Giustizia: degrado delle carceri italiane; finora tutti gli appelli caduti nel vuoto di Laura Coci Il Cittadino, 10 novembre 2011 Le prigioni italiane sono “malate”, afferma il titolo dell’ottavo rapporto dell’Osservatorio Antigone sulle carceri del nostro paese, presentato a Roma il 28 ottobre scorso e ora disponibile in libreria per le Edizioni dell’Asino. Una lettura amara ma illuminante, che denuncia i mali di un sistema in affanno, a un passo dal collasso. Dopo un’estate di appelli e istanze, culminati il 14 agosto scorso nel giorno di sciopero della fame e della sete per la convocazione straordinaria del Parlamento su giustizia e carceri, il silenzio è nuovamente calato sulla situazione di degrado e illegalità dei penitenziari italiani. Del resto, nel periodo tra giugno e ottobre, i temi della giustizia e delle carceri sono stati presenti in appena lo 0,8% delle notizie in telegiornali e spazi di approfondimento (fonte: Radicali Italiani). La vigilia di ferragosto furono oltre duemila le cittadine e i cittadini che si astennero dal cibo, affiancandosi al leader radicale Marco Pannella nella sua azione non violenta. E furono senza numero (certo non potevano dare adesione formale, né l’amministrazione penitenziaria volle contarli) i detenuti che in tutta Italia effettuarono lo sciopero del carrello -rifiutando i pasti - e la battitura serale delle sbarre: invisibili sì, ma non muti, non in silenzio. Attraverso il rapporto di Anti- gone, giova ancora una volta ripercorrere le ragioni del degrado e dell’illegalità del sistema carcerario italiano, una “questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile” (così, nel luglio scorso, il Presidente della Repubblica). Sovraffollamento. Al 30 settembre 2011 le persone detenute erano 67.428 (di cui 2.877 donne), a fronte di una capienza regolamentare di 45.817 posti, con indici senza confronto in Europa: media italiana del 148,2% (con una punta del 303%), contro la media europea del 98,4%. Soltanto 37.213 i reclusi con condanna definitiva (meno della metà!), a testimoniare l’uso e l’abuso della custodia cautelare. Stranieri e tossicodipendenti. Spropositato rispetto all’Europa il numero di persone detenute di origine straniera: non perché in Italia i migranti delinquano di più, ma perché non hanno possibilità o quasi di accedere a misure alternative; pure spropositato il numero delle persone condannate per reati correlati all’uso delle droghe, per effetto di una legislazione criminogena, come noto, tutta italiana. Tasso di criminalità. Andamento positivo, a dispetto dell’allarme politico e mediatico: nel 2010 nel nostro paese si contano 4.545 reati ogni 100 mila abitanti, a fronte di 8.481 in Germania, 7.436 nel Regno Unito, 5.559 in Francia. Misure alternative. Il rapporto rileva l’eccesso di discrezionalità da parte dei diversi tribunali nella concessione di misure alternative (affidamento in prova, semilibertà, detenzione domiciliare), con una forbice nelle percentuali di accoglimento delle istanze che va dal-l’11,6% al 39,4%. Una “giurisprudenza a macchia di leopardo”, dunque, purtroppo in linea con la discrezionalità che si riscontra in ambito carcerario: se i direttori delle strutture dispongono di potere limitato nella gestione finanziaria, certo esercitano grande arbitrio nel regolare la quotidianità all’interno dei singoli istituti di pena. Scarsità di risorse. L’amministrazione penitenziaria presenta un debito di oltre 120 milioni di euro nei confronti dei fornitori di beni e servizi essenziali al mantenimento delle persone detenute, alle quali (è bene ricordarlo), scontata la pena, lo Stato presenterà il conto della reclusione. “Non abbiamo più nemmeno i soldi per pagare il riscaldamento” ha dichiarato Maria Pia Giuffrida, provveditore dell’amministrazione penitenziaria toscana. Personale insufficiente. I magistrati di sorveglianza sono 193 anziché 208; le unità di Polizia penitenziaria 39.232 anziché 45.109. Sotto organico anche l’area del trattamento: soltanto 1.031 educatori (invece di 1.331) e 1.105 assistenti sociali (invece di 1.507). Cassa delle ammende. Il cosiddetto decreto “mille proroghe” ha recentemente stabilito che fondi della Cassa delle ammende (nella quale confluiscono le sanzioni pecuniarie che i giudici impongono ai condannati, i versamenti cauzionali, i proventi delle manifatture realizzate dai reclusi) possono essere utilizzati non - come da mandato - per la riabilitazione delle persone detenute, ma per progetti di edilizia carceraria. Cento milioni di euro. Che non basteranno, perché il piano carceri prevede un importo di 661 milioni di euro per la costruzione di undici nuovi istituti e un totale di 9.150 nuovi posti (entro la fine del 2012). Se permarranno le condizioni attuali, i posti mancanti saranno comunque migliaia. Una beffa. Ricorsi alla Corte Europea. Con la sentenza del 16 luglio 2009, relativa al caso “Sulejmanovic contro Italia”, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato la violazione dell’articolo 3 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”: le condizioni di detenzione di Izet Sulejmanovic nel carcere