Marco Pannella ministro della Giustizia: il “miracolo” che può ridare umanità alle carceri Ristretti Orizzonti, 12 novembre 2011 Marco Pannella ministro della Giustizia: per Ristretti Orizzonti sarebbe il “miracolo” che può ridare umanità alle carceri, un senso alle pene e una Giustizia dignitosa a questo Paese. Marco Pannella ministro della Giustizia: se succedesse questo miracolo, se qualcuno avesse il coraggio di scegliere come ministro chi da anni si batte per riportare a condizioni di legalità il sistema penitenziario italiano, forse finalmente non si parlerebbe sempre di “emergenza carceri”, ma si affronterebbero i temi della giustizia e dell’esecuzione della pena come temi forti, importanti, strategici per tutto il Paese. Sono trascorsi quasi due anni da quando le prigioni italiane sono state dichiarate in “emergenza” e nel frattempo l’insostenibilità e l’inumanità delle condizioni detentive è stata certificata dagli stessi responsabili e operatori di questa Giustizia, che non riesce più ormai a essere giusta: il ministro Alfano e il suo successore Nitto Palma, il Capo del Dap Ionta, i Direttori penitenziari e le altre professionalità impegnate nelle carceri, il Consiglio Superiore della Magistratura, la Corte Costituzionale, l’Associazione Nazionale Magistrati, le Camere penali. Denunce quasi quotidiane sono anche arrivate dal mondo del Volontariato, dalle Amministrazioni locali, da forze politiche e singoli parlamentari, da esponenti della Chiesa e dei Sindacati. Lo scorso 28 luglio il Presidente della Repubblica Napolitano ha dichiarato che la situazione dei detenuti nelle carceri italiane è “una realtà che ci umilia in Europa e che ci allarma per la sofferenza quotidiana di migliaia di esseri umani in condizioni che definire disamane è un eufemismo” e che la necessità di dare risposte è di “prepotente urgenza”. Dopo due anni di gestione “emergenziale”, senza che si mettesse mano alle leggi che riempiono le galere di gente, “parcheggiata” dentro a scontare una pena in modo del tutto inutile, anzi pericoloso, perché da un carcere così non si può uscire che peggiorati, il sovraffollamento è ulteriormente aumentato, il numero degli operatori penitenziari è diminuito e sono drasticamente diminuite anche le risorse economiche destinate alla gestione degli istituti penitenziari. Costruire nuove carceri, con costi elevatissimi e tempi non brevi, non è una soluzione, serve ripartire dalla Costituzione, per ripensare le pene e limitare l’uso del carcere alle persone che rappresentano un pericolo reale per la società. Bisogna allora ripartire da una corretta informazione rispetto ai temi della giustizia e della pena. Finché il “bisogno di sicurezza” della popolazione viene alimentato per conquistare voti, finché la realtà del sistema penale (certificata da studi scientifici e dagli stessi “numeri” diffusi dal ministero) viene nascosta o peggio falsificata, l’opinione pubblica continuerà a chiedere di lasciare i detenuti a marcire nelle celle. Le misure alternative, che rappresentano la “vera sicurezza”, perché riducono la recidiva di due terzi rispetto alla detenzione in carcere (e che costano un decimo rispetto al carcere), vengono applicate pochissimo perché la “gente”, strategicamente e sistematicamente disinformata e impaurita, è contraria. L’indulto del 2006 non ha affatto dato i risultati disastrosi di cui hanno parlato i media, anzi, in 5 anni è tornato in carcere il 30% dei detenuti indultati contro una percentuale del 70% di chi esce a fine pena, senza nessun beneficio. Quindi, invece di dire “chiudeteli in cella e buttate la chiave”, se si vuole davvero vivere in una società più sicura, bisogna tirare fuori le persone e costruire per loro delle opportunità di reinserimento vere. L’amnistia, primo passo, urgente e necessario, per riportare le carceri nella Costituzione, è “impopolare” perché la maggior parte delle forze politiche ha voluto e vuole che lo sia, orientando in tal senso l’opinione pubblica attraverso un’informazione spesso parziale e distorta. Non solo i detenuti e gli operatori penitenziari, ma l’intera popolazione ha bisogno di una nuova stagione, di legalità, chiarezza, diritti certi: Marco Pannella ministro ed i Radicali nel Governo rappresentano una garanzia che questo possa realizzarsi, semplicemente perché sono i più competenti in materia, sono quelli che le carceri le conoscono, i problemi della Giustizia li hanno al centro della loro azione politica da sempre, e non hanno paura di fare scelte poco popolari, ma utili a creare una società più sicura con una giustizia più mite e più giusta. Giustizia: i Radicali candidano Marco Pannella a Guardasigilli Italpress, 12 novembre 2011 Pannella ministro della Giustizia? La candidatura arriva da una riunione degli organi dirigenti della “galassia Radicale”, ieri mattina nella sede storica del Partito Radicale in via di Torre Argentina. Pannella, informa una nota, intende effettivamente candidarsi anche per “corrispondere e rispondere in modo fattuale” alla “prepotente urgenza” evocata dal Presidente Napolitano. Il riferimento di Pannella, si legge ancora, è alla sollecitazione del Presidente della Repubblica che in convegno del luglio scorso, dedicato alla drammatica situazione carceraria, definita di “prepotente urgenza”, invitava le istituzioni a uno “scatto”, una “svolta”, all’adozione dei “rimedi già messi in atto” e “ogni altro possibile intervento, non escludendo nessuna ipotesi che potrebbe essere necessaria”. Napolitano aveva criticato “l’abisso che separa la realtà carceraria dal dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sui diritti e la dignità della persona, è una realtà non giustificabile in nome della sicurezza che ne viene più insidiata che garantita”. Pannella: i media ignorano mia candidatura a Guardasigilli A fine mattinata si è saputo in giro che abbiamo deciso di candidarci e candidarmi come Ministro della Giustizia. Le agenzie hanno dato la notizia. Abbiamo monitorato tutte le televisioni e tutte le radio in queste ore. Ebbene: hanno parlato di tutte le possibili candidature ma - fosse pure a titolo folkloristico, magari per dire “il solito Pannella” - non di questa. Lo ha detto lo stesso leader radicale, Marco Pannella, intervenuto in diretta a Radio radicale. “Hanno impedito di conoscere. Mi chiedo e vi chiedo se non è questa una manifestazione - divertente quanto eloquente - di un regime incompatibile con la Costituzione italiana, un regime volto a costringere il Presidente della Repubblica a tradire - lui per primo - la prepotente urgenza di diritto e di diritti che lui stesso ha denunciato”. Pannella ha anche illustrato il suo “programma”: “Attuare la risposta alla prepotente urgenza che il Presidente della Repubblica ha affidato da quasi un quadrimestre a noi, popolo democratico. Interrompere la flagranza criminale cui il regime inchioda il nostro Stato. Se non è umanamente possibile al Presidente, rispondiamo noi, accorrendo ad aiutare le sue funzioni. Questa candidatura ha questo obiettivo. Attuare la risposta alla prepotente urgenza di interrompere la flagranza criminale dello Stato rispetto ai diritti, al diritto, alla giustizia. Non fra quattro anni, nemmeno tra quattro mesi, subito”, ha concluso Pannella. Candidatura di Pannella a ministro della Giustizia raccoglie sostegni transnazionali "A poche ore dalla notizia della candidatura di Marco Pannella a ministro della Giustizia del costituendo governo italiano al Partito Radicale sono arrivati messaggi di sostegno di decine di militanti dei diritti umani che da anni conoscono Pannella e con cui hanno condiviso le lotte per la giustizia internazionale, la moratoria per la pena di morte e recentemente la promozione della democrazia nel mondo arabo": è quanto si legge in una nota dei Radicali. "Il primo- si informa - è stato l'egiziano Saad Eddin ibrahim, per anni costretto in esilio dal regime di Mubarak che ha dichiarato che "la storia politica di Marco Pannella è il migliore argomento a sostegno della sua candidatura per restaurare l'amministrazione della giustizia in Italia". Subito dopo i portavoce del partito d'opposizione del Bahrein al Wafik, Khalil Al Marooq che ha ricordato come siano state cruciali anche recentemente "le azioni di Pannella e del Partito Radicale pel pieno rispetto dei diritti umani e la promozione della democrazia anche in contesti dimenticati dall'attenzione internazionale come quello dei paesi del Golfo restino la migliore presentazione per chi, come Pannella, potrebbe concorre al rientro nella legalità costituzionale dell'Italia". Altre attestazioni di sostegno e stima, continua la nota dei Radicali, "sono arrivate dal professor Lamine Boubakar Traorè, del Mali, Tolekan Ismaliova militante anti corruzione del Tajikistan, Nada Alfy Thabet, attivista pei diritti delle donne egiziana, presidente del Village of Hope e Thhai Makarar, rappresentante per l'Europa del maggior partito d'opposizione cambogiano Sam Rainsy Party. Molto dei sostenitori di Pannella