Giustizia: Opg; dal ministero della Salute arrivano i fondi per fare uscire i “dimissibili” Redattore Sociale, 31 marzo 2011 In Italia 388 persone internate potrebbero uscire dagli Opg ma mancano strutture alternative: dal ministero della Salute 5 milioni di euro alle regioni per piani personalizzati. Marino: “Ci sono i fondi ma non tutte le regioni li hanno ancora chiesti”. Sono 388 le persone internate negli ospedali psichiatrici giudiziari italiani che, non essendo “socialmente pericolose”, potrebbero essere dimesse ma rimangono negli Opg per assenza di strutture alternative. Per loro qualcosa si sta muovendo. A riferirlo è Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, che intervenendo a Roma al convegno del Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale, annuncia che dal ministero della Salute sono stati effettivamente erogati finanziamenti in direzione di quelle regioni che hanno presentato al dicastero dei Piani per accogliere nuovamente i propri detenuti. “La risposta "non ci sono i fondi per far uscire gli internati dimissibili", che dovrebbero già essere fuori dagli Opg da mesi o anni perché non sono più socialmente pericolosi - dice Marino - non può più essere ammessa. La disponibilità totale per agevolare l'assistenza sul territorio dei dimissibili è stata, da parte del ministero della Salute, di 5 milioni di euro, da assegnare alle regioni sulla base di apposita richiesta con la redazione di un Piano per la presa in carico e l’assistenza dei “propri” internati negli Opg. Alcune regioni, come la Lombardia (che ha 85 internati) o la Toscana (che ne ha 15 in queste condizioni), hanno presentato effettivamente la documentazione e per questo hanno avuto l’assegnazione delle risorse richieste. Dei 5 milioni complessivi - fa notare Marino citando informazioni riferite dal ministro della Salute Fazio - sono stati effettivamente erogati alle regioni 3 milioni e 400mila euro. Altre regioni invece, fa notare Marino, non hanno ancora provveduto a presentare i Piani per accogliere gli internati dimissibili, e 1 milione e 600mila euro sono rimasti, finora, nelle disponibilità del ministero. Fra queste regioni, ce ne sono alcune con un numero considerevole di persone: "La regione Lazio - spiega Marino - non ha presentato alcuna richiesta di fondi pur avendo 41 cittadini che hanno il diritto di lasciare gli Opg in cui sono; così ha fatto la Liguria che ne ha 11; l'Abruzzo che dovrebbe riaccoglierne 6; la Campania dove dovrebbero poter tornare 75 internati che hanno scontato la pena e non sono più socialmente pericolosi; la Calabria e la Sicilia che devono riaccogliere rispettivamente 11 e 31 persone; il Friuli Venezia Giulia che ne aspetta 7. Questa evidente mancanza di cooperazione va fermata al più presto per bloccare uno scandalo che non può più continuare". “E’ preoccupante – conclude – che anche di fronte alla disponibilità finanziaria non venga fatto nulla per rispondere al problema: è tempo che ognuno prenda le proprie responsabilità”. Anche dal vice capo del Dap, il Dipartimento amministrazione penitenziaria, Santi Consolo, è arrivata la richiesta di utilizzare tutte le opportunità previste per usufruire dei fondi a disposizione della Cassa delle Ammende per finanziare progetti per il miglioramento della situazione nelle carceri: del capitale di 160 milioni di euro, circa 100 sono “distratti dal Piano Carceri” ma i rimanenti sono utilizzabili: “Avendo la competenza su detenuti e trattamento e avendo registrato carenze negli investimenti – dice – ho sollecitato provveditori e direttori a presentare progetti”. Consolo ricorda anche che l’Opg di Castiglione delle Stiviere (il migliore fra tutti gli Opg) “non è comunque un modello, perché come con gli altri dobbiamo giungere anche alla sua chiusura e al suo superamento”. Giustizia: Forum per la Salute in carcere; da alcuni mesi paralisi nell’assistenza sanitaria Redattore Sociale, 31 marzo 2011 A tre anni dal Dpcm che trasferiva la competenza sanitaria dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale il bilancio del Forum nazionale: “Assenza di progetto programmatico, chiusura degli Opg bloccata, frustrazione degli operatori”. Tre anni dopo l’approvazione del Dpcm che ha trasferito la competenza sanitaria dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale poche luci e molte ombre sulla concreta applicazione: tutto fermo ancora in Sicilia, mentre altre regioni a statuto speciale (Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige) “solo ora sembrano giunte alla decisione” di attuarlo. Un bilancio fatto dal Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale in occasione di un convegno organizzato a Roma. “Da alcuni mesi - viene segnalato - si è determinata una vera e propria paralisi” nel processo di attuazione della riforma, e “praticamente bloccato è il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari”. Non accenna a placarsi il boom di presenze nelle carceri: il dato fornito, aggiornato al 27 marzo alle ore 17:10, parla di 67.224 detenuti su una capienza regolamentare di 45.305 e tollerabile di 68.721. Una situazione nelle quale - viene ribadito - “non si può dare salute”. Ma ad essere denunciato è la vera e propria “assenza di un progetto programmatico” per affrontare una situazione di precarietà che “produce uno stato di frustrazione negli operatori e nelle stesse istituzioni”: ad essere necessari e indispensabili sono dunque “provvedimenti urgenti e impegni programmati per realizzare la riforma della sanità penitenziaria: non si tratta solo di spostare semplicemente le competenze da un ministero ad un altro ma di cambiare l’impianto e la cultura dei servizi, di potenziare e stabilizzare gli organici, di avviare il mutamento del modo di lavorare degli operatori passando da una medicina di attesa ad una sanità di iniziativa, da una estraneità dei detenuti ad un loro coinvolgimento”. Il tutto anche “collegando l’avamposto sanitario di ogni stabilimento penitenziario con il complesso dei servizi sanitari dell’Azienda di riferimento e della regione interessata”. Secondo il Forum “bisogna mettere fine alla pratica dello scaricabarile e al rimpallo delle responsabilità che ha come esito nefasto la cancellazione dei diritti di cittadinanza sociale dei detenuti e degli internati”. Un obiettivo che si raggiunge con un Piano nazionale pluriennale, per spingere verso il quale il Forum potrebbe provare nuove strade finora non intraprese: “Probabilmente - dicono - è giunto il momento di prendere in considerazione una iniziativa dal basso per attivare una class action per la tutela costituzionale del diritto alla salute dei detenuti e degli internati”. Le proposte del Forum: 200 milioni per la salute in carcere, Opg chiusi entro il 2012 Una dotazione di 200 milioni per la sanità penitenziaria, la definizione degli standard dei servizi sanitari in carcere, un Piano nazionale per il recupero di edifici e strutture, una tabella di marcia seria per arrivare a chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari entro il dicembre 2012. Sono alcune delle proposte avanzate oggi dal Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale sui temi della salute in carcere. Nel corso del convegno su “Tre anni di riforma della sanità penitenziaria, analisi e proposte”, organizzato oggi a Roma, i rappresentanti del Forum hanno presentato una serie di misure concrete per uscire dall’impasse e dare attuazione concreta e piena alla riforma avviata esattamente tre anni fa con il Dcpm del 1° aprile 2008. Si inizia dalle risorse: nel 2010 era previsto un impegno di spesa di 167,8 milioni di euro, definito “ampiamente sottostimato” rispetto alle necessità: la proposta è di portarlo per il 2011, come primo passo da rendere più forte negli anni a seguire, a 200 milioni di euro. Il Forum chiede una “soluzione organica ed omogenea” per adeguare i servizi ai bisogni di salute dei detenuti e propone di “stabilire gli standard dei servizi sanitari per le diverse tipologie penitenziarie”, definendo anche i parametri di medici di base, specialisti, psicologi, infermieri e così via. Il tutto con un’attenzione specifica “all’assistenza psicologica legata al diritto alla salute mentale”. Fra le proposte, anche la presa in carico degli immigrati con la presenza di una “adeguata quota di mediatori culturali indispensabili per un adeguato intervento sanitario e sociale”. Il Forum evidenzia la necessità di