romano di Rebibbia, a causa del sovraffollamento, sono state assimilate a tortura e a pene o trattamenti inumani o degradanti. Da allora il difensore civico dei diritti delle persone private della libertà di Antigone ha presentato alla Corte Europea 150 ricorsi contro le condizioni di detenzione nelle carceri italiane; altri 200 sono stati prodotti direttamente da persone ristrette. Celle di undici metri quadrati in cui convivono sei reclusi, bagni sprovvisti di acqua calda, pasti consumati (a turno) nelle celle, ove i detenuti sono costretti a restare distesi nelle brande anche venti ore al giorno, per mancanza di spazio: condizioni, è evidente, incompatibili con il rispetto della dignità umana. Il rapporto di Antigone non è il solo strumento di conoscenza, di analisi, di denuncia, in questo difficile autunno, a testimoniare che in uno stato di diritto è intollerabile negare tutti i diritti a un cittadino a causa della sua condizione. Danno voce, e volto, al detenuto ignoto la video inchiesta di Radio Radicale “Giustamente” e il film documentario di Maurizio Cartolano “Mostri dell’inerzia”. La prima (visibile sul sito www.radicali.it) propone un viaggio all’interno di otto tra le realtà carcerarie italiane più problematiche; il secondo (in distribuzione il 30 novembre prossimo in abbinamento a “Il Fatto quotidiano”) è dedicato ai 177 morti in cella nel 2009: tra loro, Stefano Cucchi. “Punire non serve”. È la tesi dell’ultimo, coraggioso libro di Gherardo Colombo, dal titolo “Il perdono responsabile”. Il dolore del carcere - inconcepibile per chi non lo prova - non crea consapevolezza e responsabilità, ma obbedienza e disperazione. “Si può educare al bene attraverso il male?” si chiede Gherardo Colombo. La risposta è no. Giustizia: Ferranti (Pd); passaggio alle Asl ha creato problemi per la sanità penitenziaria Agenparl, 10 novembre 2011 “C’è un problema di rischio sanitario nel momento in cui c’è un sovraffollamento grave”. Donatella Ferranti, deputata Pd, commenta così all’AgenParl l’emergenza sanitaria nelle carceri italiane per tutti gli addetti ai lavori, come ad esempio per la polizia penitenziaria. “Manca il funzionamento effettivo della sanità penitenziaria - sottolinea la Ferranti - Da quando i medici non sono più appartenenti all’amministrazione penitenziaria si sono creati dei problemi di funzionamento con il trasferimento delle competenze alle regioni, quindi alle Asl. Anche la prevenzione implica, ad esempio, che il medico sia presente all’ingresso, così come lo psicologo. Ma mancano i medici e gli psicologi e si cerca di risolvere questo problema con consulenze esterne, con un monte-ore molto ridotto e quindi tutto questo incide sulle condizioni di prevenzione e di intervento sanitario e psicologico”. Giustizia: Radicali; informazione su carceri non è argomento noioso per opinione pubblica Notizie Radicali, 10 novembre 2011 Record di ascolti per servizi e approfondimenti in onda su Rai e Mediaset con le immagini di Radio Radicale. Dati del Centro d’Ascolto dell’informazione radiotelevisiva dimostrano che c’è interesse del pubblico quando media se ne occupano. Gli ascolti hanno premiato i telegiornali e i programmi di approfondimento che nell’ultima settimana hanno scelto di occuparsi della grave situazione delle carceri italiane, mandando in onda le immagini di “Giustamente”, la video-inchiesta a cura di Valentina Ascione, Simone Sapienza e Pasquale Anselmi, prodotta da Radio Radicale per il sito FaiNotizia.it. Qualche esempio: secondo i dati del Centro d’Ascolto dell’Informazione radiotelevisiva il servizio sulla crisi del sistema penitenziario con le immagini girate da Radio Radicale, andato in onda come 13esima notizia su 19 nell’edizione del Tg5 delle 20 il 27 ottobre scorso, ha registrato un ascolto medio di 5.430.188 e lo share del 20,83 per cento, superando di quasi 350 mila telespettatori la media dell’edizione che si è attestata a quota 5.082.949 con uno share del 20,18 per cento. L’edizione del Tg3 delle 19 di venerdì 28 ottobre ha registrato un ascolto medio di 2.630.731 con uno share del 15,1%, ma il servizio sullo stato delle patrie galere, con le immagini della casa circondariale di Brescia Canton Mombello girate da Radio Radicale, è stato seguito da 3.136.044 telespettatori, con uno share medio del 16,42%. Facendo dunque registrare 505.000 telespettatori in più della media dell’edizione, nonostante fosse la penultima notizia in scaletta. Ma non è tutto. La puntata del 30 ottobre dell’approfondimento del Tg5 “Terra!” dal titolo “Codice a sbarre”, interamente dedicata al carcere con ampi estratti dell’inchiesta di Radio Radicale e un’intervista alla deputata radicale Rita Bernardini ha incassato il record di ascolti della stagione superando anche la puntata speciale sugli scontri del 15 ottobre. Alla luce di questi dati, ora che il tabù è stato infranto, non c’è davvero più ragione per l’informazione di sacrificare quel che il Presidente della Repubblica ha definito “una prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Giustizia: aumenta la “tassa” per gli appelli, obiettivo sfoltire il