Giustizia: sulla tutela dei diritti dell’uomo l’Italia è ultima in Europa di Giorgio Frasca Polara Terra, 18 marzo 2011 Diritti dell’uomo? Nella difesa di questo fondamento del viver civile l’Italia è in coda all’intera Europa. Lo dimostra il numero e la portata delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo pronunciate l’anno scorso (ma andando indietro negli anni il risultato non cambia) in applicazione della Convenzione sottoscritta a Roma dai Paesi fondatori di quella che solo tanti anni dopo sarebbe diventata l’Unione europea, e che ad oggi è firmata da ben 47 Stati. Ebbene, tra quelle subite da quasi tutti i contraenti (in pratica solo la Danimarca è indenne), le sentenze a dis-favore dell’Italia, con relativa condanna mai solo simbolica, sono ben 95 su 98. Precedono il nostro paese solo la Turchia (con 278 sentenze, e figuriamoci: è una delle ragioni delle molte riserve all’ammissione nell’Ue), la Russia (217), la Romania (143), l’Ucraina (109), la Polonia (107), la Bulgaria e la Grecia, rispettivamente con 81 e 56. A molte lunghezze sotto l’Italia ci sono, tra le grandi nazioni, la Francia (42) e la Germania (36). Non è solo questione di numeri - anche se pure essi hanno il loro peso, che di grande valore sono le motivazioni delle condanne. Il quadro viene fornito ogni anno da un’autorevolissima fonte terza: l’Osservatorio sulle sentenze della Cedu costituito in seno all’Avvocatura della Camera dei deputati di cui è responsabile l’avv. Vito Cozzoli, con la collaborazione degli avv. Marco Cerase e Francesca Romana Girardi. L’Osservatorio pubblica ogni anno le sentenze che riguardano l’Italia, con un commento esplicativo. Tra queste sentenze, ne segnalo tre: da un canto per il carattere emblematico (come sacrosanta conclusione di un intreccio tutto italiano di speciosità, ricorsi impudenti e pretese causidiche), per lo spettro assai articolato delle più numerose sentenze (diritto penale con riferimento alle espulsioni, diritto civile sui minori, immunità parlamentare), per la lentezza dei procedimenti giudiziari che ovviamente non ha nulla a che fare con certe riforme “epocali”. La sentenza in favore della Cgil e di Sergio Cofferati L’allora (2002) deputato forzista e noto penalista Carlo Taormina accusa il segretario pro tempore della Cgil di aver creato un clima socialmente propizio all’omicidio del giuslavorista Marco Biagi, trucidato dalle Br. Causa civile bloccata dalla solita, e quasi sempre famigerata deliberazione di insindacabilità ex art. 68 della Costituzione. Quando la Corte costituzionale dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dal tribunale di Roma (mancava il richiamo “testuale” alle frasi oggetto della controversia), Cgil ed Epifani, succeduto nel frattempo a Cofferati, ricorrono alla Corte di Strasburgo: lesione del diritto ad un equo processo. E vincono: 8mila euro di risarcimento a testa a titolo di danni morali perché “l’impossibilità di adire la giurisdizione ordinaria in conseguenza della deliberazione dell’immunità parlamentare, seguita da una sentenza non di merito della Consulta, costituisce un ostacolo sproporzionato rispetto agli scopi perseguiti dagli istituti immunitari, e pertanto integra la violazione dell’art. 6 Cedu, relativo al diritto ad un equo processo”. La sentenza contro l’ordine di espulsione di uno straniero Nell’aprile del 2003 il tunisino Mouarad Trabeisi è arrestato e detenuto con l’accusa di appartenere ad un gruppo fondamentalista islamico e per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Condannato a dieci anni di carcere, poi ridotta a sette, e quindi (nel 2008) espulso per motivi di sicurezza. Ma Trabeisi nel frattempo è ricorso alla Corte europea che, in via preliminare, chiede che non si proceda all’espulsione verso la Tunisia essendo arcinota la sussistenza in quel paese della pratica della tortura, più tardi una delle cause della destituzione e della fuga di Ben Ali. Nonostante questa raccomandazione il ministero dell’Interno ricaccia in Tunisia Mouarad Trabeisi. Che fine abbia fatto costui