Giustizia: gli Opg verso la riforma; tre saranno chiusi, sugli altri intervento delle Regioni Ansa, 23 marzo 2011 Sulla situazione degli Ospedali psichiatrici giudiziari “ho visto il filmato” della Commissione d’inchiesta del Senato sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, andato in onda domenica in “Presa diretta” su Rai Tre, “e ho discusso della questione, della quale è al corrente anche il presidente della Repubblica, con il ministro della Giustizia”. “Per la chiusura ipotizzata di 3 dei 6 psichiatrici giudiziari, la legge prevede un iter con un piano che mira al superamento degli attuali istituti con nuove strutture, sempre dedicate agli internati che devono scontare misure di sicurezza”. Lo ha detto il ministro della Salute Ferruccio Fazio, durante il question time oggi alla Camera. Fazio ha spiegato che “ci sono tre fasi: una prima in cui la responsabilità, ed è già iniziata, viene assunta interamente dalle Regioni in cui gli istituti hanno sede; contestualmente i dipartimenti di salute mentale nei territori degli opg provvedono a una stesura di un programma operativo che permette la dimissione degli internati e riportare nei carceri di provenienza quelli che hanno avuto disturbi psichici durante l’esecuzione della pena e assicurare che l’osservazione per l’accertamento delle infermità siano espletate”. “Mentre la gestione sanitaria è in carico alle Regioni, quella alberghiera degli ambienti è in carico all’Amministrazione penitenziaria. Una seconda fase a distanza di un anno - ha continuato il ministro - prevede una distribuzione degli internati in modo che ogni Opg si possa configurare come sede di ricovero degli internati delle Regioni limitrofe. È un primo passo per poi spostarli sul territorio, perché la legge prevede la presa in carico delle Regioni in modo graduale. La terza fase è in corso”. “Questa situazione implica una presa di responsabilità da parte delle Regioni. Il ministero ha stanziato 5 mln di euro per migliorare le condizioni e 10 mln sono stati stanziati dal ministero della Giustizia. In più - ha concluso Fazio - c’è un apposita commissione afferente alla Conferenza Stato-Regioni che si occupa nello specifico del rispetto dei tempi del trasferimento”. In attuazione piano chiusura 3 strutture “Il piano per il superamento degli attuali istituti con la creazione di nuove strutture sempre dedicate agli internati che devono scontare misure di sicurezza - ha spiegato Fazio - prevede tre fasi. La prima, già avviata, stabilisce che la responsabilità degli Opg sia assunta interamente dalle regioni in cui gli istituti hanno sede, e che contestualmente i dipartimenti di salute mentale di competenza stendano un programma operativo che prevede le dimissioni degli internati e il ritorno nel carcere di provenienza di quelli che hanno accusato disturbi psichici durante l’esecuzione della pena”. La seconda fase prevede la distribuzione degli internati in modo che, ha rilevato il ministro, “ogni Opg si possa configurare come sede e territorio per i ricoveri internati provenienti dalle regioni limitrofe. Questo - ha sottolineato Fazio - è il primo passo per spostare gli internati sul territorio, perché il programma prevede una presa in carico da parte delle regioni”. La terza fase, infine, è legata ai fondi stanziati dal ministero della Salute (5 milioni) e dal ministero della Giustizia (10) per il miglioramento delle condizioni degli internati. Il piano per la chiusura di tre dei sei Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) italiani, previsto dal Dpcm del primo aprile 2008, è in fase di attuazione: lo ha detto il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, rispondendo a un’interrogazione dell’on. Anna Teresa Formisano (Udc). “Il piano per il superamento degli attuali istituti con la creazione di nuove strutture sempre dedicate agli internati che devono scontare misure di sicurezza - ha spiegato Fazio - prevede tre fasi. La prima, già avviata, stabilisce che la responsabilità degli Opg sia assunta interamente dalle regioni in cui gli istituti hanno sede, e che contestualmente i dipartimenti di salute mentale di competenza stendano un programma operativo che prevede le dimissioni degli internati e il ritorno nel carcere di provenienza di quelli che hanno accusato disturbi psichici durante l’esecuzione della pena”. La seconda fase prevede la distribuzione degli internati in modo che, ha rilevato il ministro, “ogni Opg si possa configurare come sede e territorio per i ricoveri internati provenienti dalle regioni limitrofe. Questo - ha sottolineato Fazio - è il primo passo per spostare gli internati sul territorio, perché il programma prevede una presa in carico da parte delle regioni”. La terza fase, infine, è legata ai fondi stanziati dal ministero della Salute (5 milioni) e dal ministero della Giustizia (10) per il miglioramento delle condizioni degli internati. Giustizia: “Fà la cosa giusta”; l’economia carceraria non è di serie B Redattore Sociale, 23 marzo 2011 Sono 2 i convegni in programma nell’ambito della Fiera di Milano per fare il punto sullo stato attuale e delineare le prospettive future. Il primo si tiene venerdì 25 marzo, il secondo sabato 26 marzo. Niente prodotti scadenti o bilanci zoppicanti, le coooperative e le imprese che animano il mondo dell’economia carceraria non sono realtà di serie B. Lo dimostrano realtà consolidate come la cooperativa sociale Aretè che, dal 1987, porta avanti un progetto che coniuga l’agricoltura biologica e percorsi di riabilitazione per detenuti (e persone con disagio psichico) finalizzato all’inserimento nel mondo del lavoro. Con un bilancio annuale che si aggira attorno ai due milioni di euro che garantisce l’occupazione di cinque persone svantaggiate e di altri 18 lavoratori inseriti con borsa lavoro provenienti dagli Ospedali Riuniti di Bergamo o dalla Casa circondariale di Bergamo. E sul biologico hanno scommesso anche le colonie agricole delle case di reclusione di Is Arenas, Isili e Mamone (in Sardegna) che, nel quadro di un progetto di durata triennale promosso da Aiab in collaborazione con il Provveditorato, verranno convertite all’agricoltura biologica. Per fare il punto sulla situazione attuale dell’economia carceraria, i progetti già lanciati e le prospettive di sviluppo future, a