contenzioso di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 10 novembre 2011 Penalizzare le impugnazioni. E accelerare gli appelli. Incentivare l’utilizzo della posta elettronica da parte degli avvocati. È su queste coordinate che si muove il capitolo sulla giustizia civile del maxiemendamento presentato ieri al Senato. Che prevede il rinnovo di una manifestazione di interesse per gli appelli pendenti da almeno due anni e per i ricorsi in Cassazione a sentenze pubblicate prima dell’estate 2009 (quando entrò in vigore la miniriforma della procedura civile). Le cancellerie dovranno avvisare le partì dell’obbligo di presentare un’istanza di trattazione entro 6 mesi dal ricevimento dell’avviso. In assenza dell’istanza, l’impugnazione si intenderà rinunciata. Nel Codice dì procedura civile è poi introdotta una serie di modifiche per velocizzare gli appelli, penalizzando chi chiede la sospensione della sentenze già emesse, permettendo l’assunzione delle prove daparte di un unico componente del collegio, accelerando i tempi di decisione della causa già matura. Inappellabili poi le pronunce previdenziali in materia di invalidità. Il maxiemendamento sancisce inoltre un drastico aumento per le impugnazioni: della metà del contributo unificato oggi previsto in caso di appello e un raddoppio secco dell’importo attuale per i ricorsi in Cassazione. Previsto anche il conseguente versamento dell’importo più elevato se il valore della controversia cresce in corso d’opera. Il rincaro è applicabile anche alle impugnazioni pendenti e il maggiore gettito non andrà più a finanziare i costi degli ausiliari del giudice, cancellati dalla versione finale del testo, ma a interventi di funzionamento degli uffici (con particolare riferimento ai servizi informatici e all’esclusione delle spese per il personale). L’innalzamento dei costi della giustizia per i cittadini ha già fatto uscire allo scoperto il Cnf che, tabelle alla mano, ha stimato che una lite per risarcimento danni da 5omila euro nei confronti di una compagnia assicurativa passerebbe da 1.122 a 13.531 euro, tenuto conto anche dei costi della conciliazione obbligatoria. Giustizia: Lisiapp; attivato osservatorio su aggressioni a Polizia penitenziaria Adnkronos, 10 novembre 2011 “Basta aggressioni, basta violenze gratuite agli agenti”: a protestare è il Lisiapp, libero sindacato appartenenti polizia penitenziaria, che annuncia di aver attivato un osservatorio sul fenomeno delle aggressioni subite dagli agenti. “Servirà a raccogliere le aggressioni quotidiane e a preparare un report da sottoporre all’amministrazione penitenziaria - si legge nella nota sindacale - per cercare di trovare soluzioni al fenomeno infamante delle aggressioni”. Inoltre, il Lisiapp lamenta che “l’amministrazione sta disattendendo una circolare sui centri di ascolto riservati esclusivamente alla polizia penitenziaria sul fenomeno dei suicidi, mentre si dà corsia preferenziale all’istituzione di una analoga struttura organizzativa riservata ai detenuti, grazie anche al contributo delle Regioni”. Il Lisiapp si dice “contrario perché, se è giusto curare le condizioni di stress dei detenuti, è invece una priorità istituzionale assoluta capire gli effetti dei fenomeni che colpiscono gli uomini e le donne della polizia penitenziaria, che sono sottoposti ad analoga patologia ma con cause diverse, riconducibili alle condizioni di lavoro cui sono chiamati”. Lettere: pago i miei errori.. ma qui vivo come bestia La Gazzetta di Modena, 10 novembre 2011 Vi scrivo dal carcere di S. Anna (Modena), scrivo nella speranza che questa lettera vada in buone mani nella speranza di riuscire a darvi informazioni rilevanti che non dovrebbero essere sempre messe in secondo piano. Volevamo informarvi di come qui i diritti umani sono allo sbando... immagino che l’argomento non vi è nuovo ma credo anche che non potete sapere tutto come per chi come me vi vive qui dentro! Premetto che è giusto che chi sbaglia paghi, come d’altronde sto facendo io! Ma il problema è ben altro, tipo sovraffollamento, siamo tutti attaccati ad altri, pieno di magrebini senza documenti che a parer mio andrebbero rimpatriati. La direttrice del carcere dice che non ci sono fondi, e così ha deciso di non darci più dentifricio e né carta igienica! Qui abbiamo un orto e a tre metri montagne di pattume, mangiamo verdure pieni di batteri, così se prima eravamo sicuri di essere entrati con un minimo di salute ora possiamo già darci per spacciati! Le docce sono completamente arrugginite. Non inoltro questa lettera nella speranza di trasformare il carcere in un albergo ma semplicemente un minimo di tutela. Del resto siamo tutti peccatori ma non per questo possiamo vivere come bestie. Lettera firmata Lettere: il carcere di Vigevano è sovraffollato… non portate più nessuno La Provincia Pavese, 10 novembre 2011 “Il carcere è sovraffollato, non mandate più nessuno a Vigevano”. È l’appello di alcuni detenuti della Casa circondariale della frazione Piccolini, lanciato attraverso una lettera alla Provincia Pavese, per sottolineare che il carcere scoppia di presenze. “In questo istituto