hanno anche annunciato la loro presenza al 39esimo congresso del Partito Radicale che si terra' a Roma dall'8 all'11 dicembre prossimi". Giustizia: Osapp; emergenza carceri grave quanto quella economica, sì Pannella ministro Comunicato stampa, 12 novembre 2011 “Nelle attuali condizioni delle carceri italiane, con i detenuti che hanno nuovamente superato le 67.700 presenze detentive per 45.500 posti e con gli internati, tra cui i malati di mente, che toccano le 1.800 presenze, non possiamo correre il rischio che in un Governo tecnico, o di larghe intese, la scelta per il dicastero della giustizia cada su figure di secondo piano o che abbiano quale unico titolo di merito l’appartenenza agli ordini giudiziario o forense ed è per questo che abbiamo accolto con notevole favore la candidatura di Marco Pannella a nuovo Guardasigilli.” è quanto dichiara Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “Il Ministro Nitto Francesco Palma, di cui abbiamo apprezzato l’intervento quest’oggi al giuramento dei 760 neo agenti di polizia penitenziaria, ha operato bene anche se il poco tempo trascorso dalla nomina rischia di non dargliene giusto merito - prosegue il sindacalista - ma alle attuali condizioni solo chi come Marco Pannella è impegnato da tutta una vita, al di fuori delle logiche di partito e prettamente elettorali, per ridare al Paese una giustizia giusta e carceri di cui non ci debba vergognare nel contesto europeo, può restituire vitalità e speranza al sistema.” “Ci auguriamo quindi - conclude Beneduci - che chi deve decidere sul futuro governo si renda conto che le emergenze giustizia e carceri in Italia non sono seconde all’emergenza economica e che le soluzioni possono arrivare solo attraverso scelte opportune e coraggiose.”. Giustizia: Sappe; il ministro Palma mantenga titolarità Dicastero Comunicato stampa, 12 novembre 2011 “Da lunedì probabilmente l’Italia avrà un nuovo governo, tecnico. Noi auspichiamo che il Ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma mantenga la titolarità dell’incarico a via Arenula. La situazione penitenziaria è costantemente in emergenza, come ha più volte autorevolmente denunciato anche il Capo dello Stato. E le competenze tecniche di Palma esprimono idee molto chiare, che in buona parte condividiamo, per una necessaria modifica strutturale dell’esecuzione penale del Paese. Per questo il Sappe auspica che il Guardasigilli Palma rimanga dov’è”. È l’appello che lancia alle Autorità istituzionali del Paese Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. “Ritengo che il Ministro Palma debba essere messo nelle condizioni di lavorare concretamente per ‘resettarè un settore della Giustizia, quello penitenziario, che ha bisogno di una profonda riforma” aggiunge Capece. Che sottolinea come “a tutt’oggi le classi politiche e governative che si sono avvicendate nella guida del Paese non hanno messo in campo i necessari interventi strutturali sull’esecuzione della pena, che garantiscano la giusta sanzione a chi commette reati soprattutto a tutela delle vittime della criminalità e che rendano la pena uno strumento efficace per ripagare la società del reato commesso. A cominciare dall’individuazione di provvedimenti legislativi che potenzino maggiormente l’area penale esterna e dall’incremento degli organici della Polizia Penitenziaria, unico Corpo di Polizia cui affidare completamente l’esecuzione penale esterna a tutto vantaggio della cittadinanza, destinando le unità di Carabinieri e Polizia di Stato oggi impiegate in tali compiti nella prevenzione e repressione dei reati, specie di quelli di criminalità diffusa. Noi continuiamo a parlare della necessità di individuare provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci, e di potenziamento degli organici di Polizia Penitenziaria cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale. Di un maggior ricorso all’area penale esterna, destinando i soggetti a misure alternative alla detenzione e impiegandoli in lavori di pubblica utilità. Di una revisione della legge sugli extracomunitari che permetta espulsioni più facili piuttosto che la detenzione in Italia. Qualche impegno era stato assunto dall’ex Ministro Alfano, che però lasciò l’incarico per andare a guidare il Pdl. Se ora anche Palma dovesse lasciare il Dicastero di via Arenula per ragioni politiche, saremmo punto a capo. E questa non sarebbe affatto una buona cosa, considerati i quasi 70mila detenuti in carcere e le mille criticità del settore, tra le quali le carenze di Polizia Penitenziarie ed i quotidiani eventi critici che accadono in carcere come i tentativi di suicidio, le aggressioni, gli atti di autolesionismo”. Giustizia: la vicenda di Saidou Gadiaga… viaggio al termine dell’Italia di Luigi Manconi L’Unità, 12 novembre 2011 La vicenda di Saidou Gadiaga, morto in carcere per un attacco d’asma, rivela l’inaccettabile stato delle nostre prigioni e di una legge xenofoba. Il suo “reato”? Non avere il permesso di soggiorno. Una cella di sicurezza, un video, l’immagine dell’agonia di un uomo: intorno a questi tre elementi si può ricostruire quella che, in un telefilm di Fox Crime, verrebbe definita la scena del delitto. In questo caso non sappiamo se di delitto in senso proprio si possa parlare, ma certamente sappiamo che Saidou Gadiaga, senegalese trentasettenne, è l’ennesima vittima della giustizia italiana e, in particolare, delle sue leggi xenofobe. E uno dei tantissimi “morti di carcere”. E, dunque, quella cella di sicurezza, quel video e quelle immagini ci danno l’opportunità di riflettere su molte questioni, a partire da quella più evidente dello stato in cui vengono custodite le persone sottoposte a fermo o ad arresto, nelle caserme o all’interno delle carceri. Gadiaga viene fermato il 10 dicembre 2010, perché sprovvisto di permesso di soggiorno valido e già raggiunto da un provvedimento di espulsione, al quale non aveva ottemperato. Da qui, tre considerazioni. 1) Innanzitutto c’è da dire che il fermo per l’identificazione si è protratto oltre le 24 ore previste (cosa che, notoriamente, avviene con una certa frequenza) nonostante Gadiaga avesse con sé i certificati medici del suo ricovero, da cui risultava chiaramente l’identità. Questa circostanza, appunto perché frequente, suscita preoccupazione in quanto segnala una completa sottovalutazione del valore che deve essere attribuito, per legge, alla libertà personale. 2) In una relazione di servizio dei carabinieri troviamo che il maresciallo contattò il pubblico ministero di turno per chiedere che Gadiaga, affetto da asma, venisse trasferito in carcere, dove c’è un presidio medico permanente. Il P.m. non lo ritenne necessario, rispondendo che, all’occorrenza, si sarebbe potuto richiedere l’intervento del 118. Quello stesso P.m. si è visto affidare le indagini per la morte dell’uomo, così come i carabinieri hanno avuto il compito di interrogare i soggetti coinvolti (compresi gli stessi carabinieri presenti quella mattina). Non sarebbe stato forse opportuno affidare tali compiti a qualcun altro? 3) Altro fatto importante è la presenza di quel video. La richiesta di archiviazione è arrivata nonostante l’esistenza di quelle immagini. E tuttavia, grazie a Radio Onda d’Urto di Brescia, che le ha fatte conoscere e che intorno a esse sta sviluppando una intelligente campagna di informazione, l’opinione pubblica è ora in grado di formulare un proprio giudizio. L’opposizione alla richiesta di archiviazione, comunque, si basa anche su altri elementi. Le dichiarazioni dei carabinieri, soprattutto per quanto riguarda la cronologia degli eventi, sono in contraddizione. L’avvocato che con grande professionalità si sta occupando del caso, Manlio Vicini, ipotizza che le incongruenze di orario siano dovute alla volontà di accorciare il più possibile i tempi di progressione della crisi respiratoria di Gadiaga, al fine di escludere l’ipotesi di un ritardo nei soccorsi. Stessa spiegazione può essere data alla dichiarazione dei carabinieri che la morte sarebbe avvenuta in ospedale. Circostanza incontrovertibilmente smentita dagli operatori del 118, i quali affermano che, al loro arrivo in caserma, Gadiaga era già deceduto. In ultimo, c’è la testimonianza del vicino di cella, che dichiara di essersi svegliato a seguito delle richieste di aiuto di Gadiaga, richieste rimaste inascoltate per “15/20 minuti”. Il testimone non è stato ritenuto attendibile nella sua ricostruzione perché in stato di dormiveglia, ma il buon senso dice che lo stato di dormiveglia avrebbe dovuto, eventualmente, accorciare i tempi percepiti dal testimone, non allungarli. In ogni caso, sollecitato sul punto, il testimone ha negato che potesse trattarsi di quei soli “3 minuti” indicati dai carabinieri. In buona sostanza la tesi portante della richiesta di opposizione all’archiviazione si basa sull’eventualità che, se Gadiaga fosse stato soccorso anche solo 5 minuti prima, la sua morte si sarebbe potuta evitare. Per finire, poi, c’è un ulteriore elemento che dovrebbe far riflettere. Perché