Giustizia: ricorso detenuti a Strasburgo; la Corte chiede informazioni al governo italiano Ansa, 29 marzo 2011 Ventisei detenuti che stanno scontando la loro pena nelle carceri di Cosenza, Salerno, Palmi, Matera e Saluzzo hanno presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo denunciando le condizioni in cui sono costretti a vivere. Lo si è appreso dalla stessa Corte che ha comunicato i casi al governo italiano con la richiesta di fornire chiarimenti. Nei ricorsi i detenuti affermano di essere sottoposti a trattamento inumano e degradante perché costretti a rimanere più di 18 ore in celle in cui hanno a disposizione al massimo 3,10 metri quadri. Alcuni detenuti lamentano inoltre il fatto che le celle sono mal illuminate e mal ventilate. Nel carcere di Cosenza i bagni, è scritto nella denuncia, si trovano all’interno delle celle e che quindi non è possibile utilizzarli con la necessaria privacy. Strasburgo chiede al governo di fornire tutti i dati concernenti sia le condizioni di detenzione dei ricorrenti che quelli inerenti il numero di detenuti di ogni carcere, la capienza massima e le ore d’aria previste nei penitenziari. I 26 ricorsi, presentati tra agosto 2009 e ottobre 2010, si aggiungono a quelli già presentati da altri 11 detenuti del carcere di Piacenza e a quelli di 34 detenuti del carcere di Busto Arsizio. Nel luglio 2009 la Corte di Strasburgo condannò l’Italia per aver tenuto per 2 mesi e mezzo un detenuto in una cella in cui aveva a disposizione meno di 3 metri quadrati e stabilì che lo Stato doveva versargli un risarcimento di mille euro. Giustizia: Osapp; troppi soldi all’edilizia e troppi tagli per il funzionamento del sistema Comunicato stampa, 29 marzo 2011 Appello al presidente della Repubblica Napolitano e al premier Berlusconi. “Soprattutto in questo momento, risulterebbe quanto mai opportuno che almeno una quota dei quasi 700 milioni di euro previsti per la realizzazione del c.d. ‘piano carceri’ per 20 nuovi padiglioni e 11 nuovi istituti entro il 2013, possa essere recuperata per fronteggiare le gravi emergenze del sistema penitenziario legate alla mancanza di fondi, in particolare per quanto riguarda la vivibilità degli istituti di pena da parte di 67.500 detenuti e di 32.000 poliziotti penitenziari addetti alle attività di sicurezza, custodia e polizia giudiziaria” è quanto si legge in una lettera a firma di Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) e indirizzata al Presidente della Repubblica Umberto Napolitano e al Premier Silvio Berlusconi. “Nulla da eccepire che gli ingentissimi tagli agli Enti dell’amministrazione penitenziaria, secondo il decreto del Ministro Tremonti dell’8 maggio 2010, riguardino gli endemici ‘sprechi’ della pubblica amministrazione quali quelli per la corrente elettrica, la telefonia, la cancelleria e le c.d. “auto blu”, – scrive ancora l’Osapp - ma estremamente grave che in uno Stato moderno e di diritto si vogliano quasi cancellare le spese per la manutenzione, le pulizie e il riscaldamento dei locali detentivi, quelle per il lavoro e per l’igiene dei detenuti, nonché per le telefonate degli stessi verso i propri familiari”. “Altrettanto grave inoltre – prosegue il sindacato - che in un’Amministrazione dove esistono fasce stipendiali che superano i 200mila euro annui, si taglino voci stipendiali legate all’effettivo lavoro ed al disagio del personale di polizia, quali quelle per straordinari e missioni o per i buoni pasto in assenza della mensa sul posto di servizio”. “A parte la grave contraddizione tra il tanto per l’edilizia e il quasi nulla per il funzionamento, se negli anni si fosse constatata la volontà di riformare la funzione della pena e la sua esecuzione all’interno e all’esterno degli istituiti, anche rispetto all’assetto del corpo di polizia che a ciò deve provvedere, invece di provvedimenti tampone limitati nel tempo e nell’efficacia, oggi di tagli che rendano precaria persino la mera sopravvivenza in carcere non se ne parlerebbe”. Conclude, pertanto Beneduci: “Auspichiamo che, anche grazie alla sensibilità del Presidente Napolitano e del Premier Berlusconi, non sia comunque troppo tardi”. Giustizia: atteso “sì” in aula del Senato al ddl sulle detenute madri Asca, 29 marzo 2011 Da oggi pomeriggio sarà discusso in Aula il testo unificato 2568 contenente modifiche al codice di procedura penale e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori puntando sulle misure alternative alla detenzione e, ove non possibile per la gravità dei reati commessi, su apposite case famiglia protette in modo da evitare che i bambini siano costretti a stare in penitenziario per essere vicini alle mamme. Ma i costi e i problemi relativi alla realizzazione delle case famiglia e vari altri aspetti della normativa, anche in riferimento a problemi di sicurezza, hanno reso complesso l’approfondimento anche a Palazzo Madama dopo la lunga discussione e le numerose modifiche al testo originario che hanno connotato la discussione alla Camera. Il Ddl ha registrato ulteriori modifiche nella discussione svoltasi in Commissione Giustizia e si attende oggi il parere della Bilancio. Giustizia: Radicali; ddl sulle madri detenute… così i bimbi resteranno dentro Dire, 29 marzo 2011 “Aver evitato l’approvazione della legge sulle detenute madri per la data dell’8 marzo, giorno della festa delle donne, sul quale maggioranza e opposizione avevano fatto affidamento per esporre come trofeo l’approvazione di una legge inutile, e il conseguente rinvio alla Commissione Giustizia del Senato, non è servito a nulla, tant’è che la commissione non ha minimamente modificato il testo, decidendo di calendarizzare infine, per domani, l’approvazione in Aula di quella che continua chiaramente ad essere l’ennesima legge inutile sulla detenzione delle madri, che continuerà a non tirare fuori i bambini di età inferiore ai tre anni dal carcere”. Così, in una nota, il gruppo carceri dei Radicali italiani che oggi hanno dato vita ad un sit-in, a Roma, davanti al Senato, insieme all’associazione radicale “Il detenuto ignoto” e all’associazione “A Roma insieme”. Continua la nota: “A nulla sono valsi finora gli sforzi della delegazione dei parlamentari Radicali, che hanno cercato in entrambi i rami del Parlamento di emendare il testo e renderlo davvero efficace per scongiurare che nessun bambino varcasse più la soglia di un carcere. Nonostante tutto, dopo un altro “bagno” in Commissione giustizia e la farsa di alcune altre audizioni di associazioni attive nel settore e non solo, anche queste, come le precedenti, rimaste inascoltate, non si registrano modifiche al testo che continuerà a conferire la facoltà ai giudici di prescrivere che i bambini di età inferiore ai tre anni rimangano in cella con le proprie madri detenute qualora non vi fossero possibilità legali e materiali per una diversa soluzione, né si registrano migliorie sulla eventualità per queste madri di poter assistere i propri figli qualora si rendessero necessarie delle cure sanitarie in ospedale. Per queste ragioni oggi abbiamo manifestato davanti al Senato”. Icam di Milano è modello L’Icam di Milano, l’Istituto di custodia attenuata del carcere di San Vittore dove si trovano recluse con i propri bimbi 16 detenute madri “è un modello di applicazione della legge e di vera rieducazione e reinserimento”. Lo hanno affermato, al termine di una visita nella struttura, i Radicali, Marco Perduca, senatore, e Marco Cappato della Lista Bonino-Pannella. L’iniziativa avviene a poche ore dall’approvazione, prevista nel pomeriggio, del ddl sulle detenute madri che migliorerà le condizioni delle carcerate che potranno “stare insieme ai figli di età fino a 6 anni e non più solo fino ai 3”. Ma i Radicali pongono la necessità di ulteriori miglioramenti: la possibilità di assistere in ospedale i bambini malati, l’eliminazione del passaggio dal giudice di sorveglianza per essere assegnati a un Icam, l’anticipazione della legge al 2012 dal 2014 e in prospettiva l’estensione anche ai padri della normativa. “L’Icam di Milano - hanno affermato Perduca e Cappato - è l’unico istituto in Italia e uno dei pochissimi in Europa che finalmente applica la Costituzione laddove si prevede la rieducazione del detenuto: le madri vivono in situazione quasi di casa-famiglia con grande socialità e servizi di scolarizzazione e per apprendere lavori futuri. In Italia ci sono una trentina di altre madri con bambini e questo per noi è il modello di come devono essere trattate”. Giustizia: processo Cucchi; Gup: Stefano ricoverato per nasconderlo e non curarlo Apcom, 29 marzo 2011 Stefano Cucchi, “doveva essere necessariamente internato” nella struttura sanitaria protetta dell’ospedale Sandro Pertini per “evitare che soggetti estranei all’amministrazione