali “la reazione a situazioni difficili”: l’assuefazione allo Stato fuorilegge che stipa quasi 68mila persone nel posto per 45mila è il retroterra della circolare diramata dalla dirigenza uscente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ai direttori delle carceri, affinché apposite équipe classifichino entro 60 giorni i detenuti in codici bianchi-verdi-gialli-rossi e tendenzialmente ammettano i primi tre a un regime di celle aperte durante la giornata. Già oggi, infatti, a dispetto di detenuti rinchiusi anche 22 ore su 24 in celle mal (o non) riscaldate, carenti nei servizi igienici e dalle quali come ieri a Livorno capita che ci si ferisca cadendo dal terzo letto a castello, le celle aperte di giorno dovrebbero essere non un privilegio per supposti “meritevoli”, ma la regola per tutti i detenuti comuni in media sicurezza: almeno se hanno un senso le parole del regolamento penitenziario del 2000 che (come già dal 1975) distinguono tra “locali nei quali si svolge la vita dei detenuti” e “locali” o “camere di pernottamento”. Parole ora meritoriamente rispolverate, ma nel contempo retrocesse a optional subordinato al comportamentale codice-colore del detenuto. “La tesina di uno studente che ripropone principi elaborati da tempo ma non trasformabili in cose vere senza risorse”, commenta il principale sindacato dei direttori di carcere. E in attesa di investire invece su misure alternative e circuiti a custodia differenziata, anche le buone intenzioni appaiono impraticabili nella realtà numerica (23mila detenuti più del consentito), logistica (mancano 6mila agenti penitenziari) e urbanistica (metà delle carceri risalgono a prima dell’800) che motiva i radicali a chiedere “una amnistia per la Repubblica” che ponga fine allo scandalo di reparti dove “i detenuti dispongono di un terzo dello spazio che le direttive europee impongono per gli allevamenti dei maiali”. Giustizia: direttore Poggioreale; 3mila detenuti e un agente per piano, difficile celle aperte di Eleonora Martini Il Manifesto, 27 novembre 2011 Una circolare del capo del Dap, Franco Ionta, impone ai direttori penitenziari di aprire le celle durante il giorno. Ma sarà difficile applicarla nel carcere napoletano, dove vivono stipati quasi 3mila detenuti al posto di 1.400 e dove c’è un poliziotto per piano, ad ogni turno. C’è un luogo dove la splendida idea del capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, di aprire le celle dei carceri e trasformarle in pure “camere di pernottamento”, si infrange come una bolla di sapone. Il detenuto Alfonso Papa, già deputato e magistrato, lo chiama “l’inferno di Poggioreale”. Per il cronista, impossibilitato a scorgere la dimensione reale del carcere, l’unica cosa certa è che il prossimo inverno sarà molto, molto duro, nella casa circondariale di Napoli. Con 2.634 detenuti che vivono chiusi 22 ore al giorno con i blindo sbarrati in celle che potrebbero ospitare complessivamente 1.400 reclusi, o al massimo del tollerabile 1.743 persone; con 2.362 detenuti comuni e solo 699 con condanna definitiva, 671 tossicodipendenti, e solo 169 lavoranti, con un “turn over” medio - si fa per dire - di 16 ingressi e 9 uscite al giorno, con 730 agenti di custodia effettivamente in servizio (che poi in pratica si traduce a uno per piano ad ogni turno), sarà davvero interessante vedere come farà il direttore Cosimo Giordano ad applicare la circolare appena emanata da Ionta e dal direttore dell’ufficio detenuti, Sebastiano Ardita. La circolare, intitolata “Modalità di esecuzione delle pena - Un nuovo modello di trattamento che comprenda sicurezza, accoglienza e rieducazione”, da applicare entro tre mesi, prevede di “liberare” i detenuti di “media sicurezza” all’interno delle sezioni, ossia di aprire i blindo delle celle almeno per tutto il giorno lasciando ai reclusi - a seconda dell’affidabilità - maggiore possibilità di movimento almeno all’interno della sezione, spazi aperti inclusi. Altro che “rieducazione” “Aprire le celle? Ma come faccio in un carcere di queste dimensioni?”, spiegava solo qualche giorno fa il direttore Giordano, davanti all’orrore di vedere tante persone assiepate in spazi così angusti, accompagnandoci nella visita al padiglione Napoli, dove i letti a castello arrivano attualmente al terzo piano (ma in alcuni momenti anche al quarto), con stanze di venti metri quadri in cui vivono dalle sei persone in su. “Io sono un trattamentalista - continua Giordano - ma senza soldi, senza uomini e mezzi, hai voglia a parlare di reinserimento sociale del detenuto”. La parola “rieducazione”, poi, è davvero fuori luogo in un posto dove “a metà degli anni 80 lavoravano 350 detenuti mentre oggi ne lavorano solo 169”, come racconta il comandante degli agenti, il commissario Salvatore D’Avanzo, da 18 anni a Poggioreale e dal 1977 al Dap. Che spiega: “Negli ultimi anni è cambiato tutto, sono aumentati i malati psichici, i drogati, gli emarginati. A cosa è dovuto? Io credo al fallimento del mondo “fuori”“. Educatori: 13, in servizio per due giorni la settimana (207 detenuti da seguire a testa). Psicologi: uno distaccato dall’Asl che affianca i quattro psicologi del carcere in servizio al reparto “Nuovi giunti” (dove attualmente ci sono 320 persone), più altri quattro psicologi per poche ore settimanali a disposizione di tutti gli altri. Inutile dire che gli psicofarmaci sono le medicine più richieste e più utilizzate. “I tentativi di suicidio sono molti, sapesse quanti ne riusciamo a salvare”, spiega ancora Giordano. Sabato 12 novembre però non ci sono riusciti e un uomo sulla cinquantina, un “ottimo falegname” entrato in carcere il giorno prima per aver accoltellato moglie e parte della famiglia, si è suicidato malgrado fosse stato inserito nel “Reparto osservazione” e sorvegliato “da un agente ogni 15-20 minuti”, racconta il direttore. “In quel frangente si è tolto la vita - continua Giordano - e, malgrado sia il primo caso nel 2010, per noi è sempre un fallimento, anche se nella nostra esperienza sappiamo che se un detenuto vuole suicidarsi lo fa anche se guardato a vista”. Comunque, gli agenti sono troppo pochi e accumulano ore di straordinari pur sapendo che non c’è la copertura finanziaria per tutti: degli 828 poliziotti assegnati, almeno un centinaio sono distaccati al tribunale, dove sono utilizzati per presidiare i passaggi, o nelle corsie di ospedale, o sono addetti alle