rimediare alla “situazione disastrata” nella quale versano le infermerie e le attrezzature delle carceri, che si lega allo “stato deplorevole” di molte strutture penitenziarie dal punto di vista igienico: serve allora un Piano nazionale concordato con le regioni per un “risanamento degli edifici, degli spazi di vita dei detenuti, degli arredi, delle attrezzature sanitarie”. Per tutto questo occorrono fondi, da trovare con una via preferenziale ai fondi di investimento in conto capitale sia del ministero della Giustizia sia della legge 67/88 su “edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico”. Capitolo Opg: il Forum propone un vero e proprio piano che fissi la data ultima del 31 dicembre 2012 per realizzare la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari: “A questo però - ha precisato Bruno Benigni del Direttivo del Forum nazionale - devono accompagnarsi adeguate sanzioni finanziarie verso le regioni che non hanno ottemperato agli impegni e ai tempi previsti per la chiusura degli Opg”. Poiché, peraltro, devono essere individuate delle strutture alternative, la proposta è quella di rendere almeno il 60% del Fondo disponibile della Cassa Ammende per la ricerca di alternative al carcere e agli Opg, oltre che una quota derivante dalla confisca dei beni dei condannati per crimini legati alla criminalità organizzata. In ogni caso - sottolinea Benigni - “non si può lasciare alla spontaneità un processo così impegnativo”. Gli obiettivi - sottolinea il Forum - richiedono un ministero della Salute attivo e impegnato a promuovere, sostenere e verificare la riforma: serve un “Osservatorio sull’applicazione del Dpcm e sullo stato di salute dei detenuti” e la presentazione al Parlamento, all’interno della Relazione annuale sullo stato di salute dei cittadini, di un capitolo sulla situazione sanitaria nelle carceri italiane. Al ministero della Salute viene chiesta anche un’azione per un programma di formazione degli operatori penitenziari e la previsione che, per le regioni impegnate nel rientro del deficit sanitario, di mantenere fuori dal piano la materia della sanità in carcere. Alle regioni viene chiesto di dare sistematicità alla politica sanitaria penitenziaria e di predisporre dei veri e propri strumenti di programmazione, istituendo un Capitolo di spesa con vincolo di destinazione all’interno dei bilanci regionali: “Le regioni - dice Benigni - si devono responsabilizzare”. Per quelle nelle quali vi è la presenza di un Opg, la richiesta è di predisporre e approvare entro giugno 2011 il crono programma per il superamento dell’Opg stesso. Giustizia: carceri “illegali”; la Corte dei diritti dell’uomo chiede chiarimenti all’Italia Dire, 31 marzo 2011 La richiesta di chiarimenti da parte della Corte Europea per i diritti dell’Uomo al nostro Paese, a seguito dei ricorsi presentati dai detenuti di alcuni istituti di pena italiani, “rappresenta un primo risultato utile a sollevare l’attenzione internazionale sullo stato di illegalità delle nostre carceri”. Lo affermano i Radicali in una nota, che spiegano di aver “sostenuto i ricorsi alla Corte di Strasburgo come strumenti di rivendicazione di diritti fondamentali e inviolabili. In particolare abbiamo aiutato i detenuti del carcere di Fuorni a presentarli, dopo aver constatato il degrado della struttura salernitana in occasione delle visite ispettive effettuate dalla deputata radicale Rita Bernardini, alle quali sono seguite diverse interrogazioni parlamentari per chiedere conto ai ministri della Giustizia e della Salute delle criticità e carenze riscontrate”. Continua la nota: “L’ultima risale a meno di un anno fa e denuncia un forte deficit di agenti e di personale in servizio a fronte del gravissimo sovraffollamento; la mancanza di assistenza psicologica e psichiatrica; un’assistenza sanitaria decisamente inadeguata alla presenza di numerosissimi detenuti tossicodipendenti e di diversi casi a rischio suicidio; scarsissime possibilità di lavoro per i detenuti e pasti insufficienti per uomini di circa trent’anni, sebbene rispondenti alle tabelle caloriche del Dap e molte altre problematiche”. Nell’interrogazione della deputata radicale si legge “anche che i detenuti di Fuorni passano in celle sporche e degradate almeno 20 ore al giorno, costretti a stare in 7 in 20 mq (meno di 3 metri a testa), e che in molte celle ci sono ancora il wc a vista benché vietati dall’ordinamento penitenziario”. Recentemente si sono inoltre “verificate emergenze alla sezione tossicodipendenti - anche queste oggetto di interrogazione - e un disservizio all’ufficio postale di Fuorni che mette a serio rischio l’approvvigionamento mensile di cibo e medicinali dei detenuti”. L’interessamento della Corte di Strasburgo “è un segnale positivo non solo ai fini di un risarcimento per il trattamento subito dai detenuti, ma anche per il riconoscimento del reato di tortura, contemplato dall’articolo 3 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, ratificata dal nostro Paese, ma non ancora recepita dall’ordinamento italiano”. Giustizia: niente più carcere per le detenute con figli piccoli… nel 2014 di Federico Morbegno Secolo d’Italia, 31 marzo 2011 Le mamme che finiscono in carcere con un bambino fino a sei anni di età non dovranno più stare chiuse in cella, a meno di particolari esigenze cautelare “di eccezionale rilevanza”, come può avvenire, ad esempio, per i delitti di mafia o per terrorismo. Lo stabilisce la legge approvata ieri in via definitiva dal Senato con il consenso di tutte le forze politiche (178 i voti a favore e 93 le astensioni), tranne il Pd, che si è astenuto, considerando il provvedimento ancora migliorabile. Ecco i punti salienti della legge, che interessa al momento, secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, 42 madri con figli minori di tre anni e 43 bambini. Figli fino a sei anni: la nuova norma porta da tre a sei anni l’età del figlio che può stare con la madre e viene incontro ai disagi psicologici dei bambini che dopo i tre anni venivano allontanati dalle loro mamme e che comunque vivono il disagio dell’ambiente carcerario anche se sedici carceri sono attrezzate con asili nido. Si punta sugli Icam: in alternativa alla cella si dispone la custodia cautelare negli Icam (Istituti a custodia attenuata per madri detenute). Per ora ce n’è uno solo: a Milano è una casa famiglia concepita per i piccoli senza sbarre interne. Possono andarci anche donne incinte o padri, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole. Sarà un decreto del ministro della Giustizia a definire le caratteristiche tipologiche delle case famiglia (anche con riferimento ai sistemi di sorveglianza e di sicurezza) e l’individuazione delle strutture. Visite al minore infermo: cambiano le regole che disciplinano il diritto di visita al minore infermo da parte della madre detenuta. Il magistrato di sorveglianza, in caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del minore, può concedere il permesso alla detenuta, con provvedimento urgente, di visitare il figlio malato, con modalità che, nel caso di ricovero ospedaliero, devono tener conto della durata del ricovero e del decorso della patologia. Nei casi di assoluta urgenza il permesso viene concesso dal direttore dell’istituto. Viene poi stabilito il diritto della detenuta o imputata di essere autorizzata dal giudice ad assistere il figlio durante le visite specialistiche, relative a gravi condizioni di salute. Il provvedimento deve essere rilasciato non oltre le ventiquattro ore precedenti la data della visita. Il Pd chiedeva di consentire alla madre, oltre alla visita in ospedale, anche la possibilità di assistere il figlio ricoverato. Arresti domiciliari: le madri di figli di età non superiore a dieci anni possono espiare condanne fino a quattro anni presso una casa famiglia protetta; se poi non c’è un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e si riscontra la possibilità di ripristinare la convivenza coni figli, le detenute madri possono espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo privato o in un luogo di cura, dopo aver scontato almeno un terzo della pena o almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo. Entrata in vigore: le disposizioni della nuova legge si applicano dal primo gennaio 2014 in attesa che si realizzino nuovi istituti a custodia attenuata, fatta salva la possibilità di utilizzare i posti già disponibili presso