non è noto. Ma ora si conosce la sentenza della Cedu: “La mancata ottemperanza alla richiesta di sospensione cautelare avanzata dalla Corte costituisce violazione della Convenzione”. Quindi Stato italiano condannato al pagamento di 15mila euro al presunto terrorista tunisino a titolo di risarcimento per i danni morali e di altri 6mila per spese di giudizio. La sentenza sull’adozione negata di una minore. I coniugi veneziani Moretti-Benedetti ottengono l’affidamento temporaneo di una neonata abbandonata dalla madre tossicodipendente. Ne chiedono per due volte l’adozione speciale, e per due volte la richiesta è respinta in tre diverse sedi giurisdizionali anche con indebite intrusioni. Ricorso alla Corte Edu per violazione del diritto al rispetto della vita familiare e privata e per iniquità dei procedimenti. Per causa di due tribunali e di una corte d’appello, la coppia veneziana è stata costretta a rompere il legame con la bambina, ma i giudici di Strasburgo hanno tuttavia imposto all’Italia, anche e proprio per l’esito infausto delle loro richieste, di versare loro lOmila euro a titolo di riparazione dei danni morali, e altri 5mila per le spese legali. Sul sito ufficiale della Cedu trovo un’altra sentenza della Corte - ma riguardante un giudizio sulla magistratura francese: per questo non è contenuta nel volume dell’Osservatorio della Camera - che ci interessa particolarmente dal momento che la riforma “epocale” della giustizia disegnata dal trio Berlusconi-Alfano-Ghedini pone tra l’altro le premesse per un futuro controllo politico del Pm al potere esecutivo, controllo che già si consuma in Francia. Bene, in Francia dunque vengono arrestati un gruppo di immigrati (due ucraini, quattro rumeni, un greco e due cileni) che erano sbarcati clandestinamente sulla Costa Azzurra. (Piccolo particolare: la Cedu premette ad ogni nome la “M” di monsieur... chissà quando un “Sign.” sarà premesso negli nostri atti giudiziari.) Arresto e successiva detenzione legittimi o illegali? La Corte di Strasburgo (sentenza del 29 marzo 2010 su dossier 3394/03) prende atto, anche sulla base di tre precedenti, che l’ordine di arresto e quindi di carcerazione non era stato disposto da un “giudice o un altro magistrato abilitato dalla legge ad esercitare le funzioni giudiziarie” ma “da un procuratore della Repubblica che non ha questa qualità ai sensi della giurisprudenza della Corte” stessa, “in particolare in ragione della mancanza di indipendenza dal potere esecutivo”, come in effetti è il Pm in Francia. E, nel riconoscere il buon diritto dei nove immigrati e nell’imporre quindi allo Stato francese il pagamento di un risarcimento e delle spese di giudizio, la Corte europea dei diritti dell’uomo afferma solennemente: “Il magistrato deve presentare le richieste garanzie d’indipendenza nei confronti dell’esecutivo e delle parti, ciò che esclude assolutamente che egli possa agire come Pubblico ministero contro i ricorrenti”. Rifletta il governo italiano, e pensi alla massa dei ricorsi che scatterebbero se.... Giustizia: sentenza storica in Germania, se carcere non è dignitoso, il detenuto va liberato di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 18 marzo 2011 La Corte Costituzionale tedesca, con una sentenza storica, obbliga le autorità penitenziarie del Paese a rilasciare un detenuto qualora non siano in grado di assicurare una prigionia rispettosa dei diritti umani fondamentali. Si tratta di una decisione giudiziaria che rovescia una giurisprudenza precedente molto più cauta e che nella gerarchia dei valori costituzionali ritiene di anteporre il valore della dignità umana a quello della sicurezza. Il caso riguardava un detenuto originario del Nord-Reno Westfalia. Costui era stato rinchiuso durante la sua carcerazione per 23 ore su 24 in una cella di 8 metri quadri con annessa toilette non separata da alcun muro divisorio. Il detenuto doveva condividere lo spazio con un’altra persona; per cui ognuno di loro aveva a disposizione solo 4 metri quadri, bagno compreso. In quelle condizioni c’era