Giustizia: carceri sovraffollate… serve subito un’amnistia di Giulio Isola Avvenire, 22 novembre 2011 Detenuti che vivono “in spazi più angusti di quelli che la legge prevede per l’allevamento dei maiali” e l’amnistia come “unico strumento tecnico per interrompere la flagranza del delitto che si compie in Italia contro ogni diritto e contro la Costituzione”. Il direttore di Tempi, Luigi Amicone, e il leader dei Radicali, Marco Pannella, sono tornati a sollevare il problema del sovraffollamento nelle carceri e, in una conferenza stampa congiunta presso la sede milanese del settimanale, hanno spiegato l’urgenza di ricorrere all’amnistia: “Per un Parlamento che sia consapevole della realtà del proprio Paese dovrebbe essere la prima iniziati- va da presentare al Governo”, ha detto Amicone per il quale “non è giustizia l’illegalità incostituzionale in cui si trovano le carceri”. I numeri, d’altronde, parlano di un’emergenza ormai insostenibile. A fronte di una capienza massima di 45.572 detenuti, nei nostri istituti penitenziari carceri ne sono presenti almeno il 50% in più: 67.510, per l’esattezza, di cui 24.458 in stato di semilibertà, 14.445 ancora in attesa del primo giudizio e quasi 8mila dell’appello: “Abbiamo il record delle persone detenute in carcerazione preventiva - ha detto Amicone: quasi la metà di chi si trova nel nostro circuito penitenziario, ovvero il 43%, non è stato giudicato e questo contro una media europea del25%”. Già, l’Europa. Quella per la cui direttiva 911360 (recepita dall’Italia) recante modifiche sulle norme per la protezione dei maiali spiega come per l’alloggiamento dei verri la superficie minima consentita sia di 6 metri quadrati, ottimale, 9 metri quadrati. E quella che ci ha più volte condannati per casi come quello detenuto Izet Sulejmanovic, recluso a Rebibbia, che per tutto il corso della pena (2002-2003) ha avuto a sua disposizione 2,7 metri quadrati. “Da un punto di vista di costi - ha proseguito Amicone - siamo sui 3 miliardi l’anno (29 in dieci anni): tutte risorse buttate via per non produrre nulla anche perché, invece, i costi per le attività di rieducazione dei detenuti, ovvero lo scopo del- la detenzione, sono di 11 centesimi al giorni, 3,5 euro al mese, a persona”. “Bisogna interrompere questa flagranza di reato - ha poi aggiunto Marco Pannella, questa violazione dei diritti umani, del diritto internazionale, europeo e costituzionale. Con l’amnistia - ha fatto notare il leader dei radicali - le vittime hanno delle tutele; se, invece, i reati cadono in prescrizione, niente, sono cancellati”. Al centro dell’appello anche la scarsa informazione sul tema, sia da parte delle istituzioni, sia dalla stampa: “Su cose gravissime come queste -ha fatto ancora notare Pannella non c’è confronto nel Paese, si ha paura di raccontarle al popolo, il popolo non deve sapere; neanche nei talk show d’attualità televisivi se ne parla. Se non esplode uno scandalo, non si approva mai nulla”. Giustizia: Radicali e non… pro amnistia di Dimitri Buffa L’Opinione delle Libertà, 22 novembre 2011 Amnistia, ovvero: “Fusse che fusse la volta buona?” Magari il coinvolgimento del tesoriere dell’Udc nella inchiesta sull’Enav e quella di molti altri politici nel sospetto di avere avuto favori e mezzette dalla galassia Finmeccanica, con lo spettro della ennesima “Tangentopoli” alle porte, “aiuterà”. Almeno nella vulgata forcaiola dei leghisti e dei dipietristi. Di sicuro, però, con il nuovo governo dei tecnici e con la sua maggioranza bulgara che lo sostiene a Camera e Senato, con le dichiarazioni del neo insediato ministro Guardasigilli Paola Severino che ha detto che il problema carceri è quello numero uno per la giustizia penale, quelle condizioni che secondo l’ex titolare di via Arenula, Francesco Nitto Palma, “non c’erano”, potrebbero materializzarsi all’improvviso. Per ora si fanno convegni che preparano il terreno. E immaginare personalità più lontane su tutto, come il direttore di “Tempi” il cattolico integralista Luigi Amicone, il leader radicale Marco Pannella, il “laicista” per antonomasia (qualunque sia il significato di questa controversa parola), e l’editorialista, anche lui sul mistico, Antonio Socci, non era facile. Eppure da ieri, dopo l’iniziativa congiunta tenutasi a Milano, almeno una cosa in comune ce l’hanno: la richiesta di un “amnistia per la repubblica”. Ancora prima che per i detenuti. In questo spalleggiati da tutti i tecnici del settore: sindacati delle guardie carcerarie, sindacati dei direttori di penitenziari, magistrati di sorveglianza, psicologi, assistenti sociali e avvocati delle Camere penali che per la cosa hanno addirittura sostenuto a turno questa estate uno sciopero della fame in solidarietà con l’iniziativa non violenta dello stesso Pannella. L’obiettivo è quello di dare corpo alle parole del Capo dello Stato dello scorso 28 luglio, proferite durante un convegno al Senato organizzato da Renato Schifani e da Emma Bonino. In quella circostanza Napolitano non aveva escluso, sia pure in maniera implicita, la stessa amnistia pur di sollevare le carceri da quello stato di degrado che “ci umilia in Europa” e che è diventata “emergenza assoluta e prioritaria”. I partiti però lo hanno fatto parlare confidando in un’opinione pubblica ancora “drogata” dalle campagne stampa demagogiche e disoneste intellettualmente sulla sicurezza e dai tanti inutili decreti in materia approvati. Che oltre tutto hanno aggravato il problema della detenzione senza per questo dare un millimetro di tranquillità in più ai cittadini. Adesso, con lo scenario politico tutto cambiato, e con il bisogno di risolvere tecnicamente tutti i problemi, anche quelli non economici, l’amnistia, con buona pace di Travaglio, Di Pietro, Flores d’Arcais da una parte e magari Bossi, Maroni e gli ex An dall’altra, potrebbe prendere piede. Magari condizionata al risarcimento del danno nei confronti della vittima del reato, così come previsto nell’originario progetto di Pannella sostenuto in questi mesi anche dagli scioperi della fame di Rita Bernardini e Irene Testa del “Detenuto ignoto”. Un’amnistia che potrebbe a questo punto risolvere non solo i problemi politico giudiziari dell’eterno Cav, ma anche quelli di Casini e del Terzo Polo alle prese con la prima maxi inchiesta che rischia di travolgerli. Chi non ha paura di chiamare le cose con il proprio nome è Giuliano Ferrara che ieri si augurava che proprio da questo governo tecnico, nel male che per lui rappresenta, venga fuori “i1 bene” del superamento della politica come lotta tra bande armate e alleate con questo o quel segmento di magistratura politicizzata. Ferrara chiede anche il ripristino del vecchio articolo 68 della Costituzione, quello dell’immunità parlamentare, così come in molti si augurano della “rimodifica” del 76 che ha portato il quorum previsto per un provvedimento di clemenza ai due terzi del Parlamento, cioè ben al di sopra di quello con cui si cambia qualsiasi articolo della Costituzione. Il paradosso è che si potrebbe tornare alla vecchia amnistia a maggioranza semplice delle camere solo modificando a maggioranza semplice quell’articolo, cosa più semplice che raggiungere la maggioranza qualificata per votare la stessa amnistia. E se, a proposito di tecnici, vogliamo sentire il parere di uno, che ha aderito all’appello di Radio radicale e di “Tempi” per l’amnistia, ecco il pensiero di Guido Brambilla, magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Milano, articola così il suo ragionamento: “Certamente siamo di fronte a una situazione di sovraffollamento carcerario, e tutti, dai magistrati alle forze politiche, ne sono consapevoli. O si costruiscono più carceri, ma tocca capire se le risorse necessarie ci sono, oppure occorre affrontare il problema con l’amnistia. Che ha dei limiti: è una risposta al problema sintomatica, ma non risolutiva. E va necessariamente accompagnata da provvedimenti di inclusione sociale e reinserimento lavorativo. Ora il sistema sanzionatorio si basa sulla reclusione e sulla pena pecuniaria, ma esistono delle misure alternative, come ad esempio gli strumenti di mediazione penale. Bisogna concepire il carcere come extrema ratio. Non so che durata avrà questo governo, però l’emergenza c’è. Forse è la volta buona”. Tutto comunque è meglio che andare avanti con quell’”amnistia di classe” rappresentata dalla prescrizione che ogni anno cancella, senza alcun risarcimento per le eventuali vittime, qualcosa come 200 mila processi. Almeno su questo dovrebbero tutti essere d’accordo. Giustizia: il giudice De Cataldo ci scrive e (con ragione) ci corregge… di Valter Vecellio Notizie Radicali, 22 novembre 2011 Il 16 novembre, partendo da una presa di posizione del giudice di Corte d’Assise Giancarlo De Cataldo (che sosteneva essere l’amministrazione della giustizia in Italia “pessima”), si tentava una riflessione sul “che fare?”, per uscire da questa avvilente e inaccettabile situazione: la “prepotente urgenza” evocata il 28 luglio scorso dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. De Cataldo scriveva che “i sistemi processuali che costituiscono la garanzia, non dei magistrati ma dei cittadini, avrebbero bisogno di essere profondamente riformati”, e suggeriva di mettersi “intorno a un tavolo, abbandonando tutte le pregiudiziali ideologiche che hanno caratterizzato questi anni di scontro acuto, in vista del soddisfacimento di un interesse comune non solo dell’interesse di qualcuno”. Dopo aver riportato quel passaggio, si osservava che “ci si può stare, a patto di affrontare il nodo ineludibile dello sfacelo della giustizia di cui le carceri sono l’appendice più dolorosa e urgente”. E la nota chiudeva con la domanda: “Se non con l’amnistia, giudice De Cataldo, di cosa si discuterà, su cosa ci si confronterà intorno all’evocato tavolo?”