La lettura per essere più liberi e consapevoli Il Mattino di Padova, 7 marzo 2011 La lettura è in carcere una delle “libertà” che la persona conserva. La libertà della mente di conoscere, sognare, esplorare. Negli istituti di pena le biblioteche, presenti per legge ma con scarse risorse, hanno conosciuto nuova vita in questi anni grazie ai progetti gestiti dalla cooperativa sociale Altra-Città e finanziati dal Comune di Padova (Casa Circondariale) e dalla Regione del Veneto (Casa di Reclusione). La Regione del Veneto ha però tagliato i fondi, a partire dal bando 2010-2011. Nella Casa Circondariale la biblioteca, in una situazione di sovraffollamento gravissima e di turn over massiccio dei detenuti, mantiene, come la scuola e la formazione, accesa la fiammella della cultura. Nella Casa di Reclusione in questi anni è cresciuta una “biblioteca diffusa”, aperta ai detenuti, presente anche in sezioni separate: una grande risorsa per la formazione e la crescita culturale delle persone. Oltre al personale e ai formatori retribuiti grazie ai finanziamenti, il progetto si è sempre avvalso anche di volontari, sia della cooperativa che detenuti. Rossella Favero cooperativa AltraCittà A rischio la biblioteca “Tommaso Campanella” Da alcuni anni coordino la biblioteca “Tommaso Campanella”, della Casa di Reclusione. Faccio parte, come volontaria, della Cooperativa sociale AltraCittà Onlus di Padova, che gestisce assieme all’associazione Granello di Senape il Centro di documentazione Due Palazzi, in cui sono presenti anche la redazione di Ristretti Orizzonti, il gruppo Rassegna stampa, il Tg Due Palazzi e un laboratorio di legatoria e di grafica. Nel marzo 2009 abbiamo inaugurato la nuova struttura della biblioteca, e in questi due anni sono molto cresciuti i prestiti e i libri presenti in biblioteca, a fronte anche di un continuo rinnovo e con una catalogazione completa. Nel Centro di documentazione gestiamo l’assistenza ai detenuti che partecipano ai turni settimanali di accesso a consultazione e prestito e organizziamo incontri con autori e gruppi di lettura. Dal 2006 abbiamo attivato una collaborazione con il sistema bibliotecario provinciale, facente capo ad Abano, per cui i detenuti possono usufruire del prestito interbibliotecario. Abbiamo svolto corsi di formazione che ci hanno permesso di inserire al lavoro esterno alcuni di loro. Da quest’anno la Regione ha tagliato drasticamente i fondi a tutte le attività che vengono svolte a contenimento delle marginalità sociali. Il che, per esempio a Padova, significa la chiusura anche di progetti per la mediazione culturale (Casa Circondariale), il teatro e, naturalmente, la biblioteca. La situazione in questo momento è di grave difficoltà: stiamo acquistando a nostre spese perfino la cancelleria. Ma soprattutto vediamo in grave crisi le nostre attività più belle. Il tutto a fronte di un aumento spaventoso di detenuti. In una realtà in cui il lavoro “interno” per i detenuti, per mancanza di fondi, è stato drasticamente ridotto (anche il nostro detenuto-bibliotecario ha visto diminuire le poche ore pagate), la chiusura di attività come la biblioteca implica la riduzione di uno spazio vitale! Marina Bolletti Biblioteca Tommaso Campanella I libri devono essere accessibili a tutti La Biblioteca nella Casa di Reclusione ospita da anni non solo libri, ma anche e soprattutto iniziative culturali, come il gruppo di lettura Leggere insieme, gestito da due volontarie, che presentano ai detenuti alcuni libri su argomenti scelti insieme, i testi girano tra i partecipanti e ci si ritrova per discuterne. Ma sono importanti anche altre attività: un gruppo di lavoro con incontri su Haiti, argomento su cui si elabora una rassegna stampa grazie a una volontaria, in collaborazione con l’associazione Radiè Resch, e gli incontri di lettura e scrittura con i detenuti arabi gestiti da una collaboratrice di madrelingua, che prevede quest’anno l’interscambio con la biblioteca di Limena. E poi ancora le iniziative della “biblioteca diffusa”, che significa portare la lettura in tutte le sezioni, anche quelle che non sono autorizzate a frequentare la biblioteca centrale. Un progetto che sta “saltando” a causa dei tagli è quello rivolto ai detenuti cosiddetti “Protetti”, esclusi (in relazione al reato e ai regolamenti) dalla possibilità di accedere alla biblioteca. Valentina Franceschini cooperativa AltraCittà Un bibliotecario-detenuto orgoglioso del suo successo Sono Stefano, un detenuto della Casa di Reclusione: dal luglio 2010 bibliotecario della Biblioteca “Tommaso Campanella”, che gestisco in collaborazione con la Cooperativa Al-traCittà. La scorsa settimana ho letto che le biblioteche del Padovano hanno avuto un’impennata in visite e prestiti. Mi è sembrata un’opportunità per soffermarsi anche sui nostri numeri. Nei primi sei mesi del 2010 il volume medio mensile dei prestiti è stato di 158, con un picco di 222 a marzo; nel secondo semestre la media si è elevata a 232, con un aumento del 50%. L’incremento evidenzia il successo dell’iniziativa. Lo conferma il forte aumento delle visite in biblioteca, passate dalle 25 settimanali del primo semestre alle 40 attuali. Il dato è alto se si considera che gli accessi sono regolati da un turno settimanale e autorizzati dalla direzione, e tanti detenuti non possono accedervi. Nei mesi di gennaio e febbraio 2010 il numero dei prestiti è stato di 190, mentre a oggi è di 573: si potrebbe arrivare, alla fine del 2011, a un volume complessivo tra i 3.500 e i 4.000 prestiti, con un aumento del 60%. Significativo anche l’aumento dei titoli in catalogo, passati da 12.000 a circa 14.500. Occorre tenere conto che le acquisizioni della biblioteca si basano principalmente su donazioni di privati e negli ultimi mesi, da una donazione del sindaco di Padova. Un importante servizio offerto ai detenuti è il prestito interbibliotecario. A gennaio 2011 i volumi prestati erano 32. Un fiore all’occhiello sono i libri in lingua straniera: oltre 850 titoli in lingue che vanno dal tedesco all’inglese, all’arabo al rumeno, all’albanese allo spagnolo al francese. Anche se sarebbe importante che questo settore fosse arricchito, riteniamo che la nostra biblioteca sia all’avanguardia tra le biblioteche carcerarie. La nostra organizzazione si propone di permettere l’accesso alla lettura a ogni detenuto. Per gli studenti c’è la possibilità di venire in biblioteca in giorni prestabiliti, accompagnati dai professori. I generi più richiesti sono la narrativa e la poesia, ma molto letti sono anche i saggi di arte e sociologia e i grandi del pensiero filosofico. Per la mia esperienza di lettore prima e di bibliotecario ora, posso dire che la motivazione principale per i detenuti è la presa di coscienza di una lacuna da colmare, ma anche il bisogno di mantenere attiva la mente e di evadere dalla realtà. Per i detenuti stranieri un libro nella propria lingua può essere un modo per non perdere la propria identità in un luogo di appiattimento quale è il carcere. La lettura ha un’importanza molto rilevante nel tempo che un detenuto trascorre nell’espiazione della propria pena e arriva ad assumere la forma di un’alternativa alle condizioni negative della detenzione. Stefano Carnoli Giustizia: la riforma di Berlusconi che dimentica il carcere di Valter Vecellio Notizie Radicali, 7 marzo 2011 “Una riforma epocale”. È quella che promette Silvio Berlusconi. Appuntamento per giovedì prossimo, quando si terrà una riunione straordinaria del Consiglio dei ministri, e in quella sede verrà formalizzato il pacchetto di norme su cui sono al lavoro gli esperti del Pdl. Da quello che viene per ora anticipato, si tratterà di separazione delle carriere, legge sulla responsabilità civile del magistrato, riforma del Consiglio Superiore della Magistratura (se ne prevedono due). Bisognerà fare come a poker, dire: “Vedo”; anche se qualche dubbio si può nutrire fin da ora. L’annunciata “riforma epocale” prevede modifiche costituzionali: un l’iter piuttosto complesso, difficilmente realizzabile con l’attuale maggioranza. Ma l’inquilino di palazzo Chigi ci ha già mostrato come non si debbano porre limiti alla fantasia, e che ha i mezzi e le possibilità di reclutare altri “responsabili”. Nel merito: si farà bene a prestare attenzione a quello che sostiene il professor Giuseppe Di Federico: la separazione delle carriere, per esempio, al di là dei guaiti dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, di per sé, e da sola, cambia poco o nulla. Il problema è inserirla in un quadro d’insieme, che sia parte di un “edificio” come, per capirci, è quello che è stato costruito negli Stati Uniti, e che deriva da quel testo fondamentale che sono gli articoli del “Federalista” di Alexander Hamilton, John Jay e James Madison. La separazione delle carriere, ci ricorda Di Federico, ha senso solo se è accompagnata all’abolizione dell’obbligatorietà penale. Che viene prevista un po’ come un inciso: “Non verrà toccato l’articolo che assicura l’obbligatorietà dell’azione penale”, si legge su “Il Giornale”, che si ha ragione di ritenere attendibile e interprete autentico dei disegni berlusconeschi. “Tuttavia si sta meditando (meditando!) come intervenire per militare la discrezionalità delle singole procure nella repressione dei reati. L’idea sarebbe quella di aggiungere una norma per cui potrebbe essere il Parlamento a decidere quali sono i reati prioritari da reprimere. Si tratta insomma di scegliere criteri di priorità nell’avvio di procedimenti, limitando l’autonomia dei singoli pubblici ministeri. Fatto salvo l’obbligatorietà dell’azione penale”. Un’obbligatorietà insomma, accompagnata da una discrezionalità prioritaria, che viene decisa da Camera e Senato. Buonanotte! Negli annunci un vuoto certamente significativo. Lo ricordate? “Carceri al collasso. L’Italia chiama la Ue”, titolava il 27 agosto scorso “l’Avvenire”. E “Liberazione”, lo stesso giorno: “Presentato dossier sulla crisi nelle carceri. Oggi peggio del fascismo”. Il quotidiano dei Vescovi e il giornale di Rifondazione Comunista che lanciano