Giustizia: il Senato approva in via definitiva il ddl sulle detenute madri Dire, 30 marzo 2011 L’aula del Senato ha approvato in via definitiva il disegno di legge recante disposizioni “a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, con 178 sì, nessun no e 93 astenuti. A favore hanno votato tutti i gruppi parlamentari tranne il Pd (molto critico sulla volontà del governo di non voler apportare miglioramenti alla legge) che si è astenuto. Al 31 dicembre 2010, secondo i dati forniti dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), le madri detenute con minori fino a 3 anni sono 42, i bambini fino ad anni 3 sono 43, mentre attualmente le donne incinta sono 4. Gli asili nido funzionanti nelle carceri sono 16, non funzionanti 1. Il provvedimento prevede una serie di norme per cui le mamme incinta o con bimbi fino a 6 anni (attualmente il limite d’età è fino a 3 anni), se imputate, non potranno essere sottoposte a custodia cautelare in carcere, “salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”. E in quest’ultimo caso si può sempre predisporre la custodia in istituti a “custodia attenuata” (le Icam, che però scarseggiano). Per le madri condannate, invece, è prevista la possibilità, di scontare un terzo della pena ai domiciliari o in istituti di cura o a custodia attenuata purché non abbiano commesso particolari delitti (per esempio quelli connessi alla criminalità organizzata). Modifiche anche alle regole per le visite al minore infermo. In caso di “imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del figlio minore, anche non convivente, la madre condannata, imputata o internata, (ovvero il padre che versi nelle stesse condizioni della madre), sono autorizzati, con provvedimento del magistrato di sorveglianza o, in caso di assoluta urgenza, del direttore dell’istituto, a recarsi a visitare l’infermo. In caso di ricovero ospedaliero, le modalità della visita sono disposte tenendo conto della durata del ricovero e del decorso della patologia”. Inoltre, il giudice potrà autorizzare la detenuta o imputata ad assistere il figlio (di età inferiore a 10 anni) durante le visite specialistiche, relative a gravi condizioni di salute. Infine, si stabilisce che le disposizioni contenute nella legge si applicano “a far data dalla completa attuazione del piano straordinario penitenziario” (piano carceri) e comunque “a decorrere dal 1 gennaio 2014, fatta salva la possibilità di utilizzare i posti già disponibili a legislazione vigente presso gli istituti a custodia attenuata”. Giustizia: legge sulle detenute madri; tutte le novità introdotte dal ddl approvato 9Colonne, 30 marzo 2011 Per una donna incinta o che ha figli fino ai sei anni di età il giudice non potrà più disporre la custodia cautelare in carcere se non quando “sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”. Lo stesso vale per il padre nel caso in cui la madre sia morta o sia impossibilitata a dare assistenza al figlio. È questa una delle principali novità del disegno di legge n. 2568 approvato oggi al Senato. La legge finora prevedeva il divieto di custodia cautelare in carcere per le madri con figli fino ai 3 anni di età. Hanno votato a favore Pdl, Lega, Udc, Idv, Api e Coesione nazionale mentre si sono astenuti i senatori del Pd e i Radicali (questi ultimi lo avevano già fatto alla Camera). Nel testo approvato oggi dal Senato a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori si stabilisce anche che qualora il giudice ritenga comunque necessaria la custodia cautelare, abbia la possibilità di disporla in una casa famiglia protetta (se nel frattempo saranno istituite) o presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri. Altra novità importante riguarda l’individuazione delle caratteristiche che devono avere le case famiglia protette. Infatti la legge prevede che il ministero della Giustizia emani a questo scopo un apposito decreto entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge e abbia la possibilità di stipulare con gli enti locali convenzioni per individuare le strutture idonee ad essere utilizzate come case protette, senza però “nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. La legge appena approvata interviene anche nel diritto di visita delle madri (e padri) ai propri figli infermi “in caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del minore”. Su questo punto c’è stato in aula un dibattito molto acceso perché l’opposizione voleva che fosse riconosciuto un più ampio “diritto all’assistenza”, mentre la maggioranza ha ritenuto che questo fosse già garantito, insieme con questa legge, dal complesso delle attuali norme vigenti. Viene poi stabilito il diritto della detenuta o imputata di essere autorizzata dal giudice ad assistere il figlio fino a dieci anni di età durante le visite specialistiche relative a gravi condizioni di salute. Altro intervento della legge riguarda la possibilità di scontare la pena agli arresti domiciliari: si prevede che le madri condannate, salvo che queste siano state riconosciute autrici di delitti particolarmente gravi come quelli di mafia, possano espiare almeno un terzo della pena o almeno quindici anni, in un istituto di custodia attenuata e, “se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga”, nella propria abitazione, per poter curare al meglio i figli. Infine, rispetto alla copertura finanziaria necessaria alla realizzazione degli istituti di custodia attenuata (Icam), si prevedono 11,7 milioni di euro “a valere sulle disponibilità di cui all’articolo 2, comma 219, della legge 23 dicembre 2009 n.191 (la Finanziaria 2010, ndr), compatibilmente con gli effetti stimati in termini di indebitamento netto”, formula che la senatrice del Pd Anna Serafini ha definito pericolosa perché “rischia di rendere minime le risorse a disposizione” per la creazione degli Icam. L’applicazione della legge scatterà a partire dal 2014, “fatta salva la possibilità di utilizzare i posti già disponibili a legislazione vigente presso gli istituti a custodia attenuata”. Secondo i dati forniti dal Dipartimento dell’amministrazione giudiziaria, al 31 dicembre 2010 le detenute madri con figli al di sotto dei tre anni erano 42 e 43 i bambini con meno di 3 anni, mentre gli asili nido nelle carceri italiane che funzionano sono 16, uno invece non è funzionante. Giustizia: legge sulle detenute madri; i commenti di associazioni ed esponenti politici Dire, 30 marzo 2011 Associazione Detenuto Ignoto: in carcere bambini continueranno a starci “Nel corso dell’illustrazione del disegno di legge sulle detenute madri in discussione al Senato, la sottosegretaria Alberti Casellati ha descritto una legge che non corrisponde alla realtà e i bambini continueranno a stare in carcere”. Lo ha detto Irene Testa, segretaria dell’Associazione Il Detenuto Ignoto. “Lascia poi addirittura sgomenti - continua - l’affermazione della Sottosegretaria che ritiene che anche sulla possibilità per le madri detenute di poter accompagnare i bambini in ospedale si è deciso e preferito di lasciare che sia il giudice a stabilirne le modalità. Suona davvero strano che dal partito del Cavaliere si riponga a fasi alterne tanta fiducia nell’operato dei giudici”. Antigone: troppa cautela, si poteva fare meglio Il Senato approva il disegno di legge che consente alle detenute incinte o con figli fino a sei anni di non rimanere chiuse in cella con i loro figli, a meno di particolari esigenze cautelari di “eccezionale rilevanza”, ma di poter essere ospitate da strutture apposite come gli Icam (istituti a custodia attenuata). “Il provvedimento appena approvato definitivamente dal Parlamento, per una serie di cautele introdotte sulle norme originarie è stato però molto depotenziato”. Commenta così Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone da sempre in prima linea nella difesa dei diritti dei detenuti. “La buona volontà del