l’Icam esistente. Ad oggi sono 43 i bambini al di sotto dei tre anni che si trovano in carcere con le madri detenute, 42 in totale, di cui solo una decina italiane e la maggior parte extracomunitarie. A loro vanno aggiunte altre quattro donne in stato di gravidanza. È questa l’ultima rilevazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sui bimbi in cella. I dati si riferiscono al 31 dicembre scorso, nel frattempo però a Milano San Vittore i piccoli sono aumentati di due unità, passando così da 7 a 9. Con la nuova legge approvata in via definitiva dal Senato per loro possono ora aprirsi le celle, dato che le mamme con bambini fino a sei anni (finora il limite era di tre) non devono più stare in carcere a meno di particolari esigenze cautelari “di eccezionale rilevanza”; nel qual caso è possibile disporre la custodia cautelare in un Icam sul genere di quello in funzione a Milano, dove non ci sono né sbarre né mura dì cinta che diano ai piccoli il senso del carcere. Su 22 istituti penitenziari che attualmente ospitano 43 bambini con le mamme, il più “affollato” è quello romano di Rebibbia (14 piccoli), seguito da Milano San Vittore (9) e da Torino-Lorusso e Cotugno (6). Sedici gli asili nido funzionanti. Infine, sempre secondo i più recenti dati del Dap, su 5.792 detenzioni domiciliari al 31 dicembre scorso, 17 si riferiscono a padri o madri con prole. La legge non piace ai Radicali, che la giudicano perfino peggiorativa rispetto alla situazione attuale. “C’era bisogno di una legge per tradurre l’affermazione del ministro Alfano “mai più bambini in carcere”? Sì, se era per istituire delle case famiglia protette, cosa che non viene fatto nella legge approvata, che invece dà una delega in bianco al governo su come, se e quando queste verranno realizzate”, sostengono i senatori Donatella Poretti e Marco Perduca, insieme a Irene Testa, segretaria dell’associazione radicale “Il detenuto ignoto”. Di parere opposto il ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna: “Finalmente, dopo anni di discussioni, grazie alla maggioranza e al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, abbiamo divelto le sbarre e garantito ai quasi 50 bambini reclusi oggi e ai figli di madri detenute di domani di poter cominciare la loro vita alla pari con gli altri”. Giustizia: Pd; norme che entreranno in vigore soltanto fra tre anni, che senso hanno? Asca, 31 marzo 2011 “Che senso ha approvare una legge che non ha alcuna copertura finanziaria e entrerà in vigore il primo gennaio 2014?”. Così Enzo De Luca sull’ultimo atto del Senato che ieri ha approvato il disegno di legge n. 2668 - già approvato dalla Camera dei Deputati e rinviato in Commissione - relativo alle modifiche al codice di procedura penale per quanto concerne la tutela rapporto detenute madri e figli minori. Il senatore del Partito Democratico ha firmato numerosi emendamenti “per migliorare il testo di legge, ma come al solito - spiega - la maggioranza prima chiede il contributo dell’opposizione e poi non ne tiene conto. Le nostre proposte sono state respinte, eppure noi individuavamo anche la copertura finanziaria. Alla fine, visto l’atteggiamento di maggioranza e Governo non ci è restata altra scelta che astenerci. L’unica nota positiva è che l’età dei bambini che possono restare con le madri è stata elevata da tre a sei anni. Ma dovevano essere recepite altre modifiche fondamentali per tutelare il diritto all’infanzia dei minori figli di donne detenute, che dovrebbero vivere in case famiglia protette e dovrebbero essere seguiti da personale specializzato, formato appositamente. E invece si trovano costretti in spazi angusti e affidati alle sole cure di associazioni onlus, che svolgono un lavoro egregio, ma ovviamente volontaristico. Le risorse servono anche ad attivare la formazione di figure professionali specifiche che affianchino le detenute con figli minori, spesso ragazze madri e non italiane. Si potrebbe pensare anche di attivare una collaborazione con gli Enti locali. Ma occorre una programmazione seria e una ferma volontà politica. E invece ho l’impressione che la maggioranza abbia approvato questo ddl, che entra in vigore tra tre anni, solo per dare l’impressione di lavorare. La situazione delle carceri italiane è drammatica: a fronte di un numero massimo di 45.000 detenuti, nei nostri penitenziari ce ne sono 70.000. Stante così le cose, tutelare i minori figli di detenute nel miglior modo possibile deve diventare una priorità assoluta del legislatore. Una certa politica tende a non occuparsi delle questioni che non si vedono. Ma questi bambini e le loro madri esistono anche se rinchiusi dietro le sbarre di un carcere. Sono a Milano come a Napoli e ad Avellino. È una questione che ci interroga da vicino, sul grado di civiltà del Paese. Grazia Deledda si chiedeva: “È possibile vivere senza far male a degli innocenti? Ecco conclude De Luca - dovremmo cercare di rispondere compiutamente a questa domanda. Ma seriamente, con responsabilità, senza propagande inutili e dannose”. Giustizia: Ionta (Dap); entrata in vigore posticipata per poter costruire gli Icam Ansa, 31 marzo 2011 “Misure di grande civiltà che, seppure riguardino un numero piccolo, daranno una risposta al grande problema dei bambini in carcere”. Così Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, accoglie il via libera definitivo da parte del Senato alle norme sulle detenute madri. La creazione di istituti per detenute madri a custodia attenuata (Icam) avverrà - spiega Ionta all’Ansa - sul modello dell’unico attualmente l’unico esistente, quello di Milano: “saranno strutture senza sbarre, dove il personale di polizia penitenziaria non indosserà uniformi, e che si avvarranno di pediatri e psicologi infantili”. Il capo del Dap ritiene dunque ragionevole l’entrata in vigore delle nuove misure nel 2014: “in sei mesi saranno individuati i criteri per gli Icam, e in uno o due anni si dovrà provvedere alla loro realizzazione”. A tale proposito, Ionta auspica che siano gli enti locali a mettere a disposizione le strutture, così come avvenuto per l’Icam di Milano, un appartamento per circa dieci detenute con figli dato in comodato d’uso dalla Provincia. Diversamente, “la previsione di spesa per costruire un Icam di 20 posti sarà di circa 3 milioni di euro”. Meglio dunque “prendersi un po’ di tempo, altrimenti - conclude il capo del Dap - rischiava di essere solo una legge manifesto. Così, invece, si darà risposta a un grande problema sociale”. Giustizia: Dap; a inizio anno 42 le detenute con figli minori di 3 anni Adnkronos, 31 marzo 2011 A inizio anno erano 42 le detenute madri con bambini minori di 3 anni negli istituti penitenziari italiani: solo una detenuta ne aveva due, tutte le altre uno solo, per un totale quindi di 43 figli. È quanto è riportato dai dati riferiti al 31 dicembre 2010 del Dap, il dipartimento amministrazione penitenziaria. Ben 14 delle detenute madri si trovano recluse in carceri del Lazio; 7 lo sono in Lombardia, 6 in Piemonte, 4 in Toscana e in Campania, 3 in Puglia, 2 in Abruzzo, 1 in Veneto e in Emilia-Romagna. Altre 4 detenute a inizio anno risultano in stato di gravidanza: 2 nel Lazio, 1 in Toscana e in Abruzzo. Gli asili nido negli istituti penitenziari sono 16: 3 in Sardegna - dove però non vi è alcuna detenuta madre - 2 in Calabria - con l’identica situazione dell’isola - 1 in Abruzzo, Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia (dove ve ne è un altro ma non funzionante), Sicilia, Umbria e Veneto. Nessuno risulta in allestimento. Giustizia: Alfano; approvata legge importante, coniuga sicurezza e tutela bimbi Ansa, 31 marzo 2011 Il ministro della giustizia, Angelino Alfano, plaude all’approvazione della nuova legge sulla permanenza in carcere delle detenute madri, approvata oggi in Senato. “Si tratta di una legge importante che - scrive il Guardasigilli in una nota - traduce in concreto l’impegno prefissato: coniugare l’esigenza del bimbo di stare il più possibile con la madre, in un luogo adeguato che, pur non compromettendo il regime di sicurezza necessario, lo accolga in un ambiente familiare e sereno”. “L’ampliamento della fascia d’età dai tre ai sei anni - precisa il ministro - risponde perfettamente a questa esigenza e rientra nel quadro di quelle misure alternative al carcere che, in casi ben definiti, possono contribuire al reinserimento graduale nella società civile”. Giustizia: Ugl; bene ddl