penitenziaria prendessero cognizione delle tragiche condizioni in cui era stato ridotto” e che tutto “venisse portato a conoscenza dell’autorità giudiziaria”. La scelta fu adottata, ben sapendo che il Pertini non fosse una struttura adeguata, “per tenere Cucchi al riparo da sguardi indiscreti sottraendolo intenzionalmente a tutte le cure di cui aveva bisogno”. Così afferma il giudice Rosalba Liso nelle motivazioni della sentenza emessa il 25 gennaio scorso nei confronti del funzionario del Prap (provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria) Claudio Marchiandi, condannandolo a due anni di reclusione. A giudizio sono stati mandati 12 imputati, tre agenti penitenziari per il presunto pestaggio di Cucchi avvenuto nelle celle del tribunale di Roma, sei medici e tre infermieri del Pertini. “Le condizioni fisiche di Stefano - afferma il giudice - erano palpabili e visibili a ciascuno, erano ben note nel contesto della polizia penitenziaria per la pluralità di soggetti che l’avevano visto ed accompagnato. Non c’era spazio a dubbi di sorta in ordine al fatto che Stefano fosse stato picchiato”. Secondo il giudice Marchiandi abusò delle proprie funzioni di pubblico ufficiale, e violò il protocollo vigente tra la Asl e il Prap, tutto per imporre il ricovero di Cucchi al Pertini, dove si presentò - così come ricostruito anche dai pubblici ministeri Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy - di sabato pomeriggio fuori dal turno di lavoro consentendo l’ingresso del detenuto in un reparto in cui “Stefano non doveva assolutamente entrare poiché trattavasi di un paziente di un fase di acuzie”. Non solo, Marchiandi “ha concorso alla falsa rappresentazione delle reali condizioni di Stefano (attraverso il falso certificato medico redatto dalla dottoressa Rosita Caponetti) così determinandone l’ingresso al reparto protetto del Pertini, che non sarebbe stato altrimenti in alcun modo possibile”. Secondo la ricostruzione del giudice ad “attivare” Marchiandi sarebbe stato lo stesso direttore del carcere di Regina Coeli, Mauro Mariani, dove Cucchi era detenuto: “È di tutta evidenza che l’imputato (Marchiandi) - si legge nella sentenza - con una condotta che in più occasioni è stata coralmente definita a dir poco anomala ha in primo luogo cercato di eludere le indagini occultando la circostanza che Stefano fosse stato picchiato e che aveva appreso con ragionevole certezza, duole, dirlo in primo luogo dal direttore del carcere Mariani”. E poi poco più avanti sul punto si aggiunge: che lo stesso responsabile della struttura penitenziaria fu “investito da subito della questione concernente le condizioni di salute di Stefano poiché il dottor Degli Angioli (il medico del presidio medico del carcere che visitò Cucchi disponendone con urgenza il ricovero, ndr.) aveva già ricevuto un non troppo larvato ostruzionismo da parte degli stessi agenti della polizia penitenziaria che avrebbero dovuto occuparsi del trasferimento di Stefano presso il vicinissimo Fatebenefratelli, i quali avevano addotto le più banali scuse”. Mariani, a parere del giudice, insomma “si è limitato ad invitare Degli Angioli a chiamare un’ambulanza che sarà chiamata intenzionalmente dagli agenti solo due ore dopo e dopo che costoro avessero tentato in tutti i modi a farlo desistere dalle sue determinazioni. In tale contesto il direttore Mariani non ha velocizzato i tempi, non ha autorizzato una vettura di servizio, un autista, ha soltanto dato l’autorizzazione per un’ambulanza, che poi i suoi agenti hanno chiamato all’ultimo minuto”. Lettere: nell’intervista rilasciata ieri da Ionta emerge il fallimento dell’azione di Governo di Riccardo Polidoro (Presidente “Il Carcere Possibile Onlus”) Ristretti Orizzonti, 29 marzo 2011 Intervista del Dott. Ionta a “repubblica.it”: le parole sono le stesse del gennaio 2010, quando il Consiglio dei Ministri proclamò lo stato di emergenza negli Istituti di Pena. Si torna a parlare di “pilastri” che dovrebbero risolvere i problemi degli Istituti di Pena italiani. Più di un anno fa i “pilastri” che il Ministero si accingeva a mettere in campo erano quattro: 1) Edilizia Penitenziaria; 2) detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua; 3) Messa alla prova delle persone imputabili fino a tre anni; 4) Assunzione di 2.000 nuovi agenti di polizia penitenziaria. Nell’intervista emerge il fallimento dell’azione di Governo. Si parla di “condizione di precarietà” , mentre sarebbe stato più corretto dire che vi è uno “stato di emergenza” proclamato ufficialmente dal Consiglio dei Ministri da ormai 15 mesi, che non ha visto alcun intervento concreto. Mentre il Piano per l’Edilizia Penitenziaria non trova attuazione, palese è l’assoluto fallimento della c.d. “svuota carceri” che, come dichiarato dallo stesso Capo del Dipartimento, ha visto uscire per andare agli arresti domiciliari solo 1.600 persone, a fronte dei 7.000 annunciati e sta ingolfando i Tribunali di Sorveglianza, già in difficoltà. Di “messa alla prova” non si è più parlato e l’assunzione dei 2.000 agenti non è avvenuta. Non sarebbero stati questi “pilastri” a risolvere il problema del sovraffollamento, come più volte abbiamo detto proponendo la strada giusta da percorrere, ma l’inefficacia dell’azione politica è davvero preoccupante, come lo sono le parole del Capo dell’Amministrazione Penitenziaria che, a fronte dell’assenza totale di risposte, ripete cose già dette, che dovrebbero destare irritazione non solo nei detenuti, ma anche nello stesso personale di polizia penitenziaria di cui egli dice di andare orgoglioso. Lettere: educatori penitenziari; insoddisfacente la risposta del sottosegretario Casellati Ristretti Orizzonti, 29 marzo 2011 Ai deputati della Conferenza dei Presidenti di Gruppo. Ai deputati della commissione giustizia della camera. Ai senatori della commissione giustizia del senato. Egregio Onorevole, la presente, per richiamare la Sua attenzione sull’annosa vicenda riguardante l’immissione in ruolo degli ultimi 44 vincitori del concorso a 397 posti di educatore penitenziario, bandito dal Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nell’ormai lontano aprile 2004. Recentemente invitato a rispondere in Commissione alle domande promosse dalle interrogazioni n. 5-04298 e n. 5-04314, firmate rispettivamente degli On.li Cassinelli e Ferranti, il Ministro Alfano, nella persona del Suo portavoce - Sottosegretario On. Alberti Casellati - in data 23 marzo u.s. dopo un’accurata ricostruzione dell’iter concorsuale - che tutti noi ahimè ben conosciamo per quotidiana e viva esperienza personale - si è limitato a segnalare che è attualmente in atto “uno studio per ricomprendere l’Amministrazione penitenziaria tra i destinatari di una deroga all’applicazione dell’ulteriore riduzione della dotazione organica di personale, prevista dal citato articolo 2, comma 8-bis, della legge 25/2010”, legge, quest’ultima, che ad oggi impedisce le assunzioni suddette, come peraltro quelle dei successivi idonei in graduatoria alle quali il Governo in carica si era formalmente impegnato, giusta mozione n. C 1/00301 a suo tempo approvata dalla Camera dei Deputati all’unanimità di voti. Nulla più; nulla riguardo i tempi entro cui addivenire alla menzionata deroga, a solo ed esclusivo discapito dei diritti vantati dai 44 educatori in riferimento e delle legittime, acquisite aspettative dei restanti idonei che vedono costantemente ignorati gli impegni scaturenti da un atto parlamentare di particolare rilevanza quale è la mozione da ultimo citata . Eppure la semplice e rigorosa interpretazione dell’art. 5 della recente legge n. 199/2010 sulla “Esecuzione presso il domicilio delle pene”, basta essa stessa ad escludere il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dal blocco delle assunzioni attualmente vigente, laddove testualmente tale articolo dispone la “necessità di adeguamento numerico e professionale della pianta organica del Corpo della Polizia Penitenziaria e del Personale Civile del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia anche in relazione all’entità numerica della popolazione carceraria e al numero dei posti esistenti e programmati nonché al numero dei condannati in esecuzione penale esterna”, lasciando così chiaramente trasparire come l’organico attuale del personale civile del Dap sia inadeguato, per difetto, a fronteggiare persino la gestione ordinaria della vita degli istituti carcerari e pertanto non assoggettabile ad alcun vincolo riduzione . La carenza del personale civile Dap raffrontata all’entità numerica della popolazione detenuta è agghiacciante. I dati del 20 marzo 2011 rivelano che la popolazione detenuta è pari a 67.318 detenuti (64.370 uomini e 2.948 donne) a fronte di una disponibilità reale di posti