traduzioni dei detenuti e alle scorte, o sono in permesso (il 15% del totale) per assistere familiari malati usufruendo della legge 104 (requisito richiesto per ottenere il trasferimento di città, e dunque usato maggiormente dagli agenti originari del Mezzogiorno). Ordine, contro il sovraffollamento In questo contesto, la disciplina, a Poggioreale, è un’arma importante. Lo si capisce da come i detenuti camminano in fila e con le mani incrociate dietro la schiena, quando si muovono all’interno del carcere, accompagnati dai (pochi) agenti in servizio. “Qui da noi comanda solo lo Stato”, si inorgoglisce Giordano, al sevizio del Dap da quarant’anni, quando gli si chiede del potere interno dei camorristi. “La cosa più dura da sopportare, quando sei dentro - spiega un ex detenuto a Poggioreale per sei mesi e poi scagionato - è la doppia legge: le regole imposte dai secondini e il “codice” interno dei carcerati”. Ovvio che i capoclan “sono quelli che danno meno problemi” al personale (parola di Giordano), mentre ci vuole polso duro con la criminalità comune, con i tanti spacciatori, taglieggiatori, rapinatori, scippatori, spesso giovanissimi, che entrano e escono dal carcere in continuazione, ammassati in celle dove tocca fare i turni per stare in piedi, con water e cucina tutt’uno in un angolo, e docce sul corridoio - “schifosissime”, ci racconta ancora il “nostro” ex detenuto (non avendole potute visitare) - “a disposizione due volte a settimana, e non sempre calde”. Non è così dappertutto: l’inverno a Poggioreale sarà un po’ meno rigido in reparti come il Genova, che Giordano è riuscito finalmente a far ristrutturare di recente, con le docce in cella e le pareti ancora immacolate. “Da trent’anni - dice - chiediamo di sfollare Poggioreale perché senza spazio fallisce lo scopo del carcere, che comunque deve essere l’extrema ratio”. Il direttore racconta che solo un anno fa ha ottenuto i soldi per ristrutturare la sala colloqui che non era a norma. E ora, per esempio, “abbiamo problemi enormi perfino con il censimento: non ci sono i moduli né tantomeno i computer con cui inserire i dati”. “Cosa cambierei? Alcune leggi come quella sulle tossicodipendenze e sulle recidive. Il problema non è dentro il carcere, è fuori”. Giustizia: studio francese definisce carceri italiane “da terzo mondo, le peggiori d’Europa” Agi, 27 novembre 2011 “Carceri da terzo Mondo, le peggiori d’Europa”. A bollare così gli istituti penitenziari italiani - secondo quanto verrà anticipato lunedì dal programma “Klaus Condicio” condotto da Klaus Davi - è uno studio commissionato da Nicholas Sarkozy al parlamentare Eric Ciotti, segretario nazionale del partito Ump. Ultimi tra i grandi Paesi europei per capienza, molto peggio di Spagna e Portogallo, le carceri di casa nostra “conquistano un tristissimo primato posizionandosi come fanalino di coda nella speciale graduatoria che prende in considerazione la capacità carceraria delle principali nazioni Ue”. L’Italia con 71 spazi disponibili ogni 100mila abitanti si colloca ben al di sotto della media europea (138), preceduta da Belgio (78), Francia e Olanda (83), Germania (96), Portogallo (112), Spagna (113) e doppiata dal Regno Unito (155) che guida la classifica. L’ analisi è “impietosa - secondo Klaus Condicio - e prende di mira le carenze gestionali degli organi amministrativi, ma anche l’incapacità dei politici, e denuncia una situazione insostenibile. Sovraffollamento, suicidi, abusi, mancanza di trasparenza, carenze d’organico, privilegi a mafiosi e pentiti, scarcerazioni di boss, l’elenco è lunghissimo e si sovrappone a una immagine critica della nostra giustizia”. Giustizia: Dgm; la “messa alla prova” aiuta a far sì che i minori non commettano più reati Corriere della Sera, 27 novembre 2011 La scelta di “mettere alla prova” e non solo in carcere i giovani finiti nei guai con la giustizia aiuta a fare in modo che non commettano più reati: se al ragazzo si dà un’occasione per riscattarsi attraverso un’esperienza di recupero sociale, la probabilità che una volta adulto ci ricaschi si riduce del 41% rispetto ad altri percorsi. A dirlo è uno studio condotto dal Dipartimento per la Giustizia minorile che ha seguito per quasi quindici anni la vita di oltre mille ragazzi. Tra di loro il 31,44% è tornato a delinquere. Ma i risultati migliori si sono avuti proprio tra coloro per i quali è stato sospeso il processo e scelta la “messa alla prova”. Un percorso che può essere usato per tutti i tipi di reato e portare all’estinzione del reato. “Un’istituto unico in Europa - spiega il capo del Dipartimento Bruno Brattoli - sul quale si sta concentrando l’attenzione di Paesi che hanno fatto scelte diverse”. Come la Gran Bretagna. Solo alcuni giorni fa l’Herald Tribune ha lanciato l’allerta: insieme alla disoccupazione giovanile crescono i reati compiuti da minori della “lost generation”: una “generazione perduta” che non produce ricchezza e costa. Riducendo di un punto in percentuale la disoccupazione giovanile, hanno calcolato alla London School di Economia e Scienze Politiche, si potrebbero risparmiare 3,2 milioni di dollari sui costi della criminalità giovanile. Da qui l’appello all’inclusione dei giovani. “Che dopo le quote rosa non sia arrivato il momento delle quote verdi”? Laura Laera, presidente dell’associazione dei magistrati per i minorenni - riuniti a Catania proprio per il convegno Cittadini in crescita: tra inclusione ed esclusione - rilancia l’interrogativo insieme all’allerta britannica. E non è un caso se oggi il neogovernatore della Banca d’Italia Ignazio Visco interverrà sul palco dell’Aimmf. Di “allerta ma senza allarmismi” parla anche il presidente del Tribunale per i minorenni di Milano Mario Zevola. “Il trend è leggero, ma il fenomeno della criminalità giovanile si sta facendo più preoccupante. Se non altro per il tipo di delinquenza”. Più reati alla persona compiuti non solo da stranieri ma dalla “lost generation” nostrana. Lettere: la forma mentis del carceriere… Il Manifesto, 27 novembre 2011 Si sente molto parlare in modo autoreferenziale da parte delle amministrazioni pubbliche, dei loro meriti e delle difficoltà in cui operano. Il carcere è una di quelle (istituzioni) che lo fa maggiormente proprio perché essendo chiuso, come tutte le istituzioni totali, è molto impermeabile ai controlli. Che sia un ambiente difficile in cui operare nessuno lo nega, ma non