Giustizia: dignità negata nelle carceri, una ferita per tutti di Sergio Givone Il Messaggero, 24 novembre 2011 Carcere e dignità: quasi una contraddizione. E se non una contraddizione, una vana speranza, un auspicio non credibile. Basta gettare uno sguardo, se si ha il coraggio di farlo, sulla realtà dei nostri istituti di pena. Chi vi entra deve sapere una cosa: inevitabilmente si troverà presto spogliato della sua dignità. Non è solo questione di sovraffollamento, di strutture igienico-sanitarie carenti, di forme di convivenza al limite del disumano, e così via. Anche questo, naturalmente. E non è poco, se si pensa che le carceri italiane ospitano almeno un terzo in più dei detenuti che potrebbero ospitare, o che in esse il tasso di suicidi è anche venti volte superiore rispetto al mondo di fuori. Il fatto è che il carcere, anche se la legislazione in merito (per esempio la legge Gozzini, del 1986) prescrive il contrario, opera per sua natura in senso disumanizzante. Ciò non dipende, se non in misura minima, dalla cattiva volontà di funzionari, addetti, guardie carcerarie. Il regime carcerario - tende inevitabilmente a trattare da “indegno” chi vi è ospitato: non solo perché colpevole, ma perché privato della libertà, quella libertà che è tutt’uno con la dignità. Disumanizzazione, spersonalizzazione, riduzione della persona a nient’altro che a numero sono - o almeno ci sembrano - le inevitabili conseguenze della perdita della libertà. È dunque una specie di logica quella che ci porta a separare in modo irrimediabile carcere e dignità. Ma questa logica perversa viene smascherata dallo scandalo che la condizione carceraria suscita. Da quei luoghi che dovrebbero essere luoghi di rieducazione e che sono invece i luoghi della nostra falsa coscienza e della nostra vergogna, si leva un muto rimprovero. Lì a essere offesa è l’idea stessa di umanità e di civiltà. Non c’è ragione che tenga. Umiliare l’uomo in quel che ha di più propriamente umano è commettere un crimine. E non importa che tale crimine sia rivolto contro un criminale. Dire cinicamente cose come: se la sono meritata, se la sono voluta, è aggiungere delitto a delitto. Il Papa che va a Rebibbia tra i carcerati non è un riformatore. È un testimone. Certamente è importante migliorare le condizioni di vita nelle carceri. Sostituire strutture fatiscenti a strutture adeguate. E soprattutto far applicare le leggi penitenziarie vigenti, che sono buone leggi, ma spesso evase. Ben più importante però è tener desta la coscienza dello scandalo che la negazione della dignità comporta. Niente è peggio che la pacifica accettazione delle cose come stanno. Le cose in realtà sono piene di un loro strazio che vorremmo ignorare, ma che chiede di essere portato alla luce. Se il Papa va a Rebibbia è da testimone, non da riformatore. Sarà pur vero che fra carcere e dignità c’è contraddizione. Ma il Papa è chiamato precisamente a impugnare questa contraddizione. Anche perché condannare qualcuno in quanto persona è poi trattarlo come se fosse una non persona è semplicemente assurdo oltre che iniquo. Condannare è sempre è comunque una cosa dolorosa, ma necessaria. A un patto: che il condannato sia considerato un uomo. Se una punizione gli è inflitta, è perché gli viene attribuita la capacità di scegliere fra il bene e il male, fra il rispetto della legge e la sua trasgressione. Non c’è forse un riconoscimento della dignità più grande di questo: può essere punito solo chi ne è degno (l’uomo, non la bestia, non la pietra, e Kant arrivava a dire che mandare assolto un colpevole era fargli torto, poiché lo si abbassava al rango degli animali). Paradossalmente è proprio il carcere a ricordarci che dignità e umanità stanno e cadono insieme. Giustizia: legge “svuota carceri”, 4.700 persone ai domiciliari contro le oltre 9mila previste Redattore Sociale, 24 novembre 2011 Al 31 ottobre sono 67.510 i reclusi nei 206 penitenziari italiani contro una capienza massima di 45.572 posti. Il 99% di chi usufruisce di misure alternative non ha commesso reati in recidiva. Sono 4700 le persone uscite dal carcere grazie alla legge “svuota carceri” (la n.199/2010) di cui 3844 sono uscite dallo stato di detenzione e 856 sono stati condannati ai domiciliari dalla libertà. I dati sono aggiornati al 15 novembre 2011 e sono nettamente inferiori alle stime che erano state previste dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che sul sito del Piano Carceri dice: “il numero di persone che potranno beneficiare del provvedimento, la cui concreta operatività è rimessa al vaglio della magistratura di sorveglianza, è di 9.610 (circa 4500 stranieri)”. Al 31 ottobre 2011 sono 67.510 i reclusi in Italia, di cui 6.661 nel Lazio, in 206 istituti (14 nel Lazio) con una capienza regolamentare di 45.572 posti (4.855 nel Lazio). I detenuti stranieri (36,23%) sono 24.458 (2.585 nel Lazio), le donne 2.845 (431 nel Lazio). I dati sono in parte desunti dalle statistiche del Dap e dal rapporto presentato da Antigone. Partendo dal dato sulla svuota carceri, Luisa Prodi, presidente del Seac, muove critiche al Piano carceri, in occasione del 44esimo convegno del volontariato penitenziario sulle misure alternative alla detenzione. “La svuota carceri, che permette di trascorrere agli arresti domiciliari l’ultimo anno di carcere non è servita per i 9.610 detenuti che potevano usufruirne - ha affermato nel corso del suo intervento - sul Piano carceri abbiamo espresso perplessità, prima di spendere soldi in faraoniche opere di costruzione bisogna mettere mano al codice penale, senza contare che la costruzione di nuovi padiglioni in molti penitenziari ha sacrificato spazi di socialità e per le attività ricreative, né è aumentata la dotazione di operatori”. Secondo la presidente del Seac, “c’è un’emergenza assillante dalle imprevedibili ricadute, si respira un’aria giustizialista, l’opinione pubblica chiede sempre più carcere”. Per rispondere all’emergenza e al sovraffollamento, il Coordinamento enti e associazioni volontariato penitenziario, chiede di aumentare le misure alternative e la revisione del codice penale. Affidamento in prova ai servizi sociali, messa alla prova, semi-libertà sono le tipologie di intervento possibili. “Gli arresti che durano due notti intasano il carcere, perché prevedono con il primo ingresso il letto, il cibo e il colloquio - ha spiegato Prodi a margine dell’incontro - il piano carceri ha stanziato 650 milioni di euro e non è partito, va a sfavore della riabilitazione. Cento milioni di euro sono stati presi dalla cassa delle ammende, quei soldi dovevano essere usati per la riabilitazione non per l’edilizia carceraria”. Maria Claudia Di Paolo, provveditore regionale Amministrazione penitenziaria del Lazio, ha fornito i dati relativi alla regione, aggiornati al 15 novembre. Nel Lazio le persone uscite con la svuota carceri sono state complessivamente 379 di cui 334 dallo stato di detenzione e 45 condannate ai domiciliari dalla libertà. Nel Lazio i condannati che scontano la pena con misure alternative sono 1694, il 10% del dato nazionale di 18.567. Di questi, il dato nazionale è di 9.618 in affidamento in prova al servizio sociale (sono 746 nel Lazio); 864 in semilibertà in tutta Italia (72 nel Lazio) e 8.283 su tutto il territorio nazionale sono agli arresti domiciliari, di cui 876 si trovano nel Lazio. Il 99,69% dei condannati in misura alternativa nel Lazio non ha commesso reati nel primo semestre del 2011, la media nazionale si attesta sul 99,46%. Le revoche riguardano prevalentemente l’Affidamento terapeutico. Giustizia: carceri stipate all’inverosimile… appello al Parlamento “è l’ora dell’amnistia!” Tempi, 24 novembre 2011 Come ha scritto il giornalista Filippo Facci su Libero, “ci sono in giro dei pazzi”. Due di loro, di sicuro, si sono ritrovati lunedì 21 novembre nella redazione di Tempi. Erano il direttore Luigi Amicone e il leader storico dei Radicali, Marco Pannella, che hanno indetto una conferenza stampa dal titolo “È l’ora dell’amnistia, l’ora della Costituzione, l’ora della giustizia”. “Un radicale e un ciellino - ha scritto ancora Facci che si sono uniti per chiedere un’amnistia che, in attesa di soluzioni più strutturali, dia respiro a carceri che sono stipate come porcili”. Anzi, peggio di porcili. Come recitava il comunicato stampa di invito all’evento, “la direttiva europea 91/360 recepita dall’Italia con Ddl 534/92 e successivi (2001/88 e 2001/93) recanti modifiche sulle norme per la protezione dei suini spiega che per l’alloggiamento dei verri la superficie minima consentita è di 6 metri quadrati, ottimale, 9 metri quadrati. In Italia le persone detenute in carcere vivono spesso in spazi più angusti di quelli in cui la legge intima - pena la chiusura dei porcili siano allevati i maiali”. Non è mai l’ora dell’amnistia, dice chi pensa che il nuovo esecutivo guidato dal tecnico Mario Monti si debba occupare solo di spread, tassi e tasse. È invece proprio questo il momento, dicono Pannella e Amicone che rovesciano l’assunto. Proprio perché questo è un governo di pacificazione nazionale, quale altro provvedimento può con maggior concretezza incarnare questo intento? Quale altro segno può essere più efficace che non l’atto di clemenza per antonomasia? Ha detto Amicone: “Oggi si apre una nuova finestra che il Parlamento deve prendere in seria considerazione, in un momento storico in cui si sente parlare da tutte le parti in gioco di rasserenamento costituzionale e d’impegno di ricostruzione. Sono tutti uniti nel volersi assumere la gravosa responsabilità di ricostruire un paese insofferente e imbarbarito a vari livelli. Noi siamo convinti che la leva di Archimede per aprire questa finestra sia l’amnistia”. Non è più tempo di teatrini I problemi della giustizia italiana sono sotto gli occhi di tutti e a parlare sono i dati: “Le carceri soffrono di un affollamento record - ha spiegato Amicone - abbiamo quasi il 50 per cento di detenuti in più per ogni prigione, siamo il paese con il maggior numero di carcerati in attesa di giudizio e siamo fuori dai limiti chiesti dall’Unione Europea”. Pochi mesi fa, il commissario del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg, ci ha ricordato altri dati drammatici: il circuito penitenziario negli ultimi dieci anni è costato allo Stato in media 3 miliardi all’anno, uno spreco di risorse che non ha generato alcun beneficio. Per non parlare delle voci di manutenzione, funzionamento e viveri, che sono diminuite del 31 per cento quest’anno. Cifre paradossali, come gli investimenti per la rieducazione dei detenuti: “Non dimentichiamo - ha ricordato il direttore di Tempi - che secondo la Costituzione la pena e la coercizione hanno una prospettiva rieducativa. Bene, l’incidenza dell’impegno educativo pesa 11 centesimi al giorno per detenuto, per un totale di 3,5 euro al mese. Ecco quello che investe lo Stato per ciò che costituzionalmente è indicato come uno degli obiettivi del sistema penale”. L’intervento si conclude con un accorato appello: “È l’ora dell’amnistia perché è l’ora della