Giustizia: Cnvg; tra le priorità del nuovo governo deve esserci anche il carcere Redattore Sociale, 14 novembre 2011 La Conferenza nazionale volontariato giustizia esprime “intensa partecipazione al processo di cambiamento di governo politico in atto nel Paese”. E sulla questione carcere aggiunge: “Rimandare significa aggiungere altri capitoli alla sofferenza del sistema. La Conferenza nazionale volontariato giustizia (Cnvg) esprime in una nota la sua “intensa partecipazione al processo di cambiamento di governo politico in atto nel Paese”. Processo definito “delicato e necessario, che trova nelle scelte del Presidente della Repubblica la nostra piena adesione e solidarietà”. Afferma la presidente della Conferenza, Elisabetta Laganà: “Formuliamo al neo Primo Ministro, di cui riconosciamo competenza e autorevolezza, i nostri più sentiti auguri. È doveroso da parte nostra sottolineare però, che tra le priorità delle scelte a cui il Primo Ministro è chiamato a rispondere vi è anche quella di risolvere i problemi del carcere e, in particolare, la drammatica situazione di sovraffollamento di tale istituzione. Peraltro tale auspicio è stato formulato proprio dal Presidente della Repubblica nel suo intervento al Convegno promosso dai Radicali, che hanno sempre condotto sull'argomento una appassionata mobilitazione. Nell'ambito di questa iniziativa - continua - si è riconosciuto a Marco Pannella e ai Radicali il merito di avere espresso quella tenacia e perseveranza che ha sollecitato l'attenzione sul problema delle carceri; la cui situazione, in costante e palese contrasto con la nostra Costituzione, con il diritto europeo e internazionale, richiede da tempo interventi strutturali, conformi alle dichiarazioni e trattati a tutela dei diritti fondamentali dell'Uomo”. “Ci auspichiamo pertanto che la scelta dei responsabili destinati ad affrontare tale emergenza - Ministro della Giustizia e Sottosegretari - vada in questa direzione e che, nella definizione delle responsabilità e dei programmi, si faccia comunque riferimento a chi concretamente si è battuto in questi anni per la soluzione di questo problema - continua Laganà -. Da tanti anni la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, che raccoglie migliaia di volontari, si batte per una detenzione più rispettosa dei diritti umani. Ora, la "prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile" della situazione delle carceri, come è stata definita dal Presidente Napolitano, richiede che la questione non sia ulteriormente rimandata; perché rimandare significa aggiungere altri capitoli alla sofferenza del sistema, insistere nelle tragedie che quotidianamente si consumano nelle nostre carceri, così lontane dall'attuale dettato costituzionale. Una situazione che spinge frequentemente a togliersi la vita”. Conclude Laganà: “Ci attendiamo quindi, ma soprattutto lo attendono le persone rinchiuse nelle celle, che la politica dia le risposte necessarie alla restituzione della dignità dell'esecuzione della pena, senza che nessuna delle ipotesi venga aprioristicamente e ideologicamente esclusa. Ci attendiamo scelte coraggiose e risolutive; che il Parlamento dia corpo a tutte le mozioni approvate qualche mese fa, ed anche lo scorso anno, sul carcere possibile da riformare, da realizzare; che reputi il carcere come l'urgenza da affrontare, ora”. Giustizia: Pannella; se Monti potesse conoscere la condizione delle carceri…. Agenparl, 14 novembre 2011 “Stiamo cercando di dare corpo ai diritti umani. Siamo stati costretti a dare corpo a questo urgente rispetto della legge per interrompere un comportamento letteralmente - non solo moralmente - criminale del nostro Stato. E oggi si rafforza il regime con l’illusione che cancellando noi radicali si cancelli la forza potenziale del diritto, della nonviolenza. Noi chiediamo solo di potere parlare di questo problema, sul quale non vi è altra proposta. L’ingiustizia di massa massacrante che c’è si affronta con una amnistia per la Repubblica, con l’azzeramento immediato di più di dieci milioni di procedimenti penali e civili pendenti”. Lo ha detto Marco Pannella, intervenuto oggi in diretta a Radio Radicale, tornando a sottolineare l’importanza della questione giustizia, anche al Presidente del Consiglio incaricato. “Sarebbe bello - ha detto Pannella - che il presidente del consiglio incaricato Monti potesse leggere quel documento dei direttori di carcere che chiedono al Presidente della Repubblica dove sia finita la prepotente urgenza sulla giustizia e sulle carceri. Io rivendico la certezza che nella comunità penitenziaria, se avessimo potuto parlare, avremmo potuto evitare qualche ennesimo atto di autolesionismo, qualche altro suicidio, di uno Stato che ha una struttura criminogena e criminale. Uno degli ultimi è stato un agente di polizia penitenziaria. Sarebbe bello se si vincesse la censura sordida del regime italiano, se Monti potesse leggere quel documento dei direttori di carcere. Se potesse apprendere della ammirevole prova di civiltà e di nonviolenza che viene dalle carceri italiane”, ha concluso Pannella. Giustizia: cinquantotto morti possono bastare? di Alessio Liberati Il Fatto Quotidiano, 14 novembre 2011 L’Italia della malagiustizia ha raggiunto un altro record. Sono ormai cinquantotto i suicidi in carcere nel 2011. Una vergogna cui solo i Radicali hanno cercato di porre rimedio, stimolando l’attenzione con scioperi della fame e della sete, sit-in, alleanze politiche impossibili. Ma non ci sono (ancora) riusciti e il numero di morti è salito a 58. Infatti, qualche giorno fa si è ucciso un detenuto dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. Si trattava di un camionista che aveva fatto una strage nel mantovano. Il giorno successivo si è tolto la vita anche un detenuto del carcere napoletano di Poggioreale, che era stato arrestato per tentativo di omicidio e che ha utilizzato brandelli della coperta in dotazione per darsi la morte. Certamente i detenuti non sono una categoria che ispira simpatia, ma anche loro, come tutti gli esseri umani, hanno diritto ad un trattamento dignitoso. Il Consiglio d’Europa e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sono già intervenuti più volte per censurare lo stato di detenzione nelle carceri italiane. Il primo ha previsto degli standard minimi da rispettare, dai quali l’Italia appare ancora lontanissima, la seconda ha già condannato più volte l’Italia per violazione dei diritti umani. Ma nulla è cambiato. Pure gli operatori del diritto - che ben conoscono il problema - sembrano più interessati ad altri problemi che allo stato di detenzione: le energie spese dalla classe forense per cercare di migliorare le condizioni carcerarie dei soli sottoposti al regime del carcere duro (il cosiddetto 41 bis, cioè i mafiosi e i terroristi, per intenderci) superano talvolta, e di gran lunga, quelle impegnate per assicurare il minimo di dignità ai detenuti normali, che sono la stragrande maggioranza. E allora, nella indifferenza pressoché generale, si aggiorna il pallottoliere: 58, ma l’anno non è ancora finito. Il tutto nelle quasi impossibili condizioni di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria, schiacciati tra le ritorsioni dei detenuti e le vessazioni - talvolta - dei superiori, e che arrivano anch’essi a togliersi la vita. Dal 2000 si sono uccisi oltre 100 agenti penitenziari. A cercare di tamponare la situazione sono soprattutto le organizzazioni di volontariato e progetti pilota, come quello, interessantissimo, della meditazione in carcere, fortemente voluto e attuato da un coraggioso monaco buddista di tradizione zen, Dario Doshin Girolami, sul modello della esperienza fatta negli Stati Uniti, con il supporto del San Francisco Zen Center. Ma è ancora possibile, per tutti noi, fare finta di niente? Giustizia: ancora suicidi in carcere, a Napoli e Reggio Emilia... erano malati di mente Comunicato stampa, 14 novembre 2011 Sono 58 i suicidi negli Istituti di Pena italiani nel 2011. Un suicidio ogni 5 giorni, mentre per ragioni varie vi è un morto ogni due giorni. Sono 164 i decessi. Sabato scorso due detenuti si sono suicidati. Erano uomini con gravi problemi psichici. Il primo era stato protagonista, il giorno prima, di una vera e propria notte di follia seminando il terrore in diverse abitazioni ed accoltellando, nel tentativo di ucciderle, la compagna, la madre, la sorella e una vicina. I Carabinieri lo hanno trovano chiuso in bagno con un grosso coltello. Si è impiccato nella Casa Circondariale di Poggioreale, riuscendo a fare un cappio con la coperta. Il secondo era stato condannato, due settimane fa, a 20 anni di reclusione e 5 anni di cura in Ospedale Psichiatrico Giudiziario, per aver ucciso con una pistola e un fucile a pompa, il 25 aprile, l’ex moglie, una vicina di casa e un conoscente. Si è impiccato nell’Opg di Reggio Emilia. Due storie simili, che hanno in comune anche l’assoluta incapacità del sistema penitenziario di garantire il necessario controllo in situazioni di accertata pericolosità. Se si consente ad una persona reclusa, a 24 ore da folli gesti, di togliersi la vita vuol dire che ormai lo stato di abbandono è totale. Anno dopo anno le risorse destinate all’Amministrazione Penitenziaria sono sempre più ridotte. La maggior parte delle strutture sono fatiscenti. Il personale di Polizia Penitenziaria è al di sotto della soglia di sicurezza. Il passaggio dell’assistenza sanitaria alle Asl non ha affatto migliorato una situazione già in piena emergenza. Si vogliono costruire nuove carceri, ma non si ha la forza economica di aprire quelle già completate. Per la sopravvivenza dei detenuti, cioè per il cibo, oggi vengono spesi 3,95 euro al giorno, mentre per il trattamento 11 centesimi. Cifre che non hanno bisogno di commenti e che lasciano comprendere come quello “stato di emergenza” proclamato dal Consiglio dei Ministri il 29 marzo 2010 e poi prorogato per tutti il 2011, debba essere davvero affrontato, senza più