c’è una vera volontà di apprendere dagli errori: vengono considerati fisiologici e causati da altri, o da eventi che non possono venire controllati dalla loro volontà. In realtà troppo spesso vengono causati da una visione troppo cieca nella propria convinzione di fare bene. Viene preteso dal detenuto condannato una revisione critica del proprio passato, ma sui loro errori ci passano sopra come fossero eventi normali. Negano ogni loro responsabilità attribuendola sempre ad altri. Le azioni repressive contro le critiche scattano con delle modalità che in apparenza sembrano dei miglioramenti, su questo non c’è che dire, si sono professionalizzati al massimo livello. I progetti troppo spesso sono fatti come una pura necessità di apparenza tendente a creare un’immagine positiva verso l’esterno, senza che però quella sostanza che un progetto deve avere. A chi la colpa? È colpa del detenuto incapace di cogliere le opportunità che gli vengono offerte. In questo carcere di Torino, vi sono molte attività rispetto agli altri istituti, ma quando coloro che fanno parte del progetto si permettono di formulare osservazioni critiche su come è gestito il progetto e sui suoi limiti, ecco che la forma mentis del carceriere scatta. Si penserà che questa forma mentis sia tipica ed esclusiva del personale di polizia, invece spesso queste azioni sono proposte da quelle figure istituzionali che dovrebbero essere più neutre, come gli educatori. Spesso gli agenti non condividono tali scelte perché oltre che sul detenuto, anche su di loro si riversano poi i pesi di quelle disposizioni. Quando un’educatrice, alla quale viene fatto presente che in un polo universitario si fa giungere la gente (detenuti) dopo che sono scaduti i termini per le richieste di borse di studio, significa mettere tutti in una vera situazione di disagio (dobbiamo pagarci anche la scopa e gli stracci per pulire oltre a tutti i prodotti per le pulizie della cella e dell’igiene personale, spesso sono i compagni che si sobbarcano l’onere di aiutare coloro che non hanno soldi), si riceve come risposta che stiamo difendendo in realtà dei privilegi, che siamo egoisti perché non vogliamo che altri abbiano le stesse opportunità offerte a noi. Forse arrivando prima avrebbero veramente le stesse opportunità, in questo modo è l’istituzione che non offre le stesse opportunità a tutti creando una differenziazione e una grave sperequazione nei confronti degli ultimi arrivati. Se poi in quell’intervento si permette di fare una puntualizzazione un cittadino straniero (extracomunitario, clandestino e privo di documenti) proprio per affermare che non si tratta di una difesa di privilegi, si sente rispondere dall’educatrice che gli stranieri non devono che ringraziare di essere stati arrestati perché da clandestini nessuno fuori gli avrebbe offerto l’opportunità di iscriversi all’università come invece gli consente il carcere, visto che sono anche senza documenti. Ebbene siamo qui nel campo delle affermazioni di tipo razzistico a mio parere, con un atteggiamento di arroganza non consono di chi svolge il compito istituzionale di educatore. Lettera firmata Voghera: costruita nuova ala del carcere, ma mancano soldi per cucine e impianti sportivi La Provincia Pavese, 27 novembre 2011 Il prossimo anno aprirà la nuova ala del carcere di Voghera, ma i soldi sono finiti e, a parte le celle, ci sarà ben poco. Certamente non ci saranno le cucine. I problemi al carcere di via Prati Nuovi sono destinati ad aumentare, anche a causa di ripetute iniziative edilizie sballate. A riferirne alcune, ieri mattina, è stata una delegazione composta dall’onorevole Pd Angelo Zucchi, dal consigliere provinciale, sempre del Pd, Giacomo Galazzo e da Federico Rano, dei Radicali pavesi. “Questo carcere è ben organizzato - hanno detto i tre dopo una visita fatta in mattinata - anche grazie all’impegno degli agenti e di tutto il personale”. Purtroppo sono stati commessi errori. Zucchi cita il caso dei due campetti di calcio, realizzati senza il rispetto della normativa carceraria. Il risultato è che gli oltre 230 detenuti non hanno un luogo dove andare a svagarsi, seppure per poco tempo. “Mi chiedo chi li ha progettati e chi ha approvato i progetti. Perché adesso bisognerà impiegare nuove risorse per rendere agibili i due campetti”. Il prossimo anno si passerà da circa 240 a 450 detenuti. “Si farà un salto simile senza le strutture adeguate e con un organico del tutto insufficiente, spiega Federico Rano. Gli attuali detenuti del carcere di Voghera sono di due tipologie ben distinte. Da una parte ci sono i soggetti più pericolosi, che vengono dal carcere duro e sono stati sottoposti al regime del cosiddetto 41 bis, l’articolo della legge che prevede la sospensione dei normali diritti dei carcerati. “Qui a Voghera c’è tutto il gotha della criminalità organizzata italiana. Ci sono i capi di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra, - continua Zucchi - che coabitano senza rappresentare un reale problema. Questi detenuti vivono in celle singole, per motivi di sicurezza, ma hanno un trattamento più che dignitoso”. In effetti basta fermarsi qualche minuto fuori dal carcere e si vedono i familiari di questi detenuti arrivare con auto di lusso - Mercedes fiammanti o giganteschi Suv - per i periodici colloqui e la consegna di generi di conforto. “Gli altri detenuti, invece, stanno molto male - riprende l’esponente radicale -. Celle con 12, 13 e anche 14 detenuti. Celle con letti a castello a tre e quattro piani. Come si fa, mi domando, a pensare al riscatto di queste persone se hanno tre metri quadrati di spazio vitale?” Giacomo Galazzo, eletto in consiglio provinciale da pochi mesi, ha annunciato che proporrà la costituzione del Garante dei diritti della persona privata della libertà. “Seguiamo l’esempio di altri - spiega - cercando di fare da ponte tra famiglie e istituzioni carcerarie”. Chieti: seminario per le imprese sui vantaggi economici e fiscali a chi assume detenuti Il Centro, 27 novembre 2011 La Camera di Commercio di Chieti e l’Agenzia di Sviluppo, in collaborazione con il Provveditorato regionale amministrazione penitenziaria per l’Abruzzo e il Molise, ha organizzato per lunedì 28 novembre prossimo, dalle ore 17 alle 19, un seminario informativo destinato alle imprese e incentrato sulle opportunità economiche e fiscali offerte dalle normative vigenti in tema di