detentivi pari a 45059. Un surplus di 22.259 detenuti in più rispetto alla massima capienza che determina un indice medio nazionale di affollamento pari al 54,2 % Come ben noto , l’Esecutivo il 13 gennaio 2010, preso atto delle necessità non più rinviabili, ha decretato lo stato di emergenza per le carceri - recentemente prorogato con Dpcm dell’11 gennaio c.a. - al fine di arginare quella che tutt’ora si palesa come una vera e propria crisi del sistema penitenziario. La non più rinviabile assenza degli educatori penitenziari dalle strutture di pena, aggrava ed aggraverà in un incontenibile crescendo il clima e la vita detentiva dei ristretti e dei medesimi operatori in servizio poiché molti detenuti non riescono ad usufruire per anni di colloqui con gli educatori non conseguendo, da ultimo, alcun giovamento dal loro ingresso nello stato restrittivo. Per i motivi appena esposti e per fugare quanto prima i dubbi e le incertezze che inevitabilmente attanagliano la vita degli educatori in attesa di prendere servizio presso le strutture alle quali sono stati assegnati già da circa un anno e dei restanti idonei, La preghiamo, Egregio Onorevole, di sollecitare con estrema urgenza ed in tempi rapidi la calendarizzazione, per la sua discussione in Assemblea, della mozione n. 3 01530 (firmatario On. le A. Di Stanislao) sulle tematiche fin qui delineate necessitanti di un’opportuna e repentina definizione. Restando in attesa di una Sua risposta, il Comitato coglie l’occasione per porgerLe cordiali saluti. Il Comitato vincitori idonei concorsi educatori Dap Referente Avvocato Anna Fasulo Sardegna: interrogazione parlamentare sulla situazione della sanità penitenziaria Ristretti Orizzonti, 29 marzo 2011 Atto Camera. Interrogazione a risposta scritta, presentata da Amalia Schirru mercoledì 23 marzo 2011, seduta n. 451, sulla necessità di promuovere apposite ed urgenti iniziative ispettive su quanto sta accadendo in Sardegna e nel Paese in merito alla sanità penitenziaria; sulla situazione del carcere di Uta; su quali iniziative di competenza si intenda intraprendere al fine di scongiurare l’ipotesi sospensione della somministrazione delle cure ai detenuti negli istituti della regione Sardegna e per dare effettiva attuazione alla riforma della medicina penitenziaria”. Al Ministro della giustizia. Per sapere - premesso che: nonostante le numerose sollecitazioni d’intervento, la situazione nelle carceri sarde non migliora: ai disagi e alla precarietà - spesso dovuta alle carenze strutturali e degli organici del personale, che deve prestare servizio per garantire correttamente le attività - si aggiunge da qualche tempo la protesta dei medici di guardia Sias (Servizio integrativo di assistenza sanitaria) e degli infermieri parcellisti che lavorano senza percepire lo stipendio. Dall’inizio dell’anno non vengono pagate le retribuzioni. Un problema che si ripropone e che puntualmente sembra avviato sulla strada della soluzione, salvo tornare nelle stesse condizioni di prima; come si apprende dalla stampa e da alcuni incontri avuti con il personale medico, negli ultimi giorni è circolata la notizia che l’assessorato regionale alla sanità avrebbe stanziato dei fondi per la sanità penitenziaria, ma nella realtà mancano certezze su come e da chi verranno gestiti, in virtù del fatto che le competenze non sono state erogate ai medici, psicologi ed infermieri parcellisti (che poi sono quelli che garantiscono la cosiddetta “continuità assistenziale” ai detenuti che popolano gli istituti penitenziari sardi). Così i medici parcellisti che lavorano nelle carceri isolane continuano a lavorare senza stipendio e senza risposte: solo la professionalità e l’abnegazione hanno portato i medici a continuare ad assicurare un servizio fondamentale per le persone in carcere; non si hanno notizie in Sardegna del passaggio della medicina penitenziaria al sistema sanitario nazionale, nonostante il decreto, datato 1o aprile 2008, che detta il percorso. Sardegna e Sicilia sono le uniche due regioni in Italia che ancora non hanno attuato il passaggio. Dopo il lungo e travagliato iter per la stesura in commissione paritetica e l’approvazione a maggioranza del consiglio regionale della Sardegna, conclusosi però ben oltre due mesi fa, è gravissimo il ritardo accumulato dal Consiglio dei ministri sulla norma di attuazione per il trasferimento definitivo della sanità penitenziaria dallo Stato alla regione; la medicina penitenziaria versa in condizioni di assoluta precarietà per mancanza di mezzi e risorse e i medici, gli infermieri, e psicologi che lavorano nei 206 istituti penitenziari italiani continuano a portare avanti con difficoltà un’opera particolarmente importante e delicata a tutela della salute della popolazione detenuta, sebbene impossibilitati a provvedere al rinnovamento delle strutture e all’adeguamento del personale in sotto organico; il 13 febbraio 2011 è andata in onda su Rai 3 la trasmissione “Presa Diretta” del giornalista Riccardo Iacona dedicata alla questione delle carceri italiane, nell’ambito della quale sono state raccolte numerose testimonianze che hanno evidenziato in particolar modo il problema del sovraffollamento nelle carceri. Inoltre, dalla suddetta trasmissione, si apprende che negli appalti milionari delle carceri in Sardegna compare il nome dell’Anemone Costruzioni e soci, tristemente nota per essere al centro dello scandalo dei lavori del G8; la consegna dei lavori iniziati a novembre del 2006, inizialmente ipotizzata per giugno 2011, era già stata preceduta da contrasti e ricorsi amministrativi dei proprietari delle aree espropriate. Da un articolo de La Nuova Sardegna del 12 marzo 2011, risulta anche che l’apertura del nuovo carcere slitti al 2012 a causa dei ritardi del cantiere; è stato evidenziato “un problema di spazi, modesti in rapporto alla futura popolazione carceraria e agli organici di polizia penitenziaria, agenti, funzionari, psicologi e altro personale. Celle, uffici, sale per gli agenti, laboratori e strutture dove fare sport, sale comuni e sale colloqui, tutto sembra ridotto al minimo. In più, finestre e aperture verso l’esterno sono troppo ristrette”. Inoltre, sono ancora in fase di costruzione le strade di accesso al carcere e per via della discarica ubicata nei pressi, l’ambiente è malsano e insalubre e gli odori sono insopportabili, oggi per gli stessi operai del cantiere, ma un domani lo saranno per tutta la popolazione carceraria: detenuti e agenti; non si sa nulla rispetto agli arredi interni, e non è stato preso in considerazione il problema degli organici, che dovranno essere comunque incrementati in modo che non si lavori subito in piena emergenza. Già oggi il numero degli agenti in servizio a Buoncammino è chiaramente sottodimensionato rispetto alle esigenze. Non è stato fatto neppure lo studio delle cosiddette “fasi di servizio”, che mette in conto degli organici un 35 per cento in più per le necessarie ferie, i congedi e i riposi; la necessità di risparmiare ha provocato anche questo tipo di problemi, moltiplicando quindi le proteste da parte della commissione interna degli agenti che lamentano mancanza di “dignità a chi lavora nel carcere ma anche a chi sconta la pena”; nel progetto iniziale erano previsti 550 posti per detenuti (400 comuni, 100 ad alta sicurezza, 30 riservati alle donne e 30 ai reclusi in semilibertà). Ad aggiudicarsi la gara, inizialmente fissata su 72 milioni di euro, è stata la società Opere pubbliche. I lavori sono stati divisi in due fasi per un costo complessivo di 85 milioni di euro. Il primo gruppo da 42 milioni di euro è stato completato. Nella seconda fase da 43 milioni di euro sono realizzati aumenti di volumetrie. Il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) aveva fissato i tempi dei lavori, che dovevano essere conclusi entro marzo 2011, ma che, è noto, slitteranno di circa sei mesi; nel nuovo istituto di pena dovrebbero essere realizzati anche gli edifici destinati agli agenti di polizia penitenziaria e al personale amministrativo. Il progetto prevede la costruzione di sei palazzine dove saranno alloggiati circa 80 poliziotti. Ancora, non si conosce con quale personale verrà gestito e se saranno realizzate le infrastrutture necessarie ad assicurare il trasporto del personale e dei parenti in visita; in assenza ancora del nuovo provveditore regionale, parrebbe che nel nuovo carcere saranno ospitati anche i detenuti che scontano condanne di mafia e terrorismo. Per cui, dalla data di consegna al netto dei collaudi del carcere di Uta, potranno arrivare i boss di Cosa Nostra, della camorra e della ‘ndrangheta nella sezione di massima sicurezza che dovrà essere predisposta allo scopo. Un problema che si aggiunge ai tanti segnalati dai sindacati e dalle