Giustizia: il ddl sulle detenute madri così non va; al Senato il Pd chiede una sospensiva Ansa, 8 marzo 2011 Il disegno di legge sulla tutela delle detenute madri e dei figli minori “rischia di essere inutile e di non risolvere il problema dei bimbi in carcere”. Per questo oggi, data in cui è stata calendarizzata la discussione del ddl in Senato, “il Pd chiederà una sospensiva, per approfondire l’argomento, promuovere nuove audizioni e prendere tempo per fare migliorie. Non occorre approvare la legge necessariamente l’8 marzo, l’importante è garantire i diritti alle donne”. Per la senatrice radicale, Donatella Poretti, intervenuta oggi a una conferenza stampa, la legge per le detenute madri e i figli minori è una legge manifesto. Il numero dei bambini in carcere assieme alle loro madri oscilla tra i 52 e i 60 e sono soprattutto figli di extracomunitarie o nomadi; le detenute sono per lo più a rischio di recidiva e la legge attuale non concede loro sconti di pena o domiciliari. La legge Finocchiaro tutelava le detenute madri italiane, ma ora il numero di nomadi ed extracomunitarie è aumentato e anche i loro bimbi devono essere protetti. I radicali e associazioni come Il detenuto ignoto, Terre des Hommmes e A Roma insieme chiedono emendamenti al ddl per impedire in modo certo l’entrata e la permanenza in carcere in via cautelare delle donne incinte e delle donne con bimbi con meno di 6 anni. In caso di un’esigenza cautelare di particolare rilevanza, queste donne dovrebbero essere accolte in Istituti di custodia attenuata o meglio in una casa famiglia. Il ddl deve inoltre definire i requisiti delle case famiglia e deve permettere alle madri di assistere sempre, e non solo fare visita, i figli con meno di 10 anni ricoverati in gravi condizioni di salute. Dispiace - ha affermato la deputata radicale Rita Bernardini, raccontando l’iter del ddl alla Camera - che si sia accettato di essere guidati da Lega e da una parte del Pdl in questo processo legislativo. La Lega vuole la sicurezza e non percorsi personalizzati suggeriti dalle associazioni, che in realtà renderebbero più sicuro il territorio. Questa legge segue non il diritto del bambino, ma il diritto alla sicurezza - ha sottolineato Leda Colombini, presidente di A Roma insieme - diritti che si possono conciliare e non contrapporre. Ddl detenute madri in aula Senato, poi forse ritorno in Commissione Il ddl sulla tutela del rapporto tra le detenute madri e i figli esordisce oggi in aula a palazzo Madama, ma dopo la discussione generale potrebbe tornare in commissione Giustizia per l’approfondimento di alcuni punti. Lo ha detto il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri, dopo la conferenza dei capigruppo di palazzo Madama. Giustizia: Radicali profondamente critici sul disegno di legge per le detenute madri 9Colonne, 8 marzo 2011 “Noi Radicali siamo profondamente critici verso l’impostazione vanamente celebrativa che è stata adottata dal Senato sul provvedimento che, così come uscirà dal Parlamento, non offrirà alcuna miglioria alla sistemazione delle madri detenute coi propri figli nelle carceri italiane, ma col quale si rischia concretamente di vedere protratti i patimenti dei bambini detenuti non più fino al terzo anno di età, ma fino ai sei anni”. Una legge che non risolve il problema da cui prende le mosse e che anzi, a causa di una formulazione troppo vaga e della mancata copertura finanziaria, rischia persino di peggiorare la situazione attuale. Questo il giudizio dei parlamentari radicali sul disegno di legge n.2568 intitolato “Disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”, approvato lo scorso 16 febbraio alla Camera dei deputati e di cui è prevista la votazione al Senato. Insieme alle associazioni Terre des Hommes e A Roma Insieme, i radicali chiedono di sospendere la votazione e riviarla per avere modo di approdondire le criticità che il testo attuale non risolve, innanzi tutto l’obbligo, per il giudice, di far scontare la pena alle detenute con figli piccoli in istituti a custodia attenuata. Nella formulazione attuale l’articolo 1 recita: “Il giudice può disporre la custodia presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano”. Ma queste sono esattamente le condizioni attuali, obiettano Radicali e associazioni, perché certe categorie di detenute (soprattutto quelle a rischio di recidive, come le tossicodipendenti o le nomadi, o anche le donne senza dimora o quelle che non hanno ancora scontato un terzo della pena) saranno escluse dai benefici della nuova legge così come lo erano da quella precedente, perché la maggior parte delle donne in carcere appartengono proprio a queste categorie. Dunque Radicali e associazioni chiedono che si sostituisca la parola “può” con la parola “deve”. “Siamo davanti a un testo di legge che definirlo inutile – spiega la senatrice radicale Donatella Poretti – è già un complimento: dal punto di vista pratico la nuova legge non tira fuori i bambini che attualmente vivono nelle carceri insieme alle madri, cioè i figli di rom, tossicodipendenti, senza dimora o extracomunitari”. Secondo Poretti una formulazione eccessivamente vaga del testo rischia addirittura di estendere il numero di anni che i bambini sono costretti a passare in carcere con le madri, che potrebbe arrivare a sei anni. Nelle intenzioni, il nuovo disegno di legge dovrebbe prolungare dagli attuali tre fino a sei anni l’età del figlio per cui la madre possa scontare ai domiciliari o in istituti speciali la propria pena. Tuttavia – è l’avvertimento di Poretti - se poi si prevedono tutta una serie di casi in cui si torna a disporre il carcere ordinario, c’è addirittura il rischio che i bambini rimangano in carcere fino ai sei anni. Un rischio comunque remoto, almeno secondo l’avvocato Alessandro Gerardi: “Il testo rimanda alla vecchia legge Finocchiaro attualmente in vigore e lì si dice chiaramente che i bambini non possono rimanere in carcere oltre i tre anni”. Inoltre – dice Poretti - “non si stabilisce come devono essere questi istituti a custodia attenuata, i cosiddetti Icam e non si stabilisce una copertura finanziaria per disporne di nuovi; senza contare che il nuovo disegno di legge rimanda tutto al 2014”, data indicata all’art.1 della nuova legge, che recita: “Le disposizioni di cui la presente articolo si applicano a far data dalla completa attuazione del piano straordinario penitenziario, e comunque a decorrere dal 1° gennaio 2014”. E andare così tanto per le lunghe è “un modo ipocrita di legiferare”, l’ha definito Gerardi. Secondo i radicali, poi, un altro problema è quello dei bambini figli di