Giustizia: il ministro Paola Severino al Quirinale “prima le carceri”… ma niente amnistia di Eleonora Martini Il Manifesto, 25 novembre 2011 Giorgio Napolitano torna a insistere su quella che già quattro mesi fa aveva definito “una realtà che ci umilia in Europa”. “La condizione carceraria-ha scritto ieri il Capo dello Stato in un messaggio inviato al Coordinamento dei volontari penitenziari, in occasione di un convegno organizzato sul tema a Roma - troppo spesso appare distante dal dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sul rispetto dei diritti e della dignità delle persone”. Parole che, come uno squillar di trombe, hanno preceduto solo di qualche ora la dichiarazione d’intenti della neo Guardasigilli Paola Severino, ricevuta ieri pomeriggio al Quirinale per “un giro di orizzonte sui principali problemi della giustizia”. Al centro del suo programma, esposto per grandi linee in un faccia a faccia definito dal Colle “franco e cordiale”, ci sarebbe proprio l’”emergenza carceri”. La ministra starebbe già studiando, secondo fonti di via Arenula, “misure tampone per alleggerire il sovraffollamento carcerario”. Anche il vice presidente del Csm, Michele Vietti (ricevendo a Palazzo dei Marescialli il capo dello Stato e la ministra Severino alla sua prima uscita ufficiale) ha chiesto a sua volta “misure straordinarie” per rispondere a “situazioni straordinarie come quella carceraria”. Niente amnistia o indulto, però: Paola Severino sembra al momento escluderlo categoricamente. E se non è amnistia e indulto, come chiedono da tanto, troppo, tempo ormai i Radicali, l’ipotesi più credibile è che si stia pensando a una revisione della cosiddetta “legge svuota-carceri” in vigore da un anno: allungare cioè il limite massimo di condanna per poter scontare la pena ai domiciliaci anziché in carcere, da un anno a diciotto mesi. Sempre che non si torni a parlare di piano di edilizia carceraria, per fare fronte a quello ché il presidente Napolitano, solo qualche mese fa definì “un tema di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Allora, il monito del capo dello Stato, pronunciato durante un convegno dei Radicali, ebbe una grossa eco. Da quel momento però, dall’estate scorsa, nulla si è mosso. Ed è proprio questo che Marco Pannella e i suoi rimproverano a Napolitano, delusi forse soprattutto perché il nome dell’anziano leader radicale - grazie alla cui iniziativa non violenta l’Italia ha “scoperto” l’illegalità delle carceri italiane non è mai entrato nella rosa dei papabili di Via Arenula. Ora però a chiedere che almeno venga “nominato un Sottosegretario alla Giustizia con delega alla amministrazione penitenziaria, che sia autorevole, indipendente, appassionato, esperto anche a livello internazionale”, sono una serie di associazioni e organizzazioni che hanno rivolto un appello al neo Guardasigilli. Sono Antigone, il “Coordinamento Nazionale dei garanti territoriali dei diritti delle persone limitate nella libertà personale”, Arci, Giuristi Democratici, Ristretti orizzonti, Vic Caritas, la Conferenza nazionale volontariato giustizia, la Società della Ragione e l’Unione delle camere penali italiane. “È necessario che il sistema della esecuzione della pena abbia una guida istituzionale forte - si legge nell’appello - Solo così potrà disporre di quel riconoscimento indiscusso senza il quale è difficile operare in una comunità complessa quale è quella penitenziaria, con un sovraffollamento che rende intollerabili le condizioni di detenzione. Preoccupante è il numero di suicidi e di morti tra i detenuti. Le condizioni igienico-sanitarie degli istituti di pena sono molto gravi. Il personale è affaticato e sotto-dimensionato”. Giustizia: basta telerisse… in tv parliamo di carceri di Valter Vecellio Europa, 25 novembre 2011 Sembra che i conduttori dei vari programmi di approfondimento politico televisivo, i Bruno Vespa, i Giovanni Floris, i Gianluigi Paragone, per fare dei nomi, siano in momentanea crisi. I loro “ospiti”, in buona parte decaduti, non sono più personaggi appetibili; non sono più personaggi che con le loro intemperanze e i loro insulti fanno spettacolo. Dunque non sanno ancora bene chi invitare; perché è evidente: il neo ministro della giustizia Paola Severino non si comporta come Daniela Santanché, il ministro della difesa Giampaolo Di Paola fortunatamente è l’opposto di un esagitato come Ignazio La Russa, il ministro Andrea Riccardi è altra cosa da un Giorgio Stracquadanio. Addio dunque alle tele-risse? Auguriamocelo. Visto che sembrano essere in crisi, si potrebbe provare a suggerir loro di occuparsi finalmente di “contenuti”, che non mancano certo. Uno, tra i tanti esempi che si potrebbero fare, riguarda lo stato delle carceri e lo sfacelo della giustizia, che tra le tante cose deve fare i conti con una quotidiana amnistia di classe costituita dalle prescrizioni: perché ne beneficia solo chi si può permettere un buon avvocato e ha buone amicizie; e clandestina perché è tenuta nascosta, non se ne parla e non se ne deve parlare: sono circa 150mila i processi che ogni anno vengono chiusi per scadenza dei termini. Per reati come la corruzione o la truffa, c’è ormai la certezza dell’impunità. Nel 2008, oltre 154mila procedimenti sono stati archiviati per prescrizione; nel 2009 oltre 143mila. Nel 2010 circa 170mila. Quest’anno si calcola che si possa arrivare a circa 200mi1a prescrizioni. Ogni giorno almeno 410 processi vanno in fumo, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla. I tempi del processo sono surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008; in tribunale da 261 giorni a 288; in procura da 458 a 475 giorni. Spesso ci vogliono nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale alla corte d’appello. A Roma e nel Lazio, per esempio, quasi tutti i casi di abusivismo edilizio si spegneranno senza condanna, gli autori sono destinati a farla franca. A Milano, nel 2010 l’accumulo è cresciuto del 45 per cento, significa più di 800 processi l’anno che vanno a farsi benedire. Nel solo Veneto si contano 83mila pratiche abbandonate in una discarica dove marciscono tremila processi l’anno. In questi giorni, anzi in queste ore, sta accadendo un qualcosa che al di là del significato politico che pure c’è, ha anche una indubbia rilevanza giornalistica: una quantità di esponenti di organizzazioni cattoliche, Sant’Egidio, Acli, Comunione e liberazione, per fare esempi di gruppi che a volte, spesso, sono tra loro lontani, si stanno ritrovando sul comune obiettivo dell’amnistia e del dover trovare con urgenza risposte e soluzioni al dramma che si consuma ogni giorno nelle carceri e allo sfacelo della giustizia. Era già accaduto in occasione della lotta contro lo sterminio per fame nel mondo e per la moratoria della pena di morte; più di recente è accaduto in occasione delle iniziative sull’immigrazione e il tentativo di dare risposte diverse dalla sciagurata legge Bossi Fini; ci si ritrova oggi sulla questione giustizia come documenta la conferenza stampa di lunedì a Milano nella sede del settimanale Tempi. E con gli esponenti di questo variegato mondo cattolico troviamo i radicali “laici laicisti”, “anticlericali ottocenteschi”. Diavolo e acqua santa? Forse c’è altro e di più, e sarebbe probabilmente interessante da approfondire. Anche solo dal punto della curiosità, del “colore”, come si dice in gergo, è un qualcosa che dovrebbe interessare e fare notizia. Invece no, ancora una volta ci si occupa d’altro, e nessuno mostra curiosità e si chiede cosa abbiano mai in comune un Marco Pannella e un Luigi Amicone, un don Antonio Gallo e un don Luigi Ciotti, i radicali e Sant’Egidio e via così. Dicono che si tratta di argomenti, di questioni pesanti, che annoiano; che lo spettatore televisivo non ama, non segue, che non interessa. Chissà perché chi guarda la televisione deve necessariamente essere un poveretto che vuole solo rincretinirsi davanti a giochini stupidi o finti reality show. Poi, naturalmente, arrivano le sorprese: una volta sono le trasmissioni di Roberto Saviano, che fanno picchi d’ascolto ineguagliati quando porta in