tante interrogazioni parlamentari a cui non si dà risposta -: se il Ministro sia a conoscenza di quanto sta accadendo in Sardegna e nel Paese in merito alla sanità penitenziaria e se non ritenga di promuovere apposite ed urgenti iniziative ispettive; quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di scongiurare l’ipotesi sospensione della somministrazione delle cure ai detenuti negli istituti della regione Sardegna e per dare effettiva attuazione alla riforma della medicina penitenziaria; se il Governo sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa inerenti al carcere di Uta e quali iniziative intenda adottare per rimediare ai problemi sopra evidenziati; quali informazioni sia in grado di fornire sul nuovo carcere di Uta, in particolare quale sarà l’organico previsto per le diverse funzioni, se si stiano realizzando le infrastrutture necessarie ad assicurare il trasporto del personale e dei parenti in visita nel piccolo comune in provincia di Cagliari e se la notizia del trasferimento dei detenuti in regime di 41-bis corrisponda al vero. Sardegna: Sdr; su sanità penitenziaria Cappellacci faccia sentire voce in Cdm Adnkronos, 29 marzo 2011 Una vicenda vergognosa che umilia la Sardegna. Il Presidente della Regione Ugo Cappellacci faccia sentire la sua voce, altrimenti ancora una volta la sanità penitenziaria resterà al palò. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, aggiungendo che “l’emergenza sanitaria per i detenuti non trova soluzione per l’incapacità del Consiglio dei Ministri di assumere una determinazione ormai non più rinviabile”. “La Presidenza della Regione esca dal letargo - sottolinea Caligaris - richiamando il rispetto della Costituzione e dei diritti dei cittadini privati della libertà oltre che dei Medici e degli infermieri impegnati nel garantire un servizio. L’assessore della sanità sostiene che è stato fatto tutto il dovuto dal Consiglio regionale ma la voce del Governatore su questo tema non si percepisce. Non è più tempo di palleggiarsi le responsabilità ma di restituire dignità e senso a chi si trova in stato di detenzione nei 13 Istituti penitenziari dell’isola. “Chiedere tempestività al Governo è necessario e occorre anche - prosegue la Caligaris - che vengano attivate quelle azioni preliminari che consentano di attuare concretamente il passaggio della sanità alle Aziende Sanitarie Locali. Non si comprende perché non sia stato ancora convocato un tavolo di concertazione tra Regione e Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, peraltro a tutt’oggi senza un responsabile. È urgente definire i referenti per ciascuna Asl individuando il punto di riferimento per ogni specialistica. Per Cagliari - Buoncammino si può pensare a una corsia preferenziale per le urgenze e alla definizione del servizio di Guardia Medica. “A furia di lasciare in alto mare la questione delle professionalità mediche e infermieristiche che da decenni prestano servizio nel carcere c’è il serio rischio - conclude la presidente di Sdr - che la barca affondi. La sanità penitenziaria riguarda in Sardegna direttamente circa 2.300 detenuti, alcune centinaia di medici e infermieri, condiziona pesantemente la vita degli Agenti di Polizia Penitenziaria e dei familiari dei ristretti”. Venezia: rettifica al comunicato sulla morte del detenuto 34enne a Santa Maria Maggiore Ristretti Orizzonti, 29 marzo 2011 La direzione della Casa Circondariale ci ha inviato una Nota nella quale rileva alcune “rilevanti inesattezze” nel comunicato che abbiamo diffuso ieri con il titolo “Venezia: detenuto 34enne suicida; accusato di estorsione all’ex compagna”. Queste le inesattezze rilevate: “Il numero dei suicidi avvenuti in questa Casa Circondariale nell’anno 2009 è due e non tre, come invece è stato riportato nel testo dell’articolo”. “Il riferimento al detenuto ventiseienne marocchino Mohamed P. è errato e per la vicenda descritta, che riguarda un altro ristretto con diverso nominativo, si è ancora in attesa di provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria competente”. “L’Ispettore Capo di P.P. Domenico Di Giglio non era di servizio con le mansioni di sorveglianza generale il giorno del suicidio”. Venezia: aperta un’inchiesta sul suicidio in carcere di Ilie Nita Il Gazzettino, 29 marzo 2011 Il sostituto procuratore Lucia D’Alessandro ha aperto un’inchiesta sulla morte di Ilie Nita, il trentaquattrenne di nazionalità romena che si è suicidato domenica nel bagno della sua cella. Il magistrato di turno ha aperto un fascicolo e ha iniziato ad acquisire tutti gli elementi utili per ricostruire l’episodio. Un mese fa, il giovane aveva già tentato una volta di togliersi la vita. Nita, residente a Vigonovo, era detenuto dallo scorso 10 febbraio con l’accusa di estorsione nei confronti della ex compagna, dalla quale con minacce e intimidazioni si era fatto consegnare 300 euro. Estorsione messa a segno pochi giorno dopo essere uscito dal carcere per un’altra vicenda. Il pm che coordinava questa indagine, Francesca Crupi, aveva chiuso l’inchiesta a tempo di record, tanto da aver già chiesto per lui il processo, che si sarebbe dovuto celebrare tra breve davanti al giudice per l’udienza preliminare Maria Rosaria Minutolo. Il difensore di Ilie Nita, l’avvocato Guido De Santis, ha ricordato di aver incontrato il suo cliente un paio di settimane fa e di avere discusso con lui di aspetti processuali: “Nulla faceva presagire le sue intenzioni”, ha dichiarato il legale. Su Santa Maria Maggiore, la procura ha in corso altre due inchieste per verificare la sussistenza di eventuali responsabilità nei decessi dei detenuti. Venezia: Associazioni; condizioni carcere peggiorate, serve un’alternativa alla detenzione Il Gazzettino, 29 marzo 2011 Le associazioni che lavorano costantemente con la struttura carceraria lagunare hanno appreso con un prevedibile dolore la notizia dell’ennesimo suicidio a Santa Maria Maggiore. “Ogni episodio di questo genere per noi è una sconfitta, un grande dolore - dice Maria Teresa Menotto del Granello di senape - sicuramente il carcere maschile è davvero tanto affollato e questo problema andrebbe risolto. Ma non è solo in questo modo che si risolvono i problemi di chi si trova all’interno”. Secondo la Menotto, infatti, è necessario che il Governo stanzi le somme necessarie per far funzionare le strutture, in particolare sul fronte delle iniziative riservate ai detenuti. “Negli ultimi anni - aggiunge - per i detenuti c’è stato meno lavoro e questo dipende dal fatto che negli istituti di pena sono arrivati meno fondi. Ma davanti ad un suicidio dobbiamo anche tenere presente le varie storie personali, in particolare per gli stranieri. Per loro è davvero difficile stare in carcere, non ci sono contatti con le rispettive famiglie e quando escono dalla prigione si ritrovano in difficoltà. Insomma, dati alla mano abbiamo accertato che quando vengono avviate forme alternative per il recupero, c’è sempre una maggiore possibilità di reinserimento. E quindi bisogna continuare su questo fronte, il progetto del nuovo carcere personalmente non mi convince”. Per Giampietro D’Errico, presidente della cooperativa Rio Terà dei pensieri, il problema del sovraffollamento ha effetti devastanti. “In carcere non manca solo la libertà - dice D’Errico - ma manca proprio la possibilità di fare qualsiasi cosa in modo normale. Il sovraffollamento, infatti, incide su tutto: c’è tanta gente nelle camerate, ci sono code per andare in bagno, per mangiare. In un contesto simile tanti detenuti perdono ogni forma di speranza. A tutto questo si aggiunge il fatto che le ore d’aria sono state ridotte, sono infatti passate da due a una. Insomma, chi è in carcere assiste ad un costante peggioramento della propria condizione di vita”. Venezia: i Sindacati di Polpen; serve più lavoro, bisogna far uscire i detenuti dalle celle Il Gazzettino, 29 marzo 2011 “Chi sta dentro non può essere lasciato inattivo per 22 ore al giorno, serve più lavoro”. Dall’inizio dell’anno, in Italia, i suicidi in carcere sono stati 15 e quello di domenica pomeriggio, con il decesso del 34enne romeno Ilie Nita, è il secondo in sei mesi nel carcere veneziano. La situazione a Santa Maria Maggiore, dove nel 2009 ci sono stati tre suicidi, resta quindi molto problematica e la Uil scende in campo per segnalare che nel carcere lagunare ci sono stati anche 10 tentati suicidi in appena tre mesi. “Il sistema penitenziario - dice Giuseppe Sconza della Uil penitenziari - si sta avviando inesorabilmente verso il baratro”. L’ennesimo decesso nella struttura carceraria veneziana, sul quale stanno indagando i carabinieri di Venezia, torna prepotentemente a riproporre il tema della vivibilità in una struttura che da troppo tempo viene reputata inadeguata, con