detenute che vengono ricoverati in ospedale: la nuova legge non cambia nella sostanza quella attualmente in vigore, che prevede in via eccezionale solo visite, anche se proporzionate alla durata del ricovero, ma non che le mamme possano rimanere insieme ai figli durante il loro ricovero. Inoltre viene criticato “il doppio binario” – come l’ha definito Rita Bernardini – che la legge stabilisce per i figli di donne condannate per i delitti previsti dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, per le quali la legge stabilisce una “preclusione assoluta” alla possibilità stabilite dalla legge per le detenute madri. Reati che, per quanto gravi, non sono comunque stati compiuti dai bambini di quelle donne, argomentano. E c’è anche il problema della “la mancanza di pari opportunità per il padre” che non è citato all’art. 3 del nuovo testo, sulle modalità di detenzione domiciliare. Infine c’è il problema del differimento della pena: “Molti giuristi – afferma Gerardi - sostengono che il problema dei bambini in carcere non si risolve se non si prevede la possibilità di chiedere al giudice il differimento della pena, cioè di rimandare i propri conti con la giustizia”. Giustizia: Bernardini: mai più bambini in carcere? così com’è, la legge non cambia le cose di Rita Bernardini La Repubblica, 8 marzo 2011 Con il testo approvato mercoledì scorso dalla Camera dei Deputati sulla tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, lo slogan “mai più bambini in carcere” lanciato dal Ministro Alfano due anni fa è destinato a rimanere lettera morta. “L’eccezionale rilevanza” c’è quasi sempre. Si tratta, infatti, di un provvedimento che non risolve certo il problema di quelle detenute madri, magari nomadi e recidive, in carcere aspettando un processo, o perché condannate in via definitiva. I loro bambini, infatti continueranno a rimanere chiusi negli istituti di pena, perché rispetto a questa tipologia di detenute esisterà sempre l’esigenza cautelare di “eccezionale rilevanza” o il pericolo di reiterazione di ulteriori delitti o quello di fuga, che non consentirà loro di scontare la custodia cautelare o la reclusione presso un istituto a custodia attenuata o presso una casa famiglia. L’articolo 4-bis dell’Ordinamento. In materia di tutela del rapporto tra detenuta madre e minore, i deputati della maggioranza e della opposizione hanno pensato bene di confermare l’infame regime del doppio binario processuale, sulla base del quale una detenuta madre condannata per un delitto di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, non potrà scontare in nessun caso il primo terzo della pena al di fuori delle mura del carcere, come se i bambini di queste donne - ha aggiunto -fossero colpevoli per i delitti, per quanto gravi, commessi dalle loro madri. Una legge senza copertura finanziaria. Ma ammettiamo pure che una detenuta avesse tutti i requisiti soggettivi e oggettivi richiesti da questo provvedimento, anche in quel caso madre e figlio non potrebbero mai uscire dal carcere per andare negli istituti a custodia attenuata, visto e considerato che fino al 2014 ciò sarà possibile solo nei limiti dei posti disponibili. Il rischio insomma è che anche nei suoi aspetti positivi questo provvedimento non potrà essere pienamente applicato a causa della scarsa copertura finanziaria. L’aspetto della recidiva. Le Associazioni che abbiamo audito in Commissione Giustizia ci avevano ammonito soprattutto sull’aspetto della recidiva di nomadi e tossicodipendenti e su quanto fosse importante seguire percorsi individualizzati (e meno costosi per le casse dello Stato e delle istituzioni locali) di reinserimento sociale per queste madri e i loro bambini, ma un’impostazione securitaria che nulla ha a che fare con la vera sicurezza dei cittadini, ha impedito di ascoltare quelle parole di saggezza. Solo un titolo, manca lo svolgimento. Per tutti questi motivi come radicali - pur avendo la nostra delegazione presentato una proposta di legge su questa materia elaborata in collaborazione con l’Associazione Il Detenuto Ignoto - ci siamo astenuti al momento della votazione. Insomma, rimane poco più del titolo del tema “mai più bambini in carcere”, manca lo svolgimento e, soprattutto, una convincente e giusta soluzione del problema. Giustizia: innocente in cella 2 anni; sbagliò a prestare l’auto, risarcimento negato Corriere della Sera, 8 marzo 2011 Non ha diritto a un euro di risarcimento per 28 mesi di “ingiusta detenzione” (5 in cella e 23 ai domiciliari) prima dell’assoluzione nel 2009 in Assise dall’accusa di partecipazione alle nuove Brigate Rosse: perché no? Perché - per i giudici Francesca Vitale (relatrice), Massimo Maiello e Antonio Nova - aver prestato l’auto a Davide Bortolato, un collega poi condannato come Br a 15 anni di carcere, “costituisce” per il pur assolto Alessandro Toschi “una imperdonabile leggerezza in assenza di notizie certe circa l’utilizzo della macchina”. E perché, frequentando il centro sociale Gramigna a Padova, “non poteva non comprendere come certe frequentazioni e la condivisione di idee estremistiche lo esponessero al concreto rischio di vedersi coinvolto nelle relative indagini”. La legge nega agli assolti l’indennizzo se col loro comportamento hanno comunque (anche solo “per colpa”) dato causa all’arresto, qui firmato nel 2007 dal Gip Guido Salvini su richiesta del Pm Ilda Boccassini: e per dire no alla richiesta di Toschi, alla quale si era invece associata la Procura generale, i giudici valorizzano la presenza della sua auto a 200 metri da una sede di Forza Nuova alle 2 di notte del 17 novembre 2006, 2 ore prima di un botto: un poliziotto disse di averlo visto lì col fratello Massimiliano (10 anni di condanna ma non per l’attentato), Toschi ribatté che era a casa con la fidanzata e aveva una teste fino alle 24, l’Assise pur dubitando dell’alibi non ritenne di poter condannare: ma oggi ai fini del (non) risarcimento i giudici della V Corte d’Appello stimano che “la condotta non può non far pensare a un sopralluogo”. E nelle “biglie, fionde e bastoni” a casa sua nel 2007 colgono “l’indice di appartenenza a un circuito capace di affermare anche in maniera violenta le idee di cui è portatrice”. Giustizia: Cassazione; l’indirizzo Ip inchioda l’autore di diffamazione Il Sole 24 Ore, 8 marzo 2011 Ha un po’ la stessa funzione delle impronte digitali. Solo che qui di digitale c’è solo il contesto in cui è commesso il reato, mentre a inchiodare il colpevole, che sulla rete si muoveva utilizzando un comodo nickname, è l’indirizzo Ip. Considerato sufficiente a inchiodare l’autore di ima diffamazione