lo stesso, accoratissimo allarme. Non un’invenzione radicale, dunque. E ancora prima, il 14 febbraio 2010, sempre “l’Avvenire” titola: “Troppi stranieri in cella. Anche le carceri minorili ora rischiano il collasso”; una situazione così riassunta: “Il nostro sistema penitenziario passa da un’emergenza all’altra: non c’è solo il dramma del sovraffollamento che riguarda i soggetti adulti. Anche nelle strutture pensate per i minori mancano risorse e personale in grado di farsi carico di un percorso che resta incentrato sul recupero della persona”. E ora? Il ministro della Giustizia Angiolino Alfano, il capo del Dap Franco Ionta, hanno fatto il miracolo? Semplicemente la notizia non è più “notizia”; e dunque, non parlando più della crisi in cui versa il sistema carcerario italiano, la crisi non esiste più. E però esiste, eccome. La meritoria associazione “Ristretti Orizzonti”, per esempio, ci ricorda che attualmente i detenuti sono oltre 67.500; la capienza regolamentare delle carceri è di poco più di 45mila posti. Il decreto svuota-carceri al 28 febbraio, ha consento ad appena 1.368 di beneficiarne e uscire. Sul totale della popolazione detenuta, di cui 2.951 sono donne, 37.310 sono i condannati, 28.478 gli imputati (di cui 14.388 in attesa di primo giudizio), 1.714 gli internati. Gli stranieri sono 24.865: il 21 per cento è di origine marocchina, il 14 per cento romena, il 12 per cento tunisina, L’11 per cento albanese, IL 5 per cento nigeriana. Sono 1.535 (1.433 uomini e 102 donne) i detenuti nei sei ospedali psichiatrici giudiziari (Aversa, Napoli Sant’Eframo, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere, Barcellona Pozzo di Gotto e Montelupo Fiorentino). Un tempo chiamati “manicomi criminali”, gli Opg sono strutture dipendenti dal ministero della Giustizia dove si trovano 1.535 detenuti contro una capienza regolamentare di 1.322 posti e un limite di tollerabile di 1.684. L’internamento è una misura di sicurezza di tipo detentivo prevista dal nostro ordinamento giuridico. La quasi totalità (1.305) non è composta da detenuti in attesa di giudizio né da condannati in via definita, bensì da internati. L’internato non deve scontare una pena relativa ad un reato commesso, ma si trova in un Opg in ragione di una valutazione di pericolosità sociale da parte di un perito o di un esperto, comunque sempre su decisione del giudice. Oltre ai 1.535 in Opg, altri 484 internati sono invece sparsi in case lavoro o case di custodia e cura perché soggetti a misure di sicurezza in quanto per lo più considerati delinquenti abituali o professionali. La preoccupazione per quanto accade nel “pianeta carcere” è condivisa ed è espressa anche dall’Unione delle Camere Penali. “Ancora una volta assistiamo a gravissimi episodi di lesioni dei fondamentali diritti delle persone ristrette nelle carceri italiane, tanto da dover constatare il mantenimento di restrizioni in carcere di detenuti gravemente malati, fino alla loro morte”, dicono gli avvocati penalisti, che denunciano da tempo, inascoltati, i troppi casi di violazioni del diritto alla salute e alla integrità fisica. Al drammatico bollettino delle morti da suicidio che si consumano nelle carceri del nostro Paese con tragica e inarrestabile frequenza, si aggiungono nelle ultime ore le segnalazioni dell’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali, relative a casi di gravi violazioni del diritto alla salute: nel carcere di Sollicciano è deceduto un uomo di 48 anni alla sua prima esperienza carceraria, reduce da ricovero ospedaliero per problemi polmonari. Non ricevendo più notizie, il difensore si era recato in carcere e l’aveva trovato su una sedia a rotelle a causa della perdita di funzionalità d’un polmone che gli aveva anche impedito di telefonare ai familiari. Lo stesso giorno, a distanza di poche ore, il difensore ha ricevuto notizia della morte del detenuto dalla stessa Casa Circondariale. Altra segnalazione riferisce di un detenuto colpito da ictus cerebrale e ristretto nel carcere di Regina Coeli, nonostante sia stata accertata con perizia l’incompatibilità con il regime carcerario ed il difensore abbia indicato diverse strutture ospedaliere attrezzate per la terapia intensiva disponibili ad accoglierlo. Viceversa, il detenuto rimane in carcere, con grave rischio per la vita, in un rimpallo tra amministrazione giudiziaria che ne dispone il ricovero all’Ospedale Pertini, sebbene ne sia accertata l’inadeguatezza, e l’amministrazione penitenziaria che rimane inerte e muta. I casi segnalati, pur nella loro diversa gravità, costituiscono un esempio eloquente di come vengono gestiti i problemi di salute delle persone ristrette negli istituti penitenziari italiani e, dunque, del mancato rispetto dei diritti fondamentali di chi è privato della libertà, con il concorso di una magistratura sempre incline a considerare il carcere come la misura di ordinaria applicazione ed a sopravvalutare presunte esigenze di tutela sociale a scapito della previsione costituzionale del diritto alla salute. L’Unione delle Camere Penali Italiane denuncia, “per l’ennesima volta, le responsabilità diffuse delle Istituzioni, incapaci di garantire la seppur minima tutela delle persone detenute ed abbandonate a se stesse, in violazione dei più elementari diritti posti a tutela della dignità prima ancora della salute. Evidentemente, ciò che per l’Avvocatura penalista è doveroso non lo è altrettanto per i responsabili della incolumità del detenuto, i quali assistono incuranti alle tragedie che si consumano con allarmante frequenza ed accettano che, in luogo di una persona, alla società ed alla famiglia venga restituito un cadavere. Contro tutto questo si leva forte la protesta degli avvocati penalisti che, più di altri vivono l’angoscia dei detenuti più deboli e dei loro familiari”. Alcuni casi paradigmatici: Sassari, il cui penitenziario è al collasso. Dice l’avvocato Giuseppe Conti, avvocato sassarese e vice presidente dell’UCPI: “Non è possibile pensare che sei persone possano vivere, mangiare e dormire nella stessa cella, che i detenuti debbano faro i turni per scendere dalla branda e sgranchirsi le gambe. La struttura è fatiscente e le condizioni di vita sono insopportabili”. Il problema del sovraffollamento esiste, dice Conti, “ma non può essere risolto con la costruzione di altre strutture. Il fatto è che in carcere dovrebbero entrarci meno persone. Bisognerebbe studiare sanzioni alternative alla detenzione, almeno por i reati meno gravi”. Calabria: nelle 12 carceri di questa regione sono stipati circa 3.200 detenuti per 1.900 posti disponibili. “Questo pesante sovraffollamento” racconta Donato Capace, segretario generale del Sappe, - fa fare ogni giorno alle donne e agli uomini della polizia penitenziaria i salti mortali per garantire la sicurezza. La mia presenza qui vuole essere testimonianza di vicinanza del primo sindacato della polizia penitenziaria ai disagi dei colleghi della Calabria. L’emergenza sovraffollamento in Calabria ha raggiunto cifre allarmanti. Fino ad oggi la drammatica situazione è stata contenuta principalmente grazie al senso di responsabilità, allo spirito di sacrificio ed alla grande professionalità del Corpo di polizia penitenziaria. Ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle donne e gli uomini della polizia penitenziaria in servizio negli istituti di pena della Calabria per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia”. La situazione di Messina, nelle parole del segretario della Uil-Pa Penitenziari Eugenio Sarno: “Quello che ho potuto riscontrare va ben oltre gli allarmi che nel tempo sono stati lanciati dal personale. Vi sono emergenze in atto che riguardano la carenza di personale, il grave sovraffollamento e per il concreto rischio di carattere sanitario. Voglio sperare che prima che accada l’irreparabile l’Amministrazione Penitenziaria metta nell’agenda la necessità, urgente e non rinviabile, di procedere a finanziare opere di ristrutturazione e, ancor più, ad assegnare personale. Non è eretico affermare che allo stato attuale Messina rappresenti la situazione più allarmante per il sistema penitenziario, già traballante, siciliano. È inimmaginabile che degenti ricoverati in qualsiasi struttura sanitaria possano subire le condizioni che ho potuto constatare a Messina. Non solo ambienti scarsamente puliti, ai limiti nell’inigenicità, per carenza quanto perché i degenti del centro clinico di Messina sono allocati in celle anguste con letti a castello fino a 4 piani. Non solo. I degenti sono ristretti insieme a detenuti comuni che sono allocati negli ambienti di ospedalizzazione per mancanza di posti. A fronte di una disponibilità reale di 162 posti detentivi erano presenti 393 detenuti (343 uomini e 50 donne). I detenuti in attesa di primo giudizio assommano a 141, 60 gli appellanti, 14 i ricorrenti e 128 i condannati in via definitiva”. Chissà quanto, di tutto ciò, verrà trattato giovedì prossimo, dal consiglio dei ministri straordinario annunciato da Berlusconi. Giustizia: mai più in carcere i figli delle detenute, il voto quasi unanime della Camera di Carlo Ciavoni La Repubblica, 7 marzo 2011 450 favorevoli, 5 astenuti: approvata una proposta di legge del Governo, che permetterà alle donne condannate o in attesa di giudizio di non varcare più la soglia della cella fino al 6° anno di vita dei figli. L’esperimento di istituti a tutela attenuata (Icam). La critica dei Radicali (cioè i 5 astenuti): “Finora ce n’è solo uno a Milano e manca la copertura finanziaria per farne altri” Le mamme di bambini fino a sei anni di età non dovranno più stare in carcere, a meno di particolari esigenze cautelari di “eccezionale rilevanza”. È quanto prevede una proposta di legge approvata dall’Aula della Camera, con 460 voti favorevoli e 5 astenuti, che innalza del doppio (attualmente è di tre anni) l’età del figlio della donna detenuta, finora costretto a vivere dietro le sbarre assieme alla madre. Secondo la documentazione fornita dal Governo, nel corso dell’esame parlamentare, le donne detenute con prole nelle carceri italiane a giugno 2010 erano 54 e altrettanti i bambini di età inferiore a tre anni presenti negli istituti. Alla stessa data risultavano funzionanti 13 asili nido, su un totale di 25. Nasce l’Icam, il “quasi-carcere” per le mamme. Il testo approvato - con l’astensione dei radicali (che pure per primi lo avevano presentato ma ora lo considerano inadeguato per la scarsa copertura finanziaria) - sta ora per passare all’esame del Senato. Il provvedimento prevede che, quando imputati siano una donna incinta o una madre di prole di età inferiore a sei anni, che conviva con lei (oppure un padre, qualora la madre sia morta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza ai figli) non ne possa essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari eccezionali: in quel caso è possibile disporre la sistemazione in un “istituto a custodia attenuata per detenute madri” (Icam). I Radicali: “Non avete i soldi per farlo”. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nell’affrontare finalmente il problema dei bambini in carcere, ha avviato a Milano la sperimentazione di questo tipo di istituto, l’Icam, appunto. Ne è stato realizzato un modello in una sede esterna agli istituti penitenziari, con sistemi di sicurezza che i bambini non possono riconoscere come tali. Il Governo ha informato che, “in tempi brevi”, saranno realizzati altri Icam a Torino e Firenze. Sarà quindi un decreto del ministro della Giustizia a definire le caratteristiche tipologiche delle case famiglia (anche con riferimento ai sistemi di sorveglianza e di sicurezza) e l’individuazione delle strutture gestite da enti pubblici o privati idonee ad essere utilizzate come case-famiglia protette. E qui c’è uno dei punti criticati dai radicali: di Icam - al momento - ce n’è solo uno, a Milano, appunto, e non vengono previste risorse per realizzarne di nuovi, “Checché se ne dica”, aggiungono i deputati radicali. Regole nuove per i figli malati. Cambiano anche le regole che disciplinano il diritto di visita al minore infermo, anche non convivente, da parte della madre detenuta o imputata (o del padre, nelle stesse condizioni). Il magistrato di sorveglianza - in caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del minore - potrà concedere il permesso, con provvedimento urgente, alla detenuta o all’imputata per visitare il figlio malato, con modalità che, nel caso di ricovero ospedaliero, devono tener conto della durata del ricovero e del decorso della patologia. La soddisfazione di Alfano. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha espresso “grande soddisfazione per il voto della Camera alla proposta di legge. Tutti i bambini sono uguali - ha detto il ministro - indipendentemente dalla loro appartenenza familiare e tutti hanno uguali diritti. In quest’ottica, sarà assicurato ai bambini di crescere in strutture adeguate che siano serene ed ospitali, nel pieno rispetto delle esigenze di sicurezza”, ha concluso Alfano. Giustizia: la legge sulle detenute madri… dietro le quinte del grande spot di Valentina Ascione Gli Altri, 7 marzo 2011 Sembra un film già visto. Quando, ad esempio, abbiamo assistito al parto di quel topolino chiamato legge “svuota-carceri”. Al valzer, ridondante, di comunicati stampa, dichiarazioni e buone intenzioni. Al battage pubblicitario: quel gran baccano che, accompagnandone il varo, spesso maschera la reale utilità di provvedimenti annunciati come salvifici. Lo slogan “Mai più bambini in carcere” è volato per mesi di bocca in bocca, di microfono in microfono, tra governo, maggioranza e opposizione. L’obiettivo, comune e nobile, era di porre fine alla detenzione di piccoli innocenti al seguito delle proprie madri. Una follia che ancora oggi vede cinquanta e più bambini trascorrere le proprie giornate dietro le sbarre, lontani dai giochi e da tutte quelle esperienze che dovrebbero non solo accompagnare, ma favorirne la crescita. La normativa attuale risparmia il carcere solo a quelle donne con figli di età inferiore a tre anni. La proposta di legge approvata nei giorni scorsi alla Camera e in attesa del via libera definitivo dal Senato, innalza fino a sei anni questo limite di età. Una modifica che però rischia di trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Il testo, infatti, non scioglie il nodo delle numerose detenute madri recidive, in attesa di giudizio o condannate in via definitiva, magari per crimini legati alla droga e alla prostituzione. Con tutta probabilità i loro bambini resteranno reclusi negli istituti di pena, perché il pericolo di fuga o di reiterazione del reato non consente a questa tipologia di detenute di scontare la custodia cautelare o la pena in un istituto a custodia attenuata (gli Icam). Nel loro caso, quindi, l’innalzamento del tetto d’età a sei anni potrebbe comportare sia l’aumento dei bambini costretti in cella, che la durata della loro permanenza. Un vero e proprio paradosso. Inoltre, anche in presenza di tutti i requisiti richiesti, fino al 2014 sarà possibile accedere alle misure alternative solo nei limiti dei posti disponibili: un limite piuttosto restrittivo, visto che di Icam al momento ce n’è solo uno, a Milano e non sono previste risorse per stanziarne di nuovi. Il testo è stato approvato all’unanimità, con l’eccezione dei Radicali che, pur essendo stati tra i primi a promuovere una legge a tutela del rapporto tra madri detenute e figli, ne hanno preso le distanze per via della copertura finanziaria insufficiente. Le soddisfazione è diffusa per la ritrovata unità politica su un tema così delicato. E il clima che si respira in vista del voto al Senato è di grande ottimismo. Un’euforia che però, se questo testo diventerà legge, è destinata a infrangersi contro il muro delle cifre. Che non fanno sconti a nessuno, specialmente a chi vuol fare le nozze con i fichi secchi e a suon di spot. Giustizia: Osapp; nelle carceri rischio di suicidio è aumentato vertiginosamente Adnkronos, 7 marzo 2011 “Sono 1.762 i morti in 10 anni nelle carceri italiane, per un parziale di 636 suicidi: 66 nell’anno appena trascorso e 10 già nei primi due mesi di quest’anno. Il dato è aggiornato al 1 marzo di quest’anno”. A riferirlo è Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria (Osapp), che fa il punto delle morti in carcere alla luce dei dati riportati da Ristretti Orizzonti. “Se di riforma della Giustizia si deve parlare - sottolinea l’Osapp - è opportuno che questo Governo non si limiti agli affari del premier, ma inizi ad occuparsi delle condizioni di vita che i detenuti e i poliziotti sono costretti a patire nei penitenziari. E questo da quando, nel 2008, i servizi sanitari penitenziari sono passati, per legge, al servizio sanitario nazionale”. “Il rischio suicidio è aumentato vertiginosamente - spiega Beneducci - e solo per una semplice e banale causa: la mancanza di ascolto e di assistenza. Da un monitoraggio che questo sindacato sta portando avanti mettendo a confronto i fondi stanziati dalla sanità, il personale attualmente disponibile (medici, psicologi, assistenti sociali) e il numero dei detenuti che necessitano del sostegno, peggiorato dai nuovi arrivi, si deduce quanto poco tempo, circa otto minuti a settimana, è dedicato al lavoro di recupero del detenuto, contrariamente a quanto imporrebbe la Costituzione”. “Vigilanza e controllo - continua Beneducci - questa è la nuova frontiera del trattamento in cella, soprattutto dopo il tentativo fallito da parte del Dap di inaugurare dei centri di ascolto, che per mancanza di sostenibilità finanziaria non sono mai partiti”. “Gli esperimenti - aggiunge Beneducci - non mancherebbero affatto: sembra infatti che l’Università di Chieti, su coordinamento del professor Marco Sarchiapone, abbia adottato negli anni passati dei progetti sperimentali di assistenza al detenuto nelle carceri abruzzesi, che comunque hanno dato i loro frutti, applicando giovani universitari al lavoro assistenziale. Tutti progetti che poi, per inerzia della burocrazia, non hanno più avuto seguito”. “Probabilmente - conclude Beneducci - il ministro della Giustizia è poco propenso ad ascoltare, ma non abbiamo dubbi che ci senta benissimo. Solo dal 2008, infatti, gli agenti penitenziari in servizio hanno dovuto affrontare 194 casi di poveri disadattati che hanno scelto di togliersi la vita, aggravando di fatto ed ulteriormente le condizioni lavorative del Corpo”. Giustizia: Uil-Pa; un evaso, un suicida e 10 feriti nella settimana… come un bollettino di guerra Agi, 7 marzo 2011 “La settimana che si era aperta con una rumorosa, quanto giusta e legittima, contestazione al Ministro Alfano da parte di detenuti di Piacenza si chiude con un gravissimo bilancio di morte e violenza. Con le aggressioni e i ferimenti di agenti penitenziari a Lanciano, Barcellona Pozzo di Gotto e Genova Marassi (verificatisi sabato scorso) sale a dieci il numero dei poliziotti penitenziari aggrediti e feriti da parte di detenuti o internati, di cui uno in maniera molto grave ( Padova). Bisogna, inoltre, aggiungere l’evasione di venerdì scorso di un detenuto italiano 40enne dal carcere di Augusta, il suicidio di un 39enne detenuto francese nel carcere di Ariano Irpino (mercoledì 2 marzo), i circa 25 tentati suicidi e le due vite strappate alla morte per impiccagione da parte di poliziotti penitenziari a Venezia e Rovereto. Sono, evidentemente, cifre da bollettino di guerra”. Il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, fornisce nel dettaglio i numeri degli eventi critici accaduti (nella settimana appena trascorsa) all’interno dei penitenziari italiani e quotidianamente monitorati attraverso la pagina web Diario di bordo pubblicata sul sito www.polpenuil.it. “La deriva di morte e violenza che ha imboccato il sistema penitenziario italiano è sotto gli occhi di tutti, certificata da questi dati. Nonostante la costanza con cui si susseguono ferimenti ed aggressioni ad agenti penitenziari (27 gli agenti che dal 1 gennaio hanno riportato prognosi superiore ai cinque giorni) dobbiamo prendere atto di un offensivo, ingiustificabile ed ingiustificato