Fà la cosa giusta! sono in programma due convegni dedicati al tema. Il primo appuntamento è per venerdì 25 marzo (ore 14, sala Pacifico) con un “viaggio” alla scoperta dei progetti avviati dal 2010 a oggi. All’incontro “Economia carceraria. Facciamo il punto?” parteciperanno Anna Ciaperoni (Aiab), Giampaolo Cassitta (Prap Sardegna), Oliviero Arzuffi (cooperativa Aretè), Pietro Raitano (Altreconomia). Il secondo appuntamento, “Economia carceraria: quale futuro?” è in programma sabato 26 marzo (ore 14, auditorium Novamont). Parteciperanno Antonella Barone (Ministero della giustizia), Paolo Massenzi (Recuperiamoci!), Rosalia Marino (direttore del carcere di Novara), Rossella Favero (cooperativa Altra città). All’interno della sezione “Sprigioniamoci” di Fà la cosa giusta! sono presenti più di venti realtà tra associazioni e cooperative che promuovono il lavoro all’interno degli istituiti di pena. Tra le novità di quest’anno, è possibile andare alla scoperta del caffè prodotto nella torrefazione gestita dalla cooperativa “Lazzarelle” all’interno del carcere femminile di Pozzuoli oppure de “Il pungiglione - villaggio dell’accoglienza” che offre punto ristoro, fattoria didattica, produzione di miele della Lunigiana e falegnameria dando opportunità lavorativa a detenuti in misura alternativa. Giustizia: processo su morte di Bianzino; il pm prova a escludere la moglie dalle parti civili di Checchino Antonini Liberazione, 23 marzo 2011 S’è aperto, con un’accusa monca, il processo per la morte in carcere dell’ebanista che si coltivava l’erba. Non è cambiato quasi nulla nel carcere di Capanne, a Perugia, dall’autunno del 2007, da quando Aldo Bianzino vi trovò la morte meno di 48 ore dopo il suo arresto. “Quasi” significa che ancora oggi restano alti i livelli di discrezionalità da parte della polizia penitenziaria la valutazione dell’opportunità di una visita medica in presenza di un detenuto che si lamenta. Anche dovesse contorcersi dal dolore. Però la prassi ha fissato da allora una visita medica più rigorosa per i nuovi arrivi. E questo potrebbe dirla lunga in fondo al processo che è iniziato a Perugia a tre anni e mezzo da quel 12 ottobre in cui Aldo Bianzino e la sua compagna Roberta Radici vennero arrestati dalla polizia con l’accusa di possedere e coltivare alcune piante di marijuana. Ma l’avvio del processo registra anche l’estromissione dalle parti civili del Comitato Verità per Aldo e dell’associazione A buon diritto. E non si tratta di segnali positivi. Anche Gioia Toniolo, la donna con cui Bianzino ha avuto due figli, ha rischiato la stessa sorte. Il pm, infatti, ha sostenuto che non avrebbe subito alcun danno dalla morte del pacifico ma squattrinato ebanista. “Un attacco a una donna e, per di più, a colei che ha chiesto subito l’autopsia per Aldo con cui aveva mantenuto un rapporto fraterno”, commenta Patrizia Cirino dell’Associazione Verità per Aldo”. Non ci aspettavamo una tale mancanza di rispetto visto che non essendo divorziata aveva diritto comunque ad un assegno di mantenimento. Ma avendo due figli con Aldo è davvero difficile sostenere che non abbia subito alcun danno morale da quella morte”, spiega a Liberazione Fabio Anselmo, legale di alcuni figli e familiari della vittima del carcere, che è riuscito a ribaltare la richiesta del pm anche per quanto riguarda il tentativo di vietare riprese video. Il giudice lo ha motivato col timore che un processo che prevede pene fino a un massimo di due anni venga associato ad altri più importanti. Non ha fatto nomi il giudice però la presenza di Anselmo, legale dei familiari di Aldrovandi, Cucchi e Uva spiega fin troppo l’imbarazzo per l’ennesimo processo al lato più oscuro dei trattamenti polizieschi e penitenziari. Reiterata omissione di soccorso e falsificazione di pubblici registri sono i capi di imputazione per l’unico imputato, un agente di polizia penitenziaria. Ma il comitato Verità per Aldo ha sempre sostenuto che si tratta di un’accusa monca. Quando una persona muore potrebbero esserci gli estremi di un omicidio colposo. Particolarmente grave l’esclusione dalle parti civili - e un pò strano che l’abbia chiesta il pm - delle associazioni che hanno denunciato immediatamente le anomalie della versione ufficiale sulla morte del detenuto. Ma il pm è lo stesso che lo arrestò e che curò le indagini preliminari senza dialogare granché con familiari e comitati. Il 14 ottobre 2007 alle 8,15 la polizia penitenziaria trova Aldo agonizzante. Le prime indiscrezioni accreditano l’infarto ma il perito prima rivela diverse gravi lesioni di origine traumatica per fornire in seguito una versione più tranquillizzante. L’inchiesta per omicidio volontario è stata archiviata con la solita dicitura: “Cause naturali”. La morte, secondo la perizia medico-legale, è stata provocata dalla rottura di un aneurisma cerebrale: la lesione epatica definita “estranea all’evento letale”, il decesso attribuito a cause naturali, escludendo l’esistenza di aggressioni nei confronti della vittima. Nel frattempo Roberta Radici si è spenta pochi mesi dopo. Ora i tre figli di Aldo Bianzino, suo fratello, i suoi genitori e la sua ex moglie, assieme al comitato Verità per Aldo continuano a chiedere l’integrazione del capo di imputazione. “Se raccontare è resistere, è tempo di resistere a indagini inquinate, manipolazioni d’informazione, istruttorie lacunose frutto di conflitti d’interesse (l’attività investigativa viene anche svolta da appartenenti alla polizia penitenziaria in servizio a Perugia), tentativi di insabbiamento, richieste di archiviazione”, ha scritto Cirino tre anni fa. Ed è ancora un’urgenza. Sulmona (Aq): carcere svuotato dopo denuncia presidente del Tribunale di sorveglianza Ansa, 23 marzo 2011 Condizioni di vita impossibili, spazi angusti, assenza di lavoro, mancanza di intimità nei colloqui dovuta all’assenza di muri divisori e promiscuità tra detenuti e internati: sono solo alcuni dei rilievi che il presidente del tribunale di sorveglianza, Laura Longo, ha sollevato in una relazione inviata al ministero incentrata sul carcere di Sulmona (L’Aquila). Per questo entro la settimana 130 detenuti saranno trasferiti nelle carceri di Avezzano (L’Aquila) e Pescara, entrambe strutture di media sicurezza, come ordinato dal Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap). Al