oltre il doppio dei detenuti previsti (363 al posto di 168). Filomeno Porcelluzzi, del Sappe, davanti all’ennesimo dramma tra le sbarre, lancia un appello per fare in modo che ai detenuti venga data la possibilità di essere attivi. “Il Governo non sta affrontando i veri nodi, all’interno delle strutture carcerarie - spiega il sindacalista della guardie carcerarie - è necessario che torni il lavoro. Non si possono trascorrere 22 ore al giorno senza un’occupazione, bisogna seguire l’esempio tedesco dove il 70 per cento dei detenuti lavora quotidianamente. È necessario un progetto di recupero vero”. Secondo il sindacato, che ricorda che molte strutture penitenziarie in Italia non sono praticamente attive, l’idea di creare il nuovo carcere a Campalto non porterebbe grandi benefici ed è per questo che il Sappe ha anche inviato una lettera al Consiglio comunale di Venezia. “In maniera provocatoria - si legge nella lettera firmata da Porcelluzzi e da Michele Di Noia - indichiamo noi l’ennesimo sito: Forte Marghera. L’ex Forte sarebbe dal punto di vista logistico, l’ideale congiunzione tra Venezia e la terraferma, le scorte in breve tempo potrebbero raggiungere l’ormai prossima sede giudiziaria in Piazzale Roma, inoltre sarebbero vicinissime le sedi giudiziarie mestrine (Monocratico, Bunker e Tribunale Minori), senza dimenticare che sarebbe raggiungibile anche via acqua”. Secondo il sindacato Osapp, infine, “sono finite nel completo oblio le disposizioni, allora tanto propagandate dal capo del Dap Franco Ionta, per la costituzione di gruppi di ascolto all’interno delle carceri contro il fenomeno dei suicidi”. Forlì: Pd; situazione della Casa Circondariale è più critica in Regione www.romagnaoggi.it, 29 marzo 2011 “Caldo, umidità, sovraffollamento, carenza di personale questa è la situazione in cui si trova la maggior parte degli istituti carcerari. In particolare nel carcere di Forlì si aggiungono anche le crepe sui muri, le celle anguste e soffocanti che sono caratteristiche intrinseche alla struttura. Le celle singole sono state adibite a doppie e non mancherà molto che dovranno diventare triple”. Il nuovo allarme viene lanciato dai consiglieri regionali del Pd, Thomas Casadei e Tiziano Alessandrini. “Dove sono finiti i diritti di queste persone? Ormai la situazione è giunta ad un livello insopportabile: i parecchi casi di autolesionismo ne sono una triste conferma. Il carcere di Forlì registra la situazione più critica in assoluto su scala regionale, come da più parti si è fatto rilevare e come più volte abbiamo cercato di segnalare. Il governo non può stare anche questa volta a guardare lasciando le comunità locali con le mani legate a cercare di risolvere un problema che attiene i diritti delle persone detenute e quelli del personale penitenziario”. “Se il governo intende mantenere lo stato di sicurezza riempiendo gli istituti come magazzini di stoccaggio di certo ci sta riuscendo. L’amministrazione comunale di Forlì, sotto questo profilo, non può sostituirsi allo Stato - sottolineano Casadei e Alessandrini - Più volte è stato opportunamente e con forza sollevato, anche dalla stessa amministrazione, il problema dell’igiene pubblica e della sicurezza della struttura. Nonostante ciò il silenzio del Ministero della Giustizia continua a rimanere tale; nonostante nel gennaio 2010 si siano fatte dichiarazioni importanti: ampliamento delle strutture esistenti, costruzione nuove carceri, aumento del numero di dipendenti. Peccato che la situazione sia sempre la stessa e che finisca per non essere rispettato l’art. 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. “La soluzione per il sovraffollamento non è il condono per i piccoli reati: si tratta di una soluzione temporanea perché chi ha commesso un reato ritorna a compiere il fatto dopo qualche anno se non ha seguito un percorso di reintegrazione nella società. Bisognerebbe invece potenziare e incentivare l’intervento della società civile e quindi collaborare con terzo settore e cooperative che potrebbero dare una mano a lungo questa strada. Purtroppo per fare questo servono piani concreti e non soltanto propagandistici come quelli fatti dal Ministro Alfano”. “La sofferenza non è solo dei detenuti ma anche del personale di sorveglianza che si trova ad affrontare ogni giorno questa situazione di degrado e di impotenza ma anche di potenziale rischio. Il numero di agenti non è sufficiente. La mancanza di organico contribuisce ad aggravare una situazione che è ormai sul punto di esplodere, come abbiamo avuto modo di riscontrare anche con una visita compiuta qualche mese fa”. “Nonostante questo quadro davvero non degno di un paese civile e la mancanza di reali piani da parte del governo, non intendiamo di certo rassegnarci e, nel ribadire la nostra vicinanza al personale e agli agenti e la necessità di rispettare i diritti fondamentali dei detenuti, esprimiamo pubblicamente il nostro sostegno alla manifestazione indetta dalla Cgil per mercoledì 30 marzo e ad altre forme di mobilitazione che porranno la questione all’attenzione della cittadinanza e delle istituzioni competenti sulla scala nazionale”. Cgil: situazione grave "Il carcere di Forlì è malato a.a.a. cercasi medico curante". Questo appello si legge in un volantino della Cgil e la Fp Cgil Forlì che annuncia una manifestazione per il 30 marzo, dalle 10 alle 12 presso la casa circondariale di via Della Rocca, entrata a fronte sede Ausl - Medicina del lavoro. L'organizzazione sindacale manifesterà con gli operatori del carcere "per denunciare alla cittadinanza ed alle istituzioni la grave condizione della casa circondariale. Dignità per i lavoratori e per il carcere di Forlì". La Cgil fa il punto: "Il mondo carcerario è in crisi, il carcere di Forlì è sovraffollato di detenuti, è in grave carenza di personale, è sporco, infestato da topi, scarafaggi, sciami di zanzare, una vera discarica con quantità industriali di escrementi di piccione. A chi importa di tutto questo? Il piano carcere del governo si è rivelato sotto tutti i punti una vera bufala. Sorge il dubbio che il governo voglia l'autogestione degli istituti penitenziari da parte dei detenuti". Lecce: detenuto tenta il suicidio, ricoverato all'Ospedale “Vito Fazzi” in gravi condizioni Ansa, 29 marzo 2011 Un detenuto, originario di Gallipoli, nel pomeriggio di ieri ha tentato il suicidio in una delle celle del carcere leccese. E' ora ricoverato al “Vito Fazzi”. Sono gravi le condizioni del detenuto che ieri pomeriggio ha tentato di togliersi la vita impiccandosi nel carcere “Borgo San Nicola”. Solo grazie all'allarme lanciato dal compagno di cella e al tempestivo intervento degli agenti di polizia penitenziaria si è potuto evitato il peggio. L'uomo, sulla quarantina e originario di Gallipoli, è stato immediatamente accompagnato all'ospedale “Vito Fazzi”, dove si trova ora ricoverato in rianimazione. Trani (Ba): arrivano 150 detenuti, criticità per sovraffollamento e carenza di polizia www.traninews.it, 29 marzo 2011 Le Organizzazioni del “Cartello Unitario Sindacale”: Inizia la primavera infuocata nelle Carceri Pugliesi Osapp, Cisl Fns, Cgil Fp, Uil Penitenziari, Ugl Pp, Sinappe, e Fsa Cnpp, Maggiormente rappresentative a livello nazionale e Regionale, Locale di oltre il 70% del personale di Polizia Penitenziaria sindacalizzato, ricordano di non aver sottoscritto con il Vertice del Prap della Regione Puglia l’accordo sulla movimentazione dei 250 detenuti ristretti nella Seconda Sezione detentiva del Penitenziario del Capoluogo Barese, che per ovvi motivi di ristrutturazione dei reparti sono mobilitati in ambito delle Regioni del Sud Italia, Sicilia, Calabria e Centro Italia, con una consistente numerosa forza, del 50% di quello attuale, dovrebbe poi essere destinato alla Sezione ex Massima Sicurezza, di seguito all’apertura dei nuovi reparti detentivi della Sezione cosiddetta “Italia”, che invece ospiterebbe le attuale 270 persone colà ristrette. Non hanno sottoscritto alcuno protocollo sulla base di una movimentazione detentiva che riguarderebbe circa 150 reclusi diretti per l’appunto nella citata Sezione “Italia” di Trani o, in alternativa Sezione Ex Massima Sicurezza, o Blu che sia della stessa Città Penitenziaria, atteso che, il Provveditorato Regionale della Puglia, non ha inteso rispettare i precedenti accordi datati nel tempo , disponendo, oggi, a lavori terminati nelle sedi Penitenziarie della Puglia, vedi caso Brindisi, ma oggi anche Trani, la giusta restituzione di tutto quel personale di polizia inserito nel Dm dell’8.2.2001 facente carico organici della singola struttura Penitenziaria ed effettivo nella sede ristrutturata, ma bensì distaccando ulteriore personale dalle sedi con maggiori criticità, come: Foggia - Brindisi - Taranto e Bari