immobilismo sia da parte dell’Amministrazione Penitenziaria che dello stesso Ministro Alfano. È evidente - continua Sarno - che queste violenze si alimentano anche attraverso le inumane, quanto incivili, condizioni di detenzione. Ma questo non può in alcun modo giustificare le aggressioni e i ferimenti dei nostri colleghi”. La Uil Pa Penitenziari sottolinea come da alcuni mesi sia rallentato il trend di presenze negli istituti penitenziari e come occorra investire diversamente sul fronte dell’edilizia penitenziaria “L’esame dei flussi penitenziari è molto chiaro. Da alcuni mesi il numero di presenze detentive si è stabilizzato tra i 67.400 e i 67.800 detenuti, con circa poco più di 42mila posti effettivamente disponibili. In questa stabilizzazione delle presenze per nulla ha inciso la legge sulla detenzione domiciliare che, come avevamo anticipato, ha sortito effetti risibili ( circa 1400 i detenuti che ne hanno beneficiato). A calmierare il trend degli ingressi, invece, è stato un rallentamento degli arresti derivanti dall’applicazione della Bossi-Fini. Da qualche tempo- osserva il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari - più che la strada del carcere si preferisce far imboccare agli irregolari la strada dei Cie. Sarà pure un modo, da parte di Maroni, di orientare in modo diverso i fondi disponibili, ma non possiamo non dire che questa politica ha prodotto effetti positivi sul sovrappopolamento carcerario. Merito a Maroni, quindi, che più di Alfano ha saputo incidere. Al Dap e al Ministero della Giustizia piuttosto che operare e lavorare per rendere più vivibili le strutture attive, si continua a ragionare e puntare esclusivamente sull’edificazione di nuove prigioni ( che non possono essere attivate per mancanza di personale ). Questa è una scelta miope, dettata o dall’incompetenza di chi gestisce il sistema penitenziario o dettata da interessi diversi da quelli legati alle vere criticità penitenziarie”. Domani il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, sarà in visita alla Casa Circondariale Femminile di Rebibbia, anche per rimarcare la grave situazione degli organici della polizia penitenziaria “La situazione delle donne in polizia penitenziaria è ben oltre la soglia dell’allarme rosso. È semplicemente insostenibile. Nonostante le difficoltà, però, Rebibbia continuano ad essere distaccate poliziotte verso i palazzi del potere. Questo è un esempio lampante ed eclatante dell’illogica e scriteriata gestione del personale da parte dei livelli centrali del Dap. Già ora mancano agli organici della polizia penitenziaria circa seimila unità, con i nuovi padiglioni e i nuovi istituti il gap salirebbe a novemila. Eppure si continua ad esaltare e propagandare l’assunzione di circa 1.800 unità, che chissà se e quando diverranno certezza”. Giustizia: il caso Scaglia e l’utilità di Internet, per ogni detenuto agli arresti domiciliari di Sandro Padula Ristretti Orizzonti, 7 marzo 2011 L’ex amministratore di Fastweb Silvio Scaglia, arrestato a seguito dell’inchiesta Telecom-Sparkle, ha trascorso gran parte della custodia preventiva agli arresti domiciliari e, in quest’ultima condizione, è riuscito a trovare un po’ di compagnia grazie all’uso di una pagina da lui aperta su Facebook (http://www.facebook.com/silvioscaglia.it?sk=wall&filter=2). Il 10 febbraio di quest’anno, stando a ciò che appare sul sito, ha pubblicato una vignetta sul suo caso giudiziario, realizzata da Vincino per la rivista Vanity Fair, che ha ricevuto molti “mi piace” e svariati commenti. Questi ultimi, di cui tralascio il nickname degli autori, dicevano: “la giustizia è uguale per tutti?”; “tieni duro. Non è un grande aiuto ma sapere che tante persone sono dalla tua parte ti deve dare la forza e la Fede per continuare a lottare. È davvero incredibile in che Stato siamo finiti (…); “in questi giorni di bufere giudiziarie, il caso di Silvio Scaglia fa riflettere. Lui sì che quando tutto sarà finito dovrebbe fare causa allo Stato!”; “bisognerebbe fare causa ai giudici: la velocità nei processi dovrebbe avere giustificazioni precise”; “malagiustizia che è mala per tutti ma è giusta per i magistrati”. Comunicare su Facebook, dove la sua pagina ha 3.434 fans, ha di certo aiutato Silvio Scaglia ad affrontare il più difficile periodo della propria vita. Gli è stato utile per non cadere in quella depressione che in molti casi spinge inevitabilmente al suicidio. Il 24 febbraio 2011, quando ha riacquisito la libertà, gli ha permesso anche di condividere il proprio pensiero, pubblicato pure da un blog (www.silvioscaglia.it) a lui dedicato: “Torno in libertà dopo un anno di prigione e arresti domiciliari. Vivo da anni all’estero e appena saputo del mandato di cattura sono rientrato immediatamente in Italia a disposizione dell’Autorità giudiziaria, consapevole di dover passare in carcere il tempo necessario per chiarire la mia estraneità ad ogni illecito. Non mi sarei mai immaginato un percorso così travagliato, lungo e drammatico, ma rispetto la giustizia e resto convinto della correttezza della mia scelta iniziale e conto sul processo in corso per rendere evidente la mia innocenza. Ringrazio la mia famiglia e tutti coloro che hanno continuato a credere in me e mi hanno sostenuto in questo tremendo periodo della mia vita”. Il processo dovrà stabilire se, nell’ambito di una truffa ai danni dello Stato caratterizzata da una gigantesca evasione fiscale, ci siano state complicità tra i dirigenti di Fastweb e Telecom Italia Sparkle e un’organizzazione a delinquere con radici nell’estrema destra romana, ma intanto è senza dubbio un fatto positivo che Silvio Scaglia sia tornato libero. Tre anni di indagini e un anno di detenzione fra carcere e arresti domiciliari non hanno permesso di trovare prove d’accusa significative contro di lui, che pare nemmeno ebbe contatti con l’organizzazione criminale in questione. A mio parere Scaglia è innocente, almeno stando alle documentazioni finora conosciute. In ogni caso, e senza ombra di dubbio, la sua carcerazione preventiva è stata inutile visto che gli indizi contro di lui risalivano al massimo al 2007-2008 e, in quanto ex amministratore di Fastweb, non si trovava certo nelle condizioni di poterli “inquinare”. Meglio tardi che mai, dice un proverbio, e quindi è un bene ogni volta che la giustizia concede la libertà a qualcuno. Questo però non sempre succede nei casi riguardanti persone che, a differenza di Silvio Scaglia, non sono famose e nemmeno fra le mille più ricche del pianeta. A volte succede l’esatto contrario. Il 5 marzo, ad esempio, un rumeno di 24 anni sottoposto agli arresti domiciliari è stato pizzicato su Facebook dalle forze di polizia di Città di Castello (Perugia) e la magistratura, informata della circostanza, ha deciso di farlo tornare in carcere anche se lui aveva solo scambiato qualche messaggio dal contenuto del tutto lecito. La giustizia in proposito, basata sulla sentenza n. 37.151 del 18 ottobre 2010 della suprema Corte di Cassazione, non è chiara e uguale per tutti coloro che stanno agli arresti domiciliari. Dichiara che l’accusa deve cogliere sul fatto la persona che sta telecomunicando con Internet perché dalla rete non si può sapere se Tizio sia davvero Tizio e non un altro al suo posto, ma in linea generale limita l’uso di Internet agli scopi relativi alle ricerche e non prende in adeguata considerazione il fatto che dal web 1.0, con siti gestiti dalla sola figura del webmaster, siamo già passati al web 2.0, con siti gestiti da migliaia di utenti (ad esempio wikipedia). Usare Internet, anche per soli scopi di ricerca, implica sempre più l’uso dei social network ma ogni forma di telecomunicazione è sempre qualcosa di molto diverso, quanto a caratteristiche e grado di controllabilità, rispetto ad ogni tipo di comunicazione tradizionale. La velocità dei progressi tecnologici nelle telecomunicazioni è mille volte superiore a quella di ogni vecchia forma comunicativa. Chi, ad esempio, compie reati telecomunicando è mille volte più rintracciabile rispetto a chi li fa comunicando in maniera diretta. Occorre quindi una legge che, relativamente alle persone agli arresti domiciliari, abbia due aspetti fra loro interconnessi: da un lato non dovrebbe estendere a tutte le forme di telecomunicazione la generica prescrizione di “non comunicare con persone diverse dai familiari conviventi” prevista dall’art. 276 c.p.p., comma 1; dall’altro dovrebbe concedere in maniera esplicita la possibilità di un uso totale di Internet, anche rispetto al web 2.0 e alle sue inevitabili evoluzioni, nella misura in cui non vengano compiuti dei reati specifici. O vogliamo mantenere l’attuale situazione ambigua e ingiusta? Lettere: nelle nostre carceri, un pezzo di Terzo mondo di Bruno Aliberti Ristretti Orizzonti, 7 marzo 2011 Dopo anni di discussione, è stata già approvata alla Camera la proposta di legge che prevede alle detenute madri di scontare la pena fuori dagli istituti penitenziari. Il testo che ora dovrà essere approvato al Senato, prevede che alle detenute gravide o con bambini di età inferiore a sei anni, non ne possa essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo casi di eccezionale rilevanza, e, solo presso istituti a custodia attenuata. E pensare che ancora oggi vi sono circa cinquanta bambini che vivono “in galera” insieme alle mamme detenute, fino all’età di tre anni, distribuiti nei vari istituti italiani. Questa triste e grave realtà, è stata anche testimoniata da cinque fotografi, con una mostra fotografica organizzata a Roma nel settembre del 2010. Si tratta di un vero e proprio reportage, realizzato con le immagini raccolte nei vari penitenziari femminili, tra cui il nido dell’istituto di Bellizzi Irpino. La fortuna dei nostri figli, dei nostri nipoti, il più delle volte protagonisti già da piccoli proprio negli asili come interpreti, nelle loro prime recite, contrasta con il percorso di vita di questo terzo mondo: creature segnate già poco dopo la nascita a vivere in “galera” in spazi inappropriati, in celle con sbarre alle finestre e porte