Giustizia: l’ergastolo e la triste parabola della democrazia italiana di Stefano Anastasia Il Manifesto, 9 marzo 2011 Tra gli altri argomenti spesi dall’avvocatura dello Stato brasiliana per motivare il rifiuto dell’estradizione di Cesare Battisti non manca quello della pena dell’ergastolo comminatagli per i reati di cui è stato riconosciuto colpevole dai tribunali italiani. Sembrerà strano agli italiani che amano crogiolarsi nella illustre memoria di Cesare Beccaria (ancora qualche settimana fa, il supplemento domenicale de “Il Sole 24 ore” metteva “Dei delitti e delle pene” al pari della “Divina commedia” tra i capolavori italiani più letti in Cina), ma quella storia lontana non sembra sufficiente a giustificare il presente. Accade così che paesi di più recente democrazia storcano legittimamente il naso di fronte alla sopravvivenza, in Italia, di una pena come quella dell’ergastolo. Altrove (in Brasile, per esempio) è stata cancellata; qualche volta finanche vietata in Costituzione. Da noi, invece, l’ergastolo sopravvive e gode di ottima stampa e buona fortuna. Se in vent’anni la popolazione detenuta è quasi raddoppiata, gli ergastolani sono aumentati di quasi quattro volte. Nonostante le certezze di molti giuristi, convinti che l’ergastolo non esista più per il solo fatto che gli ergastolani non sono formalmente esclusi dalla possibilità di accedere alla liberazione condizionale (era questa l’autorevole quanto infondata opinione espressa da Antonio Cassese all’indomani della decisione di Lula), sono circa un centinaio i detenuti che hanno scontato più dei ventisei anni di pena che, teoricamente, sarebbero necessari ad accedervi e che restano inesorabilmente in carcere. Non solo: la Corte europea per i diritti umani ha cominciato a prendere in considerazione il “caso italiano” dopo che numerosi detenuti hanno lamentato che una sentenza della Corte costituzionale ha ricondotto anche la liberazione condizionale, anche per gli ergastolani, tra i benefici per cui i condannati di gravi reati devono “dire tutto quello che sanno” per accedervi, anche nel caso in cui “tutto quello che sanno” è una mera ipotesi della autorità inquirenti. Conviviamo, dunque, serenamente con l’ergastolo, una pena che ad Aldo Moro appariva “crudele e disumana non meno di quanto lo sia la pena di morte”. E non ci preoccupa il giudizio degli altri. E non ci facciamo mancare la possibilità di estenderne l’applicabilità. Capita così che un Parlamento che non si distingue per alacre laboriosità abbia trovato tempo e modo di mettere all’ordine del giorno una proposta per la esclusione dei reati punibili con l’ergastolo dalla possibilità di accedere al giudizio abbreviato. Il codice di procedura prevede che l’imputato che abbia chiesto il giudizio abbreviato e che sia passibile di condanna all’ergastolo è condannabile a trent’anni di reclusione; se gli sarebbe toccato anche l’isolamento diurno, gli basterà l’ergastolo. Si può sempre discutere dei patteggiamenti nel processo penale, se siano un bene (deflattivo) o un male (inquisitorio o opportunistico, a seconda dei punti di vista). Nel caso, il condannato - nella migliore delle ipotesi - si becca trent’anni, il massimo della pena temporale prevista nel nostro ordinamento. Ma trent’anni, in Italia, ormai non sono più sufficienti a punire un condannato per gravi reati, ed ecco allora che da destra e da sinistra sono arrivate proposte per cancellare questa permissiva eventualità. Sin dall’inizio della legislatura giacevano le simili proposte Lussana (Lega) e D’Antona (Pd) e altri. Sarebbero potute morire lì, e invece la prima legislatura dell’ultimo cinquantennio che non ha visto depositare neanche una proposta abolizionista dell’ergastolo, non si è fatta mancare l’esame di una legge così sensibilmente patibolare, con una piccola perla che merita di essere citata. No, non parliamo del prevedibile sostegno dell’Italia dei valori alla proposta, almeno alla fine apertamente contestata dalle altre opposizioni. No, la perla è nell’esame in commissione: inizia nel giugno scorso, con la relazione della stessa Lussana; poi la Commissione viene convocata in argomento per ben nove (9!) volte senza che nessuna/o chieda di parlare, fino a quando la Lega non impone il voto. Non è questa la fine della democrazia parlamentare? Giustizia: detenute madri; non approvate quella legge! di Dina Gallano Terra, 9 marzo 2011 Mai più bambini in carcere”, era lo slogan adottato dal Guardasigilli Alfano circa dee anni fa. Ieri, il disegno di legge che si sta occupando della situazione penitenziaria delle detenute con figli minori da 0 a 3 anni era pronto per l’approvazione in Senato, ma la coincidenza con l’8 marzo non è stata fortunata. Grazie all’opposizione dei Radicali italiani e delle associazioni A Roma Insieme, Il detenuto ignoto e Terres des Homme, il testo tornerà con ogni probabilità in Commissione Giustizia per chiarire “alcuni dettagli”. Così ha preannunciato ieri il presidente dei senatori del PdL Maurizio Gasparri, spiegando che il rinvio è stato oggetto di una discussione in Conferenza dei capigruppo. Prima, l’intesa bipartisan a licenziare il ddl in tempo per la Festa della donna, poi la retromarcia. La ragione del ravvedimento è stata chiarita dalla senatrice radicale Donatella Poretti che nella conferenza stampa organizzata per contrastare l’approvazione di un provvedimento inadeguato e “di facciata”. Ha ribadito che esso “è inutile perché non prevede il diritto della madre ad assistere il piccolo quando viene eventualmente ricoverato in ospedale, non stanzia denaro e innalza l’età del minore dai 3 ai 6 anni introducendo così una norma dalla dubbia interpretazione che potrebbe portare in carcere altri minori”. Anche Terres des Hommes ha chiesto che “la nuova legge escluda in ogni caso che le madri di bambini di età inferiore ai 10 anni scontino la pena in istituti penitenziari ordinari”, ricordando che “oggi sono almeno 55 i bambini al di sotto dei 3 anni che abitano in carcere a seguito delle mamme detenute, mentre sono migliaia i minori che vivono lontani dalle loro madri in prigione, in palese violazione della Convenzione Onu dei Diritti dell’Infanzia a cui l’Italia è vincolata”. Per Leda Colombini, da 18 anni a Rebibbia femminile con la sua associazione A Roma Insieme, “alla Camera è stato raggiunto un compromesso al ribasso e a danno dei bambini”. Giustizia: i bambini ci guardano… da dietro le sbarre di Antonella Barone www.innocentievasioni.net, 9 marzo 2011 Le donne in carcere con bambini sono da anni in media sessanta. Sono per la maggior parte rom - italiane e straniere - e, in minor misura, tossicodipendenti. In carcere entrano per reati contro il patrimonio, per spaccio o detenzione di droga. Reati generalmente soggetti a reiterazione ma che difficilmente si collocano nell’ambito di una temibile offensività sociale. Questa tipologia prevalente tra le madri detenute spiega il perché le stesse non ottengano arresti domiciliari e detenzione domiciliare. Quasi sempre le “ esigenze cautelari di eccezionale rilevanza” e “il concreto pericolo di commissione di nuovi delitti” motivi previsti rispettivamente come ostativi alla concessione degli arresti domiciliari (art. 275 cpp.) e alla detenzione domiciliare (art. 47 quinquies). Certo molto potrebbe la discrezionalità lasciata ai magistrati in merito alla valutazione della loro reale “pericolosità”, ma il fatto che nel 2010 solo 33 genitori detenuti ( le misure possono essere concesse anche ai padri in caso di morte o assoluto impedimento della madre) abbiano ottenuto la detenzione domiciliare la dice lunga sulla tendenza restrittiva dominante tra i giudici. Per porre rimedio a questa situazione alcuni anni fa l’associazione “A Roma insieme”, attiva nel carcere femminile di Rebibbia, assieme alla Consulta penitenziaria del Comune di Roma, si era resa promotrice della proposta di legge “Perché nessun bambino varchi più la soglia di un carcere”. La proposta voleva affermare soprattutto: 1) la regola che tutte le madri con bambini dovessero trascorrere la custodia cautelare fuori del carcere, con l’eccezione di alcuni casi limitatissimi; 2) l’individuazione di luoghi di custodia o detenzione che non appartenessero a strutture penitenziarie (dunque case famiglia o altre strutture di accoglienza); 3) il rispetto dei diritti di tutti i bambini, indipendentemente dalla loro nazionalità o dalla regolarità della loro permanenza in Italia. Già durante il sofferto iter in commissione giustizia della scorsa legislatura fu difficile far capire e difendere questi presupposti e il testo base arrivò all’approvazione mutilato della parte contenente gli articoli sulla tutela dei bambini stranieri. Riproposto con entusiaste adesioni trasversali, il testo risultante dall’unificazione di vari disegni di legge, approvato alla Camera dei