via web sul forum dedicato al dibattito politico locale dal sito di un piccolo paese. A chiarire l’intreccio, confermando la responsabilità accertata dai giudici di merito è stata la Corte di cassazione con la sentenza n. 8824 della Quinta sezione penale depositata il 7 marzo 2011. Il contesto è quello di una disputa politica a livello locale, poi trascesa in ingiurie e invettive diffuse su internet. Nulla a che vedere con il legittimo esercizio del diritto di critica che in un ambito pubblico ha ampio diritto di cittadinanza. In questo caso nessuno scambio di opinioni; piuttosto una raffica di contumelie che ha visto come autore un politico locale e come vittima una famiglia del posto. Che ha deciso di non farla passare liscia all’anonimo maleducato che aveva scelto la palestra virtuale per dare sfogo al proprio risentimento: le ingiurie erano infatti diffuse sul forum pubblico allestito dal sito del locale comune. Dalle vittime delle offese era subito partita una denuncia per diffamazione che ha coinvolto nelle indagini la polizia postale. È stato grazie all’intervento di quest’ultima che è stato possibile arrivare all’identificazione del colpevole nella figura di un politico locale. Nell’inchiesta si è poi rivelata determinante la collaborazione del sito web che stato teatro degli insulti e del gestore telefonico. È stato grazie a loro che è diventato possibile associare l’indirizzo Ip all’utenza domestica della persona sospetta. L’uomo ha provato a difendersi ammettendo da una parte di essere un abituale frequentatore del forum pubblico, di esservi registrato tramite uno specifico username e di operarvi sotto pseudonimo (in gergo nickname), dall’altra aveva però negato ogni responsabilità negando che l’indirizzo Ip fosse riconducibile a lui con quel grado di certezza che, solo, può giustificare una condanna penale. In una fattispecie di diffamazione, come quella contestata, sarebbe così stato impossibile di fatto ricondurre la paternità di un messaggio diffuso sulla rete alla sua persona. I magistrati però hanno fatto muto. E affermato, forti degli accertamenti tecnici compiuti, sia nei giudizi di merito sia in Cassazione che il numero di identificazione che viene assegnato sulla rete internet mondiale appartiene “in via esclusiva a un determinato computer connesso”. Per la sentenza, però, non è possibile pensare a un’intrusione su internet, magari da chi si fosse fatto forte dello stesso nickname: troppi i dettagli che l’eventuale colpevole alternativo avrebbe dovuto conoscere. In punta di fatto, era nota a tutti in paese la profonda inimicizia dell’uomo nei confronti della famiglia offesa. Lettere: una donna dell’Amministrazione penitenziaria scrive al Capo del Dap Ionta Ristretti Orizzonti, 8 marzo 2011 Caro dott. Ionta, la ringrazio per le parole d’affetto e di riconoscimento per il lavoro svolto dalle donne dell’Amministrazione Penitenziaria. Penso che il gruppo dei 39 psicologi vincitori di concorso, composto per lo più da donne - da psicologhe - abbia dimostrato negli anni un impegno senza eguali per garantire che l’assistenza psicologica sia un diritto per tutti i detenuti. Abbiamo coraggiosamente portato avanti anche un progetto di legalità e giustizia per vedere riconosciuti i nostri diritti di lavoratrici che hanno vinto un concorso pubblico indetto dal Ministero della Giustizia. Oggi, in quanto dipendenti dell’Amministrazione penitenziaria, perché tali ci sentiamo - e non tanto perchè abbiamo vinto una causa, piuttosto perché abbiamo vinto un concorso- chiediamo di vedere riconosciuto il nostro ruolo di psicologhe non solo a parole, ma con azioni concrete. Come mai l’Amministrazione appella una sentenza di un giudice che ribadisce il nostro diritto ad essere assunte? Come mai si proclama il valore degli psicologi e del loro lavoro con i detenuti, mentre poi con i fatti si contraddice quanto affermato? Nella sua lettera alle donne riconosce loro la capacità di non arrendersi, di saper guardare oltre e di saper aggiungere valore etico all’Amministrazione. Ecco, noi psicologhe -già vincitrici di concorso- non ci arrenderemo finché gli psicologi non saranno a pieno titolo parte integrante dell’Amministrazione penitenziaria, proprio perché riconosciamo il valore etico che la psicologia può aggiungere alla mission dell’Amministrazione penitenziaria. Forse oggi l’Amministrazione non sa guardare oltre, ma noi donne, come lei stesso afferma nelle sua lettera, sì. Buon 8 marzo! Mariacristina Tomaselli Una donna dell’Amministrazione penitenziaria Marche: sulle carceri doppia interrogazione di Cavallaro e Sciapichetti (Pd) www.gomarche.it, 8 marzo 2011 Quali iniziative assumerà la Regione nei confronti del Ministero della Giustizia per migliorare la condizione degli istituti carcerari delle Marche? E il Ministero intende intervenire, almeno per sopperire alla carenza di personale? Sono le domande che Angelo Sciapichetti e Mario Cavallaro , rispettivamente consigliere regionale e deputato del Pd, pongono al presidente Spacca e al ministro Alfano in una doppia interrogazione a risposta immediata, anche a seguito della recente presentazione, ad Ancona, della relazione 2010 del Garante dei diritti dei detenuti. Un report dettagliato, frutto del monitoraggio dei mesi scorsi al quale ha partecipato lo stesso Sciapichetti, che non risparmia le sette strutture penitenziarie marchigiane dalle criticità del sovraffollamento e della carenza di personale: 419 detenuti in più rispetto alla capienza regolare e personale largamente inferiore rispetto alle piante organiche. La situazione più difficile si registra a Montacuto di Ancona, dove i reclusi sono 365, contro una capienza regolamentare di 172 e una capienza massima tollerabile di 313, ma anche ad Ascoli Piceno, Fermo e Camerino convivono troppi reclusi nella stessa cella. Al contrario le strutture di Barcaglione di Ancona e Macerata Feltria (PU) restano sottoutilizzate per carenza di polizia penitenziaria: 35 detenuti a Barcaglione, a fronte di una potenzialità di 180, e 20 a Macerata Feltria rispetto ad una potenzialità di circa 60. “Dotarle di personale adeguato – sostengono Cavallaro e Sciapichetti - potrebbe rispondere, nell'immediato, al fabbisogno di una maggiore ricettività del nostro sistema carcerario, in attesa della costruzione del nuovo carcere di Camerino”. Brindisi: ergastolano muore in cella, la denuncia della famiglia www.quotidianodipuglia.it, 8 marzo 2011 Muore d’infarto nel carcere di Carinola, in provincia di Caserta, l’ex boss della Scu Francesco Sparaccio, nella cella dove da sei anni stava scontando l’ergastolo per