Giustizia: minori nel circuito penale; 400 detenuti negli Ipm, oltre 800 nelle Comunità Redattore Sociale, 24 marzo 2011 I dati del Dipartimento per la giustizia minorile fotografano la realtà: ad oggi, 19 minorenni nei centri di prima accoglienza, 822 in comunità, 426 negli istituti penali. Quasi tutti i reati contro il patrimonio. Strutture: male Treviso, bene Cagliari. Oggi i ragazzi minorenni presenti nei Centri di prima accoglienza (Cpa) sono 19, quelli in comunità ministeriali 44, quelli in comunità private 778, mentre sono 426 i detenuti presso gli Istituti penali per minorenni (Ipm), che in Italia sono in totale 19, di cui due attualmente chiusi per ristrutturazione. Sono i dati più aggiornati a disposizione, forniti dal capo del Dipartimento per la giustizia minorile Bruno Brattoli, in occasione della presentazione oggi a Roma del rapporto “Minori dentro”, realizzato dall’associazione Antigone. Per quanto riguarda gli ingressi, Brattoli afferma che a partire al primo gennaio sono entrati 470 minori nei Cpa, 118 nelle comunità ministeriali, 242 nelle comunità private e 334 negli Ipm. Il rapporto di Antigone segnala che nel 2010 le presenze di minori negli istituti di pena minorili sono state in totale 450, neutre nel 1998 erano 438: un dato stabile nel tempo, dunque, quello delle presenze, visto che “il numero di detenuti minorenni solitamente non supera le 500 unità e non scende sotto le 400”, precisa il presidente di Antigone Patrizio Gonnella. “La durata media della permanenza negli istituti di pena per minori è molto breve: circa due mesi”, osserva Gonnella, che sottolinea il dato sulla custodia cautelare, “un dato in apparenza preoccupante, visto che si tratta del 60% delle presenze, ma significa anche che quando si arriva alla definizione di una pena, poi spesso non viene scontata nella forma classica della carcerazione”. Circa la natura dei reati commessi, “sono quasi tutti contro il patrimonio, poi vengono quelli legati alla droga, infine quelli contro la persona - spiega Gonnella - in particolare attualmente sono 24, circa il 5% del totale, le persone detenute per reati gravi contro la persona”. Riguardo invece alla maggiore presenza di stranieri negli istituti di pena rispetto alle denunce all’autorità giudiziaria, Gonnella precisa che “questo trend è particolarmente visibile per le ragazze, che sono straniere in circa il 10% dei casi, quasi tutte rom, mentre tra le adulte le straniere sono il 4 o 5% sul totale”. Se le presenze negli istituti di pena minorile fanno registrare un andamento stabile nel corso del tempo, si registra invece un notevole aumento del ricorso della messa in prova: secondo i dati forniti dal capo Dipartimento, se nel 1992 la messa in prova è stata disposta in 788 casi, nel 1999 si arriva a 2631 casi. Brattoli fornisce cifre anche sulle risorse impiegate negli ultimi tre anni per la manutenzione delle strutture: “Dal 2008 al 2010 - dice - sono stati impegnati un totale di 45 milioni di euro per mettere in sicurezza gli edifici e in parte anche per creare spazi per attività ludiche, come i campi sportivi”. Un esempio, la costruzione di un campo di calcio nell’istituto romano di Casal di Marmo. Le risorse sono necessarie anche per rispondere all’esigenza di rendere visibilmente diverse le strutture destinate ai minori rispetto alle carceri per adulti. “Il problema di molte strutture - afferma il curatore del rapporto Antigone, Alessio Scandurra - è proprio che in molti casi erano state concepite con finalità diverse: in particolare segnaliamo il caso dell’istituto di Treviso, ricavato all’interno di una casa circondariale per adulti e che perciò presenta molte criticità, tra cui il fatto che hanno molti spazi in comune”. I relatori dell’indagine evidenziano però anche l’esempio positivo dell’istituto di Quartucciu, in provincia di Cagliari, dove sono state riscontrate buone condizioni generali della struttura e un buon collegamento con le realtà associative presenti sul territorio. “Un’esperienza significativa - sottolinea Scandurra - specie se si considera che un quarto dei minori detenuti si trova in Sicilia e in Sardegna”. Giustizia: i minori in carcere sono sempre meno, ma il sistema non funziona per tutti Redattore Sociale, 24 marzo 2011 Rapporto Antigone sul sistema penitenziario per i minori. Circa 3.500 ingressi nel 2010, la metà rispetto a dieci anni fa: massiccia de-carcerizzazione. Strutture “vecchie e malandate”, diritto alla salute a macchia di leopardo, difficile il reinserimento. La situazione, negli istituti penali per minorenni, è decisamente meno difficile rispetto alle carceri per adulti, ma ancora di più rispetto a queste gli istituti per minori sono “contenitori di marginalità sociale”, dove “si trovano solo stranieri, rom e ragazzi italiani delle periferie delle grandi città del sud”. Il quadro emerge dal rapporto “Ragazzi dentro”, realizzato dall’associazione Antigone, che nel 2008 per la prima volta è stata autorizzata a monitorare anche il sistema penitenziario per i minori. Il rapporto è dunque frutto dell’osservazione diretta da parte di 16 volontari che hanno visitato e raccolto i dati relativi ai 19 istituti penali per minorenni (Ipm) presenti sul territorio nazionale. In termini globali, con riferimento all’intera popolazione minorile, l’indagine sottolinea la diminuzione del numero di minorenni negli istituti di pena: una tendenza in atto già dal 1975, “anno in cui la criminalizzazione dei minori aveva raggiunto le sue punte massime”, e che poi la riforma penitenziaria approvata lo stesso anno (con un importante cambiamento culturale) contribuiva ad accrescere. Negli ultimi decenni si è assistito dunque nel tempo ad una massiccia “de-carcerizzazione” dei minorenni. Il rapporto segnala un andamento sostanzialmente stabile della criminalità minorile, mentre il dato degli ingressi nei Centri di prima accoglienza (Cpa) è decisamente decrescente, passando dalle 4.222 unità del 1998 alle 2.344 del 2010, con una diminuzione di quasi il 50%. È una tendenza opposta rispetto a quella della detenzione degli adulti, che nello stesso periodo ha visto il numero di detenuti adulti crescere a dismisura. Tuttavia il rapporto segnala anche la permanenza di alcuni problemi: oltre al fatto che la popolazione carceraria è diretta espressione dei ceti sociali più marginali, sono emerse difficoltà riguardo alla fatiscenza delle strutture detentive, definite “spesso vecchie e malandate” e al diritto alla salute, garantito “a macchia di leopardo”. Infatti nel passaggio di competenze dal ministero della Salute alle singole regioni, stabilito dalla riforma della sanità penitenziaria, ci sono stati ritardi, incertezze organizzative o interruzione dei servizi nel periodo di transizione da un sistema all’altro: i problemi sono particolarmente gravi in Sicilia e in Sardegna, dove il passaggio deve, di fatto, ancora avvenire. Riguardo la condizione delle strutture, emerge un livello insufficiente di manutenzione, che in alcuni casi ha reso necessario interventi straordinari che hanno ridotto la capienza complessiva del sistema carcerario minorile, creando non poche difficoltà. In particolare sono chiusi per ristrutturazione gli istituti di Lecce e L’Aquila, mentre ci sono lavori in corso a Catanzaro, Milano e Torino. Gli istituti di Firenze e Acireale vengono infine segnalati in quanto concepiti con criteri definiti incompatibili con la destinazione attuale di Ipm. Sulla stessa linea d’onda, emergono anche delle difficoltà nell’organizzare e svolgere le cosiddette “attività trattamentali” destinate ai ragazzi detenuti, con le quali offrire strumenti utili per il reinserimento dopo la pena e dare così un senso al periodo trascorso in carcere dai minori. Il rapido turn-over dei detenuti (in media i minori rimangono negli istituti di pena per un paio di mesi) rende difficoltoso organizzare queste attività, ragione per cui gli autori auspicano un maggiore coordinamento tra i servizi presenti negli istituti e quelli sul territorio. Il rapporto segnala poi alcuni fenomeni di violenza che si sono verificati in alcuni istituti penali per minorenni, in particolare a Lecce, per cui è in corso un processo contro nove agenti imputati per violenza su minori, e a Torino, dove invece è in corso il processo a un agente accusato di lesioni gravissime. Infine secondo lo studio rimangono