Giustizia: l'Italia terza in Europa per il sovraffollamento, peggio solo Cipro e Bulgaria Redattore Sociale, 17 novembre 2011 Con le carceri occupate al 147% della loro capienza, la penisola si piazza al terzo posto in Europa per il sovraffollamento: peggio di noi solo Cipro e Bulgaria. I dati emersi al seminario su carcere e inclusione in corso a Bologna. Tre detenuti costretti negli spazi in cui dovrebbero essercene 2: è in media quello che succede nelle carceri italiane, che si piazzano sul podio per il sovraffollamento nella classifica internazionale delle case circondariali europee. Con più di 67 mila detenuti a fronte di una capienza stabilita per 45.500 persone, le 225 carceri italiane hanno un tasso di occupazione del 147%, ovvero un 47% di detenuti in più. Nell’Europa a 27, la penisola si piazza così al terzo posto per il sovraffollamento dopo Bulgaria (155,6%) e Cipro (147,9%), e si situa ben al di sopra della media europea del 109,7%. Il dato emerge nel corso del seminario “Carcere e inclusione: esperienze a confronto dall’Europa”, in corso a Bologna per iniziativa della rete transnazionale Ex-offenders Community of practice e di Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori). Il 36% dei detenuti nelle carceri italiane sono stranieri, il 4,3% donne. Quasi la metà dei reclusi (il 44,6%) non ha ancora avuto una condanna in via definitiva. Secondo il report esposto da Allen Mercer, esperto della Commissione Europea, ben 19 dei 27 Paesi dell’Unione ospitano nelle loro carceri più persone di quante potrebbero, anche a causa della crescita della popolazione carceraria nel corso degli anni. Dal 1995 a oggi, l’Europa è passata da 504.615 persone in stato di detenzione a 648.673: “Significa che c’è un detenuto ogni 775 cittadini europei - spiega Mercer - il che fa sì che i servizi carcerari siano sottoposti a una fortissima pressione”. In cima alla classifica della crescita ancora Cipro, dove i detenuti sono il 337% in più del 1995, seguito da Malta (195%), Irlanda (109%) e Slovenia (106%). In questo caso l’Italia è nel mezzo della classifica, con un aumento del 43%. La maggior parte dei Paesi che non soffrono del problema sovraffollamento sono anche tra i pochi in controtendenza rispetto alla crescita del numero dei detenuti: si tratta di Estonia (-22,6% di detenuti, carceri occupate al 99%), Finlandia (-1,8%, occupazione al 99,6%), Lituania (-28,5%, 100% delle carceri occupate), Romania (-34,3%, occupazione all’83,1%) e Lettonia (-25,4%, carceri piene al 70,4%). A crescere con gli anni è anche il tasso di carcerazione, ovvero il numero di detenuti ogni 100 mila abitanti: in Italia, si è passati da 83 persone nel 1992 (quando le carceri ospitavano 47.316 detenuti) a 110 del 2011. Il dato resta comunque leggermente al di sotto della media europea, che è di 127 detenuti ogni 100 mila abitanti con picchi per Paesi come Lettonia (314), Lituania (276) ed Estonia (254). Varia molto da Paese a Paese la percentuale di stranieri rispetto al totale dei detenuti: si va dal 69,5% del Lussemburgo allo 0,7% della Romania e della Polonia. In Italia, benché gli stranieri siano meno del 10% della popolazione, costituiscono il 36% della popolazione carceraria: “Poiché non ci sono ricerche che dimostrino che gli stranieri sono più cattivi - commenta il ricercatore di Sociologia dell’Università di Bologna Alessandro Martelli - bisogna dedurre che questi numeri siano legati a dinamiche relative alla migrazione, alla povertà e alla situazione sociale in cui si trovano gli stranieri in Italia”. Giustizia: 3,9 € al giorno per il vitto dei detenuti, nuove tensioni e pestaggi nelle celle di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 17 novembre 2011 L’ultimo caso sul quale è in corso un’indagine riguarda Cristian De Cupis, il detenuto romano morto sabato scorso nel reparto penitenziario di un ospedale di Viterbo prima ancora di essere immatricolato in prigione; ci sono sospetti di violenze, sebbene le prime verifiche sembrano escludere il pestaggio denunciato. Prima di lui era toccato a Marcel Vitiziu, cittadino romeno di trent’anni, entrato vivo ma con evidenti lesioni nel carcere di Messina il 1° ottobre scorso e uscito cadavere due giorni più tardi. Altra nazionalità, altra città, stessa sorte. I carabinieri avevano arrestato Vitiziu il 30 settembre, molto agitato e presumibilmente ubriaco, con le accuse di violenza, resistenza e altro. Prima di portarlo in cella, però, hanno dovuto accompagnarlo al Pronto soccorso dove le ferite del fermato erano state giudicate guaribili in trenta giorni. Dal carcere, nelle quarantott’ore di vita che gli restavano, Marcel Vitiziu ha fatto avanti e indietro con l’ospedale un altro paio di volte. E il medico che ne ha constatato il decesso per “arresto cardiaco” ha scritto che il defunto presentava un “trauma cranio-facciale datato due giorni, con minima raccolta ematica extradurale in sede parieto-occipitale posteriore sinistra”. Cioè la parte posteriore della testa, lato sinistro. Sulla morte del detenuto romeno - un senza fissa dimora e senza famiglia di cui praticamente nessuno ha chiesto conto - la Procura di Messina ha aperto un’inchiesta affidando a un gruppo di periti una ulteriore autopsia per tentare di capire se la fine del giovane uomo sia collegata alle botte ricevute (anche se fossero arrivate per mettere fine alle sue aggressioni e intemperanze), a cure inadeguate o altre ragioni. In attesa delle conclusioni si può solo aggiornare il numero dei decessi in carcere. Nel caso di Vitiziu e di De Cupis forse collegati, qualora sospetti e ipotesi investigative dovessero trovare conferma, a episodi di violenza avvenuti fuori dal carcere. Ma ci sono anche quelli commessi dietro le sbarre. All’inizio di novembre, a Firenze, un operatore volontario ha denunciato il pestaggio di un detenuto ad opera di un agente, e il racconto della vittima - un extracomunitario - è stato riscontrato da un altro agente che avrebbe assistito alle percosse. Un rapporto è stato inviato alla magistratura che ha aperto un fascicolo, mentre proseguono gli accertamenti preliminari da parte dell’Amministrazione penitenziaria su due o tre episodi analoghi avvenuti in altri istituti. Così si vive, e talvolta si muore, nelle 206 prigione italiane, che ospitano un terzo dei reclusi in più di quanti ce ne dovrebbero stare. I dati aggiornati al 31 ottobre riferiscono di 67.510 persone, a fronte di una capienza regolamentare pari a 45.572 posti. Nel 2011 i suicidi sono stati finora 58. Gli ultimi due sabato scorso, nel reparto osservazione di Poggioreale e all’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. Le morti (comunque arrivino) e le violenze rientrano nei cosiddetti “eventi critici” con cui vengono monitorate le condizioni generali in cui versano le carceri, che negli ultimi anni sembrano decisamente peggiorate. Non solo per i detenuti, ma anche per gli operatori che lavorano dietro le sbarre, a cominciare dagli agenti penitenziari. E la causa non è solo il sovraffollamento ormai cronico, al quale ogni tanto qualcuno fa cenno senza che si riesca ad applicare anche solo un tentativo di soluzione. In estate il presidente della Repubblica parlò espressamente di “realtà che ci umilia in Europa”, ma a parte i radicali e qualche associazione che si batte per i diritti dei detenuti non si nota fra le forze politiche chi mostri di aver compreso la necessità di fronteggiare con urgenza una situazione sempre più al limite della dignità umana. Legata anche alla scarsezza delle risorse economiche a disposizione. Nella seconda metà del 2010 in una ventina di istituti si sono verificate proteste legate alla qualità e alla quantità del cibo somministrato ai reclusi, e altrettanto è avvenuto nei primi quattro mesi del 2011 in una decina di penitenziari. Alcuni dei quali