tutte le stanze di detenzione, tranne pochissime, sono occupate da tre detenuti - sostengono - e lasciamo immaginare il degrado e l’invivibilità”. La comunità, dicono i detenuti, “non può restare impassibile, né sottovalutare una realtà che non esplode, o non è ancora esplosa, solo grazie al buon senso degli operatori penitenziari, cui non possiamo non riconoscere un grande sforzo umano per rendere meno angosciante questa nostra condizione, e della maggior parte di noi detenuti, che non immaginiamo poter durare ancora a lungo”. Molti, è scritto nella lettera, “devono scontare ancora alcuni anni di detenzione, e in condizioni del genere non si può pensare di vivere neanche per un giorno, perciò l’unica nostra richiesta, anzi invocazione, è di convincere gli organi preposti a non considerare più accettabile l’invio, in questo istituto, di detenuti da altri carceri, così da permettere un graduale sfollamento fino a raggiungere un numero tollerabile, senza che un terzo dei ristretti dorma a terra, e in una cella di quattro metri quadri calpestabili, vivano tre detenuti”. “Se c’è un arresto o una retata il detenuto va necessariamente accettato - spiega il direttore aggiunto del carcere, Mariantonietta Tucci - Il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria gestisce con buon senso tutte le carceri della Lombardia. In questo periodo, infatti, qui stanno arrivando pochi detenuti, perché il provveditorato regionale sa che esiste un problema di sovraffollamento anche nel carcere di Vigevano”. Circa la situazione nelle celle “è vero - spiega Tucci - che c’è un detenuto su tre che dorme sul materasso appoggiato a terra, ma per il terzo letto ci stiamo attrezzando con l’acquisto di brande pieghevoli”. Sassari: detenuto accusato di violenza sessuale suicida in cella, agente indagato La Nuova Sardegna, 10 novembre 2011 Poche ore prima di impiccarsi con i lacci delle scarpe, uno specialista aveva avvisato, scritto nero su bianco: “Altissimo rischio di suicidio”. Il giorno successivo, un detenuto di San Sebastiano si è tolto la vita per vergogna. Era stato arrestato per sospetti abusi su minore: vero o falso che fosse, per lui tanto bastava - anche solo l’accusa - per farla finita. Inizialmente i familiari avevano pensato a un omicidio all’interno del braccio “promiscui” del penitenziario di San Sebastiano, dove viene recluso chi commette reati a “riprovazione sociale”. Invece secondo la procura della Repubblica, che ha appena chiuso le indagini, il suicidio è stato possibile per la “negligenza” di chi doveva controllare, e secondo l’accusa non l’ha fatto. Sotto inchiesta c’è l’agente di Polizia penitenziaria in servizio quel giorno, il 17 luglio 2010, Mario Usai, indagato per l’ipotesi di omicidio colposo. Per il momento solo un’ipotesi, contestata dal sostituto procuratore Maria Grazia Genoese, che presto passerà al vaglio del giudice dell’udienza preliminare. Il detenuto era un artigiano della provincia arrestato il 14 luglio, quattro giorni prima la morte, su ordine di custodia: era sospettato di aver abusato della figlia. Ma prima ancora di capire quali fossero le prove a suo carico, era stato assalito dalla disperazione. “È un’infamia”, continuava a dire, anche davanti al giudice delle indagini preliminari nell’interrogatorio di garanzia. In carcere, il medico che lo aveva visitato aveva definito “altissimo” il rischio che potesse togliersi la vita, tanto che la mattina successiva - il 17 - il comandante della polizia aveva firmato un provvedimento per segnalare ai suoi sottoposti il pericolo. Ma forse non c’è stato nemmeno il tempo di rispettare quell’ordine. Poche ore dopo, l’artigiano ha rifiutato di andare all’ora d’aria ed è rimasto nella cella numero 14, da solo, per usare i lacci come un cappio. Quando l’agente in turno, Usai, è entrato forse era già morto. Inizialmente erano finiti sotto inchiesta per la stessa ipotesi anche il comandante, il preposto e il direttore del carcere, Teresa Mascolo. Poi le indagini hanno rivelato la loro estraneità a quel caso: per loro il pm ha chiesto l’archiviazione. Ora l’agente indagato, assistito dall’avvocato Sergio Milia, può chiedere di essere interrogato, così come aveva risposto alle domande dell’inchiesta interna al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. I familiari del detenuto sono rappresentati, in qualità di persone offese, dagli avvocati Nicola Lucchi e Andrea Mancaleoni. Brescia: la morte di Saidou Gadiaga… un corteo per chiedere giustizia http://quibrescia.it, 10 novembre 2011 Giustizia per Elhadji. La chiedono, in primo luogo, i familiari del 37enne immigrato senegalese Saidou Gadiaga, morto per un attacco d’asma mentre era detenuto nella caserma Masotti di Brescia, e anche la comunità senegalese insieme con le associazioni antirazziste di Brescia. La richiesta è quella di non archiviare, diversamente da quanto invece proposto dal pm Francesco Piantoni, la vicenda del decesso dell’immigrato clandestino, che ha suscitato diverse polemiche dopo la pubblicazione del video sugli ultimi minuti di vita di Elhadji, per chiarire i “sospetti di ombre nella vicenda