omicidio. Il 25 gennaio scorso il legale difensore, Daniela D’Amuri, aveva chiesto al magistrato di sorveglianza il ricovero d’urgenza, il detenuto accusava dolori insopportabili al ventre e allo stomaco. Richiesta rimasta senza conseguenze. In ospedale Sparaccio, non ci è mai arrivato. La famiglia ha presentato un esposto alla procura della Repubblica di Caserta, chiedendo di accertare se quella morte si poteva scongiurare oppure no. Se il personale medico del carcere avesse accertato fino in fondo le cause di quei malori e per quale ragione nessuno avesse ritenuto di trasferire il detenuto in ospedale per le indagini mediche necessarie. Ovvero se questa sia una storia di ordinaria noncuranza da sommare all’infamante capitolo della malasanità nelle carceri italiane, oppure no. Di quell’omicidio per il quale era stato condannato all’ergastolo Francesco Sparaccio si è sempre proclamato innocente. La verità vera, quella è sepolta insieme alla vittima, il 36enne Francesco Incantalupo, scomparso il 12 aprile 1992 e mai più ritrovato. Fu il primo caso di lupara bianca a Brindisi, uno della lunga serie di omicidi che insanguinarono il territorio nel 1992, l’anno della mattanza in cui morirono ammazzati Teodoro Carratta, Umberto De Nuccio e Francesco Marrazza, vittime di una guerra fra bande rivali per il controllo del contrabbando fra la sponda brindisina e il Montenegro. Secondo Vito Di Emidio, e i pentiti a venire, Incantalupo fu strangolato da Sparaccio e da Giuseppe Massaro, arrestato per lo stesso delitto nel 2005, a quasi due anni dalla sentenza della corte d’appello di Lecce che avrebbe condannato entrambi all’ergastolo. Il ruolo di primo piano nella Scu se l’era conquistato dopo l’arresto di Adriano Stano e Salvatore Buccarella, dal 1999 era lui che comandava una fetta importante dei traffici di tle in Montenegro, fino all’estradizione, avvenuta nel settembre dello stesso anno. Per contrabbando Francesco Sparaccio trascorre in carcere gli anni dal ’99 ad ottobre del 2002, ininterrottamente. Subito dopo la sentenza della corte d’appello di Lecce nel marzo 2003, che lo condanna all’ergastolo, scompare ma la latitanza dura poco. Il 25 settembre 2003 viene scovato dalla guardia di finanza in casa della convivente, da allora non ha mai più messo piede fuori dal carcere. Qualche mese addietro comincia ad accusare dolori per i quali chiede sempre più frequentemente assistenza infermieristica. Viene curato con Malox e antidolorifici, anche per via endovenosa. Se il magistrato di sorveglianza abbia mai disposto il ricovero, non è dato sapere. Certo è che Francesco Sparaccio in ospedale non c’è mai arrivato. E’ morto a mezzanotte, nella cella dov’era recluso, l’autopsia dirà perché e se quella morte si poteva scongiurare. Se il diritto alla salute è stato riconosciuto anche all’ex boss condannato per omicidio. Se la legge è davvero uguale per tutti. Ovvero se quel diritto non sia stato negato a un uomo che per la sua stessa condizione di detenuto, era ultimo. Un diritto per il quale, in queste ore, sta lottando anche un giovane detenuto nel carcere di Bari, il 30enne di origini francavillesi Massimo Di Palmo, gravemente cardiopatico. Il giudice del tribunale di Brindisi Giuseppe Licci ne ha disposto il ricovero nel Centro clinico del capoluogo barese, ma nella clinica non c’è posto. E’ stato trasferito in una cella dove vive con altri otto detenuti, fumatori. Sente mancargli il cuore e la vita, un giorno dopo l’altro e anche lui chiede aiuto, finchè c’è tempo. Rieti: Renata Polverini visita il carcere; è sotto utilizzato per mancanza di personale Il Messaggero, 8 marzo 2011 Al suo arrivo Renata Polverini trova una situazione che altrove, nel Lazio, non ha riscontrato. Un carcere nuovo, realizzato secondo i più recenti criteri di modernità, ma desolatamente sotto utilizzato. Nel nuovo complesso di Vazia funziona solo un padiglione, già sovraffollato (ci sono ospitati 107 detenuti contro i 56 previsti in partenza dal progetto), mentre gli altri reparti sono chiusi e le celle vuote: mancano i soldi per assumere altri agenti di polizia penitenziaria. E così Annunziata Passannante, dinamico direttore del nuovo carcere (con alle spalle un’esperienza da vice maturata nel penitenziario milanese di San Vittore) quasi invoca la governatrice del Lazio: “Dateci una mano, vogliamo far crescere questa struttura perché ciò significa aiutare anche i detenuti, offrendo loro possibilità di lavoro e di reinserimento nella società una volta scontata la pena. Solo così il carcere ha un senso. Siamo convinti che solo un percorso formativo restituisca la speranza a chi entra qui dentro e non vuole essere lasciato solo”. E sull’organico aggiunge: “Servirebbero 300 agenti ma ne abbiamo solo 100, per cui non possiamo aprire tutta la parte più grande”. La risposta della Polverini è istituzionale quanto più non si può: “Ho visitato quasi tutti i carceri del Lazio e spesso ho visto problemi di sovraffollamento, per cui mi sono meravigliata. Come amministrazione - afferma - cercherò anch’io di parlare con il ministro perché nel più breve tempo possibile si possa avere un carcere pienamente funzionante sia per i detenuti che per gli operatori”.Ma già sa (o immagina) la risposta che arriverà da via Arenula: i fondi non ci sono. Allora bisogna andare avanti in questo modo, con turni pesanti per gli agenti che sono in numero inferiore in rapporto ai reclusi presenti. Intanto la capienza massima, quando si arriverà al pieno utilizzo del carcere, è raddoppiata rispetto al progetto iniziale approvato che prevedeva 250 ospiti: in futuro il nuovo complesso di Vazia potrà arrivare ad accoglierne fino a 450 e questo grazie al fatto che le celle, progettate a due posti, sono state abilitate a ospitare quattro detenuti, con letti a castello e gli spazi interni inevitabilmente ristretti. In compenso, funzionano (e bene) il teatro (dove si è svolta la consegna degli attestati ai detenuti che hanno seguito i corsi professionali), il campo di calcetto e la palestra, seppure con orari ridotti, diretta conseguenza dell’insufficiente numero di agenti in servizio. Resta invece inutilizzata l’ala sanitaria dove i detenuti possono essere ricoverati e curati per patologie che non richiedono il trasferimento nel vicino ospedale de Lellis. “Abbiamo ereditato una situazione di assistenza nelle carceri sicuramente critica. Da qualche settimana però è al lavoro una task force per dare risposte lì dove abbiamo verificato che ci sono problemi” ha spiegato la governatrice del Lazio, facendo intendere (ma senza ufficializzarlo) che in rampa di lancio ci