Costituzione, della legalità e della civiltà; è l’ora dell’amnistia perché è l’ora di mettere mano a una amministrazione della giustizia che pesa sulla possibilità di ripresa complessiva del paese, con otto milioni di processi penali e civili pendenti che bloccano ogni tipo di riforma. È l’ora dell’amnistia se si vuole dare un segno concreto e non cinico di pacificazione e di responsabilità nazionale. È arrivato il momento di dimostrare che il Parlamento esiste e che non abbiamo assistito all’ennesimo teatrino di rappresentanti del popolo che non hanno la coscienza di ciò che rappresentano di fronte al paese, alla Costituzione e alla democrazia”. E gli agenti, i direttori, gli educatori? E Pannella, l’altro pazzo, cosa ha detto? Ha aperto la discussione ricordando la proposta di Tempi che, due mesi fa, lo aveva lanciato come ministro della Giustizia: “Se posso essere qui oggi è perché non vi hanno ascoltati. Magari non mi avreste avuto qui oggi, ma credo che avremmo lavorato splendidamente insieme”. Battute a parte, il leader radicale ha ricordato che lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sia nel corso dell’ultimo Meeting di Rimini, sia lo scorso 21 luglio, aveva dichiarato la “prepotente urgenza” di intervenire per risolvere la disastrosa situazione del nostro sistema carcerario. Ma le parole del Capo dello Stato sembrano essere cadute nel nulla: “Abbiamo preparato un’inchiesta, l’abbiamo consegnata al presidente e dopo che tutto il Senato ha riconosciuto la gravità della situazione, come ha agito la democrazia italiana? C’è stata più informazione sul caso di Avetrana che sulla situazione delle carceri e della giustizia italiana. Nessun telegiornale, nessun dibattito televisivo sull’argomento, niente di niente”. In Italia, secondo Pannella, s’ignora totalmente l’importanza dell’amnistia: “Che sarebbe un atto da legislatori, ridurrebbe i procedimenti penali da 5 milioni a 700 mila, salvaguardando i reati più gravi che non cadrebbero in prescrizione. L’amnistia è un provvedimento serio, che prevede la tutela delle vittime, a differenza della prescrizione”. La preoccupazione non è solo nei confronti dei detenuti che “vivono in condizioni disumane”, ma anche degli agenti della polizia penitenziaria, dei direttori, degli psicologi e degli educatori, eroi contemporanei che vivono in condizioni estreme, che spesso ne minano il fisico e la mente: “Sono uomini che hanno scelto di servire lo Stato e si ritrovano a essere complici attivi di una situazione di tortura e di auto-tortura. Come fanno le loro famiglie e loro stessi a non andare in crisi?”. Giustizia: nelle carceri il record della disperazione, un suicidio ogni cinque giorni di Carlo Mercuri Il Messaggero, 24 novembre 2011 Un suicidio ogni cinque giorni: La disperazione, nelle carceri italiane, tocca livelli record. Per capire: venti giorni fa, a Livorno, un detenuto si è tolto la vita a 48 ore dal ritorno in libertà. Le pessime condizioni detentive e il sovraffollamento sono alla base di tale situazione, la seconda causa evidentemente contenendo la prima. Le carceri italiane, infatti, sono le più affollate d’Europa subito dopo quelle serbe: abbiamo una popolazione di detenuti pari a 66.942 unità su un totale di 45.681 posti a disposizione. “La questione carceraria è per me una priorità”, ha detto la neo-Guardasigilli Paola Severino il giorno stesso del suo insediamento. Ma non molto tempo prima il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, aveva affermato che “il sovraffollamento delle carceri è una vergogna per l’Italia” e che tali situazioni “non sono degne degli esseri umani”. L’aria che tira è evidentemente quella da ultima spiaggia, l’atmosfera è satura di preoccupazione, bisogna dunque fare qualcosa e farla con urgenza. Si mostra speranzoso Donato Capece, segretario di lungo corso del Sappe, il sindacato degli agenti penitenziari: “Forse è la volta buona”, dice. Il più recente tentativo di dare una soluzione alla situazione dei penitenziari italiani è la legge 199 del 2010, la cosiddetta legge svuota carceri. Questa legge è stata costruita attorno a tre pilastri. Il primo: la possibilità di scontare l’ultimo anno di carcere con i domiciliari; il secondo: lo stanziamento di 600 milioni per l’ampliamento dei penitenziari con la costruzione di nuove strutture; terzo: l’assunzione di 2.000 agenti di custodia. Capece oggi dice: “Le misure prese sono state fallimentari” e spiega perché: “Sono stati fatti uscire finora 3.200 detenuti (contro i quasi 10 mila previsti) ma solo per fine pena e non perché inviati ai domiciliari. I 600 milioni stanziati dovevano servire per costruire 22.500 nuovi posti e non è ancora stato costruito un bel niente. I 2.000 nuovi agenti annunciati si sono ridotti a 1.100 e finora non ne abbiamo visto neppure uno”. Altre soluzioni. La legge svuota carceri non deve effettivamente aver prodotto grandi risultati se è vero come è vero che il Guardasigilli uscente, Francesco Nitto Palma, si è affrettato a riproporne una versione riveduta e corretta che sarebbe servita ad allungare a un anno e sei mesi il periodo di detenzione ai domiciliari. La svuota carceri bis non è diventata mai legge, ma è servita comunque a far capire le intenzioni del ministro Nitto Palma quanto alle possibili vie d’uscita dalla drammatica situazione carceraria italiana. Esclusa l’amnistia (tutti, a destra e a sinistra, salvo i radicali di Marco Pannella, dicono di non volerla) Nitto Palma ha ravvisato i grandi mali del sistema penitenziario italiano nell’eccessivo ricorso alla custodia cautelare da parte dei magistrati e nel sempre maggiore numero di detenuti stranieri. Donato Capece, invece, più pragmaticamente suggerisce: “Ricorriamo di più alle pene alternative, concediamo più libertà vigilate, inviamo i detenuti a fare i lavori di pubblica utilità, rivediamo il sistema sanzionatorio perché non tutti gli arrestati devono essere sbattuti in cella”. Capece sarà sentito prossimamente dal ministro Severino: “Forse è la volta buona”, ripete. Giustizia: il congresso S.I.M.S.Pe. e la medicina penitenziaria nei sistemi sanitari regionali www.lametasociale.it, 24 novembre 2011 Dal 16 al 18 novembre a Roma si è svolto il XII congresso nazionale della Società italiana di Medicina e Sanità penitenziaria (S.I.M.S.Pe. onlus) sul tema “La sanità penitenziaria nei sistemi sanitari regionali”. L’evento, cui hanno partecipato i maggiori esperti del settore, ha aperto una finestra sul mondo della sanità penitenziaria alla luce del Dpcm 1 aprile 2008 che ha trasferito le competenze in materia sanitaria penitenziaria dal ministero della Giustizia alle Asl. “Questo momento - ha esordito nel suo intervento di apertura dei lavori Enrico Giuliani, presidente del Congresso - che può essere definito epocale per i servizi sanitari penitenziari, ha visto esplodere in molteplici frammenti organizzativi regionali il sistema unico che fino al 2008 era gestito centralmente dal ministero della Giustizia. Spesso gli organismi regionali e le singole Asl hanno preso spunto dalle precedenti prassi operative per declinare i nuovi sistemi, in alcune occasioni, invece, il vecchio è stato completamente accantonato”. Grande attenzione è stata rivolta, dunque, alle problematiche emergenti dall’integrazione tra Asl e ministero della Giustizia anche ricorrendo alla testimonianza del principale partner del mondo sanitario in carcere, ovvero la Polizia Penitenziaria. Il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, ha moderato la tavola rotonda sul tema “Il ruolo della Polizia Penitenziaria nell’assistenza sanitaria alle persone detenute” a cui hanno partecipato il commissario Maria Luisa Tattoli, che ha introdotto “Il diritto alla salute del detenuto: forme di interazione e criteri di collaborazione tra l’Ordinamento sanitario e l’Ordinamento penitenziario, con particolare riferimento al ruolo della Polizia Penitenziaria”, il commissario Vincenzo La Monaca, ex comandante del Carcere di Trani, Salvatore Parisi, ispettore presso la Casa di Reclusione di Carinola, responsabile dell’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza Penitenziaria, Franco Lepri, medico penitenziario della Regione Lazio, Vincenzo De Donatis, medico penitenziario della Regione Emilia Romagna, Antonino Levita, medico penitenziario della Regione Sicilia, il commissario Giovanna Zaccari, video comandante di Regina Coeli, il dottor Manganelli, ex comandante della Casa Circondariale di Brescia e dell’Opg di Aversa, il commissario Amerigo Fusco, responsabile del coordinamento Funzionari Ugl e comandante della Casa di reclusione Opera di Milano. “Ritengo debbano essere individuati i margini - ha precisato Moretti - di una invisibile linea di demarcazione tra i compiti istituzionali della Polizia Penitenziaria, nei quali non c’è esplicitamente alcuna funzione di tipo sanitario (com’è prevedibile che sia) e la posizione di garanzia riconosciuta dalla giurisprudenza già agli Agenti di Custodia, ed ora alla Polizia Penitenziaria, che implica il riconoscimento di una tutela più ampia, che è quella del bene vita, comprensivo del diritto alla salute del detenuto, come più volte riconosciuto anche dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”. “È toccato, poi, al regolamento di servizio del Corpo di Polizia Penitenziaria - continua - prevedere tra gli obblighi del personale in servizio nei reparti detentivi, e non solo nelle infermerie degli Istituti, quello di riferire tempestivamente al preposto servizio, anche per iscritto, ogni fatto che possa pregiudicare la salute e l’incolumità delle persone e le condizioni igienico-sanitarie, adottando provvisoriamente in via d’urgenza i provvedimenti volti ad evitare o a ridurre danni a persone o cose”. A riguardo, uno dei temi al centro di approfondimento della tre giorni di Agorà Penitenziaria è stato quello delle malattie infettive in carcere, vero laboratorio e fucina d’idee per studiare e affrontare, in una popolazione confinata quindi controllabile con relativa facilità, le metodologie più moderne in tema di trattamento di tutte le malattie infettive. Mai come ora, in questo campo, visto il frazionamento regionale, questi momenti d’incontro e confronto in merito alle terapie adottate, possono garantire riflessioni mirate ad omologare i trattamenti in tutti gli istituti penitenziari. Per Moretti “il Corpo della Polizia Penitenziaria è certamente pronto ad assumersi tutte le responsabilità connesse ai propri compiti istituzionali, non certo quelle che oggi talvolta ricadono sullo stesso personale a causa dell’assenza di adeguate figure professionali nel ramo della medicina, il cui organico sembra essere stato maggiormente depauperato dal passaggio delle competenze sulla sanità penitenziaria alle Regioni. Ma se oggi siamo qui, è anche per ribadire la centralità della Polizia Penitenziaria nell’ambito dell’istituzione penitenziaria e un’ipotesi di futuro lavoro: avviare un percorso per giungere ad una nuova Polizia Penitenziaria, una branca specialistica dell’esecuzione penale che sia di fatto una