legislatore - aggiunge Gonnella - rischia, per troppa cautela, di non incidere in alcun modo sulla situazione attuale nelle carceri”. Su 22 istituti penitenziari, sono 43 i bambini al di sotto dei tre anni che si trovano in carcere con le madri detenute, 42 madri di cui solo una decina italiane e la maggior parte extracomunitarie. I dati si riferiscono al 31 dicembre 2010, ma nel frattempo però San Vittore sono arrivati altri due bambini. Inoltre nel computo vanno aggiunte altre quattro donne in stato di gravidanza. Sui 22 istituti il più affollato di bambini è il carcere romano di Rebibbia (14 piccoli), seguito da Milano San Vittore (9) e da Torino - Lorusso e Cotugno (6). Radicali: ddl detenute madri? legge inutile e pericolosa C’era bisogno di una legge per tradurre l’affermazione del ministro Alfano “mai più bambini in carcere”? Sì, se era per istituire delle case famiglia protette, cosa che non viene fatta nella legge approvata stamani dal Senato, che invece dà una delega in bianco al Governo su come, se e quando queste verranno realizzate”. Lo dicono i senatori radicali Donatella Poretti e Marco Perduca, e Irene Testa, segretaria dell’associazione radicale “Il Detenuto Ignoto”. “La legge conferma invece che gli Icam, istituti per la custodia attenuata delle madri detenute con i loro figli fino a tre anni, restano nell’amministrazione penitenziaria - continua la nota - La legge approvata oggi alza l’età dei bambini che potranno stare con la madre, reclusi, fino a sei anni. Inoltre non si afferma il diritto di assistenza e cura dei bambini ricoverati. Una legge nella migliore delle ipotesi inutile e manifesto, nella peggiore pericolosa, che può perfino aumentare i bambini in carcere alzando l’età. Una legge che alla Camera dei deputati aveva visto l’astensione dei soli Radicali, e che al Senato grazie alla convinta opposizione della senatrice Della Monica, condivisa dal gruppo ha visto l’astensione del Pd. Una astensione che per quanto ci riguarda come da regolamento del Senato deve intendersi come voto contrario ad una legge manifesto che rischia di entrare in vigore nel 2014”. Carloni (Pd): per le detenute madri una legge a metà “Una legge a metà. Con l’approvazione della legge per la tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, approvata oggi al Senato, ci troviamo ancora una volta di fronte ad un provvedimento più di facciata, come già avvenuto per lo svuota carceri, che di sostanza. Un piccolo passo per liberare i bambini costretti dietro le sbarre e per garantire loro un concreto rapporto continuativo con i genitori, innanzitutto con la madre”. Lo afferma la senatrice Anna Maria Carloni, prima firmataria del disegno di legge del Pd sulla tutela delle detenute madri con figli minori. “Nelle carceri del nostro Paese - spiega la senatrice - c’è una popolazione di detenute di 2.500 donne, il 3% della popolazione detenuta, le madri detenute con figli al di sotto dei tre anni sono circa 60. Quindi si tratta di piccoli numeri ma di una legge significativa per misurare il grado di civiltà del nostro Paese. Pur tuttavia, come abbiamo voluto segnalare con i nostri emendamenti, c’è il rischio concreto che molte norme rimangano inapplicate, in particolare quelle riguardanti l’istituzione delle case famiglia e degli istituti di custodia attenuata, lasciate a provvedimenti successivi o alla realizzazione del Piano carceri tanto propagandato dal governo ma di cui ancora non se ne vede traccia”. “A differenza del nostro gruppo alla Camera - spiega la senatrice Carloni - abbiamo deciso di astenerci di fronte all’ostinazione del relatore di maggioranza e del governo di non accogliere nessuno degli emendamenti migliorativi presentati dal Pd e dalle opposizioni. Sarà quindi necessario - continua - vigilare sugli effetti collaterali e paradossali che potrebbe sortire dalle nuove norme. L’ elevamento dell’età da tre a sei anni dei minori coinvolti può portare, infatti, in assenza di strutture alternative al carcere, alla detenzione dei bambini fino a sei anni di età. E sulle mamme straniere, che sono la quasi totalità, continuerà a pendere la spada di Damocle della Bossi - Fini che prevede il decreto di espulsione immediato alla fine della detenzione e della pena senza nessuna considerazione per il percorso del bambino”. Conclude la nota: “Ciò che giudichiamo positiva - conclude Anna Maria Carloni - è una forte condivisione sulla necessità di superare l’orrore della detenzione dei bambini che la discussione e il confronto in dell’Aula hanno fatto emergere”. Serafini (Pd): un’occasione mancata “Il provvedimento approvato oggi non ha risolto alcune delle grandi questioni sollevate dal dibattito in questi anni, in quanto non garantisce una reale tutela dei diritti di quei bambini che, del tutto innocenti, si trovano a scontare una pena in carcere accanto alle proprie mamme”. Così la senatrice Anna Serafini, responsabile infanzia e adolescenza Pd, commenta il voto di oggi al Senato sulla legge che tutela le detenute madri e i figli minori. “Questa legge, invocata come urgente, rischia infatti di essere un contenitore vuoto”, sostiene la senatrice, che aggiunge: “Poteva essere migliorata in molti punti, ma i nostri emendamenti sono stati ignorati in quanto l’elemento della sicurezza ha finito per prevalere sulle esigenze educative del minore. L’istituzione delle case famiglia è stata lasciata nel vago, senza indicazioni operative e senza copertura finanziaria. Per cui, malgrado le migliori intenzioni, si continueranno a tenere in carcere i bambini più piccoli. Non viene garantita la continuità della relazione madre bambino in particolare quando le persone minori di età stanno male e quindi ne hanno maggiormente bisogno”. “Serviva un provvedimento illuminato - conclude la senatrice Serafini - che stabilisse un rapporto equilibrato tra certezza della pena, diritti delle madri e interesse superiore delle persone minori di età, ma è stata un’occasione mancata”. Della Monica (Pd): serviva una legge vera, non un manifesto “Serviva un provvedimento che rendesse più umana la legislazione penale nel nostro Paese, soprattutto dal punto di vista dei diritti dei minori reclusi incolpevolmente in carcere, figli di madri finite, ma la maggioranza non ha scelto di fare una legge manifesto”. Lo afferma la senatrice Silvia Della Monica, capogruppo Pd in commissione Giustizia, intervenendo in aula in dichiarazione di voto sul ddl. “Se per un adulto la detenzione può essere un trauma - aggiunge - immaginiamo quello che rappresenta per un bimbo. Ma il testo approvato dal Senato rischia che la legge, da tante parti invocata come urgente, finisca per non cambiare quasi nulla e si riduca quindi ad una sorta di legge - annuncio, di legge - manifesto. Queste sono le ragioni per cui è essenziale che la nuova legge introducesse equilibrati e credibili nuovi elementi di disciplina. Innanzitutto serviva che l’espiazione della pena e la detenzione della madre con bambino non avvenga in carcere. Il testo votato non garantisce questo. In conseguenza vanno create ulteriori strutture a custodia attenuata e case famiglia, malgrado le migliori intenzioni infatti, si cancerizzano i minori fino a 6 anni”. “Inoltre - sottolinea - in caso di invio al pronto soccorso, di visite specialistiche, di ricovero ospedaliero di un bambino recluso con la madre, deve essere consentito alla madre di accompagnarlo e assisterlo per tutta la durata del ricovero. Occorreva infine eliminare l’automaticità dell’espulsione della madre straniera e del suo bambino a fine pena, dando la possibilità al giudice di valutare caso per caso il percorso compiuto durante la detenzione, che può consentire il rilascio del permesso di soggiorno”. “Solo in questi modi - conclude Della Monica - si sarebbe realizzata una legge giusta, positiva che permettesse davvero di raggiungere l’obiettivo che nessun