irrisolte alcune questioni di vecchia data, come la mancanza di un ordinamento penitenziario specifico per i minori (soluzione prevista dalla legge penitenziaria del 1975, ma mai realizzata), o il fatto che ancora oggi la misura maggiormente applicata in caso di condanna del minore sia la detenzione. Giustizia: negli Ipm quasi solo stranieri, rom e italiani provenienti dalle periferie Redattore Sociale, 24 marzo 2011 Rapporto Antigone: gli istituti di pena sono “contenitori di marginalità sociale”. Gli stranieri sono il 27% dei denunciati ma il 53% dei carcerati: per loro poche misure alternative. “Evidente difficoltà con le fasce più marginali della popolazione”. I minori stranieri hanno maggiori probabilità di entrare in un istituto di pena minorile rispetto ai coetanei italiani, per i quali invece le misure alternative alla detenzione sono attuate con maggiore facilità. Il tutto in presenza di un andamento sostanzialmente stabile della criminalità minorile: gli stranieri sono dunque netta minoranza fra i denunciati, ma in carcere sono quanti o più degli italiani. A segnalarlo è il rapporto “Minori dentro”, realizzato dall’associazione Antigone. Fra i minori denunciati all’autorità giudiziaria nel 2007, gli stranieri erano il 27,2%, ma la quota di quanti sono entrati nei Centri di prima accoglienza (che ospitano i minorenni in stato di arresto, fermo o accompagnamento fino all’udienza di convalida, entro le 96 ore) raggiungeva il 54,3% del totale: “si nota dunque - si legge nel rapporto - una sovra-rappresentazione degli stranieri nei luoghi di privazione della libertà rispetto al numero di quanti tra loro entrano in contatto con la giustizia penale”, anche se questa sproporzione mostra un lieve miglioramento nel tempo, tanto che l’ultimo dato sugli ingressi di stranieri nei Cpa è del 38,3%. Se si dà un’occhiata alle uscite dai Centri di prima accoglienza, fra coloro per cui è prescritta la permanenza a casa gli italiani sono il 75% e gli stranieri il 25%, fra quanti sono trasferiti in comunità gli italiani sono il 64,7% e gli stranieri il 35,5% mentre fra coloro per i quali è disposta la custodia cautelare in carcere gli italiani sono il 46,7% e gli stranieri addirittura il 53,3%. “A mano a mano - scrive Antigone - che ci si sposta verso misure cautelari più contenitive, si manifesta una sovra-rappresentazione degli stranieri”. Riguardo invece gli ingressi negli istituti penali per minorenni (Ipm), nel complesso sono sempre molti di più gli stranieri detenuti negli Ipm rispetto agli italiani, tanto che i primi superano di più del 40% i secondi: “A mano a mano che ci si addentra nei luoghi di privazione della libertà, la selettività a danno dei minori stranieri è sempre più forte”, sottolinea il rapporto. E la situazione non cambia se si osserva il numero in base al genere: “Se gli stranieri sono circa la metà delle persone ristrette negli Ipm, nelle sezioni femminili le straniere sono schiacciante maggioranza” (nel 2009 erano l’82,45 del totale delle ragazze detenute). In generale, per le ragazze più che per i ragazzi vale il principio del carcere come extrema ratio: è di sesso femminile il 17% dei minori denunciati ma meno del 10% di quelli detenuti in carcere. Il rapporto segnale anche la disomogeneità territoriale della popolazione detenuta negli istituti di pena: al nord e centro ci sono pochissimi ragazzi italiani, spesso peraltro trasferiti da istituti del sud, mentre nelle strutture del sud e delle isole si trovano pochissimi stranieri, anch’essi spesso trasferiti da istituti del nord: la sostanza è che “gli istituti di pena italiani ospitano solo stranieri o meridionali, con poche eccezioni, tra la cui la principale che interessa entrambi i gruppi è quella dei minori rom”. Una stima delle presenza di ragazzi rom nelle carceri è però “molto approssimativa”, dal momento che sfuggono alle statistiche ufficiali, anche perché possono essere sia italiani sia stranieri (il Dipartimento della Giustizia minorile li stimava al 12% nel 2006, mentre un’indagine del 2009 curata su 5 istituti di pena segnalavano una percentuale del 23,8%. Dunque, “il sistema della giustizia minorile - si legge nel rapporto - amplifica la selettività del sistema delle misure alternative, con la difficoltà ad intercettare le fasce più marginali della popolazione che entra in contatto con il sistema penale. La giustizia minorile sembra più brava di quella degli adulti nell’evitare il ricorso al carcere, ma proprio per questo nelle carceri minorili la presenza di soggetti che provengono dagli strati più marginali delle nostre società è ancora maggiore, e il lavoro da compiere negli istituti di pena ancora più difficile”. Giustizia: no del Senato all’approvazione immediata della legge sulle madri detenute Ansa, 24 marzo 2011 Per Leda Colombini, presidente dell’Associazione “A Roma Insieme”, questa legge non avrebbe cambiato lo stato di cose: la detenzione della madre con bambino non deve avvenire in carcere. Il testo di legge sulle detenuti madri non vedrà l’approvazione immediata: il senato, infatti, ha deciso di non procedere. Per Leda Colombini, presidente dell’Associazione A Roma Insieme, che si occupa dei bambini figli delle detenute madri di Rebibbia, è “una decisione saggia”. Il giudizio di “A Roma, Insieme” è stato di “seria e di reale” insoddisfazione sul testo votato dalla Camera. “Abbiamo avvertito - spiega Colombini - il rischio che la legge, da tante parti invocata come urgente, finisca per non cambiare quasi nulla e, quindi, si riduca ad una sorta di legge “annuncio”, di legge “manifesto”“. Per “A Roma, Insieme” l’espiazione della pena e la detenzione della madre con bambino non deve avvenire in carcere; va poi rivisto il termine iniziale del 1° gennaio 2014 anticipandolo al 1° gennaio 2012, per l’entrata in vigore della legge e il contestuale riesame delle risorse finanziarie; bisogna dare alle case famiglia una caratterizzazione assolutamente chiara, alternativa al carcere. E ancora: in caso di invio al Pronto Soccorso, di visite specialistiche, di ricovero ospedaliero di un bambino recluso con la madre, deve essere consentito alla madre di accompagnarlo e assisterlo per tutta la durata del ricovero; infine va tolta l’automaticità dell’espulsione della madre straniera e del bambino a fine pena, dando la possibilità al giudice di valutare caso per caso il percorso compiuto durante la detenzione. “Così - conclude Colombini - si realizza una legge giusta”. Giustizia: “A Roma insieme”; per le madri detenute ora è possibile una legge più giusta Redattore Sociale, 24 marzo 2011 L’associazione commenta positivamente la decisione del Senato di non procedere all’approvazione immediata della legge dopo il voto positivo della Camera. “Servono soluzioni che umanizzino effettivamente la pena e un’ampia condivisione”. “L’Assemblea del Senato l’altro ieri ha deciso di non procedere all’approvazione immediata del testo di legge sulle detenute madri, che la Camera aveva votato alla quasi unanimità. Il Senato si è riservato due settimane di tempo per esaminare in Commissione con maggiore attenzione le questioni più complesse e delicate e, quindi consentire all’Assemblea di votare con maggiore convinzione questa legge. Il Parlamento, così, percepisce bene il passaggio importante che tale misura rappresenta, ai fini di una più elevata umanizzazione della legislazione penale nel nostro Paese, specie dal punto di vista dei diritti dei bambini e dei rapporti affettivi genitori figli”. Così l’associazione “A Roma insieme”, che commenta appunto la decisione assunta dal Senato in merito alla legge sulle detenute madri. Una decisione definita “saggia” dall’associazione. Infatti, afferma, “essa è stata presa al termine di un dibattito in Aula niente affatto superficiale, ove si sono confrontate, con una reciproca volontà di ascolto, le diverse posizioni sul merito dei singoli problemi, e in riferimento alle molteplici ispirazioni culturali che negli anni in questo campo hanno segnato il confronto”. L’Associazione “A Roma, Insieme”, anche nel lungo tragitto che in questi anni ha accompagnato la discussione e l’approvazione della proposta di legge alla Camera, da ben tre legislature, ha sempre insistito su un punto a suo giudizio importante. Vale a dire che “lo sforzo del legislatore nel ricercare in questo campo soluzioni che effettivamente