. Il giudice De Cataldo ci scrive. Per far presente che citarlo, per il ragionamento che si cercava di sviluppare e si è riassunto, è inesatto, improprio: “Allego l’articolo pubblicato, nella settimana fra il 25 giugno e l’1 luglio 2011, su “Repubblica”, nel quale prendevo pubblicamente posizione a favore dell’amnistia (traendo spunto, fra l’altro, dal digiuno di Pannella). Ricordo anche un mio libro sulle carceri, dal titolo “Minima Criminalia”, edito già nel lontano 1991 dalla Manifestolibri. Che si voglia comunque prendersela coi giudici fa parte delle regole del gioco, e come giudice/scrittore “esposto” lo metto in conto. Ma un minimo d’attenzione non guasterebbe”. L’articolo pubblicato su Repubblica, “Pena, carcere, il digiuno di Pannella” Il paradosso della pena sta in questo: che qualunque sia la condanna per qualsiasi tipo di reato, essa apparirà sempre eccessiva al colpevole, sempre troppo mite alla vittima. Ci sono ordinamenti che rimettono alla vittima il potere di esercitare una sorta di vendetta legale contro il carnefice, altri che, una volta punito l’autore di un reato, si disinteressano della sua sorte. Il nostro sistema ha scelto una via di mezzo. Con la pena, da un lato, si risarcisce moralmente la vittima e si infligge la giusta punizione al colpevole; dall’altro, la pena stessa diventa occasione di riscatto. E nel momento stesso in cui le sbarre si chiudono alle spalle del condannato, si comincia a lavorare per restituire alla società un individuo migliore. Questo è lo spirito dell’articolo 27 della Costituzione. La stessa sopravvivenza dell’ergastolo è legata al funzionamento di questo meccanismo di punizione finalizzata al reinserimento: il sistema tollera la pena perpetua soltanto a patto che, col tempo, sia concessa a chiunque, anche al peggior criminale, l’opportunità di cambiare. Il digiuno di Marco Pannella contro il sovraffollamento delle carceri, oltre ad essere un gesto nobile, suona dunque come un aperto richiamo al rispetto della Costituzione. Perché il disegno costituzionale parte dal carcere: non mero luogo di segregazione, o di arruolamento nelle schiere della criminalità organizzata, ma palestra per il ritorno alla vita civile. Dal carcere, in altri termini, deve muovere un’offerta di cambiamento. Non sempre accolta, non sempre coronata dal successo. Ma comunque doverosa. Senonché, un carcere nel quale si muore di sovraffollamento, dilagano i suicidi, la disperazione prevale sulla speranza è un carcere incompatibile con la Costituzione. La pena che vi si patisce perde inevitabilmente ogni connotato di emenda, riducendosi alle sole ragioni del contenimento e della prevenzione. È una pena, dunque, che tradisce la volontà della Costituzione. Le carceri sono sovraffollate per molti motivi, tutti ben noti agli addetti ai lavori: leggi che estendono a dismisura l’area della punibilità e riducono la discrezionalità dei giudici, inasprimenti continui del trattamento sanzionatorio, durata insostenibile di un processo trasformato da pessimi ritocchi estemporanei in una corsa a ostacoli contro l’accertamento della verità, ridimensionamento delle misure alternative. Pannella ha in mente un’amnistia. Proposta sicuramente impopolare: il carcere è diventato il collettore finale di tutte le “innovazioni”, diciamo così, legislative degli ultimi anni. Anni di grandi paure collettive che hanno sviluppato un “senso comune” orgogliosamente repressivo dal quale siamo stati tutti fortemente contagiati. E ci sentiamo forse, per ciò solo, più sicuri? Dovremmo immaginare, da subito, un’inversione di tendenza: è il sistema nel suo complesso che va rimodellato, con interventi articolati sia sul processo che sulle leggi penali. Dovremmo tornare, una volta di più, alla Costituzione. Nel disegno costituzionale si annida un’idea “economica” della pena che non va sottovalutata: togliere a chi ha sbagliato la speranza significa incattivirlo, spingerlo con ancora più convinzione sulla strada dell’errore. La società ci guadagna o ci perde? Perché, in definitiva, un carcere che fabbrica vittime è un carcere che fabbrica mostri. Va da sé che si ringrazia il giudice De Cataldo per l’attenzione; e gli si chiede pubblicamente scusa per averlo associato alla maggioranza dei suoi colleghi, che mostrano di essere ostili al provvedimento di amnistia: convinti, come dicono i rappresentanti delle correnti che formano l’Associazione dei Magistrati, che siano altri i necessari provvedimenti da adottare per sanare la grave situazione che si è venuta a creare. In effetti l’articolo allegato trae spunto proprio dal digiuno di Marco Pannella, per una serie di considerazioni e riflessioni che sono preziose. Ne terranno conto, come sarebbe giusto, classe politica e colleghi del Giudice De Cataldo? Si spera di sì, si teme di no. Al di là dell’infortunio in cui s’è caduti il 16 novembre scorso, è un fatto che rappresentanti, vertici ed esponenti dell’Anm di destra, centro, sinistra, hanno preso una netta posizione avversa all’amnistia. E potrebbero - in linea teorica - aver ragione o avere delle ragioni, per quel loro no. Ma l’amnistia proposta da Pannella e dai radicali si propone non solo di decongestionare la situazione delle carceri, intollerabile a detta di tutti; si propone anche, se non soprattutto, di “liberare” le scrivanie dei magistrati di migliaia di fascicoli, con procedimenti di cui sono per obbligo di legge, costretti ad occuparsi, ben sapendo che molti di quei procedimenti sono destinati a finire prescritti, quella che non ci si stanca di indicare come l’amnistia di classe e clandestina che si consuma ogni giorno, in ogni ufficio giudiziario italiano. Chi dice no all’amnistia (il primo passo, che deve essere necessariamente accompagnato da successive riforme, e che consente comunque di tirare la prima boccata d’ossigeno), dovrebbe sforzarsi di fornire un’alternativa in grado di conseguire lo stesso risultato, negli stessi tempi. E invece? A parte il giudice De Cataldo, i non tanti giudici De Cataldo che si manifestano e palesano, silenzio. Ed è questo che si vuole e si voleva porre all’attenzione di tutti noi, è questo che più inquieta e preoccupa. Ps. Accolto, naturalmente, il consiglio a prestare non un “minimo” ma un “massimo” di attenzione per evitare “infortuni” ed errori. Però no: è impressione errata credere e pensare che “si voglia comunque prendersela coi giudici” in omaggio di regole del gioco. Abbiamo conosciuto un discreto numero di magistrati che per aver voluto fare, nonostante tutto, il loro lavoro, hanno pagato e anche duramente. Se fosse una “regola del gioco” sarebbe gioco perverso quello in cui si sarebbe precipitati. Cosa assai più perversa e condannabile di quel che ci si sforza di sanare. Giustizia: Associazioni e Garanti; Monti nomini un Sottosegretario esperto di carceri Redattore Sociale, 22 novembre 2011 Numerose associazioni hanno sottoscritto un appello per la nomina di un sottosegretario alla giustizia che sia un esperto della questione carceraria. I firmatari dell’appello sono: Antigone, Arci, Associazione Nazionale Giuristi Democratici, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Coordinamento Nazionale Garanti Territoriali Diritti Detenuti, Ristretti Orizzonti, La Società della Ragione, Unione delle Camere Penali Italiane, Vic-Caritas. “Abbiamo apprezzato le prime