Polizia di Giustizia, nella quale sia codificato anche il riconoscimento di figure tecniche in ambito sanitario, ormai irrinunciabili per la gestione delle problematiche emergenti anche dai reiterati eventi luttuosi che si stanno verificando tra lo stesso personale e che noi vorremmo non si ripetessero, proprio attraverso una migliore attività di sostegno psicologico”. La polifunzionalità della Polizia Penitenziaria nasconde in sé una potenzialità notevole, una capacità, tuttavia, sovente rimasta inespressa a causa delle questioni che da sempre affliggono il sistema penitenziario, e che costringono tutti gli operatori ad una rincorsa quotidiana, continua e affannosa delle finalità dell’esecuzione penale interna. Su tutte le questioni spicca, ovviamente, quella del sovraffollamento carcerario, il cui impatto sistemico si riflette anche sulla fruizione delle più elementari prerogative costituzionalmente tutelate all’utenza detenuta e sul lavoro di tutti coloro i quali compongono la comunità penitenziaria. “Non possiamo dimenticare, poi, - sottolinea Moretti - la presenza nel nostro sistema penitenziario degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, sui quali si è recentemente soffermata l’attenzione della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari, alzando il velo su una realtà in cui convivono contemporaneamente degrado e situazioni di eccezionale umanità, come quella segnalata dal Sen. Marino, che come testualmente il Presidente della apposita commissione parlamentare ha voluto rimarcare scrivendo nella relazione conclusiva quanto colpisca la dedizione “a volte straordinaria, delle poche persone che lavorano in queste strutture, dagli operatori sanitari ai poliziotti della Polizia Penitenziaria, cronicamente sotto organico. Ad Aversa, nell’ispezione a sorpresa, abbiamo trovato poliziotti in ginocchio vicino agli internati, che rifacevano il piatto doccia di una stanza. Persone straordinarie, con una dedizione che va al di là dei loro compiti”. L’organizzazione del Congresso ha visto quest’anno anche la collaborazione del Consiglio nazionale delle Ricerche che dimostra in tal modo un’attenzione tutta nuova al mondo della detenzione. Il Cnr, infatti, ha l’importantissimo compito di svolgere, promuovere, diffondere, trasferire e valorizzare attività di ricerca nei principali settori di sviluppo delle conoscenze e delle loro applicazioni per lo sviluppo scientifico, tecnologico, economico e sociale del Paese. Giustizia: Presidente Napolitano; nelle carceri condizioni distanti dal dettato costituzionale Redattore Sociale, 24 novembre 2011 Il messaggio inviato dal capo dello Stato al 44esimo convegno del Coordinamento enti e associazioni del volontariato penitenziario. Vietti, vice presidente del Csm: “rispondere con strumenti straordinari”. Roma - “Il presidente della Repubblica rinnova il suo vivo apprezzamento per la meritoria e proficua opera delle Associazioni di volontariato penitenziario nell’alleviare il disagio della condizione carceraria, che troppo spesso appare distante dal dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sul rispetto dei diritti e della dignità delle persone”. È il testo del messaggio inviato dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in occasione del 44esimo convegno del Seac, Coordinamento enti e associazioni del volontariato penitenziario, dal titolo “Dal carcere alle misure alternative. La dignità dei soggetti in esecuzione penale”. Michele Vietti, vice presidente del Csm, ha scritto al Seac in una lettera che “la situazione di evidente sproporzione tra ricettività delle strutture custodiali e la popolazione carceraria è tale non solo da vanificare il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena, ma da far venire meno anche le indispensabili condizioni minime per garantire una convivenza che deve sempre essere ispirata a criteri di rispetto della persona umana, anche nella sua condizione di privazione della libertà”. Parlando di “una realtà insopportabile” che coinvolge detenuti, personale della polizia penitenziaria e volontari, Vietti conclude: “Credo sia giunta l’ora in cui si debba assumere consapevolezza che a situazioni straordinarie, come quella carceraria, si deve rispondere con strumenti altrettanto straordinari, che ogni giorno che passa rende sempre più urgenti”. Anche il segretario della Conferenza episcopale italiana, Mariano Crociata, ha mandato un messaggio. “Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa ricorda che ‘purtroppo le condizioni in cui le persone detenute scontano la loro pena non favoriscono sempre il rispetto della loro dignità; - ha scritto - spesso le prigioni diventano addirittura teatro di nuovi crimini. L’ambiente degli istituti di pena offre, tuttavia, un terreno privilegiato sul quale testimoniare, ancora una volta, la sollecitudine cristiana in campo sociale”. Moroni (Fli): bene Napolitano, ora piano carceri per superare problema “Le parole del presidente della Repubblica Napolitano riportano all’attenzione della politica e dell’opinione pubblica il problema delle carceri italiane che oggi sembra essere passato in secondo piano, nonostante da più parti vengano denunciate condizioni disumane che ledono i diritti e la dignità dei detenuti”. Lo dichiara in una nota il deputato Fli, Chiara Moroni, che aggiunge: “È necessario che la politica intervenga con determinazione perché se da un lato chiediamo pene certe per i colpevoli, dall’altro dobbiamo assicurare loro condizioni di detenzione da paese civile, quale siamo”. “Noi crediamo che sia necessario giungere in tempi brevi al varo di un piano di riorganizzazione delle carceri italiane volto a superare, inoltre, il grave e vecchio problema del sovraffollamento”, conclude l’esponente di Fli. Giustizia: Vietti (Csm); carceri incostituzionali, urgente ricorrere a strumenti straordinari Adnkronos, 24 novembre 2011 “È giunta l’ora di avere consapevolezza che a situazioni straordinarie come quella carceraria si deve rispondere con strumenti altrettanto straordinari, che ogni giorno che passa rende sempre più urgenti”. È l’esortazione contenuta nel messaggio che il vicepresidente del Csm, Michele Vietti ha inviato alla presidente del Seac, il Coordinamento degli enti e delle associazioni del volontariato penitenziario, Luisa Prodi, in occasione del convegno nazionale sul tema del carcere e delle misure penali alternative. Sottolinea Vietti, a proposito dell’emergenza sovraffollamento delle carceri: “La situazione di evidente sproporzione tra la ricettività delle strutture di custodia e la popolazione carceraria è tale non solo da vanificare il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena, ma da far venire meno anche le indispensabili condizioni minime per garantire una convivenza che deve essere ispirata a criteri di rispetto della persona umana, anche nella sua condizione di privazione della libertà”. In questo contesto, per il vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura, “una realtà insopportabile finisce per coinvolgere non solo i detenuti ma anche coloro che lavorano nell’ambiente carcerario, primo fra tutti il personale della polizia penitenziaria ma anche i volontari che, con la loro preziosa opera, contribuiscono non poco ad alleviare le quotidiane sofferenze del sistema”, mentre “la tendenza della politica e della legislazione - osserva Vietti - ondeggia costantemente tra propositi di depenalizzazione e pratiche di penalizzazione”. Giustizia: Unione delle Camere penali; sia nominato un Sottosegretario esperto di carceri Agenparl, 24 novembre 2011 Nel nominare il sottosegretario al ministero della Giustizia sarebbe auspicabile un “segno di discontinuità rispetto al passato”. È quanto segnala l’Unione delle Camere penali commentando le notizie di stampa sui probabili candidati alla nomina di vice del guardasigilli: “Il problema dell’affollamento delle carceri - si legge in una nota della giunta dell’Ucpi - è una delle emergenze che il nuovo governo dovrà affrontare. Per questo, assieme a molte altre associazioni impegnate su questo terreno, nei giorni scorsi l’Unione delle Camere penali ha sottoscritto un appello affinché il sottosegretario alla Giustizia sia persona che possieda, tra le altre, una specifica competenza in materia. Oggi sui giornali - proseguono i penalisti - si legge della possibile individuazione per quella carica di magistrati, per di più requirenti. Senza entrare nel merito delle scelte che competono al governo, e senza nulla togliere al profilo dei diversi candidati, vi è da rilevare che a fronte di un ministero della Giustizia affollato di magistrati fuori ruolo, la nomina di un sottosegretario prelevato direttamente dai ranghi della magistratura - rileva l’Ucpi - mantiene e rafforza la commistione del tutto impropria tra i compiti politici e amministrazione della Giustizia che da decenni si registra. Sarebbe auspicabile che il governo - è la conclusione - desse un segno di discontinuità rispetto al passato dimostrando, tra l’altro, che nel variegato mondo della giustizia è del tutto erroneo identificare la competenza tecnica solo nei magistrati”. Giustizia: Ionta (Dap); più libertà movimento dei detenuti nel carcere e nei colloqui con familiari Redattore Sociale, 24 novembre 2011 Il capo del Dap, intervenuto al convegno del Seac, ha firmato oggi una circolare. Previsto anche un gruppo di studio sui suicidi. “Il sovraffollamento diventa strutturale”. Aumento delle libertà di movimento dei detenuti all’interno del carcere e dei colloqui con i familiari. È quanto stabilisce una circolare diramata oggi da Franco Ionta, capo dell’Amministrazione penitenziaria, per i detenuti comuni, che costituiscono la maggioranza delle persone in carcere. “Con questa disposizione di oggi abbiamo individuato un percorso di detenzione più aperta di quella tradizionale per favorire il riavvicinamento agli affetti - ha reso noto lo stesso Ionta durante il 44esimo convegno nazionale del Seac - pensiamo che queste persone debbano essere seguite durante tutto il percorso, debbano essere progressivamente aumentate le loro libertà di movimento all’interno del carcere e le loro possibilità di incontro con i familiari, questo vale dal primo ingresso fino a tutta la detenzione”. Ionta ha spiegato che “ in passato l’Amministrazione ha rivolto la sua attenzione spesso a chi è detenuto al 41bis e in regime di alta sorveglianza e non ha avuto attenzione per la gran parte dei detenuti, che però subiscono le sofferenze dell’affollamento penitenziario. Chi sta al 41 bis è in cella da solo, i detenuti comuni sono coloro che vivono il sovraffollamento”. Un’altra misura annunciata dal capo del Dap è un gruppo di lavoro per intervenire sui suicidi. “Si tratta di uno studio statistico in particolare con riferimento ai suicidi della polizia penitenziaria - ha spiegato a margine dell’incontro- uno studio comparativo rispetto ad altre forze di polizia e poi un confronto con i dati stranieri. Ma soprattutto prevede, sulla base di questo studio, quali possano essere le misure per