Giustizia: per fare l’amnistia ci vorrebbe un governo meno ossessionato dal consenso di Filippo Facci Tempi, 19 novembre 2011 Sono favorevole a un’amnistia. In un Paese civile, l’obiettivo dovrebbe essere la giusta oscillazione tra la cultura della legalità e il rispetto delle garanzie, ma da noi - è destino, pare - tutto si traduce nell’oscillazione tra il peggior forcaiolismo e il garantismo più peloso. Rinviamo ad altra sede il dibattito sugli effetti concreti della legge Fini-Giovanardi sulla droga: resta il fatto che la maggior parte di coloro che affollano le carceri, ora, sono dentro per quella legge, sulla cui efficacia peraltro ci sarebbe molto da dire. Sul numero dei carcerati, rispetto ai posti disponibili, non stiamo neanche più a sparare cifre: lo sanno tutti da una vita che mancano i posti-carcere. Nelle galere italiane ci sono stati più di trenta suicidi in pochi mesi, le carceri mancano perché nessun governo vuol metterci soldi e perché il costruirle non porta voti; tantomeno porta voti il proporre misure normali e civili - ma poco virili - come gli arresti domiciliari per chi ha quasi finito di scontare la pena. Il nostro Paese negli ultimi lustri è stata oggetto dell’immigrazione che sappiamo, e il surplus dentro le galere, a badarci, corrisponde più o meno al numero degli stranieri incarcerati. Questo senza contare che il reato di clandestinità alla fine non è passato. E senza contare che il governo ha approvato la detenzione nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) sino a 18 mesi, luoghi dove si può finire anche senza aver commesso reati: a loro modo sono carceri anche quelle. Lo stesso governo ha teso indubbiamente a sparpagliare più carcere per nuovi reati: dalla custodia cautelare obbligatoria per gli accusati di stupro alle improbabili retate dell’improbabile decreto sulla prostituzione. A tal proposito tocca ricordare il provvedimento probabilmente meno garantista degli ultimi vent’anni, fortunatamente bocciato dalla Corte Costituzionale: quello che prevedeva il carcere automatico per tutti i sospettati (solo sospettati) di violenza sessuale e pedofilia, quella norma, cioè, popolar-forcaiola che il governo varò frettolosamente quando sembrava che in giro ci fossero solo romeni che stupravano donne. E invece, parentesi, era la classica bufera mediatica: sia perché molti accusati erano innocenti, sia perché gli stupri risultavano inferiori agli anni precedenti. Molti obietteranno che il problema non è svuotare le carceri ma costruirne semplicemente di nuove per ficcarci dentro molta più gente. Funzione retributiva del carcere, chiamiamola. Ma l’unico che si è veramente sbattuto per realizzare un vero piano carceri, al governo, è stato il Guardasigilli Angelino Alfano. Anche Berlusconi, per un po’ di tempo, si era mostrato disponibile ad affrontare il problema sul serio. Di fatto, non è andata così. Gli 80 mila posti-carcere inizialmente auspicati dal Ministro, tenendo conto dei tempi di realizzazione, già di per loro rischiavano di peccare addirittura di modestia, un po’ come la terza corsia di certe autostrade: quando hai finito di costruirla, serve già la quarta. Il piano carceri effettivo, agli effetti, ha partorito una previsione di 9.510 posti in più: non bastano neppure per l’attuale fabbisogno. Secondo un’accurata inchiesta di Radio Carcere, oltretutto, molti dei nuovi padiglioni sono già stati costruiti ma sono vuoti, perché manca il personale: si parla di circa 2.000 posti detentivi inutilizzati. Il misero dualismo che intrappola la politica italiana, più o meno, recita così: se non farete le carceri sarà necessario un altro indulto, e parte degli italiani vi spellerà vivi; se farete le carceri in tempi come questi, invece, il rischio è che dicano: ecco, c’è la crisi e loro spendono per i galeotti. E così non se ne esce. Ci vorrebbe un governo diverso, non ossessionato dai sondaggi e dal consenso. Speriamo di averlo trovato. Giustizia: Di Rosa (Csm); sì all’amnistia… e poi non lasciamoli in mezzo a una strada Tempi, 19 novembre 2011 “È indispensabile intervenire, è un rimedio estremo, ma da adottare”. La responsabile per le carceri del Consiglio superiore della magistratura Giovanna Di Rosa aderisce all’iniziativa di Amicone e Pannella in favore dell’amnistia e dichiara: “Questa misura va accompagnata alla costruzione di una rete sul territorio, perché in carcere ci sono i cittadini più poveri, e non devono trovarsi fuori, in mezzo a una strada, senza un soldo”. Giovanna di Rosa, responsabile per le carceri del Consiglio superiore della magistratura, aderisce all’iniziativa di Amicone e Pannella, che lunedì 21 alle 12.30 lanceranno in diretta video su Radio Tempi e Radio Radicale un appello a favore dell’amnistia. Di Rosa ha dichiarato: “Sono assolutamente a favore dell’amnistia, perché l’emergenza è sotto gli occhi di tutti gli operatori tecnici e la situazione non è all’altezza delle nostre disposizioni costituzionali. È indispensabile intervenire, è un rimedio estremo, ma da adottare. Credo che potrebbe aiutare a decomprimere la fortissima pressione che i detenuti vivono quotidianamente. Certo, va accompagnata alla costruzione di una rete sul territorio, perché in carcere ci sono i cittadini più poveri, e non devono trovarsi fuori, improvvisamente, in mezzo a una strada, senza un soldo. Occorre accompagnare questo provvedimento immediato alla messa in piedi di una rete, altrettanto immediata. Un’azione che si ispira alla pacificazione nazionale ha il dovere di preparare anche questo percorso, allertando gli enti del territorio e le associazioni di volontariato. E