migliorino l’umanizzazione della pena, non può prescindere da uno sforzo identico teso a realizzare, nel Parlamento ed anche fuori, la più ampia condivisione”. Il giudizio di “A Roma, Insieme”, insieme a quello di altre associazioni, come dimostrano le prese di posizione di questi giorni, è stato di seria e di reale insoddisfazione circa il testo votato dalla Camera. “Questo giudizio - affermano - ha una sua propria e diretta valenza in riferimento esclusivo al merito specifico delle misure votate. Abbiamo avvertito del rischio che la legge da tante parti invocata come urgente finisca per non cambiare quasi nulla e, quindi, si riduca ad una sorta di legge ‘annunciò, di legge ‘manifestò”. Nell’audizione del 2 marzo scorso presso la Commissione Giustizia del Senato, l’Associazione “A Roma, Insieme”, con la sua presidente ha argomentato i punti e le ragioni su cui è essenziale che la nuova legge introduca equilibrati e credibili nuovi elementi di disciplina. Eccoli: l’espiazione della pena e la detenzione della madre con bambino non avvenga in carcere. “Il testo votato non garantisce questo e non può goderne la stragrande maggioranza delle donne oggi detenute se non si rivede la legge cosiddetta Cirielli sulla recidiva”; rivedere il termine iniziale del 1° gennaio 2014 anticipandolo al 1° gennaio 2012, per l’entrata in vigore della legge e contestuale riesame delle risorse finanziarie; dare alle case famiglia una caratterizzazione assolutamente chiara, alternativa al carcere: arresti domiciliari, case famiglia o per i casi di “eccezionale gravità” negli Istituti di Custodia Attenuata Madri (Icam); in caso di invio al Pronto Soccorso, di visite specialistiche, di ricovero ospedaliero di un bambino recluso con la madre, deve essere consentito alla madre di accompagnarlo e assisterlo per tutta la durata del ricovero; togliere l’automaticità dell’espulsione della madre straniera e del bambino a fine pena, come prevede la cosiddetta legge Bossi-Fini, dando la possibilità al giudice di valutare caso per caso il percorso compiuto durante la detenzione che può consentire il rilascio del permesso di soggiorno. “Così - per l’associazione - si realizza una legge giusta, positiva che permetterà davvero di raggiungere l’obiettivo che nessun bambino varchi più la soglia di un carcere, come tutti senza distinzione alcuna sostengono di volere”. “A Roma, Insieme” in questi giorni lavorerà per la più ampia diffusione di queste proposte con l’auspicio che, nella loro sostanza, il Senato le faccia proprie. Con una motivazione in più, dunque, già sabato prossimo i volontari di “A Roma, Insieme” proseguiranno la loro attività che dura da diciotto anni di portare all’aria aperta i bambini del nido di Rebibbia a vivere la loro giornata di libertà in attesa che presto possano vedere orizzonti privi di sbarre. Giustizia: sugli Opg non si può attendere oltre; Ignazio Marino si appella al Ministro Fazio Ansa, 24 marzo 2011 “Il degrado e le condizioni di vita incompatibili con il più elementare rispetto della dignità delle persone in cui vivono gli internati negli Ospedali psichiatrici giudiziari hanno turbato il Paese. I cittadini si sono resi conto con i loro occhi che questi luoghi sono una ferita dei principi su cui si fonda la nostra democrazia, il nostro senso di civiltà. Per questo sono rimasto stupito dalle risposte date oggi dal ministro della Salute, Ferruccio Fazio: bisogna superare i passaggi formali e burocratici previsti dalla legge, è il momento di produrre atti concreti”. Così Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, dopo il question time a Montecitorio in cui il ministro della Salute Ferruccio Fazio ha risposto a una interrogazione sugli Ospedali psichiatrici giudiziari. “Lo scorso febbraio- sottolinea Marino- il ministro in Commissione ha promesso 5 milioni di euro per agevolare l’assistenza dei dimissibili, cioè di coloro che avrebbero dovuto uscire già da mesi o anni per essere accuditi altrove, sul territorio. Ricordo che il ministro ha puntualizzato che lo stanziamento era in fase di perfezionamento. Tuttavia, non una parola è stata spesa oggi in aula. Non possiamo attendere oltre”. Saccomanno (Pdl): bene Fazio sugli Opg “Esprimo soddisfazione per la disponibilità economica confermata dal Ministro Fazio, anche per conto del Ministro della Giustizia, di 15 milioni per gli ospedali psichiatrici giudiziari. Le assicurazioni erano già pervenute da parte del Governo durante il dibattito sulla fiducia in Senato il 13 dicembre scorso e in sede di Commissione d’inchiesta, quando i Ministri hanno visionato il filmato realizzato con impegno unitario dalla Commissione”. Lo dichiara il senatore del Pdl, Michele Saccomanno, relatore di maggioranza sull’indagine condotta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale sugli ospedali psichiatrici giudiziari. “I soldi - prosegue - sono un’ ulteriore spinta a realizzare progetti personalizzati che permetteranno di sottrarre tanti malati all’inferno creato negli Opg in decenni e decenni d’incuria. Dalla sinergia di Governo e Commissione parlamentare d’inchiesta nasce l’opportunità di far ritornare a casa i 356 internati dimissibili con un cronoprogramma confermato già prima della prossima Pasqua”. “La Commissione - conclude il senatore Saccomanno - presenterà al Parlamento i suggerimenti per superare completamente gli Opg in modo che, superata la vergogna di quanto visto e documentato, la malattia psichiatrica di ogni cittadino, anche se carcerato, torni ad essere curata e riabilitata”. Giustizia: Osapp; coinvolgere polizia penitenziaria per prevenire criminalità immigrati Comunicato stampa, 24 marzo 2011 “Desta non poca curiosità rilevare dalle interviste televisive, che alcuni degli immigrati che in questi giorni stanno sbarcando sulle coste di Lampedusa, non solo posseggono una buona padronanza della lingua italiana, ma utilizzino un gergo che ricorda molto da vicino quello in uso nelle carceri italiane” ad affermarlo è Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). Secondo il sindacalista: “non sarebbe da escludere che vi siano ex detenuti già espulsi dal nostro Paese, che stanno cercando di rientrare, approfittando degli eventi in Tunisia e nel Nordafrica”. “Ciò dimostrerebbe, tra l’altro, - prosegue il leader dell’Osapp - quanto siano fallaci e prodromiche del fallimento prossimo venturo delle carceri italiane le previsioni di una definitiva stabilizzazione numerica del sistema penitenziario sugli attuali 68.000 detenuti presenti”. “Se ci fossero un Ministro e un capo dell’amministrazione penitenziaria interessati ad avere all’interno delle carceri un corpo di polizia a tutti gli effetti, come la legge prescrive, ben diversamente dagli attuali Alfano e Ionta – conclude Beneduci – dovrebbero intervenire in fretta sugli altri dicasteri, e soprattutto su quello dell’Interno, per la massima collaborazione tra la polizia penitenziaria e gli altri corpi, anche attraverso l’utilizzo nei campi di accoglienza del sistema Afis/Siap in uso alle matricole degli istituti penitenziari, in modo da salvaguardare la collettività dall'ingresso fraudolento e sotto falsa identità, di criminali già condannati in Italia e che costituiscono un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica” Giustizia: caso Cucchi; al via il processo, sotto accusa 6 medici, 3 infermieri e 3 agenti Adnkronos, 24 marzo 2011 Tre agenti carcerari, e sei medici dell’ospedale Sandro Pertini in servizio presso il reparto detenuti, tre infermieri dello stesso reparto. Sono gli imputati che da oggi vengono giudicati dalla terza Corte d’Assise presieduta da Evelina Canale nel processo per la morte di Stefano Cucchi. È il geometra che la notte del 15 ottobre del 2009 fu arrestato per detenzione di stupefacenti. Morì il 22 ottobre successivo nel reparto detenuti del Sandro Pertini dove - sostiene l’accusa rappresentata dai pubblici ministeri Vincenzo Barba e Francesca Loi - non gli erano state prestate le cure minime pur essendo in uno stato di totale debilitazione anche a causa delle percosse subite. Si disse al momento dei fatti che se in ospedale gli fosse stato dato un solo bicchiere d’acqua zuccherata non sarebbe morto. Diverse le posizioni processuali dei dodici imputati. In particolare le guardie Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici sono imputati di lesioni personali