intercettare il disagio della polizia penitenziaria e dei detenuti, per mettere in piedi degli strumenti di sostegno e di accompagnamento verso una situazione che può essere migliorata. Vogliamo intercettare quali possono essere i momenti di disagio di queste persone e fare in modo che queste persone, in forma riservata, possano essere avvicinate da soggetti professionali che possano migliorare le loro condizioni psicologiche. È un progetto molto ambizioso a cui attribuisco molta importanza e che io credo possa essere non semplicemente uno studio ma un modello operativo”. Ionta ha anche parlato di una “fase 2 per il Piano carceri”, relativa all’arresto in flagranza di reato, vale a dire a “quelle persone che stanno tre giorni in carcere non possono essere nemmeno definite detenuti”. Secondo il capo del Dap, “per l’arresto in flagranza, espungendo i reati di pericolosità sociale, si potrebbe lavorare per un arresto domiciliare che sostituisca la misura cautelare in carcere”. Ionta ha difeso il suo piano per l’edilizia carceraria. “Si è pensato a una sistemazione logistica più adeguata per i detenuti, il problema del sovraffollamento sta diventando strutturale - ha detto - è impensabile mantenere strutture che non garantiscono vita, salute e dignità delle persone detenute”. Il capo dell’amministrazione penitenziaria ha ricordato che “l’ esecuzione penale esterna è fondamentale nella gestione complessiva del sistema, 17- 18 mila persone sono gestite dal sistema penitenziario fuori dal carcere”. Giustizia: Ferri (Magistratura Indipendente); per le carceri serve una grande e organica riforma Adnkronos, 24 novembre 2011 “Non possono passare sotto traccia gli sforzi di Marco Pannella per porre ancora una volta al centro del dibattito politico i temi della giustizia ed in particolar modo la delicata questione delle carceri italiane. È il tempo per una grande ed organica riforma carceraria e non possiamo sfuggire oltre a tale impegnò. Lo sottolinea Cosimo Maria Ferri, Segretario Generale di Magistratura Indipendente. “Occorrono soluzioni concrete ed incisive per affrontare il problema del sovraffollamento carcerario ma la strada non è quella della amnistia. Peraltro, quando il legislatore decise di percorrere la strada dell’indulto, sarebbe stato opportuno accompagnare tale decisione con un provvedimento di amnistia. Così purtroppo non è stato ed ora è tardi. Si possono però trovare altri rimedi e su questi - prosegue - la magistratura deve fare la propria parte ed aprire un confronto costruttivo con il legislatore”. “Occorrono soluzioni urgenti in merito ai problemi della carcerazione preventiva (quasi il 40% dei detenuti sono soggetti in attesa di giudizio, della modifica della “ex-Cirielli” con riferimento a tutte le limitazioni per i recidivi, dell’edilizia penitenziaria, ormai vetusta, del notevole incremento della popolazione detenuta di origine extra comunitaria e della massiccia presenza di soggetti condannati per pene detentive brevi (anche di pochi mesi) per i quali il ricorso alle misure alternative è ostacolato da preclusioni normative. Queste e molte altre -conclude- sono le tematiche da affrontare e per la cui soluzione non mancherà certamente la collaborazione e l’apertura al dialogo di Magistratura Indipendente”. Giustizia: Crociata (Cei); condizioni detenuti non sempre rispettano la loro dignità Adnkronos, 24 novembre 2011 “Le condizioni in cui le persone detenute scontano la loro pena non favoriscono sempre il rispetto della loro dignità”. È quanto osserva monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, nel messaggio inviato alla presidente del Seac, il coordinamento degli enti e delle associazioni di volontariato penitenziario Luisa Prodi, in occasione del convegno nazionale dedicato al tema del carcere e delle misure penali alternative, in corso all’istituto “Suore di Maria Bambina” a Roma. Citando il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, il segretario generale della Conferenza episcopale italiana sottolinea come “spesso le prigioni diventino addirittura teatro di nuovi crimini. L’ambiente degli istituti di pena, tuttavia, offre un terreno privilegiato sul quale - incoraggia monsignor Crociata - testimoniare ancora una volta la sollecitudine cristiana in campo sociale”, tenendo in tal modo “vivo il rapporto tra la comunità cristiana, il carcere e il contesto sociale che attorno ad esso gravita”. Giustizia: gratuito patrocinio; competenze liquidate solo per interventi funzionali al processo di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 24 novembre 2011 Il gratuito patrocinio non copre anche l’attività stragiudiziale. A meno che questa non sia direttamente collegata alla difesa in giudizio. Lo chiarisce la Corte di cassazione con la sentenza n. 24723 della seconda sezione civile depositata ieri. La Corte ha così respinto il ricorso presentato da un legale torinese contro la decisione della Corte d’appello che aveva bollato con l’illegittimità la richiesta di liquidazione delle competenze per l’attività stragiudiziale svolta come difensore di una donna ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Sul punto, i giudici osservano innanzitutto che le disposizioni del decreto 115 del 2002 prevedono che l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è possibile a favore del cittadino che risulta non abbiente e quando le sue ragioni non risultano manifestamente infondate. Inoltre, l’ammissione è valida per ogni grado di giudizio e per ogni fase del processo. La disciplina del gratuito patrocinio si applica, inoltre, anche all’esecuzione, alla revocazione e all’opposizione di terzo. Tutto un pacchetto di misure che non lascia, a giudizio della Cassazione alcun dubbio sul fatto che il patrocinio a spese dello Stato è previsto esclusivamente per la difesa in giudizio del cittadino senza risorse economiche. La legge, in questo modo ha voluto dare attuazione all’articolo 24 della Costituzione sul diritto alla difesa tecnica. “Ed invero - sottolinea la sentenza -, l’onere posto a carico dello stato e quindi della collettività intanto è giustificato in quanto sia preordinato a soddisfare l’esigenza di assicurare il ricorso alla tutela giurisdizionale nel caso in cui la pretesa del cittadino non abbiente non risulti manifestamente infondata perché altrimenti si verrebbe a negare il riconoscimento di diritti per l’impossibilità del singolo di accedere alla giurisdizione a causa delle proprie condizioni economiche”. Pensare, come è stato fatto nelle argomentazioni alla base del ricorso, che l’articolo 124 del decreto 115 del 2002 possa corroborare la richiesta di un riconoscimento anche dell’attività stragiudiziale è fuori luogo. È vero che la norma utilizza l’espressione “quando il processo non pende”, ma, nella lettura della Cassazione, il riferimento è alla situazione processuale in cui la domanda di accesso all’assistenza a spese dello Stato è presentata prima dell’inizio del giudizio con l’obiettivo di avvalersi del patrocinio per l’azione ancora da intraprendere ma a essa finalizzata. Come pure non va considerato centrato il riferimento fatto dal ricorso al precedente della Cassazione che avvalorava una qualche forma di riconoscimento dell’attività stragiudiziale. In realtà quella pronuncia va letta nel senso di considerare giudiziali e quindi soggetta a gratuito patrocinio anche tutte quelle attività stragiudiziali che, essendo strettamente dipendenti dal mandato della difesa, vanno considerate strumentali o complementari alle prestazioni giudiziali, cioè “quelle attività che siano svolte in esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentanza e la difesa in giudizio (e sulla base di tale presupposto è stato riconosciuto dovuto il compenso per l’assistenza e l’attività svolta dal difensore per la transazione della controversia instaurata dal medesimo)”. Respinta anche la questione di illegittimità costituzionale proposta per l’assenza della copertura. Lettere: caro Ministro, faccia un giro tra le celle… se non ha paura degli zombie di Renato Farina Tempi, 24 novembre 2011 C’è un nuovo ministro della Giustizia. Si chiama avvocato Paola Severino. Non avendo mai fatto il deputato e neanche il magistrato, né essendo stata incarcerata, dubito abbia visitato le carceri al di fuori degli stanzini degli interrogatori. Ci vada subito. Vorrei qui raccontare, da Diavolo acido della Tasmania, una piccola vicenda in cui ci sono tutti i guai di questa giustizia, sia decisione sulla libertà, sia modo della prigionia. Ho conosciuto Luigi Chiriaco per puro sbaglio nel carcere di Monza, standomene sulla spalla del mio avatar. All’ultimo piano dei reparti di alta sicurezza, in una cella in cui dovrebbe starcene uno stavano in tre. Ma io ne vedevo due. Per forza, uno di essi era uno spettro, una presenza zombica e trasparente, ossa sbriciolate, ma poi la barba diceva che qualcuno era lì. Questo qui era tale Chiriaco. Quello di Pavia, incarcerato per ‘ndrangheta, al potere in politica acquistando voti, schiacciato da intercettazioni tremende/ Lo pensai, ma non lo dissi. Uno scheletro in galera non dovrebbe starci, pensai. Era stato sbattuto dentro su richiesta della pm di Milano Ilda Boccassini. Poi ho saputo della assoluzione (restano altri processi). L’ho saputo da lui stesso a San Vittore: stava meglio, cominciava a essere curato, ma la prima forma di salute si chiama giustizia. Il primo processo, quello dove la certezza delle accuse era scontata, aveva visto la sua assoluzione. Non poteva spiegarmi cosa fosse successo, ma quello scheletro sorrideva. Alcuni giorni fa, il Corriere della Sera, con un articolo di Luigi Ferrarella, ha spiegato il motivo dell’assoluzione. Sembra incredibile a raccontarlo. Sembra incredibile anche che nessun cronista di giudiziaria, compreso il medesimo Ferrarella, non abbia sollevato neanche un dubbio quando la Procura assicurò di come esistessero telefonate a un infermiere per comprare il voto suo e di altri tizi sensibili alla ‘ndrangheta. Come mai, nessuna incertezza? Basta leggere gli articoli ideologici di Ferrarella sulla giustizia. Sintesi. Le intercettazioni sono la verità. Se le impugna la Procura di Milano o la Procura Antimafia sono la Bibbia, il giudizio di Dio. Comunque sia, benvenuto Ferrarella nel club della Tasmania. Il Tribunale insomma ha giudicato così: “L’infermiere non era iscritto nelle liste elettorali del comune”, hanno spiegato i giudici. “È sorprendente scoprire che non furono fatti accertamenti immediati per verificarne la qualità di elettore a Pavia, ed è difficile spiegarsi perché sia stata portata avanti un’accusa che per metà è inesistente più che infondata”. Chiriaco ha pagato inoltre un perito perché sentisse con un orecchio meno prevenuto le telefonate per vedere se era proprio come avevano riferito gli esperti della Boccassini. Bum! Balle! Esempio. 1) “Rischiamo un po’ troppo”, dice Chiriaco secondo la versione della Procura; “Adesso chiamo Luca Tronconi”, trascrive il perito chiriachense. 2) “Ho comprato due voti” (versione Procura); “Ho contato i suoi voti” (tesi Chiriaco). Se vale l’udito del perito boccassiniano c’è la prova netta, condanna arcisicura. Se no, zero. Il Tribunale come fa a decidere? Sente le telefonate, ha anche lui le orecchie. Risultato? Assoluzione. E allora? Bè, lì qualcuno o era sordo oppure gli è convenuto esserlo. Quando c’è in ballo la libertà e la reputazione della gente, come si chiama questo errore? E il trattamento è quello di un carcere-lager? Avvocato Severino, se si fida di un Diavolo, accerti un po’... Emilia Romagna: Mumolo (Pd); Desi Bruno Garante dei detenuti… la migliore scelta possibile Redattore Sociale, 24 novembre 2011 Secondo il consigliere regionale del Pd, Antonio Mumolo, la scelta di Desi Bruno come garante regionale dei diritti dei detenuti è “una garanzia per coloro che si trovano in carcere”. Per il consigliere regionale del Pd Antonio Mumolo, l’elezione di Desi Bruno come nuovo garante regionale dei diritti dei detenuti è la migliore scelta possibile. “L’assemblea ha eletto una persona di grande spessore e con un curriculum particolarmente ricco - ha detto Mumolo - e che ha dato prova delle sue capacità in materia svolgendo per 5 anni il ruolo di garante per il Comune di Bologna e per 3 anni il ruolo di coordinatrice nazionale dei garanti territoriali delle persone private della libertà personale”. Secondo Mumolo, la nomina di Desi Bruno è, dunque, una garanzia per coloro che si trovano in carcere. “Faccio le mie più sentite congratulazioni a Desi Bruno e le invio un grande in bocca al lupo per il difficile lavoro che la aspetta - ha detto il consigliere - saprà ricordare a tutti che il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”. Desi Bruno, avvocato penalista, ex garante dei detenuti del Comune di Bologna ed ex coordinatrice nazionale dei garanti territoriali, è stata eletta garante dei detenuti della Regione Emilia-Romagna con il minimo dei voti necessari (26). Le prime due votazioni non sono andate a segno, perché serviva la maggioranza qualificata di due terzi dell’aula. Al terzo tentativo, è bastata la maggioranza semplice, appunto 26 voti a favore. E così la nomina è passata. Assenti due consiglieri del Movimento 5 Stelle e 1 dell’Udc. Pdl e Lega Nord si sono espressi con 9 schede bianche e 4 nulle. Carini (Pd): punto di riferimento anche per le Novate “È una nomina importante che va a dare piena applicazione - sottolinea il consigliere regionale piacentino del Pd Marco Carini - ad una norma della legge regionale sul carcere. L’insediamento dell’ufficio regionale del garante può costituire un fondamentale punto di riferimento per gli operatori sociali e per i volontari che si occupano di persone detenute. Il nuovo garante regionale Desi Bruno, ha già svolto il ruolo di coordinatrice nazionale dei Garanti territoriali dei diritti delle persone private della libertà personale, pertanto è a conoscenza dei problemi che attanagliano il sistema carcerario regionale , in primo luogo il sovraffollamento e la carenza di personale. Sono sicuro che saranno a breve oggetto dell’attenzione della nuova garante anche i problemi che da tempo attendono una soluzione al carcere di Piacenza delle Novate e che ho rappresentato attraverso un’interrogazione all’assemblea regionale”. Toscana: 1.300 in più del consentito… l’ennesimo appello della Polizia penitenziaria www.toscananews24.it, 24 novembre 2011 L’attuale grave sovraffollamento degli istituti penitenziari toscani rischia di diventare quotidianità, è quanto ha affermato Giuseppe Boccino, segretario generale aggiunto del Lisiapp che ha poi aggiunto: “In Toscana, a fronte di una capienza regolamentare di 3.035 posti, oggi nelle carceri sono presenti 4.303 detenuti, circa 1.300 in più del consentito; diversamente da quanto previsto dall’organico stabilito, che fissa per la predetta regione, un contingente di personale di 3.021 poliziotti penitenziari”. “Sono mesi ormai - ha proseguito l’esponente sindacale - che il Lisiapp lancia invano continue grida di allarme sulla gravità e insostenibilità della situazione, e sull’esigenza di dotare oggi, e non domani, il sistema penitenziario del Paese delle soluzioni e delle risorse ritenute essenziali a fronteggiare e superare l’attuale emergenza. Se non si interverrà al più presto, e se non saranno quanto prima assunte le 6.000 unità di polizia penitenziaria mancanti dall’attuale organico, con i circa 1.000 ingressi al mese stimati dal piano carceri. Entro la fine dell’anno nelle patrie galere verranno ospitati almeno 70 mila detenuti”. “Il malumore che si vive quotidianamente tra i poliziotti penitenziari monta e si allarga - ha concluso Boccino - i lavoratori sono stanchi di essere vessati dalle istituzioni regionali e da una amministrazione centrale lontana anni luce dai loro bisogni. Confidiamo nel nuovo ministro della Giustizia che prenda veramente in considerazione il dovere istituzionale di adoperarsi per evitare che l’emergenza carcere in atto rischi di produrre l’ingovernabilità del sistema”. Roma: Bernardini; a Regina Coeli sovraffollamento e strutture carenti, è emergenza umanitaria www.clandestinoweb.com, 24 novembre 2011 Rita Bernardini ha fatto visita al penitenziario romano di Regina Coeli ed ha denunciato una situazione a dir poco allarmante. Dopo aver visto con i suoi occhi la situazione in cui vivono i detenuti nel carcere nel centro di Roma, l’onorevole Radicale ha scelto di fare un’interrogazione parlamentare, pubblicata integralmente sul suo blog. Quanto si legge fa letteralmente rabbrividire. Bernardini chiede al nuovo ministro della Giustizia di approfondire la vicenda di Regina Coeli che non è più in grado di “garantire standard accettabili di carcerazione”, scrive la Bernardini nell’interrogazione. Qui il sovraffollamento ha toccato i massimi storici: “Sono presenti 1.197 detenuti su una capienza regolamentare di 724 posti e tollerabile di 1002; di questi ben 676 risultavano essere stranieri (comunitari ed extracomunitari). Un detenuto su quattro è in attesa di appello, mentre i detenuti tossicodipendenti ammontano a 672 e quelli affetti da Hiv a 37”. “Il dato delle presenze fa letteralmente impallidire atteso che si legge ancora nell’interrogazione - lo stesso è aggravato dal fatto che attualmente nella casa circondariale di Regina Coeli una sezione e mezza risulta essere chiusa per lavori di ristrutturazione; il numero dei reclusi supera di molto anche quella capienza tollerabile spesso usata dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria come metro di misura per minimizzare il dramma del sovraffollamento”. Il tutto fa si che “i detenuti sono costretti a dormire in sei o otto in celle che dovrebbero contenerne la metà o su materassi gettati in terra in locali destinati alla socialità, con soli 20 minuti di aria al giorno a disposizione, qualche volta senza mangiare, e con il rischio di epidemie alle porte”. E ancora nella sezione Nuovi Giunti “il sovraffollamento, i divieti di incontro scrive Rita Bernardini - i casi di isolamento sanitario e disciplinare rendono la situazione ingestibile: 3 detenuti sono ristretti all’interno di celle di circa 6.mq, costruite per contenere una sola persona; gli stessi rimangono chiusi nelle loro stanze 23 ore e 40 minuti su 24 nell’ozio più completo (soltanto dieci di loro lavorano) e con il blindato della cella che si chiude alle 18 fino al mattino successivo; Regina Coeli i detenuti, essendo ristretti in spazi non superiori ai 2 mq a testa, dispongono di un terzo dello spazio che le direttive europee impongono per gli allevamenti di suini” L’onorevole Bernardini parla di “una situazione di vera e propria emergenza umanitaria” dopo aver visitato il carcere di Regina Coeli per questo chiede al governo Monti ispezioni e risposte immediate. Per i detenuti 1/3 dello spazio che l’Europa impone per gli allevamenti di suini Una situazione di vera e propria emergenza umanitaria, non ancora deflagrata grazie al senso di responsabilità dei detenuti e, soprattutto, all’impegno della polizia e degli operatori penitenziari”. Così la deputata radicale Rita Bernardini descrive le condizioni del carcere di Regina Coeli, in un’interrogazione parlamentare dopo la visita ispettiva (non preannunciata) effettuata lo scorso 22 novembre insieme all’avvocato Alessandro Gerardi e Irene Testa, segretaria dell’associazione radicale Il Detenuto Ignoto. Realizzata nel 1600 la struttura richiede continui e costosissimi lavori di restaurazione e ormai non è più in grado di garantire standard accettabili di carcerazione, anche a causa del grave sovraffollamento che vede 1.197 detenuti presenti, al momento della visita della delegazione radicale, a fronte di una capienza regolamentare di 724 posti e “tollerabile” di 1.002. Il sovraffollamento, si legge nell’interrogazione, aggravato dalla chiusura per ristrutturazione di una sezione e mezza dell’istituto, ha determinato un peggioramento delle condizioni di lavoro degli operatori penitenziari e in particolar modo degli agenti di polizia penitenziaria in cronica carenza di organico; oltre, ovviamente, a ripercuotersi in maniera grave sulla vita dei detenuti, che nel reparto “Nuovi Giunti” vivono in 3 in celle di circa 6 mq, costruite per contenere una sola persona, e alcuni sono costretti a dormire sul pavimento; con il blindato che si chiude alle 18 fino al mattino successivo e soli 20 minuti di aria al giorno, nell’ozio più assoluto: senza momenti di socialità e senza poter cucinare. I gabinetti sono spesso rotti, la doccia è limitata a due o tre volte alla settimana e ciascuno può contare su un solo rotolo di carta igienica fornito dall’amministrazione. Una situazione allarmante anche sotto il profilo igienico-sanitario per il rischio che scoppino epidemie di malattie contagiose come tubercolosi e scabbia. Si registra inoltre il taglio del 35 per cento al già esiguo monte ore degli psicologi penitenziari, chiamati nel reparto “Nuovi giunti” a valutare le condizioni psicologiche di chi ha appena varcato la soglia del carcere e il pericolo che compia atti di auto o eterolesionismo: sono infatti solo 24 le ore mensili, da ripartire fra 7 psicologi; mentre per l’osservazione e trattamento sono previste solo 10 ore mensili. La direttiva europea 2008/120/CE del Consiglio (18 dicembre 2008) riguardante le norme minime per la protezione dei suini stabilisce che “I suini traggono beneficio da un ambiente che corrisponde alle loro esigenze in termini di possibilità di movimento e di comportamento esplorativo. Il loro benessere sembra essere pregiudicato da forti restrizioni di spazio”; che “i recinti per i verri devono essere sistemati e costruiti in modo da permettere all’animale di girarsi e di avere il contatto uditivo, olfattivo e visivo con gli altri suini. Il verro adulto deve disporre di una superficie libera al suolo di almeno 6 mq”. “È possibile pertanto affermare che nel reparto nuovi giunti del carcere di Regina Coeli i detenuti, essendo ristretti in spazi non superiori ai 2 mq a testa, dispongono di un terzo dello spazio che le direttive europee impongono per gli