detenute madri, ma serviva applicazione immediata Italpress, 31 marzo 2011 “È una legge di buon senso perché i bambini non possono scontare le colpe dei genitori e, proprio per questo, sarebbe stato meglio applicarla immediatamente senza aspettare il 2014”. Lo afferma in una nota il segretario confederale dell’Ugl, Marina Porro, commentando l’approvazione del ddl sulle detenute madri e spigando che “con l’innalzamento dell’età dei figli da tre a sei anni, sarà possibile tutelare i bambini, per quanto difficile in tali situazioni, ed evitare loro traumi in un’età particolare”. “Così come - conclude - giudichiamo importanti le nuove norme riguardanti il diritto di visita al minore infermo e l’estensione di questi benefici anche ai padri, nel caso di assenza della madre”. Giustizia: Ass. “A Roma Insieme”; sconforto per ddl su madri detenute, legge inutile Italpress, 31 marzo 2011 “A Roma, Insieme, Terre des Hommes, e Bambini senza sbarre con grande sconforto accolgono la decisione del Senato di approvare il disegno di legge n. 2568 su “Disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori” senza nessuna delle modifiche che le associazioni avevano raccomandato per renderne il testo più rispondente alla tutela effettiva dei bambini e delle loro mamme”. Lo fa sapere A Roma, Insieme in una nota. “Questa legge, - spiega Leda Colombini, presidente dell’associazione A Roma, Insieme - che entrerà in vigore solo nel 2014, non allarga affatto le strette maglie della legge Finocchiaro in materia di misure alternative alla detenzione, che restano molto rare e difficili da poter ottenere, soprattutto per le detenute straniere. Ancora una volta - prosegue Colombini - le ragioni e i timori legati alla sicurezza hanno prevalso rispetto al ben più rilevante diritto di protezione dei bambini, nonostante i tanti appelli lanciati in questi anni dalle nostre organizzazioni”. Secondo la responsabile diritti dei bambini di Terre des Hommes, Federica Giannotta, “la legge approvata non impedisce alle mamme detenute con figli al di sotto dei sei anni di conoscere il carcere anche in via cautelativa, inoltre non garantisce alla mamma di poter stare accanto al figlio piccolo minore di tre anni se ospedalizzato, né di poter andare a trovare il figlio che vive fuori dal carcere, nel caso in cui sia a rischio la sua salute, in modo da assicurare la sua vicinanza per tutto il tempo in cui il figlio ne ha bisogno, come invece - conclude Giannotta - richiede la Convenzione Onu sui diritti dell’Infanzia, ai quali l’Italia è vincolata”. Giustizia: la testimonianza di una ex detenuta; mia figlia in cella con me, un dramma Ansa, 31 marzo 2011 “Un’esperienza incredibile. Ora per fortuna è finita, ma non ci sono parole per spiegare quanto male l’ho vissuta”. Un inferno. Così Graziella, 32 anni, di origine croata, descrive la sua esperienza in carcere con la figlia. “Non c’era intimità. Non potevo crescerla come volevo, ma solo secondo le regole stabilite da altri. In cella eravamo anche in 6-7 donne, ciascuna con i suoi figli. Una condizione di vita terribile”. Nel giorno in cui dal Senato arriva il via libera definitivo contro la detenzione in carcere delle madri con figli fino a 6 anni, salvo casi di esigenze cautelari di “eccezionale rilevanza”, Graziella ricorda il suo dramma. È rimasta in carcere a Rebibbia per tre anni. All’epoca, circa sette anni fa, aveva già tre figli; i più grandi erano stati affidati ad altre famiglie, la più piccola, di soli due anni, è rimasta con lei per un anno. “E in condizioni di totale insicurezza - recrimina Graziella - la piccola dormiva in un letto di ferro, pericoloso. Una volta, saltellandoci sopra per giocare, è caduta e si è rotta un braccio. L’hanno portata all’ospedale e io non ho avuto neanche il permesso di accompagnarla. Ho lottato con la direzione del carcere perché ai bambini fosse garantita maggior sicurezza e qualcosa, dalla mia piccola battaglia, l’ho ottenuta: i letti sono stati sostituiti”. Ma ci sono stati altri momenti che Graziella non avrebbe voluto vivere. “Un giorno - ricorda con dolore - hanno ricoverato d’urgenza la bimba a causa di un’influenza intestinale mal curata. È rimasta in ospedale per 7 giorni e non ho potuto assisterla, né farle visita. Delle sue condizioni mi riferivano solo le volontarie dell’associazione “A Roma insieme”, che la potevano vedere”. Per questi bimbi in carcere, racconta, “allora non c’era neanche una ludoteca. Alle 8 di sera quando ci richiudevano in cella volevano ancora giocare e come è successo a mia figlia si facevano pure male. Solo il sabato pomeriggio uscivano dal carcere, grazie ai volontari che li accompagnavano. Per il resto del tempo la loro vita era la cella”. Uno dei momenti più strazianti di quest’esperienza, confessa Graziella, è stato il distacco, cioè quando la bimba ha compiuto 3 anni ed è uscita definitivamente dal carcere: “Ancora la allattavo. È stato un momento tremendo per me e per lei. Il nostro rapporto ne ha risentito moltissimo”. “Ora - conclude - mia figlia ha 9 anni e ha ancora traumi. Si ricorda molte scene violente a cui ha assistito durante i colloqui di altri detenuti. Per anni è stata assistita dai servizi sociali”. Un “dramma incredibile”, che Graziella, da mamma, non augura di vivere a nessun’altro ancora. Giustizia: delitto dell’Olgiata, perché Winston è in carcere? di Riccardo Arena www.radiocarcere.com, 31 marzo 2011 La sera del 29 marzo è stato sottoposto a fermo Winston Manuel Reves, indagato dell’omicidio Filo della Torre, avvenuto 20 anni fa. Ora, al di là del merito che spetterà ai giudici, sorgono diverse perplessità. Tra queste una riguarda la decisione dei Pm di sottoporre a fermo Winston e condurlo presso il carcere Regina Coeli di Roma. Una decisione che sembra preludere ad una richiesta di misura cautelare in carcere. A tal proposito, in attesa della decisione del Gip, sorge essenzialmente una domanda. Quali esigenze cautelari ci sarebbero perché Winston sia sottoposto alla misura catenare più severa, il carcere? Il fatto risale a 20 anni fa, non vi sono elementi per sostenere la sussistenza di un pericolo di reiterazione del reato. Altrettanto debole appare l’argomentazione dei Pm circa la reale e concreta esistenza di un pericolo di fuga. In questi 20 anni Winston ha sempre lavorato in Italia e allora come fondare tale pericolo? Forse i Pm temono che Winston scappi ora che è indagato. Comprensibile. Ma allora, per evitare che scappi, non basava un divieto di espatrio o un obbligo di dimora? Ovvero misure cautelari meno gravose che ben si potevano applicare in attesa della decisione dei Giudici. Certamente si, ma è noto ormai che la legge, e il buon senso, sono diventati un optional anche nei tribunali. Un optional a volte comodo per andare a finire sui giornali. Infine, un’ultima amara considerazione. Tra qualche giorno un Gip deciderà sulla convalida del fermo e sull’eventuale applicazione della misura cautelare in carcere. Ora, dopo le decisioni assunte dai Pm e dopo quella affollatissima conferenza stampa che ha indotto tanti cittadini a credere che Winston è colpevole, quale Giudice sarà così forte da assumere la decisione giusta, senza subire la pressione mediatica che è stata generata? Calabria: la Regione intende istituire la figura del Garante dei detenuti Gazzetta del Sud, 31 marzo 2011 Da tempo è nota la gravissima situazione delle carceri calabresi sovraffollate. In particolare “scoppiano” quelli di Reggio e Lamezia. L’argomento è stato ieri al centro della commissione del Consiglio regionale, presieduta da Giuseppe Caputo. Nel corso della seduta sono stati ascoltati il dott. Giuseppe Tuccio, notissimo magistrato, “Garante dei diritti dei detenuti del comune di Reggio” e il consigliere giuridico dello stesso Ufficio, l’avv. Agostino Siviglia. L’obiettivo è una legge che possa riconoscere la figura del garante in tutta la Regione. “Il detenuto - ha sottolineato il presidente Tuccio - è debole tra i deboli. Da qui, la necessità di istituire anche nella regione Calabria, così come hanno già deciso altre 14 regioni d’Italia e una miriade di comuni e province, questa figura di intermediazione tra mondo istituzionale e sistema dei diritti civili. I detenuti sono titolari di diritti proclamati e conclamati, ma c’è ancora grande distanza tra conclamazione dei diritti e realtà pratica”. “Credo che le intuizioni e le testimonianze del dott. Giuseppe Tuccio e