collocamento dei detenuti e sulle iniziative che favoriscono l’effettivo inserimento lavorativo. All’incontro parteciperanno il presidenti della Camera di Commercio di Chieti Silvio Di Lorenzo, il presidente dell’Azienda Speciale “Agenzia di Sviluppo” Letizia Scastiglia, il segretario generale dell’ente Paola Sabella, il dirigente di UnionCamere Abruzzo Giuseppe Di Donato, il dirigente dell’ufficio detenuti e trattamenti del Provveditorato Fiammetta Trisi oltre ad alcuni imprenditori e operatori che illustreranno esperienze sul tema dell’inserimento dei detenuti: Paolo Di Cintio titolare dell’Impresa Di Cintio S.r.l., Franco Pettinelli, direttore Casa Circondariale di Pescara e Francesco Lo Piccolo, direttore rivista “Voci di Dentro”. Augusta (Sr): Ugl; in arrivo 52 mila euro per la ristrutturazione della casa di reclusione La Sicilia, 27 novembre 2011 “Dopo lo stanziamento dei primi 52 mila euro dalla Cassa delle ammende per avviare i lavori d’urgenza di carattere igienico-sanitario (bonifica cunicoli), è dei giorni scorsi la notizia che il dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria centrale è intervenuto rivolgendosi al provveditorato della Regione Sicilia, a seguito delle ripetute richieste fatte anche dalla stessa direzione, con una nota che inequivocabilmente lascia intendere la fattibilità di un immediato avvio dei lavori in questione già aggiudicati ad una ditta del siracusano, in attesa della consegna dei lavori”. Il componente del consiglio nazionale dell’Ugl sottolinea che si tratta di un risultato raggiunto attraverso una determinante ed efficace azione congiunta tra la segreteria provinciale, regionale e nazionale dell’Ugl e la direzione della casa di reclusione di Augusta. “La soddisfazione di essere riusciti ad ottenere quanto richiesto in merito all’urgente e necessario intervento di tipo strutturale ad Augusta - aggiunge Nello Bongiovanni - non può, tuttavia, considerarsi completa dato l’ancora irrisolto e annoso problema della carenza di personale di Polizia penitenziaria ulteriormente aggravata da imminenti ancorché inaccettabili distacchi di agenti dal penitenziario megarese al nuovo complesso di Gela, senza averne prevista debita sostituzione”. Il sindacato si dichiara deciso a continuare a svolgere la propria azione intervenendo a tutti i livelli affinché anche in merito possano raggiungersi risultati quantomeno soddisfacenti nel rispetto delle parti interessate. E, relativamente agli organici di polizia penitenziaria in servizio in Sicilia è di ieri la missiva che i rappresentanti delle segreterie regionali di Osapp, Sinappe e Fsa- Cnpp hanno inviato alle autorità nazionali competenti sottolineando il fatto che, il personale nella nostra regione registra una carenza di circa 800 unità. La carenza di organico ed il sovraffollamento della popolazione detenuta sono le principali cause del collasso della struttura di Augusta. Circa 700 detenuti con poco più di 200 unità con una carenza di organico di circa 130 unità di Polizia penitenziaria, la tipologia variegata di detenuti presenti nel carcere che insiste in contrada Piano Ippolito è difficile da gestire e spesso il personale lavora espletando doppio turno di servizio e facendo più posti di servizio. Più volte sono state inoltre denunciate le precarie condizioni della struttura. Catania: coop Orizzonte Lavoro; progetto permanente per aiutare i detenuti a reinserirsi La Sicilia, 27 novembre 2011 La proposta di un progetto permanente sul reinserimento sociale degli ex detenuti, è stata lanciata dal presidente della cooperativa Centro Orizzonte Lavoro, don Enzo Giammello, nel corso di un seminario. Il titolo è “Articolo 27, terzo comma”, che richiama il dettato costituzionale secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”; gli ex detenuti invece non richiamano l’attenzione di nessuno, se non delle organizzazioni criminali, e il problema poi si riflette sulla società in cui viviamo. Per realizzare l’idea si cercano partner nel privato sociale e tra le istituzioni. Un nuovo progetto, che non abbia una scadenza temporale, ma che sia permanente, è stato pensato e lanciato all’esterno dal presidente della cooperativa Centro Orizzonte Lavoro, don Enzo Giammello, un progetto che si intitola “Articolo 27, terzo comma” sul reinserimento nella vita sociale degli ex detenuti. Ieri nella sede della cooperativa, in via Teatro Greco, si è appositamente svolto un seminario aperto alle associazioni di categoria, di volontariato, alle istituzioni, alla società civile e ai singoli cittadini. “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, un dettame costituzionale che purtroppo nel nostro Paese è largamente disatteso, tranne rarissime eccezioni. La realtà è sotto gli occhi di tutti, sullo sfondo di un sistema carcerario che, oltre a non assolvere alla Costituzione, fa acqua da tutte le parti e che, anziché recuperare il detenuto, lo maltratta a tal punto da suscitare in lui la reazione opposta, che non è quella di intraprendere la strada della legalità, ma di tornare a delinquere. “Insomma il detenuto - ha detto padre Giammello - sia dentro, sia fuori dal carcere, non riceve l’attenzione di nessuno, se non quella della criminalità. Lo strumento del lavoro è invece indispensabile per accompagnare il detenuto in un percorso di legalità, sostenerlo, aiutarlo a reinserirsi è un nostro dovere”. Don Enzo Giammello ha citato come di esempio la recente esperienza delle borse di lavoro per detenuti (nell’ambito del progetto “Fonda azioni per Librino”) attuata nella scorsa estate nel quartiere: “Le borse di lavoro erano destinate a 10 ex detenuti e duravano sei mesi. Di questi dieci detenuti solo uno ha recidivato il reato, gli altri hanno intrapreso la strada del recupero e addirittura quattro degli assegnatari della borsa di lavoro sono stati regolarmente assunti dai datori di lavoro che avevano accettato di farli lavorare pro tempore utilizzando i fondi del progetto (senza sborsare cioè un solo centesimo di salario”. Ma c’è da constatare che pochi datori di lavoro sono disposti ad accogliere le persone che sono entrate nel circuito penale anche quando queste dimostrano dei voler dare una svolta di legalità alla propria esistenza. L’impresa non è perciò facile, ma con l’impegno di tutti può diventare possibile. “Noi vorremmo creare un centro di servizi permanente, un polo di accoglienza e di accompagnamento