bambino varchi più la soglia di un carcere, come tutti senza alcuna distinzione dovrebbero volere. Ma le nostre proposte migliorative sono state ignorate. Per questo il nostro voto è stato di astensione. Non possiamo in questa materia accettare una legge manifesto, una legge che non risolve i problemi”. Baio (Api): fuori i bambini innocenti “Finalmente una legge che tende una mano verso i bambini innocenti costretti a scontare la pena delle loro madri senza averne colpa”. Lo dichiara la senatrice dell’Api Emanuela Baio. “Una legge che innova le norme oggi in vigore, favorendo il rapporto continuativo e positivo tra genitori detenuti e figli. Sono tre le principali novità del testo licenziato oggi: l’innalzamento da 3 a 6 anni dell’età del bambino che non sarà più costretto a separarsi prematuramente dalla madre, fatto che ne amplificherebbe ingiustamente la sofferenza e rischierebbe di compromettere il suo sviluppo; l’istituzione delle Icam, Istituti di custodia attenuata, che sono la risposta positiva per un sereno svolgimento del rapporto tra madri detenute e figli, una soluzione che fino ad oggi è stata attuata a Milano ma che ora, grazie a questa legge potrà essere applicata in diverse realtà; la creazione di case famiglia protette per consentire alle donne, soprattutto straniere, che non hanno un’abitazione, di poter scontare la detenzione domiciliare”. Baio sottolinea che “certo ci sono alcune lacune, come l’entrata in vigore nel 2014, anche se fortunatamente l’attuale numero delle detenute madri è esiguo. Inoltre all’articolo 2, comma 1, del ddl si parla di visita del genitore e non di assistenza, quando per esempio il bambino è ammalato anche gravemente. Il testo approvato oggi è innovativo e positivo e nei prossimi mesi ci impegneremo con forza e decisione proponendo interventi correttivi al testo al fine di garantire non solo la visita ma anche l’assistenza dei genitori per i bambini gravemente ammalati”. Conclude la senatrice: “Ci auguriamo che la disponibilità a queste modifiche, espressa sia della relatrice che della maggioranza sia confermata nei fatti. Noi vigileremo affinché si possa continuare a vivere senza fare del male agli innocenti. Da oggi i bambini che hanno i genitori detenuti potranno continuare a sognare”. Carfagna: finalmente fuori i bambini innocenti “L’idea stessa che dei bambini, per definizione innocenti, fossero costretti a crescere dentro ad un carcere era inaccettabile”. Così il ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna, commenta l’approvazione in Senato del ddl sulle detenute madri. “Finalmente, dopo anni di discussioni, grazie alla maggioranza e al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, abbiamo divelto le sbarre e garantito ai quasi 50 bambini reclusi oggi e ai figli di madri detenute di domani, di poter cominciare la loro vita alla pari con gli altri”, conclude. Brattoli: serve specifico ordinamento penitenziario minorile “In futuro ci batteremo per l’introduzione di un ordinamento penitenziario minorile specifico, mirato sulle esigenze dei minori”. Così il capo dipartimento della giustizia minorile Bruno Brattoli, in occasione del convegno organizzato a Roma dalla Uil Pa Penitenziari dal titolo “Carceri: riflessioni (preoccupate) sul sistema carceri in Italia”. “Tuttavia - continua Brattoli - il sistema carcerario minorile ha più luci che ombre”. Le luci riguardano il fatto che “gestiamo 44mila denunce l’anno - aggiunge Brattoli - con 20mila ragazzi che entrano nel circuito penale e 480 giovani detenuti in 18 istituti penitenziari per minori”. Le ombre, invece, sono costituite sia dalla “carenza di educatori e assistenti sociali - conclude Brattoli - sia dal fatto che, al momento, siamo sotto organico rispetto al numero necessario di agenti di polizia penitenziaria minorile specializzata”. Gallone (Pdl): agire al più presto per risolvere i disagi nei penitenziari sovraffollati In Italia sono 2.995 le detenute, 42 sono le detenute madri e 55 i bambini detenuti assieme alle madri. Sono tutti figli di immigrate, in particolare di nazionalità rom, risultato dell’incidenza sempre maggiore del fenomeno immigratorio e dei cambiamenti da esso prodotti nella società italiana, diventata sempre più multietnica. “È inaccettabile, per un Paese civile, che siano lesi i diritti delle donne e soprattutto dei bambini - dichiara la senatrice Alessandra Gallone, relatrice del ddl 2568 sul rapporto detenute madri e figli minori - . E quella che quotidianamente vivono, nel nostro Paese, le mamme detenute e dei loro figli è una condizione in totale contrasto con la nostra Costituzione. Per questo è necessario quanto prima attivarsi perché non ci siano mai più sbarre, divise e tintinnii di chiavi per i figli delle detenute madri”. “Il provvedimento approvato oggi al Senato - afferma la senatrice Gallone - cerca di rafforzare le tutele inalienabili dovute ai figli minori di queste donne. Migliorando l’applicazione della legge già in vigore, con il provvedimento assicuriamo finalmente ai bambini di crescere, nonostante la loro particolare e non felice condizione, in strutture adeguate e non più dietro le sbarre come detenuti, nel pieno rispetto delle esigenze di sicurezza a cui sono sottoposte le loro madri. Certo, ora più che mai è importante accelerare la realizzazione delle strutture attenuate di detenzione e risolvere i disagi dei penitenziari sovraffollati”. “Nello specifico - conclude la senatrice Alessandra Gallone - con questo provvedimento la madre detenuta potrà scontare gli arresti domiciliari presso una casa famiglia protetta o in un istituto a custodia attenuata per detenute madri (come l’Icam di Milano), sempre che le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano, e il bambino potrà rimanere con la mamma detenuta fino ai sei anni d’età (e non più fino a tre anni come previsto dalla normativa vigente). In più, la madre detenuta potrà visitare, in caso di malattia o nel caso più estremo di ricovero ospedaliero, il proprio bambino secondo i tempi e le modalità dei permessi decisi dal giudice. In questo modo non si preclude la vicinanza ai figli ammalati, né si tralasciano le esigenze di vigilanza del sistema penitenziario”. Carlino (Idv): un primo passo, ma serve fare di più “Il ddl sulle detenute madri è un primo passo in avanti verso la piena attuazione del principio che assicura ad ogni minore il diritto ad una relazione familiare e, a maggior ragione, a non essere recluso per fatti commessi dai propri genitori”. Lo ha detto la senatrice Giuliana Carlino, capogruppo dell’Italia dei valori in commissione bicamerale per l’Infanzia, annunciando in Aula il voto favorevole al provvedimento da parte del suo partito. “Ma, al di là di questa doverosa legge - ha proseguito - oggi serve un intervento più globale e soprattutto più strutturale da parte del governo. È importante che siano finalmente colmate, con urgenza, le dotazioni organiche delle strutture penitenziarie e creati da subito ulteriori Istituti a custodia attenuata di cui l’Icam di Milano è un ottimo esempio”. “Provvedimenti di questa rilevanza - sottolinea - non devono restare semplici dichiarazioni d’intenti, occorrono risorse finanziarie idonee. Senza fondi è difficile che si riesca a salvaguardare i livelli retribuitivi degli operatori e che l’edilizia penitenziaria non si esaurisca in futuribili e faraonici piani di nuove costruzioni”. “Infine, è importante che le nuove regole, che disciplinano il diritto di visita al minore infermo da parte della madre detenuta o imputata o del padre, vengano interpretate senza rigidità ed attuate in modo tale da non consentire solo sporadiche visite ma, specialmente nei casi in cui il minore versi in gravi condizioni, sia concesso, con provvedimento urgente, il permesso, per assistere il figlio malato, tenendo conto della durata del ricovero ed estendendolo per