ognuno dovrà fare la sua parte, proprio perché la solidarietà è un valore nazionale”. Giustizia: sì all’amnistia dai giornalisti Socci e Mentana, da Olivero (Acli) e Costalli (Mcl) Tempi, 19 novembre 2011 I giornalisti Antonio Socci ed Enrico Mentana aderiscono all’appello di Amicone e Pannella in favore dell’approvazione dell’amnistia. Socci: “Sacrosanto riprendere l’antico appello di Giovanni Paolo II, che ci esortava a sanare una situazione davvero intollerabile”. Mentana: “Ogni iniziativa è benemerita”. Favorevoli Andrea Olivero e Carlo Costalli. “Aderisco a questa idea di una pacificazione che riguardi tutta la nostra società, oltre a quella politica, e che metta in primo piano i nostri amici, fratelli carcerati, che sono costretti a vivere in una situazione drammatica, per cui è saggio e sacrosanto riprendere l’antico appello di Giovanni Paolo II, che ci esortava a una misura di clemenza che sani una situazione davvero intollerabile”. Così il giornalista Antonio Socci si schiera a favore dell’amnistia, appoggiando l’idea di Luigi Amicone e Marco Pannella di proporre al Parlamento di votarla. L’appello del direttore di Tempi e del leader dei Radicali sarà fatto lunedì 21 alle 12.30 in diretta video su Radio Tempi e audio su Radio Radicale. Anche Enrico Mentana, direttore del Tg di La7, si dice favorevole: “In generale è criminale l’assenza totale di dibattito tra le forze parlamentari, escluso chi, come i radicali, meritoriamente lo fa da sempre sul tema della condizione nelle carceri. Purtroppo un quindicennio di botte da orbi tra guelfi e ghibellini sui temi della giustizia soltanto centrati su una persona hanno portato a dimenticare e distorcere completamente tutti i problemi della condizione carceraria, quindi ogni iniziativa è assolutamente benemerita”. L’amnistia è necessaria anche per Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli, e Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano lavoratori. Secondo il primo “non possiamo accettare che si scenda sotto i livelli del rispetto della dignità umana. Bisogna avere il coraggio di affrontare un provvedimento d’urgenza nel nostro paese, perché la situazione delle carceri sta diventando esplosiva. È importante che non si proceda in maniera scoordinata, come avvenne l’ultima volta che si scelse per un provvedimento di indulgenza. Si tratta di scelte di civiltà, che vanno fatte spiegandole al Paese, dati alla mano. Anche perché la Lega Nord, che è all’opposizione, remerà contro. Tutta la società civile deve assumersi questa responsabilità, perché l’amnistia non va vissuta come se fosse un colpo di spugna: bisogna inserire collateralmente un elemento rieducativo, che nelle nostre carceri non è quasi mai presente”. Costalli si esprime a favore di “un’amnistia selezionata, legata ad alcuni tipi di reato. Bisogna assolutamente affrontare il tema. Il Vaticano ha definito quella di Monti una bella squadra e la presenza cattolica in questo nuovo esecutivo credo possa contribuire in maniera positiva a una valutazione serena, e non ideologica. È una carta in più, che non va sprecata: quando il tema dell’amnistia è stato trattato in passato ha subito opposte partigianerie. Occorre invece fare un discorso nazionale, pragmatico, pacifico”. Giustizia: nel 1993 il Dap chiese al ministero la fine del carcere duro per 373 mafiosi Corriere della Sera, 19 novembre 2011 Documento del capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria al Guardasigilli. L’obiettivo: dare un segnale “positivo di distensione”. E per 300 detenuti finì l’isolamento. Un documento riservato a firma del capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Adalberto Capriotti, risalente al 26 giugno ‘93, e relativo a una proposta di revoca del carcere duro a oltre 300 mafiosi, sottoscritta dall’allora capo del Dap, è stato depositato agli atti del processo al generale dei carabinieri Mario Mori.Si tratta di una nota di grossa rilevanza in cui il dipartimento avanza al ministero della Giustizia proposte di revoca o riduzione del carcere duro per lanciare “un segnale di distensione”. Il documento, preceduto da una lettera spedita, tra gli altri, all’allora Capo dello Stato Scalfaro dai familiari dei detenuti al 41 bis, in cui si denunciavano le condizioni drammatiche del regime detentivo, contiene tre punti. Innanzitutto l’allora capo del Dap Capriotti, che sostituì Nicolò Amato, annuncia al ministro della Giustizia che al novembre scadranno 373 provvedimenti di 41 bis per altrettanti detenuti di “media pericolosità”, applicati nel ‘92 dal Dap su delega del ministro della Giustizia. Nella nota si suggerisce al Guardasigilli di farli scadere per dare un segnale “positivo di distensione”. Nel secondo punto del documento Capriotti fa un altra proposta: stavolta riferendosi ai 41 bis applicati dal ministro della Giustizia Martelli ai capimafia dopo, la strage di via D’Amelio. Il responsabile del Dap suggerisce di ridurre del 10% i provvedimenti di carcere duro relativi ai mafiosi pericolosi. Al terzo punto Capriotti chiede di far durare sei mesi e non più un anno, come previsto allora, la durata delle eventuali proroghe. Il documento è di straordinaria rilevanza - secondo gli inquirenti - soprattutto alla luce della finalità indicata dal Dap di lanciare un segnale di distensione a cosa nostra da parte dello Stato che sembra confermare l’esistenza di quella trattativa tra istituzioni e cosa nostra che aveva proprio il 41 bis tra i punti all’ordine del giorno. La nota firmata da Capriotti smentisce, inoltre, quanto sostenuto dall’ex Guardasigilli Conso che, a distanza di