allevamenti di suini”, scrive la deputata radicale, che ai ministri della Giustizia e della Salute chiede, tra l’altro quali iniziative intendano intraprendere al fine di: rimuovere tutte le criticità e aberrazioni evidenziate nell’interrogazione e di garantire così il rispetto del terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione secondo il quale “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Rita Bernardini ha inoltre deciso di portare a conoscenza anche del Magistrato di Sorveglianza, dott. Giovanni Tamburino, gli esiti della visita ispettiva, affinché si attivi esercitando i poteri/doveri che gli attribuisce l’ordinamento penitenziario in materia di vigilanza sul rispetto delle leggi e dei regolamenti che sovrintendono l’esecuzione della custodia in carcere. Piacenza: il caso del maresciallo dei Carabinieri detenuto nello stessa città dove prestava servizio Notizie Radicali, 24 novembre 2011 I Senatori Radicali Marco Perduca e Donatella Poretti hanno oggi presentato un’interrogazione a risposta scritta alla Ministro della giustizia relativa al caso di un Maresciallo dei Carabinieri recluso in regime di custodia cautelare nel carcere della zona in cui ha lavorato per anni. “Per motivi di sicurezza degli interessati i responsabili delle forze dell’ordine che vengono arrestati vengono trasferiti nell’unico istituto di pena militare di Santa Maria Capua Vetere” hanno detto in premessa i Radicali, “Così non è avvenuto per il Maresciallo Fabrizio Vinci di Roma il quale, da circa una settimana, ha iniziato a soffrire di coliche renali. Le uniche cure che la Casa circondariale è stata finora in grado di offrire sono state esclusivamente delle gocce di Valium, mentre per tale patologia occorrono iniezioni di medicinali specifici come Toradol, Muscoril oppure Buscopan oltre che analisi specifiche al fine di meglio comprendere il motivo dei dolori.” Nell’interrogazione I Senatori Radicali chiedono innanzitutto per quali motivi la Casa Circondariale di Piacenza non consente analisi specializzate a detenuti che mostrino chiare patologie e perché vengano somministrati solo placebo anche in casi di pene acute. In secondo luogo i senatori Radicali chiedono al nuovo Ministero Cancellieri se non ritenga urgente separare il Maresciallo Vinci dall’ambiente in cui qualcuno, anche in una sezione di alta sicurezza, potrebbe riconoscerlo dando atto ad azioni potenzialmente pericolose per la sicurezza individuale del detenuto in regime di custodia cautelare, e se non ritenga urgente per la tranquillità dell’intero istituto trasferire il detenuto nell’apposito centro di Santa Maria Capua Vetere. Martedì prossimo la Ministra della giustizia presenterà il suo programma davanti alla Commissione giustizia del Senato e la questione verrà affrontata anche a voce. Ancona: Binci (Sel): forte preoccupazione per la situazione del carcere di Montacuto www.anconanotizie.it, 24 novembre 2011 Il consigliere regionale di Sinistra Ecologia Libertà, Massimo Binci, esprime fortissima preoccupazione per la situazione in cui versa il carcere di Montacuto, concordando con quanto affermato da Aldo Di Giacomo segretario regionale del sindacato Sappe. Ad accrescere i timori di chi si impegna da anni per un utilizzo della Giustizia che applichi in pieno l’articolo 27 della Costituzione. “È triste constatare - afferma Binci - che, nonostante la denuncia e le prese di posizione in merito al sovraffollamento carcerario, non vengano prese conseguenti decisioni da parte del governo. La casa circondariale di Ancona ospita 440 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 178 persone, le 7 carceri marchigiane ne ospitano 1163 in luogo delle 750 regolamentari. Vivere in queste condizioni, dove i letti a castello a tre piani non bastano più e si mettono materassi a terra, per i detenuti rappresenta un livello non più umano”. “Non migliore - continua il consigliere di Sel - lo status lavorativo per gli agenti di polizia penitenziaria che sono in rapporto molto inferiore al necessario (6 a 10)”. Il consigliere ricorda inoltre che anni di profondo impegno delle associazioni di volontariato facenti capo alla Conferenza Regionale Volontariato Giustizia avevano fatto sì che l’Assemblea Legislativa istituisse una commissione ispettiva dei penitenziari marchigiani, al termine delle quali erano state votate due risoluzione il 19 di luglio. L’impegno preso dal Governo delle Marche costituisce un punto determinato di pressione nei confronti del Governo Nazionale, perché renda funzionale la casa di reclusione di Ancona-Barcaglione al fine di consentire la decongestione di Ancona-Montacuto, Fermo e Camerino. Aumenti l’organico degli agenti di custodia, ma soprattutto affronti le vere cause di sovraffollamento, come le leggi riempi carceri Bossi-Fini, Fini-Giovanardi e Cirielli, depenalizzi i reati minori, pretenda e faciliti il trasferimento di detenuti stranieri nelle carceri dei rispettivi Paesi di provenienza, stabilisca un rapporto con i Magistrati di Sorveglianza per agevolare le pene alternative sulle quali anche la LR 28/08 si sta indirizzando con progetti sperimentali. Il Consigliere di Sinistra Ecologia Libertà si rivolge al Governatore Spacca perché colga l’occasione dell’insediamento della nuova Ministra alla Giustizia, Paola Severino, per ricordarle quanto i rappresentanti nelle istituzioni dei marchigiani hanno deciso in materia di Giustizia. Viterbo: Ugl: tagli ai rinforzi della Polpen, per ora arriveranno solo 13 dei 22 agenti promessi Il Tempo, 24 novembre 2011 “In realtà - spiega il segretario nazionale Moretti dell’Ugl - il Dipartimento aveva deciso di inviare 22 unità, visto che 2 erano in uscita dal carcere viterbese. 9 agenti hanno, però, rinunciato al trasferimento preso la casa circondariale viterbese e di fatto saranno inviate solo 13 unità. Abbiamo, quindi, chiesto al Dipartimento di attivarsi per lo scorrimento delle graduatorie in modo da farci pervenire le restanti 9 unità. Gli agenti - ha proseguito Moretti - prenderanno servizio in questi giorni. Il tutto avverrà entro la fine del mese”. Sull’insediamento del nuovo direttore del carcere, la dott.ssa Mascolo, Moretti spiega: “Avremo il nuovo direttore intorno al 10 dicembre prossimo”. Il segretario provinciale dell’Ugl di Viterbo, Danilo Primi, ritiene “paradossale questa situazione”, visto che al momento “sono arrivate solo 8 unità, che sono una goccia nel mare. La graduatoria - prosegue - doveva essere scalata subito dopo le rinunce dei 9 agenti. A tutt’oggi ci troviamo ancora una volta con la carenza di personale e con il numero di detenuti che è di nuovo aumentato, dopo un piccolo “sfollamento” avvenuto alla fine di settembre. Siamo tornati a sfiorare le 730 unità di detenuti, con i padiglioni che sono di nuovo pieni e con il rischio promiscuità tra detenuti comuni e quelli di alta sicurezza”. Primi lamenta anche una latitanza da parte della direzione per quanto riguarda i rapporti con i sindacati. “Se il discorso non cambierà con la nuova direttrice Mascolo - conclude - l’Ugl sarà pronta a scendere di nuovo in piazza”. Intanto, domani, presso la sala riunioni della Uil di Viterbo, si riunirà il Comitato direttivo di Roma e Lazio della Uilpa penitenziari, composto da 24 delegati dei coordinamenti delle province di Viterbo, Roma, Rieti, Frosinone, Latina e degli istituti penitenziari di Civitavecchia, alla presenza del segretario generale Eugenio Sarno e del segretario nazionale Giuseppe Sconza ed il presidente del coordinamento nazionale Sergio Grisini. “Quella di Viterbo - dichiara Daniele Nicastrini- è stata scelta come sede simbolo di tutti gli istituti penitenziari del Lazio, dove il sovraffollamento supera le 6500 presenze, ovvero oltre 1.800 detenuti in più con un personale sempre più insufficiente con 3140 unità di cui 340 destinati ai servizi Ntp, servizi presso i Palazzi di Giustizia, reparti ospedalieri protetti di Roma e Viterbo, rispetto ad una pianta organica prevista di 4.136 unità”. Nicastrini spiega che l’incontro di domani sarà un momento di riflessione e discussione su quanto avvenuto nel 2011 sulle questioni irrisolte in tema di carceri e su quanto bisognerebbe fare per affrontare i problemi del personale di polizia penitenziaria, “sempre più vittime silenziose per una disattenzione dei massimi organi istituzionali dei problemi che emergono in un contesto lavorativo sempre più insidioso, che ha visto solo nel 2011 ben 7 agenti morti per suicidio”. “Uno di questi suicidi - ricorda Nicastrini - ha riguardato un ispettore di Viterbo. L’amministrazione ha dichiarato di voler creare un gruppo di lavoro esperto in materia”. Nuoro: gli negano accesso a scuola e laboratori, ergastolano-scrittore si cuce bocca per protesta Ansa, 24 novembre 2011 Drammatico gesto autolesionistico di un detenuto del carcere nuorese di Badu ‘e Carros che da domenica scorsa si è cucito la bocca e rifiuta cibo e acqua per protesta. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, che ha ricevuto un accorato appello dall’ergastolano. L’uomo, Alessandro Bozza, 50 anni, di Vinosa (Taranto) in stato di detenzione da 20 anni per un ergastolo, si ritiene vittima di una ingiustizia. Gli è stato precluso - precisa - l’accesso al laboratorio, dove effettua dei piccoli lavori, e alla scuola, che frequenta con profitto, in seguito a un certificato medico che ne attesta la non idoneità. Il detenuto tuttavia ritiene il provvedimento non fondato e in contrasto con un altro certificato che al contrario lo definisce abile al lavoro. Le condizioni di salute del cittadino privato della libertà sono sotto stretto controllo medico. “Alessandro Bozza, ideatore e autore dei libri-farfalla con i racconti, le favole e le filastrocche dedicate ai bambini dai detenuti della sezione Alta Sicurezza dell’Istituto Penitenziario di Bad’e Carros, è una persona di poche parole - afferma Caligaris - con una straordinaria sensibilità. La permanenza in carcere ha esasperato questa condizione rendendo il suo equilibrio particolarmente delicato come sanno molto bene gli operatori dell’area educativa, avendo egli partecipato con successo anche alla realizzazione del volume di poesie “Fuori dall’ombra” pubblicato nel 2006”. “Una persona carica di sofferenza che ha trovato nella produzione dei libri-farfalla e negli altri piccoli lavori che realizza in carcere la principale ragione della sua esistenza. Non consentirgli l’accesso al laboratorio e alla scuola, senza una motivazione condivisa, è per lui l’equivalente di rinunciare alla vita. Il gesto estremo che ha compiuto - sostiene la presidente di Sdr - è per lui l’unico in grado di fargli esprimere lo stato d’animo in cui si trova. Una rinuncia a vivere che è un fragoroso urlo di disperazione. Non è la prima volta che Bozza si cuce la bocca. Quattro anni fa aveva compiuto lo stesso gesto, dopo 34 giorni di sciopero della fame. Poi una cella singola, la passione per lo studio e la realizzazione dei libri-farfalla gli avevano restituito l’equilibrio”. “Davanti ad atti così drammatici e con prevedibili pesanti