alcun rinvio, con interventi concreti (ricorso a pene alternative, depenalizzazione, riforma organica dei Codici, aumento delle risorse), senza più fare ricorso a promesse come i “pilastri” del 2010 di Angelino Alfano o i “pacchetti” più recenti di Nitto Palma. Avv. Riccardo Polidoro Presidente “Il Carcere Possibile Onlus” Giustizia: Uil; a Napoli e Reggio Emilia, due detenuti suicidi nella giornata di sabato Iris, 14 novembre 2011 “Nella giornata di sabato 12 novembre, abbiamo dovuto registrare due suicidi in cella. Il primo, posto in essere intorno alle sette di mattina, nel Reparto Osservazione del carcere napoletano di Poggioreale. Il secondo, verificatosi intorno alle 11.15, nell’ Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia. Sale quindi a 58 il totale dei suicidi in cella in questo 2011”. A dichiararlo il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno. “A Poggioreale - continua Sarno - a suicidarsi, con dei brandelli della coperta in dotazione, è stato Gino Roselli, 50 anni, originario di Napoli, arrestato nella giornata di venerdì per tentato omicidio. A Reggio Emilia a suicidarsi un pluriomicida che si è impiccato al rientro in cella dopo aver effettuato un colloquio con i propri cari”. Per la Uil Penitenziari la spirale di suicidi è solo uno degli indicatori delle condizioni in cui versa il sistema penitenziario italiano. “È sempre difficile, se non impossibile, comprendere le motivazioni che portano a queste auto soppressioni in cella. Riteniamo, però, di poter affermare che molto incida l’incapacità del sistema penitenziario di garantire una detenzione dignitosa e umana oltreché l’impossibilità di adempiere al dettato costituzionale di rieducazione e risocializzazione. Lo ha ben compreso il Ministro Palma che, in occasione del discorso pronunciato ieri a Roma durante la cerimonia del giuramento dei 756 neo agenti di polizia penitenziaria, non ha sottaciuto le criticità operative e amministrative che ammantano l’Amministrazione Penitenziaria. Queste criticità - sottolinea Sarno - impediscono di fatto gli alti e nobili obiettivi che la Costituzione affida al sistema penitenziario. Il degrado strutturale ed il sovraffollamento delle strutture penitenziarie contribuiscono al sistematico calpestio della dignità umana. La mancanza di risorse umane, logistiche ed economiche nega qualsiasi possibilità di agire sul fronte del recupero e della risocializzazione dei rei. Sul fronte della sicurezza le tante evasione ed i moltissimi tentativi di evasione, le molteplici aggressioni in danno del personale da parte dei detenuti , le tante risse e gli innumerevoli episodi di violenza tra detenuti certificano una situazione al limite dell’ingestibilità, cui si tenta di far fronte solo grazie alla competenza, alla professionalità ed al buon senso di quei poliziotti penitenziari sempre più abbandonati nelle frontiere delle prime linee penitenziarie. Per questo - conclude il Segretario Generale della UIL Penitenziari - desidero pubblicamente ringraziare Marco Panella che ha avuto, ben conoscendo le dinamiche penitenziarie, parole di sincero apprezzamento per tutto il personale penitenziario arrivando a definire eroico l’impegno della polizia penitenziaria. E come non dargli ragione! Vogliamo sperare che il prossimo Governo, con il nuovo Ministro della Giustizia, includa nelle priorità dell’agenda anche il dramma penitenziario con il suo carico di disumanità, indegnità e dolore”. Giustizia: Radicali; anche internazionale liberale e popolo oppressi per Pannella ministro Agenparl, 14 novembre 2011 Mentre Pannella si trova in Croazia dove incontrerà oggi tra gli altri, il Presidente della Repubblica Ivo Iosipovic, continua ad incassare sostegni all’appello perché venga nominato Ministro della Giustizia. Mentre decine sono I messaggi di iscritti al Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito che stanno scrivendo per manifestare la loro vicinanza a Pannella questo pomeriggio sono arrivati anche I sostegni dell’Internazionale liberale tramite l suo vice presidente Josep Soler, parlamentare catalano e del segretario generale dell’Organizzazione dei Popoli e Nazioni non Rappresentati Unpo Marino Busdachin. L’internazionale liberale raggruppa la stragrande maggioranza dei partiti liberali del mondo, dall’Italia Radicali Italiani e recentemente come osservatori l’ApI; mentre l’Unpo raggruppa oltre 60 organizzazioni, tra cui i tibetani, gli uiguri, le nazionalità iraniane dei kurdi, azeri, ahwazi, baluci e assiri; il Cameroon meridionale, il Somaliland, i Masai, i pigmei, Cabinda, le Molucche, Papua occidentale, fino ai popoli indigeni del sud-est asiatico Montagnard, Hmong, Chin, Shan, Karen e Khmer Krom. Molti di coloro che hanno fatto arrivare il loro sostegno a Pannella hanno anche annunciato la loro partecipazione al 39esimo congresso del Partito Radicale che si terrà a Roma dall’8 all’11 dicembre prossimo. Lo rende noto l’Ufficio stampa dei Radicali. Giustizia: 750 reclute in Polizia penitenziaria, ma servono per la parata del ministro di Alberto Custodero La Repubblica, 14 novembre 2011 La polizia penitenziaria è drammaticamente sotto organico. Finalmente arriva un pacchetto di assunzioni, ma Nitto Palma vuole la sfilata a Roma e l’assegnazione del personale alle sedi ritarda. Le rimostranze dei sindacati e la richiesta (respinta): “Almeno mandiamoli a dare una mano a Genova”. Da due mesi 750 reclute della polizia penitenziaria sono inutilizzate, in attesa di essere impiegate nelle carceri italiane che soffrono di una cronica carenza di personale. Sono rimaste “disoccupate” per tutto questo tempo perché attendono di essere passati in rassegna, sabato 12 novembre, a Roma, dal ministro della Giustizia Nitto Palma. Il Guardasigilli sfila davanti al loro a bordo di una lussuosa jeep cabrio nel corso della cerimonia di giuramento del 163/mo corso che si terrà nella Scuola di formazione della Polizia Penitenziaria di via di Brava 99. Ma questa cerimonia è stata pesantemente criticata dai sindacati di polizia, in particolare da quelli di area centrodestra. “Mandate quegli agenti nelle zone colpite dall’alluvione in Liguria”, è l’appello al ministro della Giustizia di Donato Capece e Roberto Martinelli, segretario generale e segretario generale aggiunto del Sappe. “Di quelle 750 reclute - aggiungono - 100 si erano “diplomati” nella scuola di Cairo Montenotte. Anziché stare fermi nelle scuole a fare nulla, sarebbe stato meglio destinarli a Genova per metterli a disposizione delle autorità e della Protezione Civile. Nell’immediatezza dell’esondazione dei torrenti, nella zona di Marassi, una trentina di agenti della Polpen hanno fornito un importante contributo ai cittadini del quartiere devastato”. Ma l’appello a Nitto Palma di mandare i neo-poliziotti “a spalare fango a Genova” è rimasto inascoltato. Anche il vice capo del Dap, Simonetta Matone, ha rifiutato la proposta dei sindacati: quegli agenti dovevano servire per la sfilata davanti al ministro. La parata simil-militare, sì. Aiutare le popolazioni liguri vittime dell’alluvione, no. Prendere servizio nelle carceri super affollate, no. Solitamente il giuramento si teneva nella Scuola dove si era svolto il Corso di Formazione, tra Parma, Roma, Sulmona, Cairo Montenotte e Catania. Nonostante i tagli lineari del governo Berlusconi che hanno messo in ginocchio il sistema-sicurezza in Italia, il ministro Nitto Paola ha deciso comunque di spostare tutti i 750 agenti a Roma e di organizzare così un mega giuramento al quale lui presenzierà in pompa magna. È come se, per intenderci, il ministro La Russa decidesse di spostare tutte le reclute di tutte le caserme d’Italia a Roma, per giurare fedeltà alla Patria. Nitto Palma, per disinnescare la mina di una manifestazione di protesta annunciata dai due sindacati proprio nel giorno della cerimonia, li ha ricevuti promettendo loro una accelerazione della procedura di assegnazione delle reclute. Il Sappe ha ricordato al Guardasigilli come il sistema carceri sia “alle soglie dello “stato di calamità” con oltre 67mila detenuti presenti, a fronte dei circa 43mila posti letto, e 7mila e 500 agenti in meno in organico”. I soldi sprecati per la fastosa cerimonia del giuramento nella Capitale avrebbero potuto, sostengono i sindacati, finanziare “il mancato pagamento di migliaia di missioni svolte dal personale. Le decine di migliaia di ore di lavoro straordinario non pagate. Il miglioramento delle pessime condizioni di molti posti di servizio ei quali quotidianamente lavorano i baschi azzurri”. La protesta sindacale è stata dunque sospesa. Ma il malumore delle organizzazioni di categoria resta. ... Solo 300 agenti, infatti, saranno ospiti all’interno della scuola di Roma, gli altri saranno alloggiati in albergo e quindi ci saranno 2000 notti da pagare, pullman dell’amministrazione che viaggiano per mezza Italia, andata e ritorno, spese di missione. Un costo stimato dai sindacati in alcune decine di migliaia di euro. Troppi, in un momento di crisi dell’economia. E della politica. Non c’è bisogno di sfilate. Servono risorse e organizzazione Lo stupore di Emanuele Fiano, deputato e responsabile Pd per la sicurezza: “Non c’è il governo, non c’è niente da festeggiare. Ci sono solo i tagli lineari che rischiano di portare il sistema al disastro”. Ma quali parate! Il nostro sistema carcerario disastroso ha bisogno di una cura di cavallo”. Emanuele Fiano, deputato e responsabile per il Pd della Sicurezza, critica pesantemente “l’opportunità” di una cerimonia in grande stile in piena recessione economica. E in piena crisi politica. Nel luglio del 2007 ci fu l’indulto con un voto bipartisan durante il governo Prodi. Quattro anni dopo siamo punto e a capo: le carceri scoppiano? “La situazione italiana nelle carceri è disastrosa, sia sul versante della condizione di chi nelle prigioni si trova per aver infranto il codice penale, sia per il personale della polizia penitenziaria. È, questa, una crisi doppia”. Ma cosa ha fatto il governo Berlusconi in questi tre anni e mezzo? “La situazione è devastante, tutti ci ricordiamo un cosiddetto “piano carceri” che l’ex ministro della Giustizia Alfano avrebbe dovuto attuare. Bene, possiamo dire che non è stato attuato proprio nulla, nessun intervento, nessuna procedura è stata fatta”. Qual è il motivo di questa crisi generale della sicurezza? “La principale causa sono i tagli lineari che in questi anni hanno colpito in modo indiscriminato il settore delle forze dell’ordine”. Come valuta la fastosa cerimonia proprio alla vigilia delle dimissioni del premier? “È una notizia che fa veramente stupore che di fronte a questa crisi politica il ministro “dimissionario” o “dimissionato” sfili davanti a 750 reclute che peraltro sono in attesa da due mesi di prendere servizio. Io credo che in generale per tutto il settore pubblico non sia tempo di nessun tipo di sfilata. Né di passare in rassegna alcunché”. È tempo per cosa allora? “Bisogna essere capaci di riorganizzare e reinvestire. E là dove ci sono già risorse umane pronte a essere immesse, occorre inserirle immediatamente nel circuito carcerario. Ricordiamoci che la tragedia del nostro sistema carcerario è talmente evidente che ogni anno siamo chiamati a contare i suicidi tra i detenuti. I casi drammatici di violenze e di pestaggi strani all’interno delle prigioni. E soprattutto i numerosi suicidi fra lo stesso personale della polizia penitenziaria. Ecco perché quell’universo disastroso del sistema-carceri proprio non ha bisogno di parate. Ma di una cura da cavallo”. Lettere: la coop Cremona Labor e la memoria salvata nel carcere di Agnese Moro Corriere della Sera, 14 novembre 2011 Se consultate l’indirizzo Internet www.lavorogaleotto.altervista.org, potrete avere notizie di una Cooperativa sociale, la Cremona Labor, costituita nel 2007, che si occupa dell’inserimento lavorativo di persone a rischio di esclusione sociale, e, in particolare, di detenuti. La Cooperativa offre servizi nei settori del verde, dell’informatica, dell’apicoltura, della falegnameria, dell’assemblaggio di materiale elettrico, del restauro di mobili. Tutto grazie alla disponibilità della dottoressa Ornella Bellezza, Direttore della Casa circondariale di Cremona dove la Cooperativa svolge le proprie attività. Tra le cose che Cremona Labor ha realizzato, sempre nella Casa Circondariale di Cremona, c’è il Centro di dematerializzazione documentale, nel quale si svolge il progetto “Digit & Work”. Ideato e seguito da un magistrato, il dottor Pierpaolo Beluzzi, del Tribunale di Cremona, il progetto consiste nello scannerizzare, per conto del Ministero di Giustizia, atti giudiziari, “traducendoli” in un formato digitale Pdf (Pdf/A) e conservandoli su Dvd. Nel Centro di dematerializzazione ci sono 4 scanner ad alta risoluzione, capaci di elaborare fino a mille pagine l’ora. Ma, per garantire una qualità migliore, si scansionano 350 pagine l’ora. Un ritmo che consente di digitalizzare dalle tremila alle quattromila pagine al giorno. I detenuti hanno realizzato queste attività. Dal 2007, quando il progetto è iniziato, la cooperativa ha formato e dato a 24 persone la possibilità di svolgere un lavoro qualificante dentro il penitenziario. Attualmente ci sono 4 detenuti regolarmente assunti part-time; altri 4 sono in formazione e verranno assunti mano a mano. “L’innovazione di natura culturale - dice Gerardo Maffei, presidente di Cremona Labor - è che, per la prima volta, i detenuti possono lavorare su fascicoli considerati quasi segreti”. Sono stati dematerializzati importanti atti giudiziari, come i processi del ricorso in appello della Strage di piazza Fontana (cinquecentomila fogli), per la strage della Questura di Milano, l’archivio privato Arcai relativo alla strage di piazza della Loggia, il processo per l’assassinio di Walter Tobagi. Si lavora sui 350 faldoni del caso Sindona e del crack del Banco Ambrosiano. Questa attività dà la possibilità di conservare materiale di grande importanza giuridica e storica e di renderlo consultabile. “Il risultato - dice Maffei - è di aver consegnato alla storia la conservazione di oltre un milione di pagine dematerializzate inerente il periodo storico delle Brigate Rosse e degli attentati fascisti”. “Salvare la memoria” è il motto di Cremona Labor. E lo fanno davvero. Lettera: poliziotti penitenziari, gli invisibili delle carceri www.poliziapenitenziaria.it, 14 novembre 2011 Sento spesso in tv, sui giornali, vari mass media che si parla delle condizioni disumane dei detenuti nelle carceri, ma molto poco delle condizioni in cui è costretta a operare la Polizia Penitenziaria. Sono da 5 anni assistente volontaria nelle carceri; fino a 5 anni fa non conoscevo bene la Polizia Penitenziaria e le sue mansioni, ma oggi posso dire di conoscere bene questo Corpo. Ho incontrato gran brave persone; brave prima come uomini poi come poliziotti perché prima della divisa viene la persona. Negli ultimi periodi ho potuto costatare che i poliziotti penitenziari si trovano davvero a lavorare in situazioni stressanti, di disagio. Da assistente volontaria avrei dovuto “difendere”, parlare dei detenuti ma sia i detenuti che gli agenti di Polizia Penitenziaria sono delle persone e credo che in entrambe le parti i diritti vanno tutelati. Vedo uomini che lavorano nelle carceri con professionalità, grande umanità; uomini che fanno questo lavoro con passione. Si capisce subito se una persona è spinta da passione e di questi ne ho incontrati tanti. Non dimenticherò mai questa scena: un agente di sezione stava mangiando un panino che alla fine ha diviso con un detenuto. Credo che gesto più umano di questo non possa esserci. L’agente diventa “detenuto”, col detenuto e divide e vive con lui la carcerazione e i vari eventi che vi susseguono. L’educatore, l’assistente sociale, l’assistente volontaria, le varie figure che gravitano negli istituti sono importanti ma solo l’agente di Polizia Penitenziaria può affermare di conoscere il detenuto veramente. Per questo dovrebbe esservi una maggiore collaborazione tra educatori e Polizia Penitenziaria. La vita di un carcere è la Polizia Penitenziaria. Se le condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria continuano a essere cosi misere le carceri sono costrette a morire. Lettera firmata Lettere: cronaca di una partita di pallone fra comunisti e uomini ombra di Carmelo Musumeci www.liquida.it, 14 novembre 2011 Sabato 29 ottobre del 2011 dentro l’Assassino dei Sogni (il carcere come lo chiamo io) di Massima Sicurezza di Spoleto per la prima volta in assoluto c’è stata una partita di calcio tra una squadra composta da ergastolani ostativi (cattivi, i colpevoli per sempre) e una composta da dirigenti e militanti del partito di Rifondazione Comunista, da associazioni mutualistiche, politiche e culturali e da lavoratori in lotta della Fiat di Pomigliano. Per gli ergastolani ostativi tutti i giorni sono uguali, rotondi e vuoti, ma oggi è stata una giornata diversa da tutte le altre. Mi sono svegliato presto, ero preoccupato per il tempo e subito ho guardato fra le sbarre il cielo per vedere se pioveva o se era nuvoloso. Quando ho visto che la giornata non era troppo bella, ma neppure troppo brutta per non poter giocare la partita, ho tirato un grosso respiro di sollievo. All’apertura delle celle sono andato dal dentista e poi subito di corsa al campo sportivo del carcere. Erano già tutti lì prima di me, gli operai cassaintegrati di Pomigliano, Giovanni Russo Spena (ex senatore della Repubblica) Mario Pontillo, Giuliano Capecchi dell’Associazione Liberarsi, (un fratello adottivo che mi segue da venti anni) Nadia e Giuseppe della Comunità Papa Giovanni XXIII (due angeli fra molti diavoli rossi) e tanti altri che io non ricordo i nomi ma il mio cuore ricorda bene i loro visi e i loro meravigliosi sorrisi. Ho iniziato a salutare e abbracciare tutti e subito vengo a sapere che il Ministro di Giustizia ci ha vietato le riprese televisive, ci ha autorizzato solo di fare una foto di gruppo. Peccato, ma non fa nulla, non mi arrabbio, non voglio rovinarmi la gioia di questa giornata diversa da tutte quelle passate e da tutti quelle che verranno. Intanto la partita incomincia, si nota subito che le due squadre sono diverse perché la nostra è composta esclusivamente da uomini ombra (ergastolani ostativi). Poi per miracolo e magia anche gli uomini ombra s’illuminano d’amore sociale e non noto più nessuna differenza fra le due squadre. I miei compagni smettono di essere uomini ombra, mi sembrano pieni di luce come i giocatori dell’altra squadra, sorridono ed esultano ogni volta che segnano un goal. Finita la partita, per la cronaca cinque a cinque, si va alla biblioteca del carcere e inizia il momento più politico, comunicativo della giornata: -Anche la fabbrica è diventata un carcere e devi chiedere persino il permesso di andare in bagno -Finirò la mia pena nel 9.999.999, ma credo che in quell’anno non ci sarò più, almeno in questo mondo. Forse sarò da un’altra parte, ma spero che l’aldilà non esista perché non vorrei continuare a scontare la mia pena anche nell’altro mondo. -Come la maggioranza dei partiti sfruttano la criminalità per farsi eleggere, poi sfruttano pure gli operai per farsi mantenere. -La condanna più assurda è una pena che non finisce mai, perché non è ragionevole ritenere una persona colpevole e cattiva per sempre. - Lottiamo insieme e uniti per cambiare e portare legalità e diritti dentro e fuori nelle fabbriche. -Per prima cosa al mattino quando apro gli occhi guardo le sbarre della mia finestra per assicurarmi che mi trovo dove un giorno dovrò morire. Si vive come morti che respirano, ma che cazzo di giustizia ci potrà mai essere in una pena che non finisce mai? Poi arrivano le guardie, bisogna andare via, ci scambiamo gli ultimo saluti, gli ultimi abbracci, gli ultimi sorrisi e gli ergastolani ostativi ridivengono uomini ombra, ma con la speranza là fuori di non essere più soli. Sicilia: il Garante; ministro Palma ha confermato l’impegno per ristrutturazione carceri Comunicato stampa, 14 novembre 2011 “Ringrazio il Ministro della Giustizia, Sen. Nitto Palma, per avere, con sollecitudine, riscontrato una mia recente nota nella quale chiedevo maggiore attenzione rispetto alla situazione penitenziaria siciliana”, questo è quanto ha dichiarato il Sen. Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia. Il Ministro, ha proseguito il Sen. Fleres, oltre a confermare l’impegno per una celere realizzazione dei lavori di ristrutturazione e completamento delle strutture penitenziarie di Trapani, Siracusa, Caltagirone, Palermo Pagliarelli ed Agrigento e l’apertura di altre a Mistretta, Sciacca, Marsala e Catania, pone l’accento su un tema che con forza ho sottolineato nella mia lettera. Si tratta delle iniziative miranti ad interrompere il “flusso in ingresso” negli istituti penitenziari attraverso l’adozione di misure alternative al carcere, laddove queste possono essere applicate. Anche su questo punto sono state fornite rassicurazioni, poiché, gli uffici del Ministero stanno elaborando un testo che si muove in tal senso che, auspico, possa essere sottoposto al Parlamento in tempi brevi. Nella mia lettera facevo riferimento anche alla situazione del personale che, a qualsiasi titolo, presta servizio presso i penitenziari siciliani, con particolare riferimento al personale di Polizia Penitenziaria, soggetto a notevoli rischi ed a turni estenuanti e, spesso, costretto a dovere affrontare situazioni di non facile gestione, anche a causa della carenza di altre figure professionali. A tal proposito il Ministro fornisce rassicurazioni circa la rideterminazione della pianta organica, con il conseguente sblocco delle assunzioni e l’attivazione di corsi di formazione per operatori penitenziari”. Salvo Fleres Garante dei detenuti della Sicilia Lazio: il Garante incontra console del Marocco a Roma, per discutere problemi detenuti Il Velino, 14 novembre 2011 Capire le problematiche più importanti dei cittadini marocchini (oltre 500 fra uomini e donne) attualmente reclusi nelle carceri del Lazio per garantire loro una migliore assistenza. È stato questo il tema principale dell’incontro fra il Garante dei diritti dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni e Mohamed Basri, Console Generale del Regno del Marocco a Roma. Secondo i dati del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, al 31 ottobre i detenuti stranieri erano in tutta Italia 24.301, di cui 2.576 reclusi nel Lazio. La comunità marocchina - con 4934 reclusi, di cui 4881 uomini e 53 donne - è la comunità più numerosa in carcere, con una percentuale del 20,2 per cento, escluse le persone che, pur non avendo commesso reati, si trovano nei Centri di Identificazione ed Espulsione. “La maggior parte dei detenuti stranieri - ha detto il Garante - soprattutto quelli originari dei Paesi africani del bacino del Mediterraneo, nei periodi di detenzione vivono isolati, spesso senza avere padronanza della lingua e senza il conforto della famiglia né delle autorità. Per questo abbiamo da tempo avviato un lavoro con le rappresentanze dei Paesi maggiormente rappresentati in carcere, per tentare un’opera di sensibilizzazione su questo tema”. A questo proposito l’Ufficio del Garante ha avviato, ormai da anni, una collaborazione con l’associazione “Alternativa culturale dei marocchini in Italia”, che ha consentito la realizzazione di progetti umanitari a favore dei detenuti arabi di fede musulmana reclusi nel Lazio soprattutto nel periodo del Ramadan, con la consegna di libri ed altri generi di conforto e l’organizzazione, in carcere, del “pasto di rottura del digiuno”. Nel corso dell’incontro il Console ha promesso l’impegno della Missione consolare del Regno del Marocco per consolidare i rapporti e per agevolare le condizioni di detenzione dei cittadini del Marocco reclusi nelle carceri della regione Lazio. “L’impatto con il mondo del carcere è durissimo - ha detto il Garante dei detenuti Marroni - e lo è ancor di più per uno straniero. Da tempo il messaggio che cerchiamo di far arrivare alle rappresentanze diplomatiche è che, per queste persone, non cerchiamo, nè vogliamo, privilegi particolari. Crediamo però che esse abbiano diritto ad avere un sostegno che gli consenta di affrontare un momento assai difficile della loro vita”. Napoli: scontro tra magistrati e avvocati sulla protesta in difesa dei diritti dei detenuti La Repubblica, 14 novembre 2011 L’astensione nazionale dalle udienze proclamata dai penalisti per la prossima settimana apre uno scontro fra magistrati napoletani e avvocati. E a Palazzo di Giustizia la tensione tra le toghe s’impenna come da tempo non accadeva. Nel commentare l’iniziativa dell’Unione delle Camere penali, la giunta distrettuale dell’Anm parla infatti di “scarso senso di responsabilità civile insito nella scelta dello strumento” dello sciopero e avverte. “In un distretto come quello di Napoli saranno migliaia i processi rinviati. Si tratterà certamente di processi con imputati non detenuti, per reati dove spesso sono più forti gli interessi delle persone offese come truffe, omicidi colposi per violazione di norme stradali, anti infortunistiche o della professione medica”. L’Unione nazionale delle Camere penali, che ha votato la delibera per protestare contro “aggressioni al diritto di difesa” realizzate durante procedimenti penali, replica a muso duro: “Irresponsabile è chi, come l’Anm di Napoli, specula sui rinvii dei processi, facendo propaganda a buon mercato sugli omicidi stradali o le truffe, quando sa che questi reati si prescrivono tutti i giorni per la lentezza della giustizia, per le notifiche fatte male e non controllate da chi dovrebbe, talvolta per la precarietà dei collegi, e per mille altre ragioni”. Ad alimentare la polemica che divide le toghe ci sono anche i malumori dei penalisti per alcune vicende verificatesi a margine di fascicoli istruiti proprio a Napoli. All’Anm, l’Unione nazionale delle Camere penali chiede infatti di “chiarire come sia stato possibile che le conversazioni tra un avvocato e il proprio cliente siano state intercettate e trascritte per poi finire sui giornali, visto che è capitato in un procedimento pendente a Napoli. Ciò anche in considerazione del fatto che comportamenti di questo genere figurano proprio tra le ragioni dello sciopero, assieme al mancato rispetto del segreto professionale”. Riferimento, quest’ultimo, all’audizione del difensore barese dell’imprenditore Giampaolo Tarantini, ascoltato come teste durante il caso Berlusconi-Lavitola e sciolto dal segreto professionale. Circostanza contestata dagli avvocati ma sulla quale la Procura di Napoli ha sempre ribadito di essersi attenuta alla legge interpellando il giudice come previsto dalla norma. Lo sciopero inizia lunedì 14 e si conclude venerdì 18. E sabato sarà a Napoli, per partecipare alla seconda giornata di lavori del convegno sull’efficienza del servizio giustizia organizzato dalla corrente di Unità per la Costituzione, il vice presidente del Csm Michele Vietti. All’incontro prenderanno parte fra gli altri il consigliere “togato” di Unicost Giuseppina Casella, il presidente nazionale dell’Anm Luca Palamara e i parlamentari Filippo Berselli, Andrea Orlando e Roberto Rao. Sarà l’occasione per un confronto tra le toghe, dopo una settimana di astensione, e per affrontare i nodi degli uffici giudiziari napoletani. Gorizia: tutti concordi… la città non può perdere il carcere Il Piccolo, 14 novembre 2011 Gorizia non può perdere il carcere. Non solo ma il carcere non è un peso, una struttura avulsa, ma una risorsa per la città. È quanto emerso in un convegno organizzato dalla Camera penale di Gorizia presieduta dall’avvocato Riccardo Cattarini e che visto partecipare, nella sala dei Musei provinciali, esponenti del mondo penitenziario oltre a magistrati, amministratori, politici e sindacati. Tutti concordi nel sostenere che la casa circondariale di via Barzellini non va chiusa. Diverse invece le valutazioni su cosa fare. L’attuale carcere, come hanno sottolineato il Procuratore alla Repubblica Caterina Ajello e la direttrice Iannucci, è fatiscente, al limite dell’abitabilità. Avrebbe bisogno di lavori urgenti per rendere quanto meno dignitosa e più vivibile la permanenza dei detenuti e il lavoro dei 40 agenti penitenziari. Ma c’è anche chi ha sostenuto l’ipotesi di realizzare un carcere nuovo. Una possibilità che non viene esclusa dal dottor Felice Bocchino, provveditore per il Triveneto degli istituti di pena, che chiede però che venga individuato con precisione un sito. Tutte le strade sono aperte, ha detto Bocchino, sia per la ristrutturazione dell’attuale casa circondariale che per una sede nuova, ma bisogna smettere di parlare ma è necessario passare ai fatti. Ha messo a disposizione il proprio Ufficio tecnico per ogni valutazione sui costi. Il sindaco Ettore Romoli considera invece un’utopia realizzare un nuovo carcere, e si è detto disponibile a stipulare una convenzione con il ministero della Giustizia per effettuare, con fondi comunali, lavori di ordinaria manutenzione dell’attuale struttura di via Barzellini. Le magagne del carcere sono state elencate dal Nunzio Sarpietro, presidente del Tribunale di sorveglianza, che ieri ha effettuato una visita al penitenziario. La magagna principale è derivata dalle infiltrazioni d’acqua che hanno reso i locali dell’unica sezione aperta degradati e costretto a rendere inagibili due celle. E questo per l’incuria dell’amministrazione penitenziaria che dal 2008 non ha effettuato alcuna straordinaria manutenzione anche perché, allora, si era aperto il dibattito sulla necessità di realizzare un carcere nuovo. Il convegno di ieri, coordinato dall’avvocato Paolo Marchiori, ha avuto il pregio di mettere per la prima volta attorno a una tavolo tutte le parti interessate ed anche quello di verificare che tutti sono concordi nel ritenere che Gorizia non può perdere il carcere. Una sua chiusura, come ha sottolineato il presidente dell’Ordine degli avvocati Silvano Gaggioli, potrebbe comportare poi anche quella del tribunale e la città questo non se lo può permettere. Perché sono delle risorse. Anche il carcere che dà lavoro a 40 famiglie, che sono quegli degli agenti in servizio al suo interno. La proposta “una sede alternativa a via Barzellini” Chiudere il carcere di via Barzellini e riavviare la discussione sulla costruzione del nuovo penitenziario, che dovrebbe sorgere nell’area dell’ex caserma Pecorari, a Lucinico. A riaprire un capitolo che sembrava ormai chiuso sul destino del carcere goriziano è il provveditore dell’amministrazione penitenziaria del Triveneto, Felice Bocchino, intervenuto ieri pomeriggio al convegno sul futuro della struttura detentiva goriziana organizzato dalla Camera penale del capoluogo isontino, presieduta da Riccardo Cattarini. “Nel novembre 2007 era stato effettuato un sopralluogo a Lucinico, che aveva dato esito positivo: tre anni dopo, in uno scambio di lettere con il Prefetto, abbiamo scoperto che non c’era più la disponibilità dell’amministrazione comunale a ragionare sull’area della ex Pecorari, l’unica tra le quattro aree individuate che potesse ospitare la struttura penitenziaria”, ha proseguito Bocchino. Tanto che, nel 2008, “fu deciso di portare da 130 a 40 la capienza dello stabile di via Barzellini, proprio in vista dell’imminente avvio delle pratiche per la realizzazione della nuova casa circondariale. Oggi siamo pronti a riprendere quel discorso”, ha aggiunto il provveditore. Un’ipotesi che resta ad oggi di difficile concretizzazione, soprattutto per l’incognita del reperimento dei fondi. Gravi nubi incombono intanto sul disastrato carcere di via Barzellini, sul quale pende un decreto di chiusura (dato 1° marzo) rimasto chiuso nei cassetti di Alfano prima e Nitto Palma poi. Dall’attuale Guardasigilli il sindaco di Gorizia, Ettore Romoli, ha ricevuto sul mantenimento della struttura garanzie che il nuovo ministro (è prevista a giorni la nomina di un governo di unità nazionale) potrebbe non offrire. Attualmente il carcere ospita 40 detenuti, di cui 16 in attesa di giudizio. Come ricordato dalla direttrice del penitenziario, Irene Iannucci, sono 199 gli ospiti che nel 2011 sono transitati per le celle di via Barzellini, 32 dei quali provenienti da altri istituti. Sono le infiltrazioni d’acqua a creare i principali problemi alla struttura, con gravi disfunzioni alle tubazioni, alle docce e all’impianto elettrico, che hanno causato guasti anche negli uffici della direzione, della portineria e dell’armeria. Tra le idee lanciate nel convegno, da registrare quella del presidente dell’Ordine degli avvocati, Silvano Gaggioli, di istituire una Cittadella della Giustizia attorno al Tribunale, puntando all’ipotesi di allargamento della circoscrizione all’area di Palmanova e sfruttando l’imminente disponibilità degli spazi di via Sauro che saranno lasciati liberi dall’Ufficio del Territorio. Inoltre, l’ormai dismessa scuola elementare Pitteri potrebbe a breve ospitare gli uffici della Questura: come confermato dal sindaco Romoli, è in corso una trattativa per la cessione dello stabile al Demanio. Grosseto: carcere di via Saffi, l’igiene è un disastro Il Tirreno, 14 novembre 2011 Lo stato di salute delle carceri è un fattore importante per valutare il grado di civiltà di un Paese. Che gli istituti penitenziari italiani siano messi veramente male è cosa nota: tra amnistie ed indulti la situazione, di anno in anno, è rimasta sempre la stessa ed anzi, è peggiorata. È in questo contesto che il presidente del consiglio provinciale Sergio Martini e della Provincia grossetana Leonardo Marras, hanno scelto di visitare i centri detentivi di Grosseto e Massa Marittima. Partiamo dalla struttura massetana: attualmente sono una quarantina i reclusi in quello che è, a tutti gli effetti, un carcere di discreto livello. I detenuti presenti rispondono a determinati requisiti tra cui una pena massima residua da scontare di cinque anni e l’assenza di particolari patologie e tossicodipendenze. Ogni cella ospita al massimo due carcerati ed il rapporto tra servizi igienici e persone è praticamente di uno ad uno. Anche gli esponenti politici che lo hanno visitato, accompagnati dal direttore del centro penitenziario Carlo Mazzerbo, parlano di buoni standard qualitativi: “Qui - sottolinea Martini - il recupero degli individui ad una vita sociale adeguata è realmente fattibile e facilitato”. Tutta un’altra storia quella dell’istituto grossetano di via Saffi: perennemente sovraffollato, solo in questi ultimi tempi si è giunti ad una riduzione delle presenze, smistate presso altre strutture. La casa circondariale del capoluogo accoglie attualmente 25 detenuti, di cui il 60 per cento stranieri, ed altrettanti operatori delle forze dell’ordine. I carcerati provengono da qualunque tipologia di reato e passano dalla libertà alla detenzione in questa struttura in attesa di essere tradotti altrove. Le celle grossetane ospitano sino a cinque detenuti ognuna ed i servizi sanitari sono precari: “La spesa concessa per l’igiene della persona ammonta a trecento euro annui - sbotta Marras - ditemi se secondo voi con questi soldi è possibile tenere in condizioni dignitose un edificio dove sono presenti una cinquantina di cittadini”. La situazione, al netto delle presenze finalmente ridotte, resta infatti molto difficile. A ricordarlo è anche l’attuale direttrice del carcere Cristina Morrone che denuncia: “Abbiamo tre sciacquoni rotti da diverso tempo e non ci sono i soldi per aggiustarli. La carta igienica ed i detersivi poi, spesso, ci vengono donati dalla Caritas”. Molto duro il commento del presidente Martini che giudica “maggiormente complicato il piano di reinserimento sociale per chi è costretto a sostare nel complesso grossetano”. Tutto negativo dunque? No, esistono anche note buone, come l’erogazione di fondi per borse di lavoro dedicate ai detenuti, un frutto tangibile dell’interesse della Provincia che ha stipulato una convenzione ad hoc con gli istituti detentivi. Un’iniziativa premiata anche a livello regionale. Tre carcerati ormai usciti, inoltre, hanno potuto firmare un contratto a tempo indeterminato con aziende locali, proprio in seguito a progetti di reinserimento sociale. Esclusi questi fattori positivi il carcere di Grosseto risulta, comunque, obsoleto ed inadeguato. Lo stesso ministro della Giustizia del Governo Prodi, Giovanni Maria Flick, nel 1997, chiuse la casa circondariale del capoluogo perché fuori norma. Riaperta l’anno successivo la struttura non è mai più stata adeguata pienamente alle normative vigenti. “Certo, la soluzione ottimale sarebbe costruire un nuovo carcere - puntualizza Marras - il terreno era stato individuato, ma non sono più giunte risposte da Roma. Con questi chiari di luna - conclude - sarebbe già tanto se si riuscisse a risolvere qualche problema di gestione ordinaria”. Potenza: Sappe; sfollare reparto giudiziario del carcere, rischio di crolli al muro di cinta Comunicato stampa, 14 novembre 2011 Sfollare con urgenza il Reparto Giudiziario del carcere di Potenza, sovraffollato e strutturalmente inadeguato. Lo chiede il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo di Categoria. Il SAPPE ha scritto nei giorni scorsi al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, che è anche Commissario straordinario per l’edilizia carceraria, per denunciare le criticità del carcere potentino. “Il Sappe vuole porre l’attenzione dei vertici dell’Amministrazione penitenziaria sulle precarie condizioni strutturali in cui versa la Casa Circondariale di Potenza, la cui attivazione è risalente agli anni 50” sottolinea il Segretario Generale Sappe, Donato Capece. “Da tempo, infatti, si registrano numerose anomalie strutturali che destano forti preoccupazioni sotto il profilo della sicurezza. Da circa un mese, dopo che i tecnici preposti ne hanno dichiarato il rischio di crollo, è stato chiuso il Reparto penale, poiché, a causa di abbondanti infiltrazioni di acqua, è stata compromessa la consistenza strutturale di una parte del padiglione. Tale stato di fatto ha comportato l’immediata evacuazione del reparto in questione con il trasferimento di tutti i detenuti presso il Reparto giudiziario, il quale, anche quest’ultimo, non versa in condizioni del tutto ottimali. Al momento l’unico intervento, a parte l’immediata evacuazione del Reparto penale, è stato quello del Provveditorato Regionale di trasferire solo 5 detenuti in altro Istituto del distretto; nel frattempo l’Istituto di Potenza è stato destinatario di altri numerosi detenuti provenienti da altri Istituti trasferiti per “sfollamento”. Il SAPPE denuncia anche che “lo stato attuale detentivo dell’Istituto potentino sta divenendo assai preoccupante in quanto i reclusi sono ristretti tutti presso il Reparto giudiziario , “stipati” in stanze anguste e assolutamente non adeguate a quello che prevede il Dpr 30 giugno 2000, nr. 230, con negative ripercussioni sulla sicurezza del personale di Polizia Penitenziaria, costretto a escogitare quotidianamente soluzioni per “tamponare” le colossali inadeguatezze. A tal riguardo abbiamo chiesto urgentemente di attivare gli Uffici competenti affinché vengano posti in essere ulteriori idonei provvedimenti, anche di tipo deflattivo, nei confronti dei detenuti, finalizzati a riportare un regolare stato di vivibilità detentiva all’interno della struttura penitenziaria, al fine di evitare che la situazione possa determinare episodi di criticità a danno dell’Amministrazione e del personale che, allo stato, risulta essere assolutamente sotto organico e pertanto numericamente inidoneo a fronteggiare situazioni di notevole gravità. Oltre alla predetta situazione si è verificato, infatti, il continuo “scollamento” di pesanti lastre di marmo che rivestono il muro di cinta, ed anche se la parte interessata è stata parzialmente interdetta al passaggio di pedoni le barriere poste in essere per transennare la zona appaiono assolutamente inidonee e prive di sicurezza. Numerose infiltrazioni di acqua piovana provengono dai solai posti nelle due caserme (femminile e maschile) e nella porta carraia, soprattutto causate dal deterioramento degli impianti di canalizzazione dell’acqua, tanto da creare forti getti di acqua all’interno dei predetti locali, ponendo fondati dubbi sulla idoneità delle condizioni igienico sanitarie. Sarebbe più corretto porre tempestivi interventi di ripristino, evitando un disastroso deterioramento delle strutture, con l’aggravio di costi per le riparazioni.” Il Sappe denuncia infine “per ultimo, e non per minore importanza, la parziale funzionalità dell’impianto termico, che determina ulteriori precarie condizioni di vivibilità sia per i detenuti che per il personale di Polizia Penitenziaria, quest’ultimo costretto a lavorare con temperature inidonee, in particolar modo nelle ore notturne e ancor di più se si pensi alle particolari condizioni climatiche della Regione”. Monza: Sappe; prossimo sfollamento di 400 detenuti, causa infiltrazioni d’acqua dai tetti Comunicato stampa, 14 novembre 2011 Monza, sarebbe imminente lo sfollamento di 400 detenuti dal carcere verso altri penitenziari della Lombardia. È l’indiscrezione raccolta dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa di Categoria. “I danni provocati dalle recenti e frequenti piogge è stato tale da avere reso inagibile parte delle celle e delle sezioni detentive” sottolinea il Segretario Generale Sappe, Donato Capece. “Il provvedimento di sfollamento andrebbe dunque nella direzione di limitare i danni strutturali evidenti che si sono creati, ma ci sono ancora domande alle quali è necessario dare risposte urgenti. Intanto con quali mezzi si intendono tradurre i detenuti, visto che il Reparto di Polizia di Monza non ne ha a sufficienza; poi vorremmo sapere quali urgenti interventi di manutenzione sono stati prediposti, considerato che il carcere - seppur parzialmente - rimarrà funzionate, con diverse centinaia di poliziotti penitenziari e circa 500 detenuti”. Capece sottolinea che nei giorni scorsi il Sappe ha scritto al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, che è anche Commissario straordinario per l’edilizia carceraria, per “segnalare che presso la Casa Circondariale di Monza la situazione è ormai arrivata ai massimi livelli di infiltrazioni piovane di tutta la struttura: il tutto dovuto dalla pioggia che si è abbattuta negli ultimi giorni sulla città. Oltre alle infiltrazioni si sta verificando che alcune plafoniere risultano piene d’acqua sicché si verifica anche l’assenza di energia elettrica, aggravando ancor di più la sicurezza sia del personale che dei reclusi. Risulta inoltre che sia saltato anche l’impianto di riscaldamento dell’intero istituto; tutto il personale di servizio si è visto costretto ad intervenire all’interno dei reparti Alta Sicurezza e non solo, per trovare soluzioni onde evitare che i ristretti presenti trascorrano la propria detenzione in celle inagibili, a causa di infiltrazioni di acqua dovute alla pioggia battente. Da giorni sulla città si sta ripetono acquazzoni e immediatamente la struttura penitenziaria fa acqua da tutte le parti, in particolar modo nelle sezioni ad Alta sicurezza, dove vi è una capienza regolamentare di 100 detenuti su 50 camere; attualmente, nelle due sezioni sono presenti circa 120 detenuti quindi già con un notevole stato di sovraffollamento, visto che fino a ieri le camere inagibili erano solo due, ed ora siamo passati addirittura a mezza sezione. La situazione è grave, in quanto il problema non è nuovo e già in precedenza è stato portato conoscenza di chi è preposto alla risoluzione del problema strutturale dell’istituto. Il personale di Polizia Penitenziaria è stanco di sopperire quotidianamente agli inconvenienti di un sistema penitenziario che fa acqua, nel vero senso della parola, da tutte le parti: basti pensare alla presenza effettiva di detenuti; quasi 900 presenti in una struttura che era stata pensata per circa 400”. Frosinone: Polverini (Regione); su condizioni carceri spero in risposte da nuovo governo Dire, 14 novembre 2011 “Le condizioni delle carceri nel Lazio le conosciamo tutti. Ci trasciniamo problemi antichi e auspichiamo che con il nuovo governo si possano dare risposte significative”. Lo ha detto il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, durante la sua visita nel carcere di Frosinone, uno di più sovraffollati con 524 detenuti rispetto ad una capienza di circa 300 posti. La governatrice, accompagnata dal direttore del carcere, Oreste Bologna, ha visitato il vivaio, l’infermeria, la biblioteca, i principali reparti e i laboratori, prima di incontrare alcuni detenuti. “Abbiamo deciso di riservare grande attenzione ai problemi delle carceri e daremo un contributo per il potenziamento della caserma dell’istituto di pena di Frosinone - ha detto Polverini. Quello che non possiamo fare, invece, è aiutare la presenza del personale. Avevamo avviato iniziative con il governo Berlusconi e mi auguro che il nuovo ministro della Giustizia possa dare le giuste risposte”. Alla visita hanno partecipato anche l’assessore regionale alla Sicurezza, Giuseppe Cangemi, il consigliere regionale Alessandra Mandarelli e il direttore generale della Asl di Frosinone, Carlo Mirabella. Cangemi: impegno della Regione per migliorare istituto penitenziario “Prosegue il lavoro di attento monitoraggio delle criticità degli Istituti Penitenziari della Regione Lazio, lo dimostra anche oggi la visita che abbiamo effettuato oggi con la presidente Renata Polverini nel carcere di Frosinone. Anche se le competenze sono diverse, infatti, alcune problematiche sono di diretta competenza del ministero della Giustizia come per esempio l’implementazione del numero degli agenti di custodia, il nostro impegno per migliorare le condizione di vita dei detenuti e del personale è costante e concreto”. Lo dichiara Giuseppe Cangemi, assessore agli Enti Locali e Sicurezza della Regione Lazio. “Proprio per migliorare le condizioni del personale di Polizia Penitenziaria che opera nell’Istituto Penitenziario di Frosinone il nostro assessorato impegnerà la somma di euro 156.000 euro per i lavori finalizzati ad innalzare lo standard alloggiativo degli agenti di custodia che operano nella struttura di reclusione - continua Cangemi. Questo tipo di intervento avrà una doppia valenza perché oltre a permettere una migliore qualità di vita agli operatori vedrà impegnati alcuni detenuti in alcuni lavori di ristrutturazione e tinteggiatura. Questo è solo l’ultimo di una serie di interventi che ha visto la Regione Lazio impegnata anche in ambito di formazione professionale, per migliorare la vita detentiva e il reinserimento sociale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Proprio recentemente la Giunta ha approvato una delibera che finanzierà i corsi di formazione professionale, strumento attraverso il quale si sostiene l’integrazione socio-lavorativa, e si contrastano forme di marginalità sociale”. Mandarelli: ricognizione ci ha fatto prendere atto condizione "La visita di oggi ha portato un altro segno della concretezza della politica della presidente Polverini, che ha confermato l'impegno della Regione Lazio, a favore delle carceri e della sicurezza, con un provvedimento grazie al quale verrà finanziato il rifacimento strutturale di un'ala del carcere di Frosinone, quella adibita a caserma. La ricognizione odierna, in una delle realtà che più presenta criticità e richiede maggiore attenzione da parte delle Istituzioni, ci ha permesso di verificare e prendere atto, nuovamente, delle condizioni ed esigenze dei detenuti, nonchè dello stato dell'arte della struttura e delle attività formative proposte all'interno". Lo ha detto il presidente della commissione regionale Sanità, Alessandra Mandarelli, durante la visita al carcere di Frosinone a cui ha partecipato anche la governatrice, Renata Polverini. "Anche in virtù della mia trascorsa esperienza da assessore alle politiche sociali, posso affermare, con soddisfazione, che il carcere di Frosinone, rispetto ad altri, è una struttura in buone condizioni. All'interno, sono presenti, infatti, anche una serra per la coltivazione delle piante, una struttura dove dormono i detenuti ammessi al lavoro, secondo l'art. 21, delle aule studio ed i laboratori siderurgici. Tutte attività che, indispensabili per le finalità rieducative e di integrazione, potrebbero, pero', essere meglio valorizzate. Abbiamo parlato, anche- ha spiegato Mandarelli- con l'amministrazione delle carceri, che ha voluto elencarci le criticità e le esigenze del presidio carcerario locale, con particolare riferimento alle deroghe per le assunzioni. Per dare risposta a questo bisogno, presente anche in Sanità, porteremo l'istanza presso il Governo, a cui spetta la decisione di intervenire sullo sblocco del turnover". "Il mio ringraziamento, infine, va sicuramente anche a Mons. Ambrogio Spreafico, la cui importante presenza è stata l'ulteriore conferma del suo interesse, attivo e concreto, per il benessere di tutti i cittadini del territorio. Daremo seguito alla visita di oggi- ha concluso Mandarelli- attraverso l'istituzione di un tavolo di valutazione di progetti utili da portare all'interno delle carceri, per mantenere sempre alto il livello d'attenzione di quest'amministrazione verso tutte le realtà, soprattutto quelle più critiche, della nostra Regione". Ferrara: convegno su giustizia e carceri; situazione al collasso, condizioni da vergogna La Nuova Ferrara, 14 novembre 2011 Si torna a parlare di giustizia, e in particolare di riforma del codice penale. Venerdì sera, alla Sala degli Stemmi del Castello Estense, si è tenuta una tavola rotonda dal titolo “Una riforma possibile del codice penale. La proposta Nordio-Pisapia. Ora! Adesso! Se no, quando?”. Tra i relatori presenti in sala, Carlo Nordio (procuratore aggiunto di Venezia), Franco Romani (presidente della Camera Penale di Ferrara), Luca Marini (presidente della Sezione Penale del Tribunale di Ferrara). ospite d’onore il presidente del Tribunale di Ferrara Pasquale Maiorano (nella foto). Assente invece per motivi istituzionali Giuliano Pisapia, avvocato e sindaco di Milano, autore assieme a Nordio della proposta in discussione. “Di fronte al proliferare incontrollato di processi penali spesso ai danni degli emarginati - ha affermato Maiorano - dobbiamo promuovere una cultura della legalità dove l’efficienza non sia all’opposto della garanzia, e dove allo stesso tempo non si possa interrompere semplicemente un processo a un certo punto, come nel cosiddetto processo breve. Bisogna al contrario unire le forze per creare un processo che sia giusto e che abbia tempi ragionevoli”. Questo in particolare, oltre che per il sovraffollamento dei tribunali, anche per la situazione delle carceri, che Maiorano ha definito “oltre il livello di vergogna”. Dello stesso parere anche Carlo Nordio: “La situazione carceraria italiana rivela la vergognosa inefficienza di uno stato che si disinteressa ai diritti dell’individuo”. Per questo la proposta Nordio-Pisapia mira al taglio dei reati e all’abbassamento delle pene, che al giorno d’oggi sono senza dubbio spropositate. Certo è mancata fino ad oggi la volontà politica per una attuare una simile riforma: spetterà forse al governo tecnico il compito di prendere finalmente in mano la situazione della giustizia italiana. Torino: bando rivolto a studenti universitari per svolgere attività di volontariato in carcere Redattore Sociale, 14 novembre 2011 Il Centro di servizio per il volontariato Vssp in collaborazione con La Brezza Onlus e la Direzione della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno, lancia un bando rivolto a 10 studenti universitari. Il Centro di servizio per il volontariato di Torino Vssp ha lanciato un bando rivolto a 10 studenti universitari per svolgere attività di volontariato in carcere. Il bando è realizzato in collaborazione con l’associazione di ascolto La Brezza Onlus e la Direzione della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno e prevede due momenti formativi per introdurre i giovani al tema “Carcere e Volontariato”. Gli incontri di formazione si svolgeranno il 23 e il 30 novembre nella sede del Csv Torino, in via Giolitti 21. Successivamente i 10 giovani selezionati potranno partecipare ad un ciclo di otto lezioni, dal titolo “Iniziamo a rapportarci con il carcere”. A conclusione di questo percorso gli studenti potranno scegliere di continuare l’esperienza di collaborazione esterna, oppure di svolgere uno stage nella Casa Circondariale di 3 mesi con cadenza settimanale. Libri: “Il partito dei magistrati” nella trincea delle emergenze, di Mauro Mellini di Guido Vitiello Corriere della Sera, 14 novembre 2011 Dalla legge Breganze al processo Tortora e a Mani pulite Mauro Mellini denuncia potere dei pm e inerzia dei politici C i sono parole galeotte, condannate a trascinarsi dietro, come una palla al piede, il peso di un aggettivo infamante. Il liberismo è sempre “selvaggio”, il garantismo “peloso”: l’ipotesi che esista un liberismo addomesticato o un garantismo glabro non è contemplata. Ma ad accomunare le due parole è anche un beffardo gioco di ombre cinesi, che le fa apparire più grandi di quanto non siano. Chi si scaglia contro la testa di turco del “pensiero unico neoliberale” dovrebbe farsi un giro in libreria: vedrà che la letteratura liberale è affare, per lo più, di piccoli editori battaglieri quanto invisibili, mentre sul bancone troneggiano i best seller contro la dittatura del pensiero unico, che a quanto pare così unico non è. Lo stesso vale per il garantismo, che passa per essere, Berlusconi regnante, pensiero egemone in materia di giustizia. Le sorti dei grandi garantisti, ridotti a scrivere su fogli semiclandestini e a pubblicare con editori fantasma, provano il contrario. È il caso di Mauro Mellini, già deputato radicale e membro del Csm, che ha fatto il giro delle sette chiese in cerca di un editore per “Il partito dei magistrati”, trovando asilo solo presso il coraggioso ma minuscolo Bonfirraro. Ed è un peccato, perché libri come il suo sono proprio ciò che manca al dibattito (truccato) sulla giustizia: da anni assistiamo a una sfida da feuilleton tra un imprendibile Fantômas e un tenace commissario Juve, e il duello ruba la scena alle questioni serie, che riguardano, prima di tutto, l’equilibrio tra i poteri. O meglio, lo squilibrio. Il libro di Mellini, tra il saggio storico, il pamphlet e il memoriale, rileva il paradosso di “una funzione dello Stato che si erge a partito e che come partito opera e si muove nella vita politica e sociale”. Il suo bersaglio è la “giustizia deviata”, uscita dal recinto delle sue funzioni e dedita al pascolo abusivo in terreni che non le spettano. Lo sconfinamento parte già nel dopoguerra e trova i primi appigli nell’ambiguo compromesso costituzionale. È teorizzato poi nel periodico di Magistratura democratica, che Mellini è andato a rileggersi: grattando la crosta del gergo contestatario, ecco emergere temi come l’indipendenza assoluta della magistratura e il suo diritto a mutare i rapporti sociali a colpi di sentenze. Ma il punto di svolta è la gestione delle due grandi emergenze, mafia e terrorismo. È allora che la giustizia si ammanta di metafore militaresche: i magistrati sono “in trincea”, ogni procura è un “avamposto dello Stato”. Il potere della corporazione si estende, la cultura delle garanzie retrocede. E già che in Italia, secondo l’adagio di Flaiano, nulla è più definitivo del provvisorio, l’emergenzialismo sopravvive all’emergenza. Dalle pagine di Mellini, che intrecciano con piglio quasi romanzesco questioni tecnico-giuridiche - la composizione del Csm, i tranelli del nuovo codice, i magistrati fuori ruolo - e grandi storie nazionali come il caso Montesi e il caso Tortora, prove generali del circo mediatico-giudiziario e dei suoi usi politici, si ricava una lezione desolante: l’esondazione, più che all’attivismo della corporazione o al protagonismo delle sue avanguardie, si deve all’ignavia della politica e ai suoi calcoli di tornaconto. Un esempio è la legge Breganze, che sancì nel 1966 la “carriera automatica” dei magistrati, senza criteri di merito. Quando la norma era in discussione, racconta Mellini, perfino Andreotti sollevò qualche riserva, ma gli fu raccomandato di tenerla per sé, perché altrimenti “ci arrestano tutti gli amministratori democristiani”. Altro esempio è il referendum per la responsabilità civile dei magistrati, indetto sull’onda del caso Tortora. Il ceto politico non volle andare fino in fondo e tradì l’esito referendario: restò a mani vuote, ma ottenne comunque di inimicarsi i giudici, che vissero la campagna come un affronto. Mani pulite era alle porte. Quando poi, in un demagogico cupio dissolvi, i parlamentari si spogliarono di quell’immunità di cui pure avevano abusato, la frittata era fatta, lo squilibrio sancito. E la classe politica della Seconda Repubblica, malgrado i fuochi d’artificio, si è guardata bene dall’affrontare il nodo, secondo l’abitudine nazionale al rinvio. Mellini non si rassegna all’idea che le sue, per usare la formula einaudiana con cui i liberali fanno quasi un vanto della loro irrilevanza, siano “prediche inutili”. Però lo teme, tanto che la sua dedica è “a tutti coloro che non leggeranno questo libro, con l’augurio che non abbiano ragione per pentirsi di non averlo letto”. A riprova che il garantismo è pensiero non già egemone, ma solitario e clandestino. Egitto: nel Sinai i nuovi “lager” per i profughi eritrei di Paolo Lambruschi Avvenire, 14 novembre 2011 La bambina eritrea ha sei anni e i capelli crespi intrecciati. L’unico gioco che può fare è correre avanti e indietro nel corridoio del carcere di Bir el-Abd, a mezz’ora di autostrada da El Arish. Il suo nome non lo possiamo fare, chiamiamola Dina, vivace nonostante le manchino compagni di gioco, matite per disegnare, giocattoli e il suo unico pasto sia il rancio della galera integrato da latte e biscotti portati da volontari copti. L’abbiamo incontrata durante un giro in alcune carceri egiziane, dal Sinai ad Assuan, dove sono detenuti almeno 500 eritrei contro la convenzione dell’Orni del 1951 sui rifugiati, cui l’Egitto ha aderito. Uomini, donne e almeno una decina di bambini innocenti, imprigionati per un periodo indefinito come irregolari. Siamo l’unica testata occidentale ad essere entrata per testimoniare cosa accade dietro le sbarre. Le guardie ci lasciano soli con i prigionieri. A nessuno di loro - denuncia Asefasc Woldenkiel, la persona che mi aiuta a tradurre - è stato permesso di presentare domanda di asilo nonostante molti siano in possesso della tessera blu dell’Acnur, quella di rifugiato o di quella gialla, rilasciata a chi presenta domanda di asilo. Né all’Acnur è consentito l’ingresso in queste galere lontane dal Cairo. Dina non esce mai, gli eritrei non fanno l’ora d’aria. Dorme su un asciugamano buttato sul cemento in una cella lurida con un solo bagno, che in estate deve trasformarsi in un forno, e che divide con la madre e altre 10 detenute eritree, tutte tra i 20 e i 30 anni, fuggite dallo stato-caserma eritreo, da un regime che pare aver trasportato nel ventunesimo secolo la dottrina dei Khmer rossi di Poi Pot. La polizia le ha arrestate quando i beduini le hanno lasciate al confine o le hanno liberate dopo il pagamento del riscatto. Così il mondo di Dina dallo scorso giugno è fatto di guardie carcerarie armate, sbarre e mura di cemento. Vengono tutte dal campo profughi di Sheregab, in Sudan. Un paio sono state rapite dai Rashaida e poi vendute ai beduini che le hanno liberate dopo un riscatto di 25mila dollari pagato dai familiari. Non chiedo di più, i loro occhi raccontano abbastanza. A El Arish ho incontrato altre due detenute ventenni arrestate due settimane prima, dopo tre mesi di sequestro nel deserto e il pagamento del riscatto di 26mila dollari. Mentre mi dicevano che un loro compagno di viaggio era stato ammazzato di botte dai banditi beduini avevano lo stesso sguardo che mi implorava di piantarla. La mamma di Dina è invece partita volontariamente per Israele, dove clandestinamente vive il padre, ma la polizia le ha fermate con altre sette ragazze, che avevano pagato 5000 dollari ai trafficanti che le hanno poi abbandonate nel deserto. La polizia israeliana le ha quindi arrestate. Li aiuta la solidarietà della chiesa copta che porta loro coperte, abiti, qualche quaderno per scrivere e ha avvisato le famiglie della loro sorte. Il muro è diventato una lavagna di fortuna, per far sognare Dina di essere a scuola. La madre inventa per lei di continuo un mondo di giochi, proprio come Roberto Benigni nella Vita è bella. “Mia figlia adesso riesce a dormire - spiega Tess, altro nome inventato - ma il primo mese si svegliava urlando. Piange quando le guardie picchiano qualcuno perché non sa come farà a guarire qui dentro”. Del loro gruppo facevano parte 30 persone. “Di otto - aggiunge Tess - non abbiamo più notizie, non sappiamo se sono stati uccisi dai beduini o dalla polizia”. Nella cella accanto sono sdraiati 15 giovani eritrei. Provengono dai campi profughi, perlopiù da quelli sudanesi, un paio anche da quelli etiopi. Sono stati rapiti dai predoni beduini nel Sinai, al termine di un viaggio in condizioni durissime. C’è chi ha poi passato un anno in catene prima di trovare i soldi del riscatto, sempre sotto la minaccia di finire nelle mani dei trafficanti di organi. Hanno assistito a violenze bestiali sulle donne, sono stati torturati, picchiati con sbarre di ferro, bruciati con la gomma fusa. Al termine del calvario, dopo aver pagato i riscatti di 26mila dollari sono stati liberati, ma non sono riusciti ad attraversare il confine perché ridotti a scheletri. Berhame non ha sentito l’alt e si è beccato una pallottola in un femore da uno zelante poliziotto. Ha i ferri piantati nella coscia della gamba sinistra. È immobilizzato sul pavimento di cemento e un pezzo di cartone è tutto quello su cui può appoggiare l’arto ferito. Qui di infermerie non ce ne sono. Nel carcere ci sono in altre due celle altri 18 detenuti eritrei e un paio di sudanesi, tutti seduti per terra su stuoie e asciugamani. Tutti rapiti, schiavizzati, liberati e poi ancora incarcerati senza colpa. Anche qui, ognuno conosce almeno uno o due compagni di viaggio e di sequestro spariti nel nulla tra El Arish e Nakhl. Più tardi, nel carcere di Romani, da una quarantina di eritrei, quasi tutti sequestrati e liberati dopo aver pagato riscatti dai 6 ai 26mila dollari, sentirò ripetere che almeno un terzo dei compagni è sparito. “Veniamo maltrattati dalle guardie - spiega W. - che ci urlano che dobbiamo andarcene”. Ai cristiani è riservata una razione supplementare di botte e gli eritrei si tatuano la croce etiopica sul polso. Quanto resteranno in galera questi dannati della Terra? Il loro futuro è il rimpatrio in Eritrea, in base a un accordo con l’Egitto che ignora il diritto di queste persone di chiedere asilo. L’unica speranza è l’intervento dell’ambasciata etiope che, dopo aver identificato i rifugiati, con un lasciapassare li porti all’aeroporto del Cairo e da lì nei campi profughi del Paese dove sono già presenti 61mila rifugiati eritrei. Un progetto umanitario sostenuto da una rete italiana di buona volontà sta provvedendo a pagare i biglietti aerei. Già 175 persone sono uscite dal carcere in questo modo. Il tempo della visita è scaduto. Mentre si chiudono le porte della galera Dina mi chiede a bassa voce di portarla via, da suo padre. Egitto: EveryOne; 611 profughi prigionieri dei trafficanti sono stati liberati Tm News, 14 novembre 2011 "è di questa mattina la conferma, che ci giunge direttamente da Arish (Governatorato del Sinai del Nord, Egitto), che ben 611 profughi prigionieri dei trafficanti nel Sinai del Nord sono stati liberati lo scorso 9 novembre e sono ora in salvo in territorio israeliano". Lo annunciano i co-presidenti del Gruppo EveryOne, organizzazione internazionale per i diritti umani, Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau. "Li hanno liberati al confine con Israele. Provenivano da Arish, Gorah, Rafah e altre città del Sinai, dov'erano detenuti in frutteti o in container interrati" puntualizzano. Dopo che la vicenda dei prigionieri del Sinai è stata diffusa dalla Cnn, in un documentario che il network ha realizzato in collaborazione con EveryOne e la New Generation Foundation for Human Rights di Arish, e dopo la diffusione della realtà del traffico di esseri umani e organi, degli omicidi e degli stupri, dei crimini commessi dalle guardie di frontiera egiziane sui più importanti quotidiani del mondo e, finalmente, anche attraverso i media egiziani (dal Daily News Egypt alla Tv di stato), si è concentrata una tale attenzione sul governatorato del Nord del Sinai da rendere davvero duro il lavoro dei trafficanti. "Sono tutti là, i media del mondo, ad Arish, Gorah, Rafah" spiegano gli attivisti di EveryOne. "Indagano, fanno domande, perlustrano le città, alla ricerca dei container sotterranei e dei gruppi di subsahariani nelle mani degli smuggler. I nomi dei criminali sono su mille labbra: Abu Kahled, Abu Ahmed, Abu Abdellah, la famiglia Sawarka. Grazie alla continua presenza mediatica, alle risposte talora efficaci delle Nazioni Unite e dell'Unione Europea, al lavoro che EveryOne compie da alcuni anni, collaborando con organizzazioni preparate e coraggiose come la New Generation Foudation for Human Rights, ICER, Ong Gandhi, Agenzia Habeshia e altre, tanti esseri umani destinati al mercato nero degli organi, alle atrocità nei covi dei trafficanti, alla disumana condizione di detenzione nelle carceri egiziane, a una deportazione senza speranza sono stati salvati" continuano Malini, Pegoraro e Picciau. "Questa realtà, tuttavia, non attenua il dolore per le tante vittime né per il calvario passato da tanti giovani rifugiati. Siamo comunque convinti che ogni vita salvata sia un grande miracolo, un passo importante verso una società umana senza più violenze, prevaricazioni, discriminazioni e ingiustizie". Ora il Gruppo EveryOne ha chiesto all'Alto Commissario per i Rifugiati di vigilare affinché questi profughi siano tutelati e venga concesso loro asilo politico in Israele oppure, in alternativa, siano reinsediati nell'Unione europea, senza che possano correre il pericolo di una deportazione. Non vi sarà sicurezza per loro, finché tale eventualità non sarà scongiurata. "Anche se non dobbiamo allentare la guardia," concludono i rappresentanti di EveryOne, "possiamo essere soddisfatti per i risultati che il nuovo attivismo - quello che usa internet, ma si espone anche in prima persona, correndo gravi rischi per salvare vite umane - ottenga oggi in un mondo tormentato e ancora lontano da un ideale di pace e giustizia sociale". Dopo aver appreso la notizia dall'Unhcr, la Commissione Internazionale sui Rifugiati Eritrei (Icer) ha inviato un messaggio di felicitazioni al Gruppo EveryOne, definendo la liberazione dei profughi come "una meravigliosa notizia, risultato dello sforzo incessante di EveryOne e delle altre Ongimpegnate a tutela dei profughi sub-sahariani nel nord del Sinai". Birmania: rinviata la liberazione dei prigionieri politici Tm News, 14 novembre 2011 La liberazione dei prigionieri politici in Birmania, annunciata per oggi, è stata rinviata dopo un vertice dei più alti funzionari del regime. Lo si è appreso da fonti ufficiali. “Non abbiamo ricevuto nessun ordine né istruzione dai nostri superiori”, ha detto un funzionario birmano. Il 12 ottobre scorso erano stati liberati circa 6.300 prigionieri, 200 dei quali politici. Tra loro il celebre umorista dissidente Zarganar e membri della Lega nazionale per la democrazia, la formazione guidata dal premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Tra i liberati, tuttavia, non c’era alcuno dei leader della repressione del 1988. La nuova liberazione era stata annunciata a pochi giorni dal summit dell’Associazione dei paesi del sud est asiatico (Asean) che si terrà a Bali, la prima grande riunione internazionale a cui partecipa il regime “civile” di Naypydaw. Il Presidente Thein Sein, arrivato al potere lo scorso marzo, spera di ottenere nel 2014 la presidenza dell’Asean, di cui la Birmania è membro dal 1997. Non si conosce con precisione il numero degli oppositori politici detenuti: secondo la Lega democratica sarebbero circa 500. Stati Uniti: carcerato fa causa a stato Florida per dieta a base di soia Ansa, 14 novembre 2011 La dieta di soia è pericolosa per la salute, si deve tornare a bistecche, pollo e tacchino. Un uomo di 34 anni che sta scontando l’ergastolo in un carcere della Florida ha fatto causa allo Stato contro il menù a base di soia propinato in prigione. “Questi alimenti causano dolorosi crampi intestinali e possono danneggiare la tiroide e il sistema immunitario. Sono una punizione crudele”, sostiene Eric Harris nell’atto di citazione con il quale chiede un risarcimento imprecisato allo Stato. “Cerchiamo di fornire un pasto nutritivo limitando i costi dei contribuenti”, ha spiegato ai media locali Gretl Plessinger, portavoce del Department of Correction. Le prigioni della Florida sono passate ai menù a base di soia nel 2009, sostituendo i piatti di carne bovina e suina e riducendo il costo dei pasti della metà. “La politica al risparmio è un pericolo per la salute dei detenuti”, accusa invece Harris sottolineando che i carcerati sono costretti a ingerire fino a cento grammi di proteine di soia al giorno, pari a quattro volte la quantità raccomandata dalla Food and Drug Administration. Divisi i nutrizionisti: alcuni si dichiarano preoccupati per l’assunzione eccessiva di soia, mentre altri ritengono che il vegetale possa tranquillamente essere alla base di una dieta sana.