potrebbero essere delle assunzioni per aprire il reparto medico. “Solo quando questa struttura sarà pienamente funzionante, allora si potrà avere una ricaduta in termini occupazionali ed economici” chiosano alcuni operatori che prestano la loro collaborazione attraverso associazioni esterne, ma quel giorno non sembra proprio così vicino. Per ora, resta la raggiunta “umanizzazione” dello status di detenuto (nell’ex Santa Scolastica non c’era praticamente spazio per una pur minima libertà personale), l’elemento caratterizzante di tutti gli interventi che portarono il consiglio comunale (giunta Cicchetti) a dare il via libera bipartisan alla realizzazione del nuovo carcere. Per il resto, c’è solo da aspettare. I corsi sono occasioni di lavoro 30 attestati consegnati a quei detenuti che hanno frequentato i corsi del progetto “Sfide”, finanziato dalla Regione, seguendo lezioni di italiano per gli stranieri, alfabetizzazione informatica e operai edili polivalenti. Non tutti però c’erano (“È una delle poche volte in cui sono contenta di non trovare qualcuno”, ha scherzato la Polverini), ma due ex detenuti hanno voluto ugualmente ricevere l’attestato dalle mani della governatrice in un ufficio esterno all’area di detenzione. Nel teatro dove si è svolta la cerimonia, la rappresentanza istituzionale era al completo, con il presidente della Provincia Melilli, il sindaco Emili, il senatore Cicolani, gli assessori regionali alla Sicurezza Cangemi e all’Istruzione Sentinelli, i consiglieri regionali Cicchetti, Perilli, Nobili, Gatti, il vice prefetto Paolo Grieco, oltre al Garante dei detenuti, Angiolo Marroni. “Stare vicina alla popolazione carceraria - ha commentato la Polverini - è da sempre uno dei miei impegni. Vedere una struttura così bella, per quanto può esserlo un carcere, a fronte di altre fatiscenti che ho visitato, ci deve spingere a lavorare in questo settore e stare vicino a persone che hanno sbagliato ma che possono utilizzare questo tempo per crearsi opportunità di lavoro, o imparare la nostra lingua, senza conoscere la quale è più facile cadere in certe situazioni. Questi corsi - ha concluso rivolgendosi ai corsisti - possono darvi la vera libertà che non è uscire dalla sbarre ma è l’indipendenza economica che vi fa scegliere di non commettere reati”. Parma: Sappe; agente ricoverato in ospedale dopo aver contratto la tubercolosi Ansa, 8 marzo 2011 Un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Parma è stato ricoverato circa due settimane fa all’Ospedale Maggiore per aver contratto la tubercolosi. Lo ha reso noto Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del sindacato di polizia penitenziaria Sappe. Il segretario Durante commenta: “È altissimo il rischio per gli agenti di contrarre malattie contagiose, a causa della promiscuità esistente nelle carceri, dove il 25% dei detenuti sono tossicodipendenti, molti dei quali sieropositivi e affetti da patologie infettive come l’epatite B e C. In alcune carceri del Nord Italia la percentuale di tossicodipendenti sale addirittura al 55/60%. Gli stranieri sono il 37% come media nazionale, mentre al Nord arrivano a punte del 50-60 %, molti dei quali provenienti dai paesi del Nord Africa”. Secondo il Sappe, “il caso di Parma non è isolato. Ci sono stati casi di epatite B e C contratta dal personale di polizia penitenziaria, che spesso entra in contatto con soggetti dei quali, per ragioni di privacy, non conosce lo stato di salute e il quadro clinico. Sarebbe opportuno che il personale di polizia penitenziaria potesse sottoporsi periodicamente allo screening per le patologie infettive come la Tbc, le forme di epatite ed altre, in ragione della tipologia di lavoro a rischio. Nel carcere di Parma, dove sono ristretti 524 detenuti e lavorano circa 250 appartenenti alla polizia penitenziaria, la tensione è altissima. Chiediamo - conclude Durante - che il personale di polizia penitenziaria e i detenuti vengano controllati al più presto per evitare che la Tbc possa diffondersi. Ci risulta che al momento solo dieci agenti della polizia penitenziaria hanno effettuato lo screening previsto”. Libè (Udc): caso agente colpito da tbc grave e non isolato Il deputato dell'Unione di Centro Mauro Libé, responsabile nazionale Udc per gli Enti locali, ha presentato un'interrogazione ai ministri della Salute e della Giustizia dopo il caso dell'agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Parma ricoverato circa due settimane fa nell'ospedale cittadino per aver contratto la tubercolosi. "Un fatto grave e non isolato - ha commentato Libé - il rischio per gli agenti di contrarre malattie contagiose a causa della promiscuità esistente nelle carceri è altissimo e diffuso in molti altri istituti penitenziari. Per questo ho chiesto ai ministri Fazio e Alfano di intervenire al più presto, affinchè il personale di polizia penitenziaria e i detenuti siano sottoposti a controlli accurati". Spoleto (Pg): carcere di Maiano; il Partito democratico interroga il Sindaco Il Messaggero, 8 marzo 2011 Il Partito democratico interroga il sindaco Bendetti sulle condizioni del carcere di Maiano, alla luce del sovraffollamento di detenuti che affligge la struttura e dello scarso numero di personale impiegato. Attualmente sono circa 670 i reclusi a Spoleto, a fronte di un organico di polizia penitenziaria “drammaticamente sottostimato”, con circa il 20% in meno degli effettivi necessari. Stesso discorso per il personale civile (educatori, psicologi, volontari ecc.), con una carenza di fondi imbarazzante anche per la sola gestione dell’ordinaria amministrazione. Se a tutto ciò si aggiunge che l’annunciato piano carceri del Governo andrà a malapena a coprire i pensionamenti degli attuali dipendenti, e che il sovraffollamento e la promiscuità dei detenuti comporta, oltre a conseguenze negative dal punto di vista psicologico, anche potenziali problemi per l’ordine pubblico, il quadro è completo. Alla luce di tutti questi elementi, pertanto, il Partito democratico - per bocca del suo capogruppo Marco Trippetti - ha interrogato il sindaco di Spoleto “per conoscere quali azioni intenda intraprendere presso tutte le sedi competenti per porre il tema del sovraffollamento e della carenza di personale del carcere di Spoleto al centro dell’attenzione politica, al di là delle appartenenze partitiche e nel rispetto istituzionale di ognuno, al fine di risolvere una volta per tutte le gravi difficoltà” che affliggono la casa circondariale spoletina. Rovigo: il Garante dei diritti dei detenuti inserito nello statuto del Comune Ristretti Orizzonti, 8 marzo 2011 Nel corso del Consiglio