finalizzato a sopperire il fenomeno del rimpiazzo detentivo su Trani. Già in sede di discussione del 23 febbraio 2011 e durante la formale firma del verbale avvenuta data 2 marzo 2011 tutto il “Cartello Sindacale “ del Comparto Sicurezza, motivarono, argomentando ampiamente il proprio dissenso, nel contempo, invitarono l’amministrazione Regionale reggente nella persona del dottor Salvatore Acerra a disporre, per lavori urgenti nei Reparti detentivi del Capoluogo Pugliese (Bari) il trasferimento di tutta la Popolazione detenuta ivi ristretta pari a 250/270 detenuti in località esclusivamente extraregionali. Invero è notizia che, diversamente dalle motivate ed argomentate legittime richieste del “Cartello Sindacale” Comparto Sicurezza, ben 130/160 detenuti da Bari sarebbero diretti, a breve tempo, nella ex Sezione Massima Sicurezza di Trani. In tale sede (Trani) sebbene la capienza regolamentare preveda per struttura al completo solo 220 reclusi, oggi una sola Ala detentiva già ospita 260/280 reclusi, forza detentiva se aggiunte alle 130/160 provenienti da Bari ed alle 45 circa della Sezione Femminile Crf, il numero sale vertiginosamente tanto da richiedere alle già 300 unità di Polizia, almeno il supplemento degli organici nella misura del 30% del personale in più nelle due sedi Penitenziarie della Città Tranese. Il “Cartello Sindacale” non può che stigmatizzare l’assunto comportamento unilaterale e discutibile del Prap reggente della Puglia, un comportamento disuso e deplorevole anche sotto l’aspetto organizzativo - operativo della avviata fase di trasferimenti dei 250 detenuti da Bari, dove non ha visto, senza alcuna spiegazione, il sostegno delle circa 55 unità di Polizia del Prap e degli Uffici esterni che comunque fanno capo al provveditorato, mentre in momenti così difficili si impegnano lavoro straordinario e personale in altre attività di alquanto distanti dalle esigenze degli Istituti di Bari e Trani. Uomini e donne dei Baschi Azzurri in forza agli Istituti di Pena attinti dalla citata operazione di sfollamento, per giunta, da sedi dichiarate in forte criticità. La Puglia è una Regione che con le sue quindici strutture penitenziarie può ospitare solo 2.550 detenuti regolamentari, contrariamente a ciò sono presenti 4.550 detenuti a fronte di un controllo e Sicurezza ridicola ed affidata nei quattro quadranti lavorative a 2.700 poliziotti, mentre necessitano almeno ulteriori 500. Criticità nei servizi, nella vigilanza, nelle traduzioni e quanto mai nei Reparti detentivi ricorrono le segnalazioni dai Sindacati di Polizia nella sede di: Lecce - Taranto - Brindisi - Bari - Trani - Foggia - Lucera - Turi - San Severo - Altamura dove gli organici di Polizia sono nonostante tutto fermi all’8.2.2001, quando le Strutture avevano tutt’altra capienza e sistemi organizzativi interni di meno impegno ed impiego di polizia. Milano: rivolta all’Ipm “Beccaria”, in tre danno fuoco alla cella Il Giorno, 29 marzo 2011 Detenuti perquisiti, nascondevano un punteruolo per i tatuaggi. Si barricano e bruciano i materassi. Nella struttura posso essere ospitati massimo 45 detenuti, oggi ce ne sono 50. Paura l’altro ieri sera al carcere minorile Beccaria. Un gruppetto di detenuti, irritato per il sequestro di un loro oggetto da parte delle guardie, ha reagito dando fuoco ai materassi e barricandosi in cella. Per fortuna l’intervento rapidissimo degli operatori ha scongiurato il peggio. Ma la tensione è rimasta alta per tutta la notte. E qualcuno ipotizza che si possano verificare altri episodi a proposito della presenza di un detenuto accusato di avere ucciso una ragazza. Sono le 21 quando gli agenti penitenziari accompagnano nella cella del primo gruppo, tre giovani detenuti. Sono una ladruncolo romeno non ancora maggiorenne, (ma il suo nome compare al Beccaria almeno altre 5 volte) un sudamericano 18enne Victor Y, finito dentro per le solite storie legate alle gang latinoamericane e un terzo minorenne slavo. Un sorvegliante si accorge che uno dei tre, nasconde qualcosa di appuntito, lo ferma e lo perquisisce. L’oggetto misterioso è un rudimentale attrezzo molto in voga fra i baby detenuti per i tatuaggi. Una sorta di ferro molto appuntito, forse una penna, che viene resa “elettrica” in maniera tanto artigianale quanto pericolosa, collegandola ai fili elettrici strappati alla tv o alla radio. Soprattutto due dei tre reclusi, non hanno fatto mistero del loro disappunto ed hanno iniziato a protestare molto energicamente. Una protesta che è lievitata una volta chiusa la porta, perché i tre ragazzi hanno ammassato i letti a ridosso della porta e gli hanno dato fuoco. (sembra però che a tutte queste intemperanze non abbia partecipato uno dei tre del gruppetto che non avrebbe avuto - forse non avrebbe nemmeno potuto - reagire e opporsi, al progetto dei compagni di cella). Il fumo nel giro di poco tempo ha invaso la piccola stanza ed è scattato l’allarme. Mentre i tre all’interno si riparavano con la testa fuori dalle sbarre alla finestra, gli agenti cercavano di aprire la porta e spegnere l’incendio. Rapidamente il rogo è stato domato e anche i tre ragazzi messi in salvo con leggerissima intossicazione. Intossicati sia pure in maniera molto blanda anche un paio di agenti. Incidente chiuso. Allarme finito. La direttrice Daniela Giustiniani lo liquida come un’intemperanza subito rientrata. Ma qualcuno, forse preoccupato che la situazione possa nuovamente esplodere, con un altro pretesto, snocciola le incongruenze dell’istituto minorile di via Calchi Taggi. Quello dei punteruoli artigiani è uno dei sequestri più frequenti, secondo solo ai telefoni. Mediamente un’ottantina di cellulari (ogni anno) vengono trovati illecitamente nelle celle. (Qualcuno - fa sapere radio carcere - li butta dall’esterno scavalcando il mura di cinta sul campetto interno al carcere.) Adesso le solite voci - inevitabilmente pessimiste - parlano di un nuovo problema legato all’arrivo di un ragazzo 17enne. Uno dei quattro minorenni arrestati per avere ucciso e bruciato una 14enne a Niscemi nel 2008. Piuttosto che continuare a rimanere in regime di isolamento è finito in una cella “comune”. Una soluzione che, se da un punto di vista “umano” è più che condivisibile, dal punto di vista delle regole non scritte del carcere può risultare molto rischiosa. Treviso: 19enne ai domiciliari per droga va su Facebook, torna in carcere Il Gazzettino, 29 marzo 2011 Tornare in carcere per colpa di Facebook. Connettersi al social network in regime di arresti domiciliari è infatti una violazione alla norma di divieto di comunicare con terze persone e Fabio Alvino, il 19enne trevigiano che è stato uno dei primi arrestati in merito all’inchiesta sul mefedrone, il 24 marzo scorso è stato prelevato dalla sua abitazione e portato in cella. Mai prima d’ora la piattaforma virtuale era stata la molla per far scattare un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Fatali al giovane, che deve rispondere di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti per essere stato beccato a vendere droga al “Bosco del Respiro” di Santa Bona, sono stati i messaggi lasciati nella sua bacheca ai quali diversi suoi amici hanno risposto. “Bella lì fioi se tutto dice bene tra 2 o 3 mesi ci si vede per un’estate da urlo!” scriveva Alvino il 3 marzo, ricevendo proposte di vacanza a Ibiza o a Lloret de Mar, “Io sono ancora qua...” il 17 marzo, e poi un piccolo pensiero il 23 marzo, l’ultimo prima di tornare in carcere: “Che tu possa avere sempre il vento in poppa, che il sole ti risplenda in viso e che il vento del destino ti porti in alto a danzare con le stelle”. Mai il giovane avrebbe pensato che i suoi gesti potessero riportarlo in galera. Il caso mefedrone si arricchisce dunque di un nuovo capitolo, a distanza di pochi giorni dall’appello in televisione lanciato dalla madre di Alberto e Riccardo Ongaro, i due fratelli in carcere da dicembre e considerati il vertice di un’organizzazione che si sarebbe arricchita spacciando tra i giovani questo nuovo tipo di sostanza stupefacente. Avevano detto agli investigatori di non essere i nuovi “Pablo Escobar”, ma con i loro acquirenti si sarebbero vantati di essere meglio della “Banda della Magliana”. Avevano anche respinto con forza le accuse dicendo di non essere dei narcotrafficanti ma intanto comunicavano in codice fingendosi i protagonisti di “Romanzo criminale”. Ogni personaggio chiamato in causa aveva il proprio nome per non essere riconosciuto, come ad esempio “il Dandi” o “il Freddo”. Anche gli investigatori della squadra mobile avevano il loro: “Scialoja”. E con Fabio Alvino avrebbero intrattenuto rapporti stretti allo stesso modo, tanto che lo stesso 19enne, a riprova del gioco di ruolo che avevano messo in piedi, nel proprio profilo