tutto il decorso della patologia”. “Solo con queste premesse - ha concluso Carlino - si potrà dire che la legge avrà effettivamente conseguito risultati importanti”. Rauti: legge su detenute madri è passo importante “L’approvazione al Senato del disegno di legge sulle detenute madri è un passo significativo per migliorare la qualità della vita delle mamme recluse e dei loro bambini”. È quanto dichiara la consigliera regionale del Pdl e membro dell’ufficio di presidenza, Isabella Rauti. “Una delle novità introdotte dal ddl - continua Rauti - consiste nel fatto che le madri di bambini fino a sei anni non dovranno più stare in carcere in quanto ne potrà essere disposto il soggiorno in istituti di custodia attenuata per madri detenute (Icam). Per quanto riguarda il Lazio, la Giunta regionale dopo aver trovato le risorse necessarie, sta predisponendo i relativi protocolli per la realizzazione di uno o più istituti Icam sul modello dell’unico attualmente esistente a Milano, pensato per offrire ai figli delle detenute un’infanzia di relativa normalità”. “Il provvedimento - conclude Rauti - rientra nella prospettiva delle misure alternative al carcere che in futuro dovranno essere ricercate anche con maggiori investimenti in campo educativo e trattamentale all’interno dei penitenziari per poter creare le premesse di un completo reinserimento nella società civile”. Giustizia: Radicali; l’Icam di Milano è un’isola felice, modello di reinserimento Terra, 30 marzo 2011 “L’Istituto di custodia attenuata per madri del carcere di Milano è un modello di applicazione della legge, di vera rieducazione e reinserimento”. Sono le parole pronunciate ieri dopo una visita alla struttura milanese, da parte dei Radicali Marco Perduca e Marco Cappato. Il tutto mentre in Senato si discuteva il ddl che permetterà alle detenute madri di stare insieme ai figli fino ai 6 anni di età e non più solo fino ai 3. Una questione molto cara ai Radicali che avevano proposto diversi emendamenti: la possibilità di assistere in ospedale i bambini malati per esempio, l’eliminazione del passaggio dal giudice di sorveglianza per essere assegnati a un Icam, l’anticipazione dell’attuazione della legge al 2012 e in prospettiva, la possibilità di estendere la normativa anche ai padri. Modifiche non recepite, tanto che la proposta di legge, già approvata dalla Camera, attribuisce ai giudici la facoltà di prescrivere che i bambini di età inferiore ai tre anni rimangano in cella con le proprie madri detenute qualora non vi sia possibilità legali e materiali per una diversa soluzione. Nessun passo avanti anche sulla eventualità per le detenute di poter assistere i propri figli qualora si rendessero necessarie delle cure sanitarie in ospedale. E allora il caso dell’Icam di Milano rimane un’isola felice, come ha spiegato Perduca: “Abbiamo constatato che questo istituto, con le sue sedici detenute presenti e i loro bambini, rappresenta un caso più unico che raro in una situazione nazionale davvero drammatica”. “La struttura del capoluogo lombardo sembra essere l’unica a rispettare il dettato costituzionale che prevede la rieducazione del detenuto con scopo della detenzione carceraria - spiega Marco Cappato - il fatto che questa sia l’unica struttura simile in Italia e una delle poche in Europa, dà bene il quadro della situazione drammatica che vivono le carceri nel nostro paese”. Giustizia: Ionta (Dap); il Piano carceri sta dando ottimi risultati, grazie ai “poteri straordinari” Agi, 30 marzo 2011 “In Italia si ottengono risultati solo con poteri straordinari, i poteri ordinari non riescono più a gestire le situazioni poiché ci sono troppi ostacoli. Per il piano carceri, infatti, si è passati da un periodo di immobilismo di 25 anni a quello dei poteri straordinari che sta dando ottimi risultati”. È quanto ha detto Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e commissario straordinario per l’emergenza carceri, intervenuto questa mattina ad un convegno organizzato a Roma dalla Uil penitenziari. “Il 2010 - ha detto ancora Ionta - è stato un anno di costruzione e benefici si possono vedere già ora nel 2011. Il governo sta cercando con il commissario delegato di costruire nuovi padiglioni in diverse aree. Inoltre il 28 marzo è iniziato il corso di formazione, che durerà sei mesi, per i nuovi agenti della polizia penitenziaria”. “Il piano carceri - ha aggiunto il capo del Dap - è molto articolato e complesso. Abbiamo già firmato delle intese con alcune regioni. In Lombardia ci saranno mille nuovi posti e in Sicilia quattro nuove strutture. Faremo delle costruzioni che permetteranno di deflazionare il sistema facendo in modo che le regioni che soffrono di più per il sovraffollamento delle carceri ne possano avere un giovamento. Mi auguro che prima dell’estate si possano fare le prime gare per le assegnazioni degli appalti. Sono previsti poi 18 - 24 mesi per la costruzione dei nuovi padiglioni e 24 - 36 mesi per la costruzione delle nuove carceri”. In estate prime gare per realizzazione piano “Mi auguro che in estate si possano fare le prime gare per l’assegnazione degli appalti del Piano carceri”. È quanto ha affermato il commissario straordinario e capo del Dap, Franco Ionta, in occasione del convegno organizzato a Roma dalla Uil Pa Penitenziari dal titolo “Carceri: riflessioni (preoccupate) sul sistema carceri in Italia”. “Il piano è molto articolato e molto complesso - ha aggiunto Ionta - sono state firmate molte intese con le regioni, le ultime pochi giorni fa in Lombardia e in altre regioni”. Sui tempi delle nuove realizzazioni, Ionta ha assicurato che “sono previsti dai 18 ai 24 mesi per la costruzione dei padiglioni, dai 24 ai 36 mesi per l’edificazione di nuove carceri”. Gli interventi, rileva Ionta, saranno mirati: “Faremo delle costruzioni per deflazionare il sistema - ha concluso Ionta - in modo che a giovare di questo incremento di posti detentivi siano quelle regioni che soffrono di più il sovraffollamento”. Giustizia: Sarno (Uil-Pa Penitenziari); Piano carceri è pensato solo per spendere soldi Adnkronos, 30 marzo 2011 “Ho il sospetto che il Piano carceri sia stato pensato solo per spendere soldi, che ci sono a prescindere”. Così Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Pa Penitenziari nel corso del convegno organizzato a Roma dalla Uil. “Occorrono carceri nuove - ha aggiunto Sarno - basate su un modello concettuale che tenga conto di due criticità: sovraffollamento e turismo giudiziario, cioè lo spostamento dei detenuti. Sarno individua quattro macro aree che producono detenuti in Italia: Milano, Bologna, Napoli e Palermo. “Sono gli unici luoghi - ha proseguito Sarno - dove non si stanno costruendo carceri. Mentre costruiscono quelle nuove, quelle vecchie rischiano di crollarci addosso”. Sarno ha poi invocato una riforma epocale della giustizia che rompa la solidarietà di casta tra i dirigenti e comincia ad assegnare almeno un posto da dirigente a chi indossa la divisa blu. La Uil punta il dito anche contro lo svuota - carceri, il provvedimento che avrebbe dovuto deflazionare gli istituti: “Il tentativo è miseramente fallito, il provvedimento normativo è la prova provato della incompetenza della politica. Su 68 mila detenuti ho ottenuto una deflazione di 1.400 posti”. Giustizia: hiv in carcere, anche in Italia è ora di muoversi di Ralf Jürgens Il Manifesto, 30 marzo 2011 I detenuti, quando entrano in carcere, sono condannati alla pena detentiva per i loro reati, ma non dovrebbero essere condannati all’Hiv e all’Aids. Non c’è dubbio che i governi hanno la responsabilità morale e legale di prevenire la diffusione dell’Hiv fra i detenuti e il personale del carcere e di prendersi cura di coloro che sono infettati. Hanno anche la responsabilità di prevenire la diffusione dell’Hiv nelle comunità. I detenuti sono la comunità. Essi vengono dalla comunità, e alla