stato 151 giorni. Gli era consentito farsi la doccia solo 2 volte alla settimana. Inoltre, la persona con cui condivideva la cella era un fumatore e ciò, a dire della Corte, aggravava la qualità della vita. Il sistema penitenziario tedesco è organizzato su base federale. La Regione - alla quale egli aveva fatto ricorso - gli aveva dato torto. La Corte Costituzionale federale gli ha invece, lo scorso 9 marzo, dato ragione. Secondo i giudici supremi tedeschi non si può vivere in meno di 6-7 metri quadri. Se lo Stato non è in grado di assicurare una simile minima condizione detentiva allora dovrà in extrema ratio rinunciare alla punizione e liberare i detenuti in surplus rispetto agli spazi disponibili. Di conseguenza i detenuti che vivono in condizioni simili a quelle descritte potrebbero richiedere l’interruzione, oppure il rinvio della pena. La decisione tedesca - più radicale nei contenuti rispetto ad analoghe prese di posizione di corti nazionali di altri paesi - di fatto apre la via alle liste di attesa penitenziarie che già sono state realizzate in altri paesi del nord Europa. Il governo norvegese, oramai 25 anni fa, così intitolò il piano di edilizia penitenziaria “ridurre le attese per scontare la pena”. Era ovvio per il governo scandinavo non incarcerare persone alle quali non potesse essere assicurato un posto letto. Le liste di attesa per detenuti sono un’invenzione norvegese. Se non c’è posto in carcere si aspetta a casa che il posto si liberi. Poi sono arrivati il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e la Corte europea sui diritti umani a fissare gli standard ineludibili di vita penitenziaria, tra cui i metri quadri che ogni detenuto deve avere a disposizione affinché lo Stato non incorra in trattamenti inumani e degradanti. I giudici di Strasburgo hanno nel luglio del 2009 condannato l’Italia perché nel caso Sulejmanovic (detenuto di origine bosniaca) aveva costretto un prigioniero a vivere in meno di 3 metri quadri e ciò secondo i giudici europei costituisce una ipotesi di violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani del 1950 che proibisce la tortura. Da allora centinaia sono stati i ricorsi presentati alla Corte che da un momento all’altro dovrebbe iniziare a decidere a riguardo. D’altronde la Germania - ove è stata presa una decisione che ben può essere definita epocale - ha un tasso di affollamento inferiore al 90%, ossia ha più posti letto che detenuti. L’Italia è messa molto peggio: ha un tasso di affollamento che sfiora il 150%. In Europa siamo superati solo da Bulgaria e Cipro. Anche per questo è stata avviata dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, presieduta da Pietro Marcenaro, una indagine conoscitiva sulla situazione delle carceri in Italia. Martedì scorso sono iniziate la audizioni. Giustizia: droghe; no a limiti prestabiliti, giudice decide quantità previste per l’aggravante di Debora Alberici Italia Oggi, 18 marzo 2011 Sull’aggravante dell’ingente quantità di sostanze stupefacenti la Cassazione cambia decisamente rotta. Infatti l’inasprimento di pena scatta al di là delle quantità prestabilite dalla Suprema corte tempo fa (2 kg per droghe pesanti e 50 per droghe leggere). Sarà il giudice, ha sancito Piazza Cavour con la sentenza n. 9927 dell’11 marzo 2011, a valutare l’esistenza dell’aggravante alla luce di tre parametri (nessuna quantità prestabilita, dunque). E cioè, l’oggettiva eccezionalità del quantitativo sotto il profilo ponderale, il grave pericolo per la salute pubblica che lo smercio di un tale quantitativo comporta , infine, la possibilità di soddisfare le richieste di numerosissimi consumatori per l’elevatissimo numero di dosi ricavabili”. Insomma sulla base di questi motivi la quarta sezione penale del Palazzaccio ha confermato una condanna aggravata nei confronto di un giovane di Messina trovato in possesso di poco più di 10 kg di hashish e 26 grammi di marijuana. In particolare il Collegio ha dichiarato il ripensamento rispetto alla diversa posizione assunta in passato da altri Collegi della