al lavoro, ispirandoci al Vangelo e al pensiero di Don Bosco, perché il problema che andiamo ad affrontare è permanente e di enorme portata”. Oltre alla cooperativa promotrice Orizzonte Lavoro (che opera già da anni e con buoni risultati per favorire l’innesco di percorsi efficaci, finalizzati al reinserimento socio lavorativo di minori e giovani dell’area penale), dunque, per rafforzare la propria azione sociale cerca un partneriato, nel privato e tra gli enti pubblici, che possa impegnarsi a collaborare fattivamente alla realizzazione del progetto con l’apporto di risorse economiche e umane. I canali di finanziamento possono essere molteplici, non ultimo il 5x1000; ma per il reperimento dei fondi possono essere utilizzati tutti gli strumenti utili, come le tecniche fund-raising, la progettazione sociale ecc. ecc. Ed anche quella del reperimento dei finanziamenti non è impresa facile, ma possibile. All’incontro di ieri erano presenti alcune decine di persone, ciascuna con un retroterra culturale importante, come l’Associazione nazionale forense, l’Unione giuristi cattolici, la Camera minorile, l’Uepe, l’Ussm, la Confartigianato, la Confcooperative, l’Associazione Antiracket e antiusura catanese, il Serra Club, CittàInsieme e vari esponenti del terzo settore. Nel corso del seminario di ieri, prima del dibattito, sono intervenuti il dottor Salvatore Aliotta (collaboratore dell’avvocato Vito Pirrone, presidente provinciale Associazione nazionale forense) e la dottoressa Lucia Brischetto, esperta del Tribunale di Sorveglianza di Catania; il primo ha fatto una breve disamina del problema che sta a monte (“Il detenuto quando esce dal carcere si trova in un momento di particolare vulnerabilità e viene abbandonato dalle istituzioni”, la seconda, ha affrontato il tema delle misure alternative al carcere, facendo notare che il nostro Paese vanta un Ordinamento penitenziario che “sulla carta è il massimo della civiltà”, ma che non viene assolutamente applicato; ed ha spiegato quali sono le carenze del nostro sistema penitenziario, le stesse carenze che fanno poi naufragare importanti istituti giuridici come “l’affidamento in prova al servizio sociale” o la “semilibertà”, istituti che a monte comportano la necessità di un lavoro. L’iniziativa di don Giammello è aperta. Chi volesse prendervi parte o contribuire alla sua riuscita, può farsi, anzi “deve” farsi avanti. Il problema, concretamente, si riflette anche e sopratutto, sulla società in cui viviamo anche in termini di sicurezza. Giovanna quasimodo Torino: coop Santa Croce; al lavoro nel Parco, così recuperiamo gli ex detenuti La Sentinella del Canavese, 27 novembre 2011 Rachid, originario del Marocco, si occupa della cucina e della pulizia del centro con Serge, che è nato in Romania, Jonut invece sa fare di tutto: meccanico, elettricista, muratore. È lui il coordinatore della coop Santa Croce ospitato dall’anno scorso nella casermetta della stazione di Candia, in cui, prima della dismissione, alloggiavano i militari del Genio ferrovieri. Il centro, già attivo a Torino, si occupa del reinserimento nella società di ex giovani detenuti, che segue fin dall’arrivo in carcere. “Sono persone - spiega Vincenzo Di Mauro, presidente della onlus - che desiderano ricominciare una vita normale, ma che hanno bisogno di un aiuto prima di tornare ad essere indipendenti. Sono molti anni che mi occupo di questa realtà, e posso dire che le case alloggio, come quella di Candia, rappresentano un’ottima opportunità di crescita umana e sociale. In particolare i ragazzi ospitati a Candia sono davvero molto bravi: grazie alla convenzione siglata con Comune ed Ente parco, due di loro (Matteo e Alessandro) per tre giorni la settimana si occupano di numerosi lavori di manutenzione sia nel paese che all’interno del parco: hanno verniciato le panchine del paese, pulito sentieri e fontane, si occupano di orticoltura, grazie ad alcuni terreni che ci sono stati donati dall’azienda agricola Peracchino e da Rosa Maria Mottino. Jonat sta ristrutturando un sala del municipio. Altri due ragazzi sono impegnati nella manutenzione degli impianti sportivi della Romanese calcio. Alcuni di loro stanno diventando apicoltori con l’aiuto di Angelo Santoliquido, che li segue nell’attività. Abbiamo anche allestito un piccolo laboratorio di riparazioni di elettrodomestici. “Insomma - prosegue Di Mauro -, i ragazzi ce la mettono davvero tutta. Eppure notiamo parecchia diffidenza da parte della gente. Al contrario la fiducia è importante per questi ragazzi che, è vero hanno sbagliato, ma che non vogliono ricascarci più. La comprensione, il sostegno della gente per noi è vitale. Siamo tutti volontari e per il mantenimento del centri ci auto finanziamo, poiché per il momento possiamo contare solo sull’aiuto della Caritas di Torino e di qualche benefattore privato. Loro hanno bisogno di tutto”. Per la fine dell’anno la onlus Santa Croce aprirà un secondo centro a Montanaro, sempre presso la stazione. “Lì ospiteremo ex detenute con i loro bambini. Quindi - sottolinea De Mauro - avremo bisogno veramente di aiuto. Speriamo che la popolazione capisca”. Milano: Giornata nazionale della colletta alimentare; detenuti donano 30 scatole di derrate www.omnimilano.it, 27 novembre 2011 Sono oltre 30 gli scatoloni di derrate alimentari donati dai 1.400 detenuti del carcere milanese di San Vittore che oggi hanno aderito alla XV edizione della Giornata Nazionale della Colletta Alimentare. I generi alimentari, acquistati dai carcerati con la loro spesa settimanale, saranno destinati alla Fondazione Banco Alimentare Onlus e serviranno per aiutare più di 8000 Enti caritativi che si occupano dell’assistenza di 1,4 milioni di poveri. Alla raccolta, avvenuta all’interno del carcere, ha partecipato anche l’assessore regionale alla Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà sociale, Giulio Boscagli, accompagnato dai volontari dell’associazione Incontro e Presenza. Insieme all’assessore, che per l’occasione indossava l’apposita pettorina gialla, il direttore del carcere, Gloria Manzelli, il comandante della Polizia Penitenziaria, Manuela Federico e, per la Fondazione Milan, il capitano Franco Baresi. Soddisfatto il commento dell’assessore Boscagli all’uscita dal carcere. “Oggi - ha detto - ho potuto sperimentare un gesto di carità fatto da persone che, a loro volta, avrebbero bisogno di aiuto e supporto, non