momento nel carcere di Sulmona ci sono 448 detenuti: 130 nella sezione ordinaria, 47 in alta sicurezza 1, 97 in Alta sicurezza 3, 14 nella sezione collaboratori, 159 internati. Dopo il trasferimento ne rimarranno 315. Di fatto le contestazioni evidenziate dal magistrato rendono la detenzione contraria ai dettami contenuti nella carta costituzionale, così come già segnalato dalla camera penale dell’Aquila che aveva avviato una petizione per evidenziare il disagio con cui sono costretti a fare i conti gli ospiti della struttura peligna, dove negli ultimi dieci anni sono stati registrati tredici suicidi. Numerose, inoltre, sono state nei mesi e negli anni scorsi le manifestazioni di esponenti politici per sensibilizzare le Istituzioni sulle condizioni di vita dei detenuti nel carcere di via Lamaccio. Secondo indiscrezioni il trasferimento dei detenuti potrebbe essere il prologo al progetto del Dap di trasformare il carcere sulmonese in una grande casa lavoro, tra le prime in Italia per dimensioni; si tratta di un carcere dove trovano ospitati gli internati, ovvero i detenuti che hanno scontato la pena ma sono ritenuti socialmente pericolosi e necessitano di essere avviati al lavoro per la rieducazione e la risocializzazione. Il piano carceri prevede per questo la costruzione di un nuovo padiglione dove possono trovare spazio fino a duecento internati. Trasferiti 130 detenuti: carcere destinato a “Casa Lavoro” e “Alta Sicurezza” Trasferimento cominciato dal carcere di Sulmona - meglio noto come il carcere dei suicidi in virtù dei 13 verificatisi negli ultimi 10 anni, uno da inizio 2011 - in quelli di Pescara e Avezzano per 130 detenuti. Il trasferimento fa seguito ad una relazione-esposto presentata dal presidente del tribunale di sorveglianza Laura Longo al ministero della Giustizia e nel quale si evidenziano i gravi problemi strutturali e di violazione dei diritti dei detenuti e degli internati presenti nel carcere peligno. Secondo il magistrato, infatti, gli spazi piccoli, la mancanza di lavoro, la presenza dei muri divisori nelle sale colloqui, la promiscuità tra detenuti comuni e internati, rende la reclusione di questi ultimi anticostituzionale. Per questo, dopo una visita nel febbraio scorso, il presidente del tribunale di sorveglianza ha invitato il Dap a prendere provvedimenti, trasferendo una parte dei detenuti comuni di media sicurezza in altri carceri abruzzesi. L’obiettivo è quello di trasformare la casa di reclusione di Sulmona nella più grande casa lavoro d’Italia, dove cioè possano trovare ospitalità gran parte dei cosiddetti internati: detenuti che hanno finito di scontare la pena ma considerati socialmente pericolosi per la cui rieducazione e risocializzazione è necessaria e prescritta l’attività lavorativa. A questo proposito nel piano carceri è prevista la realizzazione di un nuovo padiglione in cui saranno ospitati 200 internati. I lavori dovrebbero iniziare subito dopo l’estate. Attualmente nel carcere di Sulmona ci sono 448 detenuti così suddivisi: 130 nella sezione reclusione ordinaria; 47 in alta sicurezza 1; 97 in alta sicurezza 3; 14 nella sezione collaboratori; 159 nella sezione internati. Alla fine dell’ operazione di trasferimento, a fine settimana, nel carcere ci saranno 315 detenuti. Tre i suicidi in cella, a Sulmona, nel solo 2010, uno al rientro da un permesso premio. Undici i tentativi nello stesso anno; 79 gli episodi autolesionistici sventati e tre aggressioni agli agenti. Suicidi eccellenti furono quelli del sindaco di Roccaraso (Roccaraso) e della direttrice del carcere. Nel primo caso, il giorno di venerdì santo del 2003, la direttrice del carcere Armida Miserere, si sparò alla testa con la pistola d’ordinanza. Nel secondo caso, il 16 agosto del 2004, il sindaco Camillo Valentini era stato arrestato due giorni prima per concussione legata a presunte tangenti relative agli appalti previsti per la Coppa del Mondo di sci che non si è mai svolta. Accuse che ad oggi, non sono state ancora accertate. Camera Penale: gli internati della Casa Lavoro vivranno meglio “È un enorme risultato per il carcere di Sulmona che permetterà agli internati di vivere con maggiore speranza la detenzione”. Così Fabiana Gubitoso della camera penale “Emilio Lopardi jr” dell’Aquila commenta la decisione del Dap di trasferire 130 detenuti di media sicurezza in altre strutture di reclusione, in modo da trasformare quella di Sulmona in una vera e propria casa lavoro. Era stata lei, d’altronde, nel gennaio scorso a raccogliere 144 firme tra gli stessi internati e a presentare il problema al presidente del tribunale di sorveglianza Laura Longo, sotto segnalazione della quale il Dap ha deciso i trasferimenti. “Ora ci sarà più spazio, meno promiscuità e più possibilità di impegno nei laboratori artigianali - continua Gubitoso - anche se occorre fare ancora dei passi in avanti, a partire dall’assistenza sanitaria e dal lavoro: il Comune, gli enti locali e gli imprenditori, devono farsi avanti per garantire commesse e prospettive d’impiego a questi reclusi, dal cui impegno nel lavoro dipende il loro recupero”. Il carcere di via Lamaccio, insomma, si spera da oggi sarà meno carcere dei suicidi e più struttura di recupero, anche se la decisione del Dap rivoluziona la destinazione d’uso della struttura sulmonese. Qui, secondo i piani, resteranno insomma solo i detenuti dell’alta sicurezza (che hanno orari diversi dagli internati) e i cosiddetti delinquenti abituali (internati appunto), con la prospettiva che il carcere di Sulmona diventi la più grande casa lavoro d’Italia. Ai circa 200 internati attualmente presenti, infatti, se ne aggiungeranno a breve altri, anche perché stanno per partire i lavori del nuovo padiglione che potrà ospitare ulteriori duecento detenuti. Palermo: il Centro per ex detenuti con disagio psichico in una villa sequestrata alla mafia Adnkronos, 23 marzo 2011 Una comunità terapeutica assistita destinata ad ex detenuti con disagio psichico troverà spazio nella villa estiva di un boss della mafia. Il progetto è stato presentato, nell’ambito del Pon Sicurezza, dal Comune di Trabia, in provincia di Palermo, ed ha ottenuto un finanziamento di 1.999.988,70 euro. Il Pon Sicurezza, il Programma gestito dal ministero dell’Interno - dipartimento