aggravate perché abusando dei loro poteri picchiarono duramente Cucchi dopo che la mattina del 16 ottobre in Tribunale fu sottoposto alla convalida dell’arresto. Quanto ai medici Aldo Fierro (direttore del reparto detenuti del Pertini), Stefania Corvi, Flaminia Bruno, Luigi Preite de Marchis e Silvia Di Carlo, insieme con gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe rispondono di abbandono di persona incapace. Un reato aggravato dal fatto che proprio per la mancanza di cure Cucchi morì. Un altro medico Rosita Caponetti dirigente del Pertini è accusata di falso e abuso d’ufficio per il comportamento tenuto nel ricovero di Cucchi nell’ospedale Pertini e annotazioni sulla cartella clinica delle condizioni del paziente. Questi reati le erano stati contestati in concorso con un funzionario del Dap, Claudio Marchiandi che però si è fatto processare con il rito abbreviato subendo una condanna di due anni. Di conseguenza è uscito dal processo. Altri reati poi sono stati contestati a Fierro e Corvi, (rilevazioni di segreti di ufficio) a Bruno (falso). Tutti poi i medici e gli infermieri sono imputati di favoreggiamento e omissione di referto. Avvocato famiglia: puntiamo a nuova perizia, accusa lesioni è sbagliata “Saremo costretti a lavorare affinché il processo non vada fino in fondo ma torni indietro. Punteremo a ottenere una nuova perizia. Sosterremo quello che la famiglia afferma con forza da sempre: la morte di Stefano è collegata ai traumi riportati”. A sottolinearlo all’ADNKRONOS l’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, alla vigilia del processo per la morte di Stefano, il 32enne morto alcuni giorni dopo l’arresto nel reparto protetto dell’ospedale Pertini di Roma. “Il capo d’imputazione per gli agenti di polizia penitenziaria è sbagliato, ridicolo e danneggerà il processo, destinato così come è a implodere. L’accusa - spiega l’avvocato - deve essere quella di omicidio preterintenzionale. Chiederemo che vengano ascoltati i testimoni per ricostruire la vicenda e i consulenti. Riteniamo non logica la perizia di Arbarello, una consulenza avulsa dalla realtà dei fatti. Stefano il giorno dell’arresto è uscito di casa che stava bene, è andato in palestra, è tutto documentato. In ospedale dopo l’arresto è finito per i traumi che ha subito. Come si può sostenere che è morto perché malato, ma questa presunta malattia è dunque arrivata dopo l’arresto?”. “Le responsabilità dei medici sono enormi ma dire che sono stati solo i medici è sbagliato. L’accusa di lesione è ridicola. I traumi subiti hanno avuto un ruolo. Anche il gup ha affermato che serve un approfondimento delle conclusioni delle parti civili. La famiglia vuole arrivare alla verità e questa è l’unica occasione”. “Il capo d’imputazione per gli agenti di polizia penitenziaria è sbagliato, ridicolo e danneggerà il processo, destinato così come è a implodere. L’accusa - spiega l’avvocato - deve essere quella di omicidio preterintenzionale. Chiederemo che vengano ascoltati i testimoni per ricostruire la vicenda e i consulenti. Riteniamo non logica la perizia di Arbarello, una consulenza avulsa dalla realtà dei fatti. Stefano il giorno dell’arresto è uscito di casa che stava bene, è andato in palestra, è tutto documentato. In ospedale dopo l’arresto è finito per i traumi che ha subito. Come si può sostenere che è morto perché malato, ma questa presunta malattia è dunque arrivata dopo l’arresto?”. “Le responsabilità dei medici sono enormi ma dire che sono stati solo i medici è sbagliato - aggiunge il legale. L’accusa di lesione è ridicola. I traumi subiti hanno avuto un ruolo. Anche il gup ha affermato che serve un approfondimento delle conclusioni delle parti civili. La famiglia vuole arrivare alla verità e questa è l’unica occasione”. Come parte civile insieme con i familiari di Stefano Cucchi , tra i quali la sorella Ilaria che si è battuta sin dall’inizio chiedendo giustizia per il fratello, anche il Comune di Roma. Il calvario di Stefano Cucchi, geometra di 32 anni, cominciò alle 23.30 del 15 ottobre di due anni fa quando venne arrestato da una pattuglia di carabinieri perché trovato in possesso di stupefacenti. Fu messo in carcere e il giorno dopo fu portato davanti al giudice monocratico per la convalida dell’arresto. Alle 13.30 dopo la convalida Cucchi fu affidato alla polizia penitenziaria e qualche tempo dopo il medico del tribunale si accorse che aveva alcune ecchimosi sulle palpebre e altre contusioni. Alle 15.45 arrivò a Regina Coeli ma tre ore più tardi fu trasportato al Fatebenefratelli dove furono riscontrate ulteriori lesioni. Alle 23 venne riportato in carcere ma il giorno successivo cioè il 17 ottobre fu trasportato al Pertini dove esiste un reparto detenuti. La mattina del 22 ottobre Stefano Cucchi morì e da lì è iniziato il procedimento penale che ha portato all’ordinanza di rinvio a giudizio di chi tra guardie carcerarie, medici e infermieri è stato coinvolto nella vicenda. Giustizia: caso Cucchi; processo rinviato al 28 aprile, presentata lista di 150 testimoni Ansa, 24 marzo 2011 Circa 150 i testimoni saranno sentiti nell’ambito del processo per la morte di Stefano Cucchi, il giovane geometra 31enne deceduto il 22 ottobre 2009 all’ospedale Sandro Pertini, sei giorni dopo essere stato arrestato. Sono 89 quelli indicati solo dalla Procura, molti dei quali in comune con le altre parti. Intanto oggi sono state risolte le questioni preliminari. Oltre al Comune di Roma e la famiglia Cucchi, già parti civili, è stata accolta la costituzione del Tribunale per i diritti del malato Cittadinanzattiva. Respinte invece la richiesta di estromettere il Campidoglio, di svolgere il processo a porte chiuse, senza la presenza di giornalisti e telecamere, di annullare il rinvio a giudizio di uno dei medici per un’errata notifica. Il collegio ha poi fissato il calendario: 28 aprile, 16 e 23 maggio, 6, 13 e 22 giugno, 4 e 11 luglio. Presenti in aula i familiari di Stefano: i genitori Rita Calore e Giovanni, la sorella Ilaria. Presenti anche due imputati, un’infermiera e un agente penitenziario. Illustrando la lista dei testimoni depositata, il pm Maria Francesca Loy ha spiegato che comprende carabinieri, agenti penitenziari, altri detenuti, esperti che hanno svolto gli accertamenti medici, pm e giudice dell’udienza di convalida di Cucchi e tutti coloro che interagirono con Stefano in quei sei giorni tra l’arresto e la morte. “Numerosi testi hanno detto che Cucchi - ha affermato Loy - è stato picchiato dai carabinieri o hanno scritto delle lettere e ci sono dei procedimenti per calunnia. Tutti saranno sentiti per consentire alla Corte di avere chiaro tutto quanto è stato fatto dai pubblici ministeri in sede di indagine”. Quindi anche i “tentativi di depistaggio” e gli accertamenti dei medici legali saranno al centro delle testimonianze “per fare chiarezza sulle cause della morte visto che da alcune parti si è parlato di un nesso di causalità tra il decesso e le lesioni”. “Ci sono diversi coni d’ombra in questa vicenda - ha detto l’avvocato di parte civile Fabio Anselmo - Ricostruiremo l’ultimo mese di vita di Stefano”. Piemonte: firmata l'intesa con il Capo del dap per la realizzazione del Piano carceri Comunicato stampa, 24 marzo 2011 Saranno realizzati un nuovo istituto a Torino e un padiglione detentivo ad Alessandria. Ionta: grazie al Piano carceri 650 nuovi posti detentivi per risolvere l’emergenza dovuta al sovraffollamento delle carceri piemontesi. Franco Ionta, Commissario delegato per il Piano carceri, e Giovanna Quaglia, Assessore al Bilancio e Patrimonio della Regione Piemonte, su delega del presidente Roberto Cota, hanno siglato oggi l’Intesa istituzionale per la localizzazione delle aree destinate alla realizzazione delle nuove infrastrutture carcerarie nel territorio piemontese. L’Intesa, firmata nella sede del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria a Roma, prevede la realizzazione di un istituto penitenziario, con una capienza di 450 detenuti, a Torino e di un padiglione detentivo di 200 posti ad Alessandria. Le strutture saranno edificate in tempi rapidi secondo le disposizioni urgenti per la realizzazione di istituti penitenziari (legge 26 febbraio 2010, n. 26) stabilite per il Piano carceri. Il nuovo carcere di Torino, che costerà circa 40,5 milioni di euro, sorgerà su un’area di quasi 9 ettari, a