del Comune di Rovigo odierno è stata approvata all’unanimità l’integrazione allo statuto comunale con l’inserimento della figura del Garante delle persone private della libertà, che già doveva essere approvato nella precedente seduta, e ha poi visto la relazione sul suo operato del Garante Livio Ferrari. “Ringrazio questo Consiglio comunale, questa Amministrazione e in particolare l’assessore Giancarlo Moschin per l’alto messaggio di sensibilità sociale che viene lanciato attraverso l’inserimento di questa figura nella carta municipale - ha detto Ferrari - un segnale forte di attenzione ad un luogo spesso lasciato nel rimosso collettivo, che invece è parte del territorio”. “In questo momento carcere significa sovraffollamento, strutture vetuste, mancanza delle minime condizioni di igiene e spesso di cure sanitarie, ma anche isolamento prolungato e luogo dove vengono meno i principi fondamentali del diritto e dell’umanità - ha continuato il Garante - Se è vero che la civiltà di un popolo si misura dalle sue carceri, le cifre di coloro che muoiono nelle carceri italiane dimostrano che, lungi dall’essere luoghi di rieducazione, come vuole la Costituzione, esse finiscano per diventare vere e proprie discariche sociali”. “Nuove carceri vanno costruite solo al fine di eliminare alcune di quelle esistenti, oggi fatiscenti e non recuperabili. Mentre l’ iniziativa è del tutto insufficiente per affrontare il problema del sovraffollamento, in quanto per l’incremento progressivo e costante della popolazione detenuta, si dovrebbe continuare a costruire nuove carceri all’infinito. - ha concluso Ferrari. Le soluzioni vanno, invece, individuate nel ricorso a pene alternative al carcere ed in sanzioni diverse dalla detenzione. Le statistiche hanno costantemente dimostrato che il detenuto che sconta la pena con una misura alternativa ha un tasso di recidiva bassissimo, mentre chi sconta la pena in carcere torna a delinquere, con una percentuale del 70%. Occorre comprendere che con le pene alternative si abbattono i costi della detenzione, si riduce la possibilità che il detenuto commetta nuovi reati, con un aumento della sicurezza sociale. Si sconfigge il deleterio “ozio del detenuto”, che invece potrebbe essere avviato a lavori socialmente utili con diretto vantaggio per l’intera comunità”. Il Garante, 1 - fine Roma: festa donna; Uil-Pa in visita al carcere femminile di Rebibbia 9Colonne, 8 marzo 2011 Questa mattina il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, si recherà in visita ai luoghi di lavoro della casa circondariale femminile di Roma Rebibbia. “È un doveroso atto di vicinanza e solidarietà a tutte donne della polizia penitenziaria - afferma Sarno -, che vivono una situazione lavorativa difficile e allucinante. Nell’ambito delle gravi carenze organiche del Corpo di Polizia Penitenziaria, quelle relative alle donne si appalesano come una vera e grave emergenza. Vi sono situazioni, come alla casa circondariale di Potenza, in cui per la carenza delle agenti è necessario impiegare agenti maschi per i servizi nelle sezioni femminili, pur se ciò è severamente vietato dai regolamenti. Auspico che in questa giornata dedicata all’universo femminile in molti volgano i loro pensieri a tutte le operatrici penitenziarie, veri baluardi a difesa della dignità umana. In quei luoghi di dolore e disperazione le nostre donne si contraddistinguono per impegno, professionalità e umanità al fine di garantire la legalità nelle incivili e degradate prigioni d’Italia. Un accorato appello, inoltre, rivolgo al Parlamento perché non sprechi, come già in altre circostanze, la possibilità di legiferare per risolvere. Mi riferisco al disegno di legge sulla detenzione delle detenute madri. È imperativo porre fine alla barbarie della detenzione di figli incolpevoli ed innocenti. Pertanto si valuti la possibilità di articolare percorsi detentivi extra moenia, perché a quei bambini non si garantisca un orizzonte composto esclusivamente da sbarre, cancelli e mura di cinta. Il Parlamento non sprechi l’ennesima occasione per rendere il nostro sistema penitenziario più adeguato agli standard di civiltà”. Roma: l’Idv in visita al carcere femminile di Rebibbia; Alfano fa orecchie da mercante Agi, 8 marzo 2011 “La carenza di agenti di polizia penitenziaria, a fronte di una popolazione di detenuti che è destinata inevitabilmente a crescere, è questione nota ma nel carcere femminile di Rebibbia il problema sta diventando una vera e propria bomba ad orologeria e il ministro Alfano fa orecchie da mercante”. Lo dichiarano il presidente del Gruppo Italia dei Valori al Senato, Felice Belisario e la senatrice Giuliana Carlino che nei giorni scorsi hanno visitato l’Istituto penitenziario femminile di Rebibbia e che sulla questione hanno presentato un’interrogazione urgente al ministro della Giustizia. “A fronte di 382 detenute e 12 minori di 3 anni, la capienza è di 274 posti, ci sono solo 117 agenti su 164 previsti. Di questi solo 45 idonei ai turni notturni. La situazione è addirittura peggiore per gli ispettori, solo 9 operanti su una previsione di 17 e solo 2 idonei al lavoro di notte. Di fronte a questi numeri - proseguono i due senatori dell’Idv - è illusorio pensare che tutto sia superabile con un ulteriore sforzo del personale penitenziario. Per questo abbiamo chiesto, nella nostra interrogazione, ad Alfano di stanziare i fondi necessari per completare l’organico degli operatori, compresi psicologi, puericultrici ed educatori, così come previsto dalla pianta organica. Sarebbe opportuno - concludono Belisario e Carlino - che il ministro convocasse un tavolo con i lavoratori al fine di un confronto concreto sulle problematiche del carcere”. Gorgona (Li): addio traghetti per l’isola-carcere Il Tirreno, 8 marzo 2011 Isolata in mezzo al mare. Non solo perchè il Signore l’ha creata così, ma perché la Toremar l’ha dovuta escludere dalle sue tratte. È questa la situazione di Gorgona, ultima isola carcere dell’Arcipelago Toscano che dal 1º gennaio non gode più della fermata dei traghetti che da Livorno vanno a Capraia. Il direttore del carcere ha infatti sospeso il servizio di sbarco. “Si trattava di un servizio effettuato con mezzo non a norma, senza assicurazione e con equipaggio non idoneo” e in assenza di un porto al quale attraccare, la nave non può più fermarsi per far prendere terra ai passeggeri. Fino ad ora il traghetto, quando il tempo lo consente, si fermava a qualche centinaio di metri dalla riva e una barca del penitenziario si faceva sotto bordo imbarcando chi doveva scendere: agenti al ritorno dalla licenza, parenti