sono stati fortemente rafforzati”, come ha osservato l’avvocato Manlio Vicini, legale della famiglia. “L’inchiesta”, si legge sul sito di Radio onda d’Urto, “è subito nata male, con elementi di inopportunità: in primis l’affidamento delle indagini al pm Piantoni, lo stesso che aveva negato il trasferimento di Gadiaga dalla caserma dei carabinieri al carcere di Canton Mombello”. “In secondo luogo”, viene sottolineato, “risulta inadeguato chiedere di fare chiarezza su una vicenda avvenuta in una caserma dei carabinieri agli stessi uomini dell’Arma e non ad altri corpi dello Stato”. “Infine”, come viene rimarcato dalle associazioni antirazziste che hanno tenuto alta l’attenzione sul caso di Saydou, “è indecente il premio conferito al maresciallo di turno quella notte, che non ha risposto alle richieste di aiuto di Elhadji”. L’associazione Diritti per tutti che ha fissato per sabato 12 novembre una manifestazione in piazza Loggia per chiedere di accelerare le pratiche per i rilasci dei permessi di soggiorno relativi alla sanatoria di colf e badanti del 2009, scenderanno in piazza, insieme con la comunità senegalese, per manifestare solidarietà e chiedere giustizia per Elhadji. Reggio Calabria: mancano gli agenti? telefoni nelle celle per “chiamate di emergenza” Il Velino, 10 novembre 2011 Il direttore della casa circondariale di Reggio Calabria, quale soluzione per la mancata vigilanza all’interno della sezione semilibertà, fa istallare un telefono all’interno della camera detentiva per contattare il personale di polizia penitenziaria all’occorrenza”. Lo denuncia il vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Mimmo Nicotra, che dichiara: “Chiediamo l’intervento del capo del Dap e del Provveditore per conoscere se queste decisioni sono condivise dall’amministrazione centrale e dal provveditore”. Modena: Boschini (Pd); mancano agenti, ma il ministero sottovaluta il problema Dire, 10 novembre 2011 “Le ultime dichiarazioni del procuratore Zincani sulla carenza di uomini e mezzi delle Forze dell’ordine certificano senza possibilità di smentita ciò che il Pd modenese denuncia da tempo. Altro che esubero di personale, come incredibilmente sostiene il sottosegretario all’Interno Mantovano”. Il segretario cittadino del Pd, Giuseppe Boschini, richiama così l’attenzione alla “realtà” che è poi quella “denunciata dai sindacati di polizia e, ora, dal Procuratore: un’assoluta insufficienza di risorse umane e materiali che, pur non essendo un problema solo modenese, tuttavia a Modena trova condizioni di particolare gravità, anche per la presenza del Centro di identificazione ed espulsione”. Boschini non dimentica “la gravissima carenza di organico della Polizia penitenziaria, con i conseguenti rischi per la sicurezza di operatori, detenuti e cittadini”. Insomma, riassume, “siamo di fronte, e non da ora, a una drammatica sottovalutazione del problema, confermata dal sostanziale rifiuto, da parte del Governo, di dotare anche la nostra regione di una struttura della Direzione investigativa antimafia che sia in grado di contrastare più efficacemente le infiltrazioni della criminalità organizzata”. Secondo il democratico, poi, la crisi economica e politica “non giustifica in alcun modo una simile disattenzione sui temi della sicurezza” e “la politica dei tagli indiscriminati, attuata finora dal Governo, mette a rischio l’attività investigativa e di controllo del territorio”. Ad ogni modo Boschini promette in una nota l’impegno del Pd “per ottenere quelle risposte che i cittadini e le istituzioni attendono da tempo, a maggior ragione nell’attuale difficilissima congiuntura economica e politica”. Monza: Uil-Pa; carcere allagato da infiltrazioni pioggia, disagi per agenti e detenuti Comunicato stampa, 10 novembre 2011 Nella Casa Circondariale di Monza è in atto un vero e proprio allagamento degli ambienti a causa delle copiose infiltrazioni di acqua. Il problema, in verità era già stato più volte segnalato a tutti i livelli dalla scrivente O.S., basti vedere la nota n.5917 del 22/11/2010 e la nota n. 4164 del 11/12/2007 giusto per citare le due visite effettuate da una delegazione Uil ai luoghi di lavoro dell’istituto, senza però registrare interventi risolutivi alle problematiche evidenziate. Le copiose piogge di questi ultimi giorni non hanno fatto altro che aggravare una situazione già critica infatti si registrano abbondanti infiltrazioni alla struttura e più precisamente nei seguenti settori: colloqui, matricola, sezione As, palestra detenuti, lavanderia e magazzino, box passeggi, reparto femminile, lavorazioni e caserma agenti. Gli ultimi provvedimenti adottati dall’Autorità Dirigente per tamponare la situazione sono quelli della chiusura di alcuni settori della matricola e di alcune celle della sezione As, anche se, evidentemente, la situazione è destinata a degenerare. Da rilevare che il terzo piano della caserma agenti è stato dichiarato inagibile già da tanto tempo proprio per le infiltrazioni di acqua. È del tutto evidente che le predette infiltrazioni generano grosse preoccupazioni anche in materia di sicurezza degli ambienti di