particolarmente sovraffollati. La questione del cibo è molto sentita tra gli “ospiti” delle patrie galere, che da sempre cercano di integrare le razioni fornite dall’amministrazione con il cosiddetto “sopravvitto”, alimenti in più distribuiti a pagamento. Ma i soldi spesi per i piatti aggiuntivi sono legati alla “mercede” corrisposta per i lavori svolti in carcere dai detenuti, e i fondi di bilancio per questa voce sono stati drasticamente ridotti. Ne consegue che i detenuti non lavorano, non guadagnano, non spendono e sono costretti ad accontentarsi del menù contemplato dai tre pasti quotidiani assicurati dallo Stato. Un tempo i carrelli del vitto tornavano dai giri tra le celle ancora carichi di cibi non consumati, al punto che alcuni istituti offrivano gli avanzi alle persone libere bisognose: ora capita che il contenuto dei carrelli risulti addirittura insufficiente. Le ditte appaltatrici che forniscono i pasti guadagnano poco o nulla dal vitto regolamentare, pagato 3,90 euro al giorno per ogni detenuto. Prima si rifacevano col sopravvitto, adesso i tagli abbattutisi su quella spesa hanno provocato conseguenze anche sulle ditte e le ricadute a catena finiscono per avere conseguenze sulla qualità del cibo. Tutto ciò influisce sulle condizioni di vita dietro le sbarre, che rischiano di diventare insopportabili facendo salire ulteriormente il livello della tensione. L’allarme si rinnova di tanto in tanto, dopo qualche morte o “evento critico” che ottiene più risalto di altri, ma generalmente resta ignorato. È una delle sfide, forse la principale, che si trova a dover affrontare il neo-ministro della Giustizia, Paola Severino, che da avvocato penalista conosce bene la situazione dei detenuti italiani e di chi è chiamato a lavorare con loro. Nel gennaio 2010 il Guardasigilli dell’epoca, Angelino Alfano, dichiarò lo stato d’emergenza per il sistema penitenziario italiano, destinato a durare fino al 31 dicembre. Si cercavano e studiavano soluzioni come davanti a una catastrofe naturale. Allora i detenuti erano 64.990, a fronte di 44.066 posti; a quasi due anni di distanza i posti sono aumentati di 1.506 unità, i detenuti di 2.520. Lo stato d’emergenza è finito, ma l’emergenza carceri continua. Giustizia: il neo-ministro Paola Severino; le carceri sono la prima urgenza… di Francesco Grignetti La Stampa, 17 novembre 2011 Lascia uno studio legale tra i più affermati d’Italia, il neoministro della Giustizia Paola Severino. Basta scorrere l’elenco dei suoi illustri assistiti per capire che la professoressa, di salda cultura cattolica, prorettore dell’università privata della Confindustria “Luiss”, è abituata a muoversi felpata nei giri che contano: l’ex premier Romano Prodi, il legale della Fininvest Giovanni Acampora, l’ex procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli, l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone, il banchiere Cesare Geronzi, l’ex capo della polizia Vincenzo Parisi, l’ex segretario generale del Quirinale Gaetano Gifuni, il sottosegretario uscente alla Giustizia Giacomo Caliendo. Da ultimo, seguiva Ettore Gotti Tedeschi, il presidente dello Ior. Nel portafogli ha la Rai, l’Enel, la Telecom. Un nome di primissimo piano, dunque. Eppure con i piedi molto ben saldati al suolo. E quindi, ecco la sua promessa all’uscita dal Quirinale, con i due nipotini al seguito: “La mia priorità sarà il carcere”. Ha presente lo sfacelo dei penitenziari, ma anche la montagna di cause arretrate che soffocano la giustizia, ben nove milioni tra civile e penale. Ma ecco un approccio femminile. E perciò: “Diamoci tutti una mano”. Severino non ha nascosto l’emozione all’atto del giuramento. Una doppia emozione in quanto sa di essere la prima donna che riveste la carica di Guardasigilli. “Questa scelta per me è motivo di grande impegno... di grande senso di responsabilità”, si schermiva. Napoletana, 63 anni, gli italiani l’hanno vista mentre stringeva la mano al Capo dello Stato con la sinistra. Ed è questa una triste storia personale: la malattia, il braccio destro sempre più inabile, infine l’amputazione in tempi recenti. Una prova durissima che lei ha affrontato con eccezionale fermezza. La stessa fermezza che è lecito attendersi da lei alle prossime prove ministeriali. Nel 2002 era in predicato per entrare al Csm come candidato alla vicepresidenza, ma la cosa fallì per una serie di veti incrociati. Lei capì l’antifona al primo voto e si precipitò a mandare una lettera per ritirare “irrevocabilmente” la sua candidatura. Veniva dall’esperienza del Consiglio della magistratura militare, di cui era stata vicepresidente per cinque anni e dove l’aveva voluta fortissimamente l’allora ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick. Di Flick, infatti, Paola Severino era stata la collaboratrice più brillante. Da lei non verrà mai una parola men che rispettosa nei confronti dei giudici. L’associazione nazionale magistrati ha quindi salutato con malcelata soddisfazione la sua nomina che si annuncia foriera di tregua nelle fibrillazioni tra politica e giustizia. “L’Anm è disponibile, ancor di più in questa fase, a fornire il proprio contributo”, dice il presidente Luca Palamara. “Le sue doti umane, scientifiche e professionali costituiscono la migliore garanzia per i cittadini”, scrive a sua volta l’Unione delle camere penali. Al ministero di via Arenula è arrivata ieri pomeriggio attorno alle 18. Ad attenderla per lo scambio di consegne c’era il ministro uscente Nitto Palma, che l’ha introdotta nel famoso salone Bargellini, il suo nuovo studio. Lì Paola Severino ha trovato una vecchia amica, la giudice Augusta Iannini, ex gip al tribunale di Roma, da qualche tempo pilastro del ministero in veste di capoufficio legislativo e capogabinetto facente funzioni. Chiaro che la sua è una scelta di vera passione civile. A fare il ministro ci rimetterà non poco quanto a dichiarazione dei redditi: nel 2001, quand’era vicepresidente del Csm militare ed era tenuta a rendere noti i suoi guadagni, dichiarò entrate per 3,3 miliardi di lire. Accolta da Palma con fiori, mentre scoppia polemica Anm-Penalisti (Ansa) Primo Guardasigilli donna nella storia della Repubblica, Paola Severino è abituata ai record, non fosse altro per il fatto che già nel 1997 era stata la prima giurista a sedere in un Consiglio superiore della magistratura militare a composizione storicamente maschile. Ma la 63/enne avvocato penalista, difensore di clienti “eccellenti” quali Romano Prodi, Francesco Romano Caltagirone, Cesare Geronzi, Gaetano Gifuni nonché di società del calibro di Eni e Telecom, un altro primato l’ha già battuto il giorno stesso della sua nomina: insediarsi su una poltrona notoriamente scomoda, quella del dicastero di Via Arenula, e fare il passaggio di consegne con l’uscente Nitto Francesco Palma proprio nel pieno di uno sciopero indetto dai suoi colleghi avvocati delle Camere penali. “La responsabilità è grande”, ammette Severino, tailleur blu pantalone e filo di perle al collo quando, emozionata e sorridente, lascia palazzo del Quirinale dopo aver giurato dando la mano a uno dei due nipotini che l’hanno accompagnata, assieme a un paio di suoi studenti della Luiss. A via Arenula arriva accolta da Palma con bouquet di orchidee bianche. E anche da vecchie conoscenze del ministero, dove è stata di casa all’epoca del Guardasigilli Giovanni Maria Flick per aver partecipato a commissioni sulla riforma della legislazione penale e processuale penale. Calorosi gli abbracci con Augusta Iannini, fino ad oggi capo dell’ufficio legislativo che alcuni danno in pole position per la nomina a prossimo capo di gabinetto. Affettuose anche le congratulazioni di Giacomo Caliendo, sottosegretario uscente del quale la Severino è stata avocato difensore quando rimase coinvolto (salvo poi uscirne) nell’inchiesta sulla P3. La ministra varca la soglia di Via Arenula mentre scoppia la polemica a distanza tra l’Associazione nazione magistrati e i penalisti. A farli litigare non sono le cosiddette leggi ad personam (ddl su processi lunghi o prescrizioni brevi, stretta alle intercettazioni o “lodi” di vario genere) che sotto il governo Berlusconi hanno contribuito a innalzare il livello di scontro tra politica e magistratura. I colleghi penalisti del neo Guardasigilli Severino lamentano piuttosto un “grave attacco” alla funzione difensiva, sollecitano una riforma forense “rispettosa del fondamentale principio di indipendenza dell’avvocatura” e la ripresa del dibattito sulla riforma costituzionale della giustizia, con la separazione delle carriere di giudici e pm. Per l’Anm si tratta di “insinuazioni offensive e inaccettabili”. Ma sia il sindacato delle toghe sia i penalisti sono i primi a congratularsi e ad offrire collaborazione al neo ministro Severino. “Bisogna darci tutti una mano£, è l’auspicio della professoressa. Le emergenze, d’altronde, non mancano: sono 5,6 i milioni di cause arretrate nel civile e 3,2 nel penale. Secondo un calcolo di Confindustria, della cui università Luiss Severino è stata fino ad oggi prorettore vicario, una riduzione del 10% della lunghezza dei processi in Italia porterebbe a una crescita del 0,8% di Pil. Tuttavia “un problema grave è il carcere”, non manca di far notare il neo ministro. I dati del sovraffollamento sono impietosi: 67.510 detenuti per 45mila posti letto. Se la priorità del governo Monti è il risanamento economico, si dovrà lavorare su una giustizia più efficiente, così da invertire la rotta rispetto alle tante, troppe condanne in sede europea. Ma sul suo tavolo il neo Guardasigilli potrà presto trovare anche i risultati delle ispezioni disposte da Palma a Napoli e Bari per accertare se ci siano state irregolarità nella conduzione delle inchieste sulle escort portate da Gianpaolo Tarantini nelle residenze di Berlusconi. Chissà se la neoministra deciderà di mettere tutto in un cassetto o se ravviserà gli estremi per esercitare un’azione disciplinare sui magistrati che hanno indagato. Giustizia: Antigone e Ristretti Orizzonti; buono avvio nuovo ministro, controlleremo i fatti Redattore Sociale, 17 novembre 2011 Patrizio Gonnella, presidente di Antigone: “Deflazionare il carico penale dei tribunali”. Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti: “Il carcere non deve essere un “parcheggio”, ma va riservato a chi è realmente pericoloso”. “È un buon avvio”. Così Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, reagisce alle dichiarazioni del neoministro della Giustizia Paola Severino riportate oggi da “La stampa”, in cui avverte che “la mia priorità sarà il carcere”. Parole che suonano come musica alle orecchie delle associazioni che da sempre si battono per il ripristino della legalità del sistema penitenziario. “Le dichiarazioni del ministro - commenta Gonnella - dimostrano che è consapevole della gravità del problema carcere, con quasi 70 mila persone stipate in luoghi indecenti per un paese civile e democratico. Luoghi in cui non ci sono nemmeno più materassi per tutti”. Viste le buone intenzioni del nuovo titolare del dicastero, Gonnella si dice disponibile a “mettere a disposizione tutto il nostro bagaglio di conoscenze per garantire il rispetto dei diritti umani”, ma avverte anche che “Antigone continuerà a tenere sott’occhio la situazione e monitorerà dalle parole si passi ai fatti”. Sulla stessa linea è Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, secondo cui “l’interesse dimostrato dal nuovo ministro è un buon segnale”. “È interessante - riflette - anche il fatto che si tratti di un avvocato, perché in questi anni le Camere penali hanno sempre lottato al nostro fianco per trovare una soluzione al problema del sovraffollamento, che è legato innanzitutto al tema delle politiche legali”. Per affrontare il problema all’origine, quindi, Gonnella insiste sulla necessità di “deflazionare il carico penale dei tribunali” e per questo sollecita una “diversificazione del sistema sanzionatorio”. Fa l’esempio della legge sulle droghe, “che ha prodotto questi numeri impazziti e che va assolutamente rivista”. Ancora in sintonia Ornella Favero, che ha una richiesta sia per il ministro sia per il nuovo governo, che è formato “da persone con alte competenze professionali”. L’invito è ad aprire “un grande dibattito sul senso della pena”. A sua volta si augura “che si possa mettere mano a leggi come la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi e la ex Cirielli, che rappresentano la vera origine del sovraffollamento”. La direttrice di Ristretti, ribadendo l’inutilità di altre carceri, invita anche, a ridiscutere il senso della pena, che “non può essere sempre e solo carceraria. Il carcere non deve essere un parcheggiò, ma va riservato a chi è realmente pericoloso”. Per l’immediato futuro, l’augurio è che “il nuovo ministero abbia la forza per apportare questi cambiamenti nel panorama della giustizia e del sistema penitenziario italiano”. Giustizia: dare ascolto alle Associazioni… e archiviare il Piano di edilizia penitenziaria Ansa, 17 novembre 2011 Nell’agenda del neo ministro della Giustizia non può non esserci la soluzione dell’emergenza carceri, con un sovraffollamento che parla di oltre 68 mila detenuti per 45 mila posti letto. A sottolinearlo è Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione “Antigone”, che si batte per i diritti nelle carceri. “Per cercare di rimediare ad una situazione penitenziaria che oggi possiamo definire tragica - dice Gonnella - siamo disponibili a mettere a disposizione del ministro Severino tutto il nostro bagaglio di conoscenza di dettaglio del sistema penitenziario. A tal fine esiste già un nucleo di proposte contro il sovraffollamento sottoscritte, oltre ad Antigone, da un ampio numero di organizzazioni laiche e cattoliche”. “In particolare, siamo convinti - aggiunge Gonnella - che andrebbe archiviato il piano carceri perché in un momento di crisi economica come questo non si può tamponare con improbabili e costose soluzioni edilizie un’emergenza che si potrebbe risolvere riducendo i flussi di entrata di persone prive di qualsiasi pericolosità criminale”. Infine, nel fare gli auguri di buon lavoro al ministro Severino Antigone auspica l’apertura di un canale di comunicazione con il Guardasigilli, che con i precedenti ministri della Giustizia del governo Berlusconi non c’è mai stato. Giustizia: Cascini (Anm); no all’amnistia, ma ripristinare la legge Gozzini Agi, 17 novembre 2011 “Riforme che facciano funzionare la giustizia e ripristinare la legge Gozzini”. Lo afferma Giuseppe Cascini, segretario dell’Associazione nazionale magistrati, intervenendo dopo l’insediamento del governo Monti e del Guardasigilli Severino. “Con Berlusconi abbiamo registrato interventi legislativi dannosi per il funzionamento della giustizia. Posso solo sperare che queste cose non si ripetano”. E poi arriva un no secco all’ipotesi di amnistia: “Non ha mai risolto il problema. Utilizzarla come strumento di contenimento del problema carcerario è sbagliato e inutile”. Che cosa vi aspettate dal nuovo governo Monti e in particolare dal ministro della Giustizia Severino? “È una domanda da un milione di dollari… Quello che ci aspettiamo da tutti i governi: riforme che facciano funzionare la giustizia. Abbiamo indicato da tempo una serie di interventi necessari per assicurare una giustizia che funzioni e continuiamo ad augurarci che governo e Parlamento si occupino di questa questione che è essenziale per i diritti dei cittadini e anche per l’economia del Paese. Senza una giustizia che funzioni non vanno bene nemmeno l’economia, le imprese e gli investimenti”. Come pensa si possa risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri? “Da un lato si devono eliminare tutte quelle norme che impediscono l’utilizzo delle misure alternative al carcere, che si sono ridotte a un decimo rispetto a dieci anni fa. È uno strumento di reinserimento che aveva dato buoni frutti, quindi bisogna ripristinare la legge Gozzini che è stata cancellata. Dall’altro lato ci vuole un ripensamento complessivo sul modo di punire e di utilizzare la sanzione carceraria”. L’Anm sarebbe favorevole all’amnistia? “Ne sono state fatte una ogni quattro anni negli ultimi cinquant’anni e non hanno mai risolto il problema. Se il sistema penale è orientato in una direzione la situazione delle carceri si riproduce identica nel giro di pochi mesi. I provvedimenti di clemenza servono nella misura in cui il Parlamento ritiene che siano necessari. Ma utilizzarli come strumento di contenimento del problema carcerario è sbagliato e inutile”. Con Monti le cose andranno meglio rispetto a quando c’era Berlusconi? “Non diamo giudizi in maniera generica su un governo. Abbiamo vissuto negli ultimi tre anni e mezzo una certa tensione per i continui attacchi che esponenti del governo hanno fatto alla Magistratura e abbiamo registrato interventi legislativi dannosi per il funzionamento della giustizia. Posso solo sperare che queste cose non si ripetano”. Giustizia: Favi (Pd); neo ministro preveda misure e risorse per fronteggiare emergenza Agi, 17 novembre 2011 “Il neoministro della Giustizia Paola Severino è davvero consapevole della gravità della situazione delle carceri ponendola fra le priorità dell’impegno che si accinge ad assumere. Lo dice Sandro Favi, Responsabile nazionale carceri del Pd, che aggiunge: “Il Pd è pronto da tempo con le sue dieci proposte, già offerte al suo predecessore Nitto Palma, che possono contribuire alla predisposizione di un pacchetto di misure per l’emergenza e per il riequilibrio strutturale di un sistema prossimo al collasso. Proponiamo interventi per la revisione delle norme sulla custodia cautelare, come per quelle che maggiormente hanno contribuito ad aggravare il trattamento penale dei tossicodipendenti, dei recidivi e degli immigrati irregolari. Proponiamo anche incentivi alle misure alternative alla detenzione e l’introduzione di nuovi istituti processuali e penali che possano evitare il carcere come unico strumento di sanzione e di prevenzione per la sicurezza dei cittadini”. Favi conclude: “È evidente che la politica condotta dal precedente governo ha fallito i suoi obiettivi e che quindi occorre metterne in campo una nuova, che rechi anche una diversa modulazione delle risorse sinora investite su un velleitario piano carceri che non ha prodotto altro che il rinvio delle soluzioni necessarie ed urgenti. Solo un pacchetto di misure equo e responsabile può invertire le tendenze che hanno determinato la deflagrazione della situazione penitenziaria che drammaticamente è sotto i nostri occhi”. Giustizia: Sarno (Uil-Pa); nuovo ministro dia risposte a situazione ai limiti dell’ingestibilità Adnkronos, 17 novembre 2011 “Al neo Guardasigilli abbiamo inviato un telegramma esprimendo i nostri sinceri auguri di buon lavoro. L’auspicio è che con Paola Severino si creino le condizioni per soddisfare e risolvere le istanze del personale e le criticità del sistema penitenziario, troppe volte ignorate”. È quanto afferma Eugenio Sarno, segretario generale Uil Pa Penitenziari, che aggiunge: “Non credo di essere eretico se affermo che sul fronte penitenziario il governo Berlusconi ha fatto davvero poco”. “Non c’è traccia - fa notare Sarno - di quelle soluzioni strutturali per deflazionare le presenze detentive, né delle famigerate assunzioni straordinarie che avrebbero dovuto consentire l’attivazione delle nuove strutture, siano esse padiglioni piuttosto che istituti. Così come la riorganizzazione del Corpo e la ridefinizione delle piante organiche. Ora, però, dobbiamo volgere lo sguardo al futuro. La situazione drammatica della galassia penitenziaria lo impone”. “Dopo la fiducia al nuovo governo - sottolinea il segretario generale Uil Pa Penitenziari - non potremo non investire il neo ministro della Giustizia delle responsabilità che dovrà assumersi e delle fatiche che dovrà affrontare per dare risposte a una situazione che è ai limiti dell’ingestibilità. Lo faremo con educazione ma con fermezza”. “Per cominciare - aggiunge Sarno - vorremmo tanto evitare di rivedere un film già troppe volte visto dalle parti di Largo Luigi Daga: quello del toto nomine. Noi pensiamo che applicare lo spoyl sistem a un’amministrazione che naviga in acque tormentate e burrascose, quando il capitano ha cominciato a delineare la rotta per uscirne, sia molto sbagliato. In questo momento, per noi, un cambio al vertice del Dap sarebbe di nocumento agli interessi generali”. “Di contro, però, Ionta deve dare ulteriori segnali di un cambio di rotta - sottolinea il segretario generale Uil-Pa Penitenziari - vi sono questioni che non possono più attendere. Siano definitivamente riposte le incertezze e ognuno si assuma le proprie responsabilità. Si lavori per rendere coesa un’Amministrazione frastagliata e divisa. Ci si adoperi con passione e convinzione per restituire fiducia e motivazioni a tutto quel personale che opera nelle frontiere penitenziarie”. Per Sarno, occorre infine “saper recuperare il senso del dovere, a cominciare da coloro che detengono responsabilità amministrative e operative. Si dia, finalmente, merito al merito. Si pretenda il rispetto delle disposizioni e si impongano corrette relazioni sindacali”. Giustizia: Di Somma (Dap); neo Ministro Salute presti più attenzione a problemi detenuti Adnkronos, 17 novembre 2011 “Prestare particolare attenzione ai problemi della salute in carcere, perché i detenuti meritano tutta l’attenzione della società, che non può pensare di aver chiuso i cattivi in carcere e di aver risolto in questo modo il problema”. È questa la richiesta al neo ministro della Salute, Renato Balduzzi, fatta da Emilio di Somma, vice capo vicario del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), che ha partecipato oggi pomeriggio nel carcere romano di Regina Coeli a un incontro sulla salute dei detenuti. “Le carceri devono essere considerate presidio di legalità - continua Di Somma - E noi dobbiamo essere aiutati a fare in modo che sia così. La salute è uno degli aspetti fondamentali, è un diritto irrinunciabile che non può essere soppresso da nessuna forma di detenzione. Solo dalla pena di morte che, grazie a Dio, nel nostro Paese non esiste”. Secondo il vice capo vicario del Dap, “gli interventi da fare sono tutti già previsti. C’è da augurarsi che una volta che gli animi politici si siano placati - conclude di Somma - si possano affrontare i problemi che ci affliggono: sovraffollamento, carenza di risorse economiche e umane. Speriamo in un intervento della politica in tempi rapidi”. Giustizia: Simspe; medici penitenziari si aspettano di essere interpellati da Ministro Salute Adnkronos, 17 novembre 2011 La nomina di Renato Balduzzi a nuovo ministro della Salute “mi sembra una scelta in linea con la formazione del governo. Sicuramente è una persona capace”. Ad affermarlo è Sergio Babudieri, presidente della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe), questo pomeriggio a Roma a margine di un incontro sulla salute dei detenuti a Regina Coeli. “Quello in cui operiamo - continua Babudieri - è un ambito difficilissimo; è necessario fare, passo dopo passo, ma conoscere la situazione. Sicuramente ci deve essere molta concertazione con le persone competenti. Noi siamo una società di medici penitenziari, ci aspettiamo di essere interpellati”. Giustizia: info in 6 lingue su hiv ed epatiti, al via campagna in 19 istituti penitenziari Adnkronos, 17 novembre 2011 Informare i detenuti sulle malattie infettive per consentire loro di farsi curare, e stimare il “sommerso” di queste patologie nelle carceri italiane. A questo punta la campagna di informazione sulle patologie virali croniche che prende il via oggi all’interno di 19 istituti penitenziari italiani distribuiti in 11 regioni. L’iniziativa “La salute non conosce confini”, presentata ieri pomeriggio nel carcere romano di Regina Coeli, è promossa dalla Società italiana di malattie infettive e tropicali (Smit), dalla Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe), dal Network persone sieropositive (Nps) Italia onlus, dall’Associazione donne in rete onlus ed è patrocinata dai ministeri della Giustizia e della Salute. In ciascun carcere, per alcune settimane, sarà distribuito materiale informativo in italiano, arabo, rumeno, francese, inglese e spagnolo, per incentivare i detenuti a sottoporsi al test per l’Hiv e le epatiti. È noto che vivere in un ambiente di comunità, come gli Istituti penitenziari, espone a un maggior rischio di diffusione di malattie infettive, e che una corretta informazione può proteggere i detenuti e aiutare le Istituzioni a gestire in modo appropriato un problema di sanità pubblica importante. La novità sarà l’introduzione del peer educator, un tutore alla pari con credibilità e competenza, passato attraverso le stesse esperienze, che parla la stessa lingua dei detenuti e che è in grado di comprendere i loro problemi. “La diffusione delle malattie infettive in carcere evidenzia la necessità di un intervento programmato di prevenzione, diagnosi e terapia, relativi alle patologie infettive più frequenti - spiega Evangelista Sagnelli, presidente Simit - Con questo progetto si mira ad aumentare la percentuale di esecuzione di test di screening per virus epatici e Hiv. Ciò avverrà attraverso la formazione del personale sanitario e l’informazione e sensibilizzazione dei detenuti”. “È un progetto che nasce da un’esigenza reale sul campo - aggiunge Sergio Babudieri, presidente Simspe. Con il passaggio della sanità all’interno delle carceri dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale, non è stato più possibile raccogliere negli oltre 200 Istituti penitenziari dati attendibili sulla diffusione delle malattie infettive. Uno degli obiettivi principali del progetto, dunque, è quello di implementare l’accettazione dei test, andando a incidere sull’educazione sanitaria delle persone detenute”. “Il diritto alla salute non può essere cancellato - dice Emilio Di Somma, vice capo vicario del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) - I detenuti sono cittadini come tutti gli altri e devono essere presi in carico dal Servizio sanitario nazionale come tutti gli altri”. “Siamo entrati in questo progetto - aggiunge Rosaria Iardino, presidente onorario Nps Italia onlus e Donne in rete onlus - affinché alle persone che risultano sieropositive vengano garantite adeguate cure, sia durante il periodo di detenzione che una volta fuori dal carcere. Non basta individuare queste persone, infatti, ma bisogna saperle gestire”. Giustizia: Cristian De Cupis un giorno prima di morire era “intrasportabile” di Cinzia Gubbini Il Manifesto, 17 novembre 2011 Cristian De Cupis non aveva potuto presenziare all’udienza di convalida del suo arresto, che si è svolta venerdì 11 novembre - un giorno prima della sua morte all’ospedale Belcolle di Viterbo, nel reparto detenuti - perché era “intrasportabile”. Questa è una delle novità che emerge nella storia del ragazzo 36enne, ancora tutta da chiarire e su cui sta indagando la Procura di Viterbo. Indagini che vertono non solo sull’episodio delle percosse che Cristian avrebbe ricevuto dagli agenti della Polfer (che lo avevano fermato alla stazione Termini) ma anche sulle successive cure ricevute. La dinamica di quanto accaduto si fa ogni giorno più chiara, eppure più emergono particolari e più verrebbe da far domande. Intanto, è fuor di dubbio che il fermo di Cristian, quella mattina, è in qualche modo riconducibile alla feroce aggressione subita da un barista nei pressi della stazione alle 4,30 del mattino. Il barista, che è ancora ricoverato, ha raccontato di essere stato aggredito a sangue freddo e senza aver subito tentativi di furto. Avrebbe anche riconosciuto la foto di Cristian, che quindi sarebbe l’autore dell’aggressione (sotto al tunnel, in cui è avvenuto l’episodio, comunque ci sono le telecamere). La Polfer, quindi, quel giorno era in cerca della persona che aveva compiuto l’aggressione. Ma Cristian, stando ai verbali, gli cade in mano: i poliziotti non si erano neanche accorti della sua presenza. Alle 7,30 si recano su un binario perché c’è una persona che ha avuto un malore. All’improvviso uno di loro viene aggredito alle spalle da Cristian. Solo successivamente capiscono che è probabilmente anche l’autore dell’aggressione di qualche ora prima. Il motivo per cui viene arrestato, comunque, è resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Viene quindi portato in ospedale, al Santo Spirito: qui viene refertato e sottoposto a diverse analisi. Sul certificato medico c’è scritto che “riferisce percosse”. “Ma non si tratta del solito fogliettino del pronto soccorso” spiega l’avvocato Davide Verri, che è stato per anni il legale di Cristian e che si è occupato dell’udienza di convalida anche in questo caso. “Io mi aspettavo una direttissima, invece mi avvertirono che il processo era spostato, perché il ragazzo era intrasportabile. Si sarebbe svolta solo la convalida. Questo elemento mi ha sempre interrogato. Perché era intrasportabile? Non mi piace chi accomuna questo caso a quello di Cucchi, ma certo ci sono degli elementi da chiarire”. Verri ricorda Cristian come un ragazzo “difficile”, ma “mite”. “Ha una lunga storia di precedenti, tutti legati a reati contro il patrimonio: viveva di espedienti, ma non ha mai aggredito nessuno”. Insomma, furti e furtarelli. Tutti, quasi, compiuti negli anni alla stazione Termini. Dove era conosciuto, molto conosciuto. Qualcuno dice sottoposto a uno “screening” quotidiano. Un testimone dice di averlo sentito gridare, mentre era a terra, contro un agente in particolare. Gli diceva: “Sei sempre tu, bastardo”. Come se tra i due ci fosse acrimonia. Un altro elemento da accertare. Bologna: seminario Isfol; formazione e reti cooperazione, per un lavoro dopo il carcere Adnkronos, 17 novembre 2011 Tornare a lavorare dopo il carcere è la prima condizione per un vero reinserimento sociale. Per far sì che questo si realizzi occorrono quattro fondamentali basi: la formazione, le opportunità di lavoro, la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e lo sviluppo di reti di cooperazione tra gli operatori. È quanto emerge dal seminario nazionale “Carcere e inclusione: esperienze a confronto dall’Europa” organizzato da Isfol, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (Direzione Generale per le Politiche Attive e Passive del Lavoro) e Regione Emilia Romagna, in corso oggi e domani a Bologna. Il progetto realizzato nell’ambito della partecipazione del Ministero e della Regione alla rete europea Ex-Offenders Community of Practice (ExoCop) ha come obiettivo lo sviluppo di un network di operatori impegnati a favorire lo scambio delle esperienze e delle misure di maggior successo. Tra le esperienze presentate, significativa quella dei Centri per l’Impiego di Bologna che offrono sia uno sportello di orientamento per i detenuti presso la Casa Circondariale sia un servizio specialistico presso i Centri per l’Impiego. Lo scopo è quello di facilitare la progettazione e la realizzazione di un percorso di inserimento lavorativo o formativo dei detenuti, dei condannati in esecuzione penale esterna e degli ex detenuti, e di aumentare la conoscenza del mercato del lavoro e favorire l’inserimento lavorativo attraverso attività di informazione, consulenza orientativa e