quell’uomo si trovava in una caserma dei carabinieri? Come abbiamo detto prima, il motivo era la sua condizione soggettiva, il suo stato di “clandestino”. Non aveva commesso alcun reato efferato, nemmeno un furtarello o lo spaccio di qualche grammo di hashish. Gadiaga, residente in Italia da vent’anni, aveva semplicemente perso il lavoro. Si è trovato così, con un permesso di soggiorno scaduto, come altri 684.413 stranieri nel corso del 2010. E ciò grazie a una legge persino più ottusa che iniqua. Il che dimostra come la “scena del delitto” prima descritta riveli, forse, le impronte digitali e l’identikit di molti possibili colpevoli. Giustizia: Ardita (Dap); Alfano ministro incisivo per 41 bis, riconoscimenti da Pm nisseni Ansa, 12 novembre 2011 “Da ministro della Giustizia, l’onorevole Angelino Alfano ha dato una copertura forte ad una azione incisiva contro la mafia attraverso il regime speciale di detenzione dell’art.41 bis”. Lo ha affermato il direttore del Dap, Sebastiano Ardita, alla presentazione a Catania del libro dell’ex Guardasigilli e attuale segretario nazionale del Pdl dal titolo “La mafia uccide d’estate - Cosa significa fare il ministro della Giustizia in Italia”. Il direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha ricordato la vicenda del pentito Gaspare Spatuzza, che aveva fatto dichiarazioni contro il presidente del Consiglio e che mantenne il regime di tutela in carcere anche quando fu estromesso dal programma di protezione. “Si voleva che noi facessimo altrettanto - ha dichiarato Ardita - e invece abbiamo mantenuto le misure di sicurezza in carcere, evitando che tornasse ad essere collocato tra gli altri detenuti non collaboratori. Ce ne siamo assunti la responsabilità e la procura di Caltanissetta ce ne ha riconosciuto il merito, anche per averne sostenuto l’operato nel delicato processo sulle stragi”. Ardita, infine, ha concluso difendendo il suo collega Antonio Ingroia, sottolineando che “il riferimento principale dei magistrati rimane la Costituzione e che non preoccupano affatto i magistrati che la difendono in ogni sede. Perché - ha chiosato - la Costituzione rappresenta l’insieme dei valori che reggono la nostra società ed è verso di essa che devono orientarsi i magistrati che amano la verità”. Giustizia: Lisiapp; l’emergenza carceri sta diventando situazione cronica Agenparl, 12 novembre 2011 L’emergenza carceri è sempre più in primo piano: da fine settembre la capienza delle 206 strutture penitenziarie del Paese (161 case circondariali, 38 case di reclusione e 7 istituti per le misure di sicurezza) ha registrato la presenza di circa 67.428 detenuti. “È da tempo - rileva il Dr. Luca Frongia, segretario generale aggiunto del Libero sindacato appartenenti polizia penitenziaria Lisiapp - che richiama l’attenzione delle istituzioni e del mondo della politica sulla grave situazione penitenziaria del Paese, a rischio di implosione da un giorno all’altro”. La cifra di 67.428 detenuti, secondo il dirigente sindacalista, “in un paio di mesi non solo sarà sicuramente superata ma che ragionevolmente si eleverà all’allarmante numero di 68mila detenuti presenti nelle carceri italiane entro la fine di quest’anno, che potrebbero diventare 100mila in poco meno di due anni, se non viene invertito il trend dei crescita dei ristretti”. In particolare, ci sono regioni (Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Lombardia, Toscana e Umbria) senza tralasciare le regioni del centro sud “in cui - spiega Frongia - la popolazione detenuta presente è numericamente maggiore non solo della capienza regolamentare ma addirittura di quella tollerabile”. L’attuale sovraffollamento, ribadisce quindi il Lisiapp, “va a discapito delle condizioni detentive in linea con il dettato costituzionale previsto dal terzo comma dell’articolo 27 e delle condizioni lavorative delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria che lavorano nella prima linea delle sezioni detentive. Un Corpo in cui si registrano carenze di organico pari a oltre 6/7 mila unità. A nostro avviso è necessario accelerare l’iter programmatico delle nuove assunzioni nel corpo ed individuarne risorse per prevederle - conclude Frongia - e rimodulare il complessivo sistema sanzionatorio del Paese. La classe politica ha colpevolmente perso l’occasione dell’approvazione dell’indulto per porre interventi strutturali in materia penitenziaria. È sostanzialmente necessaria una nuova politica della pena che, differenziando arrestati e condannati a seconda del tipo di reato commesso in una logica di riorganizzazione dei circuiti penitenziari, preveda una maggiore espansione dell’esecuzione penale esterna e l’impiego della Polizia Penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna con compiti di controllo. Ulteriori insensibilità sulla grave situazione penitenziaria non si possono più tollerare”. Lazio: il Garante; nelle carceri regionali duemila detenuti in più rispetto al consentito Il Velino, 12 novembre 2011 Duemila detenuti in più oltre la capienza regolamentare prevista; condizioni di vivibilità critiche; spazi destinati alla socialità trasformati in celle; personale di polizia penitenziaria costretto, a causa dei buchi di organico, a turni di lavoro massacranti. È questa la fotografia della drammatica situazione delle 14 carceri della Regione Lazio denunciata dal Garante dei detenuti Angiolo Marroni. Secondo le ultime stime diffuse dal Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), e relative al 9 novembre, i detenuti presenti negli istituti della Regione sono 6.602, quasi duemila in più rispetto alla capienza regolamentare prevista, fissata a 4.661 posti. A Viterbo, che ne dovrebbe ospitare 444, ce ne sono invece 716. “I numeri, e i segnali di allarme che quotidianamente ci arrivano da ogni carcere della Regione - ha detto Marroni - non fanno altro che confermare l’estrema criticità della situazione. Dall’inizio dell’anno ad oggi i detenuti sono cresciuti di 585 unità, passando dai 6.017 di gennaio ai 6.602 attuali. Ciò vuol dire che, passato il momentaneo effetto positivo legato alla legge svuota carceri, il ritmo di crescita dei detenuti è stato di quasi sessanta unità al mese”. Nella Regione i casi più problematici si registrano a Latina (dove i detenuti dovrebbero essere 86 e sono invece il doppio), a Frosinone (200 reclusi in più), Rebibbia N.C. (quasi 500 detenuti in più) e Regina Coeli (quasi 400 in più). Nel carcere “Mammagialla” di Viterbo - da mesi al centro delle attenzioni del Garante anche per la presenza di acqua con alti valori di arsenico - i reclusi sono 300 in più rispetto alla capienza regolamentare. Paradossali, in questo contesto, la situazioni di Rieti dove, a causa della carenza di personale e nonostante i pressanti appelli arrivati da più parti, sono stati attivati solo 120 dei 306 posti disponibili, che risultano già sovraffollati da 141detenuti. Reggio Emilia: suicidio all’Opg, internato di 40 anni si impicca in cella Ansa, 12 novembre 2011 Un uomo di 40 anni, che era internato nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, si è impiccato nella sua stanza questa mattina dopo il colloquio con i familiari. Lo ha reso noto il sindacato della polizia penitenziaria Sappe, aggiungendo che - nonostante l’immediato intervento del personale sanitario dell’ospedale psichiatrico e degli operatori del 118 - non c’è stato niente da fare per l’uomo, “che aveva commesso tre omicidi”. L’uomo - spiega Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe - era ristretto in uno dei cinque reparti gestiti esclusivamente da personale medico e paramedico, dove si svolge la sperimentazione sulla sanitarizzazione degli ospedali psichiatrici, cioè la gestione affidata al solo personale medico e paramedico, senza la presenza del personale di polizia penitenziaria. “Dobbiamo ricordare - aggiunge Durante - che esiste una legge che prevede la dismissione di tali strutture, con passaggio delle stesse all’esclusiva competenza della sanità e relativa territorializzazione dell’esecuzione di tali misure. Oggi, in Italia, esistono sei ospedali psichiatrici, ognuno dei quali ha una competenza extraregionale. Ogni regione dovrebbe dotarsi di una propria struttura, per ospitare gli internati appartenenti al proprio territorio. L’Emilia-Romagna ha già firmato un protocollo d’intesa con il Dipartimento dell’ Amministrazione penitenziaria, anche se al momento sembra che nessuna delle regioni interessate abbia individuato la struttura per ospitare gli internati. Bisogna comunque tenere conto del fatto che alcuni di questi internati sono soggetti molto pericolosi, per i quali è necessario dotarsi di strutture adeguatamente attrezzate”. È Omar Bianchera, un autotrasportatore di 45 anni che il 25 aprile dello scorso anno aveva ucciso nel Mantovano - con due pistole e un fucile a pompa - l’ex moglie, una vicina di casa e un conoscente con cui in passato aveva avuto rapporti di affari, l’uomo che si è impiccato questa mattina nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. Appena due settimane fa, il 28 ottobre, Bianchera era stato condannato a vent’anni di carcere più cinque di cura in ospedale psichiatrico. La sentenza era stata pronunciata a porte chiuse dal Gup di Mantova, Gianfranco Villani; il Pm aveva chiesto l’ergastolo. Sulla sentenza ha pesato la perizia psichiatrica che aveva dichiarato l’imputato seminfermo di mente. Bianchera - già detenuto nell’Opg reggiano - aveva assistito impassibile all’udienza e alla lettura della sentenza. L’uomo, dopo il triplice omicidio compiuto tra Volta Mantovana e Monzambano, era fuggito per essere poi rintracciato ad Anfo, nel Bresciano, dove si era arreso senza opporre resistenza. Genova: Sappe; cella troppo piccola, il Magistrato “richiama” la direzione del carcere Comunicato stampa, 12 novembre 2011 Nel carcere di Marassi cella troppo piccola: detenuto fa causa. Il Magistrato di Sorveglianza giudica illegittime le condizioni detentive e richiama il penitenziario. È stato in una cella del carcere genovese di Marassi, destinata ad ospitare 4 detenuti, sistematicamente con non meno di 6 ristretti, fino ad arrivare ad un massimo di 9 “coinquilini”. Per questo è ricorso al Magistrato di Sorveglianza di Genova che ha intimato alla Direzione del carcere della Valbisagno, uno dei penitenziari più affollati d’Italia con più di 800 detenuti presenti a fronte dei circa 450 posti letto regolamentari, di evitare, nel futuro, a condizioni detentive di sovraffollamento, anche alla luce della decisione della Corte di Giustizia europea che, nel luglio 2009, aveva già sancito il diritto dei detenuti a vivere in spazi adeguati (liquidando un cospicuo risarcimento a un uomo vissuto in una cella di 3 metri quadrati). A ricorrere alla Magistratura di Sorveglianza è stato un italiano tossicodipendente di circa 50 anni, per 7 mesi detenuto a Marassi. “L’ordinanza della Magistratura di Sorveglianza di Genova” commenta Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri “punta clamorosamente l’indice sul grave sovraffollamento penitenziario. Pur riconoscendo soddisfacenti le condizioni strutturali della struttura detentiva della Valbisagno e dei servizi disponibili, sottolinea l’illegittimità delle condizioni detentive derivanti dal perdurante sovraffollamento e dal fatto che il ricorrente, tossicodipendente sottoposto a terapia, ha condiviso la cella con altre 7 persone per più di 20 ore al giorno. È evidente che l’Amministrazione penitenziaria dovrà rispettare l’Ordinanza della Magistratura di Sorveglianza di Genova, ma se all’orizzonte non si vede alcun concreto provvedimento di contrasto al sovraffollamento in carcere mi pare sarà impresa quasi impossibile osservarla”. Martinelli sottolinea come “secondo alcuni dati recentemente diffusi è emerso che l’80% dei circa 70 mila detenuti oggi in carcere ha problemi di salute, più o meno gravi. Il 38% versa in condizioni mediocri, il 37% in condizioni scadenti, il 4% ha problemi di salute gravi e solo il 20% è sano. Un detenuto su tre è tossicodipendente. Del 30% dei detenuti che si è sottoposto al test Hiv, il 4% è risultato positivo. E ancora, il 16% soffre di depressione o altri disturbi psichici, il 15% ha problemi di masticazione, il 13% soffre di malattie osteoarticolari, l’11% di malattie epatiche, il 9% di disturbi gastrointestinali. Circa il 7% è infine portatore di malattie infettive. Tutto questo va ad aggravare le già pesanti condizioni lavorative delle donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria, oggi sotto organico di ben 7mila unità. Il dato importante da considerare è che i detenuti affetti da tossicodipendenza - come nel caso del ristretto siciliano che è ricorso alla Magistratura di Sorveglianza di Genova per il sovraffollamento del carcere di Marassi - o malattie mentali, come ogni altro malato limitato nella propria libertà, sconta una doppia pena: quella imposta dalle sbarre del carcere e quella di dover affrontare la dipendenza dalle droghe o il disagio psichico in una condizione di disagio, spesso senza il sostegno della famiglia o di una persona amica. Forse è il caso di ripensare il carcere proprio prevedendo un circuito penitenziario differenziato per queste tipologie di detenuti.” Martinelli sottolinea infine come “nonostante l’Italia sia un Paese il cui ordinamento è caratterizzato da una legislazione all’avanguardia per quanto riguarda la possibilità che i tossicodipendenti possano scontare la pena all’esterno, oggi quelli in carcere con problemi di tossicodipendenza sono circa il 35% dei presenti: la Liguria, poi, è la regione d’Italia con il maggior numero di tossicodipendenti tra i detenuti, più del 41% dei presenti. La legge prevede che i condannati a pene fino a sei anni di reclusione, quattro anni per coloro che si sono resi responsabili di reati particolarmente gravi, possano essere ammessi a scontare la pena all’esterno, presso strutture pubbliche o private, dopo aver superato positivamente o intrapreso un programma di recupero sociale. Nonostante ciò queste persone continuano a rimanere in carcere. Noi riteniamo sia invece preferibile che i detenuti tossicodipendenti, spesso condannati per spaccio di lieve entità, scontino la pena fuori dal carcere, nelle Comunità di recupero, per porre in essere ogni sforzo concreto necessario ad aiutarli ad uscire definitivamente dal tragico tunnel della droga e, quindi, a non tornare a delinquere. I detenuti tossicodipendenti sono persone che essendo malate hanno bisogno di cure piuttosto che di reclusione. E alla luce dell’ordinanza della Magistratura di Sorveglianza di Genova mi sembra non si dovrebbe perdere ulteriore tempo”. Firenze: Radicali: a Sollicciano 1.014 detenuti, in una capienza regolamentare di 447 Notizie Radicali, 12 novembre 2011 Stamani a partire dalle ore 9.00, una delegazione radicale guidata dal Sen. Marco Perduca ha effettuato una visita ispettiva all’interno dell’istituto penitenziario di Sollicciano: alla visita hanno partecipato, inoltre, anche Maurizio Buzzegoli e Massimiliano Fontani dell’associazione radicale “Andrea Tamburi”. Il numero dei detenuti complessivo è di 1014 unità, a fronte di una capienza regolamentare della struttura di 447, di cui il 60% in attesa di giudizio o in attesa di sentenza definitiva. I reparti visitati sono risultati al completo: si tratta di celle di 12 mq per 3 detenuti, dove stazionano per circa 20 ore al giorno. In merito all’aspetto sanitario si è riscontrato un lieve miglioramento della assistenza infermieristica dato dall’aumento di una unità di personale addetto, ma la situazione resta comunque difficile, in quanto l’organico sanitario rimane inferiore rispetto alle necessità della popolazione detenuta (due infermieri per 500 detenuti); considerando poi che quotidianamente si verificano in media dalle tre alle cinque emergenze a cui devono far fronte gli stessi infermieri. Per quanto riguarda l’impegno lavorativo all’interno del carcere, in media lavorano durante l’anno circa 327 detenuti addetti alle varie mansioni interne, con lo sforzo da parte della Polizia Penitenziaria di assegnare i compiti alle persone indigenti nullatenenti. Anche l’organigramma della stessa Polizia Penitenziaria è carente di circa 200 unità (490 presenti a fronte di 692 organici) che porta irrimediabilmente a logoranti turni di lavoro. “Anche contro questo permanere di patente illegalità costituzionale - ha dichiarato il Sen. Perduca - i Radicali candidano Marco Pannella ministro della giustizia”. Grosseto: gli amministratori provinciali verificano la situazione degli istituti penitenziari www.maremmanews.it, 12 novembre 2011 Una visita per rendersi conto di persona della realtà quotidiana vissuta all’interno degli istituti penitenziari del territorio. È quello che è successo questa mattina, quando Leonardo Marras, Presidente della Provincia, e Sergio Martini, presidente del Consiglio provinciale, si sono recati nelle case circondariali di Massa Marittima, prima, e di Grosseto, poi, accolti rispettivamente dai direttori Carlo Mazzerbo e Maria Cristina Morrone. “Si è trattata di un’esperienza importante - commenta Martini: dai colloqui intrattenuti con il personale abbiamo acquisito informazioni che potranno essere untili alla Provincia per poter intervenire in maniera proficua e per quanto possibile, dando un aiuto concreto agli operatori e ai detenuti”. Marras e Martini hanno potuto, innanzi tutto, capire le difficoltà delle due strutture, molto diverse l’una dall’altra: quella di Grosseto, con i suoi oltre 150 anni di vita, è una struttura penitenziaria obsoleta e non a norma che ospita un massimo di 25 detenuti - di qualsiasi tipologia - provenienti dalla libertà e che poi, da lì, vengono tradotti in altri carceri. La struttura di Massa Marittima, a norma dal 1998, è moderna e ad oggi accoglie 40 detenuti con pena definitiva e con determinate caratteristiche: per accedervi è infatti necessario essere in buona salute, non essere tossicodipendenti e avere una pena residuale