lavoro e detentivi in quanto l’acqua entrando in contatto con apparati elettrici e prese dell’impianto elettrico dell’istituto, potrebbe causare danni irreparabili nonché mettere a repentaglio la sicurezza degli operatori penitenziari e degli stessi detenuti. Premesso quanto sopra, auspichiamo che le SS.LL. vogliano disporre urgenti e immediati sopralluoghi da parte delle autorità competenti al fine di mettere in sicurezza la struttura e, immediatamente dopo, disporre l’assegnazione di adeguate risorse economiche utili a riparare i tetti dell’istituto. Nell’attesa di cortese urgente riscontro, porgiamo distinti saluti. Bolzano: fuga di Max Leitner, si dimette il cappellano indagato per procurata evasione Alto Adige, 10 novembre 2011 A seguito dell’evasione del rapinatore Max Leitner, il carcere di Asti ha “invitato” gentilmente don Giuseppe Bussolino a dimettersi da cappellano dell’istituto penitenziario. Il sacerdote, dunque, ha lasciato il suo posto. È indagato per procurata evasione. “Il carcere si è messo in contatto con la Curia di Asti - spiega don Giuseppe Bussolino -. Hanno chiesto le mie dimissioni, che sono dunque arrivate. Ma non mi dispiace. Va bene così”. Il sacerdote sembra essere tranquillo, pur rischiando dai sei mesi ai cinque anni di carcere per procurata evasione. Il noto rapinatore di Elvas, infatti, era stato affidato all’oramai ex cappellano del carcere piemontese. Gli inquirenti si chiedono ancora adesso, come mai il sacerdote non abbia dato l’allarme prima. Don Giuseppe Bussolino ha atteso due giorni prima di dire alla polizia penitenziaria di avere accompagnato Max Leitner a Naz Sciaves, pur sapendo che era vietato al detenuto lasciare Asti. Per questo motivo, alla fine, la direzione del carcere ha deciso di far intervenire la Curia, affinché il sacerdote si dimettesse: “È un forte segnale quello che vogliono lanciare - prosegue don Giuseppe Bussolino -. Ma ho scritto una lettera che ora è in mano al mio avvocato. Decideremo se farla pubblicare o meno. Cosa contiene? La mia presa di posizione l’intera vicenda”. L’ex cappellano del carcere di Asti ha deciso di passare all’attacco: “Parliamoci chiaro: non sono l’unico responsabile di tutta questa storia - sbotta don Giuseppe Bussolino - Non puoi reintegrare nella società un detenuto, che risulta essere pericoloso. E soprattutto: perché mi è stato affidato? Come facevo io a sapere che Leitner poteva fuggire da un momento all’altro? Per questo motivo ho deciso di scrivere una lettera che verrà inoltre consegnata alle forze dell’ordine. Sono stato già sentito diverse volte dalla polizia penitenziaria di Asti, dai carabinieri altoatesini. Ma nessuno sembra prendere in considerazione che non sono stato io a concedere così tanti permessi al rapinatore altoatesino”. La posizione del sacerdote non è delle migliori: don Giuseppe Bussolino, infatti, è stato ripreso dalle telecamere di un istituto bancario mentre cambiava dei dollari in euro. Secondo gli inquirenti il denaro è stato poi consegnato a Max Leitner. Non solo: il giorno del rientro del rapinatore, il cappellano aveva solo detto di non averlo visto rientrare. Poi, dopo essere stato sottoposto ad un lungo interrogatorio, è crollato e ha dapprima ammesso di averlo portato in Trentino, poi in Alto Adige. Volterra (Si): Punzo e la Compagnia dei detenuti-attori nel libro di Lapo Ciari Il Tirreno, 10 novembre 2011 Una giovane casa editrice (La Conchiglia di Santiago) e un giovane studioso di teatro (Lapo Ciari, scrittore, attore, drammaturgo, una laurea al Cmt di Pisa, tra gli animatori dell’associazione culturale “Territorio Teatro”) si incontrano in un testo che racconta, dall’interno, dai mille particolari che compongono l’atmosfera di uno spettacolo prima che questo venga presentato al pubblico, il grande sogno utopico di Armando Punzo e della Compagnia della Fortezza. La scommessa di un gruppo di detenuti-attori che nello sguardo visionario del loro regista hanno cercato, e trovato, una nuova ipotesi di libertà. Il volume, “Armando Punzo e la scena imprigionata” - Ciari (nella foto) l’ha presentato a Pontedera in occasione dell’Era dei Libri - ricostruisce, da una prospettiva insolita e privilegiata (l’autore ha potuto seguire da vicino il lavoro di Punzo nei mesi che hanno preceduto la messa in scena di “Hamlice”, spettacolo che nel 2010 si è aggiudicato il Premio Ubu per la migliore regia), il misterioso rito che gli interpreti della Compagnia di Volterra ripropongono. “Diceva Paul Klee: “L’arte non deve rappresentare ciò che si vede, ma deve rendere visibile l’invisibile”“, spiega Ciari. “Il teatro è così: fa vedere l’invisibile. Gli spettacoli di Armando Punzo sono sogni a occhi aperti. Con l’unica differenza che ciò che accade davanti ai nostri occhi non è frutto della mente, ma di un altro sognatore. Nelle rappresentazioni di Punzo i sogni si basano sul fantastico, il paradosso: il ribaltamento. Come sapeva bene Shakespeare, “teatro e sogno parlano la stessa lingua”. Caserta: porta due grammi di hascisc al figlio recluso, donna 60enne arrestata Ansa, 10 novembre 2011 La droga - circa due grammi di