della Pubblica sicurezza e cofinanziato dall’Unione europea, finanzierà i costi della ristrutturazione dell’edificio di 5 piani, appartenuto al boss Giuseppe Rancadore e situato in contrada Sant’Onofrio. La struttura potrà ospitare a rotazione un massimo di 20 utenti di sesso maschile e di età compresa fra i 18 e i 65 anni, ex detenuti affetti da disturbi psicotici e della personalità. Attualmente in provincia di Palermo vi sono 10 Comunità terapeutiche assistite, di cui 7 pubbliche e 3 convenzionate per un totale di 220 posti letto. Ma manca una struttura che possa accogliere ex detenuti provenienti dagli ospedali psichiatrici giudiziari. Un luogo fondamentale per aiutare anche le famiglie, per le quali spesso risulta problematica o impossibile l’assistenza domiciliare. La Comunità terapeutica assistita non ha però finalità esclusivamente assistenziali, ma anche riabilitative e risocializzanti Proprio per questo, molteplici saranno le attività in cui i pazienti verranno coinvolti: dalle piccole attività domestiche (fare la spesa, cucinare, lavare e stirare la propria biancheria) alla partecipazione a corsi esterni di formazione professionale, dai laboratori di disegno, pittura e fotografia a quelli di danza. E ancora attività motorie e ricreative, visite culturali, gruppi di discussione e di informazione sull’uso dei farmaci. A disposizione degli utenti vi saranno medici psichiatri, pedagogisti, assistenti sociali, animatori e psicologi. La gestione del centro verrà affidata alla coop. “Nuova Generazione”. Una volta ristrutturato l’edificio grazie ai fondi del Pon Sicurezza, sarà il Comune di Trabia a garantire la sostenibilità del progetto per almeno i 5 anni successivi alla conclusione dei lavori. Bergamo: molti detenuti stranieri vorrebbero tornare in patria, fermati dalla burocrazia L’Eco di Bergamo, 23 marzo 2011 “Mandiamoli a casa loro”. Non sempre gli slogan politici possono essere messi in pratica. Molti detenuti del carcere di Bergamo infatti a casa loro ci andrebbero di corsa. Il problema sono, come spesso accade in Italia, i lunghi tempi della burocrazia. Servono mesi infatti prima che una pratica di espulsione venga validata dal ministero della Giustizia e venga poi eseguita. Nel frattempo gli immigrati arrestati per violazione della Bossi-Fini rimangono in carcere a spese dello Stato italiano. Gli onorevoli dell’Italia dei Valori Sergio Piffari ed Ivan Rota hanno visitato il carcere di Bergamo per verificarne la sicurezza dopo l’episodio di violenza accaduto settimana scorsa quando cinque agenti di polizia giudiziaria sono stati aggrediti da alcuni detenuti. I deputati dipietristi nella loro visita hanno incontrato molti detenuti immigrati che chiedevano di tornare a casa. “È assurdo che molti candidati chiedano l’espulsione - spiega Sergio Piffari. Molti avrebbero voglia di tornare a casa loro, ma si deve aspettare mesi, la burocrazia”. “Sono costi assurdi che ricadono sulla collettività - commenta Ivan Rota - purtroppo però gli slogan non sempre vengono rispettati”. I due onorevoli hanno visitato il carcere anche per consultare il progetto del nuovo padiglione che dovrebbe permettere di ospitare 200 nuovi detenuti. Costo 11 milioni di euro. “Non abbiamo potuto visionare il progetto perché è coperto da segreto militare - spiega Piffari - l’importante è evitare che grazie alla legge in deroga questi appalti finiscano in mano a chi è più organizzato in criminalità che in opere pubbliche. Per questo motivo noi vigileremo. La struttura di Bergamo è buona, con un’adeguata assistenza sanitaria. Noi ci auguriamo che il ministero abbia il coraggio di utilizzare le giuste risorse per il personale. Significa rispettare i detenuti, ma anche gli agenti che lavorano all’interno del carcere”. “Aver constatato che la realtà di Bergamo è migliore rispetto ad altre non significa che non ci si possa muovere per farla funzionare meglio - continua Rota. Bisogna destinare maggiori risorse per adeguare un organico che è al limite. È fondamentale anche la prevenzione: solo con la formazione e la scolarizzazione si può evitare che un detenuto che esca dal carcere ricommetta uno sbaglio”. Perugia: quattro progetti di inclusione per i detenuti, con il Fondo sociale europeo La Nazione, 23 marzo 2011 Ieri in una conferenza stampa è stata presentata la serie di azioni integrate di orientamento, formazione e accompagnamento al lavoro per detenuti, finanziata dalla Provincia di Perugia attraverso il Fondo sociale europeo. L’iniziativa - è detto in un comunicato della Provincia - è destinata ad alcuni detenuti della casa circondariale di Perugia e della casa di reclusione di Spoleto e alle persone in carico agli uffici di esecuzione penale esterna della provincia di Perugia. Quasi 200 persone alle quali si offre l’occasione di acquisire competenze professionali per entrare in futuro sul mercato del lavoro e migliorare, nel frattempo, il proprio status di detenuti. Si tratta di un pacchetto di quattro diversi progetti, a valere sul Por Umbria Fse 2007-2013 (Obiettivo “Competitività regionale e occupazione”), che possono contare su un finanziamento di 582.000 euro. Partite nell’autunno scorso e dunque in corso di realizzazione, le azioni consistono, fra l’altro, nell’informazione, orientamento, accompagnamento in forma individuale e di gruppo; acquisizione di competenze anche per il conseguimento di qualifiche; tirocini formativi in azienda con borsa lavoro mensile; attività laboratoriali all’interno degli istituti penitenziari con indennità oraria di frequenza; attività di sensibilizzazione del contesto economico locale. Ha svolto il ruolo di soggetto promotore il provveditorato regionale dell’Umbria dell’amministrazione penitenziaria. “Tra i soggetti svantaggiati - ha affermato il vicepresidente con delega alle politiche del lavoro, Aviano Rossi - i detenuti, sono sicuramente coloro che presentano le maggiori difficoltà a causa di una storia personale troppo spesso penalizzante. È nostro dovere garantire loro delle opportunità”. Per Settimio Monetini, dirigente dell’Ufficio trattamento intramurale del provveditorato, si tratta di un progetto che contribuisce ad “interrompere la pericolosa catena delle recidive”. Per Laura Borsani, dirigente dell’ufficio esecuzione penale esterna del