deputati il 16 febbraio 2011, sconvolge sistematicamente i presupposti originari fino ad eliminarne la ragione di una nuova norma sulla materia. Infatti: 1) rimangono intatte le “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza” e “il concreto pericolo di commissione di nuovi delitti”, in più viene esplicitato il divieto della concessione della detenzione domiciliare nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’art. 4 bis (senza neanche le distinzioni tra reati del primo e secondo periodo che vengono generalmente previste per la concessione di benefici), così le donne escluse da case di accoglienza e istituti a custodia attenuata continuano ad essere la regola e quelle che hanno i requisiti per accedervi le eccezioni; 2) oltre alle case famiglia protette che potranno essere individuate grazie a convenzioni con gli enti locali, il ddl prevede assegnazioni anche ad Istituti a custodia attenuata per madri (Icam), carceri a tutti gli effetti - sia pure con accorgimenti architettonici e programmi che ne nascondono agli occhi dei bambini la natura - strutture che pertanto sarebbero potute essere riservati a quelle donne che presentino maggiori esigenze custodiali; 3) del tutto ignorata la pur rilevante presenza di madri e figli stranieri, con la conseguenza che gli stessi sono generalmente destinati all’espulsione al termine della pena. Anche le altre innovazioni suscitano serie perplessità. L’aumento dell’età limite dei minori da tre a sei anni, prevista dalla modifica del comma 4 dell’art. 275 del c.p.p., rischia di portare addirittura più bambini in carcere, in strutture già sovraffollate, visto che le madri continueranno a non avere i requisiti per le case protette o gli Icam. Inoltre le disposizioni relative alle misure cautelari , in mancanza di posti disponibili presso gli Icam, si applicheranno a decorrere dal 1° gennaio 2014. Nelle intenzioni originarie l’art 2 del ddl “Visite al minore infermo”, doveva infine rappresentare una grande innovazione. Ecco quel che ne resta. In caso di estrema urgenza, anche il direttore dell’istituto deve autorizzare la madre a recarsi dal figlio minore e dalla madre il bambino fino a dieci anni deve essere assistito durante visite mediche specialistiche. Possibile che al magistrato sia tolta tanta discrezionalità ? Neanche per sogno. Infatti per poter ricevere una “visita” della madre detenuta - ben diversa dall’”assistenza” prevista nelle passate proposte - il figlio minorenne dovrà versare in imminente pericolo di vita o in gravi condizioni di salute e potrà essere assistito solo se affetto da una “grave patologia”. Requisiti che continuano a proporre il magistrato come peritus peritorum perché sarà sempre lui a decidere se il bambino è abbastanza grave da meritare l’assistenza materna. Inoltre l’autorizzazione dovrà arrivare almeno 24 ore prima della visita., condizione che rende la norma ancora più restrittiva dell’attuale art. 30 c. 2 dell’ord. penitenziario che prevede la possibilità di concedere permessi per eventi familiari di particolare gravità senza definire limiti orari. È possibile che oggi, otto marzo, a dieci anni esatti dalla cd legge Finocchiaro, così piena di buone intenzioni e così povera di effetti, il ddl veda la definitiva approvazione del Senato, tra il plauso di maggioranza e anche di parte dell’opposizione. D’altra parte cosa “funziona” di più in Italia di una maternità recuperata ai sacri valori? Prepariamoci a promesse di effetti che non si realizzeranno mai e a slogan della più usurata retorica. Che stavolta sarà più difficile digerire perché ad essere traditi e sono i bambini che stanno crescendo in carcere e i tanti che continueranno a entrarvi. Giustizia: Colombini (A Roma Insieme); poca attenzione ai bambini, troppa alla sicurezza Redattore Sociale, 9 marzo 2011 La richiesta al Senato di una paura di riflessione sul testo di legge già approvato dalla Camera: “Il diritto dei bambini può essere conciliato con l’esigenza della sicurezza”. A Rebibbia 15 detenute madri, solo una forse potrebbe uscire. “Bisogna cambiare questa legge perché è un compromesso al ribasso a danno dei più piccoli”. Con queste parole Leda Colombini, presidente dell’associazione A Roma insieme, che “da 18 anni” si occupa dei bambini in carcere, commenta il testo di legge sulle detenute madri approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato. Il provvedimento avrebbe dovuto essere votato oggi, ma i radicali hanno chiesto un rinvio: ipotesi affrontata nel pomeriggio dalla Conferenza dei capigruppo. Secondo Leda Colombini, fra le più autorevoli figure del mondo associativo sui problemi dati dalla presenza di bambini in carcere, l’attuale testo di legge “non segue il diritto del bambino ma insegue il criterio della sicurezza: due istanze che possono essere conciliate e non per forza contrapposte”. Per Colombini, che ha parlato nel corso della conferenza stampa organizzata dai radicali per lanciare la richiesta di una sospensiva, “il fatto che la nuova legge stabilisca che le madri devono stare fuori dal carcere fino ai sei anni dei loro figli va benissimo, ma poi devono stare fuori per davvero e non lo stesso in carcere, come si prospetta con questa legge”. Secondo Colombini la nuova legge non risolve i problemi della precedente che impedivano di tirare fuori i bambini dal carcere. In particolare rimane anche nel nuovo testo il problema della recidiva “che impedisce di uscire per esempio a nomadi e tossicodipendenti”. Dati alla mano, Colombini sottolinea che a Rebibbia, carcere dove opera la sua associazione, c’è una sola detenuta italiana e 14 rom recidive: “E nel resto d’Italia la proporzione è più o meno la stessa”. Se anche la nuova legge ribadisce che le recidive devono restare in carcere, lo stesso sarà per i loro bambini. Inoltre Colombini si sofferma sull’aspetto della malattia dei piccoli con madre detenuta: “È drammatico portare in ospedale bambini così piccoli senza le loro madri. Proprio pochi giorni fa ci è capitato il caso di una bambina investita da un camioncino e portata in ospedale in condizioni si temeva disperate: ci abbiamo messo 4 giorni di burocrazia per riuscire a farle far visita dalla madre”. E ancora Colombini parla dei problemi con le straniere che alla fine della loro pena, per effetto della legge Bossi-Fini, deve essere automaticamente espulsa, senza nemmeno prendere in considerazione se ci sono di mezzo dei bambini piccoli. Molto critica anche Federica Giannotta, dell’associazione “Terre des Hommes”, che parla di violazione della convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e della necessità di apportare “pochi ma significativi emendamenti” al testo di legge. Per “Terre des Hommes” va tolto l’aggettivo “protette” quando si parla di case famiglia a cui destinare le detenute con figli piccoli che possono passare ai domiciliari ma non hanno una casa dove scontare la pena. Il timore è che con quell’aggettivo si finisca per connotare strutture non adatte a bambini troppo piccoli. Su questo aspetto si sofferma anche Irene Testa, dell’associazione “Il detenuto ignoto”, che sottolinea la mancanza di chiarezza nella definizione di queste strutture e di percorsi di recupero e assistenza psicologica. “In realtà si tratta di 50 - 60 bambini, il numero oscilla - dichiara la radicale Rita Bernardini, membro della Commissione giustizia della Camera. Dovrebbe essere un piccolo problema da risolvere per il Parlamento, invece il fatto che stiamo ancora qui a parlarne la dice lunga”. Bernardini inoltre sostiene che il testo attuale della nuova legge manca di definire “percorsi individualizzati per il recupero di donne recidive” nel compiere certi reati. Senza alcuni emendamenti, sostiene Bernardini, la legge è al massimo un bello spot elettorale. E di legge - spot “o al massimo legge - preghiera” parla anche Julia Labbate, sociologa dell’università La Sapienza, indice del fatto “che l’Italia manca di solidarietà e di attenzione alle fasce deboli”. “Basta pensare che è stato tagliato del 35% il monte ore degli psicologi in carcere”, le fa eco Bernardini. Giustizia: ddl su detenute madri torna in commissione;15 giorni per conclusione dell’esame Adnkronos, 9 marzo 2011 Il ddl sulla tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori tornerà in commissione Giustizia del Senato per un approfondimento con l’obiettivo di renderlo, se possibile, ancora più condiviso. La proposta è stata accolta da tutti i gruppi al termine della discussione generale in aula a Palazzo Madama con la condizione che l’iter del ddl non venga allungato ad oltranza. Il presidente della commissione Giustizia, Filippo Berselli, ha quindi accolto l’invito confermando che la conclusione dell’esame avverrà entro 15 giorni. Cosa prevede il disegno di legge Le mamme di bambini fino a sei anni di età non dovranno più stare in carcere, a