negative conseguenze per la salute occorre - conclude Caligaris - mettere da parte l’orgoglio della ragione e condividere l’umiltà dell’ascolto. È necessario insomma far prevalere il buon senso e le Istituzioni devono necessariamente usare le parole in modo preminente. Non è sempre facile ma non si deve mai dimenticare che lo stato di privazione della libertà è innanzitutto dolorosa solitudine. Una condizione che ingigantisce ogni gesto, specialmente per chi forse non ha conosciuto altro che privazioni. L’auspicio è quindi quello di una rapida ripresa del dialogo per il superamento della pesante difficoltà che rischia di degenerare irrimediabilmente”. Belluno: progetto per lavanderia industriale in carcere finanziato dalla Fondazione Cariverona Corriere delle Alpi, 24 novembre 2011 Una nuova lavanderia industriale per poter dare avvio al progetto di inserimento lavorativo dei detenuti e degli ex detenuti. È questo il succo del piano “Esodo”, finanziato dalla Fondazione Cariverona con 430mila euro in tre anni per il Bellunese. Il progetto interprovinciale nasce dall’incontro della Fondazione Cariverona, le Caritas diocesane di Verona, Vicenza e Belluno e del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria del Triveneto, con l’obiettivo di promuovere e sostenere percorsi strutturati ed organici di inclusione socio-lavorativa a favore di persone detenute o ex detenute. Il progetto intende favorire anche la creazione di una rete coordinata dalle tre Caritas venete, in grado di definire gli interventi e di inserirli all’interno del proprio territorio. Il progetto ha un sostegno economico della Fondazione bancaria di 1,8 milioni di euro, di cui 430mila appunto a Belluno, 800mila euro a Verona e 520mila a Vicenza. Tre le aree di intervento del progetto Esodo: formazione, inclusione sociale, lavoro. Molte le associazioni, cooperative, consorzi ed enti che le sviluppano e mettono in pratica sotto la supervisione della Caritas. Per quanto riguarda Belluno, si è pensato di ristrutturare l’ex officina Rizzato e adibirla a lavanderia industriale. Attualmente nella piccola lavanderia lavorano un paio di detenuti, ma grazie ai prossimi lavori, il numero degli addetti potrà essere allargato. “Sono anni”, sottolinea la direttrice della casa circondariale di Baldenich, Immacolata Mannarella, “che attendiamo i contributi per ristrutturare gli ambienti non utilizzati del carcere. Finalmente, grazie alla fondazione Cariverona, li riceviamo. In questo tempo ci siamo spesi per far sì che i detenuti imparino qualche professione, in modo da poter trovare lavoro una volta scontata la pena. Ora c’è l’opportunità offerta dalla lavanderia, con la speranza che la cooperativa che avrà in carico servizio e detenuti, possa allargare in tempi brevi il numero di clienti tra albergatori e ristoratori. Tutto questo ci permetterebbe di far lavorare un sempre maggior numero di detenuti. Il futuro? Vogliamo puntare su alcune attività artigiane, con un occhio rivolto al territorio e al mercato del lavoro”. Intanto alla casa circondariale di Baldenich i problemi vanno acuendosi sempre di più. “C’è il problema della carenza di personale”, dice Roberto Agus della Cisl funzione pubblica, “anche se questo dovrebbe mitigarsi in tempi brevi con l’arrivo di una decina di unità. Vedremo poi se ci sarà un beneficio o meno, visto che cinque colleghi andranno in pensione entro l’anno e qualche altro all’inizio del prossimo. A oggi siamo 87 unità, mentre l’organico ne prevedrebbe 122”. Genova: con “Creazioni al fresco” le detenute di Pontedecimo in passerella per un giorno Ansa, 24 novembre 2011 Abiti, borse e bijoux realizzati dalle detenute del carcere di Pontedecimo. Si intitola “Creazioni al fresco” la collezione presentata domani sera dalle stesse detenute, che sfileranno tra le vasche dell’Acquario di Genova. Una iniziativa dell’assessorato alle Politiche sociali della Regione Liguria in occasione della giornata internazionale contro la violenza alle donne. “Sarà un’occasione per valorizzare il lavoro e l’impegno, frutto dell’ingegno e dell’opera manuale di donne che hanno una storia difficile e travagliata”, commenta l’assessore regionale alle Politiche Sociali, Lorena Rambaudi. L’evento, aggiunge, “coincide volutamente con la giornata internazionale contro la violenza sulle donne e vuole essere un evento per stimolare la riflessione e la presa di coscienza su quella che in Italia è diventata una vera emergenza sociale e che è la maggiore causa di morte e di invalidità per le donne tra i 16 e i 70 anni”. La sfilata sarà accompagnata dalle letture di altre detenute di Pontedecimo che frequentano la scuola in carcere. Gela (Ct): Osapp; lunedì apre la nuova Casa di reclusione, arriveranno 40 detenuti Adnkronos, 24 novembre 2011 “Riteniamo di poter annunciare l’apertura della Casa di reclusione di Gela lungo statale 117 bis, che avverrà il 28 novembre”. A darne notizia è Mimmo Nicotra, vice segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, che aggiunge: “Finalmente, dopo avere superato le costanti difficoltà che venivano rappresentate da Roma, arrivano 50 appartenenti al Corpo, compresi 2 commissari”. “Inizialmente sarà presidiata esclusivamente dal personale di polizia per la bonifica dell’Istituto - aggiunge - e, nei giorni a seguire, arriveranno circa 40 detenuti. Finalmente - conclude il sindacalista - un altro tassello si aggiunge alla lotta alla criminalità per il ripristino della legalità al centro della Sicilia in una realtà come quella di Gela”. Modena: in arrivo 17 nuovi poliziotti penitenziari, ma il problema resta sovraffollamento www.ilsitodimodena.it, 24 novembre 2011 I sindacati ancora sul piede di guerra. Si aggiungeranno al personale in servizio 17 unità, ma il problema restano i troppi detenuti. Nei prossimi giorni è previsto l’arrivo di 17 nuovi agenti presso la casa circondariale di Sant’Anna. “Ciò significa che le mobilitazioni messe in atto nei mesi scorsi e i continui appelli presso il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria hanno riscosso l’auspicata attenzione” affermano con soddisfazione i sindacalisti di polizia penitenziaria Fp-Cgil, Uil-Polpen, Sinappe e Cnpp. Certamente con l’arrivo dei nuovi poliziotti rappresenterà una boccata d’ossigeno per la struttura penitenziaria modenese, che soffre da diverso tempo di notevoli problemi di sovraffollamento. Ad oggi presso il Carcere di S. Anna sono detenute 420 persone, a fronte di una capacità ricettiva di 220 detenuti (anche se la tolleranza massima prevista è di 400). A fronte di questi numeri, il personale di polizia in servizio è composto da 165 unità, mentre il numero ideale sarebbe di 221. “Ovviamente con questi numeri - aggiungono i sindacalisti - è ancora improponibile qualsiasi apertura del nuovo padiglione ormai completato e che potrà essere utilizzato solo con l’arrivo di un numero di poliziotti adeguato al rispetto delle regole esistenti, altrimenti sarà violato ogni standard di sicurezza (come fino ad oggi è stato). Per quanto ci riguarda continueremo a insistere nella nostra opera di sensibilizzazione verso il ministero della Giustizia affinché la casa circondariale modenese possa essere dotata di un numero di poliziotti adeguato, ma soprattutto che si possa avviare una procedura di trasferimento dei detenuti in sovrannumero rispetto a quelli previsti, visto che il padiglione che ospita i detenuti presenta una serie di problemi che ne condizionano fortemente l’agibilità”. Torino: al Polo universitario per studenti detenuti inaugurazione Anno accademico 2011-2012 www.piemontepress.it, 24 novembre 2011 Mercoledì 30 novembre alle ore 10,00, presso la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno (Via Pianezza 300, Torino), Palazzina Arcobaleno, si terrà l’inaugurazione dell’Anno accademico 2011-2012 del Polo Universitario per studenti detenuti, giunto al tredicesimo anno di attività. La lectio magistralis sarà tenuta dal prof. Mario Chiavario, Professore emerito di Procedura Penale, su “L’immunità politica”. Saranno presenti il Rettore, prof. Ezio Pelizzetti; il Procuratore Generale, dott. Gian Carlo Caselli; il Preside della Facoltà di Scienze Politiche, prof. Fabio Armao; il direttore della Casa circondariale, dott. Pietro Buffa; il Presidente della Compagnia di San Paolo Avv. Angelo Benessia. Il Polo Universitario in carcere è un’iniziativa pionieristica in Italia e all’estero volta ad aprire nuovi campi di intervento dell’istituzione universitaria nel suo rapporto con la società civile. Esso è nato da un’intesa sottoscritta il 27 luglio 1998 da parte dell’Università di Torino, del Tribunale di Sorveglianza e del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria. Il Polo Universitario si propone di consentire ai detenuti, che ne abbiano i requisiti, di esercitare il diritto allo studio anche a livello universitario (e di favorire il loro percorso di risocializzazione attraverso il conseguimento della laurea). Le lezioni, le verifiche e gli esami vengono svolti dai docenti a titolo gratuito presso la Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno”. Per quanto riguarda invece le spese per tasse universitarie, libri di testo e per altri costi, fin dal 2000 il Polo si avvale del contributo della Compagnia di San Paolo quale unico sostenitore dell’iniziativa. Nel dicembre 2007 è stata sottoscritta una convenzione tra Università degli Studi di Torino, Casa Circondariale di Torino, Comune di Torino e Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo, per attivare tirocini in borsa-lavoro presso enti esterni destinati a studenti afferenti al polo universitario che abbiano conseguito la laurea triennale, che siano iscritti alla laurea specialistica e che siano nei termini per usufruire di misure alternative alla detenzione. Li organi di stampa dovranno accreditarsi inviando una mail a elana.ochse@unito.it entro venerdì 25 novembre. Bollate (Mi): inaugurata una nuova sede della Cooperativa sociale Estia Redattore Sociale, 24 novembre 2011 Ha aperto i battenti in questi giorni la sede bollatese della cooperativa Estia, la cooperativa sociale onlus che da oltre 10 anni lavora nelle carceri milanesi per il reinserimento nella società dei detenuti. All’inaugurazione della sede “Sole”, che si trova presso l’ex scuola media di via Ospitaletto a Cascina del Sole, hanno partecipato anche il Sindaco Stefania Lorusso, l’assessore ai Servizi Sociali Marinella Mastrosanti e il vicesindaco Cesare Doniselli, per conto di un’Amministrazione comunale che ha sempre riconosciuto il prezioso lavoro svolto dalla cooperativa Estia e l’ha sostenuto offrendole l’utilizzo degli spazi dell’ex scuola. Qui, al piano terra dell’immobile, trovano posto anche il centro di ascolto psicopedagogico e il centro di aggregazione giovanile “Il Tappeto Volante”. In pratica, dopo il trasloco degli studenti nel plesso scolastico di via Coni Zugna, l’edificio comunale di via Ospitaletto è divenuto un centro “polifunzionale” a carattere sociale e la cooperativa Estia è stata la benvenuta. “Gli operatori e