hascisc - era stata nascosta nella piega di una tuta ginnica che doveva essere recapitata ad un giovane detenuto dell’agro aversano rinchiuso nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Ma gli agenti della polizia penitenziaria addetti al servizio di controllo hanno scoperto la droga ed hanno arrestato la mamma del giovane recluso che aveva portato il pacco contenente biancheria e abbigliamento, tra cui anche la tuta. Si tratta di una donna di 60 anni che ora si trova rinchiusa nello stesso istituto in attesa dei provvedimenti che verranno adottati dall’autorità giudiziaria. Il servizio di controllo sui pacchi che entrano all’interno dell’istituto viene svolto dagli agenti della polizia penitenziaria, coordinati dal commissario Michele Fioretti, ed è particolarmente serrato. E già in diverse occasioni, gli agenti della polizia penitenziaria hanno sventato il tentativo di introdurre stupefacenti nel carcere. Cuba: italiano condannato per omicidio “non hanno prove e mi hanno torturato” La Gazzetta di Reggio, 10 novembre 2011 “Gli servivano i colpevoli di un delitto, e hanno preso noi che neppure ci conoscevamo, e neppure conoscevamo quella bambina. Peggio: ci accusano di aver commesso fatti qui a Cuba, quando invece eravamo chi in Italia, chi a Panama, come me. Eppure nessuno ci ha tirato fuori da questo incubo. Chiedo al Governo di fare qualcosa, perché ci sono le prove che noi siamo innocenti”. Dal carcere cubano dove è detenuto dal giugno 2010, Angelo Malavasi, il 46enne mirandolese condannato a 25 anni in settembre, grida al telefono della Gazzetta la sua innocenza e fa esempi concreti, date, episodi. “Ma non posso parlare del tutto - aggiunge in dialetto mirandolese, per non farsi capire dai secondini che lo ascoltano - perché se dico tutto qui sparisco per anni. Quando mi hanno arrestato mi hanno tenuto 90 giorni in quella che qui chiamano la cella della tortura. Sono stato picchiato, volevano che confessassi, mi è stato manipolato il cervello, alla fine vieni costretto a dire un po’ di quello che vogliono... L’ho detto ai giudici, ma non è servito”. Con gli altri tre italiani (uno è contumace) è accusato per droga, festini con ragazzine, poi di quell’omicidio della 12enne trovata mutilata: “Nella sentenza mi accusano ad esempio di aver partecipato ad un festino il 20 febbraio 2010. Quel giorno ero a Panama, come dimostrano i timbri sul passaporto e come hanno testimoniato italiani e panamensi che erano con me. Gli altri due italiani che hanno condannato hanno dimostrato che il giorno del delitto della bambina, il 14 maggio, erano in Italia. Ma non è servito. Gente poi che io non frequentavo, né conoscevo...” “Dicono che quando hanno trovato il corpo della ragazzina nel bosco - continua a raccontare Angelo - a distanza di giorni, aveva addosso il mio odore, percepito da un cane. Questa è la prova, l’unica. Capite?”. Cosa vuoi dire ai tuoi amici e parenti in Italia? “Di mobilitarsi, tutti insieme, con le nostre famiglie e le istituzioni nazionali. Non lasciateci morire in questo oblio, con le prove della nostra innocenza. Se fossi colpevole di quelle nefandezze - conclude - non sarei rimasto qui, ad un mese dal delitto. Anzi, avevo già prolungato di altri due mesi. Salvateci”. Libia: l’ex premier Baghdadi al Mahmudi avrà un processo equo Ansa, 10 novembre 2011 Quando sarà consegnato alle autorità libiche, l’ex premier libico Baghdadi al Mahmudi avrà un processo equo e godrà di una detenzione nel rispetto dei suoi diritti. Lo ha detto, all’agenzia Pana, Ibrahim Abderrahmane, capo di gabinetto del presidente dell’Alta corte libica. Mahmudi, come ha deciso ieri una corte d’appello tunisina, sarà consegnato alle autorità di Tripoli che ne hanno chiesto l’estradizione. Secondo Abderrahmane, Mahmudi sarà detenuto in una cella singola e trattato conformemente ai principi dei diritti dell’Uomo, oltre a potere incontrare i suoi familiari, gli avvocati del suo collegio di difesa e i rappresentanti di organizzazioni nazionali e internazionali. Israele: confermata condanna per ex presidente Moshe Katsav, in carcere dal 7 dicembre Agi, 10 novembre 2011 La Corte Suprema israeliana ha confermato la condanna a sette anni di carcere per Moshe Katsav, riconosciuto colpevole in primo grado di stupro e molestie sessuali nei confronti di alcune dipendenti. Katsav sarà quindi il primo ex presidente dello Stato ebraico a finire in carcere: per lui, riferiscono i media israeliani, le porte della prigione si apriranno il 7 dicembre. La corte, composta dai tre magistrati Edna Arble, Miriam Naor e Salim Joubran, ha respinto all’unanimità l’appello di Katsav, che era arrivato in tribunale accompagnato dai figli e da altri familiari; la moglie Gila era invece rimasta a casa. Presidente israeliano dal 2000 al 2007, Kastav era stato condannato lo scorso marzo a sette anni di carcere - e al pagamento di 20mila euro - dalla Corte distrettuale di Tel Aviv. I giudici lo avevano riconosciuto colpevole di stupro ai danni di una funzionaria quando era ministro del Turismo e di abusi e molestie sessuali nei confronti di altre due funzionarie della