dell’avvocato Siviglia - ha detto il presidente della Commissione Giuseppe Caputo - si iscrivano a pieno titolo nello spirito della proposta di legge deliberata dalla Giunta regionale, pervenutaci per l’esame di merito. Tale proposta di legge regionale ha infatti lo scopo di istituire l’Ufficio del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della liberta personale - ha sottolineato Caputo - quale autorità super partes garante dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione anche in ambito carcerario. La proposta nasce, tra l’altro, come si legge nella relazione di accompagnamento della legge, dalla necessità di garantire un rapporto di trasparenza e correttezza tra tutte le pubbliche amministrazioni e soggetti concessionari di pubblici servizi o convenzionati con enti pubblici che, a vario titolo, interagiscono con l’amministrazione penitenziaria e i detenuti e gli internati o chi si trova comunque in condizioni, anche provvisorie, di restrizione della libertà personale”. Venezia: il detenuto che si è impiccato aveva già tentato due volte il suicidio La Nuova Venezia, 31 marzo 2011 Ilie Nita, il detenuto rumeno di 34 anni che si è ucciso in carcere, aveva già tentato non una ma due volte di farlo e il pm Lucia D’Alessandro vuole capire come sia potuto accadere e se davvero fosse sotto stretta sorveglianza. C’è da registrare, intanto, un intervento positivo: sulle brande a castello poste al terzo livello, se così non fosse non ci sarebbero i letti per tutti, sono state montate le bande per impedire le cadute. È già accaduto che i detenuti precipitino da due metri d’altezza, facendosi male. Nel dicembre scroso un algerino di 37 anni aveva dovuto essere ricoverato per la frattura della la costola e per una lesione al polmone a causa della caduta. Poi aveva presentato con l’avvocato Marco Zanchi una denuncia per lesioni colpose contro la direzione del carcere, oràha ritirata, visto che la sua richiesta è stata esaudita. Sull’ennesimo suicidio, intanto, è intervenuto il vice sindaco Sandro Simionato. “Questo fatto - afferma - evidenzia la drammatica situazione di Santa Maria Maggiore. Questo gesto estremo impone una riflessione più ampia per evitare che possa accadere ancora. Il 70% detenuti è costituito da stranieri che appartengono a 34 nazionalità diverse, con conseguenti difficoltà linguistiche e di convivenza tra culture diverse. Un altro 30% è costituito da tossicodipendenti. Poi si deve aggiungere un altro elemento di criticità: l’altissimo turn over che colpisce Santa Maria Maggiore. In un anno, su circa 1300 nuovi ingressi, più di 700 riguardano persone che rimangono per tre giorni. Se per questi detenuti fossero trovate soluzioni temporanee diverse, l’istituto verrebbe decongestionato con evidenti benefici. È evidente che permanendo l’attuale quadro normativo e la progressiva riduzione delle risorse economiche per progetti alternativi, non ci sarà mai nessuna nuova struttura in grado di garantire condizioni detentive sicure e dignitose”. Lamezia: il carcere più affollato d’Italia, con 90 detenuti in 30 posti “regolamentari” Gazzetta del Sud, 31 marzo 2011 Nel dicembre del 2010 l’indice di sovraffollamento del carcere lametino era del 176,7%, per passare nel marzo 2011 al 193,3%. Un dato che conferisce alla struttura penitenziaria cittadina il titolo di carcere più sovraffollato d’Italia. “Un altro triste primato per la nostra città - ha commentato il Collettivo Altra Lamezia - costretta da ospitare anche un altro luogo di reclusione, quel lager per stranieri chiamato Centro di identificazione ed espulsione considerato il peggiore d’Italia e che nei prossimi giorni potrebbe accogliere altri migranti giunti dai paesi del Mediterraneo in rivolta. È importante, quindi, tenere alta l’attenzione sui problemi che affliggono i detenuti e, per questo, vogliamo esprimere la nostra vicinanza a tutte quelle persone rinchiuse nelle carceri da un sistema che, troppo spesso, dimentica che la dignità umana non può essere calpestata solo perché detenuti. Tutti gli uomini meritano un rispetto incondizionato, sul quale nessuna “ragion di Stato” può imporsi”. Tornando ai dati relativi alla situazione degli istituti carcerari italiani, il Collettivo Altra Lamezia sottolinea come “emerge chiaramente il fallimento dell’istituzione “carcere”: quella che dovrebbe essere la finalità principale del carcere, ovvero la rieducazione, in realtà perde la sua connotazione originaria, lasciando il posto alla sola punizione, quindi ad un clima punitivo esasperato dalle condizioni disumane in cui i detenuti sono costretti a vivere”. “Il quadro è chiaro - prosegue Altra Lamezia - al 20 marzo 2011 negli istituti di pena italiani erano presenti 67.318 detenuti; dal primo gennaio al 20 marzo 2011 i suicidi in cella sono stati 14, i tentativi di suicidio sono stati 194, mentre si sono registrati ben 1.025 episodi di autolesionismo; si sono verificate, poi, 75 manifestazioni di protesta mentre gli scioperi della fame hanno abbondantemente superato i 1000 casi. Per quanto riguarda la Calabria, l’indice di sovraffollamento è pari al 77,6% con 3 suicidi registrati nel 2010. Dai rapporti delle associazioni che curano i diritti dei detenuti, apprendiamo che a Lamezia, invece, la capienza regolamentare del carcere è di 30 posti, la capienza massima è di 50, ma il numero dei detenuti in alcuni casi raggiunge anche 90. Nel mese di novembre, ad esempio, un articolo di giornale documentava la presenza di 9 persone rinchiuse nella stessa cella. Non si registrano suicidi, mentre ci sarebbero stati due tentativi di suicidio nel 2010”. Treviso: legge “svuota-carceri”; ieri mattina è uscito di cella il decimo detenuto La Tribuna di Treviso, 31 marzo 2011 I numeri non sono quelli dell’indulto 2006, quando si svuotarono le prigioni italiane. Ma pur sempre di “indultino” si tratta: i carcerati con meno di un anno di pena, possono ora scontarla a casa. Ieri mattina è uscito da Santa Bona il decimo detenuto da quando il decreto Alfano battezzato “svuota carceri”, è entrato in vigore, lo scorso 16 dicembre. Nile Stoikovic, arrestato per violazione della legge sull’immigrazione, è stato rilasciato: sconterà il residuo della pena a casa della moglie che ha regolare permesso di soggiorno. L’uomo era rientrato in Italia dopo essere stato espulso dal prefetto: scoperto e condannato, è stato uno dei pochissimi clandestini a finire in cella. E ieri ne è uscito. Con un anno di anticipo, appunto. Prima di Nile era toccato a un altro extracomunitario, sempre per il reato di clandestinità; al nomade Denis Virko accusato di furto e un altro ladro proveniente dall’ex Yugoslavia. In tutto sono 10 i detenuti che hanno lasciato il carcere di Santa Bona a partire dallo scorso 16 dicembre, quando è entrato in vigore il decreto legge 199/2010 votato da Lega, Forza Italia e Fli, con l’astensione di Pd, Idv e Udc al senato. Le richieste da parte dei legali dei detenuti erano in numero maggiore rispetto alle dieci scarcerazioni: quattro non sono state concesse, una è stata dichiarata inammissibile e una è stata revocata. Le istanze comunque continuano ad arrivare a Santa Bona, l’ultima delle quali ieri mattina. È infatti diventata definitiva la pena per Maicol Mattarollo, accusato di resistenza a pubblico ufficiale. Sua, pertanto, potrebbe essere la prossima scarcerazione. A beneficiarne sono i detenuti con condanna passata in giudicato, residuo da scontare di 1 anno, domicilio certo e che non si siano macchiati di reati gravi come violenza sessuale, terrorismo e criminalità organizzata. Esclusi i delinquenti abituali. Livorno: caso Lonzi; la madre farà ricorso alla Corte dei diritti umani di Strasburgo Ansa, 31 marzo 2011 Finirà davanti alla Corte dei diritti dell’uomo la vicenda di Marcello Lonzi, il detenuto morto nel carcere di Livorno nel 2003. Sul decesso del giovane livornese si è pronunciata oggi la Corte di Cassazione respingendo il ricorso presentato dai legali della madre di Lonzi, Maria Ciuffi, per annullare l’archiviazione disposta dal gip di Livorno nel maggio scorso. Durante la prossima settimana Ciuffi incontrerà il suo avvocato, il livornese Matteo Dinelli, per definire l’azione legale da portare ai giudici di Strasburgo. “Non mi aspettavo questa decisione della Cassazione - ha spiegato Maria Ciuffi. Credevo fosse un problema del tribunale di Livorno, ma ormai ho capito che non esiste la giustizia in Italia”. Prima