pochi mesi dal documento del Dap, non rinnovò oltre 300 provvedimenti di 41 bis ad altrettanti capimafia. Conso, interrogato dai Pm nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta trattativa tra Stato e mafia, aveva sostenuto di avere preso la decisione in totale autonomia, mentre quanto scoperto dai Pm prova l’esistenza di un dibattito istituzionale sul carcere duro. È importante - fanno notare gli inquirenti - anche la scansione temporale di alcuni fatti avvenuti nel ‘93: a febbraio Scalfaro riceve la lettera dai familiari dei detenuti, a marzo c’è il fallito attentato mafioso a Maurizio Costanzo, a giugno arriva la nota del Dap, seguono gli attentati mafiosi di Firenze, Roma e Milano e a novembre Conso non proroga il carcere duro per centinaia di mafiosi. Il documento del Dap è pubblicato, in forma integrale, nel sito de “Gli Intoccabili”, il nuovo programma di inchiesta di Gianluigi Nuzzi che andrà in onda su La7 dal 29 novembre. Emilia Romagna: nelle carceri regionali oltre 4mila detenuti, il sovraffollamento tocca il 171% www.repubblica.it, 19 novembre 2011 I numeri del carcere bolognese della Dozza, dove ieri un uomo di 48 anni si è tolto la vita impiccandosi nella sua cella, continuano a disegnare il perimetro di quella che ormai è una emergenza cronicizzata. Nei reparti maschili 1.016 uomini, in una babele di lingue e di etnie, si dividono spazi strutturati per ospitarne 497, con una capienza che in casi estremi potrebbe essere ampliata al massimo a 800 posti-letto. Le donne presenti sono 71, a fronte di 62 posti previsti e 103 "tollerabili". Nella poco invidabile classifica nazionale del sovraffollamento, il carcere di Bologna ha il settimo posto per indice di affollamento. Il problema riguarda gli istituti di tutta la Regione: l'Emila Romagna - con un incide di affollamento parti al 171 per cento, è seconda solo alla Puglia. Tredici penitenziari, capienza regolamentare 2.394, uomini presenti 4.089, donne 157. Gli stranieri, emarginati tra gli emarginati, sono qauasi la metà: 2.087. I detenuti che stanno scontando sentenze definive sono 1.840. In 875, invece, aspettano dietro le sbarre la chiusura delle indagini che li riguardano, l'eventuale rinvio a giudizio, il processo. Quelli che hanno presentato ricorso in appello spono 578, in 293 aspettano il pronunciamento della Cassazione. La somma degli addendi non dà il totale perchè decine di persone sono classificate come "miste", perchè imputate di più fatti, a vari stadi dei procedimenti. Il decreto svuotacarceri, che tante proteste sollevò, ha consentito solo a 122 uomini (58 dei quali stranieri) e 15 donne (7 straniere) di scontare a casa o in una struttura l'ultimo periodo di detenzione, sotto la soglia dei dodici mesi. Corradi (Ln): solo 10% dei detenuti originario della Regione Delle 4.000 persone che costituiscono la popolazione detenuta negli istituti penitenziali presenti nella nostra Regione, la maggioranza e rappresentata da cittadini stranieri; tra cui prevalgono i cittadini marocchini (530 detenuti), i cittadini tunisini (430 detenuti), ed i cittadini albanesi (241 detenuti). Tra i detenuti con cittadinanza italiana, i reclusi nati in Emilia-Romagna sono solo 437, ossia il 10,9 % dell’intera popolazione carceraria. Il Consigliere Regionale della Lega Nord, Roberto Corradi, ha presentato un’interrogazione con ha quale ha chiesto alla Giunta guidata da Vasco Errani di attivarsi presso i competenti organi, al fine di favorire il trasferimento dei detenuti stranieri presso i Paesi di provenienza, affinché scontino la pena nelle strutture carcerarie di detti Paesi. Per il Consigliere leghista: “Se paradossalmente fosse possibile trattenere nelle carceri presenti in Emilia-Romagna solo i detenuti emiliano-romagnoli, potremmo conservare una sola struttura detentiva e chiudere tutte le altre. Mi rendo conto che la cosa non è possibile, ma sarebbe importante che la Regione attivasse ogni iniziativa utile, presso i competenti organi, affinché almeno i cittadini stranieri (che sono la maggioranza dei detenuti), vengano portati a scontare la pena residua presso le carceri dei Paesi d’origine, quantomeno coloro che stanno scontando una condanna definitiva. Non è solo un problema di sovraffollamento degli istituti di pena, ma anche una questione di costi, infatti ogni persona reclusa rappresenta un notevole costo a carico del bilancio dello Stato”. Lazio: la Regione stanzia 200mila € per riqualificazione carceri Rebibbia e Frosinone Il Velino, 19 novembre 2011 La Giunta regionale del Lazio, presieduta da Renata Polverini, ha approvato il finanziamento di interventi di riqualificazione degli istituti penitenziari di Rebibbia e di Frosinone, per un importo complessivo di oltre 200 mila euro. In particolare, 156 mila euro serviranno per la ristrutturazione della caserma degli agenti di polizia penitenziaria della casa circondariale di Frosinone. “Confermiamo un impegno preso proprio qualche giorno fa in occasione della visita del carcere di Frosinone - dichiara il presidente Polverini - si tratta di un progetto importante che, oltre a migliorare la qualità di vita degli agenti di polizia penitenziaria, coinvolgerà gli stessi detenuti in alcuni dei lavori di riqualificazione”. Gli altri interventi riguardano gli arredi della sala colloqui della casa circondariale femminile di Rebibbia (30mila euro), e l’acquisto di un ecografo portatile destinato all’Istituto minorile di Casal del Marmo (20mila euro). “Dopo i finanziamenti per favorire il reinserimento socio-lavorativo - sottolinea l’assessore alla Sicurezza, Giuseppe Cangemi - aggiungiamo un altro tassello alla nostra azione a sostegno dei diritti dei detenuti. Con l’intervento per il carcere femminile di Rebibbia completiamo un precedente finanziamento regionale attraverso il quale abbiamo autorizzato i lavori di ristrutturazione per una migliore vivibilità dei locali. L’acquisto di un ecografo portatile per l’Istituto minorile di Casal del Marmo, va nella direzione di assicurare la giusta attenzione ai minori detenuti e al loro diritto alla salute”. Liguria: Sappe; 66 nuovi agenti di Polizia penitenziaria assegnati nelle carceri regionali Adnkronos, 19 novembre 2011 Saranno 66 gli agenti di Polizia Penitenziaria che, terminato il corso di formazione, saranno assegnati in Liguria. A darne notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “L’Amministrazione Penitenziaria ci ha indicato oggi le sedi di assegnazione dei neo poliziotti” spiega Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del sindacato dei baschi azzurri “e in Liguria arriveranno 5 donne e 61 uomini”. “Le donne -spiega- sono destinate a Chiavari (2), Imperia (2), Pontedecimo (1) e Savona (1) mentre gli uomini andranno a Chiavari (5), Genova Marassi (26), Pontedecimo (4), Imperia (4), La Spezia (5) e Sanremo (17). C’è anche da tenere conto che a seguito di queste assegnazioni è stato predisposto un piano di mobilità del personale già in servizio che aspira al cambio di sede e quindi è prematuro dire quante unità di Polizia Penitenziaria andranno effettivamente ad incidere nel contenere le carenze di organico oggi stimate in circa 400 agenti. Certo -conclude- questo è un primo segnale, direi positivo se ad esso faranno seguito ulteriori assegnazioni al termine dei previsti prossimi corsi da agente”. Bologna: suicidio alla Dozza, detenuto 48enne trovato impiccato nella sua cella www.bolognatoday.it, 19 novembre 2011 È il secondo suicidio nel carcere bolognese in pochi mesi. In Italia dati allarmanti, denuncia Uil-Pa Penitenziari, sottolineando le gravi condizioni dei carcerati Si è legato le mani, per evitare ripensamenti, poi si è stretto un cappio intorno al collo: così si è suicidato ieri un detenuto nella sua cella alla Dozza di Bologna. Un gesto disperato e volontario, come lo stesso suicida ha lasciato scritto in alcune missive indirizzate ai familiari. L’uomo, Pastor Chavarro Antonio, 48enne colombiano, si trovava in carcere perché coinvolto nell’operazione “Due Torri connection” che aveva portato all’arresto di una quindicina di persone mettendo in luce una sorta di intrigo internazionale allestito da esponenti di una ‘ndrina calabrese e narcotrafficanti colombiani, per fare arrivare a Bologna una tonnellata e mezzo di cocaina, valore sul mercato 50 milioni di euro. L’uomo oggi aveva rifiutato l’ora d’aria e quindi era rimasto da solo nella cella, che in queste situazioni viene richiusa a chiave. Delle indagini si occupano la Squadra Mobile e il Pm Alessandra Serra, che è di turno. Con questo la conta dei suicidi in cella, nel solo 2011, ammonta a 59: due avvenuti a Bologna, l’ultimo pochi giorni fa, all’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. Un dato allarmante, come denuncia il segretario generale della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno: “È del tutto evidente che il bilancio di questo 2011 - ha aggiunto - è “solo” di 59 suicidi solo perché in almeno 370 casi la polizia penitenziaria è riuscita ad intervenire in extremis per salvare detenuti che avevano messo in atto tentativi di suicidio. Purtroppo aver evitato, parzialmente, un’ecatombe da numeri spropositati, forse, contribuisce al silenzio e all’indifferenza della quasi totalità dello schieramento politico rispetto al dramma che si consuma ogni giorno nelle nostre prigioni. Purtroppo anche in queste ore durante il dibattito al Senato ed alla Camera per la fiducia al Governo Monti, non una sillaba sulle criticità del sistema penitenziario è stata pronunciata dal Presidente del Consiglio e dai gruppi parlamentari di opposizione e di maggioranza”. “A Bologna - ha ricordato Sarno - sono ristretti circa 1.070 detenuti, in spazi in cui regolarmente ne dovrebbero essere ospitati circa 480. Al grave, evidente, certificato sovrappopolamento della Dozza occorre coniugare anche le gravi condizioni strutturali che conseguono alla mancata manutenzione degli ambienti”. Tra le misure che Sarno caldeggia, anche “rivedere gli organici del personale, a cominciare dalla polizia penitenziaria. Non si può continuare ad aprire padiglioni ed istituti nuovi senza assumere una sola unità in più”. Lecce: in carcere sovraffollamento, mancanza di personale e condizioni igieniche al limite di Laura Leuzzi www.iltaccoditalia.info, 19 novembre 2011 Vivono in condizioni igieniche al limite della decenza. Sono ammassati in celle che non li contengono e non hanno accesso alla cure mediche perché spesso i macchinari sono rotti e dunque fuori uso. I detenuti presso il carcere di Lecce vivono una pena doppia: quella della reclusione, per i reati più o meno gravi che hanno commesso, e quella della permanenza in ambienti che li rigettano, sporchi, trascurati, senza cura, che negano ogni rispetto ed ogni dignità per l’essere umano. Il carcere di Lecce, oggi, è al collasso. Conta 1.141 detenuti con un indice di sovraffollamento del 120%; il 90% fa uso di ansiolitici, il 16% sono tossicodipendenti attivi e molti sono affetti da pluripatologie. Ci sono otto educatori e sei psicologi, cioè un educatore ogni 180 detenuti e uno psicologo ogni 240 reclusi. Due i suicidi nel 2010 e 20 i tentativi messi in atto. Sono 80 le visite giornaliere dei medici in carcere, oltre 24mila in un anno. La presenza degli stranieri è il 25,7%. Dopo l’ennesima segnalazione di condizioni invivibili da parte di alcuni detenuti nel reparto Infermeria di Borgo San Nicola, Anna Maria De Filippi, presidente del Tribunale per i diritti dei malati - Cittadinanzattiva, ha scritto ai vertici di Regione ed Asl per denunciare la situazione e chiedere di mettere in campo risorse umane ed economiche al fine di risolvere lo stato di disagio in cui versa la popolazione carceraria salentina. Alla direttora della Casa Circondariale, Rita Russo, ha chiesto invece di migliorare la carenza di igiene come descritta dai detenuti firmatari della segnalazione anche al fine di evitare ulteriori patologie e di organizzare momenti di ascolto periodici dei detenuti o di aprire uno sportello di ascolto del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva all’interno del Penitenziario, dove le persone costrette in carcere possano trovare sfogo alla propria condizione di reclusione. Non è il primo appello che Il Tdm rivolge ad istituzioni e amministrazione penitenziaria. Già nel 20 dicembre 2010 si rivolse all’assessore alla Salute regionale Tommaso Fiore affinché intervenisse per migliorare le condizioni di salute dei detenuti, nel rispetto della legge n. 354 del 1975 che dice che “il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”. A tale appello seguì la deliberazione della Giunta regionale n. 2081 del 23 settembre 2011 con l’approvazione di un protocollo d’Intesa tra l’assessorato alle Politiche della Salute della Regione Puglia, il Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria per la Puglia e il Centro Giustizia Minorile per la Puglia per la definizione delle forme di collaborazione tra l’ordinamento sanitario e l’ordinamento penitenziario. Poi, nonostante i buoni intenti espressi, quel protocollo d’intesa rimase lettera morta. Intanto in carcere le condizioni dei detenuti sono addirittura peggiorate. Una soluzione non si può più rimandare. Pisa: nove ex detenuti della cooperativa Don Bosco perdono il lavoro Il Tirreno, 19 novembre 2011 Il lavoro è la prima forma di reintegro nella società per chi esce dal carcere ma questo principio non sembra valere per gli 11 lavoratori della cooperativa Don Bosco che, dopo dieci anni di manutenzione del verde degli ospedali pisani, si ritrovano senza un’occupazione stabile. Ieri, questi lavoratori, con alle spalle brutte storie di detenzione e tossicodipendenza, hanno manifestato in Corso Italia con dignitosa fermezza nonostante avessero la disperazione dipinta sul volto. “Il nuovo appalto indetto dall’Estav - dicono i lavoratori - è stato vinto da un’altra cooperativa, l’Arca di Cascina e ci hanno fatto sapere che nove di noi rimarranno a casa”. La cooperativa Don Bosco, nata anche per interessamento della Provincia, per dieci anni ha usufruito di un affidamento diretto dei lavori di manutenzione del verde dei nosocomi pisani poi però, si è dovuto fare un appalto per le normative europee visto anche l’importo della gara che ammonta a circa 300mila euro. “In genere - spiega Federico Giusti dei Cobas - nell’appalto si prevede che la cooperativa subentrante assuma i lavoratori della cooperativa precedente ma questa clausola di salvaguardia non è stata prevista nell’appalto ed inoltre ci si trincera dietro al fatto che la Don Bosco aveva i lavori in affidamento diretto”. I lavoratori della cooperativa Don Bosco hanno chiesto un incontro al sindaco ed all’assessore al sociale Maria Paola Ciccone ricevendo un loro interessamento. Cagliari: sit-in del comitato “pro Bruno Bellomonte” davanti a palazzo di giustizia Agi, 19 novembre 2011 Sono una quarantina i manifestanti del comitato “Pro Bruno Bellomonte” che stamane hanno partecipato a un sit-in davanti al palazzo di giustizia di Cagliari. L’iniziativa è stata organizzata per tenere alta l’attenzione sul caso del ferroviere arrestato nel 2009 poiché, per l’accusa, stava preparando un attentato contro il G8 che doveva tenersi a La Maddalena. “Bruno ha sempre condotto le sue battaglie alla luce del sole. Non è un terrorista”, ha ribadito Antonello Tiddia, portavoce del comitato. “Siamo qui davanti per chiedere giustizia per Bellomonte. Contro di lui sono state mosse accuse ridicole. Inoltre, vogliamo anche ricordare la morte di Luigi Fallico, arrestato con Bruno, e deceduto nel carcere di Viterbo dopo quattro giorni di dolori al petto. Per noi è un omicidio di Stato”. Per la prossima settimana è prevista la conclusione del processo, celebrato a Roma, in cui è imputato il ferroviere di Sassari accusato, assieme ad altre cinque persone, di voler far rinascere il progetto eversivo delle Brigate rosse. In occasione della sentenza il comitato organizzerà un sit-in a Roma. Firenze: a Sollicciano i detenuti si devono pagare la carta igienica di Adriano Sofri Il Foglio, 19 novembre 2011 Vorrei fare gli auguri alla signora che è a capo del ministero della Giustizia, e offrirle un contributo su un punto essenziale. Lo traggo dal carcere di Sollicciano, Firenze, ma vale in generale. Mancando i fondi per la fornitura mensile ai detenuti dei generi di prima necessità (carta igienica, stracci e detersivo, posate di plastica usa e getta) si è deliberato di distribuirla solo ai detenuti indigenti. Gli altri la ordineranno a pagamento impiegando il patrimonio del proprio libretto carcerario. Acquisteranno dunque a proprie spese la fornitura tutti i detenuti in possesso di un deposito dai 10 euro in su. Perché non si pensi a errori di stampa, lo scrivo in lettere: dai dieci euro in su. È una notizia che può interessare anche altri ministeri, quello della Salute, o quello che deve misurarsi con la famosa patrimoniale. Aggiungerò che i detenuti non arrivano alla quarta settimana del mese, con la carta igienica. Mi guardo dal pregiudizio secondo cui una signora può essere più sensibile a questioni così cruciali - i piatti di plastica, la lotta per una ramazza. Mi aspetto però che una signora sia meno impassibile di fronte alla esistenza quotidiana di 67.700 animali umani in gabbia che da ieri dipendono molto da lei. Viterbo: nasce Comitato per la verità sulla morte Cristian De Cupis Ansa, 19 novembre 2011 Nasce a Roma il “Comitato verità e giustizia” per Cristian De Cupis, il detenuto di 36 anni, che aveva denunciato di aver subito un pestaggio dagli agenti della polizia ferroviaria che lo avevano arrestato il 9 novembre, morto tre giorni dopo nel reparto di medicina protetta dell’ ospedale di Viterbo. Ieri nella chiesa di Santa Galla, nella circonvallazione Ostiene, si sono svolti i funerali del ragazzo. Il presidente dell’XI Municipio, Andrea Catarci: “Ci sono troppi lati oscuri”. Catarci (Sel): ultimo saluto a De Cupis ora verità “Alla circonvallazione Ostiense amici, familiari e tanta gente del quartiere hanno dato l’ultimo saluto a Christian De Cupis, il giovane arrestato dalla polizia ferroviaria per banali motivi e morto in un reparto per detenuti a Viterbo”. Lo afferma Andrea Catarci (Sel), presidente del Municipio Roma XI, spiegando che sono “tanti i lati oscuri della vicenda”. “Prendendo a prestito le parole del parroco della chiesa di Santa Galla ribadiamo che vogliamo sapere, perché abbiamo amato e amiamo Christian, per rispetto alla sua breve e difficile vita ed a tutti quelli che l’hanno conosciuto - sottolinea Catarci. In queste ore sta nascendo il ‘Comitato Verità e giustizia per Christian De Cupis’ e lunedì prossimo si farà la prima conferenza stampa, a cui oltre ai familiari e agli avvocati prenderanno parte tante realtà del territorio, il parroco, il Garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni. L’appuntamento è alle ore 12,30 alla Sala del Consiglio del Municipio Roma XI, in Via Benedetta Croce 50”. Frosinone: la Regione stanzia fondi per la ristrutturazione della caserma degli agenti Il Tempo, 19 novembre 2011 Lo stanziamento è stato approvato ieri dalla giunta regionale nell’ambito del finanziamento degli interventi di riqualificazione degli istituti penitenziari di Rebibbia e di Frosinone, per un importo complessivo di oltre 200 mila euro. Di questi, 156 mila euro serviranno appunto per la ristrutturazione della caserma degli agenti di polizia penitenziaria della casa circondariale di Frosinone. “Confermiamo un impegno preso proprio qualche giorno fa in occasione della visita del carcere di Frosinone - ha dichiarato la presidente, Renata Polverini - si tratta di un progetto importante che, oltre a migliorare la qualità di vita degli agenti di polizia penitenziaria, coinvolgerà gli stessi detenuti in alcuni dei lavori di riqualificazione”. “Dopo i finanziamenti per favorire il reinserimento socio-lavorativo - ha sottolineato l’assessore alla Sicurezza, Giuseppe Cangemi - aggiungiamo un altro tassello alla nostra azione a sostegno dei diritti dei detenuti”. Dunque, un segnale concreto da parte delle istituzioni, che segue a stretto giro la visita del presidente della Regione Lazio, lunedì scorso, nell’istituto di pena del capoluogo ciociaro. Nell’occasione, la presidente Polverini aveva annunciato l’intervento per la caserma: “Ci sono state segnalate alcune criticità per cui, tra gli interventi che possiamo fare come Regione, abbiamo deciso di contribuire alla ristrutturazione della caserma degli agenti. Ristrutturazione che sarà eseguita anche con l’aiuto e il lavoro dei detenuti. In questo modo vogliamo lasciare un segno concreto al termine di questa visita. Alle molte criticità stiamo cercando di dare delle risposte anche innovative. L’impegno della nostra giunta proseguirà sul fronte del potenziamento, infatti, guardiamo con grande attenzione ai bisogni dei detenuti e degli agenti e continueremo a confrontarci nella convinzione che ai detenuti si debba dare la possibilità di una vita diversa e un reinserimento effettivo, e alla polizia penitenziaria migliori condizioni di lavoro”. Questo stanziamento, dopo la visita istituzionale al carcere, rappresenta il segno tangibile dell’interesse per una struttura che notoriamente soffre di problemi cronici di sovraffollamento e di carenza del personale, con gli agenti costretti a turni massacranti, come è stato in più occasioni evidenziato dal Garante dei detenuti e anche dalle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria. Il carcere del capoluogo ciociaro scoppia, infatti, ospita 511 detenuti a fronte di una capienza di 325, con un surplus di quasi 200 reclusi; il 40% è costituito da stranieri. Per quanto riguarda gli agenti, mancano oltre 60 unità rispetto all’organico previsto di 260. Sovraffollamento, scarsità di risorse per attività formative che offrano concrete prospettive di reinserimento lavorativo e sociale dei detenuti una volta usciti dal carcere, difficoltà ad effettuare perfino gli interventi di manutenzione ordinaria per mancanza di fondi e, appunto, la carenza del personale, sono alcuni degli argomenti toccati proprio lunedì scorso dal direttore della casa circondariale di via Cerreto, in occasione della visita della Polverini. La presidente, del resto, si è impegnata altresì su questo fronte, anche se la Regione non ha competenze dirette su sovraffollamento e carenza del personale, facendosi carico di segnalare la problematica in sede ministeriale, in particolare portandola all’attenzione del neo ministro della Giustizia. Trieste: lettere con cuoricini disegnati… così nascono gli amori in carcere di Laura Tonero Il Piccolo, 19 novembre 2011 Cosa si scrivono i detenuti? Il direttore della Casa circondariale Enrico Sbriglia (nella foto) racconta di certi rapporti che si esprimono e si sostanziano in poesie e pensieri delicati. Ma al Coroneo nascono anche amori più passionali. “Abbiamo anche i “latin lover” - commenta Sbriglia - ovvero detenuti che ricevono lettere d’amore da cinque o sei recluse contemporaneamente. Ma poi ci sono anche uomini che non sanno che la loro amata scrive sì ogni giorno infuocate lettere, ma non solo a uno di essi...”. Ma nelle celle del Coroneo ci sono anche uomini e donne che soffrono per amore: c’è chi si rifiuta di mangiare perché si è visto far trasferire la propria donna o il proprio uomo in un altro penitenziario. C’è chi va in depressione perché capisce di non essere ricambiato. E chi, ancora, sta male perché la sua lei - o il suo lui - ha preferito un’altra persona. Amori nati dietro le sbarre, tra le mura del carcere del Coroneo. In quella piccola città nella città i sentimenti, gli innamoramenti, le passioni giocano un ruolo fondamentale. E, come ogni emozione, lì dentro vengono vissuti in maniera totalizzante, all’ennesima potenza, in modo euforico e talvolta disperato. Sguardi lanciati dalle finestre, lunghe e appassionate lettere, poche parole urlate dal cortile durante l’ora d’aria verso le celle. Così nascono i sentimenti, sebbene senza contatto fisico. Amori piccoli ma anche grandi: per tre volte negli ultimi due anni dei detenuti si sono sposati tra le sbarre del Coroneo. Dopo che si sono promessi amore eterno, ai novelli sposi viene consentito solo un abbraccio e un veloce bacio: poi ognuno torna nella propria cella. Tra due detenuti che si sono conosciuti in carcere i colloqui vengono consentiti solo dopo le pubblicazioni di matrimonio. Ascoltando i racconti di chi ogni giorno lavora a contatto con i carcerati, si ha la conferma che le sbarre non fermano i sentimenti. Si tratta spesso di amori vissuti in modo adolescenziale. Amori fatti di cuoricini e di “ti amo” scritti sui diari o sulle lettere. Quello che accade qui a Trieste non avviene in alcun altro carcere italiano, visto che la Casa circondariale di via del Coroneo è l’unica a ospitare nello stesso edificio la sezione femminile e quella maschile. Ogni giorno intorno alle 11, quando le detenute - a oggi sono 35 - vengono accompagnate nel cortile per l’ora d’aria, scatta il momento della conquista. Sono poche quelle che spendono quel tempo a camminare o correre nei 100 metri quadrati all’aperto, con il cielo sopra la testa e qualche raggio di sole. Le altre, sfoggiando il loro look migliore, si posizionano nel punto del cortile da cui si può vedere le finestre della sezione maschile. Da lì avvengono scambi di sguardi, di sigarette e di oggettini preparati con amore e poi lanciati dalle finestre. Piccoli segnali che contribuiscono a tener viva la femminilità delle giovani detenute particolarmente attente alla cura della loro persona. E se i bigliettini gettati nel cortile vengono intercettati dagli agenti, c’è un altro metodo - utilizzatissimo - con cui gli innamorati si tengono in contatto: le lettere. Ogni giorno dal carcere esce un borsone pieno di corrispondenza. Alcune missive sono indirizzate ai parenti; altre partono da una cella per arrivare a un’altra. Ma facendo un giro lungo: carcere, centro di smistamento delle Poste, ritorno al carcere. Per legge infatti i detenuti non possono scriversi direttamente, ma solo ricevere corrispondenza dall’esterno. “Le lettere sono spesso colorate, piene di cuori e frasi d’amore - racconta Enrico Sbriglia, direttore del Coroneo - noi non le leggiamo ma un operatore deve aprirle davanti ai detenuti per verificare che all’interno non ci siano stupefacenti o altro materiale non consentito”. Ma ci sono anche amori che nascono tra detenuti e cittadini liberi che, leggendo delle loro storie sulla stampa, chiedono di incontrarli. Gli operatori del carcere raccontano che pochi anni fa una triestina trentenne chiese di incontrare un detenuto di cui aveva saputo da alcuni articoli. L’amministrazione penitenziaria diede il consenso. Da lì iniziò un rapporto. Ma durante un colloquio la donna rimase abbagliata da un altro detenuto presente nella sala. E poi da un terzo, che infine sposò. Televisione: il caso Tortora diventa una “fiction” che farà discutere di Nicoletta Tamberlich Ansa, 19 novembre 2011 È diventato l’emblema di “una giustizia ingiusta”. Il 17 giugno 1983 alle 4.15 del mattino, Enzo Tortora, l’uomo che tantissimi italiani ospitano ogni venerdì a casa propria grazie al programma di successo ‘Portobellò, fu svegliato, perquisito, arrestato e trasferito al carcere di Regina Coeli con l’accusa di associazione a delinquere di stampo camorristico. L’istantanea del suo arresto, manette ai polsi, sguardo frastornato, fu volutamente un atto scenografico. Condannato a dieci anni di reclusione in primo grado e infine, 25 anni fa, assolto con formula piena. Ora diventa una miniserie in due puntate in preparazione per Rai1 la vita del presentatore Enzo Tortora. Una fiction che farà discutere e riaprirà le ferite mai rimarginate di una triste pagina legato a un clamoroso errore giudiziario. Nei panni dello storico volto di Portobello morto nel 1988, l’attore-regista Ricky Tognazzi. Tognazzi si occuperà anche della regia portando sul piccolo schermo la sceneggiatura a cui stanno già lavorando Giancarlo De Cataldo (autore di Romanzo Criminale) e Monica Zapelli (a cui si deve lo script della miniserie Maria Montessori: una vita per i bambini). La fiction dovrebbe andare in onda nel 2012, ma non si escludono rallentamenti e polemiche. È ancora in divenire lo la scelta de cast. Nelle prossime settimane il quadro sarà più chiaro dopo una serie di incontri, tra la Rai, il regista e la produzione (affidata alla Lucisano in collaborazione con Raifiction). L’unico nome, oltre a Tognazzi, su cui sembra esserci una certa sicurezza è quello di Bianca Guaccero. La sensuale attrice barese, già interprete di fiction come Assunta Spina, Capri e La terza verità è in pole per vestire i panni della moglie del conduttore televisivo Rosalba Castellini. Ma per la Guaccero si parla anche di un’altra miniserie legata alla cronaca ‘Delitto d’amorè, due puntate per la regia di Rossella Izzo ancora in fase di progetto per la Rai sul delitto dell’Olgiata: dopo vent’anni per l’omicidio della contessa Alberica Filo Della Torre è stato condannato il suo domestico, Winston. La miniserie su Tortora racconterà la sua drammatica vicenda umana e professionale. A fare il suo nome alcuni pentiti, successivamente rivelatisi del tutto inattendibili. Nonostante l’assoluta infondatezza delle accuse a suo carico scontò sette mesi di carcere. Eletto eurodeputato nel 1984 (con i radicali che ne fanno un simbolo della lotta all’immunità della magistratura) rinuncia alle garanzie di Strasburgo e si fa processare. L’ innocenza fu definitivamente confermata il 13 giugno 1987 dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione. Tortora condusse un’ultima edizione di Portobello nel 1987. Il 18 maggio 1988, minato da un tumore al quale certo non hanno giovato i processi, muore. C’è una folla a dargli l’addio nella basilica di Sant’Ambrogio: l’orchestra della Rai di Milano suona l’adagio di Mahler che lui amava. Nella bara di noce chiara, tra le mani, tiene una copia del libro emblema della persecuzione giudiziaria “La storia della colonna infame”, di Alessandro Manzoni. Per l’incubo che ha vissuto, Tortora non è mai stato risarcito. La sua storia in passato è stata trasformata in un film dal titolo Un uomo per bene, da un soggetto della figlia Silvia, per la regia di Maurizio Zaccaro. In quell’occasione nel ruolo del conduttore tv, Michele Placido. Stati Uniti: detenuto giustiziato in Idaho, boia in azione dopo 17 anni di stop Ansa, 19 novembre 2011 Un detenuto è stato giustiziato nello stato americano dell’Idaho con la pena di morte che non veniva applicata da 17 anni. Il boia è entrato in azione su un uomo di 54 anni, colpevole dell’omicidio di due donne. Paul Ezra Rhoades, da 23 anni nel braccio della morte, era stato condannato per aver violentato e ucciso nel 1987 un’insegnate di 34 anni e ammazzato una 21enne che tentava di sottrarsi alla violenza. Ucraina: l’ex premier Tymoshenko malata, chiede aiuto medici internazionali Tm News, 19 novembre 2011 Yulia Tymoshenko è malata e chiede di essere vista e curata da medici internazionali, perché non si fida di quelli che il governo le invierebbe in carcere. L’ex premier ucraina, che dal mese scorso sta scontando una condanna a sette anni per abuso d’ufficio, soffre di forti dolori alla schiena e le sono tornate le misteriose macchie sul corpo, come grossi lividi, già segnalati in precedenza. Il suo braccio destro, Oleksandr Turchinov, ha annunciato oggi una richiesta di aiuto al Comitato internazionale della Croce rossa e a Medici senza frontiere. Tymoshenko deve essere visitata, ha detto, e ricevere “cure appropriate”. Il Servizio penitenziario statale ucraino ha da parte sua fatto sapere con un comunicato che non ci sono “controindicazioni mediche che impediscano all’ex primo ministro Tymoshenko di parlare agli investigatori nei locali del carcere”. D’altronde, si aggiunge nella nota, Tymoshenko ha sempre rifiutato gli esami e le cure proposti dai medici dello staff del carcere. Emirati Arabi: sciopero della fame per cinque attivisti detenuti Tm News, 19 novembre 2011 Sette mesi fa cinque attivisti sono stati arrestati negli Emirati Arabi Uniti e processati con diverse accuse, fra cui quella di aver utilizzato Internet per insultare le autorità, incitare al boicottaggio delle elezioni del Consiglio Federale Nazionale e fomentare proteste contro lo Stato. Il blogger Ahmed Mansour e gli attivisti Nasser bin Gaith, Fahid Salim Dalk, Hassan Ali Khamis e Ahmed Abdul Khaleq hanno espresso pubblicamente opposizione si procedimenti promossi contro di loro, dichiarando di aver subito maltrattamenti, di aver visto negati i propri diritti fondamentali, di essere stati minacciati e insultati. I detenuti si sono rifiutati di presenziare alle udienze, poiché considerano ingiusto il processo, sapendo che il 27 novembre verrà emessa sentenza contro la quale non potranno ricorrere in appello. I cinque hanno ora avviato uno sciopero della fame, annunciato in un comunicato congiunto, sostenendo che il loro sciopero a tempo indefinito punta a svelare la realtà alle genti degli Emirati e ad esigere che vengano svolte indagini sui sette mesi da loro finora trascorsi in prigione. Gli attivisti hanno anche fatto riferimento ai maltrattamenti e alla frustrazione causate alle loro famiglie, prese di mira da campagne denigratorie, come quella portata avanti da anonimi sotto lo pseudonimo di Soggetto Letale (Shaksiyya Fatake) e Fieri Emirati, che hanno fomentato un clima di generale ostilità nei confronti degli accusati e delle loro famiglie. Sostengono che questa campagna ha persino interferito con un procedimento giudiziale.