meno di particolari esigenze cautelari di “eccezionale rilevanza”. E quanto prevede la proposta di legge in discussione al Senato che innalza del doppio (attualmente è di tre anni) l’età del figlio perché la donna di non venga detenuta. Il testo, già approvato all’unanimità dalla Camera con la sola astensione dei radicali, dovrebbe ricevere il via libera di Palazzo Madama nella giornata di domani dopo alcuni approfondimenti tecnici di cui si occuperà la commissione. Il provvedimento prevede che quando imputati siano una donna incinta o una madre di prole di età inferiore a sei anni che conviva con lei (ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole) non ne possa essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza: in quel caso è possibile disporre la custodia cautelare un istituto a custodia attenuata per detenute madri (Icam). Sarà un decreto del ministro della Giustizia a definire le caratteristiche tipologiche delle case famiglia (anche con riferimento ai sistemi di sorveglianza e di sicurezza) e l’individuazione delle strutture gestite da enti pubblici o privati idonee ad essere utilizzate come case - famiglia protette. E qui c’è uno dei punti criticati dai radicali: di Icam al momento ce n’è solo uno, a Milano, e non vengono previste risorse per realizzarne di nuovi. Cambiano anche le regole che disciplinano il diritto di visita al minore infermo, anche non convivente, da parte della madre detenuta o imputata (o del padre, alle condizioni sopra indicate). Il magistrato di sorveglianza - in caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del minore - potrà concedere il permesso, con provvedimento urgente, alla detenuta o all’imputata per visitare il figlio malato, con modalità che, nel caso di ricovero ospedaliero, devono tener conto della durata del ricovero e del decorso della patologia. Nei casi di assoluta urgenza il permesso viene concesso dal direttore dell’istituto. Viene poi stabilito il diritto della detenuta o imputata di essere autorizzata dal giudice ad assistere il figlio durante le visite specialistiche, relative a gravi condizioni di salute. Il provvedimento deve essere rilasciato non oltre le ventiquattro ore precedenti la data della visita. Novità anche per gli arresti domiciliari delle condannate incinte o madri di figli di età non superiore a dieci anni. Potranno espiare condanne fino a quattro anni presso una casa famiglia protetta; se poi non c’è un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e si riscontra la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, le detenute madri possono espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo privato o in un luogo di cura dopo aver scontato almeno un terzo della pena o almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo. Giustizia: Gallone (Pdl); una legge a tutela delle detenute e dei minori di Elisabetta Ligori www.politicamentecorretto.com, 9 marzo 2011 Senatrice Gallone, l’8 marzo, Festa delle donne, approda in Aula al Senato il testo unificato sulle detenute madri. Una “coincidenza” che assume un significato particolarmente importante. Quali sono le novità rispetto al passato? Cosa cambierà per le detenute e per i loro bambini? “Il fatto che il disegno di legge approdi in Aula proprio oggi non significa che vuol essere un provvedimento “bandiera”. Si tratta appunto solo di una coincidenza, ma ne sono molto contenta. È un ddl che mi sta particolarmente a cuore, perché riguarda un mondo femminile molto particolare, ma soprattutto la tutela dei minori. Introduce modifiche al Codice di Procedura penale per salvaguardare il rapporto tra i figli minori e le madri o anche i padri, in caso di mancanza delle prime. Questo governo sta realizzando una serie di iniziative legislative, proprio in base al concetto che l’attenzione per i più piccoli viene prima di tutto. L’ordinamento italiano è già provvisto di una legge che reca misure alternative alla detenzione tradizionale, ma si è ritenuto necessario introdurre nuove disposizioni per migliorare la legge, anche alla luce dei cambiamenti maturati nella nostra società sempre più multietnica. Partendo dal presupposto inderogabile che i debiti con la giustizia vanno sempre saldati, è indispensabile che ciò avvenga sempre nel rispetto della dignità dei detenuti. In questo caso non dobbiamo mai scordarci della nostra Costituzione, che all’articolo 31 recita: “La Repubblica protegge la maternità, l’infanzia, la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Quali sono i punti essenziali del disegno di legge? “La novità più importante riguarda l’innalzamento dell’età del bambino dai tre ai sei anni, al di sotto dei quali non può essere disposta o mantenuta la custodia della madre in carcere. Salvo, naturalmente esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Riteniamo infatti che fino all’età scolare il bambino abbia diritto a rimanere con la propria madre, dalla quale non può essere staccato in maniera traumatica. Altra novità riguarda la possibilità di scontare gli arresti domiciliari o la detenzione carceraria attenuata presso una casa - famiglia protetta, o comunque in luoghi che non siano di ulteriore disagio per i bambini. Viene disciplinato anche il diritto di visita al minore infermo da parte della madre detenuta. La madre, in casi di particolare gravità, potrà assistere alle visite mediche specialistiche del bambino fino a dieci anni. Inoltre, il permesso potrà essere concesso anche dal Direttore dell’istituto carcerario. Purtroppo spesso oggi a causa dei tempi burocratici, la madre rischiava di non arrivare in tempo o di non essere presente in un momento particolarmente delicato per il figlio.” Quante detenute saranno interessate da questo disegno di legge? “Le madri detenute oggi in Italia sono 58, la maggior parte delle quali straniere con problemi di domiciliazione. Con l’entrata in vigore del provvedimento, questo numero si potrebbe al massimo triplicare. Parliamo dunque di una situazione circoscritta, che non comporterà ulteriori costi per lo Stato. Tutte le disposizioni entreranno in vigore a partire dal 1° gennaio 2014. Non sono mancate le critiche al provvedimento... “Ogni legge è perfettibile e può essere migliorata, soprattutto nel momento in cui viene applicata e se ne riscontrano eventuali limiti. Mi piace definire questo ddl un primo passo importante, un segnale assolutamente chiaro e preciso della volontà del governo di garantire la serena crescita dei bambini in difficoltà. Mi auguro che, al di là delle discussioni anche giuste su un tema così delicato, questo provvedimento possa iniziare a porre rimedio ad una situazione preesistente. È un bel punto di partenza per un Paese come il nostro, che deve mettere al primo posto la tutela dei bambini. Con il tempo poi tutti, dagli operatori ai volontari fino ai politici, potranno dare un ulteriore contributo per fare sempre di più e sempre meglio”. Giustizia: Radicali; bene ritorno in commissione ddl, speriamo porti a revisione testo Ansa, 9 marzo 2011 La decisone adottata al Senato di rinviare in Commissione il provvedimento sulle detenute madri “che rischiava di venire approvato oggi in aula” è “certamente un aspetto positivo” che “ci auguriamo possa preludere a una concreta revisione del testo, contenente dei dispositivi obiettivamente inefficaci e non risolutivi del problema”. Lo hanno affermato, in una nota congiunta, i parlamentari Radicali Rita Bernardini, Donatella Poretti e Marco Perduca insieme a Irene Testa, segretaria dell’Associazione Detenuto Ignoto. “Come Radicali, dopo aver sollevato con le associazioni che da tempo si occupano del settore, l’inopportunità della approvazione frettolosa di un testo non sufficientemente analizzato e discusso dalla Commissione Giustizia - hanno aggiunto - continueremo a vigilare e a operare affinché questi ulteriori approfondimenti portino davvero all’approvazione di una legge che ci consenta di togliere ogni bambino dalle carceri”. Giustizia: Alfano al Consiglio d’Europa; detenuti stranieri scontino pene nei loro paesi Ansa, 9 marzo 2011 Il governo italiano ha il forte intendimento di fare scontare la pena nei paesi di origine agli oltre 24.000 detenuti stranieri presenti nelle nostre carceri, cifra che rappresenta il 38% dei nostri detenuti. Il ministro della giustizia, Angelino Alfano, ha riferito di averne parlato durante gli incontri avuti oggi a Strasburgo con il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjorn Jagland, con il commissario per i Diritti dell’Uomo, Thomas Hammarberg, e con il Presidente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Jean Paul Costa. Durante i suoi contri Alfano ha fatto presente il piano italiano per le carceri che per smaltire l’affollamento, oltre che il trasferimento degli stranieri nei paesi d’origine, prevede anche l’edificazione di circa 