di Facebook si fa chiamare Fabio “Libano” Alvino, proprio come “il Libanese” del libro di Giancarlo De Cataldo ispirato alla storia della “Banda della Magliana”. Santa Maria Capua Vetere (Ce): salute mentale in carcere; al via il corso di formazione Il Mattino, 29 marzo 2011 Rivolto agli operatori sanitari ed agli operatori penitenziari della casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, si articolerà in moduli di 4 incontri. Il 28 marzo ha perso il via il corso di formazione dal titolo: “Problematiche di salute mentale in carcere”, su iniziativa del Dsm ex Asl Ce/2, diretto dalla dottoressa Tiziana Celani. Il corso è rivolto agli operatori sanitari ed agli operatori penitenziari della Casa Circondariale di S. Maria C.V. e si articolerà in moduli di 4 incontri della durata di 2 ore, con cadenza settimanale. È prevista la partecipazione di massimo 20 partecipanti. È prevista la possibilità di più moduli in modo da poter coinvolgere più gruppi di operatori. L’iniziativa nasce dalla convergenza di intenti tra Distretto Sanitario 21, Dirigenza Sanitaria della Casa Circondariale , Direzione Penitenziaria e Dsm, nelle persone dei Dott. Giuseppe Ortano e Michele Aiossa, che dal passaggio delle competenze sanitarie alla Asl assicurano l’assistenza psichiatrica ai detenuti della Casa Circondariale di S. Maria CV. L’obiettivo di questa collaborazione inter istituzionale è quello di favorire l’approfondimento di temi e di pratiche nel campo della salute mentale allo scopo di perseguire una reale parità di trattamenti tra liberi e detenuti, a garanzia della piena dignità della persona ed a tutela della salute quale componente del trattamento rieducativi e del recupero sociale. Nuoro: studenti a confronto con i detenuti della Casa di Reclusione di Mamone La Nuova Sardegna, 29 marzo 2011 È una giornata sulla legalità. Ancora una volta un gruppo di detenuti lascia, per un giorno, la Casa di Reclusione di Mamone per incontrare la cosiddetta società civile e gustare quel senso di libertà perduta. Mercoledì 30 saranno a Galtellì per un gemellaggio con gli studenti della scuola media locale. Sono circa 15 detenuti-allievi della scuola media e di alfabetizzazione coinvolti nel progetto “Il carcere va a scuola”. “È un’iniziativa mirata a favorire il reinserimento sociale” ha sostenuto la professoressa Maria Lucia Sannio del Centro territoriale permanente per gli Adulti (Ctp-Scuola Media n 4 di Nuoro-dirigente Marco Caria) che, con i colleghi Bastiano Calia, Graziano Massaiu, Giovanna Cottu, Michele Falconi e alla maestra Luisella Falconi, in collaborazione con la bibliotecaria del carcere Maria Ausilia Montis, si è fatta interprete dell’iniziativa. Evidentemente col beneplacito del direttore Francesco Cocco e il sostegno degli educatori e polizia penitenziaria. La proposta di gemellaggio è stata accolta favorevolmente dal comune di Galtellì (sindaco Renzo Soro) e dalla scuola media del centro baroniese. L’incontro si divide in due fasi, che comprendono problematiche della legalità e ricerche su Grazia Deledda, lettura di toccanti scritti dei detenuti e introduzione alla conoscenza della scrittrice nuorese e al Parco Deleddiano con il suggestivo centro storico del paese, che visiteranno nel pomeriggio. Si preannuncia un confronto interessante con i ragazzi di Galtellì che evidenzieranno le loro conoscenze e porranno delle domande ai detenuti, per un giorno loro “pari”. “I detenuti - ha precisato Sannio - in questa giornata di confronto generazionale devono spiegare disagi e sofferenze all’interno del carcere, dare un messaggio positivo agli alunni, per evitare di commettere reati”. Dovrà scaturire una bella lezione: capire che aprire le porte del carcere e ospitare i carcerati significa che chi sconta la pena sono esseri umani e meritano fiducia, sfatando pregiudizi e porgendo loro una mano per farli guardare al domani. Serve a tutti, ai detenuti ma anche ai ragazzi, soprattutto quando il messaggio di legalità fiorisce dentro le mura in cemento armato e pesanti cancellate. Cagliari: all’Ipm la scrittura come educazione per superare i propri errori La Nuova Sardegna, 29 marzo 2011 I ragazzi dell’Istituto penale minorile di Quartucciu si affacciano al mondo della lettura e delle diverse forme di scrittura. Complice l’incontro con lo scrittore Gianni Mascia che, sabato pomeriggio, ha incontrato gli ospiti del centro di Quartucciu. “Si è trattato di un confronto e di uno scambio di opinioni da considerare come un’opportunità interessante per i ragazzi e anche un momento di dialogo - spiega il direttore dell’Istituto rieducativo Giuseppe Zoccheddu - poi trovo che il libro sia divertente ed interessante, certamente uno stimolo per i ragazzi”. La “rieducazione” di un giovane che ha commesso un errore può avvenire tramite diversi percorsi che utilizzano differenti canali. Un lungo processo, quello rieducativo, spiega il direttore, che parte dall’acquisizione della consapevolezza e della gravità di ciò che si è commesso senza giustificazioni personali. In questo processo sono decine gli educatori che ogni giorno seguono i ragazzi, parlano con loro, li coinvolgono in diverse iniziative e non li lasciano soli là dove la società li emargina. Da qui l’incontro con Gianni Mascia, che durante la serata ha letto un brano del suo nuovo libro Tzacca Stradoni!, storie di vita vera raccontate con molta ironia e un pizzico di divertimento. Storie di uomini che hanno sbagliato ma hanno saputo rimettersi in carreggiata e anche storie di altri che continuano a entrare e uscire dal carcere. La vita, insomma, descritta però con un linguaggio particolare “un idioma caratterizzato dall’italiano sgrammaticato e lo slang della mala cagliaritana utilizzato soprattutto una volta nelle carceri”, come spiega lo stesso scrittore. Durante queste settimane i ragazzi hanno avuto la possibilità di leggere il libro, confrontarsi e anche riconoscersi, in parte, nei diversi personaggi. Grazie a questa iniziativa (organizzata da Roberto Loddo dell’Associazione 5 novembre) diversi ragazzi interni all’Istituto, hanno scoperto la passione per la lettura, la scrittura e soprattutto la poesia. Un sistema per esprimere in modo più immediato le proprie sensazioni. Come Giacomo, così giovane e determinato allo stesso tempo che, attraverso l’arte della poesia, sta imparando a far venire a galla la parte più limpida e vera di sé. Bologna: incontro di educazione alla legalità presso l’Istituto penale per minorenni Ristretti Orizzonti, 29 marzo 2011 Oggi 29 marzo lo scrittore Alessandro Gallo ha incontrato i ragazzi dell’Istituto penale minorenni di Bologna nell’ambito di un percorso di educazione alla legalità promosso dall’area educativa dell’Istituto Bolognese e da insegnanti dell’Istituto Salvemini e dell’Istituto statale comprensivo n 1. Alessandro Gallo, ventiquattrenne scrittore e artista napoletano, autore di “Agguantame”, ci racconta storie terribilmente vere in cui domina la componente autobiografica in una Napoli che è quella del Rione Traiano, è la storia di chi riesce a sottrarsi ad un destino familiare, e grazie ai rari esempi di legalità familiare che Alessandro, inconsapevolmente, innesca il meccanismo del riscatto sociale. Un incontro molto intenso con i ragazzi dell’Istituto penale, che si sono confrontati con chi, poco più grande di loro, è riuscito a sottrarsi ai condizionamenti devianti del contesto familiare e sociale, e riscoprire una normalità che sa di relazioni sane, semplice quotidianità fuori dalle illusioni dei benefici di una vita nell’illegalità. Il percorso di educazione alla legalità proseguirà con ulteriori incontri. Droghe: per determinare “l’ingente quantità” contano il pericolo e le dosi ricavabili di Debora Alberici Italia Oggi, 29 marzo 2011 Si moltiplicano le pronunce di legittimità che hanno elevato la soglia per l’applicabilità dell’aggravante dell’ingente quantità. Infatti l’inasprimento di pena scatta al di là delle quantità prestabilite dalla Suprema corte tempo fa (2 kg per droghe pesanti e 50 per droghe leggere). Sarà il giudice, ha ribadito la Corte di cassazione con la sentenza numero 12404 depositata ieri, a valutare l’esistenza dell’aggravante alla luce di tre parametri (nessuna quantità prestabilita, dunque). E cioè, l’oggettiva eccezionalità del quantitativo sotto il profilo ponderale, il grave pericolo per la salute pubblica che lo smercio di un tale quantitativo comporta, infine, la possibilità di soddisfare le richieste di numerosissimi consumatori per l’elevatissimo numero di dosi ricavabili. “Va dato rilievo primario”, scrivono gli Ermellini, “al valore ponderale, considerato in relazione alla qualità della sostanza e specificato in ragione del grado di purezza, e, quindi, delle dosi singole aventi effetti