comunità ritornano. La protezione dei detenuti è la protezione delle nostre comunità (Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani, 1996, 52ma sessione, punto 8 dell’agenda Hiv/Aids nelle prigioni - Dichiarazione del Programma Congiunto delle Nazioni Unite sull’Hiv e l’Aids, Unaids, Ginevra, aprile) I tassi di Hiv nelle carceri italiane sono venti volte più alti che nella comunità al di fuori del carcere e i tassi di epatite C sono perfino più alti - e tuttavia le autorità italiane trascurano di intraprendere azioni per rispondere in modo adeguato a questa crisi della sanità pubblica e dei diritti umani. Fino dai primi tempi dell’epidemia di Hiv, è stata riconosciuta l’importanza di implementare in carcere un insieme comprensivo di interventi sull’Hiv e sull’epatite C, compresa la fornitura di preservativi, di programmi di scambio di aghi e siringhe e di trattamenti per le droghe efficaci (particolarmente il metadone a mantenimento). Già nel 1993 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha risposto alla crescente evidenza dell’infezione Hiv nelle carceri emanando delle linee guida sull’infezione Hiv e sull’Aids nei penitenziari. Le linee guida sottolineano che “tutti i detenuti hanno il diritto di ricevere le cure per la salute, incluse misure preventive equivalenti a quelle disponibili nella comunità territoriale, senza discriminazione. Queste raccomandazioni sono state riaffermate più di recente, dopo che l’Oms, lo Unodc (Ufficio delle Nazioni Unite sulle Droghe e il Crimine) e il Programma Congiunto delle Nazioni Unite sull’Hiv e l’Aids hanno commissionato una revisione delle evidenze sull’efficacia degli interventi per rispondere all’Hiv in carcere (Evidence for action technical papers. Interventions to address Hiv in prisons, 2007). I risultati di questa revisione non lasciano equivoci: molti paesi - ma non l’Italia - hanno fatto in modo che i preservativi e i programmi di scambio siringhe fossero disponibili in carcere e hanno ampliato largamente l’accesso ai trattamenti per la droga efficaci, in particolare i trattamenti con metadone a mantenimento per i detenuti dipendenti da oppiacei. Queste misure sono riuscite a ridurre la diffusione dell’Hiv e dell’epatite C in carcere, e in ultimo nelle comunità al di fuori del carcere, dove alla fine i detenuti rientrano. Di importante c’è che questo non ha avuto conseguenze negative per la sicurezza nelle prigioni e ora queste misure sono ben accettate dal personale delle carceri e dalle autorità nei paesi dove sono state adottate. L’adozione di queste misure, lungi dal passar sopra all’attività sessuale e all’uso di droga in carcere, prende atto che il consumo di droga e l’attività sessuale esistono, nelle prigioni di tutto il mondo. La salute pubblica e i diritti umani richiedono ai paesi di agire in maniera pragmatica, invece di ignorare le evidenze schiaccianti e di far finta che la situazione nelle carceri italiane sia diversa - quando invece tutti i paesi nel mondo affrontano gli stessi problemi. In Italia, come da tutte le altre parti, la sanità pubblica non può più permettersi di ignorare la salute in carcere. L’implementazione di interventi comprensivi ed efficaci per l’Hiv e l’epatite C nelle carceri è una componente importante dei programmi nazionali e regionali per l’Aids e l’epatite che non possono più essere trascurati. Con essa si riconosce che “la salute in carcere è la salute pubblica” e che promuovere la salute dei detenuti apporta benefici non solo ai detenuti, ma aumenta anche la salute del personale delle prigioni e la sicurezza del loro luogo di lavoro e contribuisce agli obiettivi di sanità pubblica. Infine, l’azione per ridurre il sovraffollamento delle prigioni dovrebbe accompagnare - ed esser vista come una sua componente integrata - una strategia comprensiva per prevenire la trasmissione dell’Hiv e dell’Hcv in carcere, per potenziare le cure in carcere e per migliorare le condizioni degli istituti penitenziari. Lettere: un detenuto morto di malasanità Il Mattino di Padova, 30 marzo 2011 Noi detenuti della Casa circondariale Due Palazzi vi informiamo con questa lettera di un fatto molto grave di malasanità all’interno del carcere: un decesso. Il 13 marzo si è verificato un episodio che non può passare inosservato, sia dal punto di vista umanitario per come si presenta; noi vorremmo che questo caso fosse insabbiato come molte volte avviene, visto che per l’opinione pubblica noi detenuti siamo “bestie da macello”. Il fatto che denunciamo è grave da tutti i punti di vista, considerando che non è isolato ma è il secondo che accade in giro di un anno, cioè il decesso di un detenuto che per sfortuna ha pure il fratello dentro; quest’ultimo ha visto trasportare fuori il cadavere del suo familiare senza capire come e perché possa essere successo. Tutto questo, forse, si poteva evitare con una visita più approfondita in ospedale. Certo non con una pastiglia antidolorifica come il Brufen che si dà per qualsiasi dolore per non perdere tempo e togliersi dalle “scatole” noi detenuti; qui tutti i malori vengono curati così: prendi la pillola e a posto! Questo accade a Padova come in tante altre carceri. Molti detenuti poi si ritrovano affetti da malattie gravi, come i tumori, solo perché alcuni medici non svolgono il loro lavoro; a volte basterebbe una visita in ospedale per salvare la vita di una persona; invece spesso si viene qui a scaldare una poltrona. Forse questa morte si poteva evitare, invece il fratello ha dovuto assistere alla fine del suo unico caro, sangue del suo sangue, la persona che poteva dargli un conforto morale, che qui vale più dei soldi. Questo ragazzo da un mese lamentava dolori al petto e l’informicolarsi delle dita delle mani; anche una persona che non ha studiato sa che questi possano essere sintomi di un infarto, magari non è così, ma lo si accerta solo con una visita accurata in ospedale, con le apparecchiature giuste; non con una pastiglia, di certo. Noi siamo tutti testimoni dei dolori che aveva e della negligenza dei medici che continuano a lavorare qui perché oggi giorno accade sempre qualcosa ma viene liquidato con una pastiglia: dai denti a dolori che molte volte vengono sottovalutati. Siamo stanchi di tutto questo, vogliamo che si faccia luce su questo decesso e fare sì che non accada più. Qui i dottori devono venire per lavorare con criterio, senza scherzare sulle vite degli altri. Al contrario, al Due Palazzi abbiamo sempre visto, da parte delle guardie penitenziarie, un grande interessamento verso noi detenuti. Gli agenti svolgono con molta professionalità il loro lavoro: anche il giorno del decesso hanno cercato in tutti i modi di salvare la vita al nostro compagno, chiamando tempestivamente il 118. Insomma, la malasanità, come accade all’esterno, anche qui non deve restare impunita. Un gruppo di detenuti Carcere Due Palazzi, Padova Calabria: istituzione del Garante regionale dei detenuti; audizioni di Tuccio e Siviglia Asca, 30 marzo 2011 La prima Commissione consiliare “Affari istituzionali e affari generali”, presieduta da Giuseppe Caputo (Pdl), ha audito nel corso della seduta odierna Giuseppe Tuccio, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Reggio Calabria, ed il consigliere giuridico dello stesso Ufficio, l’avvocato Agostino Siviglia. “Il detenuto - ha sottolineato il presidente Tuccio - è debole tra i deboli. Da qui, la necessità di istituire anche nella regione Calabria, così come hanno già deciso altre 14 Regioni d’Italia e una miriade di Comuni e Province, questa figura di intermediazione tra mondo istituzionale e sistema dei diritti civili. I detenuti - ha ricordato Giuseppe Tuccio - sono titolari di diritti proclamati e conclamati, ma c’è ancora grande distanza tra conclamazione dei diritti e realtà pratica”. “Credo che le intuizioni e le testimonianze del dottor Giuseppe Tuccio e