20.000 nuovi posti. Giustizia: Osapp; 67.674 detenuti nonostante il “piano carceri”, Ionta ha fallito se ne vada Ansa, 9 marzo 2011 I detenuti nei sovraffollati penitenziari italiani non calano (67.674 contro un limite regolamentare di circa 43mila posti) nonostante il “piano carceri” che “ha liberato solamente 1.368” persone: a tirare le somme della tensione nell’ambiente penitenziario è il sindacato Osapp che torna a chiedere le dimissioni del Capo del Dap, Franco Ionta. Il carcere - sottolinea il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci - sta diventando sempre più un luogo di detenzione per quelli in attesa di giudizio: sui 67 mila reclusi si contano infatti 28.478 imputati mentre il resto è suddiviso tra condannati definitivi ed internati. In due mesi - prosegue - sono pressoché svaniti gli effetti della cosiddetta legge svuota-carceri, che ha liberato solamente 1.368 detenuti (per un media di 684 reclusi definitivi ogni mese quando il numero dei nuovi ingressi supera di gran lunga questo dato). Se consideriamo la situazione generale, ogni regione ha oramai sfiorato il limite del tollerabile: la Campania e la Lombardia sono rispettivamente in testa con una capienza di 7.834 e 9.389 detenuti poi c’è la Sicilia (7.764), il Lazio (6.462), il Piemonte (5.178), la Puglia (4.621) e la Toscana (4.463). E ancora: i suicidi in carcere, se considerato il periodo di entrata in vigore della legge svuota carceri sono aumentati del 70%. C’è una tensione nell’ambiente che si avverte all’istante - fa notare Beneduci - dove non si decide nulla se non quello che viene stabilito dall’alto. Dove nemmeno si riesce a decidere se far partire i corsi per i 760 allievi (così come disposto dal provvedimento Mille proroghe) quando iniziarli e dove, visto che le scuole di formazione per la Polizia Penitenziaria stanno chiudendo i battenti per mancanza di fondi. Vien da pensare - conclude l’Osapp - che da parte del Ministro Alfano ci sia stata una strategia precisa in questi tre anni, quasi, di permanenza del Dott. Ionta al comando del Dap. Giustizia: Sappe; riforma giustizia non trascuri ripensamento funzione pena Ansa, 9 marzo 2011 La notizia dell’ennesimo detenuto suicida è sempre, oltre che una tragedia personale e familiare, una sconfitta per lo Stato”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, riferendosi al suicidio di un giovane internato presso l’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, che si è tolto la vita ieri pomeriggio inalando il gas di una bomboletta in dotazione ai detenuti. “E allora, proprio ora che si parla di una riforma epocale della giustizia, bisognerebbe darsi concretamente da fare per un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere - aggiunge Capece - argomento rispetto al quale il Sappe, primo sindacato della Polizia penitenziaria, è da tempo impegnato nonostante la colpevole indifferenza di vasti settori della politica nazionale. Serve un carcere nuovo e diverso perché quello attuale è un fallimento”. Giustizia: quando la famiglia “scassata” aiuta… a crescere delinquenti di Amato Lamberti www.ilmediano.it, 9 marzo 2011 Manca la prevenzione sociale. Destra e sinistra hanno giocato di sponda e portato in Italia il modello di sicurezza americano. Tutto sbagliato! Non ha fatto altro che aumentare il numero dei detenuti. Questa volta la Suprema Corte di Cassazione ha scelto una strada che in molti non si sentono di condividere. Un giovane stressato e depresso da situazioni familiari, come quella della separazione dei genitori, che commette un atto di vandalismo non ha diritto ad alcuna comprensione. Deve essere punito e in maniera esemplare per fargli comprendere che le leggi devono essere sempre rispettate. Una sentenza che la dice lunga sul clima che nel nostro paese governa l’applicazione della giustizia. Un clima che trasforma la lotta contro il crimine in un teatro burocratico-mediatico che, al tempo stesso, soddisfa e alimenta il desiderio d’ordine dell’elettorato, riafferma l’autorità dello Stato attraverso il suo linguaggio e la sua mimica virili, ed erge la prigione come ultimo baluardo contro i disordini che scoppiano nei bassifondi e che si ritiene minaccino le fondamenta stesse della società. La domanda che sorge spontanea è perché questo approccio punitivo, incentrato sulla criminalità organizzata, sulla delinquenza di strada e sulle zone urbane degradate e marginali, che mira a far arretrare passo dopo passo gli atti criminali con l’attivazione a tutto campo dell’apparato penale, è stato in tempi recenti adottato non solo dai partiti di destra ma anche - con slancio sorprendente, mi sento di aggiungere - dai politici della sinistra sia di governo che di opposizione. La risposta più semplice, che è anche quella sostenuta dalla maggior parte degli studiosi di criminologia e di sicurezza urbana, è che anche in Italia, come in Europa, si sia imposto il modello securitario statunitense fondato sull’inasprimento generalizzato del sistema penale e che ha anche prodotto, in Italia come in molti altri Paesi, un incremento esponenziale della popolazione carceraria. Negli Stati Uniti, infatti, il modello penale, secondo alcuni autori, avrebbe dimostrato che è possibile far arretrare la criminalità comune e il senso di insicurezza soggettivo grazie all’attivazione di politiche poliziesche, giudiziarie e penitenziarie scrupolose, dirette alle categorie marginali intrappolate negli abissi del nuovo paesaggio economico. In pratica, negli Stati Uniti, la criminologia, contro ogni analisi sociologica, avrebbe dimostrato che la causa del crimine è l’irresponsabilità e l’immoralità del criminale, e che l’inflessibilità nel punire le inciviltà e i comportamenti devianti anche di basso profilo è il mezzo più sicuro per arginare gli atti violenti. Non è vero. Si sono solo riempite in maniera inverosimile le carceri. Tutte le rilevazioni dimostrano il contrario. Le politiche repressive aumentano solo il numero dei detenuti ma non riescono né a ridurre né a controllare i tassi di devianza e di criminalità. Il fatto che un dodicenne accoltelli un quattordicenne per futili ragioni, come è avvenuto a Napoli, dimostra che ad essere fallimentari sono le politiche di prevenzione della devianza. Ma quando si investe tutto sulle politiche di repressione non resta disponibile niente per investimenti di prevenzione sociale sul territorio. I delitti all’interno delle famiglie si vanno moltiplicando, con grande gioia delle televisioni che li trasformano in talk show interminabili: ma è la repressione penale la strada giusta per affrontare il problema dei figli che ammazzano i genitori, dei genitori che ammazzano i figli, dei fratelli che ammazzano i fratelli? Forse la crisi della famiglia è arrivata a un punto tale da richiedere misure urgenti di sostegno a favore dei genitori e soprattutto dei figli. Il fatto che sempre più spesso sono i minorenni a commettere delitti anche di sangue imporrebbe alla società una riflessione sul ruolo e la funzione delle agenzie educative, non certo un abbassamento della soglia di punibilità. Mettere in galera un minore non risolve certo il problema della sua rieducazione e del suo reinserimento nella società. Sembra quasi che siamo tornati alle teorie lombrosiane del delinquente nato, contro il quale non c’è altra difesa che il carcere a vita. E, invece, delinquenti non si nasce ma si diventa: perché si nasce in una famiglia scassata, si cresce in un ambiente culturalmente ed economicamente deprivato, si vive in un contesto di degrado, disoccupazione, delinquenza abituale, si frequentano solo figure marginali che debbono inventarsi ogni giorno strategie di sopravvivenza illegali. Contro tutte queste situazioni di esclusione la società potrebbe fare molto, ma dovrebbe investire in politiche di inclusione sociale a favore di famiglie, adulti, donne, giovani, bambini, coinvolgendo tutte le strutture e le associazioni disponibili. E, invece, si preferisce investire sulle forze dell’ordine e sulle carceri, con il risultato di fare delle carceri delle vere e proprie discariche umane di persone trattate solo come rifiuti. La delinquenza aumenta, l’insicurezza delle persone cresce, le città diventano sempre più inabitabili: non importa, l’importante è mostrare i muscoli. Giustizia; la mamma nella gabbia con le manette, polemiche al processo per i figli contesi di Davide Carlucci La Repubblica, 9 marzo 2011 Il giudice ordina: liberatela. La polizia penitenziaria: “È la prassi”. La Colombo, sotto accusa per sottrazione di minori, resterà in carcere. La polizia penitenziaria si giustifica dicendo che “è la prassi”, per i detenuti arrestati perché, come recita la formula di rito, “sussiste il pericolo di fuga”. Ma faceva comunque un certo effetto, ieri mattina, vedere Marinella Colombo, una madre che da anni lotta - con mezzi legali