blindate, senza quasi mai uscire, fino a chiedersi, e da qui il titolo della mostra: “Che ci faccio qui?” Nell’Istituto di Bellizzi Irpino, i bambini vivono in un contesto in cui non vi è netta separazione degli ambienti riservati alle detenute comuni, e quindi i bambini sono a contatto anche con detenute tossicodipendenti, malate di Hiv e/o Hcv, diabetiche, cardiopatiche, per cui il titolo potrebbe essere: “Che ci faccio io qui, in mezzo a queste persone?” Recenti studi hanno dimostrato che i figli di madri detenute, hanno una fantasia ed una creatività più limitata, per cui risulta alquanto anacronistico che ancora oggi in un paese civile si possa acconsentire che i bambini paghino un prezzo così alto, che spesso si trasforma in trauma che li segnerà per tutta la vita. Un esempio di buon governo, ci viene dal carcere di Milano San Vittore, dove la Direttrice ha anticipato gli eventi, creando, già da tempo, una struttura protetta, senza sbarre alle finestre, senza celle e senza agenti in divisa, per cui questi bimbi vivono in una “Casa famiglia”. Ci si domanda allora, perché anche ad Avellino, sebbene le risorse finanziarie a disposizione, in tutti questi anni, non si è riusciti ad organizzare un progetto che potesse migliorare la permanenza, e quindi la vita di queste creature all’interno di questa struttura? Basti pensare che nel nido del carcere di Bellizzi, solo per accudire tre/quattro bambini si spendono all’incirca 100.000 euro all’anno, circa 3.000 euro al mese a bambino. Non voglio minimamente pensare che per alcuni amministratori, sia vero quello scritto dal giornalista Riccardo Arena: “Il carcere è solo un aspetto di un sistema che ambisce alla finanza e non al proprio dovere, che primeggia i sondaggi e annulla il valore delle persone” Bruno Aliberti Medico Incaricato Presidio Sanitario Penitenziario Asl/Avellino Coordinatore provinciale Fimmg-Amapi Sardegna: senza stipendio i medici delle carceri La Nuova Sardegna, 7 marzo 2011 Situazione sempre più difficile nelle carceri sarde. Ai disagi e alla precarietà - spesso dovuta alle carenze strutturali e degli organici del personale che deve prestare servizio per garantire correttamente le attività - si aggiunge ora la diffusa protesta dei medici di guardia Sias (Servizio integrativo di assistenza sanitaria) e degli infermieri parcellisti che lavorano senza percepire lo stipendio. Dall’inizio dell’anno non vengono pagate le retribuzioni. È un problema che si ripropone e che ogni volta sembra avviato sulla strada della soluzione. Salvo poi tornare nelle stesse condizioni di prima. Negli ultimi giorni è circolata la notizia che l’assessorato regionale alla Sanità avrebbe stanziato dei fondi per la sanità penitenziaria, ma nella realtà mancano certezze su chi e come vengono gestiti. Proprio in virtù del fatto che le competenze non sono state erogate ai medici parcellisti (che poi sono quelli che garantiscono la cosiddetta “continuità assistenziale” ai detenuti che popolano gli istituti penitenziari sardi). “Non sappiamo che fine abbia fatto in Sardegna il passaggio della Medicina penitenziaria al Sistema sanitario nazionale - racconta Marco Puggioni, segretario regionale della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria - c’è un decreto, datato 1 aprile 2008, che detta il percorso. Da queste parti si è interrotto, e la sanità penitenziaria isolana continua a stare in un limbo”. Il segretario regionale del Simspe sottolinea che “Sardegna e Sicilia sono le uniche due regioni in Italia che ancora non hanno attuato il passaggio, e nessuno spiega perché il procedimento è stato bloccato”. Così i medici parcellisti che lavorano nelle carceri isolane continuano a lavorare senza stipendio e senza risposte: “Professionalità e abnegazione - conclude Puggioni - hanno portato i medici a continuare ad assicurare un servizio fondamentale per le persone in carcere”. Livorno: il Garante dei detenuti; c’è un sovraffollamento che incattivisce chi sconta la pena Il Tirreno, 7 marzo 2011 Il progetto Gatta Buia può contribuire non solo a ‘insegnare un lavorò ma anche a migliorare la visibilità di un pezzo marginale della nostra città, isolato e dimenticato, fino a che tragici fatti di cronaca non lo riportano alla ribalta. Si parla allora di carcere “assassino”, ma come si vive all’interno di un penitenziario? Prova a spiegarcelo, Marco Solimano nominato dal sindaco Cosimi, Garante dei Detenuti della Casa circondariale di Livorno e della Casa Penale di Gorgona. In che cosa consiste nel concreto la funzione del Garante? “Ha una titolarità pubblica e una titolarità giuridica, infatti io ho la possibilità di entrare in carcere senza che sia necessaria alcuna previa autorizzazione e di poter parlare con i detenuti analogamente senza chiedere permessi, competenza che finora era propria dei parlamentari e dei consiglieri regionali. Così almeno due volte al mese dedico una giornata ai colloqui individuali con i detenuti. Il Garante ha inoltre la facoltà ispettiva e il compito di far crescere il legame di conoscenza e trasparenza tra la città e l’ente carcerario”. Quali sono le condizioni del carcere di Livorno? “La Casa circondariale di Livorno, ospita 460 persone circa in una capienza di 240 posti. Oltre al problema del sovraffollamento comune a tutti i carceri italiani, si aggiungono quelli relativi alle cattive condizioni di un edificio già fatiscente, nonostante la costruzione sia relativamente recente. Si è superata la soglia di dignità perché le condizioni di vita sono inaccettabili. Manca lo spazio vitale, ci sono celle con tre persone in 10 mq. Mentre, secondo la Convenzione europea per la prevenzione della tortura, ad ognuno deve essere garantito uno spazio di almeno 7 mq. È un carcere relativamente nuovo ma cadente. I danni strumentali sono notevoli e i fondi per la manutenzione ordinaria sono insufficienti, i 4 mila euro all’anno non bastano certo. Se si fulmina una lampadina in una cella e il detenuto non è in grado di comprarsela, rimane al buio. C’è una povertà incredibile, molti detenuti non hanno nemmeno la possibilità di comprarsi spazzolino e dentifricio”. A fronte di questa situazione emergenziale, da dove partire? “Entro il 31 dicembre avrebbero dovuto essere pronte le nuove sale per i colloqui, i lavori sono un pò in ritardo ma entro un mese verranno consegnate. In questo modo si libereranno spazi restituiti ad aree per la socializzazione. Queste “bolge infernali” non sono educative. Si ha diritto di espiare la pena in condizioni accettabili, mentre un carcere così è lesivo dei diritti e della dignità. Venti morti in dieci anni sono tanti...per il Sap (sindacato di polizia penitenziaria) Livorno è il carcere che ha espresso il più elevato indice di tentativi di suicidio e autolesionismo”. Quali i percorsi per migliorare la situazione? “Bisogna investire nel carcere, un giorno di detenzione costa circa 350 euro a persona, se riusciamo a dare più opportunità alle persone detenute, metterle in contatto con realtà positive per costruirsi una possibilità di vita diversa, le recidive potrebbero diminuire e così anche i costi. Tra parentesi ci tengo a ribadire che a differenza di quanto ho letto da qualche parte, io come garante ho rinunciato a indennità e rimborso spese”. Nello specifico che progetti avete realizzato e che percorsi state attualmente intraprendendo? “Stiamo elaborando un “Manuale del giovane detenuto” in più lingue ed anche delle brochure rivolte alle imprese che decidono di investire nel carcere grazie a possibili sgravi fiscali. Con il laboratorio teatrale si è dimostrato di poter produrre cultura, come hanno testimoniato le rappresentazioni pubbliche davanti a migliaia di persone. Sarebbe bello poi nei mesi primaverili poter tenere i colloqui all’esterno per vivere questo momento in modo meno traumatico. Un’iniziativa molto coinvolgente è stata la Giornata della genitorialità: genitori e bambini si sono incontrati, al dì fuori dei consueti spazi riservati ai colloqui, un pò come se fosse una festa. È intervenuto anche il Sindaco con sua figlia che ha passato la giornata a giocare con gli altri bimbi. Ecco esperienze così le dovremmo ripetere più spesso, per permettere ai detenuti di mantenere viva la loro dimensione affettiva”. Aversa (Ce): i Radicali visitano l’Opg; una situazione drammatica Ansa, 7 marzo 2011 Nella giornata di sabato 5 marzo la parlamentare radicale Rita Bernardini ha effettuato una visita ispettiva all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa, accompagnata da una delegazione di militanti radicali composti da Luca Bove, segretario dell’associazione “Legalità & Trasparenza” e componente del comitato nazionale di Radicali, Elio De Rosa, tesoriere dell’associazione “Legalità & Trasparenza”, Annarita Di Giorgio, del comitato nazionale dei Radicali Italiani, Irene Testa, segretario dell’associazione radicale “Il Detenuto Ignoto” e membro della giunta di Radicali Italiani, Paola Di Folco, membro del comitato nazionale di Radicali, ed Enrico Salvatori di Radicali Italiani. Al termine della visita, durata quasi cinque ore, la Bernardini ha tirato le somme di quanto constatato. “In primo luogo va analizzata la situazione dal punto di vista strutturale. L’Opg di Aversa ha una capienza di 212 posti a fronte di 284 ospiti presenti nella struttura. All’interno ci sono macchie di umidità e nel reparto che sta per aprire - il numero 9 dichiarato di recente agibile dall’ingegnere del Prap - ci sono enormi crepe. Inoltre, all’interno della struttura ci sono i letti a castello, cosa davvero impensabile per un centro sanitario di recupero psichiatrico. Dal punto di vista igienico sanitario la situazione è davvero drammatica. Materassi marci e lenzuola sporche. Inoltre soltanto 80 pazienti sono seguiti dai familiari, gli altri sono costretti a lavarsi gli abiti da soli”. Una situazione così drammatica è resa ancor più palese dalla carenza di personale, che, secondo la Bernardini, “tra mille difficoltà riesce a svolgere un lavoro encomiabile grazie anche alla grande professionalità del neo direttore