nord dell’istituto penitenziario delle Vallette e a sud del territorio comunale di Venaria. Il sito è conforme dal punto di vista geologico e idoneo da quello infrastrutturale, vicino all’uscita autostradale, funzionale alla traduzione dei detenuti e all’accesso di parenti, legali e personale giudiziario. Il padiglione che amplierà l’istituto penitenziario di Alessandria, in località San Michele, avrà un costo di circa 11 milioni di euro. Dal punto di vista architettonico, obiettivo del Piano carceri è realizzare istituti tecnicamente e funzionalmente adatti a migliorare le condizioni di vita dei detenuti, ampliando gli spazi e favorendo le attività riabilitative, e a garantire al tempo stesso un elevato livello di sicurezza, ottimizzando il lavoro degli agenti di polizia penitenziaria. “Il sovraffollamento delle carceri italiane – ha ricordato il Commissario delegato – determina condizioni di vita dei detenuti e di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria che necessitano una soluzione urgente”. In Piemonte 5178 detenuti (dati del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria aggiornati al 28 febbraio) sono ospitati in 13 istituti penitenziari: “il nuovo istituto penitenziario di Torino e il padiglione di Alessandria assicureranno 650 nuovi posti detentivi al sistema carcerario piemontese, dando una risposta immediata all’emergenza in atto. Ma le opere di edilizia carceraria sono solo un tassello, pur necessario e fondamentale, di un Piano, che prevede anche misure deflattive alla carcerazione e l’assunzione di agenti di polizia penitenziaria, predisposto dal Governo con l’obiettivo di operare una transizione dall’emergenza cronica alla stabilizzazione del sistema penitenziario. In questa operazione sono fondamentali il ruolo e l’azione degli enti locali: l’efficace collaborazione instaurata con la Regione Piemonte per raggiungere questa Intesa è quindi la migliore premessa per il lavoro che seguirà nelle prossime settimane. Come Commissario delegato – ha concluso Franco Ionta – vigilerò affinché tutto, a partire dalla stesura del bando di gara concorrenziale per la realizzazione delle opere, proceda nei tempi che ci siamo prefissati per risolvere l’emergenza” “Governo e Regione – ha aggiunto l’assessore al Bilancio e Patrimonio Giovanna Quaglia – vogliono rispondere concretamente alle problematiche degli istituti penitenziari piemontesi, che da tempo subiscono il problema del sovraffollamento. Un problema che in alcuni casi, in particolare presso l’Istituto torinese Lorusso e Cutugno ha determinato tensioni ed episodi drammatici, in cui sono stati coinvolti anche agenti di Polizia penitenziaria. Credo dunque che un ampliamento delle strutture, nonostante una carenza del personale operativo rispetto alle reali necessità, andrà a particolare beneficio della convivenza all’interno delle strutture e potrà migliorare seriamente le condizioni lavorative del personale di polizia penitenziaria, che svolge davvero un compito difficile e di grande importanza”. Il Piano carceri, elaborato dal Governo per risolvere l’emergenza dovuta al sovraffollamento, prevede la realizzazione in tempi rapidi di 11 nuovi istituti penitenziari e di 20 padiglioni che garantiranno 9.150 nuovi posti detentivi, per un costo complessivo stimato di 675 milioni di euro. Il Piano stabilisce altre due linee d’intervento per stabilizzare il sistema penitenziario: misure giuridiche deflattive e l’implementazione dell’organico di Polizia Penitenziaria. Emilia Romagna: Sappe; nelle carceri della Regione la situazione è insostenibile Agi, 24 marzo 2011 Lunedì scorso due detenuti del Maghreb, ristretti nel carcere minorile di Bologna, hanno tentato di evadere, segando le sbarre di una finestra. Lo rende noto il Sappe, il sindacato di polizia penitenziaria, con una nota del suo segretario generale Giovan Battista Durante. “I due detenuti si trovavano in un locale adibito alle attività e, dopo aver forzato la porta della stanza in cui si trovavano custoditi gli attrezzi di lavoro, sono entrati in possesso di una sega elettrica, con la quale hanno segato le sbarre della finestra. L’agente in servizio nel reparto - si legge nella nota del Sappe - è stato avvisato da un impiegato del centro Giustizia Minorile ed è intervenuto immediatamente, bloccando i due detenuti ed evitando, così, una rocambolesca fuga che avrebbe coperto di ridicolo l’intera istituzione, così come è già avvenuto due anni addietro, sempre nel carcere minorile bolognese del Pratello, con l’evasione di due pericolosi detenuti”. Per il sindacato Sappe “gli eventi critici si susseguono ormai a ritmi insostenibili in tutti gli istituti d’Italia. L’Emilia Romagna continua ad essere una delle regioni maggiormente interessate, compreso l’istituto minorile di Bologna dove, solo pochi giorni addietro, due agenti sono stati feriti da un detenuto romeno che li aggrediti. Uno dei due agenti, nei giorni scorsi, è stato operato ad una mano ed ora si trova in convalescenza con una prognosi di 40 giorni. Il fatto che certi episodi avvengano in maniera così frequente anche nelle carceri minorili conferma il fallimento di questa istituzione e ci convince sempre di più che sarebbe opportuno far passare la gestione di tali istituti agli adulti, dove potrebbero essere costruite delle sezioni detentive per minori. Ciò comporterebbe un notevole risparmio di risorse economiche e materiali. Il personale di polizia penitenziaria in servizio nel carcere minorile di Bologna è stanco di subire questi episodi, tant’è la maggior parte degli agenti ha chiesto di essere trasferito in altre sedi, anche perché non si sente tutelato dai vertici istituzionali”. Lamentando “l’assenza delle istituzioni” il Sappe, il prossimo 1 aprile 2011, a partire dalle ore 9.30, manifesterà davanti a tutti gli istituti penitenziari dell’Emilia Romagna. Monza: detenuto con problemi psichiatrici aggredisce tre agenti, due finiscono in ospedale Adnkronos, 24 marzo 2011 Un detenuto italiano con problemi psichiatrici ha aggredito stamani all’interno del carcere di Monza un ispettore e due assistenti capo di Polizia Penitenziaria, mandandone due all’ospedale. Lo riferisce il Sappe, sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria. L’aggressione si è verificata intorno alle 7.30, riferisce Nico Tozzi del Sappe Lombardia, quando il detenuto, un italiano, collaboratore di giustizia con problemi psichiatrici e di stazza notevole, ha chiesto di recarsi in infermeria per un’iniezione di routine. L’uomo, un criminale di un certo calibro (fine pena 2028), appena uscito dalla cella ha aggredito i tre poliziotti penitenziari all’improvviso, menando schiaffi, calci e pugni. Su tre, ne ha mandati due al Pronto Soccorso di Monza, entrambi con contusioni al viso e al corpo. Il detenuto, che aveva nascosto addosso degli oggetti taglienti di cui non ha fatto uso, ha rifiutato di farsi refertare dal medico, subito accorso sul posto. “Mi sembra inevitabile sostenere - commenta il segretario generale del Sappe Donato Capece - che le nostre preoccupazioni per un sistema penitenziario ogni giorno sempre più vicino all’implosione trovino conferma ogni giorno di più. Questo ennesimo episodio di violenza in carcere va stigmatizzato e condannato con forza”. “Ai colleghi della Polizia Penitenziaria di Monza, che si trovano ora in ospedale per le cure del caso - prosegue Capece - va tutta la nostra solidarietà ed il nostro affettuoso saluto. Ma queste continue aggressioni non sono più tollerabili”. “Ribadiamo - prosegue Capece - che bisogna contrastare con fermezza queste ingiustificate violenze ai rappresentanti dello Stato in carcere e punire con pene esemplari, anche sotto il profilo disciplinare, i detenuti che la commettono per evitare sul nascere pericolosi effetti emulativi”. Il Sappe rinnova l’invito alle istituzioni di “arrivare a definire, come sosteniamo da tempo, circuiti penitenziari differenziati in relazione alla gravità dei reati commessi, con particolare riferimento al bisogno di destinare, a soggetti di scarsa pericolosità o che necessitano di un percorso carcerario differenziato (come i detenuti con problemi sanitari e psichiatrici), specifici circuiti di custodia attenuata anche potenziando il ricorso alle misure alternative alla detenzione per la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale”. Teramo: mettere i detenuti al lavoro con i cantonieri, per riparare i danni dell’alluvione di Serafino Di Monte Il Centro, 24 marzo 2011 Dopo la triste alluvione avvenuta ai primi di marzo, tornano in campo i detenuti che affiancheranno i pochi cantonieri nei lavori di pulizia e manutenzione ordinaria delle strade provinciali (sulla Bonifica del Salinello, in territorio di Sant’Omero, di fianco alla strada, ancora vi sono cumuli di fango). Una volta messi in sicurezza strade, ponti e banchine non bisognerà più, però, assolutamente tralasciare gl’interventi di manutenzione ordinaria. Altrimenti, alla prossima alluvione, si tornerà punto e a capo. E visto che i cantonieri, quelli che provvedono a mettere quotidianamente a posto i canali di scolo delle strade, sono insufficienti, bisognerebbe trovare delle soluzioni alternative come ad esempio delle squadre composte da dipendenti dell’Ente provinciale, lavoratori in mobilità e detenuti. Così come è stato fatto a novembre. Quest’ultimi, però, furono utilizzati soltanto per lavori di pulizia e manutenzione ordinaria del Fondovalle del Salinello e su altre provinciali ma non per rendere funzionanti i canali di scolo (sono importantissimi). L’Assessore provinciale ai Lavori Pubblici, l’ing. Elicio Giovannini, recentemente ha dichiarato che “gl’interventi su strade e banchine si rendono necessari per garantire una viabilità sicura e per prevenire gli effetti pericolosi di eventi straordinari”. Di conseguenza, dunque, se i cantonieri sono assolutamente insufficienti e i numerosi vincoli in capo agli Enti Locali impediscono nuove assunzioni, bisognerebbe impiegare i lavoratori in mobilità e i detenuti. Quest’ultimi compresi nel progetto di reinserimento attivato dall’Assessore provinciale alle Politiche Sociali, il dott. Renato Rasicci. Genova: la senatrice Pinotti (Pd) sollecita Alfano; a Marassi situazione drammatica Secolo XIX, 24 marzo 2011 “Domandare è lecito, rispondere è cortesia. Ma anche un dovere quando sei un Ministro della Repubblica e la domanda riguarda uno dei problemi di cui ti dovresti occupare”. Nel corso della seduta di ieri a Palazzo Madama, Roberta Pinotti è intervenuta rivolgendosi ai colleghi e al presidente del Senato per sollecitare una risposta del Ministro Alfano alle due interrogazioni sul tema del sovraffollamento del carcere di Marassi. “Sollecito più che giustificato - ha detto la Pinotti - considerato che le due interrogazioni risalgono una al 26 novembre del 2009 e l’altra al 13 luglio del 2010. “Anche ieri mattina è avvenuta una rissa tra detenuti che ha coinvolto 50 detenuti, ha provocato 10 feriti, tra cui uno sfregiato in modo grave - ha detto la senatrice Pinotti. La situazione è drammatica per il sovraffollamento delle carceri liguri. Questa condizione crea problemi nel controllo dei detenuti e una situazione assai grave per la polizia penitenziaria che deve gestire una realtà molto complicata. Al momento nel carcere di Marassi ci sono 780 detenuti invece dei 450 che potrebbe ospitare. “La situazione, ripeto che la prima interrogazione risale al 2009, è insostenibile. Non è stata data alcuna risposta non soltanto alla mie interrogazioni, ma, fatto ben più grave, ai problemi di questo carcere. Spero che il Senato sappia sollecitare un interesse del Ministro”. Salerno: terminali postali del carcere in tilt, i detenuti rischiano di restare senza soldi La Città di Salerno, 24 marzo 2011 Da giorni i terminali dell’ufficio postale del carcere di Fuorni sono in tilt. Un disservizio non da poco se si considera che i familiari non riescono ad effettuare i versamenti monetari per consentire ai detenuti di acquistare medicine, cibo e sigarette nello spaccio. La denuncia arriva da alcune persone che si sono viste impossibilitate a provvedere alle esigenze economiche dei propri congiunti che si trovano a Fuorni. Difficile percorrere la strada alternativa del vaglia on line, perché come hanno spiegato i diretti interessati, prima che le somme di denaro vengano contabilizzate trascorrono diversi giorni. Domani è il giorno in cui in carcere arriveranno le provviste che i detenuti hanno prenotato. Ma, proprio per i problemi sopra elencati, molti non avranno la possibilità economica di acquistarli. Non c’è un “Gorbaciof” che intasca il denaro destinato ai detenuti, come nella pellicola con Toni Servillo, ma il black out informatico finisce con il penalizzare allo stesso modo chi attende una settimana prima di fare rifornimento. Medicine comprese. “Un conto è che chi ha sbagliato debba scontare la sua pena, un conto è che debba essere mortificato nella sua dignità di essere umano”, ha tuonato un familiare di una persona detenuta a Fuorni. Tra l’altro non è la prima volta che si verificano problemi del genere e a nulla sono valsi i solleciti. Come lettera morta sono restate le richieste di migliorare le condizioni di accoglienza per i visitatori. Non ci sono bagni dedicati, non ci sono pensiline o strutture per ripararsi in caso di freddo o pioggia. Importante, ma poco se si paragonano i disservizi che i familiari devono affrontare ai disagi che scontano i detenuti e le guardie carcerarie. I primi, per assenza di fondi, sono obbligati a condividere le celle con un numero decisamente maggiore di coinquilini rispetto a quanto prevedono le normative. Le forze di polizia, in virtù del sovraffollamento, sono costrette a turni massacranti. Bologna: segano le sbarre di una finestra, per tentare la fuga dall’Ipm del Pratello Ansa, 24 marzo 2011 Un tentativo di evasione è stato scongiurato lunedì al carcere minorile del Pratello. Ne dà notizia il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe che ha colto l’occasione per ribadire le condizioni di lavoro degli operatori. “Lunedì scorso - ha raccontato Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del sindacato - due detenuti hanno tentato di evadere, segando le sbarre di una finestra. Si trovavano in un locale adibito alle attività e, dopo aver forzato la porta della stanza in cui si trovavano custoditi gli attrezzi di lavoro, hanno preso una sega elettrica, con la quale hanno segato le sbarre della finestra. L’agente in servizio nel reparto è stato avvisato da un impiegato del centro giustizia minorile ed è intervenuto immediatamente, bloccando i due detenuti ed evitando, così, una rocambolesca fuga che avrebbe coperto di ridicolo l’intera istituzione, così come è già avvenuto due anni addietro, sempre nel carcere minorile bolognese del Pratello, con l’evasione di due pericolosi detenuti”. Secondo Durante, “gli eventi critici si susseguono ormai a ritmi insostenibili in tutti gli istituti d’Italia. L’Emilia-Romagna continua ad essere una delle regioni maggiormente interessate, compreso l’istituto minorile di Bologna dove, solo pochi giorni fa, due agenti sono stati feriti da un detenuto che li aggrediti. Uno dei due agenti, nei giorni scorsi, è stato operato ad una mano ed ora si trova in convalescenza con una prognosi di 40 giorni. Il fatto che certi episodi avvengano in maniera così frequente anche nelle carceri minorili conferma il fallimento di questa istituzione e ci convince sempre di più che sarebbe opportuno far passare la gestione di tali istituti agli adulti, dove potrebbero essere costruite delle sezioni detentive per minori. Ciò comporterebbe un notevole risparmio di risorse economiche e materiali. Il personale di polizia penitenziaria in servizio nel carcere minorile di Bologna è stanco di subire questi episodi, la maggior parte degli agenti ha chiesto di essere trasferito in altre sedi, anche perché non si sente tutelato dai vertici istituzionali”. Per questi motivi, venerdì prossimo il Sappe manifesterà davanti a tutte le carceri dell’Emilia-Romagna. Modena: due agenti aggrediti a morsi da un detenuto colombiano appena arrestato La Gazzetta, 24 marzo 2011 Un detenuto di origine colombiana, arrestato per droga e condotto nel carcere Sant’Anna, ha aggredito a morsi due agenti della polizia penitenziaria, che stavano compiendo controlli e operazioni previste dal regolamento penitenziario: uno è rimasto ferito alla mano, l’altro ad una spalla. Entrambi sono stati medicati ed hanno riportato ferite guaribili in tre giorni. Sono in corso accertamenti per escludere eventuali contagi di malattie infettive. Il fatto, accaduto sabato, è stato reso noto da Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria). “Continuano