prima e illegali poi - per riavere i figli contro le autorità tedesche che glieli negano, arrivare al tribunale di Milano con le manette ai polsi ed essere sottoposta alla gogna mediatica dei fotografi. L’imprenditrice milanese, scortata dalle agenti, così minuta nel suo giubbotto blu, per pudore chiede che almeno il processo si svolga a porte chiuse. E il giudice Fabio Roia subito acconsente, ordinando poi che la donna sia autorizzata a sedere con le mani libere e non nella gabbia riservata ai detenuti ma nel banco degli imputati, dove siede accusata di sottrazione di minori e inottemperanza di un provvedimento del Tribunale minorile. Nell’udienza la donna sente poi le parole, durissime nei suoi confronti, dell’ex marito, Tobias Ritter, ai quali ormai i giudici minorili, sia tedeschi che italiani, hanno dato ragione, stabilendo che i due ragazzini debbano restare in Germania. Tenuti nascosti in Slovenia, in compagnia della nonna materna, ora sono a Milano, in una comunità protetta: “Voglio solo riabbracciarli - scandisce in italiano Ritter. Non li ho visti per un anno. Sono stati maltrattati psicologicamente, non hanno potuto andare a scuola, vedere la famiglia. Sono molto preoccupato e felice di vederli”. Gli avvocati di lei ora cercano il compromesso, una soluzione che impedisca ai due ragazzini di vivere per chissà quando solo col padre, dopo un periodo così lungo trascorso con la madre. “I bambini hanno diritto di avere due genitori - dice l’avvocato Laura Cossar - e vogliamo capire dove, in quale località ciò sia possibile”. Il tribunale dei minorenni di Milano suggerisce la soluzione della comunità, che consenta ai piccoli di avere contatti con entrambi. Ma i difensori di Ritter vorrebbero che fosse lei a raggiungerli periodicamente in Germania. Per Cossar, invece, l’unica soluzione è in Italia: “La mia cliente, di fatto, non può uscire dal territorio nazionale, in qualsiasi altro stato l’arresterebbero”. Adesso lo hanno fatto anche le autorità italiane, dopo che le indagini del procuratore aggiunto Pietro Forno e del pm Luca Gaglio hanno dimostrato che la donna era pronta a fuggire in Libano con i due piccoli. Ma i difensori hanno presentato un’istanza perché la misura sia modificata negli arresti domiciliari: in questi giorni, forse oggi stesso, il giudice per le indagini preliminari Luigi Varanelli potrebbe pronunciarsi. Intanto, i pm di Milano - che a Colombo adesso contestano anche i reati di maltrattamenti e sequestro di persona - hanno chiesto a loro volta di poter interrogare i ragazzini che prima, però, dovranno essere sottoposti a una perizia psicodiagnostica che ne accerti le condizioni di salute. “Sono finiti in mezzo a una battaglia legale”, accusa il padre. Ma gli avvocati della Colombo, a loro volta, rinfacciano di aver riservato ai due piccoli lo stesso trattamento dal padre in passato. La strada verso una riconciliazione che dia finalmente serenità ai due bambini sembra ancora lontana. Marche: in cella 265 tossicodipendenti, 5 sieropositivi, 109 affetti da epatite C Redattore Sociale, 9 marzo 2011 Negli istituti marchigiani anche 5 sieropositivi, 109 affetti da epatite C e 138 affetti da patologie psichiatriche. Confronto tra istituzioni, comunità terapeutiche e sistema penitenziario sui trattamenti alternativi. Nelle carceri marchigiane sono 265 i detenuti tossicodipendenti (su un totale di 1202 reclusi), 5 sieropositivi, 109 affetti da epatite C e 138 affetti da patologie psichiatriche. “Un problema che deve essere affrontato e approfondito al fine di intraprendere tutti i percorsi normativi necessari a risolverlo”, ha detto il presidente del Consiglio regionale delle Marche, Vittoriano Solazzi, intervenuto al convegno “Carcere e trattamenti alternativi alla tossicodipendenza”, oggi in Ancona, a cui hanno preso parte i rappresentati dei settori sanità, servizi sociali, giustizia, comunità terapeutiche e sistema penitenziario. Un tavolo di esperti chiamato a delineare i possibili interventi, anche attraverso normative adeguate. Le percentuali dei detenuti tossicodipendenti nelle regione restano inferiori alla media nazionale, ma secondo gli osservatori “non possono essere sottovalutate”. Italo Tanoni, garante dei detenuti, ha ricordato che l’iniziativa “intende avviare un confronto aperto tra le varie Agenzie che gravitano attorno al problema, favorire l’adeguamento crescente, l’integrazione e la complementarietà dei sistemi che operano nel settore (misto pubblico e privato), approdare a un coordinamento generale finalizzato a fissare delle linee guida sul rapporto tra carcere e trattamenti alternativi alla tossicodipendenza”. Firenze: detenuto di 29 anni muore suicida all’Opg di Montelupo Redattore Sociale, 9 marzo 2011 Un genovese di 29 anni si è tolto la vita inalando gas nel bagno della sua cella. Capece (Sappe): “Sconfitta per lo Stato. Serve un carcere diverso perché quello attuale è fallimentare”. Suicidio all’Opg di Montelupo. Un detenuto 29enne di origine genovese si è tolto la vita inalando gas nel bagno della sua cella. A trovarlo morto, ieri pomeriggio, sono stati gli agenti penitenziari. Inutili i soccorsi. Accanto al cadavere, gli agenti hanno scoperto una bomboletta di gas in dotazione ai detenuti. Sul caso è stato aperto un fascicolo da parte della Procura della Repubblica di Firenze. La salma è stata trasferita al reparto di medicina legale di Careggi per essere sottoposta ad autopsia. “La notizia dell’ennesimo detenuto suicida - ha dichiarato Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) - è sempre, oltre che una tragedia personale e familiare, una sconfitta per lo Stato. È inevitabile che il carcere determini, come autorevolmente sottolineato dal Comitato nazionale per la bioetica, crisi di identità, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. E allora, proprio ora che si parla di una riforma epocale della giustizia, bisognerebbe darsi concretamente da fare per un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Serve un carcere nuovo e diverso perché quello attuale è un fallimento”. “Nell’ambito delle prospettive future - ha concluso Capece - occorre che lo Stato, pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l’intero sistema. E la polizia penitenziaria è sicuramente quella propriamente deputata al controllo dei soggetti ammessi alle misure alternative”. Spoleto: Bocci (Pd); in arrivo altri 100 detenuti, nel carcere è dramma, intervenga Alfano Ansa, 9 marzo 2011 “Il ministro Alfano intervenga urgentemente per risolvere i problemi di carenza di agenti e di sovraffollamento nel carcere di Spoleto”: a chiederlo è il deputato Pd Gianpiero Bocci, il quale annuncia che “nelle prossime settimane un centinaio di nuovi detenuti provenienti da istituti penitenziari campani” arriverà nel supercarcere spoletino di Maiano. Questo - secondo Bocci, che sull’argomento ha presentato un’interrogazione - andrà ad appesantire la situazione, già al limite della sostenibilità, del penitenziario. Nel 2010 a Maiano si sono registrati tra i detenuti 67 atti di autolesionismo, un suicidio, 6 tentati suicidi, tre aggressioni ai danni degli agenti penitenziari e 59 scioperi della fame. La capienza dell’istituto è di 450 reclusi, ma i dati al 31 dicembre 2010 indicano una presenza di 676 detenuti; le sezioni sono aumentate da 13 a 19, le celle di tre metri per tre, concepite per ospitare un solo detenuto, ne ospitano due e si pensa di inserire anche un terzo letto, lo spazio comune per la ricreazione dei detenuti è stato soppresso per la carenza di agenti di sorveglianza. Una situazione - dice Bocci, in una nota - drammatica, con gli agenti penitenziari che cercano di mantenere, tra mille difficoltà, una pacifica convivenza tra detenuti ma sono costretti a sopperire alla carenza di organico facendo turni massacranti e gli straordinari non vengono loro pagati. Brescia: utilizzare il braccialetto elettronico, contro le carceri sovraffollate Brescia Oggi, 9 marzo 2011 Fino a domani i detenuti di Canton Mombello sono in sciopero. Lo sciopero denominato del carrello, si tratta di rifiutare il cibo che proviene direttamente dal carcere, non nel caso quello comprato all’esterno - quest’ultimo lo pagano i carcerati a proprie spese. Protestano per il sovraffollamento e la mancanza di pene alternative. “Una situazione inammissibile” quella della casa circondariale cittadina, è la prima reazione della politica all’iniziativa. E arriva dall’assessore Mario Labolani, che l’accompagna con una proposta: invece di scontarle in carcere certe misure detentive si potrebbero scontarle controllati attraverso bracciali elettronici. “La situazione è grave - dice Labolani - e rischia di diventare ingestibile se non si corre ai ripari. Una soluzione alternativa, i cui costi sono da valutare, potrebbe essere l’utilizzo dei bracciali elettronici. Questi strumenti