che non supera i cinque anni. A Grosseto, le celle sono occupate ognuna da 5 detenuti e la struttura ha a disposizione soltanto due bagni comuni. A Massa Marittima, invece, le stanze, tutte con doccia, possono accogliere fino a due persone. “Credo che sia fondamentale che la realtà del carcere venga conosciuta all’esterno - spiega Maria Cristina Morrone, direttrice del carcere di Grosseto. La nostra è una missione che mira alla risocializzazione del detenuto ed è per questo che sono importantissimi i progetti messi in campo insieme alla Provincia come, ad esempio, quello delle borse lavoro, la cui idea forte è stata premiata anche a livello regionale”. Nel 2011 sono stati tre gli ex detenuti che hanno potuto stipulare un contratto a tempo indeterminato con aziende del territorio a seguito di progetti di reinserimento. Inoltre, all’interno del carcere esistono percorsi di integrazione con la realtà esterna: dagli operatori religiosi ai piani specifici della Società della Salute, dalla presenza dello sportello del Centro per l’impiego alla formazione professionale, fino ai corsi del Centro Territoriale Permanente per l’Educazione degli Adulti. “Ma i problemi quotidiani sono numerosi e le carenze strutturali si fanno sentire tanto da minare la dignità di chi è detenuto e di chi è operatore - spiega Marras. La Provincia vuole perseguire e, anzi, implementare il proprio impegno a sostegno di un’attività importante all’interno di un contesto difficile nel quale, però, c’è ancora chi quotidianamente sceglie di servire lo Stato nonostante le scarse risorse, anche con contributi personali. È una Italia che esiste nonostante tutto e che merita di essere rappresentata”. Gorizia: la Camera Penale si mobilita per evitare la chiusura del carcere Messaggero Veneto, 12 novembre 2011 Dopo le notizie allarmanti provenienti dagli ambienti giudiziari sulla chiusura della casa circondariale di Gorizia, la Camera Penale di Gorizia, ritenendo che la chiusura non possa che determinare un’ulteriore impoverimento della città, ha voluto organizzare una conferenza dal titolo “Gorizia resterà senza carcere?”. La problematica coinvolge direttamente gli addetti ai lavori, in primis gli agenti della polizia penitenziaria con le loro famiglie, e poi tutti coloro che per varie esigenze (sia di lavoro che di visita) hanno necessità di andare a trovare un detenuto. La scomparsa dalla città della casa circondariale può essere considerata, sotto un profilo puramente economico, una grave perdita. Il danno diretto e immediato è difficile da essere assorbito per ogni realtà territoriale. La perdita di tutto l’indotto generato dal carcere significa che 40 famiglie lasceranno probabilmente la città, come se chiudesse una fabbrica. La casa circondariale invece può essere una risorsa per la città. L’attuale carcere è fatiscente e necessita di non pochi interventi per tornare a essere un posto dignitoso, forse si può e si deve valutare l’ipotesi della costruzione di una nuova casa circondariale. Con l’intento di far partecipare attivamente la cittadinanza alle scelte che determineranno l’assetto futuro della città, la Camera Penale di Gorizia invita i cittadini alla conferenza che si terrà oggi dalle 15.30 nella sala dei Musei Provinciali. Alla conferenza parteciperanno i vertici dell’amministrazione penitenziaria competenti territorialmente, le rappresentanze sindacali della polizia penitenziaria, magistrati e i rappresentanti degli enti territoriali interessati. Sarà anche presentato il sito web dedicato e nato dalla collaborazione tra la Camera Penale di Gorizia, nella persona dell’avvocato Paolo Marchiori, organizzatore dell’evento, e il gruppo di ricerca Sasweb (Semantic Adaptive Social Web), diretto dalla professoressa Antonina Dattolo, università di Udine. Brescia: due corsi di spinning e yoga per la salute dei carcerati Brescia Oggi, 12 novembre 2011 A Canton Mombello, primo carcere in Italia, da giugno sono attivi due “corsi sportivi” a cui i detenuti partecipano ogni martedì. L’idea è nata dopo la visita istituzionale dell’assessore Claudia Taurisano: “È solo il primo passo”. L’ora d’aria dei detenuti si trasforma in un’ora di sudore, fatica e meditazione. Accade ogni settimana nel carcere di Canton Mombello dove da giugno un centinaio di detenuti ha la possibilità di frequentare i corsi di spinning e di yoga. Il progetto di portare in carcere due nuove discipline sportive, il primo a livello nazionale, è nato da un’idea dell’assessore comunale Claudia Taurisano: dopo aver visitato il carcere di Canton Mombello, si è resa conto che la palestra era priva di qualsiasi attrezzatura sportiva. Da lì, l’idea di chiedere aiuto agli amici Lucio Zanchi e Claudio Cima, amministratori di “Millennium Sport & Fitness”, che si sono attivati per regalare al carcere 15 spinning-bike e far partire i primi corsi. Da quel momento, ogni lunedì, mercoledì e venerdì, ottanta detenuti salgono in sella alle “cyclette” e pedalano per un’ora a tempo di musica. Dapprima seguiti dall’istruttore della Millennium Nicola Loda, ora i corsi sono stati affidati ad un detenuto ex ciclista. L’iniziativa ha ottenuto un tale successo che Millennium ha proposto alla direttrice del carcere Francesca Gioieni di attivare anche un corso di yoga. Detto e fatto. Grazie alla disponibilità del maestro di yoga Angelo Pedruzzi, oggi una ventina di detenuti pratica ginnastica e meditazione per un’ora a settimana, “dimostrando un entusiasmo che non credevo di trovare in carcere e che non può che rendermi felice e orgoglioso”, commenta il maestro Petruzzi. Spinning e yoga sono diventate così le valvole di sfogo per sopportare tensioni e privazioni, “in grado di far dimenticare per qualche ora la pena della vita carceraria, le sue condizioni di vita al limite, la restrizione forzata e le intuibili tensioni che si generano in un ambiente chiuso come quello del carcere”, fa sapere la direttrice Gioieri. Un successo che gli stessi detenuti hanno voluto mettere nero su bianco, nelle tante lettere di elogio inviate alla direttrice. Unanimi nel lodare e ringraziare il lavoro del maestro Angelo, “capace di donarci coraggio, dignità e conforto, oltre ad un ritrovato benessere fisico”, hanno scritto i detenuti in una lettera. “Date le condizioni in cui siamo costretti a vivere, questo piccolo svago è diventato l’appuntamento più atteso della settimana - si legge nella lettera - per ritrovarsi con gli altri compagni di detenzione e svolgere un’attività che, in un modo o nell’altro, sta portando benefici a tutti”. Il progetto sperimentale attivato a Canton Mombello “dà l’opportunità per riflettere sull’importante contributo che lo sport può offrire nel rendere effettiva la funzione rieducativa della pena carceraria e, di conseguenza, nel promuovere il recupero sociale dei detenuti - afferma l’assessore Taurisano. È quindi necessario che questa iniziativa sia un punto di partenza dal quale integrare sempre più la realtà penitenziaria di Brescia con il tessuto sociale ed economico cittadino”. Un obbiettivo che però, potrà realizzarsi solo con il coinvolgimento e la partecipazione attiva di tutte le forze, istituzionali e non, del territorio. Cosenza: nel carcere di Rossano il convegno-dibattito “Carcere è legalità?” www.newz.it, 12 novembre 2011 Nell’ambito dei percorsi formativi di educazione alla legalità, è stato programmato per il 16 novembre prossimo, un incontro finalizzato ad aprire un tavolo di confronto dopo la proiezione del film “Tutta colpa di Giuda”, alla presenza di studenti delle scuole superiori del circondario, di rappresentanti della società e delle Istituzioni da tenersi nella sala polivalente della casa di reclusione di Rossano. L’avvenimento nasce da un idea dell’assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Cosenza Mimmo Bevacqua, che ha promosso l’iniziativa facendosi carico dell’onere relativo al finanziamento e inserendolo nell’ambito del proprio Progetto di Rieducazione Detenuti finalizzato al reinserimento sociale degli stessi. L’assessore, dopo una riunione a Cosenza, ha ottenuto l’approvazione da parte del dirigente dell’Istituto di reclusione di Rossano per l’organizzazione dell’evento. Infatti, il dirigente Giuseppe Carrà è riuscito a coinvolgere al film-dibattito, in qualità di relatori, il prof. Fulvio Librandi, docente di Criminologia dell’Università di Cosenza, e l’avv. Domenico Rocco Ceravolo, sindaco di Laureana di Borrello e le seguenti scuole: Itis, Liceo Classico “S. Nilo” e Liceo Psico-pedagogico di Rossano, Liceo Scientifico “G. Galilei” di Trebisacce e Istituto per Geometri “Falcone e Borsellino” di Corigliano che parteciperanno inviando una rappresentanza di studenti e docenti. Gli studenti coinvolti saranno preparati a esprimere le proprie valutazioni in tema di legalità e di cittadinanza, attraverso un percorso di riflessione e approfondimento al termine del quale, con l’ausilio dei loro docenti, degli esponenti della società civile presenti all’incontro e degli illustri relatori, avranno l’occasione di mettere a confronto le proprie opinioni in merito alle delicate tematiche affrontate dal film. Inoltre, trattandosi di un avvenimento teso alla revisione del passato di vita delinquenziale e sul “tempo della pena”, parteciperanno alla manifestazione i detenuti appartenenti al circuito “alta sicurezza” frequentanti la scuola Itis dell’Istituto di reclusione e il Laboratorio Teatrale. In questa occasione i ristretti avranno un confronto diretto con gli altri studenti al fine di potere percepire l’esistenza di modelli di vita alternativi per la realizzazione di un processo di vero cambiamento interiore. “L’idea che mi spinge a promuovere iniziative di discussione collegate a un evento mediatico - ha spiegato Domenico Carrà - è quella del carcere come luogo di sperimentazione sociale per far conoscere quello che accade in un penitenziario e trasformarlo dal, troppo spesso, luogo del “non fare” in quello del “fare” . Si tratta di due mondi diversi, quello degli studenti e quello dei detenuti - a volte solo qualche anno più anziani dei primi - eppure questi due mondi da tre anni si incontrano e dialogano con l’obiettivo della educazione alla legalità ma - ancor più - la prevenzione dalla illegalità. Peraltro, questo tipo di attività, oltre che a cercare di dare concretezza al mandato costituzionale del fine rieducativo della pena, è in linea con il concetto di un nuovo modello di Istituzione penitenziaria che, a partire dagli anni 90, va affermandosi sempre più ed è quello che vede il carcere non come una discarica sociale ma come laboratorio di una continua sinergia di esperienze e collaborazione interprofessionale in cui le diverse figure di operatori penitenziari, dalla Polizia Penitenziaria, agli educatori ai medici e psicologi effettuano l’osservazione delle personalità dei detenuti, il trattamento individualizzato, il dialogo con il mondo “esterno”, un’osmosi continua tra il dentro ed il fuori per una sincera accoglienza e umanizzazione della pena. Per concludere, voglio precisare che non si tratta di falso buonismo ma della profonda convinzione che, per cercare di evitare che queste persone tornino a commettere nuovi e più gravi reati, lo ritengo - probabilmente - l’unico modo per evitare con certezza che i detenuti, una volta immessi in libertà, non si portino dietro un “carico” di odio senza pari e vogliano ancora una volta scaricare sulla società il trattamento ricevuto commettendo nuovi e (forse) più efferati delitti”. Genova: gli “Uomini dentro” si raccontano a teatro, cinema e alla torre Grimaldina www.genova24.it, 12 novembre 2011 Tra le antiche celle della Torre Grimaldina - dove furono rinchiusi anche grandi pittori come Domenico Fiasella, Sinibaldo Scorza, Andrea Ansaldo o Pietro Mulier - si libera l’immaginario creativo e artistico delle persone detenuti nelle Case circondariali della provincia di Genova e della Liguria con la mostra che dal 18 al 30 novembre esporrà le loro opere pittoriche, fotografiche, video e altre elaborazioni artistiche nell’ambito della rassegna “Uomini dentro. Ci mettiamo la faccia” promossa dalla Provincia di Genova con la Fondazione Palazzo Ducale e l’associazione Teatro Necessario onlus insieme alle direzioni delle Case circondariali e alla Polizia penitenziaria, che comprende anche spettacoli teatrali realizzati con le persone recluse, laboratori, incontri ed eventi come la lectio magistralis che Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale, terrà il 28 novembre alle 17.45 sulla Costituzione letta dal carcere a Palazzo Ducale con l’assessora provinciale alle carceri Milò Bertolotto, il direttore della Casa circondariale di Marassi Salvatore Mazzeo e Maria Rosaria Palumbo, docente di Storia Moderna alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Genova. Tutto il programma è stato presentato a Palazzo Ducale dal presidente della Fondazione Luca Borzani, dall’assessora Milò Bertolotto, da Mirella Cannata responsabile di Teatro Necessario con i direttori Salvatore Mazzeo, Maria Milano e Paola Penco delle carceri di Marassi, Pontedecimo e Chiavari. “La Provincia - ha detto Milò Bertolotto - da molti anni ha fatto una scelta, politica, etica e di civiltà: occuparsi della situazione delle carceri del suo territorio. Per questo, nonostante le gravi difficoltà di bilancio degli enti locali, ha promosso e sostenuto progetti e interventi, a partire dall’inclusione socio-lavorativa delle persone detenute, ma non solo, come nel caso della rassegna ‘Mettiamoci la faccià, un’occasione importante per proporre alla città le produzioni artistiche del carcere e sul carcere e insieme aprire nuove finestre su un mondo che colpevolmente la società nel suo complesso tende ad ignorare, a rimuovere come se non ci riguardasse”. Il direttore di Marassi ha sottolineato il ruolo fondamentale in carcere della cultura “intesa in ogni suo aspetto – ha detto Salvatore Mazzeo - e ne sono esempi le numerose attività realizzate all’interno e all’esterno del penitenziario come quelle teatrali dei detenuti, i corsi scolastici, i laboratori di grafica e di serigrafia, ma sono cultura, del lavoro, della coesione e del reinserimento, anche la panetteria e la falegnameria dove molte persone recluse si sono formate e hanno imparato nuove attività”. Rompere il silenzio “e il muro che interrompe relazioni e consapevolezza tra carcere e società è la scommessa più importante” per Luca Borzani che augura “continuità ogni anno a questa rassegna che vuole coinvolgere intensamente tanti e tante al di fuori del carcere.” Alla realizzazione di Uomini dentro collaborano i teatri della Tosse, dell’Archivolto, dell’Ortica e la compagnia della Fortezza e gli spettacoli di cui sono protagoniste le persone detenute proporranno: “Pinokkio & Co” del Teatro Necessario Onlus alla Tosse dal 17 al 19 novembre (alle 11 per le scuole e alle 21 per tutto il pubblico) e nello stesso teatro, dal 25 al 26 novembre (alle 21) “Hamlice. Saggio sulla fine di una civiltà” della compagnia della Fortezza. Il 30 novembre alle 21 al teatro dell’Archivolto andrà invece in scena “Voce del verbo andare e tornare” del teatro dell’Ortica. La mostra nella Torre Grimaldina di Palazzo Ducale sarà aperta (tutti i giorni tranne il lunedì negli orari 10-13 e 15-18) dal 18 al 30 novembre e nel suo percorso espositivo utilizza gli spazi della torre come luoghi di libertà creativa in cui raccontare attraverso la rielaborazione artistica anche il proprio vissuto che chiede di essere ascoltato. Anche quando la vita è rinchiusa dietro le mura di un carcere. La mostra è accompagnata da numerosi eventi e performance al Ducale, sede anche degli incontri nella sala del Maggior Consiglio “Canzoni e parole dal carcere” il 24 novembre alle 10 con il regista Sandro Baldacci, il cantautore Bubi Senarega e i direttori delle Case circondariali liguri e il 30 alle 18, con l’assessora Milò Bertolotto, Laura Sicignano direttore del teatro Cargo e Maria Milano direttore del carcere di Pontedecimo “Una storia dopo il carcere” in cui sarà presentato lo spettacolo “Questa immensa notte” in scena al Duse dal 29 novembre. Tre appuntamenti con i film - tutti alle 21.30 - nelle sale The Space Cinema al Porto Antico: il 14 novembre (Tutta colpa di Giuda di Davide Ferrario), il 21 (The Conspirator di Robert Redford) e il 28 (L’ora dell’amore di Christian Carmosino e Non ci sto dentro di Antonio Bocola) completano il programma. Libri: “Quasi per caso”, Silvestro Picchi… gli anni di piombo dell’agente antiterrorismo Il Velino, 12 novembre 2011 Silvestro Picchi, ispettore della Digos a Firenze negli anni Settanta, sfuggì per caso al piombo del terrorista nero Mario Tuti. Oggi ricorda in un volume la sua esperienza, dalla sparatoria di Querceta all’assalto di Prima Linea al carcere delle Murate. Il 24 gennaio 1975 il nucleo antiterrorismo di Firenze è sul punto di arrestare Mario Tuti, leader del Fronte nazionale rivoluzionario, una delle più spietate organizzazioni eversive neofasciste. All’improvviso arriva però il contrordine: ad ammanettare il terrorista saranno i colleghi del commissariato di Empoli, dove l’uomo risiede. L’esito dell’operazione è nota: quando si rende conto che sono venuti per arrestarlo anziché semplicemente perquisirlo, Tuti uccide il brigadiere Leonardo Falco e l’appuntato Giovanni Ceravolo e ferisce gravemente l’appuntato Arturo Rocca. Partono da questo episodio le memorie di Silvestro Picchi, ispettore della Digos fiorentina negli anni di piombo. Incaricato in un primo momento di andare a catturare Tuti, sul quale aveva indagato per mesi, solo per caso si salvò dalla fine dei suoi colleghi. E “Quasi per caso” è il titolo scelto per il libello che ripercorre l’esperienza di quegli anni in polizia, in libreria dalla settimana prossima (Sarnus, pp. 80, € 10). Un “diario” che nasce da un rimorso maturato proprio a seguito dell’esito drammatico di quella fallita operazione. “Dentro di me iniziai a portare un peso tremendo dal quale nemmeno oggi, a tanti anni