della sentenza di oggi della Cassazione sul caso Lonzi la magistratura livornese aveva condotto due inchieste terminate entrambe con l’archiviazione. Bari: Osapp; 300 posti e 600 detenuti; qui servirebbero le navi… come a Lampedusa Gazzetta del Sud, 31 marzo 2011 Il penitenziario ha una capienza di 296 posti letto, ma oggi ce ne sono 606. La denuncia del sindacato di polizia: “Il premier dovrebbe utilizzare le navi per lo sfollamento dei detenuti dalla Puglia come con gli immigrati” Un ennesimo tentativo di suicidio da parte di un detenuto si è verificato ieri sera nell’affollato carcere di Bari: lo rende noto il vice segretario generale nazionale dell’Osapp, Mimmo Mastrulli. L’episodio avviene a distanza di pochi giorni da un altro del genere avvenuto nell’istituto penitenziario di Lecce. “Il premier - afferma oggi Mastrulli - dovrebbe utilizzare le navi per lo sfollamento dei detenuti dalla Puglia, cioè lo stesso provvedimento degli immigrati di Lampedusa” . Anche nel caso di Bari come in quello di Lecce il detenuto è stato salvato grazie all’intervento di un agente di polizia penitenziaria. Nel penitenziario di Bari la capienza regolamentare è di 296 posti letto, mentre oggi risulta che ve ne siano 606, “vale a dire il 100% in più, un carnaio umano - afferma Mastrulli - nella fornace dell’indifferenza penitenziaria centrale e regionale”. L’Osapp denuncia la “cronica carenza degli organici” e chiede l’invio di un Commissario straordinario dirigente generale per l’organizzazione dei servizi e delle relazioni sindacali dal Dap presso il provveditorato Regionale Pugliese “dimostratosi scarsamente attento ed altrettanto non operativo per le richieste e le esigenze della categoria dei Baschi azzurri”. Latina: detenuto picchiato; agente assolto dopo 8 anni “il fatto non sussiste” Il Messaggero, 31 marzo 2011 Assolto perché il fatto non sussiste. Guido Boi, agente di polizia penitenziaria in servizio al carcere di Latina, è stato scagionato dall’accusa di aver picchiato un detenuto nell’infermeria del carcere. I fatti risalgono al 29 novembre 2003, ma la sentenza di primo grado è arrivata solo ieri dopo un lungo iter giudiziario. Determinante è stata la decisione del giudice di chiedere una nuova perizia per capire le cause delle ferite riportate dal detenuto. Secondo il medico legale le ferite sarebbero state provocate da una caduta e non da tre calci come riferito dalla presunta vittima. “Secondo le verifiche del nostro consulente - spiega il legale Luca Giudetti, difensore della guardia penitenziaria - il detenuto avrebbe tentato di dare un pugno alla guardia, ma non ci sarebbe riuscendo cadendo poi a terra. Nella caduta avrebbe sbattuto con il viso contro una superficie larga, ipotesi compatibile con lo scarpone in uso alla polizia penitenziaria”. Il detenuto riferì che quel giorno si trovava in infermeria quando l’agente entrò chiedendo al medico una terapia. Nacque una discussione tra i due per un’espressione offensiva utilizzata dall’agente nei confronti dal detenuto, poi la lite e l’aggressione con tre calci in faccia al detenuto che riportò ferite serie alla mandibola. Dalle verifiche del consulente e del perito emerse però una verità diversa: le ferite non erano compatibili con un calcio, ma solo con una caduta. Per questo il giudice ha dato ragione alla versione della difesa assolvendo la guardia penitenziaria. Il pubblico ministero aveva chiesto tre anni per lesioni gravi. Il detenuto, infatti, dovette ricorrere a diversi interventi maxillofacciali che non gli hanno comunque restituito la tonicità muscolare al volto, per questo motivo si è parlato di danni permanenti. Imperia: detenuto aggredisce comandante degli agenti, sopralluogo del sindacato Fp-Cgil La Riviera, 31 marzo 2011 La visita ha visto il Responsabile Nazionale della Polizia Penitenziaria della Fp Cgil, Francesco Quinti, dal Responsabile Regionale, Rosario Bonfissuto ed il Segretario territoriale, Francesco Cutrera. La Fp-Cgil ha svolto lunedì una visita alle carceri di Imperia per verificare e relazionare sulle criticità della vetusta struttura che sorge proprio al centro del capoluogo. La visita ha visto il Responsabile Nazionale della Polizia Penitenziaria della Fp Cgil, Francesco Quinti, dal Responsabile Regionale, Rosario Bonfissuto ed il Segretario territoriale, Francesco Cutrera i quali, oltre ad una serie di gravi mancanze e problemi sono venuti a conoscenza per voce del Comandante di un’aggressione verificatasi il 26 marzo scorso, proprio ai suoi danni e terminata, fortunatamente, bene. Un magrebino di 24 anni, più volte associato alle carceri di Imperia e di Savona ha reagito, durante un colloquio con la Comandante dell’Istituto, contro di lei tentando di aggredirla. È stato grazie all’intervento di due Poliziotti penitenziari che hanno prontamente cercato di bloccare il detenuto, che non si è verificato il peggio. Purtroppo l’esito dell’intervento è costato il ricovero al pronto soccorso dell’Ospedale imperiese il quale ha diagnosticato loro prognosi di una settimana ciascuno. Il detenuto non è nuovo a certi comportamenti tanto che è stato, spesso ricoverato in alcuni Ospedali Psichiatrici giudiziari, e già nella giornata dell’aggressione aveva dimostrato evidenti comportamenti auto lesivi e ostili verso gli Agenti stessi. L’aggressione alla Comandante (probabilmente rileva, in particolare, il fatto che il ragazzo magrebino essendo di religione islamica non accetti di ricevere ordini da una donna) è stata fulminea ed inaspettata, e ha costretto l’intervento dei poliziotti, che hanno anche avuto la peggio, ma che grazie alla loro abnegazione ed al forte senso del dovere hanno evitato conseguenze ben più gravi. “Tutto questo avviene - sostiene Francesco Cutrera, Segretario Territoriale della Fp Cgil di Imperia - poiché le condizioni di lavoro e ambientali all’interno del carcere di Imperia sono, oramai da tempo, al limite della sopportabilità, non solo degli Agenti ma pure dei detenuti che, a causa del sovraffollamento (quasi il doppio della normale capienza) mostrano sempre più spesso evidenti segni di stress. E non è tutto. La visita di ieri ha evidenziato gravi carenze igieniche in una sezione dell’Istituto, al piano interrato, in cui è stato rilevata e immediatamente denunciata ai responsabili, la presenza di escrementi di topi e odori nauseabondi conseguenti, insopportabili. Situazione che non si è, nemmeno, risolta con l’intervento della derattizzazione poiché, molto probabilmente la vetustà della struttura non permette di trovare adeguata soluzione al problema. Per questo i rappresentanti sindacali intervenuti alla visita chiederanno l’immediata chiusura di quel reparto sia per evitare gravi inconvenienti sanitari agli Agenti sia per non esporre i detenuti a più che possibili morsi dei ratti, veicoli viventi di virus epidemici e malattie di grave entità. Non possiamo permettere - conclude Cutrera - che a causa della carenza cronica di risorse, di cui il Governo Italiano è il principale responsabile, si metta a repentaglio la vita e la salute di chi opera per svolgere un servizio di grande rilevanza qual è quello svolto dal personale di Polizia Penitenziaria. E non possiamo accettare che per causa di questi pesanti e insopportabili tagli, un luogo di lavoro com’è l’Istituto penale di Imperia intacchi e svilisca la dignità professionale degli Agenti stessi. Intervengano le Amministrazioni competenti o sarà il Sindacato a segnalare, nelle sedi opportune eventuali responsabilità penali!”