solo materiale ma anche di accompagnamento morale e psicologico. Sono stato colpito da un detenuto che mi ha raccontato di aver voluto donare perché sapeva che in giro c’erano persone più sfortunate di lui”. L’assessore Boscagli, in particolare, ha visitato il Terzo Raggio, la biblioteca, la cappella, accompagnato da alcuni detenuti-volontari che oggi hanno ottenuto la possibilità di raccogliere i generi alimentari. “Sono rimasto colpito dal sovraffollamento in cui versa questa struttura - ha sottolineato Boscagli - oggi ho fatto un giro superficiale, ma prossimamente ho intenzione di visitare San Vittore in maniera più approfondita perché il carcere è un pezzo di mondo dove vivono carcerati, volontari, guardie, psicologi, medici: uno spaccato della società che merita di essere conosciuto maggiormente e integrato con la realtà esterna. Per queste ragioni sono convinto che, da parte nostra, occorra fare di più”. Oggi, in tutta la Lombardia, 30 mila volontari inviteranno i clienti dei supermercati a donare alcuni tipi di alimenti che verranno distribuiti alle strutture convenzionate con la Rete Banco Alimentare. Per la seconda volta la colletta entra anche in carcere; nella nostra regione, oltre al carcere di San Vittore hanno aderito anche quello di Opera, Monza e Bollate. “Il tessuto sociale della Lombardia - ha detto in conclusione Boscagli - è profondamente innervato da tantissime persone che, in maniera gratuita, dedicano parte del loro tempo, mettendosi, spesso anche con del denaro, al servizio degli altri. Oggi abbiamo la possibilità di fare un gesto che può servire per i più bisognosi dedicando qualche ora del nostro tempo”. Pistoia: penalisti in sciopero della fame “a staffetta” per denunciare situazione delle carceri Il Tirreno, 27 novembre 2011 Da oggi il testimone passa alla Camera penale di Pistoia. In una staffetta che, dal primo giugno scorso, vede coinvolti, in uno sciopero della fame, gli avvocati penalisti di tutta Italia: obiettivo, denunciare la drammatica situazione delle carceri del nostro paese. Il primo componente della nostra Camera penale a restare senza cibo per un giorno sarà proprio il suo presidente, l’avvocato Andrea Mitresi. Quindi, da domani a giovedì primo dicembre, si alterneranno i suoi colleghi Paola Innocenti, Cinzia Carradori, Paolo Frosini, Azzurra Tatti e Alessandro Nocetti. “L’Unione delle Camere penali italiane denuncia da tempo la drammatica situazione delle carceri italiane - spiega il presidente Mitresi - Il sovraffollamento cresce senza che ancora alcun serio provvedimento venga avviato per fronteggiare quella che non è più una emergenza ma una cronica condizione. Come conseguenza del sovraffollamento cresce anche il numero dei suicidi, segnale drammatico delle condizioni di disagio fisico e psichico in cui vivono i detenuti. Lo scorso anno anche nella nostra casa circondariale, in cui l’indice di sovraffollamento è tra i più alti del Paese, un giovane pistoiese si è tolto la vita”. L’Unione delle Camere penali italiane ha più volte ribadito, anche negli ultimi anni, la necessità di predisporre iniziative legislative idonee a tutelare i diritti dei detenuti e a contenere il sovraffollamento. “Il governo e gran parte della politica sono sordi a queste richieste - lamenta l’avvocato Mitresi facendo sua la presa di posizione dell’Unione del 31 maggio scorso - Marco Pannella è in sciopero della fame dal primo giugno anche per denunciare le incivili condizioni delle carceri. La giunta dell’Unione delle camere penali italiane ha deliberato di far propria l’iniziativa del leader radicale, indicendo uno sciopero della fame”. Livorno: detenuto cade dal terzo piano del letto a castello e si ferisce alla testa Il Tirreno, 27 novembre 2011 Una ferita lacero contusa alla testa e 7 punti di sutura. È quanto avrebbe subito un detenuto delle Sughere caduto mentre dormiva dal ripiano più alto di un letto a castello a tre di una cella. A raccontarlo è il garante dei detenuti di Livorno Marco Solimano. In una nota, Solimano racconta di una recente visita nel penitenziario, che versa in “un degrado strutturale ed ambientale, fino a toccare situazione di fatiscenza, cui non corrisponde alcun significativo intervento”. Il detenuto, aggiunge Solimano, stava dormendo in cella sull’ultimo dei tre letti a castello di una cella “che dovrebbe ospitare una sola persona”, e sarebbe scivolato dalla branda e caduto a terra. “La sua colpa - conclude il garante - forse è di non vivere sonni tranquilli e forse è vero: arrestato per un reato commesso molti anni addietro, nel momento in cui la sua vita era profondamente cambiata, con a casa una moglie malata ed un fine pena di modestissima entità”. Roma: “Il Cielo sopra Rebibbia”, con astronomia e filosofia si apre il cosmo ai detenuti Adnkronos, 27 novembre 2011 Talvolta anche un luogo inaccessibile, istituzionalmente chiuso all’esterno come il carcere può abbattere idealmente sbarre e barriere per aprire una finestra sull’infinito: “Il Cielo sopra Rebibbia”, proposto e curato da Gisella Luccone e dall’astrofisico Gianluca Masi del Virtual Telescope Project, fa proprio questo attraverso una serie di incontri che, partendo dalla storia della conoscenza del cielo e pescando dall’immaginario di arte, letteratura, filosofia e persino cinema, aprono l’accesso all’Universo, riportando nel detenuto la consapevolezza dello spazio fisico, vicino e lontano, ma anche interiore. Frammenti di conoscenza intrecciati ad arte per raccontare la conquista dello spazio, l’unitarietà armonica del cosmo, la relatività spazio-temporale e per rendere visibile così quel filo trasparente che lega tutti noi all’intero universo ovunque ci troviamo. “Vi sono contesti dove spazio e tempo non sono arcane astrazioni, ma valori quotidiani e concreti che misurano macroscopicamente la nostra libertà - dice Masi. Il carcere è certamente uno di essi, forse il più emblematico. Un luogo dove, almeno nell’immaginario di molti, essi possono risuonare provocatori, per certi versi anche urticanti”. Proprio per questo, osserva l’astrofisico, “è importante sollecitare un rapporto consapevole e positivo con simili valori, recuperandoli magari da una cornice di straordinaria suggestione e fascino, capace di porgerli senza pregiudizi, ma intatti nel loro primitivo potenziale emotivo. E quale cornice può essere migliore del cielo? Lassù s’incontrano e convivono, da