provveditorato, “con questo tipo di interventi si garantisce anche una maggiore sicurezza per i cittadini”. Quattro, i progetti in corso di realizzazione tra Perugia e Spoleto. Il primo, denominato “RI Usc.Ire” (riqualificarsi per riuscire in un inserimento regolare) è attuato da Frontiera Lavoro ed è volto a formare addetti alle colture vegetali e arboree e addetti qualificati alla cucina. Il secondo, “Dai paesi di domani”, è affidato a Enaip, Arci e Cesvol, e si propone di trasmettere competenze nei campi della rammagliatura, cucina, verde, grafica e informatica, mentre il terzo denominato “In Forma Lavoro”, è attuato da Ecipa Umbria-Forris Ricerca e Formazione allo scopo di formare nei settori delle realizzazioni grafiche e tipografiche, dei manufatti tessili, del mobile, dell’edilizia e idraulica, della muratura. Infine il quarto progetto, “Un posto al sole”, è affidato a Cidis e Cirps ed è destinato a formare installatori e manutentori di impianti solari termici e fotovoltaici. Viterbo: corso per gli operatori sanitari; come affrontare le urgenze lavorative in carcere www.civitanews.it, 23 marzo 2011 Approfondire le tematiche di maggior rilievo che si presentano quotidianamente nelle urgenze professionali di chi lavora in carcere. Questo è l’obiettivo che si prefigge di raggiungere il progetto Ecm (Educazione continua in medicina), dal titolo “Corso in auto apprendimento sulle urgenze sanitarie nel penitenziario di Viterbo”, che avrà inizio domani, 24 marzo, alle ore 14, presso l’aula Rossi della casa circondariale Mammagialla di Viterbo. L’iniziativa, fortemente voluta dal responsabile dell’area sanitaria del carcere del capoluogo, Franco Lepri, è rivolta agli operatori sanitari della Ausl di Viterbo e si svilupperà in quattro giornate di studio, l’ultima delle quali è prevista nel mese di giugno. Successivamente, considerato il numero ragguardevole delle richieste di partecipazione, il corso verrà ripetuto per più edizioni, ognuna delle quali formerà 25 operatori, tra medici, psicologi, infermieri, tecnici e agenti di polizia penitenziaria. Il progetto che parte domani affronterà quattro aspetti ritenuti le urgenze più importanti e frequenti che si verificano nella prassi lavorativa. Quelle, cioè, che presentano più criticità: dalle urgenze cardiologiche all’autolesionismo, dalle emergenze psichiatriche a quelle infettive. Il corso prevede sia una formazione teorica e clinica, sia una parte esperienziale psicopedagogica (svolta da personale esperto) per sensibilizzare e sostenere il personale che lavora a livello clinico e relazionale con i detenuti/pazienti. La decisione di realizzare questo momento formativo - spiega Franco Lepri - è stata presa al termine del corso “Pianeta carcere: l’assistenza sanitaria dopo il Dpcm 01.04.2008”, che si è svolto dal mese di settembre del 2010 all’inizio di marzo 2011 e che si è rivelato una prima opportunità formativa e informativa sulla realtà del carcere. In quell’occasione, abbiamo constatato da parte di numerosi operatori aziendali un interesse significativo rispetto a questa dimensione lavorativa e clinica. Per questa ragione riteniamo opportuno e appropriato potenziare l’offerta formativa che permetterà alla nostra azienda di dotarsi di professionisti qualificati, qualora ce ne fosse il bisogno. Milano: sette morti nei reparti psichiatrici in 2 anni, la denuncia di Telefono Viola Redattore Sociale, 23 marzo 2011 Sette decessi avvenuti dal 2008 a oggi: “Due pazienti si sono tolti la vita e i loro corpi non sono transitati per la camera mortuaria dell’ospedale”. Presentato un esposto al tribunale di Milano in cui si chiede il commissariamento. Sette persone sono morte all’interno dei tre reparti psichiatrici dell’ospedale Niguarda di Milano dal 2008 a oggi. Fra questi, due si sono tolte la vita e i loro corpi non sono transitati per la camera mortuaria dell’ospedale. È la denuncia dell’associazione Telefono Viola di Milano che oggi ha presentato un esposto presso la procura della Repubblica del Tribunale di Milano. Con questo documento va a integrare i fatti già contenuti in un esposto del dicembre 2010. “Si è innescata una escalation dei decessi: in reparti ospedalieri dove non si può e non si deve morire, si è passati dagli zero decessi del 2006, ai quattro del 2010. Fino a due morti in poco più di due mesi nel 2011 - commenta Giorgio Pompa di Telefono Viola. Chiediamo al direttore generale dell’ospedale Niguarda, all’assessore regionale alla Sanità, al governatore Formigoni il commissariamento urgente della direzione del Dsm e dei tre Grossoni”. Secondo quanto contenuto nei documenti presentati in procura questa mattina, due persone si sono tolte la vita all’interno dei reparti “Grossoni”. Il primo caso si è verificato il 5 aprile 2010, un uomo di 30 anni, originario dello Sri Lanka, si è impiccato all’interno della struttura. “Nel portale dei reparti non esiste nessuna documentazione relativa a questo ricovero - si legge nell’esposto. Inoltre la salma del suicida non è mai passata nella camera mortuaria”. Un fatto insolito dal momento che i corpi di tutte le persone morte all’interno dell’ospedale transitano per la camera mortuaria accompagnati da un documento ufficiale, la cosiddetta “Colombella”, compilato al momento del decesso. Il secondo suicidio, invece, è avvenuto lo scorso 10 marzo: Orlando A., 29 anni, si è impiccato nel bagno del reparto utilizzando i lacci delle scarpe che gli erano state lasciate sotto il letto. Era entrato al “Grossoni 2” dal 6 marzo dopo un tentativo di suicidio. Anche in questo caso la salma del giovane non è transitata per la camera mortuaria del Niguarda (come conferma un addetto della stessa camera mortuaria). La famiglia di Orlando A. è intenzionata a presentare denuncia contro il “Grossoni 2” per negligenza per non avere impedito il suicidio del suo congiunto. Ma anche gli altri decessi segnalati da Telefono Viola sollevano diversi interrogativi. È il caso, ad esempio, di Dario G, morto nella notte del 2 gennaio 2009. Era stato ricoverato il 1° gennaio 2009 al “Grossoni 2” per insufficienza respiratoria acuta e dispnea (ed era già stato curato in quel reparto per gli stessi problemi respiratori). “Perché manca la documentazione relativa all’ultimo ricovero, conclusosi con il decesso? -chiedono dall’associazione Telefono Viola - E perché Dario, quando ha cominciato a sentire che gli mancava il respiro non ha cercato di alzarsi per recarsi al locale infermieri? Era forse contenuto fisicamente?”. Avellino: detenuto chiede di essere curato, le decisioni dei magistrati arrivano dopo mesi Il Mattino, 23 marzo 2011 Affetto da una grave patologia: chiede di essere curato. È la storia di Piero Mele detenuto al carcere di Bellizzi per un omicidio commesso diversi anni fa, e del quale fu, peraltro, reo confesso. A gennaio scorso il suo avvocato Danilo Iacobacci ha presentato istanza al Magistrato di sorveglianza avellinese che ha temporaneamente rigettato e trasmesso gli atti al tribunale di Sorveglianza di Napoli per la decisione definitiva. Tale rigetto avveniva a fine febbraio 2011 (dopo un mese circa dall’istanza) sulla base delle ritenute “condizioni generali discrete” attestate dal Servizio Sanitario del carcere, cui si riportava il Magistrato di sorveglianza. Oggi era prevista l’udienza innanzi al Tribunale di sorveglianza di Napoli - a ben due mesi di distanza dall’istanza proposta nell’interesse del detenuto - per la decisione finale. Ebbene, non è stato possibile celebrare l’udienza nell’interesse del detenuto malato poiché i medici del Carcere avellinese non hanno inoltrato una relazione medica attestante le attuali condizioni del detenuto malato. Preso atto di ciò il Tribunale ha rinviato al 19 aprile. Insomma il detenuto dovrà attendere altri tre mesi per poter far richiesta di essere curato. “L’argomento è di triste attualità - si legge in una nota dell’avvocato Iacobacci - date le continue tragedie nelle carceri italiane (oggetto anche di interventi della Corte europea dei diritti dell’uomo); siamo nel nostro caso, tuttavia, in una ipotesi rimediabile attraverso il mero rispetto della legge ed in particolare dell’art. 32 della Costituzione, ed in questo confidiamo”. Intanto dal carcere è giunta subito una precisazione. La dottoressa Mallardo (Direttore della Casa di reclusione avellinese), ha appreso che la Direzione sanitaria della casa di reclusione di Avellino ha, invece, inoltrato alla Magistratura di sorveglianza anche nel marzo 2011 una relazione riguardante la situazione medica del Mele, proprio al fine di dare corso alla procedura incardinata innanzi al Tribunale di Napoli. E, pertanto, detta documentazione non è pervenuta “in tempo utile” al Tribunale di Sorveglianza di Napoli per l’udienza di oggi per ragioni indipendenti dalla volontà della Direzione della Casa Circondariale di Avellino. Imperia: caso di scabbia in carcere, interrogazione del Consigliere regionale Scibilia (Pd) Secolo XIX, 23 marzo 2011 Il Consigliere Regionale ventimigliese, Sergio Scibilia (Pd), ha preso spunto da casi di contagio da scabbia nel carcere di Imperia, oggi risolti, per allargare la sua interrogazione alla profilassi igienico sanitaria nelle carceri liguri. Ha risposto l’assessore alla salute Claudio Montaldo: “Il caso di scabbia al carcere d’Imperia è stato risolto. I responsabili dell’Asl 1 Imperiese hanno esaminato anche i detenuti della stessa cella e hanno isolato questi carcerati, come da protocollo. Sono state disinfestate le celle e cambiati i materiali. Esiste, invece, un’inquietante situazione delle carceri liguri, sovraffollate con conseguente aumento dei rischi sanitari. C’è stato il trasferimento delle competenze sanitarie dallo Stato, ma non sono state adeguatamente finanziate. Credo che valga la pena portare questo tema in Commissione, ascoltando chi opera nelle carceri”. Scibilia, soddisfatto delle parole dell’assessore Montaldo, ha sottolineato: “La questione delle carceri va sollevata in Commissione, affrontando sia la sicurezza dei detenuti, che le difficoltà del personale e dei volontari che operano nelle inadeguate strutture”. Roma: detenuto evaso dall’Ospedale Umberto I e arrestato poche ore dopo su un autobus Dire, 23 marzo 2011 “Questa notte, intorno alle 3, un detenuto di nazionalità romena è evaso dal policlinico Umberto I, a Roma, dove si trovava ricoverato e piantonato (in corsia ordinaria destinata ai pazienti comuni) da ieri pomeriggio”. Ne danno notizia, in una nota, Eugenio Sarno, segretario generale della Uil penitenziari, Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, e Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo Polizia Penitenziaria - Sappe. “Si tratta di A.L., di 23 anni, in attesa di giudizio per rapina aggravata. Il detenuto di Regina Coeli ha approfittato - raccontano - della momentanea assenza di uno dei due agenti di sorveglianza per aggredire l’altro agente e fuggire. Questa evasione ripropone la mancanza di strutture detentive ospedaliere atte a ospitare degenti sottoposti alla privazione della libertà personale, nonostante ciò sia previsto per legge in ogni plesso ospedaliero. Questo è il quinto detenuto evaso del 2011 a certificazione di come il sistema penitenziario non sia più in grado nemmeno di assicurare sicurezza”. “Quella delle evasioni - continua Beneduci - sembra sia diventata soltanto una questione marginale nell’ambito delle manovre politiche del Dap”, mentre per Capece “questo episodio conferma ancora una volta le criticità del sistema carcere e mette in luce sui gravi rischi per la sicurezza connessi ai servizi di piantonamento di detenuti negli ospedali civili non attrezzati con idonei Repartini detentivi”. “È evidente - si conclude nel comunicato - che prestare un servizio delicato come il piantonamento di un detenuto in una corsia affollata di pazienti comuni acuisce le criticità e incide anche sui livelli di sicurezza. Bisognerebbe che gli ospedali si attrezzassero per disporre di un adeguato Reparto detentivo per permettere al personale di Polizia Penitenziaria di svolgere il proprio delicato servizio nelle migliori condizioni, anche e soprattutto sotto il profilo della sicurezza”. Sappe: conclusa la fuga del detenuto È stato arrestato il detenuto evaso questa notte dal Policlinico Umberto I di Roma, dove si trovava ricoverata. Personale di Polizia Penitenziaria impegnato nelle ricerche lo ha infatti sorpreso e fermato sul Lungotevere di Roma, a bordo di un pullman di linea. “È una buona notizia. L’operazione di servizio posta in essere dal Personale di Polizia penitenziaria, che ha catturato il