dichiarazioni giornalistiche della neo Ministra della Giustizia Paola Severino - affermano le associazioni - che sottintendono sensibilità e conoscenza del problema carcerario. Dichiarazioni che riteniamo essere in continuità con le importanti affermazioni dello scorso luglio espresse dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano”. “Il sistema penitenziario - continuano - è afflitto da problemi enormi che richiedono iniziative immediate. Per questo chiediamo al Presidente del Consiglio, senatore Mario Monti, di nominare un Sottosegretario alla Giustizia con delega alla amministrazione penitenziaria che sia autorevole, indipendente, appassionato, esperto anche a livello internazionale. Solo così potrà disporre di quel riconoscimento indiscusso senza il quale è difficile operare in una comunità complessa quale è quella penitenziaria, con un sovraffollamento che rende intollerabili le condizioni di detenzione. Preoccupante è il numero di suicidi e di morti tra i detenuti. Le condizioni igienico-sanitarie degli istituti di pena sono molto gravi. Il personale è affaticato e sotto-dimensionato. È necessario che il sistema della esecuzione della pena abbia una guida istituzionale forte”. Garanti detenuti, appello per sottosegretario esperto “Parte da Ferrara l’appello rivolta al nuovo governo Monti del “Coordinamento Nazionale dei garanti territoriali dei diritti delle persone limitate nella libertà personale” di un Sottosegretario alla Giustizia che sia un esperto della questione carceraria. La richiesta, chiara e netta, è emersa questa mattina al termine della riunione che aveva visto nella sala Zanotti del Municipio - ospiti del Garante ferrarese Marcello Marighelli e in rappresentanza degli oltre trentasei Garanti attivi a livello nazionale - i Garanti di Torino, Bolzano, Vicenza, Rovigo, della Regione Toscana e il difensore civico della Regione Emilia Romagna. La riunione era presieduta dall’on. Franco Corleone, che svolge la sua attività di garanzia per il Comune di Firenze e in qualità di coordinatore nazionale cura i rapporti con il Parlamento, il Governo, la Conferenza delle Regioni e con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. “Abbiamo apprezzato le prime dichiarazioni giornalistiche della neo Ministra della Giustizia Paola Severino che sottintendono sensibilità e conoscenza del problema carcerario. - affermano nel loro appello il Garanti territoriali - Dichiarazioni che riteniamo essere in continuità con le importanti affermazioni dello scorso luglio espresse dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Il sistema penitenziario è afflitto da problemi enormi che richiedono iniziative immediate. Assistiamo da tempo sgomenti a un sovraffollamento che rende intollerabili le condizioni di detenzione. Preoccupante è il numero di suicidi e di morti tra i detenuti. Le condizioni igienico-sanitarie degli istituti di pena sono molto gravi. Il personale è affaticato e sotto-dimensionato. È necessario - rimarca l’appello - che il sistema della esecuzione della pena abbia una guida istituzionale forte. Il tempo a disposizione non è molto e richiede che vi sia esperienza, motivazione e competenza. Per questo chiediamo al Presidente del Consiglio senatore Mario Monti di nominare un sottosegretario alla Giustizia con delega alla amministrazione penitenziaria che sia autorevole, indipendente, appassionato, esperto anche a livello internazionale. Solo così potrà disporre di quel riconoscimento indiscusso senza il quale è difficile operare in una comunità complessa quale è quella penitenziaria.” “Sono 67.500 i detenuti nelle carceri italiane, segnale di un sovraffollamento determinato in gran parte dal nostro sistema normativo - ha ricordato poi l’on. Franco Corleone - La nostra richiesta al nuovo Governo è di intervenire al più presto su alcuni nodi importanti che condizionano pesantemente la situazione dei reclusi. Benché privati della libertà, devono essere infatti loro assicurati i diritti fondamentali alla salute, alla vita, al reinserimento sociale previsti dalla nostra Costituzione. Occorre - ha aggiunto - incidere prima di tutto sul sovraffollamento, non costruendo nuovi carceri, bensì cambiando le leggi criminogene oggi in vigore e avviando ad esempio percorsi di reinserimento attraverso le comunità per tossicodipendenti, consumatori di sostanze stupefacenti e così via. Bisogna poi puntare al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e, per sollevare il sistema dall’eccesso di affollamento e poter destinare maggiori energie e risorse al reinserimento, andrebbe usata meglio e di più la legge per la detenzione domiciliare (che ha finora interessato 3.500 detenuti). Il carcere che incattivisce non aiuta la salute collettiva. Deve pertanto offrire più opportunità possibili di studio, di lavoro, di contatto con la realtà del territorio circostante, aprirsi alle energie della città. Rivolgiamo queste richieste al nuovo esecutivo nazionale fiduciosi che possa emergere una risposta di attenzione a questo problema, un problema non irrilevante nel disegno della civiltà del nostro Paese dove il carcere non deve essere il sostituto di un welfare che non c’è. Sono più che mai urgenti - ha poi ribadito il presidente del Coordinamento dei Garanti nazionali - una grande riforma e una nuova politica che considerino il carcere non come un luogo indifferenziato bensì una realtà dove devono venire salvaguardate le diversità e le fragilità delle diverse persone.” La riunione del Coordinamento Nazionale dei garanti territoriali dei diritti delle persone limitate nella libertà personale, che si è tenuta per la prima volta a Ferrara, ha affrontato i temi inerenti la scottante situazione carceraria. All’ordine del giorno l’esame degli impegni in materia penitenziaria già approvati dal Senato, lo stato di attuazione della Legge Smuraglia recante “Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti” ed infine le iniziative per i reclami proposti dai detenuti sulla scia dell’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Lecce che, in materia di determinazione del criterio di spazio vivibile all’interno delle celle, ha condannato il Ministero di Giustizia al risarcimento del danno in favore del detenuto per violazione delle norme che determinano tale spazio. L’appuntamento ferrarese del presidente e dei membri del Coordinamento Garanti nazionali si è poi concluso nella sala Zanotti della residenza municipale per un’audizione con il presidente del Consiglio Comunale e con i consiglieri della quarta Commissione Consiliare presieduta da Enzo Durante”. Lo comunica una nota diffusa dal Comune di Ferrara. Giustizia: da Franco Corleone un appello per il reinserimento sociale dei detenuti www.estense.com, 22 novembre 2011 “Nelle carceri italiane attualmente vivono 67.500 detenuti, l’obiettivo è cambiare le leggi e arrivare alla detenzione di sole 30.000 persone”. Questo l’ambizioso progetto espresso dall’onorevole Franco Corleone in occasione del Coordinamento nazionale dei garanti territoriali, riunitosi presso la residenza municipale di Ferrara. Approfittando dell’attuale vento di cambiamento che sembra investire il mondo politico, l’appello lanciato da Corleone a nome di chi lavora quotidianamente per la difesa dei diritti dei detenuti è semplice: che il Presidente del Consiglio Mario Monti e il nuovo ministro della giustizia nominino un sottosegretario con delega alle carceri “competente e attento, che si impegni da subito affinché le condizioni di vita nelle prigioni siano dignitose”. La speranza che migliori la drammatica situazione del sovraffollamento, già definita a luglio dal Presidente Napolitano “un’umiliazione per il Paese”, si è abbinata durante la conferenza a una grande propositività. Gli interventi suggeriti dai diversi garanti presenti, ospiti del rappresentante della realtà ferrarese Marcello Marighelli, hanno delineato un quadro preciso di come si vorrebbe venisse riformata la detenzione, sia nella sua concezione che nella sua attuazione. Innanzitutto è stata richiesta una modifica legislativa: “è assurdo farsi anni di galera per un portafoglio contraffatto” ha commentato Corleone, soprattutto in relazione alla legge Fini-Giovanardi sulle droghe, affinché si distinguano maggiormente le pene a seconda del reato commesso e affinché i tossicodipendenti possano essere ospitati in comunità terapeutiche. Anche la legge Cirielli è stata oggetto di contestazione, poiché la recidiva impedisce la possibilità di inserire i consumatori di stupefacenti in progetti alternativi. Si è auspicato poi che si