dell’avvocato Siviglia - ha detto il presidente della Commissione Giuseppe Caputo - si iscrivano a pieno titolo nello spirito della proposta di legge deliberata dalla Giunta regionale, pervenutaci per l’esame di merito. La proposta di legge regionale ha infatti lo scopo di istituire l’Ufficio del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della liberta personale - ha sottolineato Caputo - quale autorità super partes garante dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione anche in ambito carcerario. La proposta nasce, tra l’altro, come si legge nella relazione di accompagnamento della legge, dalla necessità di garantire un rapporto di trasparenza e correttezza tra tutte le pubbliche amministrazioni e/o soggetti concessionari di pubblici servizi o convenzionati con enti pubblici che, a vario titolo, interagiscono con l’amministrazione penitenziaria e i detenuti e gli internati o chi si trova comunque in condizioni, anche provvisorie, di restrizione della libertà personale”. Ai lavori della Commissione hanno partecipato i consiglieri: Dattolo (Udc), Rappoccio (Insieme per la Calabria), Talarico (Idv), Censore (Pd) e Nicolò (Pdl). Sardegna: Sdr; Maurizio Veneziano è il nuovo Provveditore regionale alle carceri Asca, 30 marzo 2011 Maurizio Veneziano, 47 anni, di Messina, direttore da 10 anni del carcere “Ucciardone” di Palermo, sarà il nuovo Provveditore regionale per la Sardegna. Il suo insediamento è previsto per la prossima metà di aprile. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, con riferimento alle insistenti notizie circolate in ambienti vicini al Ministero della Giustizia che danno per certo l’ormai prossimo trasferimento nell’isola dell’ex direttore del carcere palermitano. “Speriamo che finalmente, dopo una vacanza di circa otto mesi, la Sardegna - sottolinea la responsabile regionale di Sdr - possa davvero contare nuovamente su un referente stabile. Sono diverse le questioni da affrontare, alcune particolarmente urgenti. Le problematiche che verifichiamo costantemente nelle strutture detentive dell’isola attengono innanzitutto alla salute dei cittadini privati della libertà. Esiste un numero consistente di detenuti con doppia diagnosi che richiedono spazi differenti da quelli della reclusione”. “Ci riferiamo in particolare ai tossicodipendenti - continua la Caligaris - ai sofferenti di disturbi psichici ma anche agli anziani con tratti evidenti di incompatibilità e/o persone con gravi infermità fisiche. Persone che possono e debbono scontare la pena in strutture alternative. La presenza stabile di un Provveditore regionale con l’esperienza e le competenze dell’ex direttore dell’Ucciardone può servire anche a ridisegnare le modalità della reclusione e ad alleggerire il numero dei detenuti”. Reggio Calabria: privata dell’identità la detenuta rom deceduta al carcere di S. Pietro di Eleonora Delfino Gazzetta del Sud, 30 marzo 2011 Spogliata della propria identità, etichettata come detenuta straniera e inserita, in maniera anonima, nelle statistiche dei decessi in carcere. Loredana Berlingeri era una cittadina italiana di cultura rom, che dopo aver vissuto per 44 anni con il pregiudizio riservato al suo gruppo è stata privata nella morte, delle sue origini, della sua storia e della cittadinanza italiana. Ma almeno davanti alla morte non dovremmo essere tutti uguali, cittadini liberi e detenuti, rom o meno? Se lo chiede la signora Giuliana, sorella di Loredana, che assieme all’Opera nomadi chiede che venga fatta chiarezza sulla morte della sorella avvenuta alla casa circondariale di via San Pietro, il 18 marzo. “Non ci spieghiamo perché - afferma Giacomo Marino, presidente dell’associazione - tutti i media hanno dato la notizia della morte della signora Berlingeri come di una detenuta straniera. Se si è trattato un errore da parte degli organi della casa circondariale o come mai non si è provveduto a correggerlo? La categoria di detenuta straniera, è stata utilizzata con una connotazione tesa a spersonalizzare e annullare l’identità, in modo da evitare ogni possibile attenzione sulla persona. In questo modo la donna è diventata uno dei tanti casi di decesso, semplicemente un numero nella statistica”. Una rivendicazione che il presidente dell’Opera nomadi argomenta, “ogni detenuto che muore deve avere lo stesso rispetto che viene riservato ad una persona libera che muore, considerare i detenuti un numero e non come una persona porta a spersonalizzare anche l’approccio è una mancanza di rispetto”. Ma quello sull’identità non è l’unico dubbio che accompagna questa vicenda: “Per questo caso bisogna chiamare in causa anche il diritto del detenuto ad essere curato adeguatamente. La signora Loredana - prosegue Marino - era affetta da una patologia grave che mal si conciliava con le condizioni di vita di un carcere sovraffollato. Non vogliamo entrare nel merito della pena, non sta a noi dare giudizi, ma il diritto alla salute che dovrebbe essere garantito ai detenuti? In carcere si dovrebbe scontare solo la pena a cui si è condannati e non un’altra aggiuntiva”. E la sorella della signora Loredana conferma: “Mia sorella non stava bene, aveva avuto una paralisi facciale ed era seguita dai medici dell’ospedale “Riuniti”, avevamo chiesto più volte che scontasse la pena agli arresti domiciliari, ma non gli erano mai stati concessi” dice ripercorrendo i capitoli della storia della sorella condannata per furto, che ad agosto avrebbe scontato la sua condanna. “Sono andata a trovarla a colloquio qualche giorno prima e mi sembrava che stesse bene. Poi abbiamo saputo che mia sorella era morta tramite gli avvocati. Nessuno è venuto a spiegarmi cosa è successo e anche la richiesta di fare l’autopsia è stata negata. Io voglio sapere, qualcuno mi ha detto che due giorni prima mia sorella si è sentita male, se è vero perché non l’hanno portata in ospedale?” “Di fronte a questo modo di gestire le cure di una detenuta malata - conclude Marino - chiediamo che la magistratura apra un’indagine sul caso per approfondire la vicenda”. L’Opera Nomadi: stava male e non è stata portata in ospedale Prima di morire è stata male ma il personale del carcere di Reggio Calabria non l’ha trasferita in ospedale. A denunciare la vicenda di Loredana Berlingieri, morta il 18 marzo scorso nel carcere di Reggio, è l’Opera Nomadi che chiede alla magistratura di aprire una inchiesta. “Loredana - afferma una nota dell’Opera Nomadi di Reggio Calabria - era affetta, ormai da tempo, da una grave cardiopatia tuttavia la sua condizione di salute era stata considerata compatibile con la situazione carceraria. Da quanto riferiscono i familiari il 16 marzo Loredana si era sentita male, ma non è stata trasferita in ospedale dove poteva essere curata adeguatamente. Il tragico epilogo della morte ci fa capire che la sua condizione di salute non era compatibile con la condizione carceraria, soprattutto con la situazione carceraria che presenta oggi il carcere di San Pietro”. “Lo stesso segretario aggiunto - prosegue la nota - del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Giovanni Battista Durante, nel comunicato del 18 marzo lo ammette dicendo che molti detenuti soffrono di patologie che nel carcere non possono essere curate per carenza di mezzi e strutture adeguate. Spesso mancano le risorse economiche e le figure professionali adeguate. Di fronte a questo modo di gestire le cure di una detenuta gravemente ammalata, che si è concluso con la morte della stessa, l’Opera Nomadi e i familiari chiedono alla magistratura che si apra una indagine sul caso”. L’opera nomadi, inoltre, lamenta che sia stata data notizia della morte di una donna straniera quando invece non “vi è alcun dubbio della cittadinanza italiana di Loredana Berlingieri. La categoria di ‘detenuta stranierà, in questo caso come in altri, è stata utilizzata con una connotazione tesa a