tv Mina Welby e Beppino Englaro che raccontano le loro storie; e recentemente i lusinghieri ascolti che hanno registrato le poche trasmissioni televisive su Raitre e Canale5 che hanno mostrato spezzoni e immagini del documento-inchiesta realizzato dai due giornalisti free lance Simone Sapienza e Valentina Ascione che per alcuni mesi hanno girato nelle carceri italiane, ricavandone un impressionante documentario che potete vedere nella sua interezza navigando con un po’ di pazienza nei siti radicali. Ecco, sono solo due esempi di buona, ottima televisione che è stata premiata dagli ascolti e che ha affrontato argomenti cosiddetti “noiosi” e pesanti, e che lo spettatore ha mostrato di gradire. Segno che se si vuole fare, si può fare. E se si può, si deve. Giustizia: Bernardini; il governo Monti si impegni per le carceri di Vincenza Foceri www.clandestinoweb.com, 25 novembre 2011 La deputata radicale Rita Bernardini negli scorsi giorni ha fatto visita al carcere di Regina Coeli ed ha denunciato una situazione a dir poco drammatica. Dopo aver visto con i suoi occhi come vivono i detenuti nel penitenziario di Roma, l’onorevole Radicale ha fatto un’interrogazione parlamentare inviata al nuovo Guardasigilli e a tutte le autorità preposte al benessere dei ristretti e alla vigilanza delle condizioni di vita dietro le sbarre. Onorevole Bernardini negli scorsi giorni ha fatto visita al carcere di Regina Coeli dove ha trovato una situazione a dir poco drammatica... È così, per questo ho scelto di fare un’interrogazione parlamentare questa volta inviata anche al Magistrato di Sorveglianza, il dott. Giovanni Tamburino perché, come previsto dall’ordinamento penitenziario ha responsabilità precise, soprattutto quando si parla di violazioni di diritti. Il magistrato, conosciuti gli esiti della visita ispettiva, si può e si deve attivare per far sì che si rispettino le leggi e i regolamenti che sovrintendono l’esecuzione della custodia in carcere. Nelle carceri italiane la violazione dei diritti è continua. Dopo la visita a Regina Coeli ce ne siamo resi conto una volta di più. Qui c’è un sovraffollamento superiore a ogni limite, un singolo detenuto ha a disposizione circa 2 mq di spazio vitale, un terzo di quello che le direttive europee impongono per gli allevamenti di suini. A questo si lega un rischio igienico sanitario di grande portata e la struttura è fatiscente. Si parla della nomina dei Sottosegretari al nuovo Governo Monti e in molti hanno richiesto che, quello alla Giustizia, sia competente di carceri. Cosa ne pensa? Penso sia assolutamente necessario che il Sottosegretario conosca alla perfezione la situazione delle carceri italiane ma che abbia anche la concezione dello Stato di Diritto. Il presidente Giorgio Napolitano è tornato a parlare di una situazione dietro le sbarre lontana dagli standard minimi imposti dai diritti umani. Ci vuole una persona che sia rispettosa delle regole e di quelle leggi alle quali finora nessuno ha prestato attenzione. Con l’esecutivo tecnico guidato da Mario Monti la battaglia per l’amnistia dei Radicali continua o è rimandata alla prossima legislatura? Noi continuiamo a farla anche perché pensiamo che l’Amnistia sia, al momento, una soluzione necessaria non solo per migliorare la situazione nelle carceri ma anche per dare una mano alla giustizia, sommersa da migliaia di processi pendenti. La nostra battaglia - che ormai va avanti da tempo- ha messo d’accordo anche i cattolici non sempre d’accordo con le lotte radicali che ci hanno dimostrato il loro sostegno, tanto da proporre Marco Pannella come Ministro della Giustizia. L’amnistia resta quindi un obiettivo da raggiungere, utile ad interrompere uno Stato di illegalità che non è più tollerabile. Noi non ci fermiamo! GIUSTIZIA: DELLA MONICA, BENE SEVERINO SU EFFICIENZA TRIBUNALI E CARCERI ASCA “Martedì prossimo in commissione il Pd è fiducioso che il ministro affronterà i problemi del sistema giustizia con indipendenza di giudizio e promuoverà un confronto costruttivo. Ce ne sono le condizioni”. Così la senatrice Pd, Silvia Della Monica. “Severino ha oggi riconosciuto il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura, ha manifestato disponibilità ad una leale e proficua collaborazione sia per l’organizzazione ed il funzionamento del servizio giustizia sia per la formazione della magistratura, in un’ottica aperta al confronto europeo e internazionale, ma comunque incentrata sulla autonomia e indipendenza della giurisdizione, intesa come presidio insostituibile di legalità per tutto il Paese” spiega la capogruppo Pd in commissione Giustizia del Senato. “Non possiamo non apprezzare, inoltre, - conclude Della Monica - che fin dalle prime dichiarazioni alla stampa, la Ministra abbia posto tra le priorità i problemi del carcere”. Giustizia: Rao (Udc); Governo non è riuscito garantire rieducazione e dignità dei detenuti Tm News, 25 novembre 2011 “Ringraziamo il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, per aver ancora una volta sottolineato la drammatica emergenza delle carceri italiane. In questa legislatura, il Governo non è riuscito a garantire rieducazione e dignità dei detenuti, metà dei quali peraltro in attesa di giudizio definitivo. Allo stesso modo, non sono stati tenuti nella giusta considerazione coloro che quotidianamente lavorano e operano negli istituti penitenziari in condizioni estreme, dimostrando grande professionalità e straordinario senso di umanità”. Lo dichiara Roberto Rao, capogruppo Udc in commissione Giustizia della Camera. “Siamo tutti consapevoli che la priorità del Governo Monti è l’economia, ma è altrettanto evidente che, di fronte a questa emergenza, il Parlamento di un Paese civile non può chiudere gli occhi. Chiediamo al Commissario straordinario di fare chiarezza: se il Piano carceri è irrealizzabile come sembra, allora Governo e Parlamento devono approvare al più presto quel complesso di interventi normativi che possono facilitare la soluzione del problema”. Giustizia: Moroni (Fli); no a sottosegretario per le carceri, ma problema in agenda 9Colonne, 25 novembre 2011 “Il problema delle carceri non si risolve assegnando una poltrona da sottosegretario in più, ma con un’azione combinata tra Governo e Parlamento che dia vita a un progetto di riorganizzazione degli istituti di detenzione”. Così il deputato di Fli, Chiara Moroni, replica all’onorevole Rita Bernardini che aveva chiesto un sottosegretario per le carceri. “Condizioni di detenzione pessime, una Polizia Penitenziaria con un organico ridotto all’osso e il grave problema del sovraffollamento rendono la “questione carceri” un’emergenza sociale che va affrontata con urgenza e determinazione, come chiede il Presidente Napolitano”, aggiunge. “È giusto che l’esecutivo Monti, che dovrà fare fronte a tutte le emergenze del Paese che non sono solo economiche, inserisca nel suo programma di governo anche politiche volte a risolvere il problema dei penitenziari e a restituire dignità ai detenuti, ma è necessario anche che utilizzi tutte le risorse disponibili per dare concretezza alla sua azione”, conclude l’esponente di Fli. Giustizia: Sappe; Parlamento non continui ad ignorare problemi denunciati dal Capo dello Stato Comunicato stampa, 25 novembre 2011 “L’ennesima autorevole denuncia della grave situazione penitenziaria, fatta oggi dal Capo dello Stato, dovrebbe scuotere le coscienze dei politici che fino ad oggi nulla hanno fatto per risolvere le criticità e le problematiche delle carceri italiane. Sarebbe colpevole se anche questo ennesimo richiamo venisse ignorato”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. “Credo e ritengo sia giunta l’ora di passare davvero e finalmente dalla parole ai fatti: l’emergenza carceri è sotto gli occhi di tutti e servono strategie di intervento concrete. Il sovraffollamento degli istituti di pena è una realtà che umilia l’Italia rispetto al resto dell’Europa e costringe i poliziotti penitenziari a gravose condizioni di lavoro. Centrale è l’autorevole critica fatta al sistema penitenziario lo scorso luglio sempre dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che