arrivi alla conclusione tempestiva del percorso iniziato con la commissione Marino, relativo al superamento del reparto psichiatrico all’interno delle case circondariali, alla nomina di un garante con funzione nazionale e alla revisione della legge per la detenzione domiciliare. “Da quando la norma ha iniziato ad essere applicata ha coinvolto solo 3.500 persone - ha specificato Corleone - ma sfruttando meglio i lavori di pubblica utilità ci si potrebbe dedicare seriamente al reinserimento”. Presente alla riunione anche il difensore civico regionale Daniele Lugli, che ha sintetizzato i valori impliciti a queste richieste: “il carcere dovrebbe essere, come lo voleva il cardinale Martini, un luogo di austera risocializzazione”, espressi anche da Corleone con grande schiettezza: “in Italia si è creduto che il carcere sarebbe costato meno del welfare, ma non è così: la retta giornaliera di una comunità di recupero è meno cara della prigione. Il carcere deve essere un luogo estremo, destinato a chi ha commesso gravi delitti, non un contenitore di corpi ammassati in modo indifferenziato. Non possono essere trattate allo stesso modo le persone in attesa di processo, i detenuti per il 41 bis, le donne con bambini”. Da questa considerazione la richiesta di non costruire nuovi istituti o nuovi padiglioni, “per i quali comunque non ci sarebbe abbastanza personale”. Giustizia: Repetti (Pdl); utilizzare la custodia cautelare in carcere solo per reati sangue Ansa, 22 novembre 2011 “Più del 20% dei detenuti italiani sono in attesa del giudizio di primo grado. Molte infatti sono le carcerazioni preventive che andrebbero riviste e ristrette ai reati di sangue o violenza. Mentre la custodia cautelare, quando ritenuta necessaria, per gli altri reati potrebbe prevedere direttamente l’arresto domiciliare”. Lo propone l’on Manuela Repetti (Pdl) membro Commissione Giustizia della Camera, come prima soluzione per l’emergenza carceri, “un primo passo verso un effettivo e immediato miglioramento della situazione facendo i conti con i bilanci a disposizione”. A questo proposito la parlamentare si rivolge al Guardasigilli: “Mi appello al neo Ministro della Giustizia Paola Severino - dice - in riferimento alle sue parole di preoccupazione per la situazione delle carceri italiane affinché intervenga al più presto su vari fronti per migliorare il grave problema del sovraffollamento”. Giustizia: Marroni sul caso De Cupis; chiediamo verità, si indaga per omicidio colposo Ansa, 22 novembre 2011 Il caso di Cristian De Cupis è ancora mistero. La morte del giovane romano, avvenuta a tre giorni dall’arresto somiglia per molti versi a quella di Stefano Cucchi. Il 36enne di Ostiense, è morto negli scorsi giorni al presidio ospedaliero legato al carcere di Viterbo, dopo essere stato picchiato dagli agenti alla stazione Termini di Roma . Il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, chiede verità e giustizia e, in un’intervista rilasciata al quotidiano Roma Capitale News parla delle indagini per il reato di omicidio colposo. “Si indaga per omicidio colposo contro ignoti - ha spiegato il garante a Roma Capitale News - Sarà molto utile, a questo punto, approfondire proprio l’autopsia. Confidiamo comunque nel lavoro scrupoloso della magistratura viterbese che sta gestendo il caso. Anche noi stiamo cercando di far luce sui fatti e sulle procedure. Tuttavia finora non siamo riusciti ancora ad avere il referto dell’spedale Santo Spirito e nemmeno quello di Viterbo. Sul corpo del detenuto è stata fatta un’autopsia ma purtroppo non c’era il consulente di parte, della vittima. Quindi occorrerà sanare questa procedura. Il presunto pestaggio sul ragazzo sarebbe da attribuire agli agenti della polizia di stato che lo hanno arrestato a Roma e poi trattenuto un giorno in caserma”. Tante le cose che non tornano in questa storia che a molti ricorda il Caso Cucchi. Nemmeno Marroni smentisce che vi siano analogie: “Non è come il caso Cucchi, non è un caso Cucchi ma ci somiglia molto. La differenza sostanziale è che Cucchi fu malmenato nelle celle mentre Cristian è stato picchiato alla Stazione Termini davanti a tutti, quindi è più facile da provare. Tuttavia per riuscire ad avere verità e giustizia occorre non perdere tempo. Si deve procedere rapidamente”. Lettere: non vogliono l’amnistia? E allora si estenda, almeno, la detenzione domiciliare… di Armando Dello Iacovo Notizie Radicali, 22 novembre 2011 Caro Direttore, da giudice penale “di provincia”, individualista e non associato a chicchessia, consentimi una parola sull’amnistia. È vero, l’amnistia potrebbe svuotare all’istante le carceri e permettere di studiare a mente fredda una riforma che stronchi la piaga delle prescrizioni (amnistie mascherate) cui concorrono tutti gli attori del processo. Ma l’amnistia (proprio, appunto, come le prescrizioni) estingue il reato, cioè cancella il misfatto. È un atto coraggioso (e non ipocrita come l’indulto mastelliano che costringe ancora oggi noi giudici a celebrare comunque i processi per irrogare pene virtuali) ma è duro da digerire per chi quei misfatti ha subito, come la vittima, i suoi familiari e, in definitiva, la collettività intera “ferita” dal reato. Perché allora non salvare capra e cavoli, lasciando intatto il reato e permettendo al suo colpevole di lasciare l’inferno del carcere, per scontare la pena a casa sua? La pista c’è: è la legge 199/2010 che ha sostituito la detenzione in carcere con quella domiciliare, ma ha limitato il beneficio a chi è stato condannato a pena non superiore a 1 anno. Basterebbe estendere la legge a tutti i condannati... P.S. Una chiosa sui (non pochi) detenuti in carcere che stanno lì per scontare non una pena definitiva, ma una “misura cautelare” prima della sentenza. Qui l’Anm non ha torto nel paventare (sarebbe ora!) un ripensamento dell’uso distorto che noi giudici spesso facciamo del carcere cautelare, ignorando che, a norma di legge, la galera è l’extrema (e non la prima) ratio. Lettere: da un ergastolano ostativo al nuovo ministro della Giustizia, prof.ssa Paola Severino di Carmelo Musumeci L’Opinione, 22 novembre 2011 Aver letto sul Manifesto di giovedì 17 novembre: - La professoressa Severino, nuova Guardasigilli, intercettata all’uscita sullo scalone assicura di avere saputo della nomina solo ieri mattina, poi dice che un intervento per l’emergenza carceri sarà una delle prime cose da fare - mi fa ben sperare. Ed ho pensato di scriverle questa lettera aperta per farle sapere che: - Nelle carceri italiane, dall’inizio dell’anno fino al 28 ottobre 2011, hanno perso la vita 155 detenuti, 54 si sono suicidati, dei rimanenti 101 (età media 35 anni) circa la metà è deceduta per malori improvvisi legati a disfunzioni cardiache, respiratorie, eccetera, mentre su 23 casi sono in corso inchieste giudiziarie miranti ad accertare le cause dei decessi (Fonte interrogazione parlamentare del Senatore Ferrante). Signor Ministro, tengo a farle sapere che dal 2000 al 2011 ci sono stati nelle carceri italiane 1.902 morti, di cui 680 suicidi (Fonte “Ristretti Orizzonti”). Una vera guerra, ma forse sarebbe bene chiamarla una vera carneficina, perché a morire in carcere sono soprattutto barboni, tossicodipendenti, extracomunitari e poveracci, dato che in questi luoghi non ci va solo chi commette dei reati, ma ci vanno soprattutto le anime perse della società. Ed è incredibile che dove si dovrebbe fare giustizia regni l’ingiustizia e si muoia più che da qualsiasi altra parte d’Italia. Eppure in questa lista di morti non ci sono detenuti imputati di corruzione, approvazione indebita, associazione mafiosa esterna, ecc.., probabilmente perché questi tipi di imputati in carcere non ci vanno, ma si sa che il diritto e i diritti funzionano solo per i ricchi. Signor Guardasiglilli, le campagne forcaiole e le colossali bugie per ottenere consenso politico hanno fatto diventare le carceri italiani luoghi di tortura, di disperazione e dolore. Come lei saprà, perché è anche avvocato, negli altri Paesi le pene detentive non hanno una durata così elevata come in Italia. La certezza della pena potrebbe significare anche di far scontare la pena fuori dal carcere, poiché la società non è più tutelata mettendo fuori le persone a fine pena, perché questi escano più cattivi constatando sulla loro pelle che i loro governanti e i loro giudici non sono migliori di loro. Signor Ministro, il carcere in Italia è molto pericoloso, produce morte, crimine istituzionale ed è asociale. La galera nel nostro paese non corregge il detenuto, ma piuttosto gli insegna a commettere altri crimini e ad odiare i “buoni” se questi sono peggio di lui. Per ultimo Signor Guardasiglilli, tengo a farle sapere che in Italia, unico paese in Europa, esiste l’ergastolo ostativo, la “Pena di Morte Viva”, come la chiamiamo noi ergastolani, che è una condanna di morte che si sconta da vivo invece che da morto, perché non potremo mai usufruire di nessun beneficio penitenziario se nella nostra cella non ci mettiamo un altro al posto nostro. Signor Ministro le auguro buon lavoro con la speranza che l’amore sociale sia nel suo cuore. Ancona: la denuncia del Sappe; a Montacuto i detenuti dormono per terra Ansa, 22 novembre 2011 Il sindacato degli agenti penitenziari non esclude una manifestazione di protesta. Sempre più drammatica la situazione del carcere anconetano di Montacuto, dove i detenuti “dormono anche per terra, su materassi di fortuna, stipati in quattro in celle da una”. A lanciare l’ennesimo allarme, il sindacato di polizia Sappe. “In questo momento - afferma il segretario regionale Aldo Di Giacomo - il carcere ospita 440 detenuti, su una capienza regolamentare di 178”. La situazione è così critica che “neppure l’igiene è assicurata: ormai le docce si fanno ogni due giorni, non più quotidianamente”. “In 12 anni di attività sindacale - continua - non ho mai visto nulla del genere”. Domani Di Giacomo cercherà un contatto con il prefetto di Ancona, e invierà una lettera a parlamentari e amministratori locali. Non è esclusa una manifestazione di protesta degli agenti di custodia davanti alla sede regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Napoli: riflessioni dopo una visita nel carcere di Poggioreale di Domenico Viggiani Notizie Radicali, 22 novembre 2011 Domenico Viggiani, studente del terzo anno di Giurisprudenza presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli ha avuto occasione di maturare un’esperienza che si vorrebbe fosse comune a tutti gli studenti, e non solo di Giurisprudenza e non solo di Napoli. La titolare della cattedra di diritto penale di quell’università, professoressa Maria Valeria Del Tufo, “persona molto attenta ai diritti umani” racconta Viggiani, lo ha portato, assieme ad alcuni colleghi, a visitare la casa circondariale di Poggioreale. La direzione penitenziaria ci ha fatto visitare il Padiglione Firenze e il centro d’immatricolazione. E come non pensare, nell’apprendere di questa bella iniziativa della professoressa Del Tufo, a quella riflessione - paradossale, all’apparenza; ma, appunto, all’apparenza - di Leonardo Sciascia, che si domandava se non fosse augurabile e “formativo” che ogni magistrato, vinto il concorso e prima di prendere servizio, dovesse trascorre una settimana in cella a Poggioreale o all’Ucciardone. Ce ne fossero, insomma, di professoresse Del Tufo, molto più di quante sicuramente ce ne sono. Viggiani ci ha inviato le sue riflessioni, e siamo lieti che ce le abbia mandate: “Scrivervi è la prima cosa che ho pensato dopo aver ordinato tali pensieri”, premette. “Ritengo importante aggiungermi - con la mia fresca testimonianza diretta - alle voci di quanti stanno cercando di muovere qualcosa per risolvere il problema delle carceri. Cercherò comunque - oggi ancor più di ieri, perché ancor più conscio della questione - di sensibilizzare io stesso gli altri su questo tema. Sul quale sembra essere un’irremovibile cappa che porta la gente a guardarlo con distacco e indifferenza”. Siamo noi a doverlo ringraziare (Va.Ve.) Venerdì 18 novembre la prof.ssa Maria Valeria Del Tufo, titolare della cattedra di diritto penale presso la mia Università a Napoli, ha portato me e alcuni miei colleghi a visitare la casa circondariale di Poggioreale. La direzione penitenziaria ci ha fatto visitare il Padiglione Firenze - di certo il più presentabile, perché di recente ristrutturazione - e, in particolare, i corridoî, le aule dove si svolgono le attività didattiche, le aule delle udienze coi magistrati, quelle dei colloquî. Ci hanno pure fatto visitare una delle celle. Lo ammetto. Condizionato da una mia preconcetta idea di carcere come lurida stamberga, nell’immediato, ho pensato: infondo nelle carceri ci sarà di peggio. Più tardi, tornato a casa, riflettendoci ho capito: un carcere per essere disumano non deve necessariamente assomigliare a una topaia. Sarà che mi ero lasciato ingannare dall’intonaco ancora fresco sui muri del padiglione, o dal televisore a schermo piatto appeso alla parete della cella?! Sarà che mi ero lasciato condizionare dall’assenza momentanea dei detenuti di quella cella?! Riflettendoci mi sono reso conto. Mi sono reso conto ricontandomi nella mente i letti davanti ai quali ero passato nella cella: erano sette, tutti in pochi metri quadri; una stanza resa ancora più angusta dalla presenza di un tavolo con delle sedie e da alcuni armadietti; senza alcun impianto di riscaldamento. Certo, il bagno - seppur minuscolo - era separato dall’ambiente della cella: per lo meno aveva una porta. Ma possibile che l’assenza momentanea dei detenuti della cella mi abbia indotto a sottovalutare la gravità di quella situazione?! Sette letti significano sette persone. Tutte rinchiuse nello stesso posto ventiquattr’ore su ventiquattro. Com’è possibile che sette detenuti stiano stipati in una cella di pochi metri quadri?! Com’è possibile, con altre persone che non si conoscono, che s’incontrano per la prima volta in carcere?! Com’è possibile, quando già a me la mia camera doppia di studente fuorisede mi sta stretta?! E pensare che il Padiglione Firenze è il meno sovraffollato. Ciò vuol dire che a Poggioreale vi sono situazioni ancora più drammatiche. (Ci hanno parlato di grandi camerate che contengono circa una ventina di persone; camerate la cui spaziosità si sviluppa però solo in altezza!). L’articolo 27 della Costituzione italiana, al terzo comma, dice: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Inutile chiedersi dove sia finito il rispetto dello Stato nei confronti del senso di umanità delle persone detenute in tali condizioni, né tantomeno a quale rieducazione la loro pena possa “tendere” - termine dietro al quale si trova troppo spesso usbergo, quasi a giustificare le pessime condizioni delle persone nelle carceri italiane. E l’Italia sarebbe un Paese civile? La patria del diritto? Ci si magnifica tanto per il fatto che nel nostro ordinamento non vige la pena di morte: ma non è forse una morte cagionata dallo Stato quella dei suicidî di detenuti e di guardie penitenziarie?! E qualcuno non si senta sollevato di un peso quando in questi casi si nomina la parola Stato. Lo Stato italiano, l’ente sulla cui coscienza stanno tutte le sofferenze e i suicidi delle carceri italiane, non è altri che chi attualmente può rimediare, e invece non s’adopera. Io e i miei colleghi abbiamo avuto anche un incontro col direttore penitenziario, dott. Cosimo Giordano, e con altri operatori della casa circondariale. C’è stato un momento in cui abbiamo rivolto le nostre domande riguardo al carcere e al mondo carcerario. Alla domanda su cosa ne pensassero dell’amnistia proposta e propugnata da Pannella e dai Radicali come possibile soluzione alla questione del sovraffollamento delle carceri è stato risposto che sarebbe un rimedio insufficiente, e quindi inattuabile, secondo alcuni; oppure attuabile, ma giusto “come palliativo”, secondo altri. La propensione per un’amnistia - che, francamente, mi sarei aspettato - mi è sembrata scarsa. L’opinione dominante era incline piuttosto a una sostanziosa depenalizzazione (in particolare, si è fatto riferimento all’eccessiva severità della legislazione sulla tossicodipendenza e sugli immigrati). A Poggioreale si respirava un’aria di rassegnata accettazione della situazione presente, sia fra i dirigenti, sia fra le guardie penitenziarie con le quali ho scambiato qualche parola. Rassegnazione dinanzi alla crisi economica - determinante per il degrado strutturale, per le mancate assunzioni di nuove guardie, di psicologi, di educatori, per i tagli alle ore di lavoro dei detenuti lavoratori all’interno del carcere; e dinanzi alla “volontà politica” - alla quale solo spettano le soluzioni all’attuale questione delle carceri italiane - che è latitante. La denuncia rivolta alle forze politiche - ormai quattro mesi fa - dal Presidente della Repubblica sull’”assillante emergenza”, sulla “prepotente urgenza” della questione disumana del sovraffollamento delle carceri, ha avuto lo stesso destino dei varî “moniti” presidenziali: è rimasta inascoltata. Anzi: peggio. Il dibattito è durato a stento un giorno fra gli esponenti politici. I quali vedono un’eventuale soluzione del problema solo come un costo in termini elettorali. I mezzi d’informazione hanno bellamente ignorato non solo le parole del Presidente Napolitano, ma soprattutto - cosa più squallida, in un Paese che si dice “a maggioranza cattolico/cristiano” - il problema delle persone stipate nelle carceri. E se proprio si vuole ignorare la Costituzione e la legge internazionale - o con sofismi tutti endo-dottrinali, o con l’indifferenza - si agisca almeno per senso di umanità, per carità cristiana, mossi dalla compassione per la sofferenza che migliaia di persone detenute sono costrette ad aggiungere alla pena già afflittiva che è la restrizione della libertà! Che questi sentimenti possano smuovere le menti anche di coloro i quali esprimono solo giudizî critici e negativi nei confronti dei detenuti: si tenga presente che sono persone anche loro! Nonostante tutto, ci si appiglia - in questi giorni - a un’ultima speranza: che la “volontà politica” possa muovere la neo ministra della Giustizia, prof.ssa Paola Severino, a dare impulso a una soluzione effettiva e definitiva al penoso e vergognoso problema delle carceri italiane, finalmente. Sulmona (Aq): Cgil; carenze di organico per la sanità penitenziaria, intervenga il Dap Ansa, 22 novembre 2011 7 medici e 13 infermieri per 435 detenuti. Numeri al limite della tolleranza secondo la Cgil Funzione pubblica e Penitenziaria, che oggi ha tenuto una conferenza stampa sulle annose problematiche del supercarcere sulmonese. Carenze di organico e assistenza sanitaria inadeguata, che saranno destinate a peggiorare - secondo le parti sociali - in seguito alla realizzazione del nuovo padiglione a partire da aprile. Così Matteo Balassone, coordinatore regionale della Cgil penitenziari, Gino Ciampa, referente territoriale, e Ivana Giardino, in rappresentanza della Fp, hanno espresso oggi in una conferenza stampa tutte le loro preoccupazioni sull’arrivo di 200 nuovi detenuti. “La pianta organica del personale sanitario di 7 medici e 13 infermieri h 24 è riferita a 250 detenuti e non a 435 come gli attuali ospitati nella struttura - hanno detto i sindacalisti - per questo abbiamo rappresentato la questione al nuovo provveditore regionale del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) Bruna Brunetti a cui abbiamo chiesto un intervento concreto. Ma siamo convinti della necessità di investire la politica e soprattutto la Regione di tali questioni”. Al momento nel carcere non ci sono operatori socio sanitari o posti letto. Le apparecchiature mediche sono solo cinque e le visite specialistiche vanno fatte all’esterno, con notevole peso sui carichi di lavoro degli agenti penitenziari. Sono circa 80 le uscite mensili legate a visite mediche, per le quali è necessaria la scorta, che può andare da 2 a dieci uomini. Pesantissime - secondo la Cgil - anche le carenze della polizia penitenziaria e degli impiegati amministrativi, presenti in 4 su 6 in pianta organica. Cagliari: un pacco dono per gli “ultimi” tra i detenuti La Nuova Sardegna, 22 novembre 2011 Un pacco-dono con saponette, dentifricio, spazzolino, ciabatte, pigiama, accappatoio e biancheria intima: ecco il regalo di Natale che padre Massimiliano Sira attende dagli amici. Possibilmente non una ma molte saponette. Tante quante ne servono ai detenuti, meno seguiti dai familiari, del carcere di Buoncammino. Il frate cappuccino, che da 5 anni assicura l’assistenza spirituale ai detenuti ha lanciato una mobilitazione della solidarietà, con una parola d’ordine: non dimenticare i carcerati. “Un piccolo gesto - dice il cappellano - per dimostrare l’ attenzione verso fratelli momentaneamente privati della libertà. Non costa molto: il prezzo di una saponetta”. “Il carcere - spiega padre Massimiliano - è specchio della società: ci sono reclusi ricchi e altri poveri, che possono concedersi qualche sfizio e altri totalmente dipendenti da quel che passa l’amministrazione; alcuni supportati non solo affettivamente dalle famiglie e altri dimenticati da tutti. A quest’ultima categoria appartengono immigrati e anche qualche italiano. Soprattutto per loro chiediamo ai cagliaritani la saponetta della solidarietà, che può diventare anche spazzolino, dentifricio, perfino un accappatoio usato, purché integro, un cambio di biancheria”. Nei giorni scorsi un commerciante di via Cocco Ortu ha fatto recapitare nel convento di Sant’Ignazio, centro di riferimento di questa iniziativa, un sacchetto con una cinquantina di ciabatte per doccia. Immediatamente finite nell’”armadio del carcerato”, magazzino di smistamento del materiale consegnato ai frati. Varcato il pesante cancello di Buoncammino, la missione del cappellano supera gli ambiti ristretti della legge, cioè celebrare Messa le domeniche e in tutte le feste comandate e assicurare l’assistenza religiosa e spirituale a chi la richiede. “Ricchi soltanto della nostra umanità e della fede, con umiltà e ascolto - dice il frate - accompagniamo il detenuto nel cammino interiore di reinserimento nella vita sociale, in un rinnovato dialogo con la famiglia, il lavoro e gli amici”. La disponibilità dell’amministrazione carceraria consente a padre Massimiliano Sira di essere il catalizzatore di molte iniziative realizzate dalle 21 associazioni di volontariato operanti nella casa circondariale, soprattutto di quelle facenti capo alla Caritas. “Dietro le sbarre - aggiunge il cappellano - il tempo non passa mai. Perciò tutte le attività culturali, ricreative, sportive sono provvidenziali e la rete del volontariato consente di diversificarle e di stabilire relazioni anche sistematiche e continue con il mondo esterno. I calciatori Andrea Cossu e Daniele Conti sono sempre pronti a rispondere agli inviti. Numerosi gruppi musicali l’estate scorsa si sono esibiti gratuitamente, il mondo culturale ci riserva momenti d’arte. Poi c’è l’esercito degli ascoltatori, i volontari Caritas, voci amiche per rielaborare storie di vita, che possono illuminarsi anche grazie a una saponetta di solidarietà”. Bologna: convegno su carcere e inclusione sociale, esperienze europee a confronto www.isfol.it, 22 novembre 2011 Condividere le esperienze di inclusione sociale e favorire una maggiore integrazione tra le buone prassi in Italia e in Europa. Con questo obiettivo si sono incontrati a Bologna il 17 e 18 novembre istituzioni italiane ed europee, operatori del terzo settore, ex detenuti ed esperti a livello internazionale nel corso del seminario “Carcere e inclusione: esperienze a confronto dall’Europa”, organizzato dal Ministero del lavoro, con il supporto dell’Isfol, e dalla Regione Emilia Romagna. L’incontro, che rientra nell’ambito delle attività della Rete Transnazionale Fse “Ex-Offenders Community of Practice”, è stata l’occasione per il Ministero del lavoro di fare il punto della situazione sui progetti e sulle azioni intraprese da Enti locali ed associazioni dal Terzo Settore. Uno scambio di esperienze favorito dal coinvolgimento attivo dei partecipanti ai 4 workshop che si sono svolti in sessioni parallele nel corso delle due giornate, seguendo un filo rosso che va dalla condivisione delle azioni di orientamento e di formazione rivolta ad operatori e detenuti, fino a progetti per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro, dentro e fuori dal carcere. Come nel caso dell’esperienza, presentata da Jocelyn Hillman, per il re-inserimento sociale delle donne detenute nel sud del Regno Unito. Grazie al progetto “Working Chance, restorative recuitment” ogni anno oltre 100 donne vengono accompagnate in percorsi di apprendimento e di crescita professionale nel campo della ristorazione, alla ricerca di un lavoro di qualità che garantisca non solo un’autonomia dal punto di vista finanziario, ma anche la possibilità di realizzare una progressione di carriera. Oppure la storia di Elton Kalica, che nel corso della sua permanenza in carcere ha intrapreso un percorso di formazione che lo ha portato a laurearsi e a conseguire un master. Oggi, grazie alla sua esperienza di capo della redazione di Ristretti Orizzonti, si occupa di organizzare ogni anno seminari rivolti ai giornalisti su tematiche, individuate da detenuti e volontari, legate al carcere e alla giustizia. Uno sforzo per sensibilizzare chi opera nel settore dell’informazione sulle enormi responsabilità che si hanno nel costruire le notizie. Tante realtà a confronto per un tema, quello dell’inclusione sociale, sul quale in Italia è ancora forte il divario tra il quadro normativo e gli investimenti in progetti di inserimento ed accompagnamento al lavoro promossi su scala regionale e locale. Il lavoro, dunque, può diventare uno strumento concreto di re-inserimento nella vita attiva della società. Perché, come ha ricordato l’assessore alle Politiche Sociali della Regione Emilia-Romagna Teresa Marzocchi “fino a qualche tempo fa nel carcere il lavoro era l’obiettivo dell’espiazione, oggi è una grande chance per l’inclusione sociale”. Ma in un momento in cui la crisi economica sta riducendo progressivamente la spesa complessiva destinata agli interventi di assistenza sociale “le carceri - ha proseguito l’Assessore - sono ancora troppo piene per poter pensare a proposte operative che possano avere anche un efficace riscontro dal punto di vista organizzativo e gestionale”. Un aspetto, quello della spesa per gli interventi di inclusione sociale, che è stato sottolineato anche da Alessandro Martelli, ricercatore di sociologia all’Università di Bologna, secondo cui le risorse complessive previste per gli interventi di assistenza in Italia rientrano nella media europea, attestandosi al 0,42 % del PIL (dati al 2008); di queste risorse, però, solo una parte molto esigua è destinata agli Enti locali e, nello specifico ad interventi di inclusione sociale. Per questo motivo andrebbe prevista, sempre secondo Martelli, una migliore distribuzione delle risorse tra i vari interventi, riequilibrando la quota degli investimenti a favore dell’inclusione sociale. Velletri (Rm): la sentenza non piace, famigliari e amici dei condannati devastano il tribunale Ansa, 22 novembre 2011 Appresa la sentenza, hanno iniziato a inveire contro i giudici, minacciandoli, hanno cercato di aggredirli, tanto che quelli sono stati costretti a riparare in camera di consiglio. Poi, sono scesi al piano terra del tribunale e hanno sfasciato quello che trovavano, dalle vetrine ai cestini della carta, rovesciandoli e lanciandoli anche contro le auto delle forze dell’ordine parcheggiate all’esterno. Quindi hanno inscenato una manifestazione e, non volendo calmarsi, sono stati tutti arrestati. In totale ieri sera davanti il Tribunale di Velletri sono finite in manette 20 persone, tutti italiani, 12 uomini e 8 donne familiari e amici di tre persone condannate ieri sera a 8 anni e 6 mesi per una violenza sessuale ai danni di una 14enne romena, avvenuta a Torvajanica nell’aprile 2010. A protezione dei giudici sono intervenuti subito un maresciallo e due carabinieri di Velletri, quindi sono arrivati rinforzi dei carabinieri di Castel Gandolfo, Palestrina, Anzio, Colleferro e della polizia di Albano e Colleferro. Il bilancio dei disordini è di 6 carabinieri feriti e un’auto danneggiata. Il reato contestato ai 20 arrestati è minaccia a corpo giudiziario, resistenza e violenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato. Gli arrestati sono stati portati ai carceri di Velletri e Regina Coeli. La protesta del Sappe: 20 arresti e poliziotti penitenziari aggrediti. “È gravissimo quanto avvenuto ieri sera all’interno delle aule giudiziarie del Tribunale di Velletri: verso le ore 21, dopo la lettura di sentenza di condanna di alcuni detenuti sex offender, nell’aula è scoppiato il finimondo. Una parte del pubblico ha iniziato ad inveire contro i detenuti ed alcune unità di Polizia Penitenziaria addette al Servizio delle Traduzioni dei detenuti di Cassino e Velletri sono state aggredite con violenza mentre assicuravano l’incolumità dei detenuti stessi. Con molta difficoltà i colleghi sono riusciti a portarli all’interno delle camere di sicurezza, poste nel seminterrato del Tribunale e dove poco dopo sono stati raggiunti da una folla inferocita che ha sfondato una porta d’accesso con l’evidente intento di porre in essere un tentativo di aggressione. Attimi di alta tensione. La fortuna ha voluto che in quel preciso istante i detenuti erano appena saliti sugli automezzi, che sono stati letteralmente circondati e bersagliati da calci e pugni tanto da registrare anche il tentativo di sfondamento dei vetri. L’autista è dovuto fuggire a sirene spiegate facendosi largo attraverso la folla inferocita. Questa violenta aggressione, proditoria e particolarmente violenta, mette drammaticamente in evidenza le gravi condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari del Nucleo Traduzioni di Cassino. Questi nostri Agenti lavorano sistematicamente sotto scorta e devono fare fronte a carichi di lavoro particolarmente delicati e stressanti. Ma così non si può più andare avanti!”. È il commento di Giovanni Battista De Blasis e di Maurizio Somma, dirigenti nazionali del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, su quanto avvenuto ieri sera al palazzo di Giustizia di Velletri. “Ai nostri agenti va la nostra piena ed affettuosa solidarietà, ma è ovvio che in queste condizioni non si può andare avanti” aggiungono i due sindacalisti del Sappe. “Le gravi carenze di organico della Polizia Penitenziaria ed il pesante sovraffollamento carcerario condizionano irrimediabilmente i livelli di sicurezza dei servizi delle traduzioni dei detenuti, riducendoli al minimo dei minimi. Il nostro Personale è encomiabile perché garantisce ogni giorno, nei servizi interni al carcere ed in quelli svolti all’esterno - come, appunto, le traduzioni presso le aule di giustizia o in altri carceri ed i piantonamenti negli ospedali cittadini - un servizio eccellente e sicuro nonostante le mille criticità e problematiche che esistono. Ma non si può continuare ad andare avanti così. Servono tutele e garanzie”. Genova: pari opportunità, creazioni “al fresco” a favore dei diritti delle donne www.genova24.it, 22 novembre 2011 “Creazioni al fresco”, abiti, borse, bijoux realizzati dalle detenute del carcere di Pontedecimo, con la collaborazione della cooperativa sociale di Savona “il miglio verde”, della Coopsse onlus, dell’Amiu di Genova e del centro di solidarietà della Compagnia delle Opere che verranno presentati venerdì 25 novembre a partire dalle 19 all’Acquario di Genova, in occasione della giornata internazionale contro la violenza alle donne. Un’iniziativa condotta dall’assessore alle politiche sociali e pari opportunità della Regione Liguria, Lorena Rambaudi insieme alla direttrice del carcere di Pontedecimo, Maria Milano a cui parteciperanno anche l’assessore provinciale alle carceri, Milò Bertolotto e l’assessore comunale alle politiche sociali, Roberta Papi. Circa 100 creazioni tra abiti, borse e monili che una cinquantina di detenute, dopo averli realizzati, li presenteranno sfilando tra le vasche dell’Acquario di Genova, accompagnate dalle letture di altre detenute che frequentano la scuola in carcere tenuta da insegnanti dell’Istituto comprensivo di Bolzaneto, dell’Istituto Vittorio Emanuele Ruffini e dell’Ipssia Gaslini Meucci e dal duo acustico Eliana Zunino e Giangi Sainato con la partecipazione della coreografa Alessandra Schirripa. Opere uniche personalizzate dalla creatività di chi vuole ripartire dal saper fare e utilizza materiali abbandonati, come per le borse realizzate con la tela proveniente da ombrelli rotti e abbandonati che Amiu recupera. “Sarà un’occasione - spiega l’assessore Rambaudi - per valorizzare il lavoro e l’impegno, frutto dell’ingegno e dell’opera manuale di donne che nella loro vita hanno subito e a loro volta fatto subire violenza”. L’iniziativa si inserisce nell’ambito della giornata internazionale contro la violenza alle donne e vuole essere un evento per stimolare la riflessione e la presa di coscienza su quella che in Italia è diventata una vera emergenza sociale e che è la maggior causa di morte e di invalidità per le donne tra i 16 e i 70 anni. La violenza alle donne si consuma quasi per l’80% in famiglia, per mano di chi dovrebbe aiutare, sostenere, condividere: padri, mariti, fratelli, partner, amici, indipendentemente dall’appartenenza etnica, culturale, religiosa e dalla condizione sociale degli autori e delle vittime. La partecipazione di Costa Edutainment, gestore dell’Acquario di Genova, all’iniziativa rientra nell’impegno che l’azienda porta avanti in ambito sociale, con particolare riferimento alle categorie più deboli e meno fortunate, anche in collaborazione con Enti, Istituzioni e associazioni a livello locale e nazionale. Genova: “Questa immensa notte”, il teatro affronta il problema del reinserimento delle detenute www.genova24.it, 22 novembre 2011 Uscire dal carcere e ritrovarsi in una nuova prigione, incapaci di vivere in una dimensione sconosciuta, quella della libertà: attraversa la vicenda emotiva di due ex detenute “Questa immensa notte”, lo spettacolo dell’inglese Chloë Moss che il Teatro Cargo presenta in prima regionale al Teatro Aurora di Marghera giovedì 24 novembre (ore 21), primo appuntamento della Stagione di Teatro Contemporaneo 2011-2012. Fino a giovedì sera è ancora possibile acquistare il carnet completo a tutti gli spettacoli del cartellone: con la promozione “A teatro con 8 euro? A teatro come al cinema!”, il pubblico potrà assicurarsi il posto in sala a tutti gli otto appuntamenti del cartellone al costo di 8 euro a ingresso - praticamente come al cinema - a fronte di un biglietto intero di 12 euro. “Questa immensa notte” è diretto da Laura Sicignano per la compagnia genovese, e porta in scena Raffaella Tagliabue e Orietta Notari nel ruolo di Lorraine e Marie nel momento della loro uscita di prigione. Il mondo esterno non può aiutare le due donne; anzi, le soffoca. Tutto quello che prima evitavano - come l’alcool, altre persone o la vita stessa - ora esplode e non c’è nulla che si può arrestare. Chloë Moss con questo testo ha vinto il prestigioso Susan Smith Blackburn Prize, premio conferito annualmente a un’autrice per un testo di nuova drammaturgia inglese di qualità. “Se si passa del tempo nelle carceri femminili e si ascoltano le storie delle detenute, come ho fatto io - racconta Moss - si vive un impatto estremamente forte con questo mondo. Circa il 70% di carcerate sono in prigione per crimini non violenti. Circa il 90% ha figli. E i motivi per cui sono recluse sono la povertà e la droga”. “Questa immensa notte” è il ritratto di due donne che provano a ricominciare. Marie ha trent’anni e Lorraine cinquanta. Tutto ha inizio quando Lorraine è rilasciata dal carcere e si reca a casa di Marie. Se le due donne in prigione condividevano ogni cosa, ora la loro amicizia, che un tempo le proteggeva, rischia di soffocare quella fragile libertà che hanno ritrovato. “Si può avere lo stesso rapporto con qualcuno con cui si è stati rinchiusi per venti ore al giorno? Cosa significa essere liberi?” si domanda l’autrice. Quando escono di prigione il mondo le respinge. Allora per Lorraine e Marie il carcere assume una dimensione uterina, protettiva: è un richiamo, una possibilità di fuga dal mondo. Non sanno affrontare il mondo perché per loro è un incomprensibile e monolitico meccanismo che le stritola. Un mondo insopportabile perché è pieno di McDonald dove ci sono vecchiette con mani incartapecorite come zampe di passeri che mangiano un hamburger da sole. Il monolocale nella periferia della grande città senza nome dove le due donne si rifugiano in realtà non ha pareti. Ma lì dentro loro non sanno far altro che rivivere le relazioni e le dinamiche carcerarie. Sono amiche, madre e figlia, amanti, sorelle, nemiche. “Anche quando sei fuori, sei marchiata: hai il carcere nella testa - conclude Laura Sicignano -. Queste due donne hanno storie comuni alla maggior parte delle carcerate. Sono vittime assassine, madri tossicomani o alcoliste; hanno storie infantili di abbandono. Dentro, in prigione, gli è scivolata via la femminilità: sono diventate fantocci asessuati. Nonostante ciò non hanno perso dignità: dentro a queste vite slabbrate, inesorabilmente sbandate, sconce e disperatamente perdenti, c’è ancora ironia. C’è la capacità di vedersi dall’esterno, di comprendere il proprio fallimento, ma di riderci su, di far le pagliacce tra sorrisi e lacrime che colano di rimmel da pochi soldi, ridere a squarciagola, anche se si è perso un dente per un pugno. E alla fine le due donne insieme riusciranno forse a ritagliarsi un piccolo angolo di giardino, in quel monolocale di periferia, dove per un’ora al giorno batte anche il sole”. Torino: premiazione del concorso “Un logo per un carcere al lavoro” www.piemontepress.it, 22 novembre 2011 “Altera” sarà il logo del Polo Produttivo del Carcere di Torino. Con 999 voti è stato il logo più votato dalla “rete”, scelto tra i 30 progetti elaborati dagli studenti del Politecnico di Torino. Lo scorso 27 ottobre è stato lanciato un concorso on-line sul sito www.uncarcereallavoro.it che si è concluso domenica 13 novembre con ottima partecipazione non solo dei torinesi - più di un terzo dei voti infatti proviene da fuori regione. “Altera” è stato realizzato da Hojjat Babbei, Stefania Fuggetta e Gabriele Garofano, studenti del corso di Design e Comunicazione visiva. La scelta della simbologia nel logo, parte dal concetto di creatività considerata come nutrimento per la fantasia e l’anima dei detenuti presenti all’interno delle carceri. L’immagine rimanda infatti alle sbarre delle celle plasmate attraverso il lavoro manuale, richiamando così un gioco collettivo che permette di modificare la realtà in cui si è immersi al fine di uscirne con la fantasia. Il colore usato è il blu che, declinato in diverse tonalità, esprime sensazioni di calma, sicurezza e riflessione nonché qualità. Il “Polo produttivo Carcere di Torino”, sostenuto e promosso dalla Città di Torino e dalla Direzione della Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” nell’ambito di una collaborazione pluriennale con il mondo delle imprese, nasce per favorire ed implementare le attività produttive all’interno del carcere. Le 7 Cooperative sociali attualmente operanti all’interno del carcere (Liberamensa, Ergonauti, Eta Beta, Extraliberi, Papili factory, Pausa Cafè, Punto a capo) hanno scelto, attraverso la stipula di un protocollo con la direzione carceraria, una gestione unica e coordinata per ottimizzare le attività promosse. Il “Polo produttivo” del carcere Lorusso e Cutugno di Torino ha scelto di coinvolgere gli studenti del corso di Design per la Comunicazione del Politecnico piemontese, per la progettazione della propria immagine coordinata e la definizione del logo. Le 7 cooperative sociali che compongono il Polo produttivo carcere rappresentano una realtà imprenditoriale di rilievo, producono prodotti e servizi d’eccellenza (servizi di catering, torrefazione di caffè, produzione di arredi urbani, solo per citarne alcuni), offrono opportunità lavorative per i detenuti. Nel 2010, il fatturato complessivo relativo alle attività produttive realizzate all’interno della casa circondariale Lorusso e Cutugno è stato di 2,4 milioni. Importanti anche i risultati dal punto di vista dell’occupazione: al 31 dicembre 2010 i detenuti che lavoravano per le cooperative all’interno del carcere erano 59 (con un incremento del 5,4% rispetto al 31 dicembre 2009), mentre 95 sono stati i detenuti che hanno lavorato per almeno un mese nel corso del 2010 (con un incremento del 22% rispetto all’anno prima). Ottimi, infine, i risultati in merito all’occupazione una volta che i detenuti escono dal carcere: dei 21 detenuti usciti dalla casa circondariale nel 2010, 10 sono rimasti a lavorare per la stessa cooperativa in cui erano occupati durante la detenzione, 1 ha cambiato cooperativa, 4 sono stati assunti da imprese profit e i restanti 6 non potevano essere assunti per la mancanza dei requisiti per ottenere il permesso di soggiorno. Libia: Saif Gheddafi non verrà consegnato alla Corte penale internazionale dell’Aia Ansa, 22 novembre 2011 Saif al-Islam Gheddafi non sarà consegnato alla Corte penale internazionale per essere giudicato all’Aja. Lo ha detto il ministro libico della giustizia del Cnt Mohammed al-Allagui, in occasione della visita in Libia del procuratore della stessa Cpi, Moreno Ocampo. Ocampo ha sottolineato che “non necessariamente” Saif deve essere giudicato all’Aja e che non ha in programma di vederlo oggi in occasione della sua visita. Il procuratore capo del Tribunale penale interinazione, Luis Moreno-Ocampo, è si recato oggi a Tripoli, in Libia, per colloqui con le autorità locali proprio sul processo contro Saif al-Islam Gheddafi, figlio dell’ex leader Muammar Gheddafi, catturato sabato nel sud del paese, e dell’ex capo dell’intelligence, Abdullah al-Senoussi. Il tribunale dell’Aia aveva spiccato un mandato d’arresto internazionale per il giovane Gheddafi e per al-Senoussi. Saif al-Islam Gheddafi, in un video registrato dopo la sua cattura, ha predetto ai suoi carcerieri che le regioni della Libia che ora sono unite nella rivoluzione presto si scontreranno tra loro. “Tra un paio di mesi o al massimo tra un anno”, ha detto nel video ottenuto da Associated Press, le regioni che hanno fatto fronte comune contro Gheddafi padre si tradiranno a vicenda. Ha fatto capire di prevedere scenari di scontri intestini. Saif al-Islam F stato fatto prigioniero sabato nel sud della Libia ed F detenuto dai combattenti nella citta di Zintan. La Corte penale internazionale dell’Aia vuole processarlo per crimini contro l’umanità.