gli educatori specializzati nell’accompagnamento degli ex detenuti - interviene il Sindaco Stefania Lorusso - sapranno trasformare questa sede in un luogo dove gli ex detenuti proveranno a reinventare se stessi, attraverso il lavoro onesto e attraverso le tante attività ricreative, culturali e teatrali che la cooperativa propone”. In quest’ottica, nel corso dell’inaugurazione di giovedì scorso, la responsabile della Cooperativa Estia Michelina Capato ha presentato il progetto denominato casa della cooperativa: “A volte durante la detenzione - spiega la Capato - può accadere di incontrare attenti interlocutori, programmi di reinserimento, restituzione delle proprie responsabilità e “cura”. Questo accade alle persone che hanno la possibilità di riprogettare se stesse, anche grazie agli operatori della II Casa di Reclusione di Milano-Bollate. Ma queste stesse persone, una volta fuori, faticano a trovare un sostegno equivalente proprio nel momento più complesso che è l’uscita. Ci piacerebbe essere capaci di traghettare in questa casa di cooperativa un poco delle qualità che l’istituto ha sviluppato e consolidato all’interno e non mancare così il nostro mandato, che è quello di sostenere le persone in uscita verso una strada che non li faccia tornare indietro”. In base alla convenzione siglata prima dell’estate con il Comune di Bollate, la cooperativa Estia può usufruire degli spazi (quattro locali, oltre a corridoi e servizi per un totale di 150 metri quadrati di superficie) senza pagare alcun canone al Comune, ma, in cambio, dovrà fornire “manodopera” per 10mila euro annui (ovvero 666 ore) nell’ambito dei lavori pubblici utili al Comune stesso (tinteggiature, manutenzioni, etc.), e provvedere alle spese delle utenze e alle opere di manutenzione straordinaria. La Cooperativa ha già iniziato a lavorare in questa direzione, portando a termine alcuni interventi per il Comune di Bollate, come ad esempio la tinteggiatura della scuola elementare di via Como. “L’apertura di questa sede è una bella opportunità - afferma l’assessore alle Politiche Sociali Marinella Matrosanti. È un sostegno concreto per coloro che vogliono riorganizzare la propria vita e darsi nuove prospettive: un seme di speranza che ora sta a soci di Estia fare germogliare”. Immigrazione: Garante detenuti; nel Cie di Ponte Galeria situazione invivibile Asca, 24 novembre 2011 Costretti a soggiornare nel Cie al freddo, sotto la pioggia, senza riscaldamenti e, per di più, in ciabatte per evitare rischi di eventuali fughe, da questo pomeriggio una parte dei circa 200 ospiti del Centro di Ponte Galeria ha inscenato una protesta contro quelle che definiscono “condizioni di vita invivibili”. La denuncia è del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. A quanto appreso dal Garante, si legge in una nota, due stranieri sono saliti sul tetto della struttura dopo aver divelto una porta e minacciato di dare fuoco alla struttura. Gli ospiti del Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria - che attualmente ospita 195 persone, 110 uomini e 85 donne - stanno protestando perché sono costretti ad affrontare questa stagione di freddo, e le prime piogge, in ciabatte. Effetto, quest’ultimo, di una Circolare della Prefettura, per scongiurare rischi di fuga. Riguardo i riscaldamenti, invece, solo in parte della struttura sarebbe stato possibile riattivare gli impianti, danneggiati nel corso delle proteste della scorsa estate. “Da oltre un mese - ha affermato Marroni - avevamo preannunciato alle autorità che la tensione nel Centro stava crescendo e che, nonostante l’impegno della Prefettura, della cooperativa che gestisce il Cie e delle forze di polizia, non sarebbe stato possibile affrontare l’inverno in queste condizioni. Le condizioni di vita nel Cie - ha aggiunto il Garante - sono pesantissime e i lunghi tempi di permanenza trasformano queste strutture in veri e propri luoghi di detenzione dove, paradossalmente, mancano le garanzie che pure ci sono nelle carceri. Occorrono celermente decisioni di buon senso, da prendere già in queste ore, per evitare che la situazione degeneri e per garantire agli ospiti condizioni di vita migliori”. Libia: l’Onu denuncia; 7.000 detenuti nelle prigioni delle milizie Ansa, 24 novembre 2011 I ribelli libici hanno imprigionato circa 7.000 persone, tra cui donne e bambini. A rivelarlo è un rapporto del Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che sarà presentato lunedì prossimo al Consiglio di sicurezza. Nel documento si denuncia anche che molti dei detenuti sono stati torturati, molti africani sono stati maltrattati per il loro colore della pelle, le donne sono state messe sotto il controllo di uomini e i bambini imprigionati con gli adulti. “Mentre i prigionieri del regime di Muammar Gheddafi sono stati rilasciati, si stima siano 7.000 i detenuti ancora in prigione o in improvvisati centri di detenzione, molti dei quali sotto il controllo delle brigate rivoluzionarie”, si legge nel documento. I prigionieri “non hanno possibilità di avere un giusto processo in assenza di una forza di polizia e di un sistema giudiziario che funzionano”. Molti dei detenuti sono cittadini dell’Africa sub-sahariana, sospettati di essere stati mercenari di Gheddafi. “Alcuni prigionieri sarebbero stati sottoposti a tortura o maltrattamenti - si legge ancora - sono stati segnalati casi di individui presi di mira a causa del colore della loro pelle”. Le “brigate rivoluzionarie”, create su base tribale per far crollare il regime di Gheddafi, hanno ancora un forte controllo sulle loro regioni, secondo diplomatici e funzionari Onu. Nel rapporto del Segretario generale si sottolinea il fatto che il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) abbia cominciato ad assumere il controllo delle milizie, ma “rimane ancora molto da fare per gestire le detenzioni, prevenire gli abusi e scarcerare quelli la cui detenzione non deve essere prolungata”. Il documento porta ad esempio la città di Tawerga, i cui abitanti sono stati accusati di sostenere Gheddafi durante l’assedio alla vicina Misurata: “Gli abitanti di Tawerga sarebbero stati presi di mira in omicidi di rappresaglia, o portati via da uomini armati dalle loro case, ai posti di controllo, negli ospedali e alcuni di loro torturati o giustiziati durante la detenzione”. L’Ambasciatrice americana all’Onu, Susan Rice, ha fatto sapere di aver sollevato la questione a Tripoli con il leader del Cnt Mustafa Abdel Jalil e con il premier Abdel Rahim al-Kib. Rice ha anche riferito di aver visitato nella capitale libica una massa comune delle vittime del regime di Gheddafi e il campo di Sidi Bilal dove sono ospitati immigranti africani cacciati delle loro case. Si tratta di lavoratori provenienti da Nigeria, Ghana, Mali e di altri paesi dell’Africa occidentale che sono stati “traumatizzati, picchiati, derubati, abusati durante le violenze”. Corea del Sud: nelle carceri robot di ronda al posto delle guardie Ansa, 24 novembre 2011 Robot al posto delle guardie carcerarie nelle prigioni sudcoreane. Un gruppo di scienziati ha sviluppato un prototipo nell’ambito di un progetto finanziato dal ministero dell’Economia e della conoscenza. I robot saranno in grado di individuare comportamenti inusuali dei reclusi e potranno essere utilizzati, in particolare, per coprire i turni di notte. Il robot-guardia è alto un metro e mezzo ed è dotato di quattro ruote. Grazie ad un sistema radio, può stabilire una comunicazione a distanza tra detenuti e agenti penitenziari. I sensori elettronici di cui sono dotati possono individuare comportamenti autolesionisti o violenti dei detenuti e quindi segnalarli agli agenti di permanenza. Il robot è stato presentato nel corso del Forum asiatico penitenziario da un gruppo di ricercatori su criminalità e politica penitenziaria. “Abbiamo praticamente terminato il lavoro sulle funzioni operative fondamentali e ci stiamo occupando delle rifiniture perché il robot possa assumere un aspetto più amichevole per i detenuti”, ha spiegato il professor Lee Baik-Chul dell’università di Kyonggi. Il robot-secondino, secondo i ricercatori, consentirà alle guardie carcerarie di dedicare più tempo al recupero dei detenuti invece che alle ronde notturne. Già nel marzo 2012 tre robot saranno testati nel penitenziario di Pohang. Medio Oriente: ex detenuti palestinesi alla ricerca di una nuova vita in Qatar Ansa, 24 novembre 2011 A metà ottobre l’israeliano Gilad Shalit è stato liberato in cambio di 1.027 prigionieri palestinesi di cui 15 sono stati trasferiti in Qatar in accordo con Israele. Sono giovani, solo tre hanno qualche capello bianco, quasi tutti studiavano all’università prima di finire nelle prigioni israeliane. Sono arrivati a Doha il 19 ottobre e ora sono ospitati dal Qatar che si occupa di ogni loro esigenza materiale e anche spirituale. Appena liberati infatti il Qatar in accordo con l’Arabia Saudita ha portato gli ex detenuti a fare l’Haj, il pellegrinaggio pilastro dell’Islam, durante il periodo di Eid, festa islamica del sacrificio. Ora vivono in un albergo nella zona residenziale di Al Dafna, West Bay, al centro della capitale Doha. È passato oltre un mese dal loro arrivo, per ora non lavorano né studiano, ma sono pronti a crearsi una vita in Qatar dal momento che per ora non gli è consentito tornare in Palestina. Mosa Dodeen è stato quasi 20 anni in carcere, prima era uno studente di chimica all’università di Hebron. Ha continuato a studiare anche in prigione e ha ottenuto un master in Business Administration all’Università di Washington e ora vorrebbe continuare a studiare. Majde Amro ha 33 anni di cui un terzo passati in carcere avendo una condanna per 190 anni di galera. Studiava ingegneria elettronica al Politecnico e ora vorrebbe continuare a studiare anche lui. “Penso di rimanere in Qatar per circa 5 anni. Passato questo periodo forse avrò la possibilità di tornare in Palestina e voglio continuare a combattere per la mia gente”, ha dichiarato Amro. Sembra che tutti vogliano riprendere la loro vita da dove l’avevano lasciata prima della prigionia come se si potessero annullare quegli anni in carcere, una esperienza però difficile da cancellare. Quando raccontano della loro vita prima del carcere sembra che stiano parlando di un’altra persona, non di sé, perché ormai quel passato è così lontano da sembrare quasi estraneo, ma si aggrappano con tutte le loro forze a quella gioventù in libertà per ritrovare un punto da cui ripartire. Tarq Ziad ha 30 anni di cui 9 passati in carcere. Prima lavorava come calzolaio, mentre ora vorrebbe studiare in Qatar. Quasi nessuno di loro ha una moglie o dei figli, ma tutti hanno una famiglia in Palestina che ora si sta cercando di far venire in Qatar. “Sono felici di essere liberi, ma non possono tornare a casa loro in Palestina. Potrebbero passare mesi o anni prima che possano ritornare a casa e intanto il governo qatarino si sta occupando di loro anche attraverso una futura integrazione nel mercato del lavoro locale”, ha dichiarato Munir Ghanam, ambasciatore palestinese in Qatar.