della struttura, Carlotta Giaquinto, ed al comandante degli agenti di polizia giudiziaria Gaetano Manganelli”. All’interno della struttura lavorano: 89 agenti di polizia giudiziaria, su una pianta organica che ne prevede 100, dei quali 34 beneficiano della legge 104; 2 psicologi per 284 pazienti; 6 psichiatri di cui solo il dirigente svolge le 36 ore settimanali; 48 infermieri, privati addirittura delle divise; 30 operatori socio assistenziali. “Le responsabilità di un simile degrado - ha concluso Rita Bernardini - sono da ricercarsi nello stato di abbandono e nel totale menefreghismo del Ministero della Giustizia. Sono stati tagliati fondi essenziali per le attività di recupero dei pazienti. Presenteremo un’interrogazione parlamentare il cui testo sarà inviato alla Procura della Repubblica per verificare che non ci siano violazioni penali. La condizione dei pazienti è di vero e proprio maltrattamento l’ospedale è un carcere”. Bernardini e il suo seguito hanno parlato anche con i degenti della struttura normanna. Uno di loro ha dato una poesia in cui spiegava la propria condizione all’interno dell’Opg definendo i giorni come “fatti di dolore e sofferenza”. Rieti: mancano gli agenti; ancora semivuoto il carcere inaugurato un anno e mezzo fa Ansa, 7 marzo 2011 Mentre molte delle carceri del Lazio soffrono di sovraffollamento, c’è un penitenziario che ha il problema opposto: la maggior parte delle celle devono rimanere vuote perché non c’è abbastanza personale per mantenere tutta la struttura in piena attività. Si tratta del nuovo carcere di Rieti, visitato questa mattina dal presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, che ha assicurato alla direttrice il suo interessamento con il Governo per risolvere il problema. Il carcere è stato aperto il 28 ottobre 2009, poco fuori città, dopo la chiusura del vecchio istituto. A regime, ha spiegato la direttrice Annunziata Passannante, potrebbe ospitare 450 detenuti, tutti maschi. Ma attualmente i carcerati sono solo 107. “Servirebbero 300 agenti penitenziari - ha spiegato la dirigente - ma ne abbiamo solo 100 per cui non possiamo aprire tutta la parte più grande”. “Ho visitato quasi tutti i carceri del Lazio - ha commentato Polverini - e spesso ho visto problemi di sovraffollamento, per cui mi sono meravigliata. Come amministrazione - ha annunciato - cercherò anch’io di parlare con il ministro perché nel più breve tempo possibile si possa avere un carcere pienamente funzionante sia per i detenuti che per gli operatori”. A chi le chiedeva poi della struttura sanitaria non utilizzata, Polverini ha risposto: “Abbiamo ereditato una situazione di assistenza nelle carceri sicuramente critica. Da qualche settimana però è al lavoro una task force per dare risposte lì dove abbiamo verificato che ci sono problemi”. Cagliari: Sdr; l’8 marzo con le detenute, per conoscere realtà di Buoncammino Agenparl, 7 marzo 2011 Un incontro con le detenute del carcere cagliaritano di Buoncammino per conoscere e far conoscere la realtà della detenzione al femminile. Lo ha promosso l’associazione “Socialismo Diritti Riforme” che in occasione della Festa della Donna, domani martedì 8 marzo, alle ore 10, ha organizzato l’appuntamento all’insegna della solidarietà in collaborazione con l’amministrazione provinciale di Cagliari. Il progetto “Un sorriso oltre le sbarre” per il secondo anno consecutivo intende sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione delle detenute. Un incontro di riflessione e di conoscenza per esprimere la vicinanza delle istituzioni e del volontariato alle donne private della libertà. All’iniziativa, che ha registrato da subito l’apprezzamento della Direzione dell’Istituto di Pena, interverrà l’assessore delle Politiche Sociali, Famiglia, Immigrazione e Condizione Giovanile Angela Quaquero. Sarà presente anche la Parlamentare Amalia Schirru. Della delegazione faranno parte quest’anno, oltre alle socie di Sdr Elisa Montanari (Vice Presidente), Silvana Procope, Claudia Sonedda e Paola Melis, la presidente della federazione regionale e quella della sezione cagliaritana della Fidapa (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) rispettivamente Rina Salis e Maria Conte. L’8 marzo è solo l’occasione per richiamare, con un gesto simbolico, quel riguardo verso l’universo femminile all’interno degli Istituti Penitenziari spesso trascurato sia per il numero fortunatamente molto contenuto di donne in stato di detenzione sia per la tipologia di reati che le vede il più delle volte vittime-protagoniste. Un pensiero sarà rivolto anche alla realtà delle Agenti di Polizia Penitenziaria. Durante la visita saranno consegnati alcuni prodotti per la cura personale che vogliono sottolineare l’attenzione della società nei confronti di persone che stanno affrontando un’esperienza difficile e dolorosa per ripristinare un positivo patto con la vita in libertà. Verrà consegnata anche una piantina per la sezione femminile. L’iniziativa si avvale anche del contributo delle volontarie dell’associazione che hanno raccolto prodotti per l’igiene messi a disposizione da alcune erboristerie e farmacie. Avezzano (Aq): il ministro Alfano in visita al carcere San Nicola Il Centro, 7 marzo 2011 Il ministro Angelino Alfano ha visitato il carcere di Avezzano A riceverlo, il capo dipartimento Franco Ionta; il provveditore regionale Salvatore Acerra; il direttore Mario Giuseppe; il sostituto commissario Giovanni Luccitti; il cappellano, Francesco Tudini, e suor Benigna, che ha dedicato la sua vita ad aiutare i tetenuti nelle carceri di Avezzano e di Sulmona. È stata proprio suor Benigna a volere fortissimamente la presenza del ministro nella casa circondariale di Avezzano, riaperta ad ottobre. Era rimasta chiusa per alcuni anni per essere ristrutturata. Il 16 febbraio, suor Benigna, insieme al cappellano, era andata a Roma per consegnare al ministro, come regalo, una scacchiera realizzata dai detenuti e sollecitarlo a intervenire contro lo stato di abbandono del carcere, che ospita 80 detenuti. Non avendo trovato il ministro, si raccomandò con il suo segretario personale Giovanni Baldassarre. Ricevuto il messaggio, il ministro, dopo l’incontro al Don Orione, si è precipitato al carcere. “Appena l’ho visto, mi si è riempito il cuore di gioia”, racconta suor Benigna, “non potevo farmi sfuggire un’occasione simile”. Così durante l’incontro, al quale erano presenti anche alcuni detenuti, suor Benigna, rivolta ad Alfano gli ha detto: “Qui, signor ministro, non c’è nulla, i detenuti non possono svolgere nessuna attività. Ci aiuti”. Angelino Alfano l’ha rassicurata, impegnandosi a far tenere dei corsi di formazione. E ha incaricato il senatore Filippo Piccone e il sindaco Antonio Floris, che insieme al presidente della Provincia, Antonio Del Corvo, e al coordinatore provinciale del Pdl, Massimo Verrecchia, accompagnavano il ministro, di organizzare per la prossima settimana un incontro per decidere come articolare i corsi. Sempre nel carcere, il ministro ha ricevuto una delegazione di avvocati, capeggiata dal segretario del consiglio dell’Ordine di Avezzano, Eleuterio Simonelli. L’Ordine aveva sollecitato l’incontro per prospettare al ministro le difficoltà in cui si trova il tribunale di Avezzano, per la carenza di organico, e sollecitarlo a prendere provvedimenti. Alla delegazione il ministro ha assicurato che si “occuperà personalmente affinché il tribunale di Avezzano possa avere, al massimo entro sei mesi, un numero appropriato di magistrati togati, così da consentire un efficiente funzionamento della giustizia nella Marsica”. L’avvocato Simonelli ha fatto inoltre presente ad Alfano che la Marsica è da tempo soggetta a infiltrazioni della criminalità organizzata e proprio per questo necessita di maggiore efficienza nelle strutture giudiziarie. Torino: Sappe; ieri sera qualcuno ha sparato contro il block-house del carcere Lorusso-Cutugno Il Velino, 7 marzo 2011 “Quanto accaduto a Torino dimostra emblematicamente la crescente tensione che si registra nelle carceri del Paese, già caratterizzate da un elevato numero di aggressioni ad appartenenti alla Polizia Penitenziaria e da una altrettanto considerevole serie di suicidi e tentativi di suicidio di detenuti. Ieri sera nel capoluogo piemontese, verso le 20.30, ignoti sono arrivati a sparare un colpo di arma da fuoco colpendo la parete del block-house del carcere Lorusso-Cutugno (l’avamposto - primo filtro per l’accesso in carcere). Per fortuna, nessuno è rimasto ferito ma non è stato possibile risalire all’autore della grave, violenta e inaccettabile intimidazione. Nonostante non si siano registrati incidenti riteniamo sia il caso di tenere alta l’attenzione, intensificando le misure di sicurezza, al fine di garantire l’incolumità di quanti operano all’interno del carcere, ma anche dei cittadini”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, su quanto avvenuto ieri sera al carcere di Torino. Il Sappe sottolinea come “le manifestazioni di intolleranza verso l’Istituzione penitenziaria sono purtroppo sempre più frequenti, come dimostrano le scritte che periodicamente vengono vergate sulle mura di molte carceri italiane. Non dimentichiamoci che meno di un mese fa, il 19 febbraio scorso, decine di fumogeni e petardi sono stati lanciati da alcune centinaia di giovani dei centri sociali dentro al carcere di San Vittore a Milano per esprimere solidarietà ai detenuti. E il generale sovraffollamento delle strutture penitenziarie certo non aiuta, come non aiuta l’indifferenza che percepiamo verso gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria da parte di quella nomenclatura e quella dirigenza dell’Amministrazione penitenziaria che da vent’anni ostacola ogni evoluzione ed accrescimento professionale della Polizia penitenziaria e quindi condiziona l’operato di tutti i Capi Dipartimento che fino ad oggi si sono avvicendati alla guida del Dap. Proprio per questo domani 8 marzo il primo Sindacato dei Baschi Azzurri, il Sappe, manifesterà davanti alla sede di Roma del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria! Manifesteremo contro i burocrati che si preoccupano solo della propria poltrona, sempre gli stessi, che hanno boicottato e boicottano subdolamente e costantemente una non più rinviabile, adeguata e funzionale organizzazione del Corpo di Polizia penitenziaria e l’istituzione della Direzione generale del Corpo, in seno al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, indispensabile e necessaria per raggruppare tutte le attività ed i servizi demandati alla quarta Forza di Polizia del Paese”. Palermo: detenuto minorenne tenta suicidio in carcere, salvato dalla Polizia Penitenziaria Il Velino, 7 marzo 2011 “Esprimo sincera preoccupazione se le tensioni che già da molto tempo si registrano nei penitenziari per adulti iniziano a verificarsi anche nelle strutture detentive per minori. Sabato sera, verso le 19, un giovane detenuto straniero ristretto presso l’Istituto Penale per i Minorenni di Palermo, in uno momento di sconforto ha tentato il suicidio mediante impiccamento all’interno della propria cella. Il giovane detenuto ha tentato di impiccarsi utilizzando i lacci delle scarpe che ha stretto al collo, realizzando così un cappio, e, legandoli alle sbarre delle finestra, si è lasciato cadere dal davanzale sul quale era salito. Il giovane è stato prontamente soccorso dal personale di Polizia Penitenziaria in servizio, che entrando con immediatezza nella stanza di assegnazione, evitava il soffocamento, salvando così la vita del detenuto”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, commentando lo sventato tentativo di suicidio di un detenuto minore nell’Istituto penale per minorenni di Palermo. “Il Sindacato Sappe segnala come il personale di Polizia Penitenziaria dell’Istituto Minorile di Palermo, prontamente intervenuto nel fronteggiare l’emergenza, si sia ancora distinto con professionalità e spirito di servizio nel salvare la vita del giovane, confermando così la particolare attenzione durante lo svolgimento del servizio, soprattutto in un contesto, quello minorile, che ha in carico per lo più soggetti particolarmente vulnerabili, considerata la giovane età e la condizione di stranieri privi di concreti punti di riferimento affettivi, familiari, educativi. È ancora una volta solo grazie alla professionalità, alle capacità, all’umanità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria che un detenuto è stato salvato da un tentativo di suicidio grazie al tempestivo intervento degli agenti penitenziari”. Siracusa: Osapp; detenuto evaso… ora nessuno incolpi gli agenti, l’organico è carente Gazzetta del Sud, 7 marzo 2011 Il giorno dopo la clamorosa fuga dal carcere di Augusta del detenuto Walter Pitzanti, 40 anni, utilizzato per i lavori di cura degli spazi a verde esterni, i sindacati degli agenti di polizia penitenziaria dichiarano lo stato di agitazione in tutte le strutture carcerarie della provincia e ammoniscono: “Nessuno si azzardi ad addossare responsabilità agli agenti di polizia penitenziaria”. Bongiovanni dell’Ugl, Di Carlo della Fsa-Cnpp, Scarso dell’Osapp, Alota del Sinappe, Timonare della Cgil, Santoro della Cisl e Mandolfo della Uil, sono intervenuti ieri con una Nota congiunta per dire che se fossero stati ascoltate le richieste da loro più volte formulate quel che è accaduto si sarebbe potuto evitare. E spiegano: “La carenza di organico - circa 120 poliziotti in meno - e la rilevante precarietà delle strutture denunciate a più riprese, sono il principale motivo per cui possano accadere tali sconvenienti episodi, fatti che rischiano di essere strumentalizzati da taluni non addetti ai lavori, i quali, non conoscendo la reale situazione delle carceri e la reale dinamica dei fatti in questione, si inventano la qualunque cosa per far notizia, anche facendo assurde ipotesi che rasentano l’illegalità”. Ai commenti che si faranno sulla vicenda i sindacati dicono che saranno molto attenti, “pronti ad avviare ogni utile azione legale a difesa dell’immagine del personale di polizia penitenziaria”. I rappresentanti degli agenti della Polizia Penitenziaria si dicono “stanchi di ripetere che per mantenere a un livello di sufficienza le attività trattamentali e parallelamente la sicurezza degli istituti penitenziari, ogni struttura deve essere dotata costantemente di un numero adeguato di personale di polizia, oltreché di una sufficiente disponibilità di mezzi e strumenti di controllo, utili, altresì, a ottimizzare tutto il sistema”. Si dicono inoltre “stanchi e indignati dalla mancanza di ascolto fino ad ora manifestata dall’Amministrazione Penitenziaria ai nostri innumerevoli gridi d’aiuto”. E si dicono anche “turbati dal disinteresse totale della politica, soprattutto territoriale, verso i problemi principali che affliggono le carceri: strutture fatiscenti, carenza di organico, sovraffollamento insostenibile”. Ma non solo. Aggiungono di essere “scoraggiati dal fatto che il prefetto non abbia mostrato particolare interesse verso la questione delle carceri”. Riguardo alla situazione nel carcere di Augusta ricordano che “ospita circa 700 detenuti, oltre agli operatori, una città nella città, quindi meritevole di attenzione da parte di tutti”. I sindacati della polizia penitenziaria sostengono di essersi sentiti troppe volte umiliati da chi avrebbe dovuto dare loro delle risposte e non lo ha fatto. “Non abbiamo più tempo né tantomeno volontà - affermano - di aspettare il nulla di fatto”. Alla dichiarazione dello stato di agitazione seguiranno altre iniziative di protesta, che si terranno davanti al carcere di Augusta e davanti alla Prefettura. “È arrivato il momento - affermano i sindacati - di chiedere all’opinione pubblica e a tutti cittadini di aiutare gli operatori della sicurezza, appartenenti al corpo di polizia penitenziaria, a lavorare con serenità, senza quotidianamente essere mortificati e umiliati nello svolgimento del delicato compito a loro affidato”. Le ricerche di Walter Pitzanti, 40 nani, evaso dal carcere di Piano Ippolito, ad augusta, non hanno sin qui prodotto i risultati auspicati. L’evasione è avvenuta nelle prime ore del pomeriggio di venerdì. Walter Pitzanti, di origini sarde, con cinque anni di carcere ancora da scontare, era considerato un detenuto modello. Era stato impiegato nella cura delle aree a verde esterne alla struttura carceraria. I rappresentanti della polizia penitenziaria affermano che “appena è scattato l’allarme tutto il personale si è mobilitato alla ricerca dell’evaso. Sono stati mobilitati anche gli agenti liberi dal servizio. Il detenuto in fuga è stato ricercato in un raggio di svariati chilometri. Le ricerche hanno interessato la città di Augusta ma soprattutto le campagne, a sud sino a Siracusa e a nord sino a Catania. Come già detto, però, i rastrellamenti in tutta questa ampia area non hanno prodotto i risultati sperati. L’auspicio delle forze dell’ordine impegnate nella caccia all’evaso è che emergano al più presto elementi che diano una svolta al loro lavoro. Messina: internato all’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto colpisce due agenti con un bastone Adnkronos, 7 marzo 2011 Il vice segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp) ha reso noto che sabato scorso nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, un detenuto ha colpito con un bastone, su cui erano piantati alcuni chiodi, un sovrintendente ed un assistente capo della Polizia Penitenziaria mentre gli veniva praticata una iniezione prescritta dallo psichiatra. I due agenti sono stati ripetutamente colpiti alla testa il primo e alla spalla il secondo, procurando ferite varie. Il sovrintendente, trasportato in ospedale, è stato dichiarato guaribile in 10 giorni. ‘L’ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto - ha affermato Nicotra - è carente di 20 unità di Polizia Penitenziaria e il tipo di detenuto deve essere da tempo assistito dalla Regione, che allo stato tace”. Busto Arsizio: l’Isis Keynes ha regalato nove postazioni di computer alla Casa circondariale Varese News, 7 marzo 2011 Scuola e carcere si incontrano anche attraverso i piccoli gesti: in questo caso, una donazione. L’Isis Keynes di Gazzada Schianno (Dirigente Scolastico Prof. Luigi Villa, Direttore amministrativo Dott Pietro Liati, Prof.ssa Marina Frizza) ha donato alla scuola della casa circondariale di Busto Arsizio nove postazioni di computer complete di programmi e di stampante. La donazione è a beneficio degli allievi che in carcere frequentano l’indirizzo di formazione professionale da operatori e tecnici contabili, campo nel quale l’uso del computer è più che mai necessario. La cerimonia di consegna del laboratorio informatico (nella foto Dott. P. Liati, Prof.ssa M. Frizza, D.S. L. Villa, D.S. E. Bolis, Dott.ssa R. Gaeta, Dott. S. Nastasia) si è svolta alla presenza del Direttore del carcere Dott. Salvatore Nastasia, della responsabile dell’area trattamentale Dott.ssa Rita Gaeta e della Dirigente Scolastica dell’IPC Verri di Busto Arsizio Prof.ssa Eugenia Bolis, alla guida del corso diurno e serale e di quello della casa circondariale. Il “Verri” è infatti da molto tempo impegnato sul fronte dell’istruzione in carcere - supportata tra l’altro dalla Regione Lombardia che ha posto, da diverso tempo, un’attenzione particolare alla rieducazione e al reinserimento dei detenuti, quali risorse umane potenziali, con percorsi individuali legati a formazione professionale, lavoro e contatti con il “fuori” che creino rapporti costruttivi, mirati al reinserimento sociale e in tal modo alla prevenzione della recidiva. L’Ipc Verri è “in prima linea” in questo sforzo da quando circa vent’anni fa, il Preside Prof Angelo Lattuada diede l’avvio alla scuola in carcere; impegno che prese forma qualche anno dopo grazie al Preside Prof. Giovanni Danelli e alla Responsabile didattica del carcere Prof.ssa Carmela Pasquale, senza dimenticare gli altri Presidi che si sono succeduti: Vincenzo Cantile, Giulio Ramolini, e l’attuale Responsabile Rino Marotto. Oltre alle lezioni “tradizionali”, i detenuti collaborano poi allo sviluppo di commesse di lavoro per le diverse attività produttive presenti all’interno del penitenziario: su tutte il laboratorio di pasticceria e la cioccolateria, realtà premiate e riconosciute. Con il lavoro ai detenuti giunge uno stipendio con cui aiutare, per chi ce l’ha, la famiglia lontana; lo studio offre poi l’opportunità di conseguire un diploma, comunque fondamentale per trovare impiego una volta usciti, e di darsi un minimo di formazione culturale. Nelle scuole italiane, come scrive la prof.ssa Giuliana Morelli, insegnante di economia aziendale del Verri, comunicando l’iniziativa rivolta al carcere, si “inculcano nelle menti degli studenti” “anche i valori morali, intellettuali, professionali” e i due Dirigenti scolastici di Ipc Verri e Isis Keynes, Bolis e Villa, “conoscono la ricchezza umana e professionale dei loro docenti che sono gli artefici di tanti successi educativi e formativi nelle loro scuole. E il dono fatto dalla dirigenza dell’istituto Keynes è la dimostrazione che dalla scuola si può imparare ancora molto”. Livorno: teatro-carcere; l’Unità d’Italia vista dietro le sbarre Il Tirreno, 7 marzo 2011 Una delle esperienze più proficue della compenetrazione città-carcere, è il laboratorio teatrale. Presente in tutti gli istituti di pena toscani ha ricevuto impulso dall’esempio di Armando Punzo che oltre vent’anni fa ha fondato la Compagnia della Fortezza con i detenuti di Volterra. In città il teatro in carcere opera da una quindicina di anni. Dal 2003 coordinatore, regista e drammaturgo del Laboratorio teatrale della Casa Circondariale di Livorno è Alessio Traversi. “Ci sono stranieri che si impegnano e imparano in fretta la loro parte - dice Traversi -, prima magari dei colleghi italiani. Ci sono quelli con meno mobilità espressiva, quasi gelidi ma assai precisi e pignoli. Il corso rappresenta per tutti una rottura molto forte della routine detentiva, perché il teatro è interagire, non si sta freddamente seduti attorno ad un tavolo. C’è una vitalità enorme”. Il progetto del teatro alle Sughere è possibile grazie ai fondi che Regione e Comune stanziano per la cultura e l’attività sociale. “Si tratta di 10-12 mila euro circa, anche se il contributo del Comune è sempre a rischio per la scarsa disponibilità di finanziamenti”. Il corso vede la partecipazione di detenuti in regime di Media Sicurezza con una condanna definitiva, che possono quindi uscire all’esterno in permesso o usufruire dell’articolo 21. È importante infatti non solo fare teatro in carcere ma anche portare quest’esperienza all’esterno, condividendola con la città. “Il 15 aprile rappresenteremo il nostro spettacolo al teatro Goldoni, in collaborazione con l’Anpi e le scuole di danza di Livorno. “Quest’anno ricorre il 150º anniversario dell’Unità d’Italia - spiega Traversi - e l’intento sarebbe di coniugare questo tema, con la memoria storica, con la libertà di espressione e l’idea del “diverso” come facile capro espiatorio”. A partecipare sono dodici uomini e quattro donne, metà sono stranieri tra essi rumeni, albanesi, slavi, nordafricani, boliviani, cileni e questo melting-pot favorisce il confronto e la crescita. “È interessante vedere come i detenuti capiscono che il loro lavoro ha un valore”. Aversa (Ce): iniziative della Comunità di Sant’Egidio per gli internati all’Opg di Anna Sgueglia Il Mattino, 7 marzo 2011 “Dentro di noi c’è un desiderio di bene che bisogna tirare fuori”, ha detto il vescovo ai cento detenuti dell’ospedale psichiatrico giudiziario Saporito. Agli internati, monsignor Angelo Spinillo si è rivolto per lanciare un messaggio di solidarietà, quella solidarietà che la Chiesa non fa mancare neppure a chi ha magari commesso delitti tanto gravi da non poter essere perdonati solo perché commessi in preda a una malattia di mente. E un abbraccio corale ha accolto il vescovo di Aversa in visita all’Opg con venticinque volontari della Comunità di sant’Egidio. Gli internati del “reparto nuovo” hanno travolto con il loro affetto il pastore della Chiesa aversana a cui hanno chiesto in dono una statua di Giovanni Paolo II, ricordato da un internato marocchino, originario di Casablanca, che ha parlato della difficile situazione in Nord Africa, come un vero uomo di pace. Monsignor Spinillo, che ha salutato gli internati e il personale che lavora al Saporito - guidato da Carlotta Giaquinto, direttrice del settore penitenziario e Raffaello Liardo, nuovo direttore sanitario - ha promesso che tornerà presto nel carcere-ospedale per pregare con loro. Ieri però è stato il momento della festa che per qualche ora ha spezzato la monotonia del tempo immobile del carcere. I volontari della comunità di sant’Egidio hanno preparato per gli internati un piccolo buffet e li hanno coinvolti nel karaoke. “È stato un incontro commuovente e divertente - ha raccontato Antonio Mattone, responsabile delle iniziative carcere della Comunità - che ci conferma nel desiderio di proseguire la nostra attività anche nell’Opg di Aversa”. Alla festa di ieri, per una precisa scelta della direzione, hanno partecipato gli internati che vivono la condizione di maggior disagio e che più raramente partecipano alle attività messe in campo nel carcere, già fortemente ridotte per carenza di fondi. “Strutturalmente l’Opg è obsoleto, il personale è evidentemente sottodimensionato - continua Mattone - ma ci ha colpito l’umanità dimostrata da agenti e infermieri nei confronti degli internati”. Per i detenuti, non solo pizzette e dolcetti, ma anche pigiami e giacconi felpati, dono essenziale, visto che i tagli imposti al budget dell’ospedale psichiatrico giudiziario non consentono il rifornimento di indumenti. Sant’Egidio porta nell’Opg il carnevale Nel mondo alla rovescia del Carnevale capita ancora che gli ultimi siano protagonisti per un giorno, persino quando si tratta degli “invisibili” dell’Opg: domani, venticinque volontari della Comunità di sant’Egidio porteranno un po’ di colore nel mondo grigio del carcere-ospedale Filippo Saporito. Pizzette e qualche dolcetto, ma soprattutto tanta musica per fare compagnia a chi vive in solitudine. “Approfittiamo della festa e con lo spirito cristiano che ci caratterizza - spiega il responsabile delle iniziative carcere della Comunità Antonio Mattone - faremo sentire la nostra vicinanza ai più poveri che vivono dietro le mura del “Saporito”, ma anche al personale che con estrema difficoltà lavora nelle carceri”. Insieme con i volontari, il vescovo di Aversa Angelo Spinillo che porterà il suo saluto paterno al mondo del carcere. Un atto dall’alto valore simbolico, quello del pastore della Chiesa aversana, che vuole significare la vicinanza della Chiesa ai più derelitti. E nella festa saranno coinvolti proprio gli internati del reparto più difficile, quello “nuovo”, che di nuovo non ha nulla, se non il nome, tanto che è in attesa di ristrutturazione. “Abbiamo deciso di far entrare i volontari nel reparto che accoglie gli internati che vivono nel disagio maggiore, quelli che per i loro problemi e una tendenza a impigrirsi, più difficilmente rientrano nei progetti messi in atto al Saporito”, spiega la direttrice penitenziaria dell’Opg aversano, Carlotta Giaquinto che sottolinea che quella di domenica sarà una festa semplice. Semplice, ma rivoluzionaria, come nello spirito del Carnevale. Tunisia: dal primo febbraio 2.300 arresti, in 16 fuggono da carcere di massima sicurezza Amsa, 7 marzo 2011 Per il ministero dell’Interno tunisino, più di 2.300 persone, tra detenuti fuggiti, ladri e fomentatori, sono state arrestate dalle forze di sicurezza dall’inizio di febbraio. Dopo la fine del regime del presidente Ben Ali, sono scappati dalle prigioni più di 9mila detenuti. L’agenzia stampa Tap riporta i dati del ministero, che non specifica quanti dei 2.342 arrestati sono fuggiti dalle carceri, ma indica in 700 i ladri e in 260 i delinquenti. Fuga da carcere massima sicurezza Nel giorno in cui il ministero degli Interni tunisino ha reso noto di avere arrestato, nel solo mese di febbraio, oltre duemila persone, dal carcere di massima sicurezza di Borj Erroumi, a Biserta, sono fuggiti 16 detenuti. Secondo fonti della sicurezza tunisina, i detenuti sono fuggiti nel più classico dei modi: un buco nel muro esterno della prigione. Dopo che è stata scoperta la fuga, sulle tracce degli evasi si sono lanciati la polizia e l’esercito, sinora senza alcun esito. La fuga ha suscitato clamore soprattutto perché la prigione di Borj Erroumi viene ritenuta una delle più sicure della Tunisia. Iran: a Teheran impiccati tre afghani per traffico di droga Aki, 7 marzo 2011 Tre detenuti di nazionalità afghana sono stati impiccati a Teheran per traffico di droga. Lo ha riferito il quotidiano filogovernativo ‘Iran’, non precisando l’identità delle vittime. Sabato altri tre narcotrafficanti sono stati condannati a morte per impiccagione nella città iraniana di Kerman. Lo ha annunciato Farajollah Karegar, giudice del Tribunale islamico di Kerman. Secondo i siti attivi nell’ambito dei diritti umani sono circa un centinaio le condanne a morte eseguite nella Repubblica Islamica dall’inizio dell’anno. Nel Paese, dalla rivoluzione del 1979, vige il diritto penale islamico sciita che prevede la pena capitale per una serie di reati, tra questi anche il traffico di droga. Giordania: parenti detenuti islamici salafiti in piazza, chiedono la loro liberazione Ansa, 7 marzo 2011 Circa 300 giordani, familiari di detenuti islamici salafiti tra cui Abu Mohammed al Makdessi, l’ex protettore di un capo di al Qaida in Iraq ucciso nel 2006, hanno manifestato oggi ad Amman per chiedere la loro scarcerazione. “I nostri figli vengono torturati”, c’è scritto su striscioni e cartelli, mentre i manifestanti scandiscono “Il popolo vuole la legge islamica”. Radunati davanti all’edificio che ospita il premier nella capitale giordana, alcuni manifestanti hanno gridato frasi contro gli americani e gli israeliani. “Non dovremmo avere paura dell’America - ha detto uno di loro - perché l’America ha perso tutto. E la nostra protesta continuerà finché tutti i detenuti verranno liberati”.