di distanza, riesco a liberarmi. So che non ho nessuna colpa - scrive Picchi - eppure sono più che convinto che se fossimo stati mandati noi ad arrestare Tuti, gli agenti empolesi sarebbero ancora vivi. Sono sicuro che non gli avremmo dato la possibilità di impugnare nessun fucile. Saremmo stati senz’altro più prevenuti nei suoi confronti”. Una voce dall’altro lato della “barricata”, quella di Picchi, che per la sua storia guarda agli anni di piombo dalla prospettiva delle vittime anziché dei terroristi, come spesso accade. Dall’ingresso in polizia, favorito dalla passione e abilità nella boxe, al duro addestramento, fino all’attività investigativa, sono numerosi i fatti degli anni di piombo in Toscana che trovano spazio nel racconto. Su tutti, la sparatoria di Cerqueta (1975), quando due evasi uccisero nel lucchese uccidono tre poliziotti durante una perquisizione domiciliare, e il fallito assalto di Prima Linea al carcere delle Murate nel 1978, dove perse la vita l’agente Fausto Dionisi. “Nei cosiddetti ‘anni di piombò - scrive nella prefazione l’ex procuratore della Direzione nazionale antimafia, Pier Luigi Vigna - il nostro Paese fu attraversato dai fili rossi e neri del terrorismo che, intrecciandosi tra loro, lo strinsero nei nodi di una rete che per poco non arrivò a soffocare la democrazia. Pagine come queste ravvivano la nostra memoria”. Libri: “Tra le mura dell’anima”, di Liliana Madeo Affari Italiani, 12 novembre 2011 “Tra le mura dell’anima” (Sabbiarossa Edizioni € 15) mi parla al cuore, e di un mondo - quello carcerario - che ho sempre bazzicato. Quando ero bambina vivevo in un carcere, in cui mio padre era direttore; un detenuto mi ha insegnato ad andare in bicicletta, i detenuti sono stati miei compagni di giochi. Di carceri mi sono occupata come giornalista, ne ho viste tante, incontrando detenuti comuni e terroristi. E trovo bellissimo il diario del progetto e delle persone che lo conducono. È emozionante il percorso, quello del gruppo dei volontari e quello delle persone coinvolte, vittime e carnefici per usare la terminologia di rito anche se qui i riti sono rimescolati. È felice l’impianto, il passaggio dall’io al noi, dall’interiorità all’oggettività, dalle cose che si immaginano a quelle che avvengono. Tra tanto dolore mi è parsa imperiosa la fiamma della speranza, la voglia di farcela, il sommerso che viene portato alla luce, l’impossibile che diventa possibile. E mi è piaciuto il linguaggio, perché i suoi salti, la sua fluidità, anche le sue ripetizioni hanno l’intensità e il valore del parlato, del parlare col cuore e non con la logica esclusiva del raziocinio. Con le emozioni e le sorprese dell’inizio. Con lo stupore per scoprire che si può riuscire a dire quello che è indicibile e a rendere partecipi di scene apocalittiche tutte sul filo dell’incognita chi sta davanti a un foglio scritto. Il viaggio che fa fare a chi legge è davvero prezioso. Il diario/racconto solleva interrogativi su di sé, porta a guardare sé e gli altri con occhi più luminosi. Si sente che è scritto col cuore, che è frutto di un’esperienza in cui sono stati in gioco mente e corpo, cuore e cervello, la disperazione del vissuto e la fiammella del continuare a vivere, del cercare di vivere meglio, che anche nei momenti più bui non ci abbandona o almeno si può non spegnere. Droga: Cnca e Forum; con Giovanardi e Serpelloni esperienza catastrofica Asca, 12 novembre 2011 La caduta del governo Berlusconi segni una svolta anche nel campo delle politiche sulle droghe. A chiederlo è il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) e il Forum Droghe che hanno lanciato oggi un appello intitolato “Giovanardi addio! (e anche Serpelloni)”. Secondo le due associazioni “il primo, in qualità di sottosegretario con la delega sulla droga, e il secondo come direttore del Dipartimento Nazionale Politiche Antidroga hanno gestito un’esperienza catastrofica”. “La legge che porta il nome di Carlo Giovanardi - si legge nell’appello - ha riempito le carceri di consumatori e di tossicodipendenti. Non solo: la retorica proibizionista ha finanziato campagne di pseudo informazione terroristiche e antiscientifiche e ha cancellato la scelta della politica di riduzione del danno con una rottura del rapporto con le Regioni e il mondo delle Comunità e delle associazioni di impegno civile e sociale e del Volontariato”. La replica del Dipartimento Antidroga Sicuramente non possiamo essere d’accordo sulle posizioni espresse da Cnca e Forum Droghe visto che, in questi anni, le loro principali proposte si sono fondate soprattutto sulla legalizzazione delle sostanze stupefacenti, sull’attivazione delle camere del buco e sulla distribuzione di eroina. Proposte assolutamente non condivisibili da questo dipartimento come, del resto, dagli altri paesi europei oltre che dalle nazioni Unite. L’accettazione di queste logiche sarebbe stata veramente “catastrofica” per i giovani italiani e per i tossicodipendenti. Oltre a questo, a dimostrazione della totale inconsistenza e falsità delle dichiarazioni, ricordiamo che: in Italia, come in altri paesi europei, al contrario di quanto affermato, vi è stato e continua ad esserci un calo del consumo delle sostanze stupefacenti; le carceri non si sono affatto riempite di consumatori e nessuno di essi è stato arrestato in base all’uso personale di droga in quanto, come tutti sanno, la detenzione a fini di uso personale non è un reato penale ma un illecito amministrativo che non prevede l’arresto. Quanto ai tossicodipendenti carcerati per aver commesso reati e non per la loro condizione di tossicodipendenti, nel 2008 sono stati 30.528; nel 2009, 25.180; nel 2010, 24.008 con un decremento chiaramente visibile del 21,4%. Oltre a questo, il numero dei soggetti tossicodipendenti usciti dal carcere in virtù dell’articolo 94 del Dpr 309/90 è aumentato in questi anni, passando da 1.380 del 2008, a 2.022 del 2009 e a 2.526 del 2010, con un aumento pari all’83%. Pertanto, tutto al contrario di quanto affermato. in questi anni, l’informazione scientifica di questo Dipartimento ha ottenuto il riconoscimento ufficiale delle maggiori società scientifiche italiane, europee e internazionali come il Nida e l’Onu. Certamente, questo non può aver soddisfatto le organizzazioni di Cnca e Forum Droghe perché tali informazioni hanno mostrato esplicitamente la reale pericolosità dei danni che le droghe (soprattutto la cannabis) producono nel cervello umano. Non ci sembra, per altro, che le organizzazioni protestatarie abbiano il minimo accreditamento scientifico; quanto alle politiche sulla riduzione del danno portate avanti in Italia, possiamo solo stendere un “velo pietoso” relativamente ai costi e all’inefficacia dimostrabile di tali politiche. Al contrario, le nostre iniziative si sono dimostrate molto più efficaci. Ricordiamo la promozione delle terapie antivirali, dei trattamenti per i tossicodipendenti e la sensibilizzazione alla riduzione dei rischi per i tossicodipendenti da parte dei Ser.T. A queste si aggiungono, iniziative mai fatte prima: la realizzazione e diffusione, su tutto il territorio nazionale, delle due Linee guida per la prevenzione delle patologie correlate e, in particolare, delle infezioni dei tossicodipendenti; a proposito dei rapporti con le Regioni, abbiamo costruito in questi anni la base per un nuovo e più avanzato rapporto con questi enti finanziando decine di progetti a favore delle amministrazioni regionali, con le quali si sta realizzando un nuovo modello di collaborazione che faccia uscire dalla vecchie modalità, spesso basate su contrapposizioni politiche che non su tecniche scientifiche. Il coordinamento delle Regioni ha infatti accettato la proposta del Dpa per poter arrivare a una risposta più unitaria e coordinata su tutto il territorio nazionale; rispetto al mondo del volontariato, basti ricordare che questo Dipartimento ha finanziato per oltre 10 milioni di euro, (record europeo) le sue organizzazioni con progetti dedicati al reinserimento e alla possibilità di sostenere meglio le difficoltà economiche di questi enti, attraverso la creazione di un’associazione nazionale di cui, contraddittoriamente, fa parte anche Cnca (grazie della riconoscenza). Riteniamo pertanto che il comunicato stampa diramato da Cnca e Forum Droghe, oltre che falso e basato su dati inesistenti, sia un’opera di pure sciacallaggio mediatico in un momento in cui il nostro paese non ha certamente bisogno di queste “bestiali conflittualità” ma di unirsi in un unico sforzo sinergico con il dovere e la responsabilità istituzionale che ci è richiesta. Stati Uniti: troppi detenuti, forse scarcerazione di massa a Los Angeles Tm News, 12 novembre 2011 Migliaia di carcerati potrebbero essere liberati dalle prigioni della contea di Los Angeles a causa del sovraffollamento delle carceri. La questione è diventata particolarmente critica con l’applicazione della cosiddetta “legge del riallineamento” che, in California, colloca nelle carceri delle contee e non più in quelle statali i detenuti per reati non violenti o minori. A causa di questo provvedimento sono 8.000 i carcerati che dovranno essere trasferiti nelle carceri della contea di Los Angeles l’anno prossimo. Per superare il problema del sovraffollamento le autorità stanno vagliando la possibilità di liberare i detenuti in attesa di processo che sono il 70 per cento di coloro che si trovano in carcere. In un’intervista al Los Angeles Times lo sceriffo Lee Baba ha spiegato che i funzionari della contea stanno studiando un modo per espandere il sistema di controllo elettronico e i programmi di arresti domiciliari in modo da tenere sotto controllo i detenuti che saranno liberati. La polizia sta anche mettendo a punto un nuovo sistema di valutazione dei rischi che aiuti a identificare quali carcerati sono i migliori candidati per uscire fuori dal carcere. Il quotidiano californiano si chiede cosa succederà nel caso di Conrad Murray, il medico di Michael Jackson che è stato giudicato colpevole di omicidio involontario. Secondo la nuova legge, Murray, che rischia fino a quattro anni di carcere, dovrebbe essere internato in una prigione della contea di Los Angeles e potrebbe essere tra i candidati al rilascio anticipato. Pensando a detenuti famosi, il 7 novembre Linday Lohan, condannata a un mese di reclusione, è stata liberata dopo appena cinque ore proprio per il problema del sovraffollamento delle carceri. Iran: impiccati 2 narcotrafficanti nel carcere centrale della città santa di Qom Aki, 12 novembre 2011 Sono stati impiccati due trafficanti di droga nel carcere centrale della città santa di Qom, a sud di Teheran. Lo riferisce oggi il sito attivo nell’ambito dei diritti umani ‘Heranà, spiegando che i due condannati, di cui non sono state rivelate le identità, erano stati condannati a morte perché riconosciuti colpevoli dal Tribunale della Rivoluzione di Qom di aver spacciato 13 chili di eroina nel Paese. Secondo quanto ha riferito il Tribunale di Qom, la richiesta di grazia, presentata da parte dei due condannati a morte, era stata rigettata dal capo del potere giudiziario iraniano, l’ayatollah Sadeq Larijani. Pertanto, a seguito della conferma della Corte Suprema, la sentenza di morte è stata eseguita. Secondo i siti attivi nell’ambito dei diritti umani, nell’ultimo anno, sarebbero state impiccate in Iran oltre 450 persone. In Iran, a partire dalla rivoluzione del 1979 e l’istituzione della Repubblica Islamica, vige il diritto penale islamico sciita che prevede la pena capitale per una serie di reati, tra questi anche il traffico di droga. Spagna: l’Eta disposta a disarmo in cambio del rilascio dei detenuti Asca, 12 novembre 2011 L’Eta ha annunciato un suo possibile disarmo in cambio delle liberazione dei suoi militanti detenuti in Spagna e Francia. Lo hanno detto due anonimi portavoce dell’organizzazione intervistati dal quotidiano basco Gara. “Deporre le armi fa parte della nostra agenda e l’Eta è disposta a prendere degli impegni”, dicono nell’intervista. Il gruppo armato chiede l’avvio di un negoziato tra Francia, Spagna e il collettivo dei suoi detenuti, sul “ritorno a casa di tutti i prigionieri ed esiliati politici baschi, il disarmo dell’Eta e la demilitarizzazione dei Paesi Baschi”. Birmania: Amnesty; prigionieri politici in sciopero della fame privati dell’acqua potabile Tm News, 12 novembre 2011 Quindici prigionieri politici stanno portando avanti uno sciopero della fame nel carcere di Insein, in Birmania. Hanno subito torture e maltrattamenti. Secondo notizie provenienti dalla Birmania, è stata loro negata l’acqua potabile e otto di loro sono tenuti in gabbie per cani. Lo riferisce Amnesty International. Il 26 ottobre, alle 12, nel carcere di Insein, 15 prigionieri politici hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la mancata riduzione della pena, che di solito viene concessa ai detenuti per reati comuni. Sarebbero stati privati di acqua potabile dal 27 ottobre al 2 novembre. Privando i prigionieri di acqua potabile, per punirli perché hanno iniziato uno sciopero della fame, le autorità carcerarie potrebbero rendersi responsabili di una loro rapida morte per disidratazione. Violerebbero così il diritto alla vita, in base al diritto internazionale, e la Dichiarazione universale dei diritti umani. Inoltre, sarebbe violato l’articolo 21 delle Norme minime dell’Onu sul trattamento dei prigionieri, in base al quale ciascun detenuto deve poter aver acqua potabile ogni volta che ne ha bisogno. Il 29 ottobre, otto dei 15 uomini in sciopero della fame sono stati trasferiti in cellette destinate ai cani; la loro identità non è stata ancora confermata. Queste celle sono lunghe circa tre metri e larghe poco più di due, ma è impossibile stare in piedi. Non hanno finestre e sono poche ventilate; sono insonorizzate e generalmente non hanno letti o tappeti e mancano di strutture igieniche adeguate. Amnesty International ha appreso l’1 novembre che due di loro sono stati portati in ospedale. Al momento non si conoscono i loro nomi né i dettagli della loro situazione clinica. Ai prigionieri in sciopero della fame, è stato loro vietato di ricevere visite dei familiari, né pacchi che normalmente contengono medicine, cibo o lettere. Emirati: attivisti in carcere annunciano inizio sciopero della fame contro maltrattamenti Adnkronos, 12 novembre 2011 Cinque attivisti, arrestati nei mesi scorsi negli Emirati con l’accusa di aver insultato le autorità, hanno annunciato che domenica inizieranno uno sciopero della fame contro i maltrattamenti subiti in carcere e il processo “imparziale” a cui sono sottoposti. Stando all’agenzia d’informazione Dpa, i cinque detenuti, il blogger Ahmed Mansour, il professore di economia, Nasser Bin Ghaith e i tre attivisti Fahad Salim Dalk, Ahmed Abdul-Khaleq e Hassan Ali al-Khamis, termineranno lo sciopero solo quando saranno rilasciati. “Siamo costretti a proclamare uno sciopero della fame finché questo processo imparziale non si chiuderà e noi tutti saremo rilasciati senza restrizioni o amnistie poiché non abbiamo commesso alcun reato né violato leggi nazionali o internazionali”, si legge in una nota firmata dai cinque detenuti e pubblicata da Human Rights Watch. Gli attivisti erano stati arrestati ad aprile dopo aver sottoscritto una petizione online in cui si chiedeva al governo emiratino di modificare la costituzione e indire libere elezioni. Sono stati incriminati per aver messo a repentaglio l’ordine pubblico e insultato le autorità. Il verdetto del processo che li vede imputati è atteso per il 27 novembre. Turchia: un'isola-prigione riservata a un uomo solo, il leader del Pkk, Abdullah Ocal Ansa, 12 novembre 2011 Un'isola-prigione riservata ad un uomo solo, il leader del Pkk, Abdullah Ocalan, che puo' essere considerato il detenuto piu' sorvegliato del pianeta: è questa Imrali, lo scoglio del Mar di Marmara nelle cui acque il blitz delle teste di cuoio turche ha ucciso il dirottatore kamikaze che aveva sequestrato per 12 ore un traghetto tentando uno show mediatico forse per attirare l'attenzione proprio sul super-terrorista "Apo". Questo è il soprannome del leader indipendentista curdo che sta scontando una condanna a morte commutata in ergastolo: è rinchiuso da 12 anni nel carcere dell'isola disabitata dal 1923 ma super-protetta da un migliaio di militari, barriere elettroniche e un divieto di avvicinarsi nel raggio di cinque miglia. La brulla Imrali affiora nel mare interno su cui, una sessantina di chilometri piu' a nord-est, si affaccia Istanbul: è piccola come la meta' dell'Asinara e nel 1935 ci fu costruito un carcere svuotato di ogni altro detenuto per meglio sorvegliare, anche con le teste di cuoio turche "Sas", quest'uomo un po' pingue di 63 anni dai baffoni e sopracciglia scure che stanno incanutendo. A tenerlo segregato e a far centellinare i contatti col mondo esterno filtrati da suoi avvocati, è il premier turco Recep Tayyip Erdogan che si rammarica in pubblico di non essere stato al potere quando Ocalan fu catturato in Kenya nel 1999 e condannato alla pena di morte poi commutata in ergastolo nel 2002, dopo l'abolizione della pena capitale in Turchia: "avrei applicato la necessaria punizione", ha avuto modo di dire Erdogan traducendo il pensiero "l'avrei impiccato". Del resto per la Turchia, gli Usa e anche per l'Ue, Ocalan è il capo di un'organizzazione terrorista che ha generato un mare di sangue, 50 volte piu' vasto di quello addebitabile ai baschi dell'Eta: dal 1984, la velleitaria lotta del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) per l'indipendenza dell'etnia curda in Turchia ha causato almeno 40 mila morti. Fu anche a causa delle porte chiuse da Russia, Italia e Grecia alla sua richiesta di asilo politico che Ocalan riparo' nel paese africano dove fu catturato da agenti turchi, con l'aiuto dei servizi segreti americani. Da Imrali, alternando proclami concilianti e minacce apocalittiche, comunque continua a dettare i tempi della lotta del Pkk, da marzo di nuovo sul piede di guerra.