aveva denunziato le condizioni della carceri anche nel discorso di fine anno. Napolitano sottolineò con forza come ciò era dovuto al peso gravemente negativo di oscillanti e incerte scelte politiche e legislative, tra tendenziali depenalizzazione e depeninteziarizzazione e ciclica ripenalizzazione, con un crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estensione della carcerazione preventiva. Con un sovraffollamento di oltre 67mila detenuti in carceri che ne possono contenere a mala pena 43mila, accadono ogni giorno eventi critici come aggressioni, tentativi di suicidio, atti di autolesionismo. Ma quella autorevole denuncia cadde purtroppo nel vuoto. È ora che la classe politica rifletta seriamente sulle parole pronunciate anche oggi dal Capo dello Stato ed intervenga con urgenza per deflazionare il sistema carcere del Paese, che altrimenti rischia ogni giorno di più di implodere. Il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è spesso lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensioni, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Torniamo a sollecitare l’adozione di riforme strutturali, che depenalizzino i reati minori e potenzino maggiormente il ricorso all’area penale esterna, limitando la restrizione in carcere solo nei casi indispensabili e necessari”. Giustizia: Moretti (Ugl); segnali importanti dal neoministro Paola Severino Agenparl, 25 novembre 2011 “Importanti segnali provengono dal neo ministro della giustizia, Paola Severino, visto che nell’incontro con il presidente ha rilanciato temi a noi cari come l’equilibrio tra efficienza ed economia, purché ciò consenta il recupero di risorse laddove sono necessarie per risanare il sistema penitenziario, troppe volte oggetto di sconsiderati tagli”. Lo dichiara Giuseppe Moretti, segretario nazionale Ugl Polizia Penitenziaria, aggiungendo che “non è solo una questione di dignità della carcerazione che ci chiede a gran voce anche l’Europa ma anche la necessità di compensare con misure straordinarie il disagio lavorativo del personale di polizia penitenziaria che - conclude il sindacalista - subisce ritardi sia nell’adeguamento degli organici che nell’adeguamento dei mezzi a disposizione, senza dimenticare il problema della diversa progressione in carriera rispetto altre forze di polizia”. Giustizia: la crisi economica arriva anche in carcere, a rischio 2 mila posti di lavoro Redattore Sociale, 25 novembre 2011 Terre di mezzo raccoglie lo sfogo di alcune cooperative venete e lombarde: i fondi non bastano più, nel 2011 i quattro milioni di euro messi a disposizione dal governo con la legge Smuraglia sono già terminati in estate. Sono a rischio oltre 2 mila posti di lavoro. Negli ultimi anni, grazie ai benefici fiscali e previdenziali previsti dalla legge Smuraglia (numero 193 del 2000), sempre più aziende e cooperative hanno assunto detenuti: nel 2006 erano 1.548, oggi sono 2.257. Ma i fondi non bastano più: nel 2011 i quattro milioni di euro messi a disposizione dal Governo erano già terminati in estate. A rivelare il futuro nero per il lavoro in carcere è Terre di mezzo-street magazine che nel numero di dicembre pubblica l’articolo “Amaro far niente”. Raccoglie lo sfogo di alcune cooperative venete e lombarde. “Il 5 settembre scorso è arrivato un fax dal Provveditorato regionale alle carceri del Veneto con cui mi informavano che nel periodo compreso tra agosto e dicembre avrei potuto usufruire solo di 11 mila euro di sgravi fiscali. Ma solo per il mese di settembre ho dovuto chiederne già 6 mila”, afferma Gianni Trevisan, presidente della cooperativa Il Cerchio, che impiega 90 detenuti. Il meccanismo della Smuraglia non prevede l’erogazione diretta di contributi alle cooperative: il budget annuale serve a compensare i mancati introiti dell’Agenzia delle entrate e dell’Inps. Alle imprese spetta infatti un credito d’imposta, che può arrivare fino a 516 euro al mese per ogni detenuto assunto, e una riduzione dell’80% degli oneri contributivi previdenziali. Il paradosso è che il sistema è in crisi perché la Smuraglia ha avuto troppo successo: è aumentato il numero di gelatai, carpentieri, birrai, giardinieri e pasticceri “galeotti”, ma non i fondi per le imprese rimasti sempre fermi a 4 milioni di euro all’anno. Quest’anno cooperative e imprese non hanno licenziato e la crisi del 2011 è stata risolta grazie ad un accordo con il ministero della Giustizia, che rimborserà nel 2012 quanto ora stanno anticipando. Ma rimane l’incognita per il 2012: “In Lombardia si rischia di arrivare fino ad aprile - commenta Gianni Pizzera, di Federsolidarietà. Le cooperative stanno rivedendo i loro investimenti”. Giustizia: ex pm Dda Roberto Piscitello è il nuovo direttore generale detenuti e trattamento Dap Ansa, 25 novembre 2011 L’ex pm della Dda di Palermo Roberto Piscitello, attualmente in servizio al Ministero della Giustizia, è stato nominato direttore generale presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Si occuperà della gestione dei detenuti e dei provvedimenti di 41 bis. In magistratura dal 1995, Piscitello si è occupato per 10 anni di indagini di mafia in particolare delle inchieste sulle cosche trapanesi, sui fiancheggiatori della latitanza del boss Matteo Messina Denaro e delle ricerche del padrino di Castelvetrano. Tra i latitanti arrestati nell’ambito di inchieste da lui coordinate i boss Andrea Manciaracina e Natale Bonafede. Piscitello, esperto conoscitore della mafia trapanese, ha rappresentato la pubblica accusa in decine di processi costati ai boss centinaia di ergastoli. L’ex pm è stato più volte vittima di intimidazioni mafiose. Giustizia: se il carcere non serve a nulla… un saggio di Silvia Cecchi sulle pene “inefficienti” di Carmelo Palma Il Futurista, 25 novembre 2011 La “galera” è una pena non solo ingiusta, ma inefficiente. Un mezzo non tanto cattivo, quanto sbagliato. Questa è la tesi centrale del saggio “Giustizia relativa e pena assoluta. Argomenti contro la giuridicità della pena carceraria” (Liberi Libri, 2011) di Silvia Cecchi, magistrato penale a Pesaro. Il ripensamento della detenzione come pena indifferenziata - tranne che sotto il profilo quantitativo - e quindi “assoluta” non si impone per ragioni umanitarie, ma giuridiche. La contestazione della forma della pena - quella afflittiva e “corporale” - non comporta l’abdicazione della pretesa punitiva, ma il chiarimento dei suoi fini all’interno del sistema penale. Oggi la cultura garantista sembra guardare solo al processo e non alla pena, come se di garanzie si potesse parlare solo rispetto agli imputati e non ai condannati. Ma il discorso di Silvia Cecchi non è, in senso stretto, pro reo. La detenzione come mezzo fallisce, infatti, rispetto al fine stesso della pena. Se il reato è la rottura dell’ordine giuridico, una ferita nel tessuto legale delle relazioni personali e sociali, la “pena unica” non ripristina la relazione responsabile che il reato infrange, ma contraccambia il male fatto con il male subito, negando il valore “ricostruttivo” della pena, sia rispetto alla persona del condannato, sia rispetto a quella della vittima. Chi, senza essere giurista, ha una qualche consuetudine con questi temi sa bene che l’efficacia delle pene sotto il profilo della prevenzione generale e speciale è solo presunta. Come ricorda l’autrice, la deterrenza della pena è inversamente proporzionale alla gravità del reato e la galera fa curriculum criminale. Questo sta scritto nei “numeri” dei reati e delle pene, che tutti dovremmo leggere in modo onesto. Non solo in questo sta però il fallimento e lo scandalo della “pena assoluta”. Sta - sembra dire l’autrice, in termini molto più radicali - nel tradimento della funzione stessa della giustizia penale, che dovrebbe ricucire gli strappi conseguenti alla violazione dei beni giuridici penalmente tutelati (la vita, la libertà, la proprietà...) e invece - con questo sistema di pene - a sua volta strappa il reo da ogni possibilità di relazione, rinchiudendolo o “ricoverandolo” in strutture separate. Silvia Cecchi contesta la dottrina positivistica