consentirebbero anche di limitare i controlli ad opera delle forze dell’ordine, garantendo la conoscenza esatta in ogni minuto della posizione dei detenuti dotati di tale dispositivo”. Il sovraffollamento a Canton Mombello è tra i più alti d’Italia. Lo ribadisce anche l’assessore: “È una struttura predisposta per ospitare sino a 204 detenuti, ad oggi sono oltre 540 - esclama - È una condizione inammissibile, disumana e sono ormai mesi e mesi che chiedo soldi per poter costruire un altro Istituto di pena. Sono, da sempre, a favore della certezza della pena, ma questa deve essere scontata in condizioni che non ledano i diritti fondamentali dell’essere umano. La protesta in atto è quindi giustificata, soprattutto se si riflette sui problemi igienici e di convivenza conseguenziali ad un sovraffollamento del genere”. La realizzazione di un nuovo istituto è una “vecchia” priorità della città (considerata tale anche nel programma elettorale della attuale amministrazione), che però slitta da anni e non trova soluzione. Anche perché, se la prigione di Brescia è un’emergenza tra le più gravi (la seconda più affollata d’Italia), non fa eccezione. Lo spropositato numero di detenuti per spazi è un problema diffuso a tutto l’universo carcerario nazionale. Brescia pur messa malissimo non è rientrata nei più recenti progetti. Labolani dunque si schiera con i carcerati, e prende nuovamente posizione su questioni penali, dopo aver promosso la raccolta firme per la castrazione chimica e l’ergastolo per coloro che si macchiano del reato di pedofilia. Una petizione che è attualmente in corso. Pavia: dovrebbero essere 21 ma sono soltanto 7; assistenti sociali dell’Uepe in protesta La Provincia Pavese, 9 marzo 2011 Gli assistenti sociali e gli operatori che si occupano di chi passa dal carcere alle misure alternative sono in affanno. L’Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe) dalla sede di via Oberdan copre tutti i 190 comuni della Provincia di Pavia e 22 del basso milanese che sono comunque di competenza dei tribunali di Pavia, Vigevano e Voghera. Chiedono da anni di poter avere il personale che manca e adesso sono pronti a mobilitarsi. Dall’inizio del 2011 i sette dipendenti si stanno occupando di 205 nuovi casi, in tutto il 2010 sono stati 1289. Tra questi persone agli arresti domiciliari, in semi libertà, detenuti da osservare in carcere per aiutare a decidere eventuali pene alternative. In media oggi ogni operatore è responsabile di cento persone. Troppe. Difficile garantire tempi rapidi per tutti questi casi. I colloqui si alternano sempre più velocemente, le pratiche si accumulano, si devono fare delle scelte per lavorare il più possibile con sempre meno forze. Il lavoro degli operatori si divide tra pratiche d’ufficio e assistenza. “Seguiamo persone sottoposte a misure alternative al carcere, seguiamo condannati, siamo i primi ad accompagnarli nel loro percorso e con loro cerchiamo di costruire insieme un progetto di reinserimento”, spiegano dagli uffici di via Oberdan. Solo che da troppo tempo il rapporto tra il numero di operatori e quello degli assistiti è sbilanciato. E gli ultimi tre pensionamenti non sono stati sostituiti. Ogni giorno ci sono i controlli, le istanze da mandare ai magistrati, le relazioni periodiche per documentare l’andamento della misura alternativa al carcere. Poi ci sono i colloqui negli istituti penitenziari del territorio e nelle comunità terapeutiche. Si cerca di lavorare a un progetto lavorativo per i detenuti, Gli assistenti sociali fanno tutto, ritagliano minuti preziosi per chi ha bisogno di un sostegno per avere una speranza nel futuro, “ma i tempi si dilatano”, spiegano gli operatori. Ci vuole più tempo per dare un appuntamento, le date si spostano sul calendario. Nei giorni scorsi si è tenuta un’assemblea con i sindacati e i dipendenti. “L’Uepe di Pavia ha una carenza d’organico pari al 70 per cento - sottolinea Massimiliano Preti, segretario provinciale della Cgil Funzione pubblica - e delle sette persone presenti una ha funzioni di direttore reggente e un’altra è un part-time”. Roma: il Sappe protesta; situazione critica per i detenuti e la Polizia penitenziaria Ansa, 9 marzo 2011 Gli agenti della Polizia penitenziaria hanno protestato davanti la sede del Dap per le loro difficili condizioni di lavoro. All’Istituto penitenziario di Rebibbia ci sono troppi detenuti e pochi agenti. Oggi davanti alla sede del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) alcuni agenti della Polizia Penitenziaria del sindacato Sappe hanno dato vita ad un sit-in. Alla base della loro protesta ci sono le difficili condizioni in cui si trovano a dover lavorare. “Tutti in piazza contro quella nomenclatura e quella dirigenza dell’Amministrazione penitenziaria che - sottolinea Donato Capece, segretario generale del Sappe - da vent’anni ostacola ogni evoluzione ed accrescimento professionale della Polizia penitenziaria e quindi condiziona l’operato di tutti i capi Dipartimento che fino ad oggi si sono avvicendati alla guida del Dap”. Il sindacato precisa: “I burocrati hanno boicottato e boicottano subdolamente e costantemente una non più rinviabile, adeguata e funzionale organizzazione del Corpo di Polizia penitenziaria e l’istituzione della Direzione generale del Corpo, in seno al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, indispensabile e necessaria per raggruppare tutte le attività ed i servizi demandati alla quarta Forza di Polizia del Paese”. Nonostante il momento di grave crisi economica sia il Dap che il Ministro Alfano stanno cercando di risollevare la situazione. Questo è quanto ha lasciato intendere il Capo del Dap Franco Ionta che ha ricevuto una delegazione del sindacato: “Stiamo lavorando per ottenere significativi risultati come la realizzazione di circa 50 nuovi padiglioni detentivi, l’avvio delle procedure per le gare di una ventina di nuovi istituti penitenziari e l’assunzione di nuovi agenti di Polizia penitenziaria”. Le parole di Ionta non sono condivise dal presidente del Gruppo Italia dei Valori al Senato, Felice Belisario, e dalla senatrice Giuliana Carlino: “La carenza di agenti di polizia penitenziaria, a fronte di una popolazione di detenuti che è destinata inevitabilmente a crescere, è questione nota ma nel carcere femminile di Rebibbia il problema sta diventando una vera e propria bomba ad orologeria e il ministro Alfano fa orecchie da mercante”. La situazione nel carcere romano non è per niente confortante: “A fronte di 382 detenute e 12 minori di 3 anni, la capienza è di 274 posti, ci sono solo 117 agenti su 164 previsti. Di questi solo 45 idonei ai turni notturni. La situazione è addirittura peggiore per gli ispettori, solo 9 operanti su una previsione di 17 e solo 2 idonei al lavoro di notte. Di fronte a questi numeri - proseguono i due senatori dell’Idv - è illusorio pensare che tutto sia superabile con un ulteriore sforzo del personale penitenziario. Per questo abbiamo chiesto ad Alfano, nella nostra interrogazione, di stanziare i fondi necessari per completare l’organico degli operatori, compresi psicologi, puericultrici ed educatori, così come previsto dalla pianta organica. Sarebbe opportuno - concludono Belisario e Carlino - che il ministro convocasse un tavolo con i lavoratori al fine di un confronto concreto sulle problematiche del carcere”. Verbania: raccolta fondi per acquistare un forno al biscottificio interno al carcere Agi, 9 marzo 2011 Cena di raccolta fondi, domani alle 20, alla Scuola di Polizia penitenziaria di Verbania. Obiettivo dell’evento è raccogliere i soldi necessari per l’acquisto di un nuovo forno da inserire nel laboratorio “Banda Biscotti”, che si trova all’interno del carcere cittadino e dove alcuni detenuti lavorano alla produzione di biscotti artigianali. La cena prevede anche dei “contrappunti” durante i quali alcuni carcerati racconteranno le proprie esperienze di reclusione. “Il marchio Banda Biscotti - raccontano i promotori - è nato nel settembre 2009 dall’idea di creare golosità artigianali da dietro le sbarre, impiegando materie prime accurate e non aggiungendo altro se non la passione per il nostro lavoro e la voglia di migliorarci giorno dopo giorno. Nostro obiettivo è supportare il sistema della Giustizia contribuendo concretamente a dare un senso alle esperienza detentive, contenendone il potenziale di distruttività. Ognuno dei nostri biscotti ha una storia particolare, che è la storia delle mani che li hanno trasformati, fatta di eredità di passati tortuosi, resistenza in presenti di distacco e fatica, attese di futuri migliori. A ognuno di noi deve poter essere concessa un’altra occasione per ricominciare, perché la vita non si ferma ai reati, alle sentenze e alle punizioni”. Attualmente i laboratori della Banda Biscotti presenti in Piemonte sono tre: uno all’interno della