spersonalizzare ed ad annullare l’identità, in modo da evitare ogni possibile attenzione sulla persona”. Sappe: bene approfondimenti, no a strumentalizzazioni “L’opera nomadi fa bene a chiedere ogni approfondimento che ritiene necessario in merito alla morte di Loredana Berlingieri ma dovrebbe evitare di strumentalizzare dichiarazioni generiche che non riguardano il caso specifico della donna deceduta, bensì la situazione generale degli istituti penitenziari italiani”. Lo afferma in una nota il segretario generale del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe), Giovanni Battista Durante. “Che ci siano - aggiunge - carenze di uomini, mezzi e strutture sanitarie adeguate a curare patologie particolari è noto a tutti, ma che queste carenze abbiano inciso sul decesso della donna è da verificare e non spetta al sindacato pronunciarsi nel merito. Per quanto riguarda il fatto che è stato dichiarato che si trattava di una donna straniera ciò dipende solo dal fatto che così era stato riferito al Sappe. Ogni altra interpretazione potrebbe risultare fantasiosa e strumentale”. Livorno: caso Lonzi; la Cassazione respinge il ricorso della madre, le indagini non si riaprono Ansa, 30 marzo 2011 La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dai legali della madre di Marcello Lonzi, morto nel 2003 nel carcere delle Sughere a Livorno dove era detenuto, con il quale si chiedeva la riapertura del caso dopo l’archiviazione disposta nel maggio scorso dal gip di Livorno Rinaldo Merani. I legali della donna chiedevano l’annullamento della decisione del gip. Lonzi fu trovato morto in una cella della casa circondariale di Livorno l’11 luglio di 8 anni fa: si trovava recluso per tentato furto e in carcere sarebbe dovuto rimanere per 4 mesi. Una prima inchiesta, condotta a ridosso dell’episodio, finì con un’archiviazione (firmata dallo stesso gip). Nel 2007 la madre di Lonzi, Maria Ciuffi, ottenne la riapertura delle indagini: la Procura livornese avviò un’altra inchiesta, lavorando per oltre 2 anni e iscrivendo anche tre persone nel registro degli indagati (un compagno di cella e due agenti di polizia penitenziaria), ma chiedendo da ultimo l’archiviazione per tutti. Secondo i magistrati livornesi Lonzi morì a causa di un malore. “Ci sarà un giudice in tutta Italia che mi ascolterà?”, aveva detto Maria Ciuffi, quando fu ufficializzato il ricorso in Cassazione. Dopo questo nuovo esito della vicenda, non è escluso che ora la donna, come ha annunciato più volte, si rivolga alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo. L’Aquila: Aurelia Strangio; mio marito deve scontare la pena in vita Gazzetta del Sud, 30 marzo 2011 “Mio marito deve scontare la pena in vita, non morire in carcere. Chiedo alle istituzioni preposte di attivarsi affinché venga trasferito in una struttura ospedaliera consona per curare i gravi sintomi che lo affliggono”. Lo ha dichiarato Aurelia Strangio, moglie di Giuseppe Nirta, alias “Charlie”, detenuto in regime di 41 bis presso la casa circondariale de L’Aquila, ribadendo quanto ha scritto in una lettera aperta inviata agli organi di stampa nei giorni scorsi. Aurelia Strangio, alla presenza del legale di fiducia avv. Vincenzo Muscoli, è voluta ritornare sulle condizioni fisiche del marito, che si trova recluso sia perché deve scontare una pena per traffico di sostanze stupefacenti sia perché accusato, insieme al cognato Sebastiano Strangio ed a Sebastiano Nirta, di essere uno dei presunti autori materiali della strage di Duisburg, rilevando che le istanze presentate “non hanno ricevuto la giusta considerazione”. La moglie di Nirta racconta che “ogni giorno ricevo da Giuseppe lettere in cui mi scrive delle sue condizioni di salute, di come non riesce neanche ad uscire nell’ora d’aria se non è accompagnato e, anche quando andiamo a colloquio, è stranito e il colore della sua pelle diventa sempre più giallo, tanto che non ho voluto mostrare le sue foto ai nostri quattro figli per non farli spaventare”. La signora Strangio, infine, chiede alle istituzioni preposte di concedere al marito la possibilità di recarsi in una clinica di Milano per essere curato: “Non è concepibile far soffrire una persona in queste condizioni”. L’avvocato Vincenzo Muscoli, da parte sua, insiste sulle conclusioni alle quali sono pervenuti diversi medici, tra cui quelli dell’ospedale San Salvatore de L’Aquila, che hanno diagnosticato una grave forma di gastroenterite, anche se la causa scatenante non è stata ancora accertata, tanto che il legale rileva che le cure alle quali è sottoposto Giuseppe Nirta potrebbero essere inadeguate. “Credo sia opportuno si arrivi al più presto a sostituire il regime carcerario del mio assistito - ha concluso l’avvocato Muscoli - con quello, più adeguato, delle cure mediche presso una struttura ospedaliera esterna al carcere”. Genova; carcere Pontedecimo, una nuova area verde per i colloqui dei detenuti www.genova24.it, 30 marzo 2011 Siepi che fioriranno di ciclamini, oleandri e ginestre, attorno a centocinquanta metri di terreno seminato a prato inglese. E’ la nuova area verde della Casa Circondariale di Pontedecimo per coltivare i propri affetti familiari anche in carcere, incontrando figli e coniugi in uno spazio protetto, ma aperto e piacevole anche per i bambini, realizzato con il sostegno dell’assessorato alle Carceri della Provincia che ha finanziato anche cinque borse lavoro per i detenuti che hanno partecipato al progetto, ideato dalla direzione del carcere e gestito dalla cooperativa Il Rastrello. “Sotto la guida dei nostri tutor - dice Lorenzo Monteverde del Rastrello - le persone detenute con le borse lavoro finanziate dalla Provincia hanno ripulito e spianato gli spazi, realizzato opere di sostegno e recinzione di ingegneria naturalistica, piantato le siepi di essenze floreali e seminato l’erba per il prato all’inglese”. Un progetto “che la Provincia ha sostenuto con molta convinzione - dice l’assessora Milò Bertolotto - perché siamo consapevoli della situazione delle persone detenute, per le quali siamo da tempo impegnati e questa nuova area verde potrà migliorare la qualità della loro vita e delle relazioni affettive con i loro figli e le famiglie, e un clima più disteso e sereno all’interno del carcere agevolerà e migliorerà anche le difficili condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria, fortemente impegnata nella realizzazione del progetto”. La Provincia aveva già finanziato anche la prima area verde in Liguria dentro un carcere, quello di Chiavari e a Pontedecimo, dove da poco esiste già una bella e coloratissima sala colloqui interna per gli incontri tra genitori e figli e anche fra coppie di coniugi o conviventi che possono pranzare insieme in alcune occasioni organizzate dalla direzione, con la nuova area verde gli incontri potranno svolgersi anche all’aperto. “Questi spazi verdi permetteranno - dice il direttore Maria Milano - di far incontrare detenuti e detenute con i loro figli e familiari anche all’aperto, lo prevede il regolamento e consente alle famiglie di svolgere un ruolo importante e prezioso nella risocializzazione delle persone ristrette e di rendere, nei limiti del possibile, più sereno e positivo il loro adattamento alla reclusione, anche in vista del loro futuro reinserimento”. L’area verde non è nata per abbellire il carcere, ma per offrire maggiori possibilità di reggerne l’impatto per i detenuti, i figli, i familiari e la Polizia Penitenziaria, pesantemente sotto organico, ma determinante e molto partecipe nella realizzazione del progetto. “Crediamo - dice il comandante Stefano Bruzzone - nel dettato costituzionale e lo attuiamo con grande convinzione per la rieducazione delle persone detenute e l’area verde, attraverso gli incontri con i loro bambini e familiari, ne aumenterà i tempi al di fuori delle celle e sarà importante anche per far crescere