sempre, razionale e spirituale, teorie e filosofie, scienza e fede, mente e cuore. A ben guardare, i mille volti dell’uomo”. “Il Cielo sopra Rebibbia” ha stabilito un intenso rapporto tra le parti, interna ed esterna. Si potrebbe dire tra narratori e auditori, ma qui i ruoli si scambiano - spiega Masi - rimbalzando su e giù dal palco del teatro che ospita gli incontri. Perché la curiosità, l’anelito alla conoscenza evidentemente non fanno distinzioni tra dentro e fuori, tutti ne siamo contagiati. Siamo uguali, nel senso di piccolezza che il cosmo evoca in noi. Siamo uguali, nel desiderio di cogliere quelle siderali grandezze. Siamo uguali, nel vivere l’ebbrezza dello spazio. Siamo uguali, noi, tutti figli delle stelle. E uno sguardo al cielo, alla sua ancestrale bellezza, nella sua irraggiungibile dimensione è sempre un sorso di libertà. “Il guaio della vita di oggi - dice Gisella Luccone - è che molti di noi muoiono prima di essere nati pienamente. Ma nati per cosa? Per essere liberi. Di quale libertà allora? È facile conoscere la libertà di, difficile sentire la libertà da… libertà rispetto a cosa? Libertà rispetto alle costrizioni, fisiche ed interiori, che ci allontanano dalla realizzazione come esseri umani, come persone e non maschere del transeunte tempo umano”. “Se nessuno può toglierci la facoltà di pensare , di immaginare il cambiamento, di riumanizzare la nostra vita, allora questo è il primo atto di libertà - scandisce infine. “Libertà non è altro che una possibilità di essere migliori”, diceva Albert Camus. Ed essere migliori vuol dire anche abbandonare il pre-giudizio con cui ci rapportiamo a certe realtà come il carcere, ancor prima di esserci entrati in relazione e ancor prima di qualsiasi conoscenza. Ed è proprio la conoscenza che abbatte le reciproche lontananze e diffidenze, anche con la considerazione che il carcere non è così lontano come sembra ed i reclusi non sono così diversi da noi. È possibile stabilire un canale emotivo di comunicazione che, attraverso la conoscenza, ci permetta di elevarci esortandoci così a fermarci a riflettere per ravvisare nell’altro non il diverso, ma il complementare”. “Il Cielo sopra Rebibbia”, iniziativa fortemente voluta dal Virtual Telescope Project e avallata con entusiasmo da Carmelo Cantone, Direttore della casa Circondariale di Rebibbia, Nuovo Complesso così come da Anna Luisa Giustiniani, Responsabile dell’Area educativa presso la stessa struttura, è un’attività volontaria inserita in un quadro più ampio di attività filantropiche supportate dal Virtual Telescope Project. Fondato nel 2006, consiste in una serie di telescopi altamente tecnologici, utilizzabili via Internet da qualsiasi luogo del pianeta. Oltre che per attività di ricerca, essi sono intensamente adoperati per iniziative culturali a sfondo umanitario e sociale: in cinque anni hanno portato l’esperienza del cielo e il suo carico di significati a un milione di utenti da quasi duecento Paesi. Catanzaro: i libri oltre le sbarre; donazione del Rotaract al Centro di giustizia minorile www.catanzaroinforma.it, 27 novembre 2011 Un momento di confronto e di socializzazione tra i ragazzi del Rotaract ed i detenuti del carcere minorile di Catanzaro. Così può definirsi il pomeriggio passato dai giovani rotariani presso il carcere minorile del capoluogo. L’attività rientra nell’ambito del progetto denominato “Liberamente” ideato dalla commissione “Arte e Cultura” del Distretto Rotaract 2100 ed ha visto coinvolti i Rotaract Club di Catanzaro, Cosenza e Paola unitisi per donare oltre 200 libri, un enciclopedia Utet ed una libreria al carcere minorile di Catanzaro. Il progetto mira ad evidenziare l’importanza della pena rieducativa la quale deve essere per il detenuto un importante mezzo di riscatto e di crescita e sono state proprio queste le motivazioni che hanno spinto i tre Club Calabresi ad unirsi per portare a termine l’attività. “Come associazione giovanile - ha affermato il Presidente Giovanni Cortese - non potevamo non accogliere con entusiasmo un progetto che, tramite la lettura e la cultura, vuole evidenziare l’importanza e l’efficacia che la pena rieducativa riveste soprattutto in una fascia d’età così difficile come quella che interessa i carceri minorili; in questi casi il fine più importante è dunque quello di far emergere le singole potenzialità di ogni ragazzo. Un sentito ringraziamento - ha proseguito Cortese - va dunque al Direttore del carcere Dott. Francesco Pellegrino il quale ha dato la massima disponibilità affinché l’iniziativa potesse andare a buon fine, ai Presidenti del Rotaract Club di Cosenza e Paola rispettivamente Mariarita Salituro e Federica Pagnotta, al Delegato Distrettuale Zona magna Graecia Eugenio Carratelli e alle Delegate Flavia Stumpo e Paola Leonetti rispettivamente responsabili per l’attuazione del progetto in ambito distrettuale e cittadino”. Firenze: scrittori dietro le sbarre… domani a Sollicciano si assegna il Premio Casalini di Fulvio Paloscia La Repubblica, 27 novembre 2011 Domani a Sollicciano si assegna il Premio Casalini destinato a scrittori detenuti. Fra i vincitori anche la protagonista di un tragico episodio di cronaca: la ragazza che uccise con un ombrello. C’è un premio, in Italia, che raccoglie centinaia di racconti e poesie scritti da detenuti. Gli elaborati arrivano in forma anonima, ed è per questo che, spesso, i vincitori sono ricorrenti. Come il narratore Stefano Di Cagno o il poeta Aral Gabriele, sul podio anche nella cerimonia conclusiva della tredicesima edizione, dopodomani, lunedì 28 novembre, alle 14.30 a Sollicciano. È qui che l’iniziativa, intitolata ad Emanuele Casalini (l’educatore toscano che si dedicò alla formazione dei detenuti e aprì una sezione dell’Università delle Tre Età nel penitenziario di Porto Azzurro), itinerante nelle carceri italiane, si ferma nel 2011. Non è la qualità letteraria ad essere importante, spiega lo scrittore Ernesto Ferrero, presidente della giuria, ma “l’impegno che ognuno mette nello scoprire attraverso la scrittura cose che ancora non sapeva. Chi scrive si ritrova nella condizione di Colombo: conosce il porto di partenza, ma non se arriverà, e dove arriverà. L’importanza del viaggio non sta nel raggiungimento di una meta, ma nel suo stesso farsi: è il suo progredire, con tutte le difficoltà e le incertezze, persino con i naufragi, quello che forma il navigante. Nello