. Saluzzo (Cn): biscotti realizzati dai detenuti alla bottega equo-solidale Passaparola Targato Cn, 31 marzo 2011 La bottega del commercio equo-solidale Passaparola-Altromercato di Cuneo (C.so Dante 33) sabato 9 aprile alle 16 presenta il progetto “Banda biscotti” realizzato nelle case circondariali di Verbania e Saluzzo. A tutti i presenti Passaparola offrirà una degustazione gratuita dei biscotti realizzati dai detenuti, accompagnati dal caffè equosolidale. All’evento partecipa Flavia Morra, una delle collaboratrici del progetto “Banda biscotti” che nasce dal patrimonio di esperienze maturate nel campo della formazione professionale dalla Fondazione Casa di Carità Onlus e dalla Cooperativa sociale “Divieto di Sosta” di Verbania. L’obiettivo è supportare il sistema della Giustizia contribuendo concretamente a dare un senso alle esperienza detentive, contenendone il potenziale di distruttività. Cresciuta nel 2008 all’interno della Casa Circondariale di Verbania, Banda Biscotti giunge al battesimo del mercato nel settembre 2009. I suoi prodotti sono in vendita anche nelle botteghe del commercio equo e solidale della provincia di Cuneo. Oggi sono tre i laboratori Banda Biscotti presenti in Piemonte: uno all’interno della Casa Circondariale di Verbania dove lavorano due persone, uno all’interno della Scuola di Formazione di Verbania dove operano due persone in art.21 o altre forme di esecuzione all’esterno, uno all’interno della Casa di Reclusione di Saluzzo con altre due persone. Parma: Sappe; il Sindacato scende in piazza contro scarsità di fondi e di mezzi Parma Sera, 31 marzo 2011 Il Sappe, sindacato degli agenti di Polizia penitenziaria, organizza una protesta davanti agli istituti carcerari di tutta l’Emilia-Romagna. Venerdì 1° aprile, a partire dalle 10, il sindacato farà un sit-in e un volantinaggio davanti alle carceri di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Ferrara, Piacenza, Ravenna, Forlì e Rimini. Le ragioni della protesta sono illustrate attraverso una nota del Sappe stesso. Fra i punti elencati dal Sappe ci sono la mancanza di 650 agenti in Emilia-Romagna (6.500 in tutta Italia), la “gravissima carenza di personale di Polizia penitenziaria”, la “gravissima situazione di sovraffollamento dei penitenziari”, la “gravissima carenza di automezzi del Corpo” per lo spostamento dei detenuti e la mancanza di fondi per la manutenzione dei veicoli disponibili. E ancora: straordinari non pagati, mancanza di uniformi, il personale che “deve svolgere anche due o tre posti di servizio contemporaneamente e l’Amministrazione lo ripaga con 19 centesimi di euro a turno”. Milano: Uisp; 291 detenuti del carcere di Bollate parteciperanno a Vivicittà Redattore Sociale, 31 marzo 2011 I carcerati però non potranno gareggiare insieme agli altri iscritti e avranno un percorso tracciato apposta per loro all’interno dell’istituto. La gara podistica si correrà il 3 aprile in oltre 40 città italiane. Sono 291 i detenuti del carcere di Bollate che parteciperanno a Vivicittà, la gara podistica che si correrà il 3 aprile in oltre 40 città italiane, organizzata da Uisp-Unione italiana sport per tutti. I carcerati però non potranno gareggiare insieme agli altri iscritti e avranno un percorso tracciato apposta per loro all’interno dell’istituto. Eppure la possibilità di partecipare alla corsa cittadina ci sarebbe: “Se qualcuno si facesse carico di avviare un progetto che prevede la partecipazione a gare esterne, per alcuni di loro sarebbe possibile uscire”, spiega Marlene Lombardo, responsabile della comunicazione del carcere di Bollate. Come già accade per il gruppo di teatro creato dalla cooperativa Estia, autorizzato a uscire per gli spettacoli, dovrebbe quindi essere un’associazione o un gruppo di volontari a prendere l’iniziativa di organizzare un progetto e avviare le autorizzazioni necessarie. Roma: oggi incontro del Forum nazionale sulla riforma della Sanità penitenziaria Adnkronos, 31 marzo 2011 A tre anni dall’approvazione del Dpcm 1° aprile 2008, che ha trasferito al Servizio sanitario nazionale le competenze riguardo alla salute in carcere, il Forum nazionale per la salute in carcere ha promosso un Incontro nazionale sul tema “Tre anni di riforma della sanità penitenziaria. Analisi e proposte” che si è svolto oggi a Roma, nella Sala delle Colonne alla Camera dei Deputati, in via Poli, 19 dalle 9 alle 13.30. I sono stati presieduti da Livia Turco e Salvo Fleres, presidente e vicepresidente Forum nazionale. Obiettivo dell’incontro è stato l’esame approfondito sullo stato di salute della popolazione detenuta e internata, e fare il punto sullo stato di applicazione della riforma per gli adempimenti previsti a livello nazionale, regionale e locale e di avanzare proposte mirate a superare i ritardi, i limiti e le distorsioni registrate in questi tre anni di applicazione, con l’obiettivo di garantire a tutti, detenuti ed internati, l’uguaglianza delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie, come richiesto dalla Costituzione e dall’articolo 1 della legge n. 230/99. In questa situazione, particolarmente complessa e delicata, il Forum chiama a rispondere sulla situazione della salute in carcere le istituzioni responsabili, le associazioni no profit e di volontariato, le cooperative sociali, le organizzazioni sindacali e professionali che operano nelle carceri che possono, più e meglio, valutare con dati e fatti il percorso compiuto nell’applicazione della Riforma (legge n. 230/1999). Roma: il 7 aprile caso Cucchi al centro di un convegno, con Vendola e Marino Asca, 31 marzo 2011 “Vorrei dirti che non eri solo”. Questo il titolo del libro scritto da Ilaria Cucchi (Rizzoli, 2010), e dedicato alla memoria del fratello Stefano, che sarà al centro di un convegno, giovedì 7 aprile, alle ore 15.30, presso la Biblioteca Alessandrina dell’Università La Sapienza di Roma (piazzale Aldo Moro, 5). All’incontro, organizzato dall’associazione Papillon Rebibbia e la Biblioteca Giulio Salierno, interverranno, insieme ad Ilaria Cucchi, Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia; Rita Bernardini, deputato Commissione Giustizia della Camera; Nino Marazzita, avvocato penalista; Daniela De Robert, presidente dei Volontari in Carcere Caritas e Ignazio Marino, presidente della Commissione parlamentare Ssn. La drammatica vicenda di Stefano Cucchi, il giovane romano morto per disidratazione (perse 10 chili in sei giorni) il 22 ottobre 2009 dopo esser stato arrestato, narrata dall’autrice, offre infatti lo spunto per una più ampia riflessione sui temi dedicati alla giustizia e al carcere: dalle attuali condizioni di vita dei detenuti nelle strutture reclusive italiane, alle distanza esistente nel nostro paese tra il dettato costituzionale e la realtà del sistema penale e penitenziario, fino alle innumerevoli difficoltà incontrate dalle istituzioni e dal mondo dell’associazionismo a perseguire anche i più modesti processi riformatori. Roma: domenica prossima lo chef La Mantia cucinerà per i detenuti di Regina Coeli Ansa, 31 marzo 2011 Un pranzo così forse alcuni non l’avrebbero sognato neanche da liberi: a cucinare per i detenuti di Regina Coeli, domenica prossima, 3 aprile, sarà Filippo La Mantia, celebre chef siciliano di uno dei più noti ristoranti romani, che ha così accolto l’invito del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. Certo, le prelibatezze di La Mantia non potranno essere gustate da tutti gli ottocento detenuti del penitenziario romano: “purtroppo - spiega Ionta - nella rotonda del carcere c’è spazio solo per un centinaio di detenuti. Certo è che la generosità di La Mantia è veramente grande, e per questo lo ringrazio”. Il “cuoco e oste”, come ama definirsi, utilizzerà le cucine del penitenziario romano assieme ad alcuni suoi collaboratori. Per lui sarà un ritorno alle origini della passione per i fornelli: La Mantia trascorse sette mesi nel carcere palermitano dell’Ucciardone, nel 1985, perché ingiustamente accusato, ma poi scagionato dal giudice Giovanni Falcone, di essere coinvolto nell’uccisione del vicequestore Ninni Cassarà. “Il cibo non è solo nutrimento del corpo, ma condivisione, comunicazione, socializzazione ed è per questo che ho accolto l’invito di offrire ai detenuti di Regina Coeli un pranzo domenicale, perché la domenica - dice La Mantia - per molti è il giorno in cui il ritmo della vita rallenta, c’è spazio per la malinconia e la riflessione, soprattutto per coloro che scontano la pena in carcere”. All’incontro è prevista la presenza del ministro della Sanità Ferruccio Fazio, mentre in rappresentanza del ministro della Giustizia Angelino Alfano interverrà un esponente del ministero. Giuseppe Nese, del direttivo del Forum nazionale, illustrerà lo stato di attuazione del percorso della riforma, poi le proposte del Forum per l’applicazione della riforma saranno illustrate da Bruno Benigni, esponente dello direttivo. Interverranno nel dibattito Ignazio Marino, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale; Leoluca Orlando, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali; Franco Ionta, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria; Vasco Errani, presidente Conferenza Nazionale delle Regioni. Le conclusioni saranno affidate a Lillo Di Mauro, del Direttivo Forum nazionale. Libri: “Giustizia minorile e