detenuto evaso dalla struttura, dimostra l’alta professionalità, lo scrupolo e il senso del dovere dei nostri Agenti. Professionalità che vanno valorizzate e premiate, considerato anche il grave sovraffollamento penitenziario e le pesanti carenze di poliziotti in organico. Una operazione di servizio condotta con professionalità e immediatamente coronata da successo, rispetto alla quale esprimo il convinto plauso mio personale e del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo del Corpo.” È il commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, a commento dell’operazione di servizio condotta dal Personale di Polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Roma che ha portato alla cattura del detenuto evaso questa notte dal Policlinico Umberto I di Roma. Roma: Alemanno firma l’ordinanza per il Garante dei detenuti, è Filippo Pegorari Ansa, 23 marzo 2011 Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha firmato quattro importanti ordinanze di nomina. Tra queste quella per il garante per i detenuti. In particolare, spiega la nota del Campidoglio, “Alemanno ha nominato l’avvocato Filippo Pegorari quale garante dei detenuti presso Roma Capitale, che si occuperà dei diritti delle persone private della libertà personale”. Tra le nomine, poi, anche quella del presidente del Consiglio di amministrazione dell’Agenzia comunale per le tossicodipendenze: è stato scelto Luigi Maccaro in seguito alle dimissioni di Massimo Canu dallo stesso incarico. Napoli: l'assessore provinciale Del Giudice in visita al carcere di Pozzuoli Ansa, 23 marzo 2011 “La giornata di oggi l’ho voluta dedicare alle detenute di Pozzuoli, in un periodo durante il quale cresce la voglia conoscere e cercare di risolvere i problemi sociali. Ho potuto constatare con piacere le innumerevoli iniziative intraprese dalla dirigenza della Casa circondariale, visitando il laboratorio di torrefazione dell’ormai conosciuto e apprezzato caffè Lazzarelle, prodotto dalle ospiti della struttura e in vendita in città e in provincia, che non si limitano solo a iniziative lavorative come quella del corso di cucina fatto con l’aiuto di cuochi professionisti, ma anche attività artistiche, come spettacoli teatrali e musicali”. Lo ha detto l'assessore provinciale alle pari opportunità, Giovanna Del Giudice, al termine della sua visita alla casa circondariale femminile di Pozzuoli. “A queste donne, che stanno attraversando un periodo difficile della loro vita, con l’aiuto e la professionalità di chi ha la loro temporanea responsabilità, mostrando la voglia e la forza per riscattarsi,- ha aggiunto la Del Giudice - va tutta la mia comprensione, e per questo voglio perorare la loro causa con aiuti concreti cercando di interessarmi per provare a risolvere quelle problematiche che, purtroppo, sono presenti oggi nelle carceri. Ho raccolto alcune necessità espostemi, per le quali vorrei lanciare un appello, dando seguito all’ultima iniziativa realizzata nella Casa, quella di raccogliere, attraverso la Caritas di Pozzuoli e Padre Fernando, tutto ciò di cui le detenute necessitano e di cui hanno fatto richiesta alla struttura di aiuti sociali”. “In ogni caso - ha concluso l’assessore Del Giudice - ritornerò con piacere durante il prossimo evento realizzato dalle ospiti della Casa circondariale nel mese di aprile”. Roma: Antigone presenta “Ragazzi Dentro”, un dossier sugli Istituti di pena minorili 9Colonne, 23 marzo 2011 Domani alle 11.30, a Roma, presso la sala stampa della Camera dei deputati, l’Associazione Antigone presenterà “Ragazzi dentro”, il primo rapporto sugli istituti di pena per minori, realizzato grazie alle visite effettuate dagli osservatori di Antigone nelle carceri minorili italiane. Verranno forniti dati e raccontate storie sulla condizione detentiva minorile in Italia. Insieme a Patrizio Gonnella, presidente di Antigone e Alessio Scandurra, curatore del rapporto, a discutere del sistema penale minorile il capo del dipartimento della Giustizia minorile, Bruno Brattoli. Hanno assicurato la propria presenza i deputati Rita Bernardini, Anna Paola Concia, Guido Melis, Flavia Perina, Amalia Schirru. Oristano: gli studenti in assemblea parlano dei problemi degli istituti di pena La Nuova Sardegna, 23 marzo 2011 Un’assemblea studentesca atipica: si è parlato di sovraffollamento delle carceri, di legge sull’ordinamento penitenziario, della condizione dei detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria al liceo-ginnasio statale “De Castro”. All’iniziativa, promossa dai rappresentanti degli studenti, hanno preso parte la presidente e il segretario dell’associazione “Socialismo diritti riforme”, rispettivamente Maria Grazia Caligaris e Gianni Massa. La mattinata di dibattito è stata preceduta dalla visione della trasmissione televisiva di Rai Tre “Presa Diretta” dedicata alle carceri, andata in onda nelle scorse settimane. “Con questo appuntamento - ha detto Marco Contu, rappresentante degli studenti - intendiamo fare chiarezza su alcuni luoghi comuni rispetto alla condizione di vita dei detenuti. Molto spesso le carceri vengono dipinte come luoghi in cui le persone private della libertà sperimentano momenti di relax, davanti alla Tv o alla play station. Molti cittadini considerano la detenzione come una “vendetta” nei confronti di chi ha sbagliato. Vogliamo conoscere quindi il punto di vista di chi frequenta il carcere come volontario e conosce direttamente l’esperienza dei detenuti”. Ad illustrare l’evoluzione e l’attualità del sistema penitenziario italiano è stata Maria Grazia Caligaris che ha fornito anche un quadro puntuale sulla situazione dei dodici istituti dell’isola. Arabia Saudita: cento manifestanti arrestati dopo le proteste nell’est del paese Agi, 23 marzo 2011 Le autorità saudite hanno arrestato cento manifestanti sciiti durante le proteste scoppiate la scorsa settimana nell’est del Paese. La denuncia arriva dagli attivisti sauditi della Human Rights First Society, secondo cui alcuni degli arrestati sono stati sottoposti anche a torture fisiche e piscologiche. “Durante le manifestazioni pacifiche avvenute la scorsa settimana nella provincia orientale, nelle aree a maggioranza sciita di Safwa, Qatif edi Alhassa, sono stati arrestati cento manifestanti”. Human Rights Firts Society è “atterrita