scrivere, i risultati raggiunti sono sempre parziali. Non si arriva mai per davvero, si è sempre in viaggio”. Sostenuto dalla Provincia di Livorno e dal Salone del libro di Torino (che Ferrero dirige) il premio vede, quale terza classificata tra i narratori, la giovane rumena Doina Matei, condannata a 16 anni di reclusione per aver ucciso, a Roma, nel 2007, Vanessa Russo, colpendole un occhio con l’ombrello, al culmine di una lite sul metrò. Quello che segue è un estratto del suo racconto. Cinema: “Into the Abyss, a tale of Death, a tale of Life”, di Werner Herzog Ansa, 27 novembre 2011 L’inizio di “Into The Abyss, A tale of Death, a tale of Life”, di Werner Herzog è duro e forte. Un sacerdote, che ha accompagnato tanti condannati a morte, rilascia la sua commossa testimonianza in questo documentario passato oggi alla 29/a edizione del Festival di Torino. Alla domanda perché mai Dio permette la pena di morte, replica sconfitto il sacerdote al regista: “Per questo, non ho una risposta”. Scritto, diretto e narrato da Herzog, il film racconta, senza mai prendere campo, il caso di Michael James Perry condannato a morte per un triplice omicidio compiuto insieme a Jason Burkett (condannato solo all’ergastolo). Il regista incontra così un sereno Michael a otto giorni della sua morte e da lì ricostruisce puntualmente le cause che lo stanno per portare in quella piccola cella della morte dove verrà messa fine alla sua vita con una iniezione letale. Tutto accade a Conroe, Texas, nel 2001. È qui che si svolge questa storia di balordi narrata dal regista di “Aguirre furore di Dio”, che vede appunto come protagonisti Michael e Jason, due ragazzi che uccidono in maniera feroce tre persone per il movente più futile: un’automobile Camaro rossa. Nel documentario si susseguono i dialoghi dei detenuti, dei loro parenti, dei parenti inconsolabili e vendicativi delle vittime, di uno sceriffo e anche di un corpulento ex supervisore del carcere che, dopo 125 esecuzioni eseguite con fredda professionalità e senza guardare mai troppo gli occhi dei condannati, viene come folgorato sulla via di Damasco e un giorno comincia a tremare per quello che ha fatto. Così senza pensarci troppo su, l’uomo lascia il suo lavoro di datore di morte rinunciando anche alla pensione. Davvero commoventi le parole del padre di Burkett, criminale in prigione come il figlio. Da lui la confessione di essere stato un padre assente, alcolizzato e drogato, ma anche la certezza di aver pesato con la sua testimonianza al processo nella non condanna a morte del figlio. “Questo film - dice Herzog nelle note di regia - non è una giustificazione per i reati commessi; è inoltre evidente che i crimini di cui si sono macchiate le persone nel mio documentario sono mostruosi, ma non sono però mostri chi li ha commessi. Sono uomini e per questo li tratto con rispetto. L’equilibrio, il giusto tono dei dialoghi è essenziale: da parte mia non c’è la rabbia dell’attivista, sebbene la mia posizione sia chiara. Non ci sono falsi sentimentalismi né commiserazione o complicità: piuttosto un senso di solidarietà con i detenuti e, soprattutto, la ferma consapevolezza che sono esseri umani”. Egitto: l’Ue chiede stop a violenze, rilascio detenuti, governo civile Il Velino, 27 novembre 2011 L’Unione europea chiede che in Egitto avvenga una transizione verso un governo civile “al più presto possibile e sulla base di un dialogo inclusivo”. Lo ha detto l’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera Catherine Ashton che si è detta “profondamente preoccupata” per gli scontri degli ultimi giorni. “La violenza cessi e lo stato di diritto sia mantenuto” chiede la numero due della Commissione europea che anche sollecitato “il rilascio di coloro che sono stati incarcerati per aver espresso pacificamente le loro idee”. Corea del Sud: un “robot-polizotto-penitenziario” sta per prendere servizio nelle carceri Il Velino, 27 novembre 2011 Non chiede ferie, non si ammala... non ha bisogno di essere stipendiato. È il “robot-polizotto-penitenziario” che sta per prendere servizio nelle carceri della Corea del Sud. È stato creato per sostituire i poliziotti nelle classiche ronde di controllo dei detenuti. Le sue capacità sono davvero incredibili tanto, da essere in grado di identificare i comportamenti violenti e comunicare tempestivamente via radio agli agenti penitenziari. Questa peculiarità è determinata dalla presenza di sofisticati sensori che riescono a leggere i comportamenti umani e a captare facilmente quelli ritenuti non idonei ed aggressivi. I robot sono alti circa un metro e mezzo e si muovono grazie alla presenza di ruote motrici; i loro sensori gli permettono di muoversi agevolmente sulla superficie di un carcere tradizionale (c’è da presumere scale escluse). Il gruppo di lavoro, che ha portato alla nascita di questo nuovo strumento di controllo-detenuti, è supervisionato dal professore Lee Baik-Chul che fa parte dell’università di Kyonggi e si occupa specificatamente del crimine e delle esigenze della Polizia Penitenziaria. Il primo prototipo del robot è stato presentato durante un Forum dedicato all’argomento Carceri; in questo contesto, il gruppo di ricerca ha dimostrato tutti gli innumerevoli vantaggi di avere un robot-polizotto-penitenziario all’interno di ogni carcere. Tra i vantaggi, si è evidenziato il risparmio di risorse umane in un lavoro di controllo dei detenuti, a favore di un lavoro più specialistico e atto a recuperare le persone detenute. Nei primi mesi del 2012 i robot verranno testati sul campo, ovvero nel carcere di Pohang. La Corea del Sud vuole diventare leader nel settore della robotica: oltre ai robot-poliziotti, ha già sviluppato quelli per insegnare l’inglese, fare la guardia al confine con la Corea del Nord e per le pulizie di casa. Giordania: il re concede amnistia a 46 estremisti islamici Adnkronos, 27 novembre 2011 Il re Abdullah II ha oggi concesso l'amnistia per 46 estremisti islamici accusati di terrorismo. Come riferiscono fonti giudiziarie giordane, si tratta di una nuova ondata di provvedimenti di clemenza dopo l'annuncio dell'intenzione di voler liberare tutti i prigionieri politici. All'inizio di novembre, Abdullah aveva concesso la grazia a altri 12 estremisti islamici detenuti in carcere. Nelle carceri giordane si troverebbero attualmente altri 22 estremisti islamici ancora in attesa di essere scarcerati.