Suprema corte e ha precisato che “in tema di reati concernenti il traffico illecito di sostanze stupefacenti non è consentito predeterminare i limiti quantitativi minimi” che permettono di ritenere “configurabile la circostanza aggravante prevista dall’art. 80, comma 2, dpr n. 309 del 1990 (ingente quantità)”. In altri termini, ciò non viola “il principio di determinatezza, dovendo aversi riguardo, perché possa essere configurata detta aggravante, ai parametri già indicati dalle Sezioni unite con la sent. n. 17 del 2000, e cioè all’oggettiva eccezionalità del quantitativo sotto il profilo ponderale; 2) al grave pericolo per la salute pubblica che lo smercio di un tale quantitativo comporta; 3) alla possibilità di soddisfare le richieste di numerosissimi consumatori per l’elevatissimo numero di dosi ricavabili”. Anche la Procura generale della Suprema corte aveva chiesto in udienza che l’aggravante fosse confermata. La massima della sentenza “In tema di reati concernenti il traffico illecito di sostanze stupefacenti, la quarta sezione penale, ponendosi consapevolmente in contrasto con l’orientamento della sesta (ribadito di recente dalla sentenza n. 9029 del 2011), ha ritenuto che non sia consentito predeterminare i limiti quantitativi minimi che consentono di ritenere configurabile la circostanza aggravante prevista dall’art. 80, comma 2, dpr n. 309 del 1990 (ingente quantità), precisando che la fattispecie non viola comunque il principio di determinatezza, dovendo aversi riguardo, perché possa essere configurata detta aggravante, ai parametri già indicati dalle Sezioni unite con la sentenza n. 17 del 2000, e cioè 1) all’oggettiva eccezionalità del quantitativo sotto il profilo ponderale; 2) al grave pericolo per la salute pubblica che lo smercio di un tale quantitativo comporta; 3) alla possibilità di soddisfare le richieste di numerosissimi consumatori per l’elevatissimo numero di dosi ricavabili”. Lettere: detenuti e buoi dei paesi tuoi di Valentina Ascione Gli Altri, 18 marzo 2011 Con che fierezza domenica scorsa il ministro della Giustizia Alfano, ospite nel salotto televisivo di Antonello Piroso, sbandierava la propria scelta, “senza precedenti nella storia della Repubblica”, di non avvalersi di provvedimenti di indulto o amnistia per far fronte all’annoso problema del sovraffollamento carcerario. Misure inadeguate, secondo il Guardasigilli, applicate trenta volte negli ultimi sessanta anni perché “dopo due anni ci si trovava di nuovo punto e a capo”. Ben altri, invece, i numeri snocciolati dal ministro mentre illustrava l’ambizioso piano di edilizia penitenziaria messo a punto per ridare fiato alle patrie galere e alle 68mila anime che attualmente le popolano: 20 istituti nuovi di zecca da innalzare e 11 padiglioni progettati per ampliare le strutture già esistenti. Un investimento faraonico di circa 60 milioni di euro finalizzato a creare nel giro di un biennio posti per altri diciottomila detenuti. È un altro, tuttavia, l’asso nella manica di Alfano per rientrare dall’emergenza. Un asso a costo zero, che consentirebbe di svuotare le celle senza aprirle per qualcuno Gli assi, in verità, sarebbero 24.500. Quanti sono, cioè, i detenuti stranieri. Se non ci fossero loro il sistema non sarebbe al collasso, ha spiegato Alfano. Insomma, secondo il ministro, questi 24.500 dovrebbero farsi pagare almeno vitto e alloggio dal proprio paese, ma ciò non accade perché, sebbene le prigioni italiane siano brutte e sovraffollate, nessun detenuto accetta di tornare in patria. Parole, quelle di Alfano, che stridono come graffi su una lavagna con ciò che scrive Andrei. Lui, trentaseienne rumeno recluso nel Mezzogiorno, dall’Italia se ne andrebbe anche domani. E di corsa. Farebbe carte false per tornare in Romania, dove ad attenderlo ci sono i figli che non vede ormai da tre anni. Ma non glielo consentono, nonostante la sua pratica per la richiesta di trasferimento sia stata completata da mesi. E a nulla è servito scrivere al Ministero perché, come gli ha spiegato il magistrato di