integrazione sociale”, di Filippo Dettori di Antonio Meloni La Nuova Sardegna, 31 marzo 2011 Una giustizia speciale, attenta al contesto in cui matura il reato e rispettosa della condizione dell’imputato, specie quando si tratta di minore. L’obiettivo è la rieducazione e il reintegro nella società, la punizione e il carcere devono essere l’extrema ratio. Il senso dell’opera di Filippo Dettori, “Giustizia minorile e integrazione sociale”, è condensato nella riflessione scaturita durante i lavori del convegno organizzato ieri, nell’aula magna dell’università, a margine della presentazione del volume edito da Franco Angeli. Un’occasione speciale, promossa dall’Ateneo, dall’Ordine forense e dall’Associazione magistrati minorili, che è servita a fare il punto su un tema delicato. Al centro del dibattito, moderato da Giusy Manca - docente di Pedagogia della devianza - il ruolo centrale dell’educatore, le forme e il senso di un disagio nato in famiglia e generato dall’assenza di modelli, dalla crisi sempre più aperta di genitori troppo spesso lasciati soli ad affrontare situazioni complicate. I bambini, vittime inconsapevoli del dramma, reagiscono come possono e da lì alla devianza il passo è breve. L’intervento a monte del problema può essere la soluzione, ma quando ciò non è possibile, l’attività delle comunità di recupero gioca un ruolo determinante. Lo ha detto a chiare lettere Ettore Cannavera, sacerdote militante, responsabile, a Serdiana, della comunità “La collina” che da anni opera sul difficile versante della riabilitazione di minori autori di reato. La domanda d’esordio, volutamente provocatoria, è rimbalzata in un’aula magna gremita e silenziosa, dando la stura a un appassionato dibattito destinato a proseguire fuori dalle aule d’accademia. “Quale giustizia può esserci in carcere per un minore? - ha tuonato don Ettore - qual è il senso di un’azione inutile e fuorviante che sa di intrattenimento più che di trattamento?”. Impressionante, al riguardo, la girandola di dati snocciolati da Giuseppe Zoccheddu, direttore del carcere minorile di Quartucciu, l’unico in Sardegna. In Italia, ogni anno, 44mila minori vengono denunciati all’autorità giudiziaria, circa 1200 quelli sardi. In carcere finiscono gli autori di reati particolarmente gravi, come la violenza sessuale, l’omicidio (anche solo tentato), la rapina a mano armata. Attualmente le carceri minorili italiane ospitano 426 piccoli detenuti, dodici quelli rinchiusi nella struttura isolana, una delle diciassette presenti sul territorio nazionale. In carcere partecipano ai programmi di riabilitazione che però rischiano di rivelarsi inutili: “Per chi completa l’espiazione in carcere - ha detto Zoccheddu senza giri di parole - il tasso di recidiva è del 50-60 per cento, che cala drasticamente al 12 quando il minore viene sottoposto a misure alternative”. Tutto questo a fronte di una spesa importante se si calcola che il detenuto minorenne costa alla comunità seicento euro al giorno contro i 350 dell’adulto. Strutture come quella di Quartucciu contano cento dipendenti, fra educatori, agenti, artigiani, psicologi e impiegati: “se il reato è l’esito di un disagio - ha concluso Giuseppe Zoccheddu - le risposte devono essere precedenti al carcere che deve rappresentare solo l’extrema ratio”. In questo contesto pesano, e non poco, le scelte operate dal magistrato minorile a cui è affidata una grande responsabilità. “Non si tratta solo e sempre di punire, ma di rieducare - ha concluso Maria Gabriella Pintus, sostituto procuratore del tribunale minorile sassarese - il successo o il fallimento di una scelta dipende dalla magistratura che non può limitarsi alla stretta applicazione della norma, ma deve valutare caso per caso, sentendo sempre il parere degli esperti”. Il libro di Dettori, pedagogista, con prefazione di don Luigi Ciotti, rappresenta l’esito dell’attività esercitata come giudice onorario al tribunale minorile di Sassari. Immigrazione: Berlusconi; da carceri tunisine 13.600 evasi, alcuni arrivano a Lampedusa Adnkronos, 31 marzo 2011 “Ci sono probabilmente a Lampedusa dei cittadini tunisini che sono evasi dalle carceri. Complessivamente sono evasi in Tunisia 13.600 detenuti”. Lo ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi parlando con i giornalisti alla base dell’Aeronautica militare di Lampedusa. Non risultava conveniente lo spostamento da Lampedusa di questi personaggi -ha aggiunto Berlusconi- perché il governo tunisino insisteva a riaverli indietro. A questo si aggiunga il nostro timore di portare questi personaggi in altre parti d’Italia. Situazioni che gli avrebbero permesso di inserirsi nel tessuto sociale”. Immigrazione: Cei; no alla distinzione tra “profughi” e “clandestini” Ansa, 31 marzo 2011 Il problema dei flussi migratori a Lampedusa “lo vedo di difficilissima gestione: occorre avere un atto di grande coraggio poiché un popolo di 60 milioni di abitanti non può spaventarsi per 6 mila persone e dovrebbe dire noi puntiamo sull’accoglienza di tutti senza distinzioni”. Lo ha detto Mons. Giancarlo Bregantini, responsabile della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, a margine della presentazione di un suo libro in Vaticano. Interpellato dai giornalisti sull’emergenza degli sbarchi a Lampedusa, monsignor Bregantini ha ribadito che “non va fatta questa distinzione tra profughi libici e immigrati clandestini provenienti dalla Tunisia”, che “è troppo comoda ed è giustificativa, fatto salvo il fatto che va ovviamente chiarito che non si tratti di persone evase dal carcere”. Immigrazione: Pd; esposto a Procura minori di Palermo per situazione a Lampedusa Il Velino, 31 marzo 2011 “Presenteremo nelle prossime ore un esposto alla Procura dei Minori di Palermo, competente su Lampedusa, in merito alla situazione delle centinaia di minorenni, arrivati dal Nord Africa nelle ultime settimane senza genitori, e che si trovano attualmente all’interno della ex base militare Loran. Occorre la massima attenzione e il massimo impegno affinché questi bambini e questi ragazzi siano adeguatamente protetti e tutelati”. Lo dichiarano i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, che hanno visitato ieri la struttura sull’isola di Lampedusa. “Come già richiesto da un’interrogazione del Pd, a prima firma Ghedini - continuano i senatori -, presentata nei giorni scorsi chiediamo che ai migranti minorenni presenti a Lampedusa sia assicurata una sistemazione dignitosa e adeguata alle esigenze di cura e assistenza che la minore età richiede. Questi ragazzi in base alla legge devono essere tutelati alla stessa stregua dei minori italiani, e dunque la vicenda merita la massima attenzione da parte delle autorità preposte e dello stesso Parlamento. Già oggi questi ragazzi, alcuni dei quali nemmeno quattordicenni, vedono violati molti diritti fondamentali, trattenuti come sono in condizioni semi carcerarie in una struttura di fortuna. I minorenni devono entrare al più presto in un percorso di protezione adeguato e come prevede la legge, vige l’obbligo di rilascio del permesso di soggiorno per minore età”. Romania: coppia italiana arrestata per tentata adozione illegale si appella al Consolato Associated Press, 31 marzo 2011 Dal 9 marzo, Garnero Sandra Candelaria 45 anni e il marito Giovanni Sparagna 57 anni, entrambi di Cervaro (Fr), sono in stato di fermo in Romania per aver tentato, con uno stratagemma concordato con la madre naturale di un bambino nato proprio il 9 marzo, di adottare il piccolo aggirando ogni forma burocratica. Colpe che in quel Paese si pagano con pene carcerarie pesantissime. Al momento sono ancora in uno stato di fermo; quello che in Italia dura al massimo 48 ore, in Romania, arriva a durare anche 20 giorni con possibilità per la procura di chiedere, per altre due volte, ulteriori altri 20 giorni di proroga per un massimo quindi di 60 giorni. Al momento i due sono reclusi non in un carcere, ma in camere di sicurezza di un comando di polizia e, il quattro aprile, con i due assistiti da un legale rumeno accreditato presso la Farnesina, consigliati comunque da avvocati italiani di loro fiducia, si discuterà della richiesta avanzata dalla procura di ulteriori 20 giorni di proroga dello stato di fermo. Gli ambienti detentivi sarebbero ben al di sotto della decenza e, per questo, i due si sarebbero rivolti al consolato italiano in Romania per denunciare il regime di scarsa igiene a cui sono costretti.