dalle notizie di torture fisiche e psicologiche inflitte ad alcuni dei fermati, in particolare ad Alhassa”. L’Arabia Saudita, Paese di stretta osservanza sunnita dove vive una minoranza sciita che da sempre lamenta discriminazioni, è stata appena lambita dall’ondata di proteste che stanno scuotendo il Medioriente. La scorsa settimana, migliaia di sciiti erano scesi in strada nelle zone orientali per chiedere la liberazione di alcuni detenuti politici. I manifestanti protestavano anche contro l’invio di 1500 soldati da Riad per reprimere la rivolta sciita in Bahrein. Siria: rilasciate 6 attiviste arrestate mercoledì scorso durante un sit-in Ansa, 23 marzo 2011 Sono state rilasciate oggi su cauzione sei attiviste siriane arrestate mercoledì scorso durante un sit-in senza precedenti a Damasco. Lo riferisce la tv di Stato siriana con una scritta in sovrimpressione. Le sei attiviste, di cui non si conoscono ancora le generalità, erano state arrestate a Damasco durante il raduno organizzato nei pressi del ministero degli Interni per chiedere la liberazione dei detenuti politici. Le sei donne, tra cui spicca il nome di Suhayr al Atassi, leader della campagna per la scarcerazione dei prigionieri di coscienza, avevano cominciato sabato scorso uno sciopero della fame a oltranza, unendosi alla stessa forma di protesta avviata due settimane fa da dodici altri dissidenti e attivisti finiti in carcere su ordine del regime di Damasco. Due delle attiviste arrestate appartengono rispettivamente ai clan Abuzayd e Jawabira, tra i più influenti della regione di Daraa, 120 km a sud di Damasco, da sei giorni teatro della violenta repressione delle forze di sicurezza contro le manifestazioni anti-regime. Cuba: liberato dissidente Navarro, in carcere dal 2003 Agi, 23 marzo 2011 Le autorità cubane hanno liberato oggi il dissidente Félix Navarro, uno degli ultimi prigionieri politici del cosiddetto gruppo dei 75, una serie di oppositori condannati nel 2003. Le autorità cubane hanno liberato oggi il dissidente Félix Navarro, uno degli ultimi prigionieri politici del cosiddetto gruppo dei 75, una serie di oppositori condannati nel 2003. Sì, mio padre è a casa, è rientrato la mattina e ha visto anche sua madre in campagna. Siamo felici” ha detto il figlio Sayli al telefono. Martedì l’arcivescovo dell’Avana, mediatore nel caso, aveva annunciato la decisione delle autorità cubane di liberare “a breve” gli ultimi due prigionieri politici del gruppo 75. Felix Navarro, 57 anni, è un insegnante membro del movimento “Tutti Uniti” e fondatore nel 1999 del movimento per la democrazia ed era stato condannato a 25 anni di carcere. Israele: denuncia Onu; detenute palestinesi costrette a partorire con le mani legate Infopal, 23 marzo 2011 Maltrattamenti, violenze e suicidi. Come in molti altri paesi democratici, anche nelle carceri israeliane, i detenuti vengono sottoposti a vessazioni nel corso degli arresti. Questi comportamenti, accettati e condivisi dalle autorità, sono violazioni del diritto internazionale relativo alla tortura e ai trattamenti disumani e denigranti. E le prime a subire trattamenti umilianti sono proprio le donne. Le prigioniere palestinesi, detenute nelle carceri israeliane, sarebbero rinchiuse in condizioni squallide e lasciate in celle infestate anche da ratti. Una delle tante denunce, arriva dall’Agenzia di stampa internazionale Ips che ha divulgato un’intervista a Fabrizia Falcione, dirigente dei progetti di Unifem, l’agenzia Onu per i diritti delle donne. Dalla conversazione emergono particolari alquanto raccapriccianti sulle violazioni basilari dei diritti fondamentali dell’uomo ai danni dei prigionieri politici palestinesi, tra i quali anche donne e bambini. “La situazione di donne e minori palestinesi nei centri di detenzione israeliani è davvero critica. Assistiamo a negligenza medica e all’assenza di servizi medici specifici (specialistici) e nessuna somministrazione dei trattamenti di cui hanno bisogno le prigioniere malate”, ha dichiarato Fabrizia Falcione. Le palestinesi, sono detenute principalmente nei penitenziari israeliani di Hasharon e Damon, entrambi fuori dai Territori palestinesi occupati, e questo in piena violazione all’art. 76 della IV Convenzione di Ginevra. Si racconta di celle infestate da insetti, scarafaggi e topi. Una detenuta, rilasciata pochi mesi fa, ha raccontato all’Unifem: “Non riuscirei a descrivere le condizioni nella cella. Era come una tomba sottoterra, piena di insetti, lenzuola bagnate e dall’odore stomachevole, straripante di rifiuti”. La stragrande maggioranza delle donne detenute politiche da Israele, soffre di varie patologie e le internate incinte verrebbero addirittura fatte partorire con le manette ai polsi. Fabrizia Falcone lo conferma “ Si, è proprio così. Le detenute incinte vengono ammanettate durante il parto e lasciate così nel periodo successivo. Una volta compiuti due anni, i bambini vengono allontanati dalle madri”. Le donne patiscono oltraggi e offese al proprio retaggio culturale e ai diritti religiosi. Un’ex detenuta avrebbe raccontato alla Falcione: “Mi hanno privata del velo dandomi un’uniforme di colore marrone, a maniche corte e quando ho chiesto di avere una maglia a maniche lunghe da poter indossare di sotto, me l’hanno negata. Costretta a spostarmi tra le celle tra gli occhi di guardie uomini. Mi sono sentita umiliata e sono stata insultata”. Molte donne, come molte persone all’interno dei territori occupati, vengono imprigionate senza essere state sottoposte a un processo. Il loro arresto avviene spesso per affiliazione a organizzazioni messe al bando da Israele. “Inoltre - Conclude la Falcione - a prigioniere e detenute palestinesi vengono vietati la detenzione e l’utilizzo di oggetti come le penne: non possono leggere e non viene loro riconosciuto il diritto ad alcuna pausa ricreativa”. Se il carcere e le dinamiche di reinserimento nella società, in uno Stato democratico, dovrebbero tenere conto delle esigenze specifiche del mondo femminile, come la maternità, la reintegrazione professionale e familiare. Le condizioni di carcerazione delle donne incinta e nel periodo dell’allattamento così come quelle che hanno in cura bambini piccoli, devono sempre tenere conto dell’interesse superiore del bambino, ma così, purtroppo, non è.