sorveglianza, il problema è di natura economica: ciò che manca sono i soldi per trasferirlo in Romania. “Sono pronto a pagare subito le mie spese di trasferimento, perché perdendo tempo in Italia faccio lo stesso per mantenermi in un carcere italiano”, ha scritto pragmatico Andrei in una lettera alla radicale Rita Bernardini, conosciuta attraverso i telegiornali che segue con attenzione. Andrei, che la televisione può guardarla sì, ma certamente non può andare in studio a raccontare ad alcuni milioni di italiani, incluso Angelino Alfano, che lui in patria tornerebbe subito. A spese sue. Lazio: Melpignano (Regione); creare un sistema sanitario snello in istituti di detenzione Dire, 18 marzo 2011 Nei giorni scorsi ho partecipato ad un’interessante tavola rotonda dal titolo “Carcere, come luogo di pena, con le sue carenze e possibili soluzioni”, promosso tra gli altri dall’on. Isabella Rauti e dal Gruppo Idee. Lo scenario che ne è emerso, purtroppo, presenta importanti criticità cui bisogna dare rapidamente delle risposte. Prima fra tutte, quella del sovraffollamento: secondo i dati in nostro possesso, infatti, a fronte di un’offerta carceraria regolamentare quantificabile in circa 40 mila posti, esiste una popolazione di detenuti di circa 65 mila unità. Lo dice in una nota il consigliere regionale del Lazio, Giuseppe Melpignano (Lista Polverini). “Per decongestionare il sistema carcerario, sarebbe auspicabile, laddove possibile, l’utilizzo di misure restrittive alternative alla detenzione - spiega Melpignano. Altro elemento è la carenza di personale e, in particolare, di agenti di custodia. in tale ambito, tuttavia, registro con soddisfazione quanto dichiarato, durante la tavola rotonda, dall’assessore regionale ai Rapporti con gli Enti Locali e Politiche per la Sicurezza Giuseppe Cangemi, in merito all’assunzione, a breve, di circa 1900 agenti. Ma è soprattutto la questione sanitaria ad aver particolarmente animato il dibattito”. “L’intera popolazione carceraria, infatti, è costretta a subire i disservizi di un sistema che si avvicina velocemente al collasso; basti pensare, a titolo d’esempio, ai tempi di approvvigionamento dei farmaci, che a volte arrivano anche a due mesi, o alle difficoltà riscontrate nell’esecuzione di esami diagnostici, anche banali come una radiografia - continua Melpignano. In questo campo, grazie al trasferimento di competenze dal ministero della Giustizia a quello della Salute, e dunque alle regioni, il Lazio oggi può fare molto”. “La questione, peraltro, è stata affrontata di recente in commissione congiunta Sanità-Politiche sociali. È opportuno creare un sistema sanitario carcerario snello, che preveda una razionalizzazione degli interventi e, soprattutto, una netta sburocratizzazione dei percorsi diagnostici e terapeutici, che consentano ai detenuti una condizione igienico-sanitaria degna di questo nome - conclude Melpignano. È questo l’impegno della nostra Regione, che pur in un momento di grande ristrettezza economica, ha già dato ampi segnali di quella politica del fare che molti già ci invidiano”. Sicilia: oggi manifestazioni di protesta della Polizia penitenziaria in diverse città www.tempostretto.it, 18 marzo 2011 Stessi problemi, diverse modalità di dissenso: il segretario nazionale dell’Osapp Nicotra spiega le ragioni che hanno spinto la “sua” sigla a non partecipare alla manifestazione regionale. Da Palermo parla invece il delegato provinciale del Sappe, Conte: "ll corteo era già stato programmato per il 18 febbraio e poi sospesa in attesa del confronto con Ionta, che però non dato l’esito sperato". Le carenze di organico rimangono la priorità Da Messina a Palermo, il settore penitenziario siciliano è in subbuglio: diverse però le modalità di protesta. Nel capoluogo siciliano infatti, questa mattina le sigle sindacali Sappe, Cgil, Cisl, Uil e Ugl hanno dato vita ad un corteo che dal carcere Ucciardone si è snodato fino alla Prefettura, mentre nella città dello Stretto i rappresentanti dell’Osapp hanno tenuto una conferenza stampa all’interno del carