Giustizia: Radicali; è l’ora dell’amnistia… il Governo tecnico può darci una chance Tempi, 18 novembre 2011 Giro di opinioni sulla proposta lanciata da Luigi Amicone e Marco Pannella. Ecco le adesioni entusiaste, i suggerimenti e le perplessità di Calvi, Boato, Nordio, Manconi, Nello Rossi, Armeni, Macaluso, Sansonetti, Introvigne, Loquenzi, Bellasio, Cascioli “Sono d’accordo con questa proposta” dice a Tempi Guido Calvi, membro del Consiglio superiore della magistratura. “L’amnistia per i reati minori alleggerisce la sofferenza delle persone detenute in carceri disumane e può servire per organizzare meglio le carceri. Non solo, alleggerisce anche il carico di lavoro dei magistrati che così possono concentrarsi sui processi più importanti”. Lunedì alle 12.30 il leader dei Radicali Marco Pannella e il direttore di Tempi Luigi Amicone, nel corso di una conferenza stampa pubblica a Milano nella sede di Tempi, che verrà trasmessa in diretta video da Radio Tempi e audio da Radio Radicale, chiederanno che venga votata dal Parlamento l’amnistia. “Per restituire umanità e legalità alle subumane e illegali condizioni in cui versano i detenuti. Per costituzionalizzare la fine di un ventennio di guerra civile strisciante”. “Non so come faccia la gente a non spaventarsi davanti ai dati delle carceri, ai numeri di detenuti, messi in ultima pagina dai giornali, relegati nelle stesse celle in situazioni disumane, per cui la gente si uccide. Oggi, di certo, tra le cose più gravi in Italia c’è questa e se davvero questo governo non vuole disattendere le speranze che ha suscitato serve che dia un segnale importante”. La giornalista e opinionista Ritanna Armeni coglie subito il cuore del problema. Rincara la dose il giornalista del Sole 24 Ore Daniele Bellasio: “Quella delle carceri è un’emergenze nazionale, sociale e di giustizia. Come dice il capo dello Stato è di “prepotente urgenza”. È sicuramente tra quelle cinque riforme che il nuovo governo, ora che ci dovrebbero essere un nuovo clima e una nuova maggioranza, deve fare partendo dagli ultimi”. “In fondo” insiste Giancarlo Loquenzi, direttore dell’Occidentale, “se Monti può servire ai partiti per chiedere lacrime e sangue senza metterci la faccia, perché non affidargli anche il compito di risolvere il problema delle carceri salvando i partiti dalle pressioni delle loro componenti più forcaiole?”. “Sono entusiasta, favorevolissimo, anche se ho qualche dubbio sul fatto che si possa realizzare perché ho una pessima idea del governo che si è appena insediato. L’idea che sta dietro alla battaglia per l’amnistia è fondamentale, è quella del garantismo, volto a favorire quel principio di libertà su cui si deve basare la giustizia. Bisogna smetterla di pensare alla pena come soluzione di tutti i problemi sociali” commenta l’iniziativa il direttore de Gli Altri, Piero Sansonetti. È d’accordo anche Emanuele Macaluso, direttore de Il Riformista: “Sono favorevolissimo all’amnistia più che all’indulto. E mi pare che sia oggi l’unica soluzione per svuotare le carceri applicandola ai reati minori”. “Ho constatato personalmente e in più occasioni” interviene il docente di Economia Michele Boato, “la situazione in cui versano le carceri italiane e nella maggior parte dei casi la parola migliore per identificarle è lager. Una soluzione come l’amnistia potrebbe prima di tutto salvaguardare la vita delle persone detenute, ridurre i suicidi ed evitare che la prigione rimanga la scuola di delinquenza che è oggi, priva di attività lavorative volte al reinserimento. Sono assolutamente d’accordo con l’iniziativa”. Anche un esperto in materia come Luigi Manconi, del Pd, appoggia l’amnistia: “Sono incondizionatamente d’accordo. Nel 2006 sono stato coinvolto fino in fondo nell’indulto, un provvedimento sacrosanto, dai risultati positivi, ma avrei voluto anche l’amnistia. Un gesto così poi consentirebbe di porre mano a riforme strutturali. L’iniziativa è bella, opportuna e saggia”. Nessuno nasconde che l’amnistia sia un provvedimento destinato a far discutere e difficile da approvare. Come spiega il procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi: “Conosco bene quanto sia complicata la situazione delle carceri italiane ma un provvedimento del genere richiede uno studio attento e accurato, un’analisi dei pregi e dei difetti. Non mi sento né di appoggiare né di criticare questa iniziativa”. Anche l’opinionista, sociologo e storico Massimo Introvigne espone i suoi dubbi, pur infine avvallando la bontà di un provvedimento del genere: “Qui ci sono una serie di problemi di carattere pratico. Da sociologo dico che le amnistie non sono una buona cosa, perché danno l’idea che l’effetto penale sia inesistente. In questo momento, tuttavia, la teoria deve cedere il passo alla realtà: c’è un sovraffollamento delle carceri disumano, quindi penso che sia il momento di discutere di provvedimenti di sconto di pene per alcuni reati”. Giustizia: tutti consapevoli della crisi delle carceri… forse è la volta buona! Tempi, 18 novembre 2011 Ancora interventi sulla proposta lanciata da Luigi Amicone e Marco Pannella. I pareri positivi, i dubbi e le critiche di Lucia Annunziata, Antonio Polito, Guido Brambilla, don Virginio Rigoldi, Franca Fossati, Yasha Reibman, Marco Follini e Giuseppe Cruciani. “Credo che il presente clima politico potrebbe accogliere e favorire un’amnistia. Però, poiché non ha a che fare solamente con le carceri, occorre capire come in questo governo verrà gestita la più generale questione giustizia. Il vero problema dell’amnistia è che oggi, più che essere vista come una salvaguardia dei diritti dei più deboli, viene percepita come una scappatoia per la classe dirigente corrotta”. Lucia Annunziata, giornalista e conduttrice di "In mezz’ora", accoglie così l’appello che lunedì alle 12.30 il leader dei Radicali Marco Pannella e il direttore di Tempi Luigi Amicone, nel corso di una conferenza stampa pubblica a Milano nella sede di Tempi, che verrà trasmessa in diretta video da Radio Tempi e audio da Radio Radicale, faranno al Parlamento perché voti l’amnistia. “Per restituire umanità e legalità alle subumane e illegali condizioni in cui versano i detenuti. Per costituzionalizzare la fine di un ventennio di guerra civile strisciante”. Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, pur non essendo “contrario di principio all’amnistia”, ritiene che “l’argomento sia complicato e il momento estremamente delicato, troppo per un’iniziativa del genere che potrebbe far pensare a una scappatoia per i “colletti bianchi”. La pensa diversamente il magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Milano Guido Brambilla: “Certamente siamo di fronte a una situazione di sovraffollamento carcerario, e tutti, dai magistrati alle forze politiche, ne sono consapevoli. O si costruiscono più carceri, ma tocca capire se le risorse necessarie ci sono, oppure occorre affrontare il problema con l’amnistia. Che ha dei limiti: è una risposta al problema sintomatica, ma non risolutiva. E va necessariamente accompagnata da provvedimenti di inclusione sociale e reinserimento lavorativo. Ora il sistema sanzionatorio si basa sulla reclusione e sulla pena pecuniaria, ma esistono delle misure alternative, come ad esempio gli strumenti di mediazione penale. Bisogna concepire il carcere come extrema ratio. Non so che durata avrà questo governo, però l’emergenza c’è. Forse è la volta buona”. Anche don Virginio Rigoldi, educatore e cappellano del carcere minorile Beccaria, accoglie con favore l’iniziativa e guarda più in là puntando sul reinserimento: “Un’amnistia ha il grande valore di togliere da situazioni francamente bestiali tanti detenuti, ma per non riportarli dentro altrettanto velocemente occorre affiancarla ad altre misure, a un paracadute. Svuotare le carceri è un dovere morale. Bisognerebbe accompagnare questa liberazione con un po’ di risorse, finalizzate al reinserimento sociale. Mi piacerebbe che sotto il cappello dell’amnistia si cominciassero a fare dei passaggi di traghettamento”. Sullo stesso versante si trovano Franca Fossati, giornalista e storica voce dei movimenti femministi, e Yasha Reibman, portavoce della comunità ebraica di Milano. Secondo la prima, “nelle nostre carceri si verifica ogni giorno una gravissima violazione dei più basilari diritti: i detenuti, oltre alla pena, patiscono la tortura di condizioni disumane. Per avviare una qualsiasi riforma bisogna prima snellire i tribunali. E l’unico modo è l’amnistia”. Il secondo afferma di essere “favorevolissimo a un’amnistia. Mi sembra vada incontro a varie necessità, sia a livello umano, sia rispetto alla legge del nostro paese. Le carceri sono in condizioni disumane, non assolvono al loro compito, e bisogna urgentemente tornare a un sistema penitenziario che possa permettere alle persone di cambiare. Iniziamo a fare un primo passo”. Restano dubbiosi sull’utilità di un intervento di questo tipo il senatore Pd Marco Follini, secondo cui “ci sono priorità diverse in questo momento. Il governo dovrà affrontare altri problemi”. Anche il giornalista Giuseppe Cruciani, conduttore del programma radiofonico La zanzara, pur concordando sul fatto che “le condizioni delle carceri sono assurde”, ritiene che “un’amnistia certifichi il fallimento di uno Stato e che sia più urgente un intervento legislativo che limiti l’ingresso in carcere delle persone”. Giustizia: “È l’ora dell’amnistia e della Costituzione”, lunedì conferenza stampa a Milano Tempi, 18 novembre 2011 Lunedì 21 novembre, ore 12,30, presso la sede della redazione del settimanale Tempi, Corso Sempione 4, Milano, si terrà la conferenza stampa di Marco Pannella e Luigi Amicone, che sarà trasmessa in diretta da Radio Radicale e Radio Tempi (anche in streaming su tempi.it). La direttiva europea 91/360 recepita dall’Italia con Ddl 534/92 e successivi (2001/88 e 2001/93) recanti modifiche sulle norme per la protezione dei suini spiega che per l’alloggiamento dei verri la superficie minima consentita è di 6 metri quadrati, ottimale, 9 metri quadrati. In Italia le persone detenute in carcere vivono spesso in spazi più angusti di quelli in cui la legge intima - pena la chiusura dei porcili - siano allevati i maiali. Per questo la Corte Europea di Strasburgo ha più volte condannato il nostro Paese per casi come quello del detenuto Izet Sulejmanovic, recluso a Rebibbia, che per tutto il corso della pena (2002-2003) ha avuto a sua disposizione 2,7 metri quadrati. In dieci anni questo sistema penitenziario è costato 29 miliardi di euro. Come traino a tutte le riforme necessarie per il rilancio della società e dell’economia, cosa c’è oggi di più “prepotentemente urgente” (Giorgio Napolitano, 21 luglio 2011) per cominciare a fuoriuscire da uno stato di illegalità internazionale sul piano dell’amministrazione della giustizia in Italia, se non l’amnistia? Il Presidente Giorgio Napolitano lo ha detto al Meeting di Rimini e lo ha confermato ricevendo al Quirinale Marco Pannella: “Alla visione del diritto e della giustizia sancita in Costituzione ripugna la condizione attuale delle carceri e dei detenuti”. L’amnistia è l’unico strumento tecnico per interrompere la flagranza del delitto che si compie in Italia contro ogni diritto e contro la Costituzione. L’obiettivo dell’amnistia è dunque irrinunciabile e attende soltanto che il Parlamento lo raggiunga ora, subito, con un voto a maggioranza costituzionale che ponga fine allo stato di messa in mora dei diritti umani vigente nel circuito penitenziario italiano. Amnistia! Per restituire umanità e legalità alle subumane e illegali condizioni in cui versano i detenuti. Amnistia! Per costituzionalizzare la fine di un ventennio di guerra civile strisciante. Amnistia! Perché il “governo di rasserenamento nazionale” di cui parla il Presidente del Consiglio Mario Monti si eserciti nella verità tangibile e inequivocabile di un atto immediato che ripristini in Italia i più elementari fattori di giustizia, diritto e diritti. Giustizia: come da copione, l’Anm è contraria all’amnistia… e chiede riforme di Valter Vecellio Notizie Radicali, 18 novembre 2011 Il Governo di Mario Monti ancora non ha ricevuto la fiducia, il ministro della Giustizia Paola Severino non si è ancora insediata a via Arenula, e già partono i diktat e gli ukase. Come quello scagliato ieri dal segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati Giuseppe Cascini. Propone che siano adottate “riforme che facciano funzionare la giustizia e ripristinare la legge Gozzini… con Berlusconi abbiamo registrato interventi legislativi dannosi per il funzionamento della giustizia. Posso solo sperare che queste cose non si ripetano”. E fino a qui ci si può stare. E per quel che riguarda l’amnistia? Il no è secco, senza appello: “Non ha mai risolto il problema. Utilizzarla come strumento di contenimento del problema carcerario è sbagliato e inutile”. L’agenzia “Italia” chiede a Cascini come pensa si possa risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri; e lui ineffabile, risponde: “Da un lato si devono eliminare tutte quelle norme che impediscono l’utilizzo delle misure alternative al carcere, che si sono ridotte a un decimo rispetto a dieci anni fa. È uno strumento di reinserimento che aveva dato buoni frutti, quindi bisogna ripristinare la legge Gozzini che è stata cancellata. Dall’altro lato ci vuole un ripensamento complessivo sul modo di punire e di utilizzare la sanzione carceraria”. L’Anm sarebbe favorevole all’amnistia? Risponde Cascini: “Ne sono state fatte una ogni quattro anni negli ultimi cinquant’anni e non hanno mai risolto il problema. Se il sistema penale è orientato in una direzione la situazione delle carceri si riproduce identica nel giro di pochi mesi. I provvedimenti di clemenza servono nella misura in cui il Parlamento ritiene che siano necessari. Ma utilizzarli come strumento di contenimento del problema carcerario è sbagliato e inutile”. Siamo, come si vede, alla più meccanica e banale riproposizione di triti luoghi comuni. Quello a cui Cascini non fornisce risposta (e soluzione) è il fatto che ogni anno circa 150mila processi vengono prescritti. È un’impunità che viene garantita a chi ha il denaro e i mezzi per garantirsi un buon avvocato, capace di districarsi tra i mille meandri dei codici e delle leggi, mentre i poveri cristi restano in galera. Il segretario Cascini deve rispondere a questo: 154.665 processi prescritti nel 2008; 143.825 processi prescritti nel 2009; 170mila processi prescritti nel 2010. Quest’anno si calcola che si arriverà a circa 200mila processi. Un tribunale di frontiera come quello di Santa Maria Capua a Vetere, da dove i magistrati, letteralmente fuggono, ognuno di loro ha sul tavolo almeno mille fascicoli. Risponda Cascini: perché no all’amnistia, e sì invece a quell’altra amnistia di classe e clandestina che si consuma ogni giorno? Il sovraffollamento delle carceri, certo, è un problema. Ma la questione è soprattutto, la paralisi dei tribunali, il collasso degli uffici giudiziari. È questo il problema che si pone, è questa l’emergenza che non si vuole vedere. A Cascini, a tutti coloro che mostrano di pensarla come lui: se non l’amnistia cosa, per corrispondere adeguatamente alla “prepotente urgenza” individuata e denunciata dal presidente della Repubblica il 28 luglio scorso? Ci dicano come ottenere lo stesso risultato, quello di liberare le scrivanie dei magistrati di fascicoli comunque destinati a “morire”, ma solo dopo un lungo e inutile iter; se non con l’amnistia, cosa? Non c’è bisogno della pensosa riflessione di Cascini per sapere noi che l’amnistia è un provvedimento-tampone, per guadagnare tempo, nessuno ha mai detto o pensato che sia risolutrice; “semplicemente” consente di realizzare quelle riforme strutturali che servono rendere più efficiente la macchina giudiziaria. Si è sempre detto che si tratta della premessa necessaria per…Che Cascini mostri di non comprenderlo, e che nei fatti sia difensore dello status quo, non stupisce. Semmai si potrebbe essere sorpresi del contrario… Giustizia: nulla è più utile alla concordia nazionale dell’amnistia proposta dai Radicali Tempi, 18 novembre 2011 Abbiamo raccontato in lungo e in largo la marcia a ritmo forzato che ha condotto un governo uscito dalle elezioni 2008, forte di consensi elettorali mai registrati prima da altri governi, ad alzare bandiera bianca. Al di là delle narrazioni degli ultras, noi pensiamo che si possa convenire sportivamente sull’osservazione che la paralisi dell’esecutivo Berlusconi sia stata il frutto di parecchi autogol. Ma soprattutto di un assedio concentrico devastante: da una parte il nesso bestiale tra inchieste giudiziarie, propalazione di intercettazioni e annesso lavoro di massacro dell’immagine e credibilità dell’Italia all’estero. Dall’altra i “mercati” cosiddetti che, a fronte di un’Europa a Bce non soccorritrice finanziaria di ultima istanza, germanizzata, chiusa in difesa del sistema bancario franco-tedesco-olandese, sono entrati nel burro della nave italiana “in gran tempesta” determinando le condizioni per un finale con Gran Commissario. Il che costituisce ragione di grande umiliazione per il nostro paese. Detto ciò, non serve fare la morale al potere con la “P” maiuscola che ha mosso contro di noi le leve della finanza internazionale e la politica del direttorio Merkozy. Serve, piuttosto, fare di necessità virtù, confidando nell’intelligenza del Gran Commissario e nel patriottismo del capo dello Stato. Perciò ci auguriamo che il governo Monti resti in sella il tempo necessario a mettere in sicurezza la nave Italia. Nel frattempo: nulla è più indispensabile per ricreare un clima di concordia nazionale che l’amnistia proposta da Marco Pannella. Essa restituirebbe umanità e legalità alle subumane e illegali condizioni in cui versano i detenuti. E sarebbe un atto di rottura con il ventennio di guerra civile strisciante. Un atto tangibile e inequivocabile di volontà di pacificazione e ricostruzione nazionale. Giustizia: intervento alla Camera di Rita Bernardini, sulla fiducia al Governo Monti Notizie Radicali, 18 novembre 2011 Signor Presidente, Onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, quando tre giorni fa ha ricevuto la delegazione radicale guidata da Emma Bonino, Lei ci è apparso sorpreso e attento quando le abbiamo riferito i numeri essenziali della bancarotta della giustizia italiana: 5.200.000 procedimenti penali pendenti dei quali circa 180.000 cadono in prescrizione ogni anno; 5.400.000 procedimenti civili in arretrato; 67.510 detenuti ristretti in 45.572 posti; con una percentuale del 147% di sovraffollamento (dietro di noi, nell’Europa a 27, solo Bulgaria e Cipro), mentre la media europea è del 109,7%; 28.457 detenuti sono in carcerazione preventiva, pari al 42%, cioè il doppio della media europea. La metà di loro, secondo quanto accaduto negli anni precedenti, sarà riconosciuta innocente, il che vuol dire che, in questo momento, nelle patrie e immonde galere, ci sono 14.200 cittadini innocenti. Dal 2000 ad oggi nelle carceri italiane si sono suicidati 684 detenuti; quest’anno - e l’anno non è ancora terminato - siamo già a 58 suicidi. Ma il dato altrettanto sorprendente è che negli ultimi 10 anni si sono suicidati anche 85 agenti di polizia penitenziaria. È una comunità, quella penitenziaria, formata da detenuti, direttori, agenti, psicologi, personale amministrativo e sanitario, educatori, dal volontariato cattolico e laico, dalle Associazioni che da anni si occupano di carcere, dai familiari dei ristretti. Una comunità che è sottoposta ad una violenza e ad una sofferenza esclusivamente imputabile al mancato rispetto della Costituzione, delle leggi italiane e di tutta la normativa europea e transnazionale riguardante il rispetto di diritti umani fondamentali. Noi sappiamo che il deficit democratico di giustizia e carceri interessa, via via sempre di più tutti gli stati europei così come, del resto, la crisi economico-finanziaria. Ma se esistesse una “Borsa” della Giustizia, a che punto sarebbe lo spread tra l’Italia e gli altri Paesi Europei? È almeno dal 1980 che il Consiglio d’Europa denuncia il fatto che “i ritardi della giustizia in Italia sono causa di numerose violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo” e che tali ritardi “costituiscono un pericolo effettivo per il rispetto dello stato di diritto in Italia”. Nel 2005, nel suo rapporto sulla giustizia in Italia, il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Alvaro Gil-Robles, stimava che “circa il 30 per cento della popolazione italiana era in attesa di una decisione giudiziaria”. Tutti si preoccupano dell’enorme debito pubblico del nostro Paese, quasi nessuno (il quasi, come al solito, coincide coi Radicali) si preoccupa del colossale “debito giudiziario” accumulato dallo Stato italiano nei confronti dei suoi cittadini. Se ogni neonato italiano, appena venuto alla luce, si trova addosso il peso di un debito stimato in circa 32.000 euro, almeno un terzo della popolazione italiana, attende da anni una soluzione giudiziaria di casi più o meno gravi e controversie di ogni tipo. Un terzo della popolazione italiana che attende giustizia è la cifra non solo di una grave emergenza istituzionale, ma anche di una vera e propria questione sociale. Abbiamo apprezzato le prime dichiarazioni del neo-ministro della Giustizia Prof.ssa Paola Severino: “La mia priorità sarà il carcere”, ha dichiarato, e il quotidiano La Stampa ha aggiunto che il nuovo guardasigilli, oltre allo sfacelo delle carceri, ha presente anche la montagna di cause arretrate che soffocano la giustizia. Centododici giorni fa il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si rivolse alla classe politica, alle istituzioni, chiedendo “uno scatto” per porre fine ad una situazione, quella della giustizia e delle carceri, “che ci umilia in Europa”; parlò di “orrore”, di “abisso”, di una “questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Da ciò che riportano i giornali sembra che il Ministro Paola Severino abbia affermato “diamoci tutti una mano”. La nostra mano tesa c’è, assieme alle tante mani della comunità penitenziaria che ha imparato ad usare la nonviolenza per portare avanti la sua sacrosanta battaglia di legalità e giustizia. Anche il Presidente della Repubblica ha bisogno di questa mano. Noi radicali ci siamo fatti carico (e non da oggi) anche di fare una proposta, quella dell’Amnistia per la Repubblica e abbiamo offerto anche la candidatura di chi da una vita si batte con la nonviolenza per quest’obiettivo, Marco Pannella. Vorremmo che la si discutesse senza pregiudizi perché anche il Presidente Giorgio Napolitano, sempre il 28 luglio scorso, invitò il legislatore a non escludere “pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria”. Noi della delegazione radicale, daremo la fiducia a Lei e al Suo Governo. Le proposte che il Suo Governo ha fatto sul piano economico sono le nostre e nel corso di questi tre ultimi decenni, le abbiamo promosse anche per via referendaria: se il popolo italiano non fosse stato defraudato del diritto di usare la scheda dei referendum non ci troveremmo oggi a dover fare scelte così dolorose. Rudi Dornbusch nel maggio del 2000, parlando dei referendum promossi dai radicali, scrisse “tre hurrà per i referendum di Emma Bonino”. “Nello spazio di pochi anni - scriveva Dornbusch - l’Italia non potrà far finta di niente rispetto al cammino tracciato dai referendum. Il suo rendimento economico, negli ultimi due decenni, è stato spaventoso; il sistema ha cigolato, quasi fino a arrestarsi. Il mercato azionario va avanti e intravede altre prospettive di scambi. Come è sempre successo, in Italia e in altre parti d’Europa, i politici e gli amministratori non captano i messaggi che manda. Nel frattempo, un segnale: anche se i referendum saranno battuti dall’offensiva congiunta di burocrati, politici e capipopolo la rivoluzione modernizzatrice è viva.” Parole profetiche rispetto a ciò che poi è accaduto, troppo ottimista, invece, rispetto agli auspici finali. Non aveva fatto i conti, il Docente di economia al Mit ed ex consigliere della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, con il sistema antidemocratico italiano. Signor Presidente del consiglio, crediamo di conoscere la realtà italiana. Marco Pannella afferma che “dove c’è strage di legalità, c’è strage di popoli”. È frase pesante, ma ci rifletta. Anche lei dovrà fare i conti con una realtà che deve necessariamente essere riformata se non si vuole costruire sulla sabbia il futuro dell’Italia e dell’Europa. Giustizia: Nicotra (Osapp); siamo certi che neo ministro si occuperà di emergenza carceri Adnkronos, 18 novembre 2011 “Siamo certi che il neoministro della Giustizia Paola Severino terrà conto dell’emergenza carceri”. Lo dice Mimmo Nicotra, vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, che aggiunge: “Spero che subito dopo aver incontrato i rappresentanti dell’Associazione magistrati convocherà i rappresentanti della polizia penitenziaria. Numerosi sono gli argomenti scottanti sul tavolo della Severino, dal sovraffollamento alla grave carenza di personale, dalle nuove carceri alla manitenzione di quelli esistenti, dalla mancanza di fondi per la benzina al mancato pagamento dello straordinario e delle missioni. Siamo certi che una personalità di tale spessore - conclude - saprà agire con urgenza ma soprattutto con equilibrio”. Giustizia: primi interventi la riforma della geografia giudiziaria e del sistema carcerario di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 18 novembre 2011 “Lavorare sodo”: così Paola Severino riassume il compito che l’aspetta nei prossimi mesi per dare all’Europa, ai mercati e ai cittadini, una delle tante risposte attese, il recupero di efficienza della giustizia civile e penale necessario per risparmiare risorse, contribuire alla crescita, garantire una durata ragionevole dei processi. Non dice di più la prima donna nominata ministro della Giustizia nella storia della Repubblica italiana, 63 anni; napoletana, penalista di fama internazionale, con una clientela “illustre” che va da numerose banche, come Morgan Stanley (processo Saras, Milano), Dexia e Deutsche Bank (processo sui derivati, Milano) a Romano Prodi (processo sulla vendita della Cirio), dal legale della Fininvest Giovanni Acampora (processo Imi-Sir) all’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone (inchieste di Perugia su Enimont e su Unipol a Milano), da Cesare Geronzi (crac della Cirio) all’ex segretario generale del Quirinale Gaetano Gifuni (indagine sui fondi per la gestione della tenuta di Castelporziano). Toccherà a lei spegnere i fuochi delle tensioni accesi in questi 17 anni tra magistratura e politica e traghettare la giustizia italiana verso standard europei di efficienza, indispensabili per uscire dalla crisi. Come? Con riforme “strutturali” divenute ormai “urgenti”, come la riforma della geografia giudiziaria, che resta una priorità insieme a quella per deflazionare un sistema carcerario costoso, incapace di produrre sicurezza collettiva e di garantire la dignità dei detenuti. Ma anche con altre misure necessarie a recuperare tempo e danaro, per assicurare ai cittadini un processo dai tempi ragionevoli. Misure organizzative e processuali. “È brava, intelligente, competente e capace di individuare le soluzioni giuste ai problemi reali della giustizia”, dicono di lei non solo i colleghi avvocati ma anche i magistrati che l’hanno conosciuta nelle aule giudiziarie e l’Anni. Considerata una “moderata”, la sua nomina è stata caldeggiata dal centrodestra ma apprezzata dal centrosinistra. Peraltro, in passato, si era già pensato a lei per incarichi istituzionali importanti, come la vicepresidenza del Csm o la Corte costituzionale. D’altra parte, il nuovo guardasigilli ha alle spalle un curriculum di peso: professore di diritto penale all’Università Luiss Guido Carli, di cui è Prorettore vicario; dal 1997 al 2001 vicepresidente del Consiglio della magistratura militare, anche in quel caso prima donna in assoluto a ricoprire l’incarico (durante il quale, nel 1998, ha vinto la classifica dei manager pubblici più ricchi, dichiarando un reddito da 3,3 miliardi di vecchie lire); titolare dell’insegnamento di diritto penale presso la Scuola ufficiali carabinieri di Roma. Ha anche partecipato alla redazione delle Linee guida dell’Associazione bancaria italiana per l’adozione dei modelli organizzativi sulla responsabilità amministrativa delle banche emanate nel 2002 e al loro succesivo aggiornamento. La Severino entra a via Arenula nel pieno di uno sciopero dei penalisti per la mancata attuazione, tra l’altro, della separazione delle carriere di giudici e Pm; su cui il neoministro, in passato, si è espressa a favore, ma che difficilmente sarà ripresa in questo scorcio di legislatura, dove è essenziale concentrarsi sull’emergenza e su obiettivi condivisi. Certo è che, mentre il precedente governo aveva risposto alle sollecitazioni della Ue solo con interventi sul civile, la Severino si occuperà anche del processo penale, per snellirlo, ma senza forzarne le regole. “Lei i processi li vince - spiega con una battuta un magistrato -, non ha bisogno di cambiare le regole per vincerli”. Giustizia: lettera a Scalfaro in trattativa fra mafia e Stato nel periodo delle stragi del 92-93 Agi, 18 novembre 2011 Una lettera anonima, firmata da sedicenti “parenti dei detenuti al 41 bis”, risalente al febbraio 1993, è stata acquisita agli atti del processo per favoreggiamento aggravato nei confronti del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu. Il documento, indirizzato all’allora presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, e a una serie di altri destinatari, era noto, ma ora è stato messo in collegamento con la questione della trattativa fra mafia e Stato nel periodo delle stragi del 92-93. Il carcere duro, a cui erano sottoposti una serie di boss detenuti nelle supercarceri di Pianosa e dell’Asinara, era uno dei punti che stavano più a cuore alla mafia e - come è emerso dalle indagini delle Procure di Palermo e di Caltanissetta - era al centro di presunte “interlocuzioni” tra uomini della mafia e pezzi delle istituzioni. Una serie di grandi e piccoli segnali furono lanciati in quel periodo allo Stato, che nel ‘93, pochi mesi dopo gli eccidi siciliani del ‘92 e a cavallo del periodo delle stragi del Nord, rispose con la revoca di una serie di misure di sottoposizione al regime duro, circa 500 tra il ‘93 e il ‘94. Provvedimenti che l’allora ministro della Giustizia Giovanni Conso, interrogato dai magistrati siciliani e dalla commissione Antimafia, ha sostenuto di avere adottato “in solitudine”. La lettera, che era già agli atti del processo di Firenze, sulle stragi avvenute proprio diciotto anni fa nel capoluogo toscano, a Roma e a Milano, è stata adesso consegnata dall’ex capo dell’ufficio detenuti del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Sebastiano Ardita, ai pm palermitani, che lo hanno interrogato due settimane fa. Durissimi i toni dell’anonimo: “Di detenuti ne moriranno, ma lei (il riferimento è a Scalfaro, ndr) non si curi di loro, tanto si tratta di carne da macello. Per noi e per loro resta solo la consolazione che un giorno Dio, che ha più potere di lei, sarà giusto nel suo giudizio... lei si è vantato più volte di essere un autentico cristiano. Le consigliamo di vantarsi di meno e di amare di più. Non ci firmiamo non per paura, ma per evitare ulteriori pene ai nostri familiari (e poi fanno lezioni di mafia!)... Se lei ha dato ordine di uccidere, bene, noi ci tranquillizziamo, se non è così guardi che per noi è sempre il maggior responsabile, il più alto responsabile dell’Italia “civile” che, con molto interesse, ha a cuore i problemi degli animali, i problemi del terzo mondo, del razzismo e dimentica questi problemi insignificanti perché si tratta di detenuti, ovvero di carne da macello”. Giustizia: caso De Cupis; il testimone ha visto solo gli agenti nell’atto di ammanettarlo www.tusciaweb.eu, 18 novembre 2011 Nessun testimone oculare ha assistito al pestaggio di Cristian De Cupis. Nessuno ha visto gli agenti alzare le mani sul detenuto 36enne morto a Belcolle. Il garante dei detenuti Angiolo Marroni precisa. Il lancio Ansa divulgato l’altro ieri sera parlava di un avvocato romano che aveva assistito alle percosse. Ma non era vero: il legale ha visto semplicemente gli uomini della Polfer nell’atto di ammanettare De Cupis alla stazione Termini la sera del 10 novembre, ma nulla di più. Gli agenti della polizia ferroviaria dicono di averlo arrestato per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, dopo che aveva sferrato un pugno a un passante. A documentarlo, i filmati delle telecamere della stazione. Quando l’avvocato lo ha visto, De Cupis era a terra. Non ha saputo dire se fosse già disteso sul pavimento o se sia stato spintonato. “La polizia lo ha portato al Santo Spirito di Roma subito dopo - spiega il garante Marroni -. Ai medici dell’ospedale De Cupis ha detto di essere stato picchiato e da qui è partita la denuncia. Poi, in tarda serata, verso le 23, il trasferimento all’ospedale Belcolle di Viterbo e, infine, la morte, due giorni dopo, all’alba del 12 novembre. Si è addormentato tranquillo la sera prima e al mattino non si è più svegliato”. L’autopsia ha fissato l’ora del decesso alle 5 del mattino. Arresto cardiaco, la causa. Ma per Marroni non significa niente. “Tutti muoriamo per arresto cardiaco. La vera domanda da porsi è: cosa lo ha causato? Le lesioni che aveva sul corpo erano piuttosto blande: graffi sulla fronte e piccoli lividi sulla coscia e sulla spalla. Ma d’altra parte, una morte d’infarto a trent’anni sarebbe piuttosto strana”. La vicenda, del resto, è anomala fin dal momento dell’arresto: De Cupis non è mai entrato in carcere, non è stato registrato con alcuna matricola, non è stato perquisito fino all’arrivo in ospedale. “Il provveditore dell’amministrazione penitenziaria non ha ricevuto alcuna comunicazione riguardo l’arresto - afferma il garante dei detenuti, e anche questo è un fatto è strano, perché normalmente, in questi casi, è tra i primi a essere informato”. Anche su questo dovrà cercare di far luce il pm Stefano D’Arma, titolare del fascicolo aperto sulla morte di De Cupis dalla Procura di Viterbo. Nicastrini (Uil-Pa): reparto protetto Belcolle sempre attento e scrupoloso “Avevamo già ritenuto che quanto rappresentato dal Garante dei detenuti, fosse legato ad un preconcetto emotivo e non perfettamente conoscitivo di quale sia la realtà in cui opera tale servizio. Un reparto ospedaliero protetto, che ha dimostrato in questi anni di essere rispettoso del diritto dei detenuti ricoverati sia da parte della Polizia Penitenziaria che da parte del servizio medico-infermieristico, sempre attento e scrupoloso. Quindi continuare a puntare il dito in sospetti e quant’altro che possono alimentare una parte di opinione pubblica, che può far pensare chi sa cosa accade al suo interno, non possiamo accettarlo proprio perché noi conosciamo perfettamente quale sia la capacità professionale e sensibilità di chi opera all’interno dell’Unità Ospedaliera Medicina Protetta. Se ci sono responsabilità di qualche tipo sarà la magistratura a far luce, sulla quale nutriamo la massima fiducia, ma non accettiamo che si facciano illusioni o si nutrano sospetti fuori luogo”. Giustizia: caso di Marcello Lonzi sarà esaminato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo Ansa, 18 novembre 2011 La Corte europea dei diritti dell’uomo discuterà il ricorso presentato da Maria Ciuffi sulla vicenda del figlio, Marcello Lonzi, il detenuto morto nel carcere di Livorno nel 2003. Lo rende noto la stessa Ciuffi. Oggi, i suoi avvocati hanno ricevuto la comunicazione della Corte riguardo la “rubricazione” del ricorso. Questo, spiega l’avvocato Matteo Dinelli, significa che la Corte ha recepito il ricorso e che prenderà una decisione (non con un dibattimento ma basandosi sugli atti ricevuti). Nessuna indicazione sui tempi, anche se i legali ritengono che i giudici di Strasburgo dovrebbero discutere il caso nei primi mesi del 2012. Maria Ciuffi è convinta che il figlio sia morto per un pestaggio da parte della polizia penitenziaria e non per cause naturali, come invece ha stabilito la magistratura livornese. Giustizia: primo Giornale Radio da carceri italiane, gestito da detenuti Bollate e Rebibbia Ansa, 18 novembre 2011 Grc ossia giornale radio dal carcere. All’interno della trasmissione radiofonica “Jailhouse Rock, suoni, suonatori e suonati dal mondo delle prigioni”, nasce uno spazio giornalistico e informativo gestito direttamente dai detenuti delle carceri di Roma Rebibbia nuovo complesso e di Milano Bollate. Nei due istituti operano due vere e proprie redazioni che in modo indipendente costruiscono, leggono e commentano notizie carcerarie. I detenuti, quindi, diventano protagonisti della informazione che li riguarda. Gli speaker radiofonici del gr dal carcere sono gli stessi detenuti. Il Grc è una assoluta novità nel panorama radio-televisivo. Ogni settimana i detenuti, appartenenti a vari reparti dell’istituto, si incontrano in un’aula scolastica per effettuare una vera e propria riunione di redazione. Si discutono insieme le notizie della settimana e si scelgono, senza alcun filtro, quelle più rilevanti da mandare in onda. I detenuti incidono le notizie con le loro voci. Il file così registrato viene portato all’esterno del carcere da un educatore o da un volontario e spedito alla redazione di Jailhouse rock per la messa in onda. Le due redazioni, dopo aver ricevuto parere favorevole dalle direzioni degli istituti coinvolti, sono state autorizzate dal Ministero della Giustizia a svolgere questo lavoro di informazione. Quello che il Grc (Giornale radio dal Carcere) vuole raccontare non è il carcere dell’evento occasionale e magari drammatico che viene ripreso dalle testate più ufficiali, bensì il carcere di ogni giorno, che il detenuto quotidianamente vive ed esperisce nelle sue giornate. I piccoli e grandi malfunzionamenti, le esperienze virtuose, le buone prassi, le storie di molti compagni che l’istituzione non riesce a intercettare, le opinioni di chi vive dietro le sbarre, le conseguenze di scelte politiche e amministrative: tutto questo viene elaborato dai detenuti che lavorano al Giornale Radio dal Carcere. La trasmissione è scritta, curata e condotta da Patrizio Gonnella e Susanna Marietti, entrambi dell’associazione Antigone. Va in onda sulle frequenze di Radio Popolare. E precisamente in diretta tutti i lunedì su Roma dalle 21 alle 22 e 30 e in differita su Radio Popolare Milano e Radio Popolare Salento tutte le domeniche alla stessa ora. Ospiti fissi della trasmissione anche il direttore del carcere romano di Rebibbia Carmelo Cantone, l’avvocato milanese Mirko Mazzali con i suoi consigli per chi finisce in galera o per evitare di finirvi e Lucia Pastella con la sua rubrica “Le prigioni del cuore”. Ogni puntata incrocia storie di musica e di carcere. Molti sono i musicisti rock, blues, jazz, soul, metal, hip-hop, stranieri ma anche italiani che hanno conosciuto il carcere. Le loro storie vengono raccontate nella trasmissione viaggiando nella loro musica. Bob Dylan, Johnny Cash, Ozzy Osbourne, Tupac Shakur, Chet Baker, Leadbelly, Frank Sinatra, Keith Richard, Pete Townshend ma anche Johnson Righeira e Roberto Vecchioni hanno tutti trascorso qualche giorno in prigione. Nelle settimane passate i detenuti hanno frequentato alcune lezioni di formazione che li hanno messi in grado di utilizzare lo strumento radiofonico come mezzo di diffusione dell’informazione. Tra i formatori Valentina Calderone (associazione A Buon Diritto), Carla Manzocchi, (Gr Rai) Bruno Sokolowicz (Gr Rai), Enrica Bonnaccorti (conduttrice Rai), Marta Bonafoni (direttrice Radio Popolare Roma). Lettere: dateci un sostegno per i detenuti di Sollicciano, dove tutti i diritti sono cancellati La Repubblica, 18 novembre 2011 A chi sta fuori, nel mondo, il carcere sembra una realtà lontana, quello che accade tra le mura penitenziarie è percepito in modo distratto se non addirittura con disinteresse. Per richiamare l’attenzione dei fiorentini sulle drammatiche condizioni di Sollicciano un gruppo di associazioni di volontari che lavorano dentro al carcere scrivono una lettera aperta alla città. “Quotidianamente constatiamo la negazione dei diritti umani e di cittadinanza dei detenuti e delle detenute, diritti che dovrebbero essere intangibili, con la sola eccezione della privazione della libertà”, dicono Pantagruel, Comunità delle Piagge e dell’Isolotto, Fuori Binario, L’Altro Diritto, Associazione di volontariato penitenziario, Antigone nazionale, Arci di Firenze e Rete antirazzista. “Vediamo celle sovraffollate e un carcere che è strutturato per accogliere 480 persone e ne ospita più di 1.000. Pochi mesi fa il suicidio di un detenuto e un tentativo di suicidio sventato in extremis dalle compagne di cella; casi frequenti di mala sanità; condizioni igieniche disumane; esclusione della gran parte delle persone detenute dal lavoro e dalla scuola; applicazione di regole, spesso non scritte, che comandano la vita quotidiana di donne e uomini, spesso in contraddizione con quanto previsto dalla legge penitenziaria e dal regolamento penitenziario nazionale, in altre parole l’arbitrio al posto della legge”. La denuncia è forte e diretta. “Tutto questo”, sostengono le associazioni, “rende difficile il lavoro anche di agenti di polizia penitenziaria ed educatori che vorrebbero comportarsi e lavorare con professionalità, umanità e nel rispetto delle regole. La quotidianità dei detenuti è segnata dalla cattiva qualità del vitto, dalla carenza di acqua calda, dalla mancanza delle lampadine nelle celle, molti sono privi dello stretto necessario per l’igiene personale e con l’inverno alle porte incombe il rischio che non ci siano i soldi per il riscaldamento, mentre spesso, per chi non ha una famiglia alle spalle, gli abiti non sono adeguati al freddo”. L’appello è rivolto ai cittadini, al sindaco, ai presidenti di Provincia e Regione e ai garanti dei diritti dei detenuti. “Oggi mancano del tutto le condizioni minime per garantire diritti e dignità. Bisogna intervenire al più presto”. Lettere: “Uomini dentro”, una finestra su un mondo sconosciuto di Milo Bertolotto (Assessora alle carceri provincia di Genova) Lab il Socialista, 18 novembre 2011 L’Amministrazione Provinciale di Genova ormai da molti anni ha fatto una scelta, politica ed etica: occuparsi della situazione delle carceri del suo territorio. Per questa ragione nel tempo, nonostante le gravi difficoltà di bilancio cui sono sottoposti gli Enti Locali, sono stati promossi e sostenuti progetti ed interventi nell’ambito penitenziario, inerenti in particolare l’inclusione socio-lavorativa delle persone detenute. Ma non solo. La rassegna “Uomini dentro, ci mettiamo lafaccia” è un’importante occasione per proporre alla città le produzioni artistiche del carcere e sul carcere sostenute in questi anni anche dal nostro Ente ma è, insieme, l’occasione per aprire tante finestre su un mondo che colpevolmente la società nel suo complesso tende ad ignorare. L’attuale situazione delle carceri non è tollerabile, né per le persone detenute né per le persone che vi lavorano. Anche il Presidente Napolitano ha dichiarato che “le prigioni del nostro Paese sono una realtà che ci umilia. Una realtà non giustificabile in nome della sicurezza che ne viene più insidiata che garantita, dalla quale non si può distogliere lo sguardo”. Ma poco o nulla si muove e le carceri sono oggetto di una rimozione collettiva; come se non ci riguardassero. Le carceri scompaiono, salvo aggiudicarsi l’onore delle prime pagine quando qualche parlamentare visita un istituto e diffonde il rituale comunicato stampa oppure quando accadono tentativi di suicidio o episodi di violenza che suscitano le legittime rimostranze della polizia penitenziaria gravata da responsabilità sempre più difficili. Tutto è sopito dall’indifferenza colpevole. Intanto donne e uomini detenuti, personale ministeriale, polizia penitenziaria, educatori, insegnanti, volontari affrontano quotidianamente un’emergenza che ormai da anni è diventata normalità. Per questo la rassegna “Uomini dentro, ci mettiamo la faccia” promossa dall’Assessorato alle Carceri della Provincia con l’Associazione Teatro Necessario e la Fondazione Cultura di Palazzo Ducale assume alla luce della drammatica realtà carceraria un valore anche simbolico: accendere i riflettori sui talenti e le competenze delle persone detenute, valorizzare il lavoro di chi opera all’interno del carcere, condividere storie ed emozioni di un pezzo della nostra società troppo spesso dimenticato, contribuire ad abbattere il muro dei pregiudizi e dei luoghi comuni che vogliono le persone detenute emarginate dal resto della società; tutto questo è una scelta di civiltà. Potenza: Rita Bernardini interroga il Ministro della Giustizia sulla situazione del carcere Notizie Radicali, 18 novembre 2011 Interrogazione di Rita Bernardini. Al Ministro della Giustizia. Premesso che: lo scorso 14 novembre, il Segretario Generale del Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria (Sappe) ha diramato il seguente comunicato: “Il Sappe vuole porre l’attenzione dei vertici dell’Amministrazione penitenziaria sulle precarie condizioni strutturali in cui versa la Casa Circondariale di Potenza, la cui attivazione è risalente agli anni 50. Da tempo, infatti, si registrano numerose anomalie strutturali che destano forti preoccupazioni sotto il profilo della sicurezza. Da circa un mese, dopo che i tecnici preposti ne hanno dichiarato il rischio di crollo, è stato chiuso il Reparto penale, poiché, a causa di abbondanti infiltrazioni di acqua, è stata compromessa la consistenza strutturale di una parte del padiglione. Tale stato di fatto ha comportato l’immediata evacuazione del reparto in questione con il trasferimento di tutti i detenuti presso il Reparto giudiziario, il quale, anche quest’ultimo, non versa in condizioni del tutto ottimali. Al momento l’unico intervento, a parte l’immediata evacuazione del Reparto penale, è stato quello del Provveditorato Regionale di trasferire solo 5 detenuti in altro Istituto del distretto; nel frattempo l’Istituto di Potenza è stato destinatario di altri numerosi detenuti provenienti da altri Istituti trasferiti per sfollamento. Lo stato attuale detentivo dell’Istituto potentino sta divenendo assai preoccupante in quanto i reclusi sono ristretti tutti presso il Reparto giudiziario, “stipati” in stanze anguste e assolutamente non adeguate a quello che prevede il Dpr 30 giugno 2000, nr. 230, con negative ripercussioni sulla sicurezza del personale di Polizia Penitenziaria, costretto a escogitare quotidianamente soluzioni per “tamponare” le colossali inadeguatezze. A tal riguardo abbiamo chiesto urgentemente di attivare gli Uffici competenti affinché vengano posti in essere ulteriori idonei provvedimenti, anche di tipo deflattivo, nei confronti dei detenuti, finalizzati a riportare un regolare stato di vivibilità detentiva all’interno della struttura penitenziaria, al fine di evitare che la situazione possa determinare episodi di criticità a danno dell’Amministrazione e del personale che, allo stato, risulta essere assolutamente sotto organico e pertanto numericamente inidoneo a fronteggiare situazioni di notevole gravità. Oltre alla predetta situazione si è verificato, infatti, il continuo “scollamento” di pesanti lastre di marmo che rivestono il muro di cinta, ed anche se la parte interessata è stata parzialmente interdetta al passaggio di pedoni le barriere poste in essere per transennare la zona appaiono assolutamente inidonee e prive di sicurezza. Numerose infiltrazioni di acqua piovana provengono dai solai posti nelle due caserme (femminile e maschile) e nella porta carraia, soprattutto causate dal deterioramento degli impianti di canalizzazione dell’acqua, tanto da creare forti getti di acqua all’interno dei predetti locali, ponendo fondati dubbi sulla idoneità delle condizioni igienico sanitarie. Sarebbe più corretto porre tempestivi interventi di ripristino, evitando un disastroso deterioramento delle strutture, con l’aggravio di costi per le riparazioni. Per ultimo, e non per minore importanza, la parziale funzionalità dell’impianto termico, che determina ulteriori precarie condizioni di vivibilità sia per i detenuti che per il personale di Polizia Penitenziaria, quest’ultimo costretto a lavorare con temperature inidonee, in particolar modo nelle ore notturne e ancor di più se si pensi alle particolari condizioni climatiche della Regione”:- quali iniziative il Ministro in indirizzo intenda porre in essere per far fronte ed eliminare le criticità denunciate dal Sappe; quali motivi abbiano fino ad ora impedito di procedere in tal senso. Reggio Emilia: la Provincia forma detenuti-giardinieri, consegnati i primi 12 attestati Dire, 18 novembre 2011 Sono stati consegnati gli attestati di frequenza a 12 partecipanti al corso di “operatore del verde” finanziato dalla Provincia di Reggio Emilia tramite il Fondo sociale europeo e destinato a persone con pena detentiva a termine o in stato di semilibertà. Il progetto, della durata di diversi mesi, è stato gestito da Enaip ed è nato in continuità con l’attività della rete Costellazioni di Reggio Emilia per il reinserimento sociale e lavorativo di internati e detenuti. Gli attestati sono stati consegnati dall’assessore alla Formazione professionale della Provincia Ilenia Malavasi, alla presenza di Paolo Madonna, direttore della casa circondariale di Reggio, dove si è svolto il corso. Le attività hanno previsto lezioni sia teoriche, sia pratiche all’interno degli spazi verdi del penitenziario con l’obiettivo della manutenzione delle aree verdi esistenti e preparare uno spazio adibito ad orto. “L’intervento formativo ha avuto l’obiettivo di fornire ai corsisti competenze tecniche di base che potranno essere spese sia all’interno della struttura carceraria, sia all’esterno una volta scontata la pena detentiva - spiega l’assessore Malavasi. La soddisfazione è stata alta da parte dei partecipanti, dei docenti di Enaip e della direzione del carcere, che ci invita a proseguire questa collaborazione visti i positivi risultati raggiunti”. Milano: sezione blindata all’Ospedale San Paolo per i detenuti del regime 41-bis La Repubblica, 18 novembre 2011 Lavori in corso al San Paolo per ampliare il reparto di medicina carceraria. L’ospedale deve far posto a una sezione speciale con due letti da destinare a chi è sottoposto al 41 bis, vale a dire l’isolamento totale, con controlli costanti. Un regime carcerario duro che va mantenuto anche in caso di ricovero in ospedale. E siccome il San Paolo è il punto di riferimento per carceri come quello di Opera, dove sono detenuti personaggi come Totò Riina, Roberto Savi, il killer della Uno Bianca, e Gianfranco Stevanin, l’omicida di prostitute in Veneto, l’ospedale si sta attrezzando per completare la realizzazione di questo progetto che prevede una stanza blindata con due posti letto e un ingresso ad hoc, sottoposto a sorveglianza continua. Ma l’aggiunta dei due letti per i 41 bis, in un’ala creata ex novo del reparto di medicina carceraria, che conta 18 letti, non è stata indolore. Tanto che il sindacato di base guidato da Pino Petita ha, in più occasioni, denunciato “rumori assordanti provocati da veri e propri concerti di martelli pneumatici e mazze”. Il tutto in contemporanea con le visite ambulatoriali, che si effettuano non lontano dal cantiere. In particolare, quelle audiometriche risultavano impossibili da fare, con tutto quel baccano. “Certo, in ospedale non è facile far convivere i cantieri con l’assistenza - dicono in direzione sanitaria al San Paolo - ma poi alla fine abbiamo trovato una soluzione per evitare interferenze con le visite ambulatoriali e, nello stesso tempo, far procedere i lavori”. Il centro di medicina carceraria del San Paolo è unico in Lombardia. In pratica, è una appendice sanitaria delle carceri del Nord, con guardie regolarmente in servizio. “Noi abbiamo sempre accolto pazienti sottoposti al 41 bis - spiegano in direzione sanitaria, ma quando arrivavano dovevamo creare speciali misure di sicurezza, che riducevano notevolmente le possibilità di ricovero dei carcerati normali”. Infatti, le stanze prima e dopo quella che accoglieva il 41 bis dovevano rimanere vuote, per evitare che il Totò Riina di turno potesse parlare con gli altri pazienti. Ma a causa di questo cordone sanitario, si rallentavano i ricoveri. Un inconveniente che, ora, dovrebbe risolversi entro al fine dell’anno. Il reparto di medicina carceraria del San Paolo garantisce 600 ricoveri l’anno, più 150 prestazioni di day hospital. Mentre in tutti gli altri ospedali, i carcerati vengono curati normalmente nei reparti, solitamente in stanze singole, con il paziente piantonato 24 ore su 24. Ma la stanza blindata a due posti, con ingresso riservato e controllato, mancava. Ora il San Paolo la sta realizzando, cercando di non disturbare troppo gli altri pazienti. Voghera (Pv): tre detenuti a processo per il pestaggio di un compagno nelle palestra La Provincia Pavese, 18 novembre 2011 Un pestaggio in carcere sul quale vi sono molti dubbi. E ripetuti allarmi su un detenuto poi morto suicida. Ci sono tutti gli ingredienti del giallo in questa vicenda ambientata all’istituto di pena di via Prati Nuovi. Una storia che viene rievocata, proprio in questi giorni, nel corso di un processo a carico di tre persone accusate di lesioni aggravate in concorso. Si tratta di Santi Timpano, 39 anni, Domenico Casale, 57 anni (entrambi difesi dall’avvocato Sara Bressani) e Pasquale Mercurio, 54 anni, difeso dall’avvocato Cecilia Palli. Secondo l’accusa, il 28 luglio del 2009 i tre affrontarono un altro detenuto, Massimo Miceli, 45 anni, mentre si trovavano nella palestra del carcere. Mentre due lo tenevano fermo, il terzo lo avrebbe massacrato a calci, pugni e colpendolo con degli attrezzi e con un bilanciere da pesi. Miceli, però, attese il 12 agosto per sporgere querela e l’allora direttore del carcere, Paolo Sanna, sulla base di quella denuncia trasferì i tre presunti picchiatori da Voghera in altri istituti di pena. Al processo in corso, tuttavia, sono emerse alcune stranezze. Un agente di polizia penitenziaria, che si trovava il giorno della presunta aggressione fuori dalla palestra, sentito come testimone ha riferito di avere visto Miceli all’uscita, e di avere notato solo una leggera abrasione sulla mano, spiegata dallo stesso detenuto con un incidente durante gli esercizi. Anche l’ex direttrice sanitaria del carcere, nel corso del processo, ha riferito che l’11 di agosto, al momento della visita, Miceli non mostrava segni di lesioni “né recenti né pregresse”. Tra l’altro, a causa di alcuni problemi, l’uomo veniva sottoposto con una certa frequenza a visite mediche, ma nessuno certificò mai la presenza di lesioni riconducibili a un pestaggio. Altri due detenuti, che devono ancora essere sentiti come testi, dissero di avere visto Miceli a terra, sul pavimento della palestra. Anche se un pestaggio a colpi di sbarra d’acciaio avrebbe dovuto lasciare segni inequivocabili sul corpo del detenuto. La circostanza che rende questa vicenda ancora più misteriosa, però, è un’altra. I tre detenuti accusati del pestaggio, nei mesi precedenti avevano a più riprese segnalato il caso di un loro compagno di detenzione, Marcello Russo. L’uomo aveva tentato in varie occasioni di togliersi la vita, sia procurandosi dei tagli, sia inalando il gas della bomboletta utilizzata per cucinare. I suoi compagni avevano sollecitato misure di prevenzione. Alla fine, il 23 marzo 2009, Russo era riuscito nel suo intento. Dopo avere infilato il capo in un sacchetto di plastica, lo aveva saturato con il gas togliendosi così la vita. Sassari: omicidio di Marco Erittu; altri due agenti indagati, con accusa di favoreggiamento La Nuova Sardegna, 18 novembre 2011 Altri due agenti di polizia penitenziaria indagati nell’inchiesta sulla morte del detenuto Marco Erittu, del 18 novembre 2007. Gian Franco Faedda e Giuseppe Sotgiu, difeso dagli avvocati Gabriele Satta e Gerolamo Pala, in servizio a San Sebastiano, sono iscritti nel registro degli indagati per favoreggiamento nei confronti del collega Mario Sanna, arrestato per l’ipotesi di omicidio con Pino Vandi, presunto mandante, e Giuseppe Bigella, sedicente esecutore materiale divenuto teste d’accusa. Secondo le indagini dei Carabinieri di Nuoro, Sotgiu e Faedda avrebbero aiutato Sanna a spostare per terra il corpo di Erittu per simulare il suicidio (pista che dissimulò l’omicidio): dopo il delitto compiuto da Bigella e da un presunto complice, Nicolino Sanna (mai arrestato), gli agenti avrebbero cambiato la posizione del cadavere e fatto sparire il legaccio, un lembo di una coperta. Ai pm Gian Carlo Moi e Giovanni Porcheddu, avrebbero mentito sul loro ruolo. Nell’interrogatorio di fine ottobre, Sotgiu si è avvalso della facoltà di non rispondere. Brindisi: detenuto ricoverato per sospetta tubercolosi, timore in carcere in attesa diagnosi www.senzacolonne.it, 18 novembre 2011 La paura cresce con le ore, sia dentro che fuori dal carcere perché la notizia del ricovero in ospedale di un detenuto per sospetta tubercolosi viaggia a notevole velocità nonostante gli inviti alla calma: fino a quando non saranno comunicati ufficialmente gli esiti degli esami a cui è stato sottoposto il giovane, arrestato un anno fa per rapina, non è possibile nessuna decisione. Dalla direzione della casa circondariale di via Appia così come da quella dell’Azienda sanitaria locale ieri non sono arrivate conferme e neppure smentite sul caso di Tbc di cui parlano - da circa dieci giorni - gli ospiti del penitenziario brindisino al pari dei familiari che in questo lasso di tempo hanno ottenuto le autorizzazioni necessarie per i colloqui. Un comunicato ufficiale, per la verità, lo aspettavano sia i primi, direttamente coinvolti nella vicenda, che i congiunti perché - stando a quanto riferiscono - non è per niente facile tenere a bada la paura che in circostanze simili si mescola all’angoscia. Per il momento, la sola certezza è costituita dal fatto che la direzione del carcere ha disposto il ricovero in ospedale di un ragazzo detenuto, arrestato in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare, con l’accusa di aver consumato una rapina in trasferta. Padova: Cgil; detenuto tenta evasione, scavalca la prima rete ma viene ripreso dagli agenti Corriere della Sera, 18 novembre 2011 Vecchi tempi quelli in cui il Due Palazzi era considerato espugnabile solo dal boss della Mala del Brenta Felice Maniero, che però per scappare quel 14 giugno 1994 corruppe l’agente Raniero Erbì, condannato a 3 anni e 8 mesi. Oggi se la sezione penale continua a essere classificata come carcere di massima sicurezza (ha custodito mafiosi, i serial killer Donato Bilancia e Michele Profeta, i complici di “Faccia d’angelo”), diversa pare la situazione al circondariale. Dopo la rocambolesca evasione del tunisino Riadh Kouka, 30enne pregiudicato scoperto con mezzo chilo di eroina, avvenuta il 13 ottobre 2010 proprio durante la visita in città dell’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, lunedì mattina si è rischiato il bis. Stesso copione, ma senza le lenzuola usate da Kouka. Durante l’ora d’aria, intorno alle 10, un magrebino di 40 anni detenuto sempre per spaccio ha aspettato che l’unico agente di guardia fosse impegnato a perquisire altri reclusi (non devono portare oggetti come lamette, scatolette di tonno, lacci, già usati come armi in caso di rissa) per togliersi le scarpe e scappare verso la prima rete di recinzione, fatta di metallo e alta circa 3 metri. L’ha superata e ha iniziato a correre verso il muro di cinta, ma a quel punto il poliziotto ha suonato l’allarme, il collega dell’atrio via radio ha allertato una pattuglia di tre uomini che sono riusciti ad afferrare il magrebino prima che si volatilizzasse come Kouka, mai più riacciuffato. “Si può proprio dire che i colleghi l’hanno preso per i capelli - racconta Gianpietro Pegoraro, responsabile regionale della Cgil Fp penitenziari - ma non si deve lasciare sempre tutto sulle spalle della nostra professionalità. La situazione è esplosiva, rischia di degenerare in ogni momento. Al circondariale ci sono 230 detenuti per 115 agenti: è solo una fortuna che i reclusi restino tali. Un unico poliziotto deve vigilare su 40/50 uomini durante l’ora d’aria e tutti noi per coprire i turni siamo costretti a lavorare 12-13 ore al giorno, sottopagati e senza veder riconosciuti riposi settimanali, ferie e orario di 36 ore. Per non parlare di quando apriamo le corsie: se scoppia una rissa la situazione può diventare drammatica”. Altrettanto precario il quadro strutturale. Il Due Palazzi, costruito negli anni 60, non ha ancora rifatto il muro di cinta, benché i periti chiamati a valutarlo lo abbiano definito a pericolo di crollo. Il che impedisce agli agenti la sorveglianza sulle torrette e attorno al perimetro, costringendoli alla limitata visione “da terra”. La mancanza di soldi per comprare auto nuove e benzina ha poi interrotto il servizio di controllo armato del perimetro esterno, in passato garantito da una macchina della polizia. “Per di più gli ingressi degli automezzi nel carcere sono garantiti da una gigantesca porta carraia spinta a mano sempre dal personale - aggiunge Pegoraro - il quale si deve pure preoccupare che la stessa non gli cada in testa. Anche in questo caso infatti non risulta mai effettuata la manutenzione”. Varese: progetti e lavoro per i detenuti… ma al carcere dei Miogni mancano gli spazi Varese News, 18 novembre 2011 Da vent’anni la cooperativa Giotto di Padova propone progetti di reinserimento. Il suo direttore ha visitato il carcere varesino con una delegazione “trasversale” di politici. “Il carcere può essere un problema per la città oppure un’opportunità”. La differenza, secondo Nicola Boscoletto, direttore della cooperativa sociale Giotto di Padova impegnata da anni in progetti per il reinserimento lavorativo dei detenuti, sta nella voglia di intraprendere un progetto per la comunità. Su invito del cappellano della struttura, don Marco Casale, Boscoletto ha condiviso con i responsabili del carcere varesino la sua esperienza. Una sorta di “consulenza” di buona pratica che ha l’obiettivo finale di portare a Varese delle possibilità di lavoro per i detenuti grazie anche alla collaborazione con le aziende del territorio. Alla visita, su invito del sacerdote, hanno partecipato anche alcuni politici: l’assessore regionale Raffaele Cattaneo, il sindaco di Varese Attilio Fontana, il vicesindaco Carlo Baroni, l’assessore provinciale Piero Galparoli, il consigliere regionale Alessandro Alfieri e il consigliere comunale Giovanni Chiodi. Nel caso varesino le proposte di reinserimento hanno però un grosso limite, la struttura, che oltre ad essere sovraffollata non dispone di luoghi adeguati. “La mancanza di spazi è un punto di debolezza dei Miogni - ha commentato l’assessore regionale Cattaneo - dovremo studiare come ricavare nuove aree da destinare ai laboratori. La finalità è importante: i dati ci dicono che il tasso di recidività di chi partecipa a percorsi di inserimento al lavoro è dell’1 per cento, per gli altri del 68”. Nella casa circondariale varesina i detenuti sono 119 e sarebbero circa 50 (quelli che hanno già ottenuto una sentenza definitiva) i potenziali destinatari di progetti di questo tipo. “I problemi del carcere di Varese rimangono una costante - ha detto il consigliere regionale del Pd, Alessandro Alfieri. Bisogna trovare una nuova sede o, se rimane qui, investire per dotare la struttura dei servizi minimi necessari”. A chi spetta farlo? “L’adeguamento dipende dal ministero - ha detto in breve il sindaco Fontana. E per il momento quella di Varese non è stata inserita tra le carceri prioritarie”. Cagliari: Sdr; nel carcere di Lanusei detenuti e polizia penitenziaria senza riscaldamento Agenparl, 18 novembre 2011 “I lavori per la sostituzione della caldaia, ormai obsoleta, stanno provocando forti disagi nella Casa Circondariale “San Daniele” di Lanusei, il popoloso centro montano dell’Ogliastra, dove il brusco abbassamento delle temperature e l’umidità stanno facendo battere i denti ai detenuti e agli Agenti della Polizia Penitenziaria”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, che dopo aver ricevuto alcune segnalazioni da parte dei familiari dei detenuti ha potuto verificare le cause del mancato azionamento dell’impianto di riscaldamento. “In effetti, di norma, la caldaia che alimenta il riscaldamento viene avviata dal primo di novembre ma quest’anno - sottolinea Caligaris - in seguito ai lavori sull’impianto resisi necessari per rinnovarlo rendendolo più efficiente e meno dispendioso non è stato finora possibile garantire ai cittadini privati della libertà ospiti del vecchio Istituto Penitenziario condizioni accettabili di convivenza. La mancanza di un riscaldamento efficiente ha determinato il diffondersi di malattie da raffreddamento che hanno allarmato i familiari”. “Abbiamo appreso - precisa la presidente di Sdr - che si è provveduto a dotare i detenuti che ne hanno fatto richiesta di un numero adeguato di coperte e al più presto, in attesa che i lavori di adeguamento della caldaia si concludano nell’arco di una decina di giorni, saranno disponibili anche alcune stufe. Resta però inspiegabile come sia possibile che ci si accorga del riscaldamento di una struttura penitenziaria, ricavata da un antico convento, dove sono ristretti una sessantina di detenuti, alle soglie dell’inverno. Sarebbe opportuno verificare l’efficienza degli impianti con un adeguato anticipo in modo eventualmente da provvedere alla loro sistemazione. I detenuti, che il più delle volte sono costretti all’immobilità non svolgendo attività lavorative, e gli Agenti che prestano servizio nella struttura hanno diritto di vivere - conclude Caligaris - in un ambiente confortevole almeno sotto il profilo climatico visto che per il resto, purtroppo, il carcere di San Daniele è noto per i cessi alla turca (senza garanzia di privacy) nella maggior parte delle celle. Caltanissetta: al Malaspina sovraffollamento, scarsa sicurezza e pochi agenti penitenziari La Sicilia, 18 novembre 2011 “La situazione del carcere è drammatica”. lo denunciano le organizzazioni sindacali Cgil Pf, Osapp, Stalpe, Saipe e Uil Pe che ieri hanno diffuso una nota a conclusione dell’assemblea del personale che si è svolta nei giorni scorsi. I sindacalisti, raccogliendo le preoccupazioni del personale dipendente in servizio nel carcere nisseno, hanno lanciato un grido d’allarme “per la mancanza di sicurezza all’interno della struttura penitenziaria, dove - scrivono i sindacalisti - si registra un clima di tensione in cui l’esplosivo accostamento tra il grave affollamento e una carenza di organico, determina di fatto livelli di sicurezza assolutamente manchevoli per gli agenti, specialmente per coloro i quali lavorano nella prima linea delle sezioni detentive, nelle traduzioni e nei piantonamenti”. Al comandante degli agenti e al direttore del carcere è stato chiesto “di valutare la preoccupazione del personale per la situazione di stallo che ha determinato l’assenza di un minimo di sicurezza, al fine di scongiurare eventi dannosi e incidenti”. Le organizzazioni sindacali, inoltre “ ritengono che gli unici responsabili della drammatica situazione sono i vertici del carcere che continuano a inviare personale a disposizione dei Nuclei traduzioni di altre province, smembrando l’istituto nisseno a discapito del personale che effettua traduzioni di detenuti sotto scorta, mettendo a repentaglio l’incolumità della scorta stessa”. Li accusano anche di “non garantire l’applicazione degli accordi decentrati e le misure in materia di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro” e chiedono di incontrare il dirigente per discutere della nuova organizzazione di lavoro. Torino: mercoledì 30 novembre inaugura l’Anno Accademico per gli studenti detenuti http://torino.ogginotizie.it, 18 novembre 2011 Prende il via il nuovo anno accademico per gli studenti detenuti. Mercoledì 30 novembre infatti, alle ore 10, presso la Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” (Via Pianezza 300, Torino), Palazzina Arcobaleno, si terrà l’inaugurazione dell’Anno accademico 2011-2012 del Polo Universitario per studenti detenuti, giunto al tredicesimo anno di attività. La lectio magistralis sarà tenuta dal prof. Mario Chiavario, Professore emerito di Procedura Penale, su “L’immunità politica”. Saranno presenti il Rettore, prof. Ezio Pelizzetti; il Procuratore Generale, dott. Gian Carlo Caselli; il Preside della Facoltà di Scienze Politiche, prof. Fabio Armao; il direttore della Casa circondariale, dott. Pietro Buffa; i rappresentanti della Compagnia di San Paolo. Il Polo Universitario in carcere è un’iniziativa pionieristica in Italia e all’estero volta ad aprire nuovi campi di intervento dell’istituzione universitaria nel suo rapporto con la società civile. Esso è nato da un’intesa sottoscritta il 27 luglio 1998 da parte dell’Università di Torino, del Tribunale di Sorveglianza e del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria. Il Polo Universitario si propone di consentire ai detenuti, che ne abbiano i requisiti, di esercitare il diritto allo studio anche a livello universitario (e di favorire il loro percorso di risocializzazione attraverso il conseguimento della laurea). Le lezioni, le verifiche e gli esami vengono svolti dai docenti a titolo gratuito presso la Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno”. Nel dicembre 2007 è stata sottoscritta una convenzione tra Università degli Studi di Torino, Casa Circondariale di Torino, Comune di Torino e Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo, per attivare tirocini in borsa-lavoro presso enti esterni destinati a studenti afferenti al polo universitario che abbiano conseguito la laurea triennale, che siano iscritti alla laurea specialistica e che siano nei termini per usufruire di misure alternative alla detenzione. Pesaro: oggi la presentazione del libro “Carcere e multiculturalismo”, di Donato Telesca Corriere Adraitico, 18 novembre 2011 Oggi la Biblioteca San Giovanni di Pesaro accoglie la presentazione del libro “Carcere e multiculturalismo. Microcosmo penitenziario e macrocosmo sociale”, di Donato A. Telesca. L’intento della pubblicazione è quello di analizzare la relazione tra il microcosmo penitenziario ed il macrocosmo sociale, poiché il carcere non dovrebbe essere una realtà chiusa e avulsa, ma al contrario, aperta al territorio circostante, con il quale interagire creando spazi e occasioni per un autentico reinserimento dei detenuti. Ruotando sul cardine del principio costituzionale per cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, questa ricerca muove lo sguardo sugli effetti generati nei carceri italiani dalla crescente presenza di detenuti stranieri, appartenenti a culture diverse e spesso in condizione d’indigenza, che affollano soprattutto le sedi del centro-nord. Il fenomeno relativamente recente del multiculturalismo negli Istituti, ha messo a nudo le contraddizioni e le arretratezze del sistema penitenziario: normative superate dalle urgenze sociali dettate dall’attualità, strutture logistiche insufficienti e spesso obsolescenti, operatori professionali carenti nel numero ed impreparati a predisporre quel piano di comunicazione transculturale necessario all’assolvimento del proprio compito. Nuoro: a Badu ‘e Carros il progetto “Liberi nello sport”, dell’Unione sportiva Acli La Nuova Sardegna, 18 novembre 2011 Saltare il muro invalicabile della diffidenza che è sempre esistito tra Nuoro e il suo carcere. Quasi un corpo estraneo per la maggioranza dei cittadini. È l’obiettivo del progetto “Liberi nello sport”, dell’Unione sportiva Acli di Nuoro. Con il patrocinio della presidenza nazionale e regionale, ha organizzato il progetto per il secondo anno consecutivo. Il presidente provinciale dell’Us Acli, Salvatore Rosa, l’ha ricordato molto bene: “L’11 giugno scorso ci eravamo lasciati con la promessa di rincontrarci, a condizione di allargare la formula dell’evento e di far entrare una parte importante della città a contatto con la realtà carceraria”. Promessa mantenuta, visto che al torneo di calcio a sette di quest’anno hanno aderito 8 squadre: oltre alla formazione del Foro di Nuoro, giocheranno le squadre della Tecnocasa-Erg Murru, la storica Longobarda, L’Ordine dei geometri, il Cral delle Poste, la Cna, i calciatori della Polizia penitenziaria e gli ironici e un pò “sobillatori” di Salta il muro. Due le squadre che difenderanno i colori di Badu ‘e Carros, entrambe seguite dal preparatore tecnico Massimo Becconi: Libera e Azzurra. L’esordio è fissato per sabato prossimo con la partita tra Cral delle Poste e Azzurra. Giocheranno sempre in casa, dentro il campo dell’istituto di pena, mentre le altre formazioni, le sfidanti, si affronteranno sul sintetico della parrocchia della Beata Maria Gabriella, grazie alla disponibilità di don Pietro Borrotzu. Alla conferenza stampa di presentazione hanno portato il loro saluto Elisa Mascia, in rappresentanza dello staff educativo del carcere, Giuseppe Musio della squadra Salta il muro, Andrea Fera del Collegio dei geometri di Nuoro, il tecnico del Cral delle Poste Giovanni Serra, e la presidente del Foro di Nuoro Monica Murru. Il comandante della Polizia penitenziaria di Badu ‘e Carros, Alessandro Caria, ha portato i saluti della direttrice Patrizia Incollu, assente per precedenti impegni. Malawi: donne in carcere, discriminate e isolate di Carolann Minnock (traduzione di Elena Intra) La Stampa, 18 novembre 2011 Un paio di settimane fa ho visitato per la prima volta la sezione femminile del carcere di Maula, a Blantyre, città nel sud del Malawi. La stragrande maggioranza dei detenuti all’interno del sistema carcerario sono uomini di età compresa tra i 20 e i 29 anni, quindi non vi è molta richiesta per i nostri servizi nella sezione femminile (l’autrice del post è parte del progetto portato avanti dalla Law Society e dal Bar Council dell’Irlanda per la promozione dello stato di diritto nei Paesi in via di sviluppo). Per esempio, secondo il nostro ultimo conteggio, a Maula c’erano solo 11 donne in detenzione preventiva in confronto ai 486 uomini. Dato che parecchie Ong internazionali sono solite dedicarsi soprattutto a donne e bambini, mentre sono gli uomini spesso in netta maggioranza, a Maula le condizioni delle donne, così come a Kachere quelle dei minori, sono di solito migliori rispetto alla sezione maschile. Con questo non si vuol dire che essere donna in un carcere del Malawi, o da qualsiasi altra parte, sia un’esperienza piacevole. Non di rado il carcere è un modo assai costoso per peggiorare ancora di più la situazione di donne già vulnerabili. Spesso infatti una donna viene messa in un carcere situato a chilometri da casa sua, a volte per mesi o anni senza che il caso proceda, e nel frattempo ciò può comportarle la perdita della casa, delle relazioni e perfino dei figli. In Malawi, una volta uscita di prigione una donna può non avere più un posto dove tornare, in particolare se il marito nel frattempo si è risposato, oltre a difficoltà a trovare lavoro, soprattutto se prima della detenzione era casalinga. Questo la lascia in una situazione decisamente precaria, con un’alta probabilità di tornare quasi subito nel carcere che ha appena lasciato, spesso in attesa di una condanna, in quanto trattenuta in detenzione pre-processuale. La galera causa danni e disagi, soprattutto alla vita di donne vulnerabili, molte delle quali non pongono alcun rischio per il pubblico. Nel 2007, visitando il centro Dochas nella prigione di Mountjoy a Dublino (la prigione con il maggior numero di detenuti in tutta l’Irlanda), mi ha colpito l’alto numero di detenute che si trovavano in carcere per furti banali (di panini o test di gravidanza), piccoli reati di droga (possesso o spaccio) e soprattutto prostituzione (in particolare le cittadine straniere). Posso capire che sicuramente le donne che avevano rubato il panino o in possesso di eroina, in realtà l’avevano già fatto in decine di occasioni precedenti, ma incarcerare qualcuno per due o tre mesi per poi ributtarle in strada a commettere lo stesso reato mi sembra proprio un terribile spreco di risorse. Soprattutto considerando che la detenzione si ripercuote anche sui loro figli, che sesso s ritrovano senza un genitore. Nel Regno Unito oltre il 60% delle donne detenute hanno bambini piccoli e almeno 4.000 di questi risentono pesantemente della prigionia delle loro madri. C’è da considerare inoltre che la metà di loro hanno meno di un anno di età e a causa della situazione delle madri, vengono affidati a diverse case e famiglie. Va anche sottolineato che le donne sono in generale tenute all’interno di un sistema di giustizia penale progettato da uomini per uomini. Questo è ben visibile a Maula, dove il carcere femminile, che conta una popolazione di 27 donne e 2 bambini, è stato inserito in un grande edificio che attualmente ospita 2008 detenuti. Sono finita nella sezione femminile per parlare con una donna che negli ultimi mesi mi è stata nominata da diverse figure all’interno del sistema penale. Spesso ho l’impressione che molti di coloro che lavorano, sia per l’accusa che per la difesa, mostrino grande compassione verso chi è detenuto in circostanze difficili. Mi è stato inizialmente raccontato che questa donna era incinta di otto mesi e aveva bisogno di un avvocato per presentare una domanda di libertà provvisoria con cauzione. Purtroppo l’avvocato assunto da una Ong sembra essere sparito nel nulla e qualche settimana fa mi è giunto di nuovo all’orecchio il suo caso, dopo che nel frattempo aveva partorito con taglio cesareo e viveva in cella con il figlioletto. E nessuna richiesta di cauzione era stata portata avanti. Il giorno seguente l’ho vista, e sono rimasta sorpresa dal coraggio e orgoglio mostrato pur trovandosi in circostanze così dure; ma era evidente che voleva uscire dal carcere, e in fretta. Il nostro progetto ha preparato una richiesta di cauzione, che è stata approvata dall’assistenza legale, e si spera possa procedere il più velocemente possibile. Questa donna ha trascorso quattro mesi in prigione senza essere mai portata in tribunale, senza che nessuno abbia finalizzato la richiesta di libertà e senza che le siano stati forniti tutti i dettagli dell’accusa a suo carico, tutti fatti che violano chiaramente la procedura penale del Malawi. È stata costretta a trascorrere gli ultimi quattro mesi di gravidanza in stato di detenzione e ha dato alla luce un bambino in prigione - a mio parere siamo di fronte a un’altra forma di violenza contro le donne. È una pratica disumana, come quella pratica negli Stati Uniti di ammanettare le donne durante il parto (pratica che per fortuna è stata notevolmente ridotta negli ultimi anni). L’impegno di varie persone all’interno del sistema carcerario ha permesso che questo caso arrivasse sotto i nostri occhi, ma ora mi domando se la sua cauzione sarà così alta che sarà impossibile pagarla e quindi se alla fine questa donna continuerà a rimanere nella stessa situazione. Tailandia: leader opposizione; amnistia per Thaksin destabilizzerà paese Adnkronos, 18 novembre 2011 È destinata a destabilizzare la politica thailandese la proposta di amnistia del governo guidato da Yingluck Shinawatra, di cui potrebbe beneficiare suo fratello, l’ex premier Thaksin Shinawatra rifugiatosi all’estero. Lo ha detto Korn Chatikavanij, ex ministro delle Finanze e vice presidente del partito democratico all’opposizione, in una intervista telefonica della Bloomberg Television di Bangkok. “Nessuna sorpresa che cerchino di farlo ritornare - ha commentato. È la maniera in cui cerca di rientrare che è scioccante, ma bisogna ancora vedere se ci riusciranno”. L’annuncio dei termini dell’amnistia reale, in occasione dell’84mo compleanno di re Bhumibol Adulyadej, il prossimo 5 dicembre, ha suscitato diverse critiche sul governo che pensa al ritorno dell’ex premier Thaksin (2001-2006) condannato in contumacia piuttosto che a combattere i danni ingenti delle alluvioni. “Il tentativo di cercare di tornare in questo modo è destinato a destabilizzare il migliorato clima politico in Thailandia, nonostante la cattiva gestione delle recenti alluvioni da parte del governo”, ha aggiunto Korn. I dettagli del decreto “non sono ancora stati definiti”, ha avvertito dal canto suo il vicepremier Chalerm Yoobamrung, precisando che l’amnistia reale riguarderà quest’anno circa 26mila detenuti. Israele: inasprite punizioni e sanzioni contro detenuti palestinesi dopo l’accordo di scambio www.infopal.it, 18 novembre 2011 Yusuf Ash-Shayib, ha riportato per il quotidiano giordano Al-Ghad, quanto è stato poi confermato dal ministero per gli Affari dei prigionieri palestinesi. “Il governo d’occupazione israeliano non sta rispettando l’impegno preso, ovvero porre fine alle punizioni contro i prigionieri palestinesi e fermare le sanzioni. Al contrario, queste sanzioni sono state inasprite e nuove procedure punitive sono state studiate da Israele dopo l’accordo di scambio dei prigionieri”. Ad esempio, 60 prigionieri di Ashqelon non possono accedere alla cantina (una sorta di bar) da due mesi, né possono ricevere le visite dei familiari da un mese. Il detenuto Nasser Abu Humaid, rappresentante dei detenuti ad Ashqelon, ha riferito che nessun riguardo è stato dimostrato da Israele durante la Festa dell’Eid al-Adha, ad inizio novembre. Resta assoluto il divieto di visita ai parenti dei detenuti di Gaza per il 5° anno consecutivo. Il prigioniero Walid Daqqa, di Gaza, ergastolano e detenuto a Jilbò, ha raccontato che è la detenzione in isolamento è una delle peggiori pratiche e che, nei 20 anni di sciopero indetto dalle prigioni dell’occupazione israeliana, è sempre stato al centro delle proteste. “Per questo - ha ricordato il detenuto - l’estensione dell’isolamento per i due leader Ahme Sàdaat e Hassan Salamah, sono per noi motivo di sofferenza. Essa è una politica della vendetta per l’avvenuta prima fase dei rilasci dell’accordo di scambio”. Il quotidiano dell’emirato di Sharjah, Al-Khalij, ha riportato il resoconto di Ibrahim Sarsor, deputato palestinese alla Knesset (parlamento israeliano). Egli ha visitato i prigionieri e ha chiamato per la fine immediata delle sanzioni: negazione del diritto allo studio, visite dei familiari, privazione dei canali satellitari in lingua araba e divieto di accedere alla “cantina”. Sarsor ha ricevuto l’appello dei prigionieri, che alla leadership dei Territori occupati nel ‘48 hanno chiesto di assumersi la propria responsabilità e rassicurare il rispetto dell’implementazione della seconda fase dei rilasci. All’esterno delle prigioni israeliane, continuano le persecuzioni nei confronti di ex detenuti e familiari, contro molti dei quali vige il diritto a incontrare i propri cari. Questo vale sorpattutto per i parenti degli ex detenuti deportati verso Gaza e all’estero. Messico: yoga nel carcere minorile, per “l’evasione mentale” Ansa, 18 novembre 2011 In un carcere minorile di Città del Messico, una dozzina dei 420 detenuti ospitati nella struttura praticano ogni giorno la disciplina orientale. Un programma di riabilitazione voluto dalla direzione del penitenziario per alleggerire il peso della privazione della libertà dei carcerati e favorire il loro reinserimento nella società, anche dal punto di vista psicofisico.