stupefacenti, stabilendosi se esso possa dirsi di “eccezionale” dimensione rispetto alle usuali transazioni del mercato clandestino”. Tale carattere, si legge nella sentenza, “è certamente suscettibile di essere di volta in volta confrontato dal giudice di merito con la corrente realtà del mercato, ma, stando a dati di comune esperienza, apprezzabili a maggior ragione dalla Corte di cassazione, sede privilegiata in quanto terminale di confluenza di una rappresentazione casistica generale, deve ritenersi che non possono di regola definirsi “ingenti” quantitativi di droghe “pesanti” che, presentando un valore medio di purezza per il tipo di sostanza, siano al di sotto dei due chilogrammi; e quantitativi di droghe “leggere” che, sempre in considerazione di una percentuale media di principio attivo, non superino i cinquanta chilogrammi”. Insomma sulla base di questi motivi la sesta sezione penale della Suprema corte ha assunto la stessa posizione presa da un Collegio della quarta sezione con la sentenza numero 9927 dell’I 1 febbraio 2011 (si veda Italia Oggi del 12 marzo), consolidando, così, questo recente orientamento che aveva dato un colpo di coda a moltissime altre decisioni che hanno applicato l’aggravante molto più facilmente. Anche in questo caso, dunque, l’epilogo è stato lo stesso. La Cassazione ha annullato con rinvio la condanna a tre imputati sul punto dell’ingente quantità. Libia: denuncia Amnesty; detenuti a rischio torture e “scomparsa” oppositori del regime Ansa, 29 marzo 2011 Secondo un documento diffuso oggi da Amnesty International, le forze libiche fedeli al colonnello Muammar Gheddafi sono “responsabili di una campagna di sparizioni forzate destinata a stroncare l’opposizione crescente al suo governò. Il documento descrive ‘una trentina di casi di persone scomparse dall’inizio delle proteste, tra attivisti politici, sospetti ribelli o presunti simpatizzanti di questi ultimi”. “A quanto pare, è in vigore una politica sistematica di arrestare chiunque sia sospettato di opporsi al colonnello Gheddafi, trattenerlo in incommunicado e trasferirlo nell’ovest del paese, ancora sotto il suo controllo. Date le circostanze in cui si sono verificate queste sparizioni forzate, vi sono tutte le ragioni per ritenere che le persone che ne sono vittime corrano seri rischi di subire torture e maltrattamenti” - ha dichiarato Malcolm Smart, direttore del Programma Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International. Il colonnello Gheddafi deve porre fine a questa vergognosa campagna e a ordinare alle sue forze di rispettare il diritto internazionale”. Le sparizioni, secondo Amnesty, “sono iniziate persino prima che le proteste contro il colonnello Gheddafi si trasformassero in rivolta armata”. Atef Abd al-Qader al-Atrash, un noto blogger padre di due bambini, è stato visto l’ultima volta mentre partecipava a una riunione nei pressi del porto di Bengasi, il 17 febbraio. Si ritiene sia stato portato via dalle forze di sicurezza. Abbiamo provato a chiamarlo al telefono ma ha sempre squillato a vuotò - ha dichiarato un parente ad Amnesty International - fino a quando pochi giorni dopo un uomo dall’accento [della Libia] occidentale ha risposto dicendo “Ecco quello che succede a chi ci tira i sassi”. Ma Atef non ha mai tirato i sassi a nessuno. Dopo che i ribelli hanno preso il controllo di Bengasi, nel corso del ritiro le forze pro-Gheddafi, evidenzia ancora Amnesty, “pare abbiano arrestato alcuni manifestanti, compresi bambini”. L’organizzazione ‘ha documentato una serie di casi di persone viste per l’ultima volta all’interno o nei pressi del complesso militare di Kateeba al-Fadheel il 20 febbraio. Un parente di Hassan Mohammad al-Qatàni, un alunno di 14 anni, ha raccontato: “Non dormo più da quando è scomparso, nessuno nella nostra famiglia dorme più, siamo terrorizzati. È solo un ragazzino, non sappiamo che fare, dove cercarlo, a chi chiedere aiuto”. Via via che il conflitto si sviluppava, le sparizioni sono proseguite. “Di alcune persone si sono perse le tracce a Ben Jawad o nei dintorni, lungo la linea del fronte. Si ritiene che alcuni fossero guerriglieri, altri solamente civili arrivati nella zona per curare i feriti, altri erano semplicemente passanti”. Una fonte ha dichiarato ad Amnesty International che un suo familiare è stato fatto prigioniero dalle forze leali al colonnello Gheddafi il 6 marzo a Ben Jawad. Da una telefonata ricevuta, ha saputo che il parente era stato poi portato via, insieme a decine di altre persone, verso il complesso militare di Kateeba al-Sàidi nella città di Sirte. In seguito, un fratello del detenuto ha ricevuto una telefonata, dal cellulare di quest’ultimo, in cui soldati fedeli al colonnello Gheddafi minacciavano di farlo fuori “insieme alla tua famiglia, a tua madre e ai tuoi fratelli”. Amnesty International, si legge ancora nel documento, ha chiesto al colonnello Gheddafi e alle forze a lui vicine di consentire subito visite di organismi indipendenti ai detenuti, in modo da accertarne le condizioni di salute e di proteggerli dalla tortura, nonché di informare urgentemente le loro famiglie circa il luogo di prigionia. L’organizzazione per i diritti umani ha inoltre sollecitato coloro che trattengono i detenuti a garantire che tutti i ribelli, o coloro che sono sospettati di esserlo, siano trattati umanamente secondo quanto prevede il diritto internazionale e sia dato loro immediato accesso al Comitato internazionale della Croce Rossa. ‘Il colonnello Gheddafi potrebbe essere giudicato responsabile, in un processo internazionale, di ogni crimine commesso dalle sue forze durante questo conflitto. Chiunque sia detenuto solo per aver sostenuto pacificamente le proteste dev’essere rilasciato immediatamente e poter tornare a casa in condizioni di sicurezzà, ha concluso Smart. Cina: ai lavori forzati più di 1 mln di persone, detenute in fattorie e imprese agricole Ansa, 29 marzo 2011 In Cina, nel settore agroalimentare, più di un milione di persone sono costrette ai lavori forzati in 259 laogai destinati alla produzione agricola. L’estensione delle aree coltivate è difficilmente conoscibile con precisione, ma molto spesso nello stesso campo di concentramento, assieme all’attività agricola si svolgono attività industriali, estrattive e manifatturiere. È quanto denuncia il rapporto “I laogai e le importazioni agroalimentari”, realizzato dalla Laogai Research Foundation Italia Onlus, precisando che “il numero esatto dei laogai e dei prigionieri è un segreto di Stato”. Secondo i dati raccolti dalla Fondazione, sono almeno 1.000 i laogai attivi e funzionanti per un numero di detenuti che varia tra i 3 e i 5 milioni circa. Nei laogai si lavora 16-18 ore al giorno e si produce di tutto: giocattoli, scarpe, articoli per la casa e generi agroalimentari. Mascherati da legittime imprese, questi campi hanno invaso il mercato internazionale: “le nostre attività agricole - spiega il presidente della Fondazione Laogai in Italia, Toni Brandi - sono aggredite da una crescente importazione da Paesi che non esitano ad utilizzare il lavoro forzato e minorile per aumentare la loro competitività”. Pomodori e ortaggi - secondo le rilevazioni della Fondazione - vengono prodotti soprattutto nello Xinjiang (Turkestain orientale), dove la società cinese, Xinzhongji Company, e la Bingtuan hanno creato la “Zhongji Tomato Corporation”. Bahrein: opposizione sciita denuncia; dopo proteste in piazza 250 arresti e 44 “scomparsi” Ansa, 29 marzo 2011 Duecentocinquanta persone finite agli arresti, mentre di altre 44 non si ha notizia: è il bilancio del partito leader della opposizione sciita nel Bahrein, il Wefaq, dopo il giro di vite da parte delle forze dell’ordine intervenute a reprimere le proteste di piazza nei giorni scorsi. Secondo il partito molti degli arrestati, per lo più sciiti, e spesso neppure militanti, sono stati fermati ai checkpoint o nel corso di raid mirati, nelle abitazioni. Alcune famiglie hanno denunciato la scomparsa di parenti, e diverse persone date per scomparse sono risultate poi morte, in circostanze non chiarite. “Noi abbiamo conferma di 250 arresti e 44 persone risultano disperse, anche se si tratta di un numero che oscilla, perché alcuni si rifanno vivi dopo essersi nascosti dalla polizia”, ha detto Ibrahim Mattar, esponente del partito. “Fra le sole giornate di ieri e oggi abbiamo avuto segnalazioni da 35 famiglie, che hanno denunciato di aver perso le tracce di loro congiunti dopo il passaggio ai checkpoint - ha aggiunto -. Non abbiamo idea di cosa sia accaduto a queste persone perché il governo non lo dice. In queste condizioni dobbiamo sperare che siano state arrestate”. Le autorità del Bahrein non sono state accessibili, per commentare i numeri dati da Wefaq.