presidenza tra il 2000 e 2007. Alla lettura della sentenza, l’ex capo di Stato aveva gridato che si trattava di “una vittoria delle menzogne”. Katsav si è infatti sempre proclamato innocente, asserendo di essere vittima di un complotto mediatico. A maggio i suoi avvocati avevano deciso di presentare appello alla Corte Suprema, sostenendo che la relazione tra l’ex capo di Stato e la donna fosse stata consensuale: una linea di difesa respinta dalla Corte, secondo cui “non vi è alcuna prova” di una relazione consensuale fra le parti. Katsav è stato il primo presidente israeliano coinvolto e travolto da uno scandalo sessuale: fu infatti il sexgate a costringerlo alle dimissioni, nel 2007, da ottavo Capo dello Stato ebraico. Ma il 66enne membro del Likud nella sua carriera ha totalizzato anche altri primati, seppur di tutt’altra natura. Maggiore di otto figli, è nato a Yadz, in Iran. Nel 1951 emigrò con la famiglia in Israele, crescendo nella tendopoli per immigrati di Kiryat Malachi. E proprio gli abitanti di Kiryat Malachi lo elessero sindaco nel 1969, all’età di soli 24 anni, trasformandolo nel più giovane primo cittadino di tutto Israele. Entrato alla Knesset, fece una rapida carriera politica, divenendo, tra l’altro, ministro del Turismo e vicepremier nel governo di Benjamin Netanyahu. Poi l’elezione a presidente, avvenuta nel 2000, che lo vide prevalere su Shimon Peres. Così Katsav divenne il primo presidente d’Israele proveniente dalle fila dei conservatori e, per di più, il primo nato in un Paese islamico, qual è l’Iran. Durante il suo mandato, inoltre, è stato il primo capo di Stato a visitare l’Austria dai tempi del nazismo. Egitto: cresce rete solidarietà a blogger arrestato… no a giustizia militare per civili Ansa, 10 novembre 2011 Sono migliaia le adesioni alla campagna “free@alaa”, lanciata su internet e sui social network per ottenere la scarcerazione del blogger e attivista ventinovenne egiziano Alaa Abdel Fattah. Arrestato domenica 30 ottobre con l’accusa di avere incitato alla violenza durante i sanguinosi scontri alla sede della televisione pubblica egiziana, la decisione della procura militare di metterlo in custodia cautelare per quindici giorni ha scatenato un’ondata di indignazione che dall’Egitto si è estesa all’estero. Alaa proviene da una famiglia di notissimi attivisti e intellettuali. Il padre, Ahmed Seif El-Islam Hamed, è un avvocato, in passato responsabile del centro Hisham Mubarak per i diritti umani, arrestato negli anni ottanta e in carcere per cinque anni per la sua attività politica. La madre, Laila Soueif, docente universitaria anche lei attivista, ha cominciato uno sciopero della fame per chiedere la liberazione del figlio e la fine dei giudizi militari per i civili. In una lettera aperta respinge i processi militari e bolla come “comici” quelli contro i Fratelli musulmani prima della rivoluzione di gennaio. “Respingevamo questi processi militari e ora come possiamo accettare questi?” si chiede. La sorella di Alaa, Mona Seif, è la fondatrice della campagna “No ai processi militari”. E infine c’è l’amata moglie Manal, autrice con Alaa del seguito blog Manalaa e incinta di nove mesi. A lei si rivolge il giovane blogger nella seconda lettera che è riuscito a fare pervenire dalla prigione di ‘lussò di Tora, dove il blogger racconta di avere chiesto di essere traferito perché non sopportava più le dure condizioni della prima prigione. “Scrivo questa lettera con un senso di colpa: sono stato trasferito di prigione perché non sopportavo più le condizioni difficili, la sporcizia, gli scarafaggi che ti passano sopra sosta, l’assenza di luce”. Per non parlare, aggiunge, delle scene di “persone torturate o lasciate a marcire nelle celle”. “Storie che ho raccolto - scrive a chi segue il suo blog - e che voglio condividere con voi quando sarò rilasciato”. Davanti a Tora, nota perché vi sono detenuti noti ex esponenti del regime Mubarak, qualche centinaio di manifestanti ha organizzato oggi una protesta per chiedere il rilascio di Alaa. Sono stati allontanati dagli abitanti della zona. “Se vedete coraggio, o onore, o resistenza in me sappiate che mi derivano da mia madre e dalle mie sorelle più piccole. Sappiate che vengono anche da mia moglie. Separarmi da lei è stata la punizione più dura e crudele che la prigione mi ha inflitto”, confessa Alaa. Sabato il giudice deciderà se rilasciare il blogger, se tenerlo in carcere per altri quindici giorni o incriminarlo formalmente. Nel frattempo Khaled potrebbe essere nato. Serbia: medici serbi visiteranno Mladic nel carcere del Tribunale penale internazionale Ansa, 10 novembre 2011 Un’equipe di medici serbi visiterà Ratko Mladic nel carcere del Tribunale penale internazionale dell’Aja a Scheveningen, dove l’ex capo militare dei serbi di Bosnia è detenuto dalla sua cattura nel maggio scorso. Lo stato di salute di Mladic, arrestato dopo 16 anni di latitanza, è molto precario e l’ex generale si è regolarmente lamentato delle sue condizioni nelle sue apparizioni pubbliche dinanzi ai giudici del Tpi. Mladic è accusato di genocidio e crimini di guerra e contro l’umanità.