Giustizia: le riforme a costo zero da fare subito di Carlo Federico Grosso La Stampa, 21 novembre 2011 Nel giorno dell’insediamento, il nuovo ministro della Giustizia si è lasciato scappare una sola battuta: in materia di giustizia penale la questione carcere è per me questione assolutamente prioritaria. In questo modo il neo Guardasigilli ha dimostrato sensibilità ed intelligenza. In effetti il problema carcerario è, fra i tanti, il problema dei problemi. Le carceri, con i loro 67.000 detenuti a fronte di 45.000 posti “regolamentari” disponibili (numeri esorbitanti rispetto a quelli della media europea), sono tornate ad essere terreno d’ingestibilità: celle stipate, promiscuità, impossibilità di realizzare qualsiasi programma di rieducazione, difficoltà, addirittura, di gestire il quotidiano. Spia eloquente, e terribile, del disagio è il numero (crescente) dei suicidi e dei tentati suicidi. Encomiabile è, pertanto, avere posto, almeno a parole, il nodo carcere al primo posto nell’attenzione. Tuttavia, che fare? Soprattutto, che fare nei pochi mesi che separano dalle elezioni? Dare una risposta non sarà facile. La costruzione di nuovi istituti penitenziari non potrà che seguire le cadenze già programmate; si potranno, forse, impostare politiche di depenalizzazione e di sostituzione delle sanzioni detentive con pene alternative, ma si tratta di misure che, anche se adottate, potranno tutt’al più produrre effetti fra qualche anno. L’urgenza è, invece, attuale. Ed allora, al di là dell’eventuale impostazione di un programma serio di riforma del sistema sanzionatorio penale, il nuovo Guardasigilli dovrà affrontare un nodo di fondo: se, per realizzare l’indispensabile, urgente, sfoltimento della popolazione carceraria non sia giocoforza fare, ancora una volta, ricorso ai vecchi ed abusati istituti dell’amnistia e dell’indulto. Noi penalisti sappiamo che si tratta d’istituti che sarebbe opportuno utilizzare con parsimonia, in quanto la rinuncia indiscriminata alla punizione dovrebbe costituire evenienza assolutamente eccezionale. Sappiamo pure, tuttavia, che il permanere dell’attuale condizione delle nostre prigioni viola diritti fondamentali della persona e costituisce un attentato al principio di umanità del trattamento carcerario. A questo punto, nel bilanciamento fra esigenze contrapposte, non avrei comunque dubbi nel privilegiare il rispetto dei diritti. Con un auspicio, tuttavia: che l’eventuale adozione dei benefici si accompagni, finalmente, ad un’impostazione riformatrice in grado di evitare che, come è sempre accaduto nel passato, dopo qualche anno ci si ritrovi in identiche situazioni di necessità. Al di là degli interventi urgenti sul carcere, che cosa potrà d’altronde fare un ministro della Giustizia che ha di fronte a sé, al massimo, una quindicina di mesi (e pochi denari) per gestire il ministero? Paola Severino è tecnico preparato ed ha sicuramente le idee chiare. Mi limito quindi, semplicemente, a prospettare, a me stesso ed ai lettori, un quadro possibile di piccole o medie riforme “a costo zero” o “quasi zero” realizzabili velocemente che, tutte insieme, potrebbero portare qualche giovamento all’ordinato, e più rapido, esercizio della giustizia penale quotidiana. In realtà, ne ho già parlato più volte sulle pagine di questo giornale. Sul terreno dell’organizzazione giudiziaria, veloce realizzazione dell’informatizzazione dei processi penali, revisione delle circoscrizioni giudiziarie, misure in grado di assicurare la copertura delle sedi disagiate, concorsi in grado di tappare i buchi aperti fra il personale ausiliario. Sul terreno del sistema processuale penale, quantomeno, l’eliminazione di tutte le storture che costituiscono, di fatto, le maggiori cause dei rinvii delle udienze o dell’annullamento dei processi (dalla semplificazione del sistema delle notifiche e da un nuova disciplina degli irreperibili alla riduzione delle nullità processuali, da una nuova disciplina degli impedimenti “legittimi” alla regolamentazione delle udienze, alla rivisitazione degli effetti dell’incompetenza territoriale). Sul terreno del diritto penale sostanziale, come dicevo, l’impostazione di una riforma del sistema sanzionatorio ed un piano di drastica eliminazione dei reati bagatellari. A queste opzioni, altre potrebbero essere preferite. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. L’importante è che il ministro, individuate rapidamente le sue preferenze, cominci ad operare con iniziative utili ed appropriate, compatibili con i tempi ed i denari di cui dispone. C’è infine, comunque, un importante nodo politico che il Guardasigilli difficilmente sarà in grado di eludere. Come è noto, pendono in Parlamento riforme quali il disegno di legge sulle intercettazioni, la prescrizione breve, l’introduzione del principio secondo cui il giudice non può ridurre la lista dei testimoni richiesti dalle parti. Ciascuna di esse ha suscitato polemiche e controversie. Nessuna di esse potrà essere d’altronde affrontata a cuor leggero, sia per l’impatto che l’eventuale loro adozione potrà avere sull’efficacia delle indagini e sul diritto ad informare (disegno di legge sulle intercettazioni), ovvero sugli interessi processuali dell’ex premier e, corrispondentemente, sulla (mancata) tenuta o (eccessiva) durata della generalità dei processi penali (prescrizione breve e irriducibilità dei testimoni). Che cosa farà il ministro, nel caso in cui vi sia richiesta di una loro trattazione da parte di taluno dei partiti che oggi sostengono il governo? Appoggerà, non appoggerà, cercherà di defilarsi dichiarando che si tratta di competenze ormai esclusive del Parlamento? L’interrogativo non è di poco conto. Non si vorrebbe infatti che, nel gioco dei possibili veti incrociati e delle reciproche concessioni, il governo fosse costretto a contrattare taluni dei provvedimenti utili per il Paese scambiandolo con l’appoggio a misure che per la generalità dei cittadini sono dannose e utili soltanto per qualcuno. Sarebbe un brusco risveglio nel passato. Giustizia: carceri, la fabbrica dei suicidi di Francesco Moscatelli La Stampa, 21 novembre 2011 Paola Severino, Ministro della Giustizia: “La responsabilità è grande. Diamoci tutti una mano. La priorità? Quello delle carceri è un problema grave”. Sono una delle prime emergenze del nuovo ministro: densità di popolazione a livelli record. L’ultima vittima, P.C.A., un cittadino colombiano di 48 anni, si è impiccato venerdì 18 novembre nel carcere bolognese della Dozza. Ha rifiutato di uscire dalla sua cella durante l’ora d’aria, ha lasciato sopra il materasso alcune lettere per i suoi familiari e si è impiccato con il lenzuolo, “legandosi le mani con un calzino per evitare ripensamenti”. Una settimana prima, sabato 12 novembre, due tragedie identiche si sono consumate nel Reparto di osservazione di Poggioreale, a Napoli, e nell’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia. E questi sono solamente gli ultimi tre dei cinquantanove suicidi avvenuti quest’anno nei penitenziari italiani. Uno ogni cinque giorni, uno ogni mille detenuti dicono le statistiche. E i tentati suicidi (i dati fanno riferimento al 2010) sono stati quasi il triplo: 167. Il numero impressionante di “auto soppressioni”, come vengono definiti i suicidi nelle relazioni delle guardie penitenziarie che ci devono convivere tutti i giorni, è l’aspetto più evidente di un sistema carcerario che si avvicina sempre di più a un inferno. Il primo male, però, da cui discendono tutti gli altri, è il sovraffollamento. Ad oggi nelle 206 prigioni italiane ci sono 67.510 detenuti (43.253 italiani e 24.257 stranieri) per 45.572 posti letto. Fra questi ci sono 37.395 persone condannate in modo definitivo (il 55,4%) e 28.457 imputati (14.445 - il 21,4% - in attesa del giudizio di primo grado, 7.698 l’11,4% - in attesa del giudizio d’appello e 4696 -il 7% - in attesa della sentenza definitiva della Cassazione). Il totale dei detenuti era di circa 40.000 unità nel 2006, subito dopo l’indulto, ma in questi cinque anni è tornato a crescere ben oltre la soglia di guardia. Per comprendere il livello di emergenza basta confrontare l’indice di sovraffollamento (quanti sono i carcerati ogni cento posti disponibili) dei principali Paesi europei: in Italia è 148,2 (peggio di noi c’è solo la Spagna con 153) mentre la media europea è 104 e nei paesi virtuosi (Svizzera, Danimarca, Norvegia, Germania e Portogallo) l’indice si aggira intorno al 90. “Nove regioni (Calabria, Emilia Romagna, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Valle d’Aosta e Veneto) - scrive Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (l’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria) - hanno superato persino le capienze massime consentite, con 6.000 poliziotti penitenziari in meno su un organico di 45.109, 2.236 unità dei profili tecnici e amministrativi in meno su un organico di 8.737 e circa 150 milioni di debiti su forniture e utenze per il 2011. E per il 2012 c’è l’urgente necessità di reperirne altri 250”. Il 13 gennaio del 2010 l’ex ministro della Giustizia Angelino Alfano ha cercato d’intervenire varando il cosiddetto “Piano carceri”. Il progetto di Alfano si fondava su tre pilastri: la costruzione di 11 nuovi penitenziari, la realizzazione di 20 padiglioni extra all’interno di strutture già esistenti e l’assunzione di 2.000 nuovi agenti penitenziari. Dieci mesi dopo, però, come ha ricordato pochi giorni fa Marco Pannella dai microfoni di Radio Radicale. “Il 28 luglio il Presidente della Repubblica ci disse, direi, ci ordinò, di affrontare la prepotente urgenza rappresentata dalla situazione delle carceri e della giustizia. Dov’è finita questa emergenza?”, siamo ancora al punto di partenza. Anche ammesso che il “Piano carceri” venga completato in tempi ragionevoli, infatti, all’appello mancherebbero comunque 12.788 posti. Le situazioni più allarmanti sono in Lombardia (mancano 4.114 posti, ma a piano ultimato ne mancherebbero comunque 3.314), Campania (mancano 2.182 posti e a piano ultimato ne mancherebbero 1.332) e Lazio (mancano 1.754 posti e a piano ultimato ne mancherebbero 1.354). Il nuovo governo è consapevole che bisogna intervenire il prima possibile. Tant’è vero che le uniche parole pronunciate dal Guardasigilli Paola Severino, intercettata dai cronisti mentre usciva dal Quirinale dopo il giuramento sono state: “Diamoci tutti una mano. Il carcere è un problema grave”. Sul piatto, oltre agli interventi sulle strutture e sugli organici della polizia penitenziaria, potrebbe esserci anche altro: dalla revisione delle norme sulla custodia cautelare all’introduzione di misure alternative alla detenzione per i reati meno gravi. In tempi di tagli alle spese dello Stato, infatti, a preoccupare sono anche i numeri dei bilanci. Secondo i dati del dipartimento di Polizia penitenziaria ogni giorno spendiamo 7.615.803 euro. In pratica 113 euro per ogni detenuto. Di questi 98,95 euro vengono spesi per il personale, 4,03 per il funzionamento delle strutture, 3,35 per le spese d’investimento (edilizia penitenziaria, acquisto di mezzi di trasporto) e 6,48 per il mantenimento dei detenuti. “Ma di questi spiega Riccardo Polidoro, presidente della onlus “Il carcere possibile” -3,95 euro vengono spesi per il cibo e solamente 11 centesimi per il trattamento di riabilitazione”. Giustizia: alcuni suggerimenti al nuovo ministro Paola Severino di Patrizio Gonnella Micromega, 21 novembre 2011 Il nuovo ministro della Giustizia Paola Severino ha di fronte una bella gatta da pelare. In apertura diciamo che lo avremmo preferito indipendente piuttosto che tecnico, essendo la tecnica una forma di manipolazione della vita e delle coscienze non neutra. Il nuovo ministro deve difendersi o quanto meno confrontarsi ad armi pari con le corporazioni. La prima corporazione è quella dei c.d. colletti bianchi imputati, capitanati dall’ex premier, che cercherà di continuare nell’opera di demolizione del principio “la giustizia è uguale per tutti”. Contestualmente cercherà di perseverare nell’opera mai doma di mettere paletti all’ordinario e libero esercizio dell’azione penale. Un corollario del principio che “la giustizia non è uguale per tutti” è quello per cui per i diseredati, i disagiati psichici, i tossicodipendenti, gli immigrati “la giustizia deve essere severa, rapida e inesorabile”. Ed in effetti molto spesso lo è. E qui intervengono le altre due corporazioni della giustizia con le quali bisognerà aprire il dialogo. In primo luogo va riaperta la comunicazione politica con la corporazione dei magistrati. Questa, una volta messo da parte Berlusconi e i suoi maldestri tentativi di lobotomizzare la giustizia, ci auguriamo possa essere attrice di una riforma radicale da realizzare finalmente non nel nome di uno ma nel nome di tutti. Oggi così com’è la giustizia italiana è un disastro. I processi, anche quelli nei quali c’entra poco Berlusconi, iniziano quando sta per intervenire la prescrizione. Sono molti i processi che vedono imputati poliziotti per violenze brutali e che si stanno avvicinando pericolosamente alla estinzione per avvenuto decorso temporale. Il problema va risolto. La magistratura, liberata da Berlusconi, deve ridiventare protagonista della trasformazione profonda della giustizia italiana affinché questa possa ritornare ad essere equa e non di classe così come la nostra Costituzione la volle nel 1948. Negli anni di Berlusconi lui si è salvato ma le galere si sono riempite di poveracci che alcuni suoi sodali (basti pensare alle leggi sulle droghe e sulla immigrazione che portano i nomi di Bossi, Fini, Giovanardi) hanno usato quale grimaldello elettorale meschino. Alla corporazione degli avvocati il nuovo Ministro dovrà chiedere di essere anche loro artefici del cambiamento anziché della conservazione. Ci sono Paesi nel lontano Sud America dove la difesa è pubblica e gratuita. Da noi è privata e costosa. Quando la difesa è di ufficio diventa spesso burocratica e scadente. Poi c’è la corporazione dei poliziotti penitenziari (sono circa 40 mila, mica pochissimi), oggi più consapevoli di prima dell’emergenza carceraria (quasi 68 mila detenuti per circa 45 mila posti letto), ma ancora legati a uno spirito di corpo che li porta a fare da muro di fronte a violenze che alcuni di loro commettono. Violenze non degne di un Paese democratico. Il prossimo 23 novembre c’è la seconda udienza di un processo che si tiene ad Asti che vede imputati cinque agenti di polizia penitenziaria per vere e proprie torture. Antigone si è costituita parte civile. Una scelta costosa per una associazione di volontariato. Lo ha fatto nel nome della giustizia e dei diritti umani. Sarebbe stato bello se si fosse costituito parte civile anche un sindacato di polizia penitenziaria. Al nuovo Ministro chiediamo di venire a seguire quelle udienze, o di mandarvi qualche suo sottosegretario, per capire da che parte cominciare per riformare una giustizia che in questi ultimi vent’anni è a tutti chiaro che è stata violentata e ha a sua volta violentato i più poveri. Giustizia: quei 168 detenuti... fuggiti per sempre di Laura Coci Il Cittadino, 11 novembre 2011 “Perché mi schiante?” - Perché mi schianti? Non c’è lettore dell’Inferno che non ricordi Pier delle Vigne, violento contro sé, suicida straziato, protagonista del canto XIII. “Perché mi scerpi?” - Perché mi spezzi? Il turbamento di Dante personaggio, stretto al suo maestro Virgilio, la selva di alberi irti e nodosi, il silenzio irreale interrotto da lamenti strani. E ancora il ramo spezzato di “un gran pruno”, che gocciola sangue e parole… Impossibile non tremare alla lettura, anche per chi, come me, ama con passione la Commedia e ne ha portato nella Casa circondariale non il dolore senza riscatto e senza fine dell’Inferno, ma la luce diurna del Purgatorio, metafora del carcere e della vita quale esilio dell’anima sulla terra. Piero, il protonotario che tenne “ambo le chiavi” del cuore di Federico II, imperatore delle due Sicilie, fino a perderne “lo sonno e i polsi” - il sonno e la vita. Vittima dell’invidia della corte, nel 1249 accusato ingiustamente di tradimento, accecato col ferro rovente, gettato in una cella della rocca di San Miniato al Tedesco. “La cella è uno spazio senza tempo, un guscio vuoto. Il tempo è privo di significato, e per questo disorienta. - scrive Vincenzo Ruggiero nel saggio Il delitto, la legge, la pena - Questo vuoto porta i detenuti all’autonegazione, che li spinge a rendersi invisibili”. Piero, che per la disperazione si uccide, sfracellandosi il cranio contro i muri di pietra della cella, finendo la vita - lui, raffinato prosatore - in una misera pozza di sangue. “L’espressione estrema del tentativo di fuggire, scomparire, può essere l’automutilazione, e infine il suicidio - scrive ancora Vincenzo Ruggiero. In questo caso, i detenuti scelgono di fuggire definitivamente da se stessi, dal loro corpo. Il tasso di suicidi in carcere è comunemente dalle sei alle sette volte superiore a quello che si riscontra nel mondo libero”. Pier delle Vigne, simbolo dei morti in carcere, dei morti di carcere. 168 (di cui 59 suicidi) dall’inizio dell’anno, al 19 novembre (fonte: Ristretti Orizzonti). Tra gli ultimi, amarissimo il caso del detenuto di Livorno impiccatosi a due giorni dal fine pena. Uscire dal carcere - dopo l’inattività, la regressione, il nulla - non rappresenta la fine della sofferenza: dentro, dolore e disperazione; fuori, incertezza e paura. I suicidi sono i soli dannati che Dante privi per sempre di una parvenza di corpo: furono (mai passato remoto fu più assoluto) “uomini”, ora (in un presente che vale per l’eternità) sono “sterpi”. Violando e negando il proprio corpo, hanno oltraggiato Dio e sé stessi: nel giorno del giudizio, le loro carni non si ricongiungeranno alle anime prigioniere dei tronchi irti e nodosi, ma penderanno da questi, “ciascuno al prun de l’ombra sua molesta” - ciascun corpo all’albero ove è l’anima che gli fece danno. Muoiono impiccati, i detenuti, stringendosi intorno alla gola le cinture degli accappatoi nei minuscoli bagni delle celle. Muoiono soffocati dal gas dei fornelletti su cui riscaldano il cibo la sera, inalando forte, la testa chiusa in un sacchetto di plastica. Muoiono, tutti, a stento (“ingoiando l’ultima voce, tirando calci al vento”, vedono sfumare la luce - parole di Fabrizio De André), invisibili, dimenticati, in fuga per sempre dalla giustizia e dalla vita. “Ministero della Giustizia” è scritto sulla targa marmorea a lato dell’ingresso di ogni prigione. “Giustizia” è parola sacra: richiama il fondamento stesso del vivere civile. Essere consapevoli della negazione della giustizia, ovvero dell’ingiustizia dell’attuale sistema carcerario italiano, che ha prodotto in meno di un anno 59 suicidi (l’aspetto più dolorosamente tangibile di un sistema al collasso), è una priorità etica non differibile. “L’animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto”: la conclusione del discorso di Piero, che gocciola sangue e parole, è degna della sua fama di maestro di ars dictandi, di retorica medievale. - Il mio animo, per amara soddisfazione, credendo di sottrarsi con la morte alla vergogna e allo sdegno che mi straziavano, fu ingiusto proprio contro me stesso, che pure ero giusto -. Dante è tanto accorato per la pietà da non avere voce per chiedere altro (lo farà per lui Virgilio) allo sventurato protonotario imperiale, vittima disperata di una carcerazione - al di là di innocenza o colpevolezza - sempre inumana. Pier delle Vigne, divenuto da “giusto” “ingiusto” nella violenza contro sé, è l’archetipo, il precursore tragico dei 685 detenuti morti suicidi dal 2000 a oggi, fuggiti per sempre, senza ritorno, dal carcere e da sé stessi. Giustizia: Pannella; i detenuti vivono in spazi più angusti di quelli per l’allevamento dei maiali Agi, 11 novembre 2011 Detenuti che vivono “in spazi più angusti di quelli che la legge prevede per l’allevamento dei maiali” e l’amnistia come “unico strumento tecnico per interrompere la flagranza del delitto che si compie in Italia contro ogni diritto e contro la Costituzione”. Il direttore di Tempi, Luigi Amicone, e il leader dei Radicali, Marco Pannella, sono tornati a sollevare il problema del sovraffollamento nelle carceri e, in una conferenza stampa congiunta presso la sede milanese del settimanale, hanno spiegato l’urgenza di ricorrere all’amnistia: “per un Parlamento che sia consapevole della realtà del proprio Paese dovrebbe essere la prima iniziativa da presentare al Governo”, ha detto Amicone per il quale “non è giustizia l’illegalità incostituzionale in cui si trovano le carceri”. Il direttore di Tempi ha ricordato che nei nostri istituti penitenziari c’è una presenza di detenuti superiore del 50% a quella che le strutture potrebbero ospitare. “Abbiamo il record delle persone detenute in carcerazione preventiva - ha detto Amicone: quasi la metà di chi si trova nel nostro circuito penitenziario, ovvero il 43%, non è stato giudicato contro la media europea che è del 25%. Da un punto di vista di costi, siamo sui 3 miliardi l’anno: tutte risorse buttate via per non produrre nulla anche perché, invece, i costi per le attività di rieducazione dei detenuti, ovvero lo scopo della detenzione, sono di 11 centesimi al giorni, 3,5 euro al mese, a persona”. “Nelle nostre carceri - ha detto Marco Pannella - ci sono cittadini di tutto il mondo e lo Stato li detiene peggio di come i pirati somali trattano i loro sequestrati. Bisogna interrompere questa flagranza di reato, questa violazione dei diritti umani, del diritto internazionale, europeo e costituzionale. Con l’amnistia - ha fatto notare il leader dei Radicali - le vittime hanno delle tutele; se, invece, i reati cadono in prescrizione, niente, sono cancellati”. La direttiva europea 91/360 recepita dall’Italia con Ddl 534/92 e successivi (2001/88 e 2001/93) recanti modifiche sulle norme per la protezione dei suini spiega che per l’alloggiamento dei verri la superficie minima consentita è di 6 metri quadrati, ottimale, 9 metri quadrati. Le persone detenute in carcere vivono spesso in spazi più angusti di quelli in cui la legge intima - pena la chiusura dei porcili - siano allevati i maiali. Per questo la Corte Europea di Strasburgo ha più volte condannato il nostro Paese per casi come quello del detenuto Izet Sulejmanovic, recluso a Rebibbia, che per tutto il corso della pena (2002-2003) ha avuto a sua disposizione 2,7 metri quadrati”. Senza contare che in dieci anni questo sistema penitenziario è costato 29 miliardi di euro. Pannella se la prende anche con quella che giudica una scarsa informazione sul tema, sia da parte delle Istituzioni, sia dalla stampa: “su cose gravissime come queste - ha fatto notare - non c’è confronto nel Paese, si ha paura di raccontarle al popolo, il popolo non deve sapere; neanche nei talk show d’attualità televisivi se ne parla. Se non esplode uno scandalo, non si approva mai nulla”. Giustizia: ospedali psichiatrici giudiziari, un viaggio nell’orrore degli ergastoli bianchi di Flavia Amabile La Stampa, 21 novembre 2011 È l’11 giugno del 2010 quando i senatori della Commissione d’Inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale entrano nell’Ospedale Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia. Nessuno aspetta la loro visita ma soprattutto forse nemmeno loro sanno a che cosa stanno andando davvero incontro. Un uomo è disteso su un letto. E da solo nella stanza per le contenzioni, dove vengono tenuti legati i detenuti considerati pericolosi o violenti. È nudo, braccia e gambe tenuti fermi con garze fissate alla rete, e ha un ematoma sulla fronte. Al centro del letto, all’altezza del bacino, un buco per i suoi escrementi collegato ad un altro buco nel pavimento arrugginito dall’uso prolungato negli anni. E la stanza di contenzione inaugurata dal ministro Rocco nel 1925, e più o meno gli stessi anni ha la norma che prevede che quell’uomo debba restare in un posto del genere a vita in quello che è stato definito un ergastolo bianco anche se si è semplicemente rubato un panino o bevuto un po’ troppo e si è finiti coinvolti in una rissa. Donatella Poretti, volata da Roma insieme agli altri commissari per scoprire questo scandalo italiano, guarda il registro delle contenzioni per cercare di capire che cosa avesse combinato quest’uomo. Non c’è scritto nulla. E l’inizio di un viaggio nell’inferno, un buco nero scoperchiato dai altri senatori della commissione che ha dato vita a una relazione da leggere solo se si ha lo stomaco forte e che Ignazio Marino, presidente della commissione, presenterà questa settimana al terzo ministro della Giustizia in un anno portando un video di oltre mezz’ora di scene girate in giro per l’Italia. Perché sono trascorsi più di trent’anni dalla legge Basaglia che ha chiuso i manicomi ma nonostante questo in Italia ci sono ancora almeno 1.404 internati distribuiti in sei ospedali psichiatrici giudiziari italiani. La legge prevede che debbano restare lì soltanto se sono socialmente pericolosi. Dall’indagine della commissione in 368 sono stati considerati in grado di poter uscire ma soltanto 101 hanno effettivamente lasciato le strutture: non ci sono né Asl né comunità disposti ad assisterli. A questo punto il Senato ha votato sì alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari con una risoluzione, che ha visto maggioranza e opposizione votare in modo compatto, il primo passo verso la chiusura definitiva. Difficile infatti tollerare luoghi come l’ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto dove le pareti hanno intonaci sporchi e cadenti, porte e finestre hanno i vetri incrinati, ovunque vi sono macchie di muffa e umidità, sporcizia, vernice scrostata e ruggine, un lezzo nauseabondo di urine. Sui letti le lenzuola e le coperte sono strappate, sporche ed insufficienti e le celle garantiscono 3 metri di spazio per persona con un bagno comune aperto, tutti vedono tutti. Non esistono frigoriferi: chi vuole bere dell’acqua fresca infila la bottiglia nel buco del bagno turco dove la temperatura è un po’ più bassa di quella delle celle. Non è così ovunque ma quasi. E le persone che finiscono lì perdono ogni dignità. A volte anche senza motivo. E così i senatori della commissione incontrano nell’ospedale di Reggio Emilia un uomo dal fisico robusto e muscoloso. Da cinque giorni è legato anche lui al letto di contenzione. Chiedono informazioni, scoprono che l’uomo è stato arrestato 22 anni prima per una rissa a Firenze. Viene giudicato incapace di intendere e di volere e chiuso nel primo ospedale giudiziario. Da allora si scatena in lui una tale violenza da rendere impossibile occuparsene senza legarlo. Quasi come per un accordo non scritto gli ospedali lo ospitano per un po’ poi lo trasferiscono. E questa da 22 anni al vita di un uomo condannato per rissa. Nell’ospedale di Secondigliano, vicino Napoli, i senatori incontrano un uomo con bende sporche intorno alle gambe e ai piedi. Ha evidenti segni di cancrena e da settimane nessuno gli cambia le medicazioni. L’unico tipo di assistenza sono 30 minuti ciascuno di terapia psichiatrica al mese per loro che sono malati psichiatrici. Come si potrebbe pensare di curare il diabete? Ignazio Marino: la soluzione c’è, distribuire queste strutture sul territorio Ignazio Marino, presidente della Commissione sul Servizio Sanitario Nazionale, già sei mesi fa avete lanciato il primo allarme sugli orrori commessi negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Che cos’è cambiato da allora? “È cambiata la sensibilità nel Paese e anche negli ospedali. Prima venivamo accolti con diffidenza, ora anche loro si rendono conto della necessità di andare oltre questo tipo di strutture. C’è stato anche un voto unanime in commissione in questo senso. Purtroppo nessuna forza politica si è mossa per superare quello che è uno scandalo intollerabile per un Paese civile, come ha sostenuto anche il presidente Napolitano”. Superare gli ospedali giudiziari per arrivare a quale soluzione? “Vanno trasformati in strutture distribuite meglio sul territorio: ogni Regione deve avere la responsabilità dei propri pazienti e devono essere previste misure cautelari solo in caso di provato pericolo”. Questa settimana ne parlerà con il ministro della Giustizia. È fiducioso? “Non posso non esserlo. Noi membri della commissione siamo talmente nauseati dopo due anni di visite negli ospedali giudiziari da essere pronti ad incatenarci pur di ottenere quello che chiediamo. Un giorno uno dei detenuti mi ha detto: lo sa che chi tiene dei cavalli in uno spazio di 3 metri viene arrestato? E noi che siamo umani?”. Giustizia: Marino (Pd), gli Opg sono gironi infernali, 400 internati potrebbero uscire subito Ansa, 21 novembre 2011 Potrebbero tornare subito in libertà 400 internati negli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) che si trovano in una “situazione intollerabile”: la denuncia-appello arriva dal Presidente della commissione di inchiesta parlamentare sul Servizio sanitario nazionale, sen. Ignazio Marino (Pd), che paragona gli Opg “a gironi dell’inferno” e annuncia che porterà la condizione dei 1.500 internati, che vi sono ancora ristretti, all’attenzione dei nuovi ministri della sanità e della giustizia. Questi detenuti - ha detto il sen. Roberto di Giovan Paolo, presidente del Forum nazionale della salute nel carcere, che si è riunito oggi a Torino, presente lo stesso Marino - non vengono liberati “per ragioni burocratiche o per l’eccesso di zelo di alcuni magistrati di sorveglianza. Gli Opg - ha aggiunto - sono stati cancellati dall’ultima riforma della sanità penitenziaria, ma finora nessuno lo ha fatto nella realtà. Bisogna che si cominci a farlo, a partire da questi detenuti che avrebbero tutte le carte in regola per uscire ed essere reinseriti nella società”. La Commissione guidata da Marino ha raccolto episodi di costrizione e degrado in tutti i sei Opg italiani: Castiglione delle Stiviere (Mantova), Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino (Firenze), Aversa (Caserta), Secondigliano (Napoli) e Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). Proprio in quest’ultimo, rimasto nelle condizioni del giorno in cui, nel 1925, fu inaugurato dal ministro Rocco, la Commissione ha scoperto i casi più drammatici di ‘ergastoli bianchì (così sono chiamati i detenuti in quelli che un tempo erano definiti manicomi criminali). Tra gli episodi, quello di un uomo legato a un vecchio letto per giorni, con un foro per le funzioni vitali restando in condizioni di costrizione. “Vi sono persone - ha detto Marino - che per avere commesso una semplice bagatella si trovano rinchiuse in luoghi in cui se ognuno di noi chiudesse un cane o un cavallo verrebbe immediatamente arrestato”. La commissione parlamentare ha accertato che nella gran parte degli Opg “non vi sono le più elementari condizioni igienico-sanitarie - ha spiegato Marino - mentre non si contano i casi di costrizione fisica in letti ottocenteschi a cui i pazienti vengono legati come se fossero in un girone infernale. Inoltre è contro la Costituzione imporre misure cautelari a persone che non abbiano ricevuto disposizioni di questo tipo da parte della magistratura”. In Senato è stato votato un ordine del giorno per l’immediata chiusura degli Opg, “in modo che - ha concluso Marino - siano sostituiti da luoghi di cura per coloro che rappresentano un pericolo sociale e dalle cure sul territorio per tutti gli altri”. Di Giovan Paolo (Pd): chiudere la tragica pagina degli Opg “La tragica pagina degli Ospedali psichiatrici giudiziari va affrontata applicando la riforma della sanità penitenziaria del 2000. Serve una triangolazione virtuosa tra ministeri della Salute, della Giustizia e poteri locali: quindi, sanità con le Regioni e servizi sociali con i Comuni. Il Forum quindi chiederà di riaprire il tavolo nazionale a cominciare dalla questione Opg ai nuovi ministri e presenterà le sue proposte al convegno del 16 dicembre a Firenze”. Lo ha affermato il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum della Sanità Penitenziaria, al convegno organizzato dal Forum nazionale e regionale piemontese della salute in carcere “Stop Opg”. “Non è accettabile che un Paese come il nostro che vuole tornare a dire la sua in Europa e nel mondo continui ad avere strutture e leggi contrarie non solo agli standard internazionali - continua Di Giovan Paolo - ma anche al dettato della nostra Costituzione in materia di pena e recupero del cittadino detenuto”. Giustizia: Osapp; i problemi delle carceri vanno ben oltre le possibilità di un governo tecnico Comunicato stampa, 21 novembre 2011 “In Italia oggi, in soli 45.600 posti-letto 67.800 detenuti, di cui 8.520 ad alto indice di sicurezza, oltre 630 soggetti al particolare regime dell’articolo 41 bis e 1.800 soggetti a misure di sicurezza di cui oltre 1.200 per malattie della sfera psichica in Ospedali Psichiatrici Giudiziari da chiudere e riqualificare integralmente, queste le prime cifre dell’attuale marasma penitenziario a cui vanno aggiunti i 6.500 poliziotti penitenziari mancanti su un organico di 45mila e 2.200 mila unità dei profili tecnici-amministrativi in meno rispetto ad un organico di 8.700.” ad affermarlo in una nota scritta è Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “Se a tale contesto, di per se disastroso, aggiungiamo i 1.611 agenti aggiuntivi dei quali è stata del tutto vanificata l’assunzione straordinaria nel corrente anno, nonostante le promesse degli ex guardasigilli Alfano e Palma e i quasi 180 milioni di debiti dell’Amministrazione penitenziaria sull’intero territorio nazionale, per spese non pagate che vanno dai carburanti ai canoni e agli affitti, dal vitto dei detenuti alle riparazioni degli immobili, degli apparati tecnologici e degli automezzi e con un credito vantato negli ultimi 2 anni dai soli poliziotti penitenziari per servizi resi e non retribuito che eccede i 10 milioni di euro - prosegue il leader dell’Osapp - ci si può rendere conto che il sistema penitenziario italiano va ben oltre la mera emergenza per collocarsi ad un solo passo dal tracollo definitivo.”. “Per tali motivi - conclude Beneduci - l’augurio che di cuore e come sindacato nazionale della polizia penitenziaria rivolgiamo alla neo-ministro Paola Severino non ci impedisce di rendere pubblica la nostra sfiducia verso una politica che per anni ha difettato di qualsiasi capacità di analisi e di proposta, per migliorare le condizioni di lavoro del personale e di vita dell’utenza egli istituti di pena, rispetto a soluzioni per le carceri italiane che, dopo i fallimenti delle precedenti maggioranze, assai difficilmente un governo tecnico, pur di larghe intese, avrà il coraggio di adottare”. Giustizia: il Jesuit Social Network entra tra gli Organismi nazionali che aderiscono alla Cnvg Ristretti Orizzonti, 21 novembre 2011 Il Consiglio Nazionale della Cnvg, durante la sua ultima sessione del 11-12 novembre, ha accolto fra i suoi Organismi nazionali il Jesuit Social Network. La rete delle 18 associazioni diffusa dal Piemonte alla Sicilia, con le sue molteplici attività in favore di ogni tipo di emarginazione sociale, da sempre cammina con le persone con problemi di giustizia sia negli istituti penitenziari che sul territorio coi suoi numerosi volontari e cappellani. Insieme, un’unica voce, per condividere l’esperienza e ed elaborare proposte, utili a disegnare un modello di giustizia capace di rendere giustizia alle vittime e rispetto alle persone private della libertà. Insieme per ribadire che il carcere deve rimanere l’extrema ratio mentre è di gran lunga più fruttuosa la strada della pena utile che prevede il risarcimento sociale e la mediazione penale. Anna Pia Saccomandi Segretaria generale Cnvg Giustizia: nasce un Comitato per la verità sulla morte di Christian De Cupis… a tutela di tutti Adnkronos, 21 novembre 2011 “Non è un grido contro qualcuno è solo il bisogno di verità. Sapere cosa sia successo quel giorno non fa scomparire il dolore per la tragica morte ma è un modo per ripartire, accettare il dramma e andare avanti. La verità è a tutela di tutti, anche delle forze dell’ordine”. Lo afferma il parroco della chiesa di Santa Galla, che sabato scorso ha officiato i funerali per Christian De Cupis, nel corso dell’incontro odierno per la presentazione del comitato “Giustizia e verità per Christian” presso la sala consiliare del Municipio Roma XI. Il 9 novembre, alle ore 9, De Cupis viene fermato dalla polizia ferroviaria, accusato di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Dopo nove ore trascorse presso la stazione degli agenti ferroviari, il 36 enne è condotto al pronto soccorso del Santo Spirito di Roma e poi, il giorno dopo, all’ospedale Belcolle di Viterbo nella sezione per carcerati. Da lì non esce più e la famiglia viene avvertita solo a morte avvenuta. “Vogliamo la verità, non ci interessa il motivo del fermo di polizia ma vogliamo sapere perché è morto. In Italia non c’è la pena di morte, quindi vogliamo chiarezza su quel giorno e sapere cosa è successo dopo l’arresto. È assurdo che la famiglia, in modo inumano, venga a conoscenza dei fatti solo dopo la morte di Christian e, cosa ancora più grave, che non sia stato avvertito il perito di parte per l’autopsià, sottolinea Andrea Catarci (Sel), presidente del Municipio Roma XI. Molte le associazioni presenti in Municipio XI per la conferenza. Unanime la richiesta di “rottura del muro di gomma che racchiude la paura e l’omertà e il bisogno di sapere la verità”. A cui si aggiunge l’appello di Patrizio Gonnella dell’associazione Antigone affinché “chi, presente quel giorno alla stazione Termini, abbia visto qualcosa si faccia avanti e dica la verità senza paura”. “Sono lunghe battaglie - dice Luciano Marino, rappresentante dell’associazione Casetta Rossa - che vanno intraprese per ottenere giustizia. Saremo vicini alla famiglia per aiutarli in questo periodo. La mia proposta è di tappezzare Roma - conclude Marino - di manifesti con la scritta. Noi vogliamo verità e giustizia per Christian De Cupis in modo tale che nessuno dimentichi, e che si mantengano i riflettori accesi”. Garante Lazio: sul caso De Cupis troppi lati oscuri “È giusto dare continuità a questo evento che mostra troppi lati oscuri e ambigui. Il rischio che si corre è che casi analoghi cadano nell’oblio. Christian De Cupis è stato fermato il 9 novembre alle ore 9 dalla polizia ferroviaria della stazione Termini di Roma, è stato trattenuto per 9 ore, perché e cosa è successo in quel lasso di tempo? E perché poi è stato condotto al pronto soccorso dell’ospedale Santo Spirito e non al più vicino San Giovanni? E da lì perché dall’ospedale Belcolle di Viterbo, nel reparto per carcerati, perché tutti questi trasferimenti e perché in un reparto per detenuti se egli ancora non lo era?”. Questi gli interrogativi posti da Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio, durante la conferenza convocata nella Sala del Consiglio del Municipio Roma XI, per presentare la nascita del Comitato Verità e giustizia per Christian De Cupis, il 37enne morto dopo essere stato arrestato nella capitale e poi trasferito in un reparto sanitario nell’ospedale Belcolle collegato al carcere Mammagialla di Viterbo. “Il primario del Belcolle - aggiunge Marroni - mi riferì che De Cupis stava benissimo e che le analisi non mostravano alcuna patologia. Come può un ragazzo sano morire d’infarto? Noi vogliamo sapere cosa lo avrebbe provocato”. Mio fratello non poteva procurarsi quelle ferite da solo “Chiedo scusa a priori se mio fratello Christian quel giorno ha aggredito qualcuno. Il comitato che nasce oggi a suo nome ha come scopo la ricerca della verità e della giustizia. Lo devo a Christian’. Lo ha dichiarato Claudio De Cupis, fratello del 37enne morto dopo essere stato arrestato nella capitale e poi trasferito in un reparto sanitario nell’ospedale Belcolle collegato al carcere Mammagialla di Viterbo, durante la conferenza convocata nella Sala del Consiglio del Municipio Roma XI, per presentare la nascita del Comitato Verità e giustizia per Christian. “Mi hanno detto - ha aggiunto Claudio - che durante quelle ore si sarebbe autolesionato, ho visto il suo corpo, e non avrebbe mai potuto infliggersi tali ferite. Si parla di un video che mostrerebbe Christian aggredire un passante e poi gli agenti, a noi non hanno permesso di visionare il filmato, mentre una giornalista, unica ad averlo visto, ne descrive i contenuti in un articolo. Io chiedo giustizia”. Sarone (Sant’Egidio): prima dell’arresto De Cupis venne da me per cercare lavoro “Conoscevo Christian De Cupis da quando aveva quattro anni, aveva commesso degli errori nella sua vita, era stato pure in carcere, ma stava cercando di cambiare. Il 7 novembre, due giorni prima dell’arresto, era venuto da me per compilare il curriculum da inviare a qualche associazione, e un paio di esse, nei giorni successivi, mi hanno chiamato per fissare un colloquio, volevano dargli un lavoro, ma era troppo tardi, Christian era già morto”. Lo ha detto Alessandro Sarone della comunità di Sant’Egidio durante la conferenza all’XI Municipio di Roma per inaugurare il “Comitato Verità e giustizia” per Christian De Cupis, il 36enne morto dopo essere stato arrestato nella capitale e poi trasferito in un reparto sanitario nell’ospedale Belcolle collegato al carcere Mammagialla di Viterbo. “Quelle nove ore in cui Christian è stato fermato dalla polizia ferroviaria di Roma Termini sono state nove ore di buio - conclude. Cosa è successo in quel lasso di tempo e perché un giovane 36enne muore senza un motivo?”, si è chiesto Sarone. Quando il disagio uccide.. Cristian De Cupis, l’ultima morte in carcere. Ultime notizie Viterbo - UnoNotizie.it - La problematica legata al complesso mondo carcerario si riaccende in tutta la sua crudità alla luce degli ultimi fatti di cronaca, un giovane agli arresti deceduto presso il reparto di medicina protetta dell’Ospedale Belcolle per cause che sono oggetto di indagini da parte della magistratura. Le parole “emergenza” e “sovraffollamento” sono ormai sinonimo di carcere. Negli ultimi anni il governo ha varato diversi Piani carceri, che prevedevano la costruzione di nuovi istituti penitenziari, mai iniziati, e di fatto la situazione penitenziaria sta raggiungendo velocemente il collasso. Al 30 settembre 2011 i detenuti erano 67. 428 a fronte di una capienza regolamentare di 45. 817, tra di loro, gli stranieri sono 24. 401, e soltanto 37. 213 sono le persone con una sentenza passata in giudicato. L’affollamento carcerario vede l’Italia agli ultimi posti in Europa. Questa situazione è principalmente dovuta ad un sistema giudiziario molto lento per un eccessivo uso dello strumento della custodia cautelare per gli imputati e soprattutto per colpa di leggi quale la “Fini-Giovanardi” sulle droghe che, come spiega il presidente di Antigone, fanno entrare in carcere persone pericolose soltanto verso se stesse e che andrebbero invece recuperate in strutture idonee. Circa il 37 per cento dei carcerati ha violato questa legge in Italia mentre la media europea per reati simili è solo del 15-18 per cento. Se si aggiunge la ex Cirielli sulla recidiva, di fatto vengono esclusi molti condannati dalla possibilità delle misure alternative alla detenzione, che nel resto d’Europa rimane la modalità principale di scontare una pena. Basti pensare che nel 2009 in Italia le persone che avevano fruito di tali misure erano soltanto 13.000 contro le 139.000 in Francia. In carcere la dignità non esiste più. Nell’istituto di Viterbo ci sono circa 730 detenuti di cui molti ad alta e massima sorveglianza a fronte di una capienza di circa 450 posti. A San Vittore sono detenute 1.635 persone contro una capienza di 712, a Poggioreale si fanno i turni anche per stare in piedi. In cella si muore: 154 decessi dal primo gennaio al 25 ottobre, di cui 53 suicidi. Non ci sono diritti neanche per i bambini: nel penitenziario romano di Rebibbia 24 minori di tre anni vivono con le loro mamme (il nido ne potrebbe ospitare soltanto 19). Ma la notizia più grave è che non ci sono più soldi. Nel 2010, le direzioni degli istituti hanno denunciato un’esposizione finanziaria di 120 milioni di euro nei confronti dei fornitori dei servizi essenziali. Il risultato è che i detenuti rimangono pure senza riscaldamento. Solo il 20 per cento della popolazione carceraria lavora e i fondi per gli incentivi alle assunzioni da parte di cooperative sociali ed imprese sono finiti. La polizia ha una carenza di organico di 6 mila unità, gli operatori del trattamento (educatori e assistenti sociali) sono così pochi da rendere spesso vano il loro grande e responsabile impegno con i detenuti. Lo stesso sindacato dei Direttori penitenziari ha lanciato l’allarme, nei mesi scorsi, con un comunicato nel quale emerge l’indignazione per le condizioni in cui sono costretti ad operare e dicono a chiare note che “non vogliono rendersi complici di un sistema di illegalità e che negli istituti penitenziari vi è un abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona”. Una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita, e dalla quale non si può distogliere lo sguardo, arrendendosi all’obiettiva constatazione della complessità del problema e della lunghezza dei tempi necessari per l’apprestamento di soluzioni strutturali e gestionali idonee. C’è un’emergenza assillante, dalle imprevedibili e al limite ingovernabili ricadute, che va affrontata senza trascurare i rimedi già prospettati e in parte messi in atto, ma esaminando ancora con la massima attenzione ogni altro possibile intervento e non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria. Si sottolinea infine la prepotente urgenza della questione giustizia e carcere, e l’incapacità della politica di produrre scelte coraggiose, coerenti e condivise, scelte che ogni giorno di più si impongono, dinanzi alla gravità dei problemi. Per ricostruire una logica penitenziaria che non sia solo quella della punizione e della deprivazione, per restituire alla pena il suo valore rieducativo, per abbattere il rischio di suicidi di persone detenute così di operatori penitenziari, si dovrebbero recuperare subito risorse economiche per destinarle al sistema penitenziario, al rafforzamento dei suoi organici, dei ruoli tecnici e delle aree educative, del personale della polizia penitenziaria. Questo appare altrettanto importante se non più qualificante della sola costruzione di nuovi istituti penitenziari. Sarà inoltre necessario prevedere un piano integrato delle politiche sociali e delle risorse del privato presenti sul territorio affinché la pena riacquisti il suo primario senso di restituzione e non mera “pena”, incrementando anche quelle che sono le misure alternative alla detenzione e le altre sanzioni di tipo risarcitorio, garantendo un reale ed effettivo reinserimento sociale da parte dei condannati, rafforzando il senso di sicurezza della comunità. Dr.ssa Teresa Mariotti esperta per le problematiche sociali IdV Viterbo Lettere: ripartire dalla rieducazione alla legalità di Valeria Pirè (Direttore penitenziario) Notizie Radicali, 21 novembre 2011 Ho letto su “Notizie Radicali” l’articolo di Valter Vecellio (“Governo Monti: vedi mai, chissà, forse…”, “Notizie Radicali” 17 novembre; ndr), il cui contenuto condivido, ma...un pensiero mi accompagna in queste giornate di crisi: io non penso che Monti sia “l’uomo del destino”, la persona che potrà risolvere in pochi mesi tutti i problemi dell’Italia e, soprattutto, degli italiani. Mi preoccupa molto questa specie di “investitura assoluta” e vorrei urlare al mondo che è troppo comodo e che non possiamo continuare a pensare che qualcuno con la bacchetta magica d’incanto risolva tutti i problemi che per troppo tempo altri non hanno risolto o hanno aggravato. Nel mio lavoro quotidiano ho imparato che se le carceri sono così, non è un caso! L’opinione pubblica oscilla tra garantismo, buonismo e approccio “forcaiolo”, a seconda che i mass media spingano l’acceleratore su uno o l’altro di questi stati emotivi, e si abbandona con pigrizia alle visioni della realtà che le vengono fornite. Lo Stato e le istituzioni dovrebbero, però, prescindere dalle ondate di emotività: la dignità dei detenuti ed il rispetto del mandato costituzionale non sono “di destra” o “di sinistra” e dovremmo imparare a spiegarlo all’opinione pubblica; ci sono principi assoluti di interesse generale dello Stato che vanno difesi con costanza e continuità, al di là dell’orientamento contingente dei cittadini. Le carceri oggi sono meri contenitori, e non funzionano bene neanche come contenitori (anche i contenitori devono avere delle caratteristiche di idoneità). Il problema di affrontare con serietà l’attuale situazione non è di destra né di sinistra; il problema che non ci sono i soldi per sostituire i sanitari rotti nelle celle o per sostituire i materassi sporchi e strausati con quelli nuovi è sia di destra che di sinistra; assicurare al personale una qualità del lavoro dignitosa è sia di destra che di sinistra: siamo noi cittadini, però, a dover ritenere indispensabile l’adozione di linee che non subiscano le variazioni del “vento politico”, a porla come condizione ai nostri rappresentanti, nel sistema carcere come in molti altri contesti. Gli operatori penitenziari hanno bisogno di sapere che, se cambiano i Governi, alcuni principi fondamentali non subiranno scossoni. Per “venirne fuori” penso che dobbiamo ripartire dalla “educazione alla cittadinanza e alla legalità” di tutti, personale penitenziario compreso: la serenità dell’agire professionale quotidiano, la qualità delle relazioni interprofessionali dipendono anche da ognuno di noi, da quanto tempo ognuno tutti i giorni ritiene di dover dedicare alla conflittualità, alle beghe sindacali, alle rivendicazioni infondate, alle contrapposizioni esacerbate e sterili, a discapito di quel senso di appartenenza allo Stato e di coerenza con il ruolo che rivestiamo, che aiuterebbero senz’altro ognuno di noi a ridare significato al nostro lavoro... dovremmo almeno provare … I nostri delegati al Governo e nelle istituzioni sono come noi li vogliamo: siamo davvero convinti che ci interessa veramente che le carceri ed il problema della sicurezza siano gestiti diversamente? Sono disfattista? No… direi piuttosto realista: da quando ho capito questo, credo di aver migliorato la qualità del mio lavoro. Lettere: quei pazzi di Pannella ed Amicone che chiedono l’amnistia… di Filippo Facci Libero, 21 novembre 2011 Ci sono in giro dei pazzi. Uno è Marco Travaglio: ieri ha spiegato che Mario Monti anzitutto dovrebbe “mettere all’ordine del giorno una draconiana legge sul conflitto di interessi”. Un’altra è Liana Milella di Repubblica, secondo la quale il nuovo ministro della Giustizia dovrebbe immediatamente: 1) dare una calmata agli avvocati, che si permettono di fare scioperi troppo lunghi; 2) cancellare le ispezioni chieste dal ministro berlusconiano; 3) sostituire il capo degli ispettori che è troppo berlusconiano; 4) cancellare le leggi berlusconiane e far sparire progetti su intercettazioni, prescrizione breve, processo lungo eccetera; 5) fare qualcosa per la situazione delle carceri (i suicidi ormai sfiorano la sessantina) il che lo scrivente, diversamente dal resto, condivide in pieno. L’altra categoria si pazzi, a tal proposito, sono Marco Pannella e Luigi Amicone: un radicale e un ciellino che si sono uniti per chiedere un’amnistia che, in attesa di soluzioni più strutturali, dia respiro a carceri che sono stipate come porcili. Anzi, peggio: la direttiva europea sui suini - hanno calcolato - prevede che ciascun maiale disponga di almeno 6 metri quadrati, ma la Corte di Strasburgo ha appena condannato l’Italia perché un detenuto a Rebibbia viveva in 2,7 metri. Napolitano il 21 luglio scorso ha definito “ripugnante” la situazione, ma forse non basta. Deve dirlo anche la Merkel. Lazio: il Garante; aumentate le denunce, ma nelle non ci sono segnali di violenza sui detenuti Adnkronos, 21 novembre 2011 “Il carcere è diventato un luogo tremendo, in passato non lo era. Il mio ufficio ha registrato un aumento delle denunce da parte dei detenuti. Mille lettere abbiamo ricevuto, da tutta Italia, da parte dei carcerati che ci scrivono per raccontare la loro detenzione. Nelle carceri laziali non ci sono segnali di violenza da parte della polizia penitenziaria, la situazione qui è molto più trasparente e le associazioni monitorano continuamente”. Lo ha dichiarato Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio, a margine della conferenza nella sala del Consiglio del Municipio Roma XI, per presentare la nascita del Comitato Verità e giustizia per Christian De Cupis, il 36enne morto dopo essere stato arrestato nella capitale e poi trasferito in un reparto sanitario nell’ospedale Belcolle collegato al carcere “Mammagialla” di Viterbo. “Nel Lazio, frequenti sono i casi di autolesionismo e di danneggiamento della struttura carceraria - aggiunge Marroni - dovuti alla situazione di affollamento in cui sono costretti a vivere i detenuti e questo produce invivibilità ed esasperazione. Abbiamo 6.000 detenuti nelle carceri laziali mentre la capienza richiesta è per 4.000 individui, le celle ospitano 12 carcerati invece dei previsti quattro”. Toscana: Lisiapp; in arrivo 129 nuovi agenti di polizia penitenziaria nelle carceri regionali Agi, 21 novembre 2011 Saranno 129 gli agenti di polizia penitenziaria che, terminato il corso di formazione, saranno assegnati in Toscana. A diffondere il dato è stato il Lisiapp (*). “Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) ha reso noto le sedi di assegnazione dei nuovi poliziotti penitenziari”, ha spiegato Mirko Manna, segretario generale e leader del sindacato libero. “In particolare - ha poi proseguito - in Toscana arriveranno 7 donne e 122 uomini”. “Siamo sufficientemente soddisfatti per il numero degli agenti assegnati alle strutture della Regione Toscana, ma tutto ciò crediamo non basti. Lo si puo vedere dai dati - ha aggiunto Manna - che riguardano le strutture di Lucca e di Firenze Sollicciano. Nella prima sono stati assegnati solo 5 agenti, mentre nella seconda, invece, ne sono stati assegnati 18”. “La struttura penitenziaria di Lucca - ha concluso il segretario del Lisiapp - è un esempio di carcere superaffollato e le condizioni della struttura, risalente ai primi del 700, sono precarie e fatiscenti. In questo contesto è difficile qualsiasi opera trattamentale nei confronti dei detenuti, ma anche un presente disagio dei poliziotti in servizio”. Liguria: Sappe; il ministero assegna un numero di agenti insufficiente e distribuiti male Comunicato stampa, 21 novembre 2011 Carceri della Liguria, la protesta del Sappe dopo le recenti assegnazioni di Agenti: “Il Ministero non manda un numero di Agenti sufficiente per aprire la nuova Sezione detentiva di La Spezia. E assegna neo agenti laddove - Chiavari, Savona e Imperia - vi sono unità che aspirano da anni al trasferimento”. La Spezia penalizzata dal piano di assegnazione dei nuovi Agenti di Polizia Penitenziaria, che pure prevede l’invio in Liguria di 67 unità. Ed è a rischio l’apertura della ristrutturata nuova Sezione detentiva nel carcere spezzino. La denuncia è del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri, che ha inviato oggi al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, alla Sua Vice Simonetta Matone ed al Capo del Personale Riccardo Turrini Vita la richiesta di urgente revisione delle assegnazioni previste per La Spezia. “Potremmo dire che avevamo ragione quando sostenemmo, nei giorni scorsi, che era da considerarsi positivo l’invio di nuovi Agenti di Polizia Penitenziaria in Liguria se questo teneva nel debito conto anche il bilancio degli eventuali movimenti di entrata ed uscita dai Reparti del Personale che aspira da tempo ad un trasferimento a domanda. Così non ci sembra essere avvenuto, almeno a Spezia”, spiega Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe. “L’istituto spezzino sta per tornare, dopo alcuni anni durante i quali sono stati realizzati molti lavori di ristrutturazione, al suo regime normale quanto a ricettività detenuti. Già dal mese di ottobre 2010, in previsione dell’ultimazione dei lavori, il Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Liguria aveva prospettato alla Direzione Generale del Personale la necessità di un incremento organico del Reparto dell’Istituto di 26 unità complessive di Polizia Penitenziaria (due ispettori, due sovrintendenti, 22 agenti). Sempre il Prap della Liguria aveva previsto, nel piano di ripartizione dell’assegnazione dei neo - agenti del 163° corso, l’assegnazione di 8 unità. Ma dagli elenchi appena trasmessi dal Ministero della Giustizia, riguardanti proprio le sedi di assegnazione dei neo agenti, al carcere di La Spezia è stata prevista l’assegnazione di sole n. 5 unità!” “Non solo” prosegue Martinelli, che ricorda come il 26 settembre scorso il Sappe aveva incontrato il Prefetto Giuseppe Fiorani ed il Sindaco della città spezzina Massimo Federici proprio per esternare le difficoltà operative del Reparto di Polizia in previsione dell’apertura della nuova Sezione detentiva senza un adeguato e concreto aumento di unità di Polizia e per chiedere un loro interessamento in merito. “Il Personale di Polizia Penitenziaria trasferito a La Spezia a seguito della mobilità connessa all’assegnazione degli agenti di Polizia Penitenziaria del 163° corso, in origine, ammontava complessivamente a n. 11 unità. Di queste, 4 hanno presentato istanza di revoca al trasferimento (tutte accolte) e 2 hanno ottenuto un differimento di alcuni mesi dalla presentazione nella nuova sede. Ciò comporta che, concretamente, a La Spezia saranno a breve assegnati solamente 5 agenti di Polizia Penitenziaria del 163° corso e 5 unità dalla mobilità ordinaria a seguito dell’interpello ordinario anno 2010 connesso all’assegnazione dei neo Agenti (alle quali solo fra qualche mese se ne dovrebbero aggiungere altre 2). Un numero assolutamente insufficiente per garantire la copertura dei posti di servizio previsti nella nuova Sezione detentiva di imminente riapertura, peraltro ben al di sotto delle unità che le articolazioni periferiche dell’Amministrazione penitenziaria hanno richiesto al Dipartimento e comunicato ai Sindacati della Polizia Penitenziaria”. Il Sappe sottolinea le incongruenze ministeriali anche sull’assegnazione di alcune poliziotte in Liguria. “Diverse sono le neo Agenti - precisamente 6 - per le quali è prevista una assegnazione in una sede penitenziaria della Liguria. L’incongruenza emerge evidente laddove le medesime sono assegnate anche in sedi (Chiavari, Savona ed Imperia) rispetto alle quali diverse unità di Polizia Penitenziaria aspirano da anni ad essere trasferite mentre l’unico Istituto penitenziario con sezioni detentive femminili della Regione (Pontedecimo) si vede assegnare una sola unità proveniente dal 163° Corso”. “Mi sembra del tutto evidente” conclude Martinelli “che ci siano tutti gli elementi e le ragioni per evidenziare come si rende assolutamente necessaria una complessiva rivalutazione da parte dell’Amministrazione Penitenziaria di Roma sulle assegnazioni di unità di Polizia Penitenziaria già previste per la Liguria, a cominciare dal concreto potenziamento del Reparto di Polizia di La Spezia.” Bologna: il Garante; serve più ascolto ai detenuti, quella morte deve farci riflettere di Lorenza Pleuteri www.repubblica.it, 21 novembre 2011 Alla Dozza di Bologna, pochi giorni fa, l’ultimo caso di suicidio dietro le sbarre, il 59esimo dall’inizio dell’anno in Italia. La neo garante Laganà: “Non dobbiamo psichiatrizzare il carcere, ma serve una risposta diversa. Quell’uomo era preoccupato per la sua famiglia, che era in difficoltà”. Elisabetta Laganà è da pochi giorni il garante comunale per i diritti dei detenuti, eletta dopo una serie di votazioni andate a vuoto e la spaccatura nel centro sinistra su altri candidati. Da vent’anni fa la volontaria alla Dozza, una realtà che conosce bene, anche grazie alla sua esperienza come esperta del Tribunale di sorveglianza. Martedì sarà in istituto per la presentazione ufficiale. In queste ore, da fuori, si sta misurando con le domande provocate dall’ultima tragedia, il suicidio di un detenuto, Antonio Pastor Chavarro. Pochi mesi fa, in aprile, di carcere era morta un’altra persona: Marzio Berti, 40 anni segnati dalla tossicodipendenza e da due omicidi, stroncato da un arresto cardiaco. Dottoressa, che cosa ha saputo di questa tragedia, il 59esimo suicida in un carcere italiano dall’inizio dell’anno? “Quest’uomo, in carcere da settembre per una indagine ancora in corso, non aveva un comportamento “autolesivo” esplicito. Non aveva dato segnali, non aveva lasciato intuire che stesse meditando un gesto estremo. Eppure era una persona che comunicava con la polizia penitenziaria. Aveva detto di essere preoccupato perché la famiglia di origine stava attraversando un periodo di crisi. Potrebbe essersi sentito in colpa”. A che cosa può e deve servire questa morte? “È necessario che susciti domande. Ci dobbiamo tutti chiedere che cosa sta succedendo nel sistema penitenziario italiano. Bisogna richiamare l’attenzione, l’interesse e il contributo di tutte le istituzioni in campo, del volontariato, della società civile”. Ci può fare un esempio? “Il sistema richiede un potenziamento dei servizi psicologici e psichiatrici. Occorre garantire la continuità dell’ascolto dei detenuti. In altre istituti sono state create equipe multidisciplinari, con agenti, educatori, infermieri, operatori. La messa in gioco sinergica può aiutare a cogliere i segnali premonitori delle persone a rischio. Non si tratta di psichiatrizzare il carcere, proprio no. Si tratta di aumentare la risposta trattamentale data ai detenuti, creando più occasioni d’ascolto”. Il carcere è al collasso. I fondi vengono tagliati. I progetti nuovi vanno nella direzione opposta: nel nuovo padiglione che sta per essere realizzato, 200 posti, pare non siano stati previsti spazi per i colloqui tra i detenuti e gli operatori. Possibile? “Non ho ancora avuto modo di vedere il progetto, che rientra nelle misure d’emergenza varate dall’ex ministro Angelino Alfano. Posso dire che ritengono sbagliata la filosofia di fondo. La situazione non si risolve con l’edilizia penitenziaria. Bisogna agire su altro”. Che cosa? “La depenalizzazione e l’aumento dell’applicazione delle misure alternative alla detenzione, cosa per cui c’è bisogno del contributo esterno. Occorre parlare con il mondo del lavoro, affinché si trovino posti da mettere a disposizioni di chi potrebbe uscire in semilibertà o in affidamento in prova ai servizi sociali. Servono alloggi. E bisogna mettere fine ai pregiudizi che pesano sulle persone che hanno avuto esperienze di carcere. Un’operazione politica, culturale e giuridica. Abbiamo avuto una grande occasione, con l’indulto. È stata gettata via. La deflazione delle presenze avrebbe dovuto indurre a investire socialmente sul carcer. Non è stato fatto nulla. Anni perduti”. Non pensa che bisognerebbe agire anche sugli ingressi, oltre che sulle uscite? Dai mattinali delle forze di polizia si vede che una quota degli arresti è per reati da arresto facoltativo... “Non conosco i dati, non è una questione sulla quale ho competenza”. Intanto alla Dozza continuano ad esserci più del doppio dei detenuti previsti, sempre meno lavorano, il monte ore per l’istruzione è stato tagliato, la presenza degli psicologi è ridotta... Rimandare risposte a riforme strutturali, non è troppo semplice? “Bologna è una citta attenta, presente. Torno a dire che per il carcere bisogna lavorare tutti insieme, per dare risposte concrete. Penso alla riattivazione in tempi brevi del Comitato pubblico per l’area penale esterna, congelato durante il periodo di commissariamento. Ne ho parlato con l’assessore al Welfare Amelia Frascaroli, è disponibile a rimetterlo in moto”. È vero che l’amministrazione penitenziaria ignora sia le continue sollecitazioni della magistratura di sorveglianza, accogliendo i provvedimenti pro detenuti come semplice posta in arrivo, sia le indicazioni date dalla Corte di Strasburgo, in relazione alla garanzia dei diritti minimi? “Sono temi che ho intenzione di approfondire. Non ho contezza di questa situazione. Quello che so è che a Bologna e in tutta la regione c’è un grande attenzione da parte della magistratura di sorveglianza. Confido molto anche nel cambio di governo. La neo ministra di Giustizia mi pare intenzionata seriamente ad attivarsi anche sul fronte carcere”. Poi la realtà bolognese è che, andato in pensione un provveditore dell’amministrazione penitenziaria, sta per congedarsi anche il collega ad interim nominato al posto suo ai vertici degli uffici emiliani. Come si concilia questo con il quadro emergenziale del sistema carcere? “Si concilia male. Serve la figura istituzionale di riferimento. Bologna non può stare senza un provveditore alle carceri fisso. E poi è necessario che la struttura centrale, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, riveda tutto il sistema e stabilisca le priorità. Il momento non è dei migliori, nemmeno economicamente. Si rischia che i soldi non bastino nemmeno per pagare il vitto dei detenuti”. Busto Arsizio: troppi detenuti, il direttore stoppa i nuovi ingressi Varese News, 21 novembre 2011 In una lettera a procura, comandi, questura, prefetto e ministero l’allarme di Orazio Sorrentini che chiede anche lo sfollamento di 10 detenuti. Toccato il record di 455 detenuti, 157 in più della capienza massima. Il carcere di Busto Arsizio scoppia, non risulta più possibile inserire alcun nuovo soggetto nelle celle. Il direttore della struttura di via per Cassano Orazio Sorrentini lo scrive in una missiva indirizzata a Provveditorato Regionale, Ministero della Giustizia, Procura della repubblica di Busto, Questura, Prefettura e ai comandi provinciali di Carabinieri e Guardia di Finanza. Tutti sono avvisati, all’interno della casa circondariale sono stipati (perché questo è ormai il termine appropriato, ndr) 455 detenuti a fronte di una capienza di 298 posti. Nella missiva il direttore, oltre a porre il blocco temporaneo delle traduzioni verso il suo carcere, chiede lo sfollamento di almeno 10 soggetti per far fronte alla delicata situazione che, allo stato, vede disponibili unicamente tre salette d’attesa prive di ogni servizio o collocate di fronte al locale casellario. L’appello accorato del direttore sul sovraffollamento oltre ogni umana sopportazione si aggancia anche alla situazione di crisi dell’area educativa con una direttrice che tra qualche mese andrà in pensione, due educatrici in maternità e una quarta che si divide tra il carcere di Sondrio (dove ci sono ben 15 detenuti) e quello di Busto, distanziati di almeno qualche centinaio di km. Procura e tribunale, dunque, stanno limitando al minimo le custodie cautelari in carcere anche se solo nell’ultimo fine settimana sono almeno 14 le persone arrestate per vari reati. Si fanno sempre più pressanti due tipi di problemi: il rispetto della dignità umana per chi sta in carcere e la sicurezza dei cittadini fuori dalle mura di via per Cassano. Trani: carcere senza riscaldamento e acqua calda, protestano detenuti ed agenti www.traninews.it, 21 novembre 2011 Caserme fatiscenti, umide, infiltrazioni di acqua piovana ed umidità, scarseggia la pulizia dei locali per carenza di stanziamenti economici. Protesta dell’Osapp e lancia un accorato appello alla Ministra della Giustizia Severino. Lo avevamo già annunciato nei recenti caldi mesi estivi che bisognava intervenire in tempo utile ed urgentemente al fine di ripristinare ottimali condizioni logistiche e strutturale che colpiscono chi sul posto di lavoro o sul posto di detenzione non può fare altro che subirne i disagi quali detenuti al freddo ed agenti di Polizia penitenziaria che da quando è iniziato il drastico calo delle temperature opera privo di riscaldamenti p stufe per riscaldarsi. Gravissima diventa la situazione nelle ore serali e peggiora nelle ore notturne quando si arriva anche a temperature zero se non sotto lo zero. Solo a Trani il contenzioso del gasolio da pagare sembra essere intorno alle 300.000,00 poi si aggiunge il contenzioso con Aqp, con Amet o Enel per non parlare dei fornitori di altri alimenti o masserizie di prima necessità lasciate all’asciutto. Lo Stato non può far pagare al detenuto una doppia pena, al proprio Personale di polizia una perenne pena afflittiva tra cui le pessime condizioni esistenti nella caserma del penitenziario di Taranto, Lecce, Trani, Bari, Turi, Brindisi, Foggia, Lucera, Crf Trani quest’ultimo luogo dove sarebbero stati avvistati anche dei ratti nei corridoi del piano terra. Il Sindacato sta inoltrando una informativa al nuovo Ministro della Giustizia affinché, tra le priorità delle risorse nazionali prevalga anche quella dei Penitenziari e dei propri Operatori della Sicurezza lasciati, come sta succedendo senza gasolio per i mezzi del Corpo e per riscaldarsi nei regolari servizi d’istituto, manca anche l’acqua calda e questo completa il desolante quadro dell’amministrazione Penitenziaria. Intanto persiste il sovraffollamento detentivo a quota 4.500 detenuti contro le 2.500 regolamentari nelle 11 strutture detentive Regionali, scarseggiano gli stanziamenti economici per missioni e straordinari e la tredicesima si prevede altamente tassata rispetto ai precedenti anni per perdita del valore economico e grave crisi nazionale. Stessa situazione sarebbe stata segnalata dagli uomini di Nuclei Traduzioni e Piantonamenti per i palazzi di Giustizia Celle e Corridoi di appoggio per le udienze dei reclusi, prive di climatizzatori. Domenico Mastrulli Vicesegretario Generale Nazionale Osapp Ravenna: “È malato… e pure immaginario”, dal carcere al palco del teatro Rasi www.ravenna24ore.it, 21 novembre 2011 Giovedì 24 novembre alle 21 al Teatro Rasi verrà presentato per la prima volta alla cittadinanza uno spettacolo teatrale realizzato con un gruppo di detenuti nelle carceri di Ravenna, che reciteranno affiancanti da attori della compagnia poveri d’arte Beppe Aurilia Teatro: voce, sentimenti ed emozioni usciranno dalle mura del carcere. L’appuntamento dal titolo “È malato; e pure immaginario” fa parte della Rassegna Beppe Aurilia Teatro 2011/2012 ed è il risultato del progetto Carcere Casa Circondale di Ravenna partito nel Maggio 2011 con la collaborazione Asp Ravenna, che si è sviluppato su tre seminari teatrali all’interno delle mure del carcere. Dopo mesi di lavoro i detenuti saliranno sulle tavole del palcoscenico dando vita ad una riscrittura di Beppe Aurilia del “Malato immaginario” di Molière. Il progetto teatrale si pone come obbiettivo la qualità di vita migliore all’interno del carcere, proiettando i detenuti in una società civile per un futuro migliore. L’iniziativa è stata presentata oggi in municipio nel corso di una conferenza stampa cui hanno preso parte le assessore al Decentramento Valentina Morigi e alla sicurezza Martina Monti, il direttore del carcere Carmela De Lorenzo il responsabile Asp del progetto sul carcere di Ravenna Gabriele Grassi, il drammaturgo-regista Beppe Aurilia, il vice presidente dell’associazione Ciro Aurilia e l’attore Giovanni Mazzolini. Lecce: 17 detenuti hanno partecipato al corso della Scuola edile per manutentori pannelli solari www.iltaccoditalia.info, 21 novembre 2011 Neppure le sbarre in ferro di una cella lo possono fermare, perché si infila attraverso una fessura e poi si irradia tutto intorno. È la magia di un raggio di sole, che splende per tutti, per chi sopra la testa ha il cielo, e anche per chi, se alza gli occhi in alto, vede solo il bianco del soffitto. L’effetto è lo stesso, nonostante tutto: un sorriso, la voglia di rimettersi in moto. O in gioco. Venerdì scorso la Scuola Edile a Lecce ha consegnato i diplomi di qualifica per “Impiantista e manutentore di pannelli solari” a 17 allievi. Nulla di eccezionale se non fosse che gli allievi, tra i 30 ed i 50 anni, sono detenuti presso il carcere di Lecce. In quel corso, che la Scuola ha tenuto proprio a Borgo San Nicola, ci hanno messo tutta l’anima e si sono sentiti vivi, perché utili, perché di nuovo all’opera. Perché l’opportunità della qualifica conseguita, potranno sfruttarla una volta fuori. Ed allora sarà davvero un nuovo inizio. Il corso (gli esami si sono tenuti il 28 e 29 luglio scorsi) è stato finanziato dalla Regione Puglia nell’ambito dell’Asse III - Inclusione Sociale - del P.O. Puglia FSE 2007-2013 ed attuato dalla Scuola Edile della provincia di Lecce. Ha avuto la durata di 600 ore, suddiviso in 240 ore di teoria e 360 ore di simulazione lavorativa effettuata all’interno dello stesso Istituto di Pena. Obiettivi generali, la promozione e la realizzazione di percorsi formativi integrati, “finalizzati all’inserimento lavorativo di persone soggette a restrizione di pena”, che significa una speranza in più, proprio come quel raggio di sole che filtra, nonostante tutto, dalla grata. E siccome l’energia ritorna sempre in circolo, anche quella dei 17 allievi è stata incanalata a favore dello stesso istituto penitenziario. Il progetto formativo infatti si è integrato con il Programma nazionale di solarizzazione degli istituti penitenziari, promosso dai Ministeri dell’Ambiente e della Giustizia, che prevede il miglioramento della qualità energetico-ambientale negli istituti penitenziari attraverso l’installazione, nelle carceri, di 5.000 metri quadri di collettori solari destinati alla produzione d’acqua calda sanitaria attraverso calore a bassa temperatura. Come dire: catturare il sole e renderlo energia. “La qualifica di impiantista e manutentore di pannelli solari, per i detenuti che hanno seguito il corso - ci dice il presidente della Scuola Edile Massimiliano Dell’Anna - rappresenta un’opportunità di professionalizzazione e di avviamento ad attività imprenditoriale nel comparto del solare termico, capace di offrire la possibilità di avviare gli stessi ad attività lavorative di particolare attualità con conseguenti migliori possibilità di reinserimento sociale. I detenuti hanno partecipato molto attivamente al progetto - continua - sottolineando quanto il corso abbia rappresentato per loro un’occasione di apprendimento di nuove competenze, spendibili nel mondo del lavoro ottenendo così anche la possibilità di avere maggiori opportunità una volta terminato il periodo di detenzione”. “Il corso è stato un momento di crescita anche per noi - aggiunge Alessio Colella, vicepresidente - che non avevamo mai avuto a che fare con un’utenza così delicata. Ne siamo usciti molto arricchiti ed entusiasti”. E la consegna di diplomi di qualifica è stata l’occasione per chiedere a tutte le istituzioni presenti di ripetere l’esperienza, “magari stavolta coinvolgendo anche le donne”, dice Dell’Anna. Se è vero che non si finisce mai di imparare e se è vero che con l’istruzione si può cambiare il mondo, allora ci aspetta una rivoluzione. In fondo, a volte, basta un raggio di sole per scatenare l’energia. Positiva. Padova: Lisiapp; in arrivo 31 neo agenti di polizia penitenziaria, oltre 100 in tutta la regione www.padovaoggi.it, 21 novembre 2011 Sono 101 le nuovi assunzioni in tutto il Veneto, la quota maggiore nella provincia padovana. Lisiapp: “per la Regione con un tasso di carenza d’organico è una boccata di ossigeno”. Saranno assegnati nei prossimi giorni, nelle strutture del Veneto, i 101 neo agenti appena usciti dal corso di formazione. A diffondere la notizia è il Lisiapp (Libero sindacato appartenenti polizia penitenziaria) . “L’amministrazione Dap ha reso noto le sedi di assegnazione dei neo poliziotti penitenziari - spiega Luca Frongia, segretario generale aggiunto del Lisiapp, e in particolare nella regione Veneto - arriveranno 5 donne e 96 uomini”. Entrando nel dettaglio, il Lisiapp snocciola i dati delle assegnazioni degli uomini: a Belluno (10), Padova (31) tra casa circondariale e reclusione, Rovigo (6), Tolmezzo (4), Treviso (10), Trieste (2), il comprensorio di Venezia (6), Verona (20) ed infine Vicenza (7). Le donne neo agenti invece saranno assegnate (4) a Venezia Giudecca e (1) nella struttura di Veronese di Montorio. “Siamo soddisfatti per il numero degli agenti assegnati nelle strutture della regione, anche dal fatto che dopo quasi 15 anni sono stai assegnati in gran numero (6) se cosi si può definire, di nuovi agenti nella struttura di Rovigo. Gli Istituti del Veneto - conclude il dirigente sindacale numero due del Lisiapp - sono ristretti complessivamente 3.284 detenuti (3.081 uomini e 215 donne), a fronte di una capienza regolamentare di 1.915, e pertanto c’è bisogno di tener conto ancora delle carenze di organico che in alcune strutture sono croniche e che non basta inviare qualche unità ma bisognerebbe invece riposizionare l’intera pianta organica regionale”. Favignana (Tp) nuovo carcere e vecchi locali per la polizia penitenziaria La Sicilia, 21 novembre 2011 Nuovo carcere, vecchi locali per i lavoratori. Il sindacato Uilpa ha scelto la via della denuncia per la condizione dei 40 dipendenti del Corpo della Base Navale della polizia penitenziaria del nuovo carcere di Favignana “Giuseppe Barraco”, che continuano a vivere nei vecchi locali della soppressa Casa di San Giacomo. “Questo è inammissibile - si legge in una nota a firma del coordinatore regionale Gioacchino Veneziano - considerato che l’amministrazione locale non è stata in grado di dare una distribuzione equa dei locali. Per noi della Uil è stata una precisa scelta politica non dare una sistemazione lavorativa e/o operativa dignitosa a una delle prime specializzazioni del Corpo”. Una denuncia che emerge a seguito di un sopralluogo dello stesso Veneziano. E la sua denuncia continua. “Nel corso della visita - prosegue la nota Uilpa - abbiamo visto il centralinista sistemato in un vano senza finestre in uno spazio di un metro quadro. Di contro sono stati assegnati ben quattro locali per gli educatori, addirittura gli uffici della matricola sono stati inseriti al secondo piano, con tutti i rischi che questa scelta scellerata comporta nel trasportare i detenuti per le scale. Per tutti gli uffici mobili nuovi, invece per quello della sorveglianza generale e del preposto sedie, tavoli e armadi ammuffiti e arrugginiti. Stessa sorte per la Base navale”. Secondo il coordinatore regionale Uil-Pa la situazione potrebbe anche peggiorare. “Il personale operativo della Base navale - continua - a causa dei pochi posti letto disponibili, sarà costretto a scontrarsi con chi per colpa dei turni dovrà dormire o farsi una doccia”. Televisione: a “Sbarre”, domani alle 24.40 su Rai 2, il rapporto tra padri e figli Italpress, 21 novembre 2011 Il difficile rapporto tra padri e figli. È la storia di Cosimo De Lorenzo, che sarà raccontata nell’ultima puntata di “Sbarre”, in onda domani alle 24.40 su Rai 2. La storia di Cosimo De Lorenzo è decisamente particolare: per colpa del padre ha conosciuto il carcere. Nel novembre del 2004 una famiglia di extracomunitari aggredisce e poi denuncia Cosimo Di Lorenzo e suo padre Domenico. Il motivo è semplice: sono stati truffati. Padre e figlio avevano venduto posti di lavoro inesistenti a caro prezzo. Scattano le indagini e nelle loro abitazioni vengono ritrovati materiali falsificati e altri documenti utili per le truffe. Per entrambi si aprono le porte del carcere, ma entra solo Cosimo. Il padre, ormai anziano, muore prima di essere carcerato. Il documentario offre l’occasione di riflettere su quei rapporti alla base dell’educazione, dello scambio di valori nelle famiglie su cui si costruiscono rapporti di fiducia più importanti e duraturi. A confrontarsi con Cosimo è Ilyes, primogenito di un immigrato marocchino, che per costruirsi, con fatica, una vita onesta in Italia con tutte le difficoltà d’inserimento, non ha capito che il proprio figlio stava per imboccare una strada pericolosa. Cuba: italiano in cella con due ergastolani, in otto mesi ha perso 18 chili di peso L’Arena, 21 novembre 2011 La giornata comincia alle sette al carcere Combinado del Este, a L’Avana, dove Luigi Sartorio fu rinchiuso il 3 luglio del 2010, con Simone Pini. È qui che in otto mesi ha perso 18 chili di peso. Da 80 a 62. “Se collabori vai nel carcere migliore, mi dicevano i poliziotti, ma perché dovevo dire bugie?”, racconta al telefono l’ottico. “Così, invece di portarmi nel carcere di Condeza, per stranieri, sono detenuto qui, in un carcere per castigati, per quelli che fanno a botte”. Angelo Malavasi, invece, è stato portato in quel penitenziario, dove le condizioni di vita sono migliori. “Lui ha firmato moltissime cose. Ci hanno messo l’uno davanti all’altro per un confronto e mi diceva “Dai Luigi eravamo alla festa, se lo diciamo poi ci mollano”. Ma io non ho voluto”. E così Sartorio ora divide la cella con due ergastolani e le sue giornate con la popolazione carceraria condannata per droga o per trasporto di cubani in barca verso le spiagge di Miami, in America. Mangia male e poco: pane e riso, riso e pane. Talvolta soia. “La scorsa settimana”, dice, “una parente della mia compagna mi ha portato della verdura. Non mi pareva vero: cappucci e pomodori. La vita qui è contro ogni regola umana”. Qualcosa da mangiare la porta anche l’ambasciata italiana. Sartorio la divide con Pini, che in queste settimane, però, è stato trasferito a Bayamo: per lui, infatti, c’è una condanna a 25 anni e l’apertura di un altro processo, per vicende accadute nella cittadina della provincia di Granma. La vita in carcere è insopportabile per Sartorio: “I primi cinque mesi ho pianto ogni giorno. Ho passato momenti brutti. Per i poliziotti e i detenuti ero quello che aveva ammazzato la bambina. Mi gridavano “assassino”, mi sputavano addosso. Dicevo che ero innocente, ma non mi credevano”. Le giornate sono passate tra una partita a scacchi e la televisione. “Non riuscivo a fare niente, avevo il cervello completamente in tilt”. Ora, nell’attesa, Sartorio studia spagnolo e inglese. C’è un’ora d’aria al giorno, durante la quale può camminare un po’. Poi di nuovo dentro, in un salone dove riceve le telefonate dall’Italia di parenti e amici, finché non arriva mezzanotte e le luci si spengono. Tutti a dormire. “Durante i primi otto mesi non ho potuto vedere la mia compagna e mio figlio. Trovavano sempre mille scuse”. Ora ci riesce di rado, non senza timori per la famiglia. La sua compagna Ilen ha avuto problemi politici? “Non mi faccia dire queste cose, quello che diciamo al telefono è tutto registrato. Comunque, sì, lei ha paura a muoversi e la minacciano continuamente”. C’è anche chi parla della possibilità di poter corrompere qualcuno per uscire dai guai a Cuba: “Preferisco non parlare di queste cose. Forse lo farò in Italia, se mai uscirò da questa prigione”. Ha paura in carcere? “Cosa vuole, devo cercare di convivere con questo ambiente”, risponde Sartorio. Siria: Croce Rossa; accesso a visitare detenuti è nostra massima priorità Ansa, 21 novembre 2011 L’accesso ai detenuti è “la priorità numero uno” del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) in Siria e per ottenerlo il presidente dell’ organizzazione umanitaria in persona è pronto a compiere un terzo viaggio nel Paese. Lo ha affermato oggi a Ginevra il Direttore generale del Cicr, Yves Daccord. A inizio settembre il presidente del Cicr, Jakob Kellenberegr, aveva incontrato a Damasco il capo di stato siriano, Bashar al Assad, e ottenuto per la prima volta l’accesso per i delegati dell’organizzazione a un luogo di detenezione siriano, la prigione centrale di Damasco. Ma dopo questa prima visita ai detenuti, non ve ne sono state altre. “Non siamo andati lontano come avremmo voluto”, ha detto Daccord in una conferenza stampa. Il Cicr è però in fase di negoziati con Damasco, per ottenere l’autorizzazione di visitare tutti i detenuti. Per la Croce rossa internazionale, “in termine di protezione delle persone, avere accesso e visitare le prigioni è un’azione di protezione estremamente importante. Il presidente Kellenbeger, io stesso e altri siamo pronti a recarci in Siria. Stiamo negoziando. Se riteniamo che sia necessario, e potrebbero esserlo anche nei prossimi giorni, Kellenberger andrà. È la priorità numero uno”, ha insistito Daccord. Il Cicr chiede precise condizioni per le visite di detenuti, in particolare devono svolgersi senza testimoni e devono essere ripetute. In Siria il Cicr ha ottenuto un buon accesso alle regioni colpite dai disordini. Secondo l’Onu, dallo scoppio delle violenze in marzo, migliaia di persone sono state arrestate.