dei detenuti a colloquio e i residenti, poche decine di persone che hanno ancora casa sull’isola. La decisione del direttore del carcere ha però fatto saltare il delicato equilibrio che aveva retto fino ad ora ed in assenza di una barca che faccia da spola la nave non si ferma più. “Una scelta - ha fatto sapere il funzionario - che non vuol penalizzare nessuno ma che al contrario è stata presa per sollecitare il Ministero ad intervenire”. Come sia o come non sia, raggiungere l’isola è diventato un problema. Gli agenti che montano e smontano dal servizio utilizzano le motovedette - a condizione che il mare lo permetta - ma l’uso di questi mezzi non è dovuto per abitanti e parenti dei detenuti. “Dal 1 gennaio non possiamo raggiungere le nostre abitazioni e così accade anche ai familiari dei detenuti della Colonia Penale. La Toremar - scrivono nella loro protesta il Comitato abitanti isola di Gorgona e L’associazione dei Gorgonesi - ora sotto la giurisdizione della Regione Toscana, nonostante prenda delle sovvenzioni per effettuare questo servizio, non ha provveduto ad organizzarsi, impedendo di fatto il diritto universale sancito dalla legge che permette i collegamenti a tutte le isole minori. I gorgonesi, cittadini di Livorno, attendono da tempo che le promesse del Comune e delle altre istituzioni trovino concretezza per ristabilire un diritto sacrosanto e sono pronti ad effettuare altre forme di protesta e il ricorso alla Giustizia affinché cessi questo sopruso”. La questione è così finita sul tavolo del Presidente della Regione Enrico Rossi e dell’assessore ai Trasporti Ceccobao che hanno fatto sapere di essere al corrente del problema e di volerlo risolvere. Una soluzione potrebbe essere quella che la Regione finanzi un armatore privato che effettui il servizio di sbarco ma per adesso rimane tutto fermo e raggiungere Gorgona resta un problema di non facile soluzione. Monza: detenuto tenta il suicidio, salvato dagli agenti Ansa, 8 marzo 2011 Le guardie della polizia penitenziaria del carcere di Monza lo hanno salvato per un soffio. Il ragazzo è in attesa di giudizio insieme ad Andrea Bacchetta per l’omicidio dell’amico Dean Catic. Le guardie della polizia penitenziaria del carcere di Monza hanno salvato Jacopo Merani per un soffio. Il ragazzo, in attesa di giudizio insieme ad Andrea Bacchetta per l’omicidio dell’amico Dean Catic, ha tentato di uccidersi tra le mura della cella dov’era detenuto impiccandosi con un cappio realizzato con il materiale a disposizione, verosimilmente un lenzuolo. L’ intervento degli agenti della polizia penitenziaria ha, però, fortunatamente, evitato la tragedia. Il gup Giuseppe Fazio, su consultazione dello specialista che si è occupato della perizia psichiatrica del ragazzo, ha disposto il trasferimento di Merani ad un regime detentivo più sorvegliato e tutelato, proprio per evitare che possa essere ripetuto il tentativo. Chieti: nel carcere di Lanciano detenuto aggredisce un agente Il Centro, 8 marzo 2011 Un detenuto del carcere di Lanciano (Chieti) è stato sorpreso nell’infermeria mentre sottraeva alcuni medicinali e alla richiesta dell’agente in servizio di desistere gli si è scagliato contro. Ne è nata una colluttazione in seguito alla quale l’agente ha riportato ferite medicate al pronto soccorso e giudicate guaribili in 7 giorni. “Ormai si va delineando un triste rituale nella casa circondariale di Lanciano - spiega Ruggero Di Giovanni della Uil Pa - quello delle aggressioni ai danni del personale di Polizia Penitenziaria. Purtroppo nonostante le reiterate aggressioni non vi è stato nessun segnale concreto da parte dell’amministrazione (locale, regionale e nazionale) che vada nel senso sperato e non è chiaro poi come mai nell’ambito del provveditorato Abruzzo e Molise l’istituto frentano sia quello che maggiormente subisce l’aumento dei detenuti”. Le cifre del sindacalista parlano di un chiaro indice di sovraffollamento “pari all’ 89 per cento - conclude Ruggero Di Giovanni - dato che equivale a circa il doppio dei detenuti presenti, mentre l’organico di Polizia Penitenziaria è tra i più sottostimati d’Italia”. Foggia: carcere a misura di bambino, alla festa del papà permesse visite dei figli Ansa, 8 marzo 2011 In occasione della festa del papà, i bambini tra i due e i dieci anni potranno incontrare i loro genitori detenuti nel carcere di Foggia in un ambiente predisposto ed arredato a misura di bambini. Ne dà notizia la direzione del carcere. “L’iniziativa - è detto in una nota - intende sostenere la “genitorialità in carcere” e consentire ai detenuti di vivere il momento dell’incontro con la famiglia in modo più sereno e mettere i bambini nelle condizioni di percepire il carcere nella misura minima possibile”. Immigrazione: Livia Turco i Cie sono fabbriche di clandestini Il Gazzettino, 8 marzo 2011 La battaglia di Campalto contro il Centro di espulsione e immigrazione clandestina incassa l’appoggio dell’ex ministro Livia Turco. In tanti ieri mattina hanno affollato la sede del Pd di via Passo, per ascoltare il deputato che ha passato la mattina in città. C’erano non solo rappresentanti del partito, il segretario della sezione Carmine Liguori, ma anche persone che dal circolo sono slegate, tra cui diversi componenti dei comitati, il parroco di Campalto don Massimo Cadamuro, il presidente della cooperativa Il Cerchio che si occupa dei percorsi di reinserimento di detenuti ed ex detenuti. L’ex ministro è arrivata accompagnata dal coordinatore provinciale Michele Mognato. Prima degli interventi, le è stato mostrato un video sulla manifestazione contro il Cie che si è svolta due sabati fa. Una critica pesante da parte di Livia Turco, alla politica sull’immigrazione dell’attuale governo e nello specifico del ministro Maroni, politica figlia della Bossi-Fini, che “crea immigrati clandestini”. L’ex ministro ha invece ricordato le coerenze della legge Turco-Napolitano, vale a dire il contrasto all’immigrazione clandestina, il governo di quella regolare, gli accordi bilaterali di cooperazione tra Stato e Stato. Un passaggio, questo, che sta particolarmente a cuore al deputato del Pd: secondo la Turco questo governo ha azzerato i capitoli di bilancio relativi alla cooperazione internazionale, unico strumento in grado di contenere il fenomeno. A prendere la parola anche il vicesindaco Sandro Simionato, il quale ha portato un esempio concreto di quelle che sono le conseguenze estreme della politica dei Cie: oggi Fincantieri è in crisi, se i lavoratori stranieri delle ditte in subappalto perdono il posto vanno in cassa integrazione, ma quando finisce e rimangono