la serenità e ridurre le tensioni del nostro lavoro che svolgiamo sotto organico e con un sovraffollamento, nazionale e in Liguria, di persone detenute. Questa iniziativa è anche un segnale del forte sostegno che gli enti locali, e la Provincia con l’assessora Bertolotto in particolare, ci stanno dimostrando”. Pistoia: sovraffollamento dietro le sbarre, al Santa Caterina è da record Il Tirreno, 30 marzo 2011 Il carcere di Pistoia è uno dei più sovraffollati della Toscana. Lo dimostrano le cifre rese note dalla Uil Pa, il sindacato dei lavoratori del settore, nel quadro di una indagine sulla situazione carceraria in Italia. In particolare, a Pistoia il 20 marzo scorso risultavano presenti 142 detenuti, contro una capienza regolare di 74. I detenuti in più, dunque, erano 68. Un numero tutto sommato piccolo, rispetto ad esempio ai 363 esuberi del carcere fiorentino di Sollicciano o ai 225 della Dogaia di Prato. Ma il fatto è che Santa Caterina in Brana è un carcere molto piccolo. Per cui l’indice di affollamento è calcolato nel 91,9%, inferiore solo a quello del carcere di Pisa (93,2%). La media toscana di sovraffollamento è del 46,2%. Già queste cifre sono sufficienti a descrivere la situazione di emergenza che viene vissuta quotidianamente da detenuti ed operatori del carcere di Pistoia. Una realtà di cui si parla in occasione di visite di parlamentari o di politici, salvo poi ricordarsene in caso di tentati suicidi o altri episodi del genere, per fortuna abbastanza rari nella casa circondariale pistoiese (la Uil ha censito solo un tentato suicidio su 28 totali in Toscana). Padova: l’Agenzia delle Entrate incontra gli studenti-detenuti al carcere “Due palazzi” Adnkronos, 30 marzo 2011 La cultura della legalità fiscale come tassello di un pieno reintegro nella società. È questo l’obiettivo dell’incontro organizzato dall’Agenzia delle Entrate con gli studenti della sezione staccata dell’Istituto Gramsci di Padova attiva presso il carcere “Due Palazzi”. Martedì 5 aprile, a partire dalle 9.00, funzionari della Direzione Regionale Veneto e della Direzione Provinciale di Padova dell’Agenzia delle Entrate parleranno di Fisco con gli studenti detenuti, illustrando quei servizi che possono essere loro utili in un percorso di emancipazione economica e sociale il termine del loro periodo di detenzione. In particolare verranno spiegate i regimi fiscali agevolati e le modalità di rilascio del codice fiscale e della partita Iva. La giornata si inserisce nell’ambito del progetto nazionale “Fisco e Scuola”, che ha tra gli obiettivi la diffusione della conoscenza del sistema fiscale italiano tra gli studenti di ogni ordine e grado. Per la prima volta a livello nazionale l’Agenzia delle Entrate realizza un’iniziativa simile in una struttura penitenziaria. Saranno presenti il Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate del Veneto, Giovanni Achille Sanzò, e Massimo Esposito, Direttore provinciale di Padova. Sono invitati a partecipare tutti i giornalisti interessati. All’interno del carcere, prima dell’incontro con gli studenti, i responsabili dell’Agenzia e del “Due palazzi” illustreranno ai giornalisti gli obiettivi e le specificità del progetto. Alghero: riapre la Casa di accoglienza “Giubileo 2000” per i detenuti in permesso La Nuova Sardegna, 30 marzo 2011 La Casa di accoglienza” Giubileo 2000” della Caritas diocesana ha ripreso a ospitare i detenuti in permesso premio che stanno scontando la propria pena nel carcere di via Vittorio Emanuele. La riapertura, come sottolinea il direttore dell’istituzione, Andrea Frulio, è stata resa possibile grazie al volontari che operano all’interno della struttura. Da ricordare che l’opera venne realizzata dall’allora vescovo di Alghero e Bosa monsignor Antonio Vacca e dal direttore della Caritas, don Lorenzo Piras. Per consentire il ritorno all’attività della Casa di accoglienza è stata stipulata una convenzione con l’Ufficio esecuzione penale esterna nella quale vengono definiti i compiti e le responsabilità dei volontari, senza i quali una preziosa iniziativa come la struttura non potrebbe produrre i benefici umani e sociali che garantisce. Roma: mostra fotografica; il carcere negli scatti di Aniello Intartaglia al Caffè Letterario Adnkronos, 30 marzo 2011 L’Associazione culturale ArteOltre Arte ed Eventi presenta da dopodomani al Caffè Letterario “Diffidenza” produzione fotografica di Aniello Intartaglia interamente dedicata al tema del carcere. L’uomo e il suo vissuto, la cultura carceraria e le riflessioni dell’anima: è l’identità di un luogo svelata attraverso le fotografie del giovane artista dell’isola di Procida Aniello Intartaglia. Curata da Alessandra Fina e Claudia Pettinari, l’esposizione racconta, attraverso 22 scatti fotografici, la trasformazione del carcere e l’esperienza multisensoriale che essa evoca nel giovane fotografo. Disorientamento e smarrimento sono gli stati d’animo predominanti dinnanzi ad una dura realtà in cui impera costante la diffidenza nel nome di un equilibrio che deve restare invariato, costi quel che costi. È proprio da questa constatazione che nasce l’attenta e profonda riflessione di Aniello Intartaglia espressa e rappresentata attraverso le immagini in mostra. Cuneo: i detenuti del Cerialdo regalano i primi fiori raccolti nella serra nata in carcere Targato Cn, 30 marzo 2011 I primi fiori coltivati in serra dai detenuti del carcere di Cuneo sono stati consegnati in Provincia alla presidente Gancia e all’assessore all’Istruzione Viscusi. La Provincia, infatti, ha finanziato i docenti del progetto formativo nato dalla collaborazione tra Casa Circondariale e Istituto “Virginio” di Cuneo. L’attività ha avuto inizio lo scorso novembre, coinvolge due insegnanti del “Virginio” e vede tuttora impegnati dodici detenuti che coltivano fiori nella nuova serra realizzata nell’area verde interna al carcere. Alla consegna erano presenti il direttore della Casa Circondariale di Cuneo Claudio Mazzeo, il comandante del Reparto di Polizia penitenziaria Cristina Cobetto Ghiggia, il responsabile dell’area trattamentale Gaetano Pessolano, i docenti di agraria Giorgio Ducco e Ornella Ponza. Il progetto potrebbe cresce in futuro con l’intervento dei Comuni vicini ai quali è stato proposto di acquisire parte della produzione florovivaistica dei detenuti anche arredando aiuole appositamente riservate per i fiori provenienti dalla serra del carcere o con contributi economici per sostenere l’attività formativa. Al momento sono sei i Comuni che hanno dato la disponibilità in tal senso e sarà presto realizzata una convenzione per regolamentare le forme di collaborazione. L’Istituto Agrario ha fornito consulenza tecnica per il completamento degli impianti della serra, la progettazione e la realizzazione del corso tecnico pratico il cui obiettivo non è solo quello di fornire competenze ed abilità ai detenuti per la gestione di una attività produttiva in serra, ma anche di impiegare proficuamente il tempo in carcere, acquisire una formazione specifica spendibile all’esterno al termine del periodo di reclusione e creare un ponte visibile tra il carcere e il territorio attraverso la produzione e commercializzazione di piante. Siria: liberi 7 detenuti politici arrestati nel sit-in a Damasco Agi, 30 marzo 2011 Le autorità siriane hanno liberato sette detenuti politici, arrestati nella capitale Damasco durante un sit-in davanti al ministero dell’Interno il 16 marzo. Gli attivisti, volevano presentare una petizione per chiedere la liberazione di tutti i detenuti politici nel Paese. La polizia politica, presente in massa, era intervenuta con forza non appena i parenti dei detenuti hanno iniziato a mostre le loro fotografie. Lo riferisce la televisione panaraba Al-Arabiya specificando che restano ancora in carcere, Suheir Attasi nota attivista per i diritti umani e il blogger Kemal Sheikho”.