gli eventi critici in Emilia Romagna - sottolinea Durante - dove negli ultimi giorni si sono verificate due aggressioni al carcere minorile di Bologna, un caso di tubercolosi di un agente della polizia penitenziaria a Parma, dove c’è stato anche il suicidio di un detenuto e, per ultimo, l’aggressione al carcere di Modena”. “Nel carcere di Modena - riferisce il Sappe - ci sono 417 detenuti, a fronte di una capienza di 200 posti. Gli stranieri sono circa il 65%, circa il 50% sono tossicodipendenti. Gli agenti di polizia penitenziaria sono 168, mentre le piante organiche ne prevedono 228. È urgente inviare al più presto almeno 50 agenti per far fronte alle quotidiane esigenze di sicurezza della struttura penitenziaria, peraltro interessata dalla costruzione di un nuovo padiglione detentivo, previsto dal piano carceri. Un padiglione destinato a restare chiuso come tanti altri, si vedano Parma e Rimini, considerata la carenza di personale. In Emilia Romagna mancano 650 agenti, in Italia ne mancano ben 6500”. Intanto continua lo stato di agitazione del Sappe in Emilia Romagna e “vista l’assoluta assenza dell’Amministrazione penitenziaria, presto saranno adottate altre e più incisive forme di protesta”. Nuoro: droga a Badu ‘e Carros; l’avvocato confessa e viene alla luce un giro di corruzione L’Unione Sarda, 24 marzo 2011 L’avvocato che inviava il denaro al detenuto ha confessato. E dall’inchiesta che ha portato alla luce un giro di corruzione a Badu ‘e Carros affiorano retroscena sconvolgenti. L’avvocato Bagianti si è pentito. Ieri mattina durante l’interrogatorio di garanzia ha solo provato ad ammorbidire la sua posizione di corruttore di pubblico ufficiale. Poi ha confessato tutto. Negli altri due interrogatori di garanzia a Badu ‘e Carros, Di Giovanni (difeso dall’avvocato Tullio Moni) e Puggioni (da Giovanna Serra) si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Scenario diverso a Perugia. Qui Bagianti è crollato dopo oltre due ore di interrogatorio, incalzato dalle domande e dai precisi riscontri del pm Luca Forteleoni, titolare dell’indagine che ha portato agli arresti quattro persone (oltre all’avvocato umbro, l’agente Pietro Puggioni, il commerciante Gianluca Peddio, mentre al detenuto Gianluca Di Giovanni è stata notificata una nuova ordinanza di custodia cautelare a Badu ‘e Carros) per corruzione in concorso, spaccio di droga e traffico di armi. A incastrare il professionista, oltre alle intercettazioni telefoniche, ci sono i vaglia postali inviati non direttamente alla guardia penitenziaria ma alla cognata di quest’ultimo, nel tentativo di sviare la tracciabilità il mezzo di pagamento. Un’ammissione di responsabilità all’inizio parziale, ma minuto dopo minuto sempre più completa ed esaustiva. Il sovrintendente di polizia penitenziaria coinvolto avrebbe avuto un disperato bisogno di soldi per giocare a videopoker, gli altri personaggi sarebbero ingranaggi di operazioni finanziarie illecite a livello internazionale. Mai un agente della Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere Badu ‘e Carros era stato arrestato per corruzione. Lo sottolinea in una nota il segretario della Cisl penitenziari di Nuoro, l’ispettore Raimondo Atzeni. “Le parole usate del procuratore della Repubblica di Nuoro Andrea Garau, per riconoscere l’integrità del Corpo al momento dell’arresto per corruzione di un poliziotto dell’istituto, infondono nuova forza al personale del carcere nuorese - dice Atzeni - che sa di lavorare in una sede particolare per il contesto sociale in cui è inserito. Sono difficoltà che i lavoratori hanno sempre saputo affrontare con forza, consapevoli della propria integrità morale e capacità professionale. È la prima volta che un agente di questo Istituto viene arrestato per corruzione e questo ci addolora tutti e ci spinge ad una reazione all’altezza della situazione. E così sarà. La nostra forza morale - conclude il segretario della Cisl penitenziari - la fiducia nelle nostre capacità saranno gli strumenti per riemergere. Più difficili saranno le riflessioni che questo triste episodio stimoleranno in ognuno di noi”. Latina: il candidato del Pd alle provinciali Claudio Moscardelli ha visitato il carcere Il Messaggero, 24 marzo 2011 “Ho avuto un incontro con il personale per verificare le condizioni della struttura, lavorative e dei detenuti. Il carcere come noto è una struttura vecchia, inadeguata, priva di spazi che possano consentire una politica di trattamento dei detenuti e vi è la mancanza di servizi per poter operare da parte del personale - ha detto Moscardelli. Mi sono anche stati illustrati i problemi relativi al trattamento sanitario dei detenuti, le condizioni di sovraffollamento del carcere, la mancanza di personale che è destinata ad aggravarsi a causa della difficoltà ad avere dipendenti in sostituzione di chi è andato in pensione. È evidente che la struttura deve essere trasferita in altra area con investimenti da parte del ministero per la realizzazione del nuovo carcere. Occorre dunque sollecitare il ministero affinché Latina venga inserita tra le priorità del piano d’investimento per le nuove strutture carcerarie. Occorre tener presente che la provincia di Latina è la più popolosa del Lazio dopo quella di Roma ed è l’unica ad essere priva di strutture moderne esistenti invece nelle altre province del Lazio. Tuttavia vi sono alcune problematiche che debbono essere affrontate da subito. Ho assunto l’impegno di promuovere un incontro con la Asl di Latina per affrontare le tematiche inerenti l’aspetto sanitario e un incontro con il provveditore per le strutture carcerarie a Roma per destinare risorse per la riqualificazione dei servizi e della struttura carceraria attuale. Domani mattina incontrerò a Roma il provveditore per verificare la possibilità di ottenere un impiego di risorse da destinare al carcere di Latina”. Ancona: il Garante visita reparto detenuti dell’Ospedale regionale di Torrette Il Messaggero, 24 marzo 2011 L’ombudsman regionale prof. Italo Tanoni, accompagnato dal consigliere regionale Erminio Marinelli, dai rappresentanti dell’assessore Marco Luchetti e del gruppo regionale Idv, ha svolto questa mattina un sopralluogo nel reparto detenuti dell’ospedale regionale di Torrette. La delegazione è stata accolta dal direttore Generale Gino Tosolini e dalla direttrice sanitaria Nadia Storti. L’obiettivo della visita era quello di conoscere la situazione dei servizi relativi al Pronto soccorso, alla medicina specialistica e agli interventi urgenti che riguardano soprattutto gli episodi di autolesionismo che avvengono nelle carceri di Montacuto e Barcaglione. Nel 2010 i ricoveri nella struttura di Torrette sono stati 78, alcuni dei quali dovuti proprio a casi di autolesionismo. Da parte della Direzione sanitaria è stato preso l’impegno di attivare un contatto costante con l’ufficio del Garante dei detenuti, prevedendo un monitoraggio costante delle situazioni socio-sanitarie che gravitano nei due istituti penitenziari. Al termine dell’incontro la delegazione ha espresso piena soddisfazione per i risultati raggiunti. La visita rientra nel programma di sopralluoghi nelle strutture sanitarie che ospitano detenuti, promosso dal Garante e dall’Assemblea legislativa. L’obiettivo è quello di verificare la funzionalità tra il servizio sanitario e l’utenza, le modalità del ricovero e l’erogazione di prestazioni specializzate particolarmente importanti per questa categoria di pazienti, come la neuro-psichiatria. Le visite sono iniziate lo scorso 18 febbraio all’ospedale di Ascoli, la prossima tappa sarà il 25 marzo all’ospedale San Salvatore di Pesaro. Monza: la biblioteca comunale di Vimercate dona libri al carcere Asca, 24 marzo 2011 Sono stati consegnati oggi alla biblioteca del carcere di Monza i libri acquistati dalla biblioteca di Vimercate appositamente per rimpolpare la già consistente raccolta di documenti presenti all’interno della casa circondariale del capoluogo della Brianza. Il Sistema Bibliotecario Vimercatese, considerata l’importanza di questo progetto ha deciso di contribuire con l’acquisto di alcuni libri destinati alle biblioteche sia della sezione femminile sia di quella maschile del carcere. Si tratta di libri nuovi, acquistati appositamente e scelti sulla base delle indicazioni ricevute dalla responsabile della