senza lavoro potrebbero diventare potenziali ospiti di un centro espulsione. Tra i tanti interventi, anche quello del consigliere comunale Gabriele Scaramuzza: “Il Cie è figlio di una cultura del contrasto all’immigrazione che riteniamo sbagliata e fallimentare qual è la Bossi-Fini, la nostra città vuole farsi carico dei problemi, soprattutto rispetto al tema della detenzione, ma come ha fatto in passato, sperimentando modelli integrativi: il Ministero deve ancora chiarire che tipo di carcere vuole e se oltre alle mura è disposto ad investire sul reinserimento e non in un modello che punta alla reclusione”. L’ex ministro ha incoraggiato il partito e la cittadinanza contraria al Cie a proseguire, sostenendo le ragioni della protesta. Poco lontano la Lega con un gazebo, ha distribuito volantini nei quali accusa il Comune, sostenendo che la colpa della scelta di ospitare il carcere è del sindaco Orsoni. Yemen: rivolta in carcere, decine di guardie carcerarie in ostaggio Aki, 8 marzo 2011 Sono circa duemila i detenuti del carcere di Sanàa che hanno inscenato una rivolta per chiedere le dimissioni del presidente Ali Abdullah Saleh, aderendo così alle manifestazioni in corso in diverse città del Paese. Lo riferisce una fonte della sicurezza yemenita, precisando che i prigionieri hanno anche preso in ostaggio una decina di guardie carcerarie. La rivolta nel carcere della capitale è scoppiata nella tarda serata di ieri, precisa la fonte, quando i detenuti hanno dato alle fiamme i materassi e occupato il cortile della struttura. Le guardie hanno sparato in aria e lanciato gas lacrimogeni, ma i prigionieri hanno avuto la meglio. La fonte, che parla in condizione di anonimato, ha precisato che oggi i militari hanno rafforzato la sicurezza fuori dalla struttura carceraria. Un certo numero di detenuti è rimasto ferito nei disordini, ha aggiunto. Siria: attivisti in carcere iniziano sciopero della fame Ansa, 8 marzo 2011 Tredici siriani, attivisti per i diritti umani e da tempo in carcere, hanno cominciato oggi uno sciopero della fame per denunciare la negazione delle libertà civili e politiche da parte del regime degli al Assad, famiglia al potere da quarant’anni. Lo rendono noto le associazioni siriane per la difesa dei diritti umani, riunite in una piattaforma comune, con un comunicato firmato dai tredici attivisti, tra cui spiccano i nomi degli avvocati Anwar al Bunni e Haytham al Maleh, quello dello scrittore Ali Abdallah e dell’attivista Kamal Labwani. Con la loro estrema forma di protesta e sulla scia delle proteste anti-governative in tutto il mondo arabo, i tredici intendono sollevare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sulle repressioni politiche commesse dal regime di Damasco. La Siria è governata da 48 anni dal partito Baath, di fatto il partito unico, e dal 1970 dalla famiglia al Assad, prima col fondatore della Siria moderna Hafez, e dal 2000 col figlio Bashar. Proprio alla vigilia dell’anniversario dell’avvento al potere del Baath, l’8 marzo 1963, il presidente Bashar al Assad ha oggi concesso una grazia a un numero imprecisato di detenuti anziani o malati e autori di crimini comuni. Nel comunicato delle associazioni per la difesa dei diritti umani si denuncia inoltre ‘l’imposizione da 48 anni dello stato d’emergenza da parte di un’autorità militare non elettà, la ‘pervasiva presenza dei servizi di controllò e l’uso distorto dell’apparato giudiziario come strumento di repressione di ogni libertà di opinione ed espressione. Egitto: ritrovate celle segrete dei servizi di sicurezza, Amnesty chiede indagini Ansa, 8 marzo 2011 Erano definite dagli attivisti dei diritti umani “la capitale dell’inferno” e nessuno sapeva dove fossero. Grazie alle incursioni dei manifestanti durante le proteste in Egitto, sono stati trovati 14 ragazze e 25 ragazzi detenuti nelle celle segrete dei servizi di sicurezza. Il ritrovamento, secondo il sito di Al Arabiya, è avvenuto grazie al lamento dei prigionieri che veniva da sotto il pavimento. Dalle testimonianze dei prigionieri liberati si apprende che il prigioniero ogni volta che usciva o entrava nella cella gli venivano bendati gli occhi. Le celle segrete si trovano nelle due sedi dei servizi egiziani in Alessandria ed il Cairo. Zakaria Abdulaziz, ex giudice, per scoprire altre celle ha chiesto al procuratore generale della repubblica di contattare l’architetto che ha costruito queste prigioni. Amnesty: indagare su presunte torture detenuti Amnesty International ha sollecitato le autorità egiziane ad avviare un'indagine urgente sulle immagini, registrate in un obitorio, che mostrano i corpi di decine di detenuti della prigione di Al-Fayoum, alcuni dei quali apparentemente torturati prima di essere uccisi. Come si legge in un comunicato della stessa ong le immagini, contenute in tre distinti video, sono state girate nell'obitorio di Zenhoum l'8 febbraio da un uomo che era stato avvisato della presenza del cadavere del fratello dai parenti di un altro detenuto. "Sono immagini scioccanti, che mostrano decine di prigionieri apparentemente uccisi in modo terribile", ha dichiarato Malcolm Smart, direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International: "Le autorità egiziane devono indagare immediatamente per capire come siano morti i detenuti e portare di fronte alla giustizia chiunque sia stato responsabile di omicidi illegali, torture e altri maltrattamenti". Malek Tamer, l'autore delle riprese, ha trovato il nominativo del fratello, Tamer Tawfiq Tamer, in un elenco di 68 detenuti di sesso maschile della prigione di Al-Fayoum registrati presso l'obitorio. Ha dichiarato che molti dei corpi, tutti numerati con un pezzo di carta attaccato alla fronte, presentavano ferite alla testa, alla bocca e agli occhi, cosa che fa supporre fossero stati torturati prima di essere uccisi. Diversi corpi presentavano inoltre segni di proiettili o di bruciature o erano privi delle dita delle mani e delle unghie dei piedi. Secondo il certificato di morte, Tamer Tawfiq Tamer sarebbe morto il 3 febbraio nella prigione di Al- Fayoum per un probabile soffocamento e un calo improvviso di pressione. Le autorità egiziane non hanno fornito notizie su eventuali autopsie o altri esami medico-legali effettuati sui corpi dei due prigionieri. Circa 21.600 prigionieri sarebbero stati rilasciati o sarebbero evasi dalle prigioni egiziane in circostanze non chiare, dopo le dimissioni del ministro dell'Interno, avvenute il 28 gennaio dopo il "venerdi' della collera". Oltre la metà dei prigionieri sono stati poi nuovamente arrestati o si sono consegnati alle autorità.