supporto alla transizione al lavoro. Significativo anche il progetto milanese del Centro Mediazione Lavoro e offerta formativa “dote” di Accoglienza e Inclusione (A&I), che ha sviluppato un sistema integrato tra formazione e reinserimento lavorativo che parte dallo sfruttamento degli strumenti e delle risorse economiche già presenti nella Regione. A Padova, invece con “Ristretti Orizzonti”, c’è stata una sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle pene e sul carcere, con una vera e propria redazione giornalistica composta da circa 60 operatori (tra cui alcuni detenuti e circa 12 volontari), che dalla sua nascita promuove, edita, gestisce una rivista bimestrale, un sito internet, una agenzia nazionale, un Centro di documentazione, numerosi libri di testimonianza. Al seminario di Bologna dopo la presentazione da parte dei rappresentanti delle reti europee Epea, Eoef, Cep delle migliori esperienze realizzate, seguiranno quattro workshop tematici sui temi chiave: il Learning network tra operatori, le modalità di formazione, istruzione e certificazione delle competenze, le diverse forme di lavoro dentro e fuori dal carcere, la comunicazione: raggiungere e sensibilizzare l’opinione pubblica. In ogni workshop saranno messe a confronto due esperienze straniere e due italiane. Aosta: l’Ue finanzia un corso per panettieri per i detenuti di Brissogne www.aostaoggi.it, 17 novembre 2011 Detenuti panettieri, nel 2012. L’Unione Europea ha finanziato 240 mila euro per la realizzazione di un progetto di formazione di otto detenuti, ospiti della Casa Circondariale di Brissogne. Quattro verranno assunti dall’Enaip, la cooperativa che gestirà la struttura, vincitrice del bando emesso dall’Agenzia Regionale del Lavoro per la formazione e la creazione di attività di impresa. “Gli altri quattro potrebbero essere assunti in panifici esterni - dice Domenico Minervini, direttore del penitenziario valdostano. Insedieremo questo panificio all’interno di locali dismessi. Parliamo dell’ex area sanitaria in cui erano sistemate l’odontoiatria e la radiologia. Contiamo di allestire il cantiere per la ristrutturazione, finanziandola con risorse esterne, nei primi mesi del prossimo anno. Il corso di formazione e l’avvio della produzione potrebbero concretizzarsi entro ottobre”. Dopo l’apertura della lavanderia interna alla Casa Circondariale, che si avvale anche di commesse esterne, questa nuova opportunità contribuisce a raggiungere l’obiettivo prioritario di qualsiasi istituto di pena: il recupero sociale, famigliare e lavorativo del detenuto. “Non abbiamo ancora selezionato i ragazzi che parteciperanno al corso di formazione per panettiere”, sottolinea Minervini. Dei 280 detenuti, il 63 per cento è extracomunitario condannato, nella maggior parte dei casi, per spaccio di droga. “Sarà, in ogni caso, un corso in cui iscriveremo italiani e stranieri”, garantisce il direttore Minervini, puntualizzando l’ampliamento delle attività lavorative e formative, indispensabili a fine pena, soprattutto, quando la libertà riacquisita si scontra, molto sovente, con l’impossibilità di continuare la strada del reinserimento, consolidata in carcere, attraverso il lavoro. “È prossimo l’avvio di un altro corso - anticipa Domenico Minervini. Formeremo manutentori di alberghi. Figure utili in una struttura ricettiva che necessita di persone in grado di svolgere molteplici mansioni. I classici factotum”, dice. Tra una settimana, inoltre, è in programma un nuovo corso di aiuto cuoco. Queste lezioni hanno aperto, in un recente passato, le porte di un’occupazione stabile a più di un detenuto italiano e non. Ex carcerati che, ora, indossano la divisa candida e sono diventati protagonisti del loro futuro di uomini liberi. Firenze: Commissione inchiesta sul Ssn; nell’Opg di Montelupo sezioni prive acqua calda Ansa, 17 novembre 2011 “I carabinieri del Nas hanno effettuato altri sopralluoghi e controlli nell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Montelupo nei giorni scorsi, i verbali saranno inviati all’assessore alla Salute Daniela Scaramuccia. In pieno novembre, esattamente con un anno fa in alcune sezioni mancano il riscaldamento o l’acqua calda per problemi agli impianti”. Lo afferma in una nota Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario Nazionale, dopo alcuni sopralluoghi all’Opg di Montelupo. “Abbiamo raccolto anche denunce sulla carenza cronica di personale medico, o addirittura di lenzuola pulite - ha aggiunto Marino in un comunicato stampa. La situazione non può migliorare senza la cooperazione di tutti gli enti coinvolti”. “La Commissione - ha concluso - ha ricevuto alcune segnalazioni sulla mancanza di infermieri e sulle difficoltà che incontrano ad accudire gli internati presenti nella struttura: dei 25 infermieri presenti ben 12 hanno superato la soglia dei 65 anni di età. È ovvio che la revisione delle piante organiche da parte dell’assessorato alla Salute è sempre più urgente”. Brindisi: è allarme tubercolosi nel carcere, detenuto ricoverato all’ospedale www.senzacolonne.it, 17 novembre 2011 Il sospetto è diventato timore e rischia di alimentare un allarme dentro e fuori le mura del carcere di via Appia: un detenuto è stato ricoverato per tubercolosi nell’ospedale “Antonio Perrino”, prima nella stanza numero cento, poi nel reparto Infettivi. La notizia rimbalza direttamente dalla casa circondariale brindisina dove ha iniziato a circolare già dieci giorni fa, quando uno degli ospiti, un ragazzo arrestato con l’accusa di rapina in trasferta, quasi un anno fa, ha accusato un malore ed è stato disposto il trasferimento nel nosocomio. Le generalità del detenuto-paziente restano coperte dalla privacy, dal momento che si tratta di aspetti attinenti alla salute e come tali appartenenti alla sfera dei dati sensibili, di fronte ai quali il diritto-dovere di cronaca non può dire nulla. Era febbricitante, aveva brividi, era pallido in volto, debole. Inizialmente si pensava all’influenza di stagione, ma la sintomatologia si sarebbe dimostrata persistente alle cure. Da qui la necessità di ulteriori analisi e il sospetto che poi è arrivato al timore che possa essere stato contagiato da un batterio, il Mycobacterium tuberculosis. Torino: Sappe; trovati topi nella mensa agenti del carcere Comunicato stampa, 17 novembre 2011 “È gravissimo quanto avvenuto nel carcere di Torino “Lorusso Cutugno”, dove sono stati trovati dei topi nella Mensa del Personale di Polizia Penitenziaria! Adesso bisogna capire come è potuto succedere questa disdicevole quanto disgustosa presenza di ratti. Credo sia comunque il caso che l’Amministrazione penitenziaria regionale, attraverso il competente Ufficio di vigilanza sull’igiene e sicurezza dell’amministrazione della Giustizia (Visag), disponga immediatamente accurati controlli in tutti i penitenziari piemontesi per vedere se siano o meno a norma con la legislazione che regolamenta la sicurezza e la salute dei luoghi di lavoro a tutela delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria in servizio”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, alla notizia del rinvenimento di ratti nella Mensa Agenti di Torino. “La Mensa è stata ovviamente chiusa, e un cartello parla di presunte cause tecniche. È ovvio che anche episodi come questo possono turbare la tranquillità e la serenità. Ogni giorno in Piemonte aumenta la presenza di detenuti, oggi arrivati ad essere quasi 5.200 stipati in 13 strutture detentive regionali idonee ad ospitarne poco più di tremila e 600, controllati da un Personale di Polizia Penitenziaria stanco e stressato che registra nelle proprie piante organiche la carenza di ben 1.000 agenti in meno rispetto al previsto. A Torino, in particolare, i Baschi Azzurri patiscono pesanti carenze di organico, quantificate in ben 307 agenti, e nonostante tutto fanno davvero un encomiabile lavoro, con una utenza particolarmente difficile e con molte criticità. Al 31 ottobre scorso erano infatti detenute 1.574 persone (il 53% delle quali straniere) a fronte di una capienza regolamentare pari a 1.000 posti circa: un sovraffollamento intollerabile, per i detenuti ma anche e soprattutto per gli agenti. Mi sembra che, a Torino come in tutte le carceri italiane, la Polizia Penitenziaria è l’unica rappresentante dello Stato che sta fronteggiando l’emergenza sovraffollamento: oltre al danno c’è però la beffa di essere gli unici esposti a malattie come l’hiv, la tubercolosi, la meningite, la scabbia e altre malattie che si ritenevano debellate in Italia. Ed ora pure i topi nella Mensa Agenti! Per queste ragioni il Sappe sollecita visite ispettive dell’Ufficio di vigilanza sull’igiene e sicurezza dell’amministrazione della Giustizia (Visag) in tutte le carceri piemontesi ed in ogni posto di servizio in cui sono impiegati poliziotti penitenziari per verificarne la salubrità”. Fossano (Cn): riparte, dopo un anno di sospensione, la pubblicazione di “La Rondine” Comunicato stampa, 17 novembre 2011 Riparte, dopo un anno di sospensione, la pubblicazione di “La Rondine”, il giornale del carcere di Fossano. L’iniziativa editoriale ha festeggiato i dieci anni di attività e per ricordare l’evento è stato pubblicato il numero del decennale. La sua presentazione ufficiale è avvenuta venerdì 4 novembre all’interno della manifestazione “La città nella città”, organizzata dall’associazione “Sapori Reclusi”, dopo che l’associazione “Antigone” ha presentato l’ottavo rapporto sulla situazione delle carceri italiane. Il numero presenta una bella copertina di Sacha che bene esprime la fatica del lavoro fatto in questi anni, in mezzo a difficoltà di vario genere ma sempre sorretto dall’entusiasmo e dalla convinzione delle decine di detenuti che si sono alternati nella redazione e dei volontari che, insieme, sono l’anima del giornale. Contiene alcuni degli articoli più significativi pubblicati nel decennio da “La Rondine”, articoli scelti dalla redazione che attualmente è composta da una decina di persone recluse nel carcere fossanese e da due volontarie esterne. Lo scopo de “La Rondine” è di far conoscere al di fuori del “Santa Caterina” le difficoltà della realtà carceraria, i sogni, le speranze, le emozioni di chi è privato della libertà e desidera rifarsi una vita diversa quando verrà scarcerato. La pubblicazione del giornale è possibile grazie al contributo economico della Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano che la redazione ringrazia nella persona del presidente, Antonio Miglio e alla collaborazione della direzione del “Santa Caterina”. Anche il numero del decennale è uscito come supplemento gratuito del settimanale fossanese “La Fedeltà” ed è distribuito a Fossano allo Sportello del Cittadino (via Cavour), in Biblioteca civica, nelle librerie, nel negozio Todomondo di via Garibaldi. Può essere richiesto scrivendo alle suore Domenicane, via Bava n. 36 o all’indirizzo email larondinefossano@libero.it. I numeri precedenti si possono leggere sul sito ospitato dal Comune di Fossano e aggiornato da studenti della scuola secondaria “Vallauri”. La nuova redazione, composta da Christian, Costantino, Enzo, Fouad, Khadine, Paolo e altri, piena di entusiasmo, sta preparando gli argomenti e gli articoli per un nuovo numero, che uscirà a breve e invita i lettori a scrivere perché il dialogo e non l’isolamento è la strada che fa cambiare in meglio le persone, tutte le persone. Cagliari: Sdr, detenuto fa 24 ore di viaggio per poter stare 2 ore con madre malata Agenparl, 17 novembre 2011 Due ore di colloquio con la mamma malata, quattro aerei, un trasferimento in ambulanza e 7 ore in aeroporto in attesa dell’aereo per poter rientrare a Cagliari. È in sintesi la cronaca del viaggio di un detenuto calabrese che dal capoluogo dell’isola, nell’arco di 24 ore, ha raggiunto un piccolo paese della Calabria, a 80 chilometri da Reggio, con un permesso di necessità di 2 ore concesso per le gravi condizioni di salute della madre. “Si è rinnovato, con l’aggravio della lunga imprevista sosta in aeroporto dentro un’ambulanza, mobilitata per le condizioni di salute del cittadino privato della libertà, il tour de force di un detenuto di Buoncammino e della scorta”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”. “A peggiorare la situazione - sottolinea - la modifica dell’orario dei voli in seguito al passaggio all’ora solare. L’odissea di L.B., in stato di detenzione da oltre 15 anni è stata condivisa dagli agenti della Polizia Penitenziaria della scorta che hanno dovuto provvedere alla traduzione”. L’uomo aveva chiesto e ottenuto di incontrare l’anziana donna, affetta da linfoma e sottoposta a chemio e radioterapia e quindi impossibilitata a effettuare colloqui con il figlio a causa delle precarie condizioni di salute. Il Tribunale di Sorveglianza gli ha concesso solo 2 ore di colloquio perché nelle precedenti occasioni, dopo i necessari accertamenti aveva accordato un permesso di 4 ore per il colloquio ma il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria lo aveva ridotto alla metà per “motivi di sicurezza”. In questo modo l’incontro madre-figlio ha comportato un viaggio aereo andata e ritorno Cagliari-Roma-Reggio Calabria per 6 persone e un trasferimento con un’ambulanza per 160 chilometri. “Un assurdo dispendio di energie fisiche, mentali e di denaro che - conclude Caligaris - poteva essere evitato con un trasferimento temporaneo a Reggio Calabria o meglio ancora applicando il principio della regionalizzazione della pena previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziario. Solo motivazioni ragionieristiche e una concezione punitiva della norma possono infatti giustificare una scelta così restrittiva e dispendiosa”. Milano: da San Vittore Lele Mora scrive a Berlusconi e chiede sostegno finanziario Adnkronos, 17 novembre 2011 Si è rivolto direttamente a Silvio Berlusconi per chiedere un ulteriore aiuto economico, dopo il fallimento delle sue società, Lele Mora, il manager dei vip condannato a 4 anni e 3 mesi per bancarotta. All’ex premier il manager ha inviato una lettera sabato scorso il cui contenuto resta off limits anche perché, per Mora, è stata sospesa la censura della corrispondenza. A parlare della lettera è stato lo stesso Lele Mora sentito, su sua richiesta, lunedì scorso dai magistrati milanesi. Intanto il manager resta in carcere e i suoi difensori hanno rinnovato la richiesta degli arresti domiciliari al gup Elisabetta Meier. Nei giorni scorsi Mora aveva messo a disposizione una Mercedes da 110 mila euro e la sua casa in Svizzera, ma nonostante queste offerte la procura continua a restare del parere che l’agente dei vip debba restare in carcere, anche per accertare se alle offerte seguono poi i fatti. Disposta perizia medica Il gup di Milano Elisabetta Meier ha disposto una perizia medica per accertare le reali condizioni di salute di Lele Mora, l’agente dei vip condannato con patteggiamento a 4 anni e 3 mesi di reclusione per la bancarotta della Lm Management. Solo all’esito della perizia, che era stata richiesta anche dalla procura di Milano, il giudice deciderà se concedere al manager gli arresti domiciliari o se lasciarlo in carcere come sostengono i pm. Genova: al via con Pinokkio il “Progetto Carcere”, al Teatro della Tosse recitano i detenuti www.genova24.it, 17 novembre 2011 Quattro spettacoli teatrali, performance, mostre, video, presentazione di manufatti artigianali e incontri. È questo il programma del “Progetto carcere”, una serie di appuntamenti speciali dedicati al teatro in carcere in cui il Teatro della Tosse gioca il ruolo di protagonista. Stamane il primo appuntamento con il debutto di Pinokkio Co, frutto del lavoro del Teatro Necessario, con i detenuti della Casa Circondariale di Marassi. “Uno spettacolo divertente e spiritoso”, spiega Emanuele Conte, direttore del Teatro della Tosse. “Una sorta di musical in cui Pinocchio è il filo conduttore, ma naturalmente le storie che si raccontano sono varie e differenti l’una dall’altra, proprio come i componenti della compagnia che sono detenuti. È un modo per giocare con tutte le favole”. Sala piena e tanto entusiasmo, per uno spettacolo frutto del lavoro svolto dal novembre 2010 al novembre 2011. La storia è semplice: un manipolo di detenuti evasi, per un fatale errore umano o per colpa di un destino beffardo, capitano sul palcoscenico di un teatro mentre è in corso una rappresentazione di “Pinocchio” e si ritrovano così a interpretarne i ruoli (repliche giovedì, venerdì 18 e sabato 19, ore 11.00 e ore 21.00). Nome di punta della rassegna è però la produzione della Compagnia della Fortezza, da più di 25 anni composta da detenuti-attori del Carcere di Volterra, che mette in scena Hamlice (venerdì 25 e sabato 26 novembre, ore 21.00). Lo spettacolo, con la regia di Armando Punzo, ha debuttato nel carcere di Volterra, riprendendo e sviluppando lo studio presentato nell’edizione precedente del Festival Volterrateatro, Alice nel paese delle meraviglie. Saggio sulla fine di una civiltà (premio Ubu per la miglior regia). Nel foyer della Tosse è visitabile inoltre la mostra Creazioni al fresco: shopper, borse e altre creazioni eseguite dalle detenute della casa circondariale di Pontedecimo. Il progetto si completa con il laboratorio di scrittura teatrale Noi sotto questo cielo muto, realizzato da Simonetta Guarino, con i detenuti di Marassi, che verrà messo in scena dagli allievi dei corsi di recitazione della Tosse. Nuoro: “In viaggio per Itaca” alla Colonia penale di Isili, con lo scrittore Amara Lakhous La Nuova Sardegna, 17 novembre 2011 Giunge al suo ultimo appuntamento “In viaggio per Itaca”, prima rassegna di letterature migranti in carcere, che per quattro mercoledì ha animato la Colonia penale di Isili: un percorso pensato per una popolazione carceraria al 75 per cento costituita da stranieri ed extracomunitari, fatto di condivisione dei libri scritti di Abdelmelik Smari, Mihai Mircea Butcova, Pap Khouma, Amara Lakhous, scrittori provenienti da luoghi diversi (Algeria, Romania, Senegal) che hanno in comune un progetto di migrazione nel nostro Paese, concepito spesso prima di diventare scrittori, a seguito del quale hanno scelto la lingua italiana per narrare. Quattro incontri dal taglio differente, che si sono modellati anche sulla personalità degli scrittori, i quali hanno sempre trovato davanti a loro un pubblico di detenuti desideroso di confrontarsi, chiedere, sapere, a partire dai libri sì, ma per poter affrontare le difficoltà di tutti i giorni e i tanti interrogativi sul proprio presente e sul futuro che li attenderà una volta che avranno scontato la propria pena. Incontri in cui si è tornato spesso sulla necessità di avere dei sogni per costruire il proprio futuro, esattamente come hanno avuto e hanno dei sogni gli scrittori invitati, perché il sogno e l’utopia continuano ad essere il motore più potente per la costruzione del proprio percorso, anche quando le difficoltà sono tante e forse troppe da affrontare, come accade a molti di coloro che arrivano nel nostro Paese scontrandosi con una realtà troppo spesso ben diversa da quella che si era immaginata. Oggi l’ultimo appuntamento in rassegna, dal titolo “Pane e libertà”, è affidato allo scrittore algerino Amara Lakhous, che incontrerà i detenuti e tutti coloro che da fuori dal carcere stanno partecipando alla rassegna (esponenti di associazioni culturali, mediatori culturali, insegnanti, bibliotecari, librai) sul suo “Un pirata piccolo piccolo” (E/O edizioni, come i precedenti “Divorzio all’islamica in viale Marconi” e “Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio”): un libro che mette a nudo i pilastri della società algerina come la condizione della donna, l’islamismo, la crisi economica, per raccontare un Paese in crisi con ironia e amaro umorismo. Anche per questo appuntamento, i detenuti avranno letto il libro prima di incontrare l’autore grazie alla preziosa collaborazione della responsabile dell’Area educativa del carcere, Valeria Putzolu, e degli infaticabili insegnanti della scuola interna alla Colonia penale. Il progetto della rassegna “In viaggio per Itaca”, a cui il direttore della Colonia penale Marco Porcu ha aperto le porte con grande disponibilità, punta a fare del carcere anche un luogo di promozione della lettura attraverso la costituzione di presidio del libro “Carpe Liber”. Trieste: convegno “Oltre il muro...la città”… dal territorio un sostegno ai detenuti Il Piccolo, 17 novembre 2011 “Oltre il muro...la città”. È questo il titolo del convegno tenuto ieri e oggi nella Sala conferenze della Casa circondariale di via del Coroneo 26. L’appuntamento è stato organizzato dall’assessorato alle Politiche sociali del Comune in collaborazione con altri soggetti istituzionali e del privato sociale che partecipano al progetto “Sostenere l’autonomia”, inserito nel Piano di zona 2010-2012. Il progetto è finalizzato al sostegno e all’accompagnamento in un percorso di autonomia delle persone detenute, comprese nella fascia d’età tra i 40 e i 65 anni, che presentano rilevanti problematiche sanitarie, sociali, relazionali e familiari. In questo ambito sono previsti momenti di formazione, aggiornamento e confronto fra i vari operatori dei servizi - pubblici e del terzo settore - con l’obiettivo di costruire “sinergie efficaci per l’attivazione di programmi integrati a sostegno delle persone detenute e dei loro nuclei familiari”. Il convegno, le cui due giornate hanno avuto un taglio prevalentemente operativo, è stato introdotto dagli indirizzi di saluto dei rappresentanti di vertice delle principali istituzioni coinvolte nel progetto, fra cui, oltre al Comune, la Casa Circondariale del Coroneo, la Provincia e l’Azienda per i servizi sanitari triestina. Iraq: giustiziati 11 detenuti accusati di terrorismo, tra loro una donna Aki, 17 novembre 2011 Il ministero della Giustizia iracheno ha annunciato che è stata eseguita la condanna a morte di 11 detenuti condannati per terrorismo. Tra loro anche un cittadino tunisino accusato di aver fatto esplodere una bomba nel santuario sciita di Samarra dal quale sono esplose violenze settarie nel 2006, come riferisce la televisione nazionale irachena. “Undici detenuti sono stati giustiziati alle prime ore di oggi. Tra loro anche una donna e Yusri Fakhir, di nazionalità tunisina, accusato di aver fatto esplodere una bomba nel santuario di Askari (a Samarra, ndr)”, riferisce l’emittente statale ‘Iraqià citando un portavoce del ministero della Giustizia. Fakhir è un esponente di al-Qaeda che era stato condannato alla pena capitale per il suo ruolo nell’attentato al santuario di al-Askari a Samarra, dove sono conservate le tombe di Ali al-Hadi e Hassan al-Askari, il decimo e undicesimo dei 12 maggiori Imam sciiti. L’attentato di al-Qaeda è stato compiuto il 22 febbraio 2006. Egitto: Gamàa al-Islamiyya chiede rilascio detenuti politici Aki, 17 novembre 2011 La Gamàa al-Islamiyya egiziana ha denunciato oggi quello che ha definito “l’ingiustificato trattamento in carcere dei detenuti politici che vengono privati dei propri beni nel carcere di el-Aqrab. Secondo l’organizzazione, il governo sorto dopo la Rivoluzione del 25 gennaio che ha rovesciato l’ex presidente Hosni Mubarak dovrebbe rilasciare tutti i detenuti politici in quanto le accuse contro di loro sono state fabbricate ad arte dal deposto regime. In un comunicato, la Gamàa al-Islamiyya ha detto che non abbandonerà mai i suoi “figli” e userà tutti i mezzi a disposizione per ottenere il loro rilascio.