Biblioteca del carcere Amelia Brambilla. Si tratta in particolare di vocabolari della lingua italiana, il codice di procedura penale, il codice penitenziario ecc. I libri sono stati consegnati ieri al direttore del carcere Massimo Parisi da Roberto Rampi, vicesindaco di Vimercate e dal presidente del Sistema Bibliotecario Vimercatese, accompagnato da Vittorio Pozzati, vicepresidente del Consiglio Provinciale, che da tempo segue le vicende delle carceri monzesi. Il progetto “La biblioteca nel carcere” nasce nel 2006 a seguito di un finanziamento della Provincia di Milano a Brianza Biblioteche. La biblioteca della sezione maschile del carcere ha ad oggi un patrimonio di circa 4.000 documenti, e solo nel 2010 ha registrato 1.910 prestiti interni. Dal 2008 la biblioteca della sezione maschile è altresì un centro di eventi culturali. Da gennaio 2011, il progetto è stato esteso anche alla biblioteca della sezione femminile. Firenze: l’Assessore regionale Nencini partecipa a dibattito sull’emergenza penitenziaria Adnkronos, 24 marzo 2011 Diritti umani ed emergenza penitenziaria. Se n’è parlato nel corso di un evento organizzato dall’assessore per la promozione dei diritti umani della Toscana, on. Riccardo Nencini, assieme all’associazione volontariato penitenziario e l’associazione G.P. Meucci. L’occasione è stata la presentazione del volume “Diritto penitenziario” di Carlo Brunetti e Marcello Ziccone (Edizioni Simone), a cui, sempre nella sala delle Collezioni del Consiglio regionale della Toscana, è seguito poi un dibattito a cui sono intervenuti Emilio Santore, professore dell’Università degli studi di Firenze, il garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone e gli autori del libro. In sala, tra gli altri, c’erano il presidente della Corte di Appello di Firenze Fabio Massimo Drago e e il Procuratore generale della repubblica di Firenze Beniamino Deidda. Sono intervenuti anche il consigliere regionale Severino Saccardi e il magistrato di sorveglianza di Firenze Massimo Niro. ‘ Il carcere ha sempre rappresentato in filigrana la società da cui promana e da cui è gestito - sottolinea l’assessore Nencini - e mai come oggi è specchio fedele della crisi morale e di valori della nostra società”. Il volume presentato costituisce un primo approccio, a tutto tondo, a questa delicata materia. Genova: “Arte ristretta” in mostra alla Biblioteca Berio fino al 26 marzo Secolo XIX, 24 marzo 2011 In esposizione nella sala mostre della Berio sino al 26 marzo i risultati del lavoro di studio compiuto dai detenuti delle carceri liguri con Cinzia Vola, artista e insegnante. “Un momento in cui l’individuo - spiega il direttore di Marassi - può mostrare la parte migliore di sé” Si è inaugurata presso la sala mostre della Biblioteca Berio la mostra Arte ristretta, dedicata ai dipinti e ai disegni realizzati dai detenuti delle carceri liguri. È il risultato di lavoro di studio che hanno avuto talvolta esiti sorprendenti, spiegano gli organizzatori, di un progetto di collaborazione e case circondariali che prosegue nel suo percorso. “Con Cinzia Vola, insegnante e artista, abbiamo cercato di dare anche l’idea del percorso lavorativo, esponendo anche i disegni di studio”, spiega Emanuele Canepa, bibliotecario della Berio. “Chi si pone davanti a una tecnica, come quella del disegno, si trova di fronte un percorso che potrebbe essere il paradigma di un altro, uno di costruzione di nuovi rapporti sociali.” Un progetto, spiega Vola, legato al tema dell’identità - e la mostra è composta soprattutto di volti, copie di ritratti di grandi maestri del passato. Giovanni Salomone, Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Liguria, ha sottolineato come le opere in mostra siano la prova dell’impegno dei tanti che si sono stretti attorno ai talenti che, per varie ragioni, in questo momento sono rinchiusi all’interno degli istituti penitenziari. Non solo talenti ma persone con risorse che hanno bisogno dello stimolo giusto e delle occasioni per potersi esprimere e per - anche attraverso questo genere di espressione - poter intraprendere un percorso che ci auguriamo possa essere efficace per il loro reinserimento, per dare a se stesse un progetto di vita diverso, che le tenga per il futuro lontano dal reato. È importante che questo sia fatto non dall’amministrazione, che fa un altro lavoro, ma in sinergia con essa, da parte di chi può portare buona volontà, interesse e anche quella dimensione umana che anch’essa è importante per avvicinarsi a un contesto certamente difficile e che troppo spesso si cerca di tenere ai margini - non a caso si parla di emarginazione. Per Milò Bertolotto, assessore della Provincia con delega alle carceri, le opere della mostra “non sono solo il frutto di questo percorso ma anche un’azione di vicinanza, di condivisione”. L’arte è un’espressione di sé, una rielaborazione del proprio vissuto, e credo che questo lavoro sia stato arricchente per le persone detenute e per chi con loro ha lavorato. È importente che questi lavori siano sotto gli occhi di tutti quelli che del carcere non si interessano e di chi si dimentica della sua esistenza, non solo dei cittadini in genere ma anche delle istituzioni. È un modo per dire che il carcere non è un mondo a parte, che le persone detenute sono lì per un periodo transitorio e che quindi hanno il diritto di veder riconosciute le loro capacità ma soprattutto di poter guardare al futuro con una speranza diversa nel cuore. Salvatore Mazzeo, direttore della Casa circondariale di Marassi, ha fatto notare che ogni detenuto abbia delle potenzialità, spesso nascoste, che riescono a evidenziarsi anche nel mondo carcerario. Marassi ha ospitato incontri di poesia, attività teatrali, “momenti in cui l’individuo - ha spiegato - può mostrare la parte migliore di sé. Anche chi ha sbagliato può recuperarsi, se scopre in se stesso queste potenzialità”. La direttrice della Casa circondariale di Pontedecimo, Maria Milano, ha sottolineato come gli insegnanti, che partecipano come volontari, siano “la linfa vitale dell’area educativa: grazie a loro riusciamo a dare delle piccole alternative a chi vuole averle. Riuscire a impegnare, anche per poco tempo, un po’ di persone e tirarle fuori dalla cella, dal pensiero fisso della tossicodipendenza e del reato, è un grandissimo successo”. Ad aver lavorato in prima persona con i detenuti di tutte le carceri, con la sola eccezione di Pontedecimo, è Cinzia Vola, artista e insegnante. Un altro risultato di questo lavoro, documentato in mostra da una serie di fotografie, sono i coloratissimi murales realizzati per le sale in cui i detenuti hanno i colloqui con i loro figli. Con i detenuti - tranne qualche piccolo incidente - ho sempre avuto ottimi rapporti. Spesso anche molti agenti collaborano, rendendo più fluido il lavoro, anche perché portare in carcere materiali molto specifici, come la pittura acrilica, non è semplice. Ogni volta che riesco a svolgere la mia attività è veramente un miracolo, perché - considerano il luogo - vedere ogni volta gli allievi che vengono al mio corso mi lusinga, perché significa che, con molta umiltà, con la mia presenza posso offrire valori, come l’arte, che magari nessuno aveva offerto loro prima di allora. Arte ristretta, sala mostre, Civica Biblioteca Berio sino a sabato 26 marzo; orario 16 - 18.30, Sala Mostre della biblioteca Berio). In mostra, e in vendita, anche oggetti - borse, bigiotteria, borse - frutto di progetti lavoro avviati nelle carceri. Egitto: governo propone fino a 1 anno di carcere carcere e multa per chi sciopera Aki, 24 marzo 2011 Carcere fino a un anno e multe fino a 500mila sterline egiziane (quasi 60mila euro) per chi sciopera e scende in piazza a protestare. È quanto prevede una proposta di legge del governo ad interim egiziano, che fissa pesanti sanzioni per quanti “interrompono il lavoro pubblico o privato”, come riferisce il sito Egynews. La validità della norma è limitata al periodo in cui resta in vigore lo stato d’emergenza e necessita dell’approvazione del Consiglio supremo delle forze armate, alla guida del paese dalla caduta del presidente Hosni Mubarak. La proposta di legge ha già incassato le critiche degli attivisti, secondo i quali si tratta di un espediente dei militari per prevenire nuove manifestazioni contro lo stato d’emergenza e gli abusi che consente contro la popolazione.