e psico-crimininologica secondo cui il reato è la malattia e il carcere il luogo di cura. Ma si tiene ugualmente distante da un approccio anti penalistico. Non è la pena (o la giustizia penale) il problema, ma il carcere, che ne tradisce la funzione giuridica. Se infatti il reato si consuma sul terreno della relazione e della libertà, anche la cosiddetta “rieducazione” deve svolgersi su questo piano. Così andrebbe inteso il fine retributivo della pena, secondo il modello di un retribuzionismo reale e riparatorio e non puramente personale e afflittivo. Non so francamente se il passaggio a una giustizia alternativa e mediativa quale quella che l’autrice auspica sia a portata di mano. Si può però concordare con lei sul fatto che la cultura del “sacrificio” del reo si va scontrando con una cultura sociale sempre più incline a porre in dubbio - senza buonismi e senza cattivismi - il perché delle pene detentive. Prima di aprire la strada della giustizia alternativa, si dovrebbe comunque riaprire quella delle pene alternative, perché, come scrive Silvia Cecchi, “già la sequenza reato-messa in prova (con una pena detentiva sullo sfondo) basterebbe a spezzare il vincolo inderogabile e retribuzionistico dell’equazione reato-pena, essenzialmente perché in essa si ripropone al destinatario una situazione di libertà nella scelta e con essa una posizione di responsabilità”. Giustizia: legge sulla responsabilità dei magistrati troppo blanda, bocciatura della Corte europea di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 25 novembre 2011 Troppo blanda la legge sulla responsabilità dei magistrati. Almeno quando questi ultimi hanno provocato dei danni per la violazione del diritto comunitario. È questo il verdetto della Corte europea di giustizia depositata ieri nella causa che C-379/10 che vede contrapposta l’Italia alla Commissione. Quest’ultima ha sostenuto che la legge italiana sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, la cosiddetta legge Vassalli introdotta nel 1988 dopo un referendum, è incompatibile con la giurisprudenza della Corte di giustizia relativa alla responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado. Due i punti oggetto di contestazione: avere escluso qualsiasi responsabilità dello Stato per i danni causati a singoli quando la violazione del diritto comunitario deriva dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove e, dall’altro, aver limitato, in casi diversi, la possibilità di invocare questa responsabilità aiuoli casi di dolo o colpa grave. La sentenza osserva che la Corte ha già avuto modo di affermare nel 2006 (sentenza del 13 giugno) che il diritto comunitario impedisce un tipo di esclusione generale della responsabilità dello Stato per i danni giudiziari come quella adottata dall’Italia. Inoltre, e in particolare, la Corte rileva che l’Italia non ha dimostrato che la normativa italiana viene interpretata dai giudici nazionali nel senso di porre un semplice limite alla responsabilità dello Stato e non nel senso di escluderla. La Corte ricorda poi che uno Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni provocati ai singoli per violazione del diritto dell’Unione da parte dei propri organi in presenza di tre condizioni: la norma giuridica violata deve essere preordinata a conferire diritti ai singoli, la violazione deve essere “sufficientemente caratterizzata” e tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito deve esistere un nesso causale diretto. La responsabilità dello Stato per i danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado è disciplinata dalle stesse condizioni. In tal senso, una “violazione sufficientemente caratterizzata della norma di diritto” si realizza quando il giudice nazionale ha violato il diritto vigente in maniera manifesta. Il diritto nazionale può precisare la natura o il grado di una violazione che implichi la responsabilità dello Stato ma non può, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi. La sentenza rileva che la Commissione ha fornito sufficienti elementi volti a provare che la condizione della colpa grave, prevista dalla legge italiana, come interpretata dalla Corte di cassazione italiana, si risolve nell’imporre requisiti più rigorosi di quelli definiti dall’Unione. Invece l’Italia non è stata in grado di provare che l’interpretazione di questa legge a opera dei giudici italiani sia conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia. In conclusione, la Corte rileva che la normativa italiana, è in contrasto con il principio generale di responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto comunitario. E all’Italia, a questo punto, non resta che applicare la sentenza e procedere alla modifica della normativa sulla quale già il tandem Pdl-Lega proponeva interventi anche più radicali. In crescita continua le istanze accolte Sul sottile crinale tra rispetto della volontà popolare e necessità di tutelare l’indipendenza della magistratura. La legge Vassalli, approvata nel 1988 dopo l’esito di un referendum nel quale una larghissima maggioranza (l’8o%) si espressa a favore dell’introduzione di una forma di responsabilità del magistrato che provoca ini danno, ha introdotto un meccanismo un po’ barocco in base al quale il cittadino non può fare causa direttamente al giudice o al pubblico ministero: deve invece citare lo Stato che, in caso di accoglimento della domanda di risarcimento del danno, potrà .rivalersi sul magistrato. Con effetti pratici quasi nulli, però, perché la maggioranza delle toghe ha un’assicurazione da responsabilità civile con polizza accesa in quanto aderenti all’Anm. I numeri comunque sono in continua crescita. Tanto da avere toccato per la prima volta la tripla cifra, con 109 richieste accolte, nel corso del 2008. Diverso il caso delle sanzioni disciplinari inflitte dal Csm. Il procedimento inizia con la decisione di promuovere l’azione in base alla notizia di illecito. L’azione disciplinare può essere promossa dal Procuratore generale e dal ministro della Giustizia e deve essere conclusa entro due anni. Nel 2010 il numero di procedimenti disciplinari sopravvenuti è stato pari a 157 con una diminuzione del 15% rispetto a quello dell’anno precedente. Una diminuzione ha riguardato esclusivamente i procedimenti di iniziativa del ministro. Quanto alla tipologia dei capi d’accusa, nel 2010 c’è stata una significativa diminuzione (-27,06%) delle incolpazioni per “Ritardi nel deposito di provvedimenti”, che rappresentano il 33% del totale. Continua la diminuzione delle incolpazioni per “Ritardi e negligenze nell’attività dell’ufficio”, che scendono al 4% del totale, mentre si mantengono alte quelle per “Violazione di norme processuali penali o civili”. Per gli altri tipi di illecito si registrano variazioni del tutto casuari. Secondo i dati più recenti del Csm, relativi al primo semestre 2010, ci sono state 36 pronunce di condanna e 22 casi di dimissioni dalla magistratura determinate dalla pesante situazione disciplinare. Giustizia: detenuto morto nel carcere di Regina Coeli, ministero citato come responsabile civile Adnkronos, 25 novembre 2011 Il ministero della Giustizia è stato citato a comparire come responsabile civile nel processo penale scaturito da una denuncia per la morte del detenuto Simone La Penna di 32 anni avvenuta il 26 novembre del 2009 nel carcere di Regina Coeli. Lo ha deciso il giudice dell’udienza preliminare Nicola Di Grazia che oggi ha accolto la richiesta dei genitori e della convivente di La Penna assistiti dagli avvocati Sergio Maglio e Roberto Randazzo, nell’ambito del procedimento per omicidio colposo che vede imputati 3 medici che ebbero in cura La Penna durante la detenzione. Sono il dirigente sanitario di Regina Coeli Andrea Franceschini e i medici Giuseppe Tizzano e Andrea Silvano. Questi avevano avuto in cura La Penna durante il periodo di carcerazione dopo che era stato trasferito a Roma dal carcere di Viterbo con la diagnosi di anoressia e vomito, calo di peso ed evidente stato rapido di peggioramento delle sue condizioni di salute. In sostanza secondo l’accusa i tre medici, tra l’altro omettevano di assumere di propria iniziativa “le determinazioni mediche non provvedendo a trasferirlo in una struttura sanitaria idonea ed esprimevano un giudizio di compatibilità con il regime detentivo senza aver acquisito alcun contributo di valutazione sanitaria”. Ai tre medici ora imputati il pubblico ministero Eugenio Albamonte aveva anche contestato di non aver segnalato al magistrato quale era la situazione senza fornire perciò necessari elementi di valutazione circa l’idoneità della struttura sanitaria di Regina Coeli “in ordine all’efficacia dei trattamenti sanitari impartiti al fine di contenere il decorso incalzante della patologia”. Nella denuncia presentata al magistrato, gli avvocati di parte civile sottolineavano sulla base di una serie di elementi indicati nella denuncia stessa, che la loro costituzione di parte civile era finalizzata ad ottenere insieme con l’affermazione di responsabilità penale anche il diritto dei parenti della vittima ad ottenere un congruo risarcimento danni. Il 26 gennaio prossimo si terrà una nuova udienza del procedimento e il ministero della Giustizia rappresentato dall’avvocatura dello Stato dovrà comparire davanti al Gup. Giustizia: riparte da zero il caso di via Poma, ordinata una superperizia Corriere della Sera, 25 novembre 2011 Riparte da zero il processo per il delitto di via Poma. Proprio come è successo a Perugia per la morte di Meredi-th Kercher, anche a Roma la Corte d’Assise d’Appello dispone una perizia che riapre il dibattimento sull’omicidio del 7 agosto 1990. È un’ordinanza del presidente Lucio D’Andria a dare il via a “una perizia medico-legale e genetica” che, “tra l’altro”, dovrà puntualizzare “l’orario della morte, la natura e l’epoca delle lesioni riportate da Simonetta Cesaroni sul seno sinistro (si tratterebbe di un morso, ndr) e in regione sterno-claveare, nonché le modalità di conservazione dei reperti e la loro attribuibilità”. Il presidente D’Andria, con il giudice a latere Giancarlo De Cataldo, autore di “Romanzo criminale” e ormai scrittore affermato, vuole infatti “riesaminare le contrastanti prospettazioni dei consulenti” dell’accusa e della difesa emerse nel processo di primo grado, finito con la condanna di Raniero Busco a 24 anni. È un punto per la difesa, che ne incassa un altro quando la Corte decide di acquisire una lettera inviata dall’ex direttore di Medicina legale del Policlinico Gemelli, Angelo Fiori, a uno degli avvocati di Busco, Franco Coppi. Nello scritto il medico legale, noto a livello internazionale, ricorda la perizia che gli era stata affidata durante la prima inchiesta: le tracce di sangue sulla maniglia e all’interno della porta della stanza in cui era stato trovato il corpo di Simonetta erano risultate di gruppo “A”. Mentre il sangue della vittima era di gruppo “0”, come pure quello dell’ex fidanzato. “Il problema può essere causa di un gravissimo errore giudiziario”, ha sottolineato nella lettera Fiori, mai citato tra i testimoni in primo grado. Forse lo sarà in appello. “È un primo passo”, osserva alla fine dell’udienza l’avvocato Paolo Loria, che ha già difeso Busco nel precedente processo. Ma Raniero e la moglie, Roberta Milletari, stavolta non vogliono illudersi: “Restiamo in attesa” è l’unico commento a un’ordinanza che non trova ostacoli né da parte dei familiari di Simonetta, né da parte dell’accusa. Anzi, il sostituto Pg Alberto Cozzella è il primo a chiedere la perizia poi accordata dalla Corte: bisogna dissipare i dubbi sorti in primo grado, anche se la sentenza è “poderosa e ne condivido l’impostazione e le conclusioni”. Il tutto avviene in un’aula affollata di amici e studenti aspiranti giornalisti. All’arrivo Raniero e Roberta si tengono per mano. Sono tesi, in dieci mesi la “rabbia” per la condanna non si è mitigata. Roberta trattiene a stento le lacrime, Raniero non ce la fa. E in una pausa dell’udienza scoppia a piangere e se ne va abbracciato al fratello Paolo. Pavia: detenuto di 38 anni si sente male in cella e muore, disposta l’autopsia sul corpo di Maria Fiore La Provincia Pavese, 25 novembre 2011 È stato il suo compagno di cella ad accorgersi che stava male e a dare l’allarme. Il detenuto, un nigeriano di 38 anni che stava scontando nel carcere di Torre del Gallo una pena per spaccio di droga, ha perso conoscenza l’altra sera. Trasferito d’urgenza al San Matteo è stato trasportato in un momento successivo al Mondino, dove è deceduto. Sulla morte dell’uomo la procura di Pavia ha aperto un’inchiesta a carico di ignoti e il magistrato ha disposto l’autopsia di tipo precauzionale. Bisognerà accertare le cause del decesso, visto che il detenuto non aveva mai manifestato problemi particolari di salute, e soprattutto verificare la tempestività dei soccorsi. A quanto pare il detenuto, dopo la segnalazione del compagno di cella, sarebbe stato comunque visitato subito da un medico della struttura, che ha disposto il trasferimento in ospedale. Trattandosi della morte di un detenuto, sono state subito attivate le procedure previste in questi casi, a cominciare dalla segnalazione al magistrato. Da tempo i sindacati sollevano lacune nel sistema sanitario che regola le visite mediche degli ospiti della casa circondariale, in particolare da quando, nel 2008, la competenza sanitaria è passata alle Asl. Nel caso specifico, tuttavia, non sarebbero state ravvisate responsabilità. Ma le verifiche del magistrato sono ancora in corso. Solo dopo la perizia si saprà, dunque, che cosa abbia provocato la morte del 38enne, che fino a quel momento non aveva manifestato particolari problemi fisici. L’ipotesi al momento più plausibile, secondo i primi accertamenti, è che l’uomo abbia avuto un’ischemia fulminante, che non gli ha lasciato scampo. “Nulla lasciava presagire quello che è accaduto - dice la direttrice del carcere Iolanda Vitale. Non aveva problemi particolari. Non appena il compagno di cella ha avvisato il personale è stata subito attivata la macchina dei soccorsi. Il medico che ha visitato il paziente ha capito che la situazione era grave e ha disposto l’immediato trasferimento al San Matteo. È stato fatto tutto quello che si poteva fare in una situazione imprevista come questa. L’apertura di un’inchiesta è quindi un atto dovuto. Gli accertamenti sono obbligatori e di routine”. Un caso ordinario, dunque. Anche se la notizia della morte del detenuto si è subito diffusa tra i reclusi, che aspettano di capire cosa sia successo. Il fatto si è verificato l’altra sera, poco prima delle 22. Da quanto è stato possibile sapere, il 38enne si trovava in cella con il compagno, che si è subito accorto che qualcosa non andava. Il detenuto sembrava cosciente, ma non reagiva agli stimoli e non rispondeva più alle domande. A questo punto è stato avvisato il personale della casa circondariale ed è stato chiamato un medico, che ha visitato il paziente. A nulla è servita la corsa al San Matteo. Vista la gravità della situazione, si è deciso di trasferire il detenuto al Mondino, nella stroke unit, il reparto intensivo. Ma qui è stata dichiarata la morte cerebrale. Sulla vicenda, per ora, non sono stati emessi avvisi di garanzia. Paliano (Fr): viaggio nell’istituto di pena destinato solo ai collaboratori di giustizia Redattore Sociale, 25 novembre 2011 In Italia un quarto dei collaboratori di giustizia sono rinchiusi nella fortezza di Paliano, provincia di Frosinone. Oggi sono 43 e cercano di ricostruirsi un’esistenza frequentando i corsi professionali. Inchiesta di Terre di mezzo. In Italia un quarto dei pentiti detenuti sono rinchiusi nella fortezza di Paliano, provincia di Frosinone. È nel cuore della Ciociaria che esiste l’unico carcere destinato solo ai collaboratori di giustizia. Oggi sono 43 e appartenevano alla mafia, alla ‘ndrangheta e alla camorra. Protetti da una doppia cinta di mura che risalgono al XVI secolo, cercano di ricostruirsi un’esistenza frequentando i corsi professionali organizzati dall’amministrazione carceraria, in collaborazione con le associazioni del piccolo borgo (8.300 residenti) che ha imparato a convivere con l’ingombrante coinquilino. L’inchiesta del numero di dicembre di Terre di mezzo-street magazine (www.terre.it), “La fortezza degli invisibili”, racconta la vita dentro e fuori il carcere di Paliano. E si scopre che in quella che dovrebbe essere una struttura con particolari misure di sicurezza, mancano 20 agenti di polizia penitenziaria, la videosorveglianza è solo nella sala colloqui e nel refettorio e il sistema di videoconferenza, che permetterebbe ai pentiti di testimoniare senza andare in Tribunale, c’è ma non funziona. Alla direttrice, Nadia Cersosimo, è capitato anche di dover fare la guardia in portineria per mancanza di personale. E gli attrezzi e gli ingredienti del corso di cucina li paga di tasca sua. Nel 2010 (ultimo dato disponibile) i pentiti in Italia erano 957, di cui 46 donne. La maggior parte, 735, erano in stato di libertà oppure beneficiavano di misure alternative alla reclusione: detenzione domiciliare, affidamento ai servizi sociali, libertà vigilata. Gli altri 222 erano dietro le sbarre e più di un quarto, per l’esattezza 61, a Palliano. Massa: nasce il progetto Iride… ecco come formare chi è in cella Il Tirreno, 25 novembre 2011 Si rinnova e si rafforza l’impegno della Provincia di Massa-Carrara per il recupero dei detenuti: dopo l’impegno portato avanti in questi anni con il precedente protocollo, firmato nel 2008, un nuovo documento, siglato nella sede del Centro per l’impiego di Massa, dà il via a un nuovo progetto. Si chiama Iride, acronimo che sta per interventi di recupero di individui detenuti e coinvolge il settore formazione professionale e politiche del lavoro della Provincia, la casa di reclusione di Massa, l’ufficio esecuzione penale esterna di Massa e l’istituto penale per minorenni di Pontremoli. A firmare il protocollo sono stati l’assessore provinciale alle politiche formative e del lavoro, Raffaele Parrini, il provveditore regionale della Toscana dell’amministrazione penitenziaria, Maria Pia Giuffrida e il responsabile del centro per la giustizia minorile di Torino, Antonio Pappalardo. “Il progetto - ha dichiarato Parrini - prevede azioni finalizzate all’orientamento, formazione professionale e politiche attive del lavoro con lo scopo di facilitare l’inserimento o il reinserimento socio lavorativo delle persone in esecuzione di pena nelle due sedi, incentivando la disponibilità del mondo dell’imprenditoria e della cooperazione alla loro assunzione. Tutto questo senza dimenticare che con una azione di questo tipo diamo un contributo non indifferente alla promozione di una cultura dell’integrazione”. Garantire continuità di intervento in ambito socio-lavorativo, rafforzare il collegamento tra carcere e territorio, migliorare le opportunità di reinserimento sociale e lavorativo, incrementare le opportunità formative e di lavoro: sono queste alcune delle finalità del progetto. Per concretizzarle la Provincia promuoverà percorsi formativi e metterà in atto misure di politiche attive del lavoro, sensibilizzerà le aziende del territorio a fornire opportunità di lavoro, anche indirette, individuerà percorsi individuali e fornirà un supporto tecnico e informativo per definire e attuare gli interventi. Enna: Ugl polizia penitenziaria denuncia le condizioni di degrado del carcere di Piazza Armerina La Sicilia, 25 novembre 2011 Il segretario regionale dell’Ugl polizia penitenziaria, Francesco D’Antoni, ha inviato una nota al vertice nazionale e regionale dell’Amministrazione penitenziaria sottolineando lo stato di grande degrado delle carceri della provincia di Enna e in particolare di Piazza Armerina, provocando il continuo malcontento del personale “principalmente per il senso di abbandono da parte dell’amministrazione penitenziaria”. Tra i punti dolenti la cronica carenza di personale che rende difficile la gestione dei turni di lavoro e spesso costringe ad operare al di sotto dei livelli minimi di sicurezza. “Il carcere di Piazza Armerina - sostiene Francesco D’Antoni, nella sua disamina - è una delle realtà più affollate d’Italia senza sottovalutare la circostanza che alcune unità hanno fatto richiesta di trasferimento presso il nuovo carcere di Gela. È deprimente constatare in quali condizioni ,giornalmente, si è costretti a lavorare a Piazza Armerina dove la Direzione è incurante anche di fornire ad alcuni ufficiali, come quelli del comandante e della sorveglianza, il minimo corredo di cancelleria che renderebbe l’attività sicuramente più dignitosa ed efficiente, con la motivazione che non ci sono fondi”. “Sarebbe opportuno - dice D’Antoni - conoscere il budget di cui dispone il carcere di Piazza Armerina da non permettersi l’acquisto di un toner e aspettare ben sei mesi per averlo. Da registrare anche l’assenza di sistemi di chiusura automatica ai cancelli di portineria e seconda porta che, pertanto, devono essere chiusi ed aperti a mano, nonché la mancanza di sistemi interni di videosorveglianza. Da registrare le pessime condizioni igienico-sanitarie della caserma agenti perché manca un’impresa di pulizia che migliori la situazione. Questa condizione rende impossibile agli agenti l’utilizzo della caserma per l’inadeguatezza dei locali, dove si registrano anche infiltrazioni d’acqua piovana. Scoraggiante anche lo stato degli automezzi indispensabili per una struttura penitenziaria; 4 macchine quasi tutte prossime alla rottamazione”. Il segretario regionale dell’Ugl si chiede anche “come mai la reggenza della struttura di Piazza Armerina viene affidata ad un direttore in missione proveniente da Nicosia quando si potrebbe affidare al direttore delle carceri di Enna o di Caltagirone”. Il direttore delle carceri di Piazza Armerina viene anche accusato di comportamenti antisindacali. Gela: dopo 50 anni, il nuovo carcere si apre per 40 detenuti La Sicilia, 25 novembre 2011 Cinquant’anni di tempo tra la progettazione e il completamento dei lavori e due inaugurazioni fittizie per il carcere di Gela. Uno scatolone vuoto mentre le carceri in Sicilia ed in Italia scoppiano. Ma lunedì sarà la volta buona per cancellare questa anomalia che si è trascinata per troppo tempo. Alle 10 il più nuovo e moderno tra i penitenziari italiani sarà inaugurato. È stati superato, infatti, l’ultimo ostacolo, quello del personale da impiegare. Il carcere funzionerà inizialmente al 50% con 50 agenti di polizia penitenziaria compresi due commissari. Conclusa la bonifica dell’istituto arriveranno anche 40 detenuti (a fronte di una capienza di 100 posti) di bassa pericolosità e con pene brevi da scontare. Per loro sarà come una “vacanza - premio” considerato che il carcere gelese è molto moderno, ha celle confortevoli e dotate di campanello per chiamare le guardie carcerarie. “Finalmente - ha commentato Mimmo Nicotra vice presidente nazionale Osapp - un altro tassello si aggiunge alla lotta alla criminalità per il ripristino della legalità in una realtà come quella di Gela”. Soddisfatto anche il sindaco Angelo Fasulo che ha sostenuto la battaglia per l’apertura del carcere. Tra pochi giorni dunque quello che era un monumento allo sperpero sarà operativo lasciandosi alle spalle un passato di ritardi, negligenze e superficialità. Aperto il carcere, se sarà inviato il personale adeguato, non sarà difficile riempirlo e dare ossigeno ad altre strutture che scoppiano di detenuti. Ferrara: polizia penitenziaria a corto di mezzi, così salta il processo per un detenuto La Nuova Ferrara, 25 novembre 2011 Non c’è il mezzo di trasporto, niente processo. Il tribunale di Ferrara si è visto costretto a rinviare un’udienza perché la polizia penitenziaria non ha potuto portare materialmente il detenuto dal carcere a palazzo di giustizia. L’imputato, Sereno Quirino, 47 anni, di origine napoletana, è rimasto direttamente all’Arginone. E con lui anche i due testimoni, già ristretti per altro reato nella casa circondariale. Con buona pace del normale corso della giustizia. Il tutto perché quella mattina, lunedì, non c’erano abbastanza cellulari per trasportare tutti i detenuti in attesa di convalida di misura cautelare o di processo. E così, l’udienza che doveva tenersi in Aula A alle 9.30 è slittata per forza di cose. Si ritenterà la sorte il 6 dicembre. “Si è trattato di une vento eccezionale”, butta acqua sul fuoco il direttore del carcere ferrarese, Francesco Cacciola, che si vede costretto ad annotare nel libro nero dell’amministrazione penitenziaria, dopo il sovraffollamento delle celle e la mancanza di carta che impediva di inviare i fax , anche questa evidenza di carenza di risorse. “La popolazione carceraria è numerosa e i nostri agenti devono assicurare anche i trasferimenti per visite mediche o ricoveri ospedalieri - spiega Cacciola -; altre volte il parco mezzi presenta unità in avaria, come registrato l’altra mattina. In quel caso non possiamo far altro che rimandare gli appuntamenti, per quanto urgenti”. Il direttore non nasconde che “un problema di risorse esiste”, anche se “un caso del genere non si era mai verificato”. Infine l’ultimo tiro mancino del destino. Proprio lunedì, a Ferrara, si teneva il Coordinamento nazionale dei garanti territoriali, nel corso del quale si è registrato l’appello lanciato al nuovo ministro della giustizia dall’onorevole Franco Corleone per la nomina di un sottosegretario con delega alle carceri “competente e attento”. E magari con un portafoglio da gestire. Trieste: la denuncia di un detenuto; in cella, senza i soldi per curarsi i denti Il Piccolo, 25 novembre 2011 Mi ritrovo con tutti gli altri detenuti del Coroneo a subire la negligenza della sanità. Non mi danno i medicinali di cui ho bisogno”. La denuncia è di Francesco Mozenic, 24 anni, detenuto dallo scorso luglio quando era finito in carcere per una condanna a 2 anni e 7 mesi per spaccio di droga. Per quindici giorni un doloroso ascesso ai denti non lo ha fatto né dormire, né gli ha consentito di mangiare. Mozenic, è rimasto così nella sua cella e - nonostante le ripetute richieste - non è stato curato. Nella sua lettera accorata non chiede aiuto solo per sé, ma anche per gli altri detenuti. “Qui - scrive - ci sono persone nelle mie stesse condizioni, se non addirittura peggiori che chiedono, nonostante siano detenuti, i trattamenti sanitari di cui hanno bisogno. Siamo esseri umani anche dietro alle sbarre”. Rincara la dose l’avvocato Marco Malalan che assiste Mozenic assieme alla collega Tatiana Nicolau. “Il problema è che non ci sono i fondi per garantire l’assistenza da parte dei dentisti all’interno del carcere. Mozenic dice che viene visitato tre volte sulle dieci che ha richiesto. Gli era stata fissata una visita in ospedale, ma poi era stata annullata. Il problema è che mancano i fondi anche per portare i detenuti in ospedale. Solo dopo aver parlato con il direttore Sbriglia la faccenda si è risolta. Il detenuto era sofferente e aveva il viso notevolmente gonfio”. Spiega il direttore Enrico Sbriglia: “Purtroppo la legge prevede che tutto quello che attiene alla sanità penitenziaria sia di competenza della Regione. E nonostante sia trascorso qualche tempo dall’entrata in vigore della legge, la Regione non ha assunto la competenza. Ieri abbiamo definito una convenzione. Ma i tempi per renderla operativa non saranno brevi. Avevamo un dentista convenzionato, ma il suo rapporto è terminato, anche perché le nostre tariffe sono modeste. Mi sono rivolto all’ordine e ho ottenuto l’interessamento dell’ex presidente Roberto Di Giglio che ci sta aiutando. Mi rendo conto quella del detenuto è una vera e propria tortura. Ma il problema è quello dei reclusi che non hanno disponibilità economiche, come gran parte di quelli di Trieste. A volte li riusciamo a portare all’ospedale. Ma i costi anche per la sanità e per quelle logistiche sono troppo alti”. Francesco Mozenic era stato condannato perché ritenuto uno dei principali gestori del supermarket della droga scoperto nel marzo dello scorso anno in un appartamento di via D’Alviano. Savona: “rinforzato” di una sola unità di Polizia penitenziaria il reparto del Sant’Agostino www.savonanews.it, 25 novembre 2011 Una sola unità, femminile, per rinforzare l’organico di Polizia Penitenziaria del carcere di Savona. È ufficialmente da ieri in servizio in piazza Monticello l’Agente che, terminato il corso di formazione nella Scuola di Formazione di Polizia, è stata assegnata alla Casa Circondariale di Savona. A darne notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “Credo si possa e si debba parlare di un’occasione d’oro persa dall’Amministrazione Penitenziaria per andare a sanare, seppur parzialmente e con il minimo sforzo, le criticità organiche dei Baschi Azzurri di Savona” spiega Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che sottolinea come “il primo Sindacato dei Baschi Azzurri, il Sappe, aveva sollecitato più volte il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sulle gravi ed oggettive difficoltà operative con le quali quotidianamente si confrontano i poliziotti penitenziari del carcere savonese, auspicando un significativo rinforzo dell’organico anche assegnando a Savona quelle unità di Polizia Penitenziaria che da anni aspirano ad esservi trasferite. Parliamo di un incremento reale di almeno 5 unità, che sarebbero state importantissime per agevolare l’operatività dei colleghi in servizio a Savona”. “Mi auguro che ora l’Amministrazione Penitenziaria assegni al carcere di Savona un direttore titolare, visto che a tutt’oggi non c’è e la titolarità è affidata di volta in volti a dirigenti diversi” aggiunge Martinelli, che torna a denunciare anche le criticità dell’attuale struttura carceraria: “L’attuale carcere di S. Agostino è contro il dettato costituzionale della rieducazione del detenuto, autorevolmente denunciato in questi giorni dal Capo dello Stato. Togliere la libertà a chi commette reati non vuol dire togliere loro anche la dignità: e quando abbiamo celle senza finestre, come a Savona, non c’è alcun ulteriore commento da fare. Questa grave situazione carceraria espone gli agenti di Polizia penitenziaria a condizioni di lavoro gravose e a rischio. Costruito per ospitare 36 posti letto, il Sant’Agostino ospita in media 70/80 detenuti (erano 79 il 31 ottobre scorso) controllati da Agenti di Polizia Penitenziaria carenti in organico di 15 unità. Tutti dicono che serve un carcere nuovo a Savona, da ultimo lo disse nella sua visita ferragostana l’ex Sottosegretario alla Giustizia che espressamente parlò di “una delle piaghe che il Governo dovrà risolvere” ma che non fece seguire alla denuncia nulla di concreto.” Martinelli ricorda ancora una volta le ampie convergenze politiche emerse al convegno che il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe tenne lo scorso 8 ottobre 2010 a Cairo Montenotte per un nuovo carcere alternativo al disastroso penitenziario savonese di Sant’Agostino. “Nel convegno pubblico noi, come Sappe, lanciammo la proposta di realizzare un nuovo carcere nella Valbormida, in tempi estremamente brevi, con costi contenuti ed avvalendosi di manodopera locale. Ci fu pure la condivisione degli Amministratori locali ed il Sindaco di Cairo incontrò a Roma il Commissario straordinario per le carceri Franco Ionta. Ma poi non si è saputo più nulla.” Genova: Sappe; trovati due telefoni cellulari e sim-card in una cella di Marassi Comunicato stampa, 25 novembre 2011 “La notizia che oggi, grazie all’attenzione, allo scrupolo ed alla professionalità di Personale di Polizia Penitenziaria in servizio, sono stati rinvenuti all’interno di una cella del carcere di Genova Marassi due telefonini cellulare e diverse sim-card ci impone di tornare a chiedere al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria interventi concreti come, ad esempio, un’adeguata strumentazione tecnologica ed un sistema di rilevazione ed inibizione dei telefoni cellulari, evitando così il potenziale uso dei predetti apparecchi da parte di persone detenute.” Lo sottolinea Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione dei Baschi Azzurri. “Non a caso, in più occasioni il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, ha richiamato l’attenzione delle Autorità dipartimentali in ordine ad alcune situazioni che con una certa frequenza interessano gli Istituti penitenziari ed in particolare sull’indebito uso di telefoni cellulari e altra strumentazione elettronica da parte dei detenuti per le comunicazioni con l’esterno” prosegue. “E il Dap ci aveva comunicato che, proprio al fine di innalzare il livello di sicurezza all’interno delle strutture penitenziarie, c’erano allo studio diverse soluzioni, fino ad oggi rimaste semplice teoria. Mi auguro che dopo i ritrovamenti di oggi all’interno di una cella del carcere di Genova Marassi si passi finalmente alla pratica e si faccia concretamente qualcosa per contrastare questo grave fenomeno.”? “Sulla questione relativa all’utilizzo abusivo di telefoni cellulari e di altra strumentazione tecnologica che può permettere comunicazioni non consentite”, conclude il sindacalista del Sappe, “è ormai indifferibile adottare tutti quegli interventi che mettano in grado la Polizia Penitenziaria di contrastare la rapida innovazione tecnologica e la continua miniaturizzazione degli apparecchi che risultano sempre meno rilevabili con i normali strumenti di controllo. A nostro avviso appaiono pertanto indispensabili interventi immediati compresa la possibilità di “schermare” gli istituti penitenziari al fine di neutralizzare la possibilità di utilizzo di qualsiasi mezzo di comunicazione non consentito e quella di dotare tutti i reparti di Polizia Penitenziaria di appositi rilevatori di telefoni cellulari per ristabilire serenità lavorativa ed efficienza istituzionale, anche attraverso adeguati ed urgenti stanziamenti finanziari”. Catania: progetto per l’Ipm; il Carnevale per rieducare e per reinserirsi nel lavoro La Sicilia, 25 novembre 2011 Opere in cartapesta realizzate dai giovani ospiti dell’Istituto penale per minorenni. Questo l’obiettivo del laboratorio previsto dal protocollo operativo firmato ieri mattina in sala Giunta. Un corso di creazione di manufatti da presentare alla prossima, imminente, edizione del Carnevale. Per la prima volta, un’iniziativa tesa a coinvolgere nel più bel Carnevale di Sicilia i ragazzi detenuti - attualmente 19 - nella struttura rieducativa situata nel quartiere San Biagio. Una realtà radicata nel territorio ma di cui poco si parla. L’istituto - esclusivamente maschile - ospita minori provenienti, dalle province della Sicilia orientale, finiti dentro, nella maggioranza dei casi per rapine, ma anche per spaccio di stupefacenti. Tra educatori, medici e agenti di polizia penitenziaria sono circa 25 gli operatori. All’interno: laboratori di scultura su legno, biblioteca, teatro, animazione, sport, laboratorio di falegnameria. Ed ora anche il corso di cartapesta. Il progetto - promosso e finanziato dal Rotary Club cittadino che acquisterà i materiali necessari - è patrocinato dal Comune di Acireale, mentre ad introdurre i giovani all’arte della cartapesta sarà la generosità dell’imprenditore Luciano Parlato, e dell’ing. Sebastiano Torrisi, due esperti della materia, protagonisti con i loro carri allegorici di passate edizioni del Carnevale. “L’istituto penale minorile - ha evidenziato Luciano Privitera, Presidente del Rotary - è sempre stata vista come una struttura da isolare nella città, mentre è una istituzione di rieducazione da valorizzare”. La Fondazione Carnevale, da subito, predisporrà la realizzazione di un’opera che possa partecipare, anche fuori concorso, all’edizione 2012 del Carnevale. “Questo protocollo operativo - ha commentato la dott.ssa Carmela Leo, direttrice dell’Istituto Penale Minorile - darà visibilità alle tante storie dei ragazzi attraverso il fare e la lavorazione della cartapesta. Grazie al prodotto finito potranno sensibilizzare la comunità sulle loro problematiche. È un’opportunità comunicativa che fornirà, inoltre, le conoscenze tecniche utili per il reinserimento lavorativo”. “Un progetto - ha affermato l’assessore alla Pubblica istruzione Nives Leonardi - che coinvolge una realtà giovanile che noi stessi acesi spesso dimentichiamo. Ai ragazzi detenuti l’Amministrazione vuole dare la possibilità di essere effettivamente partecipi del nostro Carnevale”. Siria: la Commissione Onu contro la tortura denuncia violazioni dei diritti impunite Il Velino, 25 novembre 2011 La Commissione delle Nazioni Unite contro la tortura si è detta “profondamente preoccupata per le palesi e pervasive violazioni dei diritti umani in Siria”. Tra gli abusi segnalati da un panel di esperti guidati da Claudio Grossman ci sono la tortura e il maltrattamento dei detenuti, gli attacchi contro la popolazione civile, l’uso eccessivo della forza contro la stessa popolazione e le persecuzioni contro gli attivisti dei diritti umani. Particolare preoccupazione destano le notizie sulle torture e le uccisioni di bambini. La Commissione denuncia poi come queste violazioni avvengano “nel contesto di una totale e assoluta impunità” e sollecita Damasco a fornire entro il 9 marzo 2012 un rapporto che indichi le misure adottate per assicurare l’effettiva applicazione delle obbligazioni derivanti dalle Convenzioni di Ginevra. Ucraina: la detenuta “eccellente” Yulia Tymoshenko sarà presto libera di Eugenio Cipolla L’Opinione, 25 novembre 2011 Sarà curata fuori dal carcere di Kiev, dove è detenuta dal 5 agosto scorso, Yulia Tymoshenko, ex primo ministro ucraino ed eroina della rivoluzione arancione del 2005. Ad annunciarlo, ieri, durante una conferenza stampa congiunta con il presidente lituano Dalia Grybauskaite, è stato l’attuale presidente ucraino filorusso Viktor Yanukovich. “Sono a conoscenza della questione - ha detto - e questa mattina ho avuto diverse conversazioni con il ministro della Sanità, con il procuratore generale e con il ministro dell’Interno. Ho chiesto loro di porre l’attenzione sul fatto che bisognerà stare molto attenti alla questione, nonché fornire tutto l’aiuto medico necessario”. Una decisione importante, quella di Yanukovich, che potrebbe rasserenare i rapporti non proprio idilliaci degli ultimi tempi tra Ucraina e Ue, la quale, a suo tempo, aveva espresso ferma condanna per l’arresto della leader di opposizione, minacciando pesanti ripercussioni a livello diplomatico. Yulia Tymoshenko, dietro le sbarre ormai da più di tre mesi, soffre di forti dolori alla zona lombare, costretta a letto da giorni e impossibilitata a muoversi. Secondo quanto riferito dal suo braccio destro, Oleksandr Turcinov, sul suo corpo sarebbero inoltre “ricomparsi i misteriosi lividi già denunciati poco dopo l’arresto”. L’allarme era già stato lanciato lunedì scorso da Nina Karpachova, difensore civico e responsabile per i Diritti Umani della Camera bassa del Parlamento di Kiev, che, dopo una visita a sorpresa svoltasi domenica sera, si era detta notevolmente preoccupata per le condizioni della detenuta. Così entro oggi la Tymoshenko sarà scarcerata poiché, come ha spiegato lo stesso Yanukovich, “il sistema sanitario carcerario ucraino, attualmente, non è sufficiente, non ha raggiunto gli standard prescritti, e pertanto le cure, o comunque i servizi medici, dovranno essere forniti al di fuori dei penitenziari”. Tuttavia, scrive l’agenzia di stampa russa Itar-Tass, sabato scorso la Tymoshenko aveva rifiutato le visite di un’equipe medica specializzata del Servizio di Stato per i Penitenziari nazionali. “Nonostante l’aiuto medico qualificato offerto - si legge nella nota diffusa dall’ufficio stampa del Servizio di Stato per i Penitenziari - Tymoshenko ha rifiutato sistematicamente gli esami offerti, compresi numerosi test di laboratorio con strumenti medici che violano la procedura di assistenza medica per i detenuti”. Tymoshenko è stata condannata a sette anni di reclusione e a tre d’interdizione dai pubblici uffici per abuso di potere, rea, secondo l’accusa di aver costretto l’azienda statale di energia, Naftogaz, a firmare un contratto svantaggioso per la fornitura di gas con la Russia. Una giusta punizione secondo i sostenitori di Yanukovic, mentre lei si è sempre difesa, definendosi vittima di una vendetta politica proprio da parte dell’attuale Premier ucraino per la denuncia di brogli del 2004, che portò alla ripetizione della competizione elettorale e al ribaltamento del risultato iniziale.