Casa circondariale di Verbania, dove lavorano due persone, uno all’interno della Scuola di formazione di Verbania dove operano altre due persone, e uno all’interno della Casa di reclusione di Saluzzo (Cn), con altre due persone impiegate. Ironizzando sugli stereotipi linguistici che caratterizzano la descrizione dell’universo carcerario, i detenuti della Banda Biscotti si definiscono “condannati a creare dolcezze” e trascorrono le giornate fabbricando gustosi prodotti di pasticceria “secca” quali Lingue di gatta, Damotti, Margherite, Polentine, Baci di dama e Apucce. Ragusa: “Rompete le righe”, progetto di inserimento sociale per i detenuti La Sicilia, 9 marzo 2011 La ricerca delle prospettive di inserimento lavorativo, l’orientamento, la formazione e il work experience. Sono questi gli obiettivi del progetto “Rompete le righe”, l’iniziativa che riguarda le carceri di Ragusa e Modica e l’inserimento sociale attraverso il lavoro per chi ha già espiato la propria pena detentiva. Le organizzazioni in campo sono numerose: da una parte gli enti locali, quali il Comune di Vittoria e la Provincia regionale di Ragusa, dall’altra le associazioni di categoria come la Cna, la Coldiretti e la Multifidi. Il progetto riguarderà circa 78 persone (saranno coinvolti anche gli uffici di esecuzioni penale esterna di Ragusa) e durerà due anni. “Il nostro compito - ha spiegato Filippo Spadola del Consorzio Città Solidale - è quello di verificare una effettiva potenzialità del mercato del lavoro e di lavorare sui preconcetti che regolano gli atteggiamenti delle imprese del territorio. Per quanto riguarda l’offerta formativa - ha continuato - abbiamo previsto 10 corsi della durata massima di 300 ore, strutturati in unità capitalizzabili retribuite di 20 ore, proprio per adattare l’esperienza formativa al carattere temporaneo della permanenza del detenuto all’interno della struttura carceraria”. Le professionalità individuate dai corsi vanno dagli addetti alla cucina ai falegnami, dai pasticcieri agli addetti alle pulizie. “Dopo la formazione molto importante è l’azione del work experience - aggiunge Aurelio Guccione di Alterego Consulting - alla quale collaboreranno le associazioni di categoria coinvolte nel progetto. Le imprese dovranno trasferirsi all’interno delle carceri, garantendo contemporaneamente una esperienza produttiva valida ai fini di formazione professionale”. Ancona: carcere e trattamenti alternativi alla tossicodipendenza, i risultati del convegno Il Messaggero, 9 marzo 2011 Si è svolto mercoledì ad Ancona, nella sala di Palazzo Li Madou, il convegno organizzato dall’ Ufficio del Garante per i diritti dei detenuti e dall’Assemblea legislativa delle Marche, sul tema: “Carcere e trattamenti alternativi alla tossicodipendenza. “ L’incontro è stato aperto dal Presidente del Consiglio regionale, Vittoriano Solazzi, che ha voluto sottolineare l’importanza dell’iniziativa che:” ha riunito i rappresentati dei settori sanità, servizi sociali, giustizia, comunità terapeutiche e sistema penitenziario attorno ad un tavolo con lo scopo di affrontare questo grave problema che vede oltre il 22% dei detenuti degli istituti di pena delle Marche, essere tossicodipendenti. Un problema che deve essere affrontato e approfondito al fine di intraprendere tutti i percorsi normativi necessari a risolverlo.” “Un’iniziativa - ha detto Italo Tanoni, Garante dei diritti dei detenuti, che intende avviare un confronto aperto tra le varie Agenzie che gravitano attorno al problema, favorire l’adeguamento crescente, l’integrazione e la complementarietà dei sistemi che operano nel settore (misto pubblico e privato), approdare a un coordinamento generale finalizzato a fissare delle linee guida sul rapporto tra carcere e trattamenti alternativi alla tossicodipendenza”. Rosalba Ortenzi, Presidente della Commissione regionale per gli Affari istituzionali e promotrice di quella che è poi stata la serie di visite dei Consiglieri regionali ai Penitenziari marchigiani, nell’esprimere soddisfazione per l’incontro, ha evidenziato: “l’iter virtuoso dell’impegno dell’Assemblea legislativa nei confronti del pianeta carcere. Un argomento che tornerà, dopo l’incontro odierno, a essere tema di discussione del Consiglio regionale che attuerà tutte quelle azioni per risolvere i molteplici problemi legati ai penitenziari marchigiani”. Il carcere è ancora una risposta valida a certi comportamenti devianti o rappresenta piuttosto un aggravante? Nelle carceri marchigiane, su un totale di 1202 detenuti, ci sono in totale 265 tossicodipendenti, 5 sieropositivi, 109 affetti da epatite C e 138 affetti da patologie psichiatriche. Percentuali inferiori alla media nazionale ma che comunque non possono essere sottovalutate. Quanto emerso nel corso del convegno, al quale sono intervenuti anche i Consiglieri regionali Adriano Cardogna e Fabio Badiali, sarà ora portato all’attenzione di una prossima seduta del Consiglio regionale che, per quanto di competenza, cercherà di attuare gli strumenti normativi necessari a gestire le problematiche sin qui emerse. Lecce: nel carcere di Borgo san Nicola detenute “libere” per una sera di Maria Luisa Mastrogiovanni Il Manifesto, 9 marzo 2011 “Per camminare sempre con la testa alta”. Simona (il nome è di fantasia) muove i passi incerti sul tavolaccio del proscenio e ride, ride, rossa in volto. E poi piange. Ride e piange per le risate. E non capisci più. La sua è già una vittoria. Con lei altre dieci detenute nel carcere di massima sicurezza Borgo San Nicola, tra i più affollati d’Italia, mettono in scena una farsa ispirata alla storia di Giovanna D’Arco, che è la storia di tutte le donne, che vogliono compiere imprese impossibili e che per farlo devono affrontare l’impresa più impegnativa di tutte: affrontare gli sguardi di scherno e di compassione, poi di disapprovazione e poi di riprovazione, fino alla condanna. Uomini contro donne e donne contro uomini e poi contro tutti. Ma soprattutto contro il lato oscuro di sé, da capire, con cui convivere, da dominare, “per camminare sempre con la testa alta”. Lucia, dopo aver declamato questa frase, lancia sul pubblico, folto, della sala teatro del carcere, un mazzetto di fiori gialli. Nelle ultime file, le loro compagne di cella si lasciano andare a un applauso scrosciante: grida di incitamento e lacrime di commozione. Libere, per poco, sul palco e in platea. Poi si lasciano andare alla musica: canti e balli. Si scatenano e un po’ sono compiaciute dal sapere che ci sono gli spettatori, noi, tante donne, operatrici sociali, avvocate, politiche, noi, che sorridiamo che le guardiamo come pesci fuori d’acqua. I pesci fuor d’acqua siamo noi. Per poche ore, però, ieri pomeriggio, “l’acquario” di Borgo San Nicola si è riempito di orgoglio, rosso, come il vestito di Teresa che faceva la ruota sul palco e i suoi capelli ricci, neri, lunghissimi, diventavano un’aureola tutt’intorno, fieri. O come Maria, che cantava le canzoni napoletane con una voce tuonante e profonda, di pancia, a darci un pugno nello stomaco. Sono detenute per mafia, le donne della camorra o della Sacra corona unita. Alcune di loro fanno parte della cooperativa “Officina creativa”, che con stoffe e pelli di scarto produce borse col marchio “Made in carcere”, restituendo agli oggetti (e alle persone) una nuova vita. Sorride la direttrice Anna Rosaria Piccini: non tralascia di ricordare che si fa tutto in economia, perché i soldi son sempre meno e i detenuti sempre più. Le volontarie e le loro mani tese fanno il resto, che poi è il tutto. Alla fine il trenino e la torta mimosa. La più dolce, la più amara. E ci ammoniscono: “Andate in giro sempre con la testa alta”. Livorno: alle Sughere in occasione dell’8 marzo un pranzo speciale per le detenute Il Tirreno, 9 marzo 2011 Anche quest’anno, in occasione della ricorrenza dell’8 marzo, festa della donna, viene organizzato all’interno della sezione femminile della casa circondariale “Le Sughere”, un momento conviviale tra le detenute, operatori dell’istituto ed esponenti delle amministrazioni locali. Un modo per mettere in contatto il mondo del carcere e la sua realtà con la vita di tutti i giorni, quella all’esterno. Per il Comune saranno presenti all’incontro l’assessore Gabriele Cantù, l’assessore Carla Roncaglia, i consiglieri Paolo Fenzi e Arianna Terreni, e per la circoscrizione 1 la presidente Daniela Bartalucci e la consigliera Simonetta Pampaloni, il garante dei diritti dei detenuti Marco Solimano, oltre ad una rappresentanza dell’unità operativa dei servizi sociali del Comune di Livorno. Il pranzo per la festa della donna sarà organizzato e preparato dalle stesse detenute ospiti della casa circondariale, in collaborazione con la cooperativa 8 Marzo e il Cesdi, e servirà a creare un momento di socializzazione tra detenute e amministratori locali in una ideale riduzione di distanze tra l’interno e l’esterno del carcere, impegnando le detenute in un lavoro comune. Macomer (Nu): domani presentazione del libro sul tour in carcere degli Istentales La Nuova Sardegna, 9 marzo 2011 Domani, alle ore 11,30 nell’auditorium del Liceo “G. Galilei” di Macomer, sarà presentato il libro “Liberi dentro”, scritto dal giornalista della Nuova Luciano Piras, il quale racconta del tour nelle carceri sarde compiuto dal gruppo musicale Istentales. Luciano Piras ha seguito il tour degli Istentales e racconta la sua esperienza compiendo un reportage oltre le sbarre degli istituti di detenzione dove, spesso in condizioni di sovraffollamento, vivono degli esseri umani che scontano un debito con la società della quale hanno violato le regole e spesso si ritrovano in condizioni che di umano hanno poco. Il gruppo musicale ha voluto portare ai detenuti un messaggio di serenità eseguendo le canzoni dei suo repertorio, tra le quali “Belli dentro”, una canzone scritta da alcuni detenuti del carcere di Macomer, anche questo uno dei carceri affollati dove le condizioni di vita dei reclusi non sono delle migliori. Alla conferenza saranno presenti il dottor Gianni Marilotti, direttore del Centro giustizia minorile della Sardegna, l’autore del libro, Luciano Piras, che racconterà l’esperienza vissuta durante il tour nelle carceri con gli Istentales, il leader del gruppo musicale, Gigi Sanna, e il consigliere regionale Silvestro Ladu, presidente Commissione politiche comunitarie e diritti civili del Consiglio regionale della Sardegna. Concluderà la presentazione del libro un breve concerto del gruppo musicale Istentales. Parteciperanno alla conferenza, che è aperta al pubblico, gli alunni del Liceo. Immigrazione: il Garante del Lazio; tunisini trattati come detenuti nei Cie Dire, 9 marzo 2011 “Da quasi un mese 87 cittadini tunisini sono costretti a vivere, da detenuti, nel Cie di Ponte Galeria senza colpe se non quella di aver cercato un rifugio, sulle coste italiane, dal caos e dai disordini divampati nel loro Paese”. È quanto denuncia, come si legge in una nota, il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, al Prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro. “Queste persone - ha scritto il Garante - stanno vivendo una situazione di profondo malessere riconducibili alla diversità di trattamento che si sentono di aver ricevuto rispetto a tanti altri loro concittadini che, pur avendo vissuto la stessa esperienza, in altre parti d’Italia non sono trattenuti ma vengono rilasciati con un normale foglio di via”. Gli 87 nordafricani, fra cui due minori, erano sbarcati a Pantelleria e Lampedusa a seguito dei moti popolari esplosi a Tunisi ed erano stati trasferiti nel Cie di Ponte Galeria, aggiunge la nota. In queste settimane i tunisini hanno dovuto vivere secondo le regole del Centro, con possibilità azzerate di muoversi di fuori del Cie. “Sono detenuti senza aver commesso reati - ha detto il Garante - La cosa paradossale è che queste persone non hanno intenzione di restare in Italia, anzi. Vorrebbero tornare nel loro Paese una volta calmatasi la situazione e, nel frattempo, vorrebbero raggiungere amici e congiunti in Germania, Francia e altri Paesi d’Europa. Ma questa possibilità che è stata data ad altri connazionali, a loro continua ad essere negata”. Negli ultimi giorni i collaboratori del Garante hanno registrato una situazione di forte tensione e disperazione da parte degli 87 tunisini - che denunciano di vivere una condizione di detenzione ingiusta ed incomprensibile - che rischia di sfociare in manifestazioni di autolesionismo sia individuale che di gruppo, continua la nota. Per questi motivi il Garante ha deciso di scrivere al Prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro. “Mi rendo conto - ha scritto il Garante - che la situazione non può essere affrontata solo dalle autorità locali e per ovvie ragioni investe le competenze del Governo italiano e della Comunità Europea; il problema non ha solo aspetti legati alle politiche migratorie ma più in generale alle strategie di accoglienza delle popolazioni che fuggono da Paesi in guerra e che chiedono aiuto alla comunità internazionale”. “Tuttavia, sarebbe logicamente auspicabile una parità di trattamento ispirata a principi di accoglienza e di solidarietà piuttosto che a soluzioni restrittive ingiustificate - ha concluso Marroni - Per questo mi permetto di trasmetterle questa preoccupazione nella, speranza che lei possa rappresentarla al ministero dell’Interno affinché il problema sia affrontato a livello nazionale senza produrre una disparità di trattamento, ingiustificata ed intollerabile”. Egitto: torture sui detenuti, arrestati 84 ufficiali della sicurezza di stato Aki, 9 marzo 2011 Ottantaquattro ufficiali della sicurezza di Stato egiziana sono stati arrestati nelle ultime ore perché sospettati di aver avuto un ruolo nella distruzione di documenti riservati, molti dei quali si riferivano a denunce di torture subite da detenuti. Lo riferiscono i media egiziani. Le 84 persone sono sotto inchiesta anche per la distruzione di computer contenenti importanti informazioni, precisa l’agenzia di stampa Dpa. Gli arresti sono scattati su decisione della Procura del Cairo, dopo giorni di proteste contro la sicurezza di Stato, di cui i manifestanti chiedono la soppressione. La sicurezza di Stato, tra l’altro, è anche accusata di aver fatto un eccessivo ricorso alla violenza contro gli egiziani scesi in piazza per 18 giorni tra gennaio e febbraio per chiedere le dimissioni dell’ormai ex presidente Hosni Mubarak. Almeno 350 persone sono morte durante la repressione delle proteste. L’ex capo della sicurezza di Stato del Cairo, Hassan Abdel Rahman, è da ieri agli arresti domiciliari. Stati Uniti: il presidente Obama allunga la detenzione dei prigionieri di Guantanamo www.peacereporter.net, 9 marzo 2011 “La prigione di Guantanamo ha indebolito la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e va quindi chiusa”. Con queste parole, il 21 maggio 2009, il presidente Usa Barack Obama annunciava che entro un anno il carcere sull’isola cubana avrebbe chiuso i battenti. Oggi, il presidente Usa fa un clamoroso dietrofront. Obama ha infatti firmato un ordine esecutivo che istituisce un sistema di detenzione a tempo indeterminato per i prigionieri, ritenuti una minaccia costante alla sicurezza nazionale statunitense. Nel suo discorso Obama ha anche annunciato la creazione di nuovi tribunali militari dove processare i detenuti. Decisioni che arrivano a oltre due anni da quell’ordine esecutivo, siglato da Obama immediatamente dopo il suo insediamento, con cui il capo della Casa Bianca si impegnava a smantellare Guantanamo Bay: “Il presidente è ancora intenzionato a chiudere quella prigione”, hanno spiegato ieri i funzionari dell’amministrazione, senza che però Obama nel suo intervento di ieri facesse alcun riferimento alla parola data quasi due anni fa. Su questo drastico cambio di linea della Casa Bianca - che negli ultimi due anni si è scontrata con un’opposizione bipartisan alla chiusura di Guantanamo da parte del Congresso - l’opinionista del Washington Post, Dana Milbank ha così commentato: “Il presidente Obama ha iniziato il suo mandato con la promessa di chiudere in dodici mesi il carcere militare di Guantanamo Bay, di lì a poco il capo della Casa Bianca ha capito che il suo progetto era impossibile da realizzare e adesso ha sostanzialmente formalizzato la politica detentiva del suo predecessore, George Bush”. Ma la contraddizione di Obama, aggiunge Milbank, non è solo quella di aver di fatto legittimato una politica che aveva annunciato di non voler seguire, ma quella di continuare a sostenere di essere coerente: “Questo ordine esecutivo fa esattamente quello che Obama aveva detto di non dover fare, nello stile caro al suo predecessore”, aggiunge sarcastico l’opinionista. Le critiche a Obama non sono mancate neanche dall’organizzazione per la tutela dei diritti civili più importante d’America, la Aclu (American Civil Liberties Union), il cui direttore esecutivo Anthony D. Romero, interpellato da Peace Reporter, ha dichiarato che esiste un sistema penale federale per giudicare i terroristi, e non deve essere un tribunale militare a farlo. “Il modo migliore per risolvere la questione è di utilizzare lo strumento più affidabile ed efficace che abbiamo, ovvero il nostro sistema giuridico. Invece, purtroppo, l’amministrazione Obama ha fatto l’opposto, scegliendo di istituzionalizzare la detenzione a tempo indefinito, creando un precedente pericoloso, e di ridare vita alle commissioni militari”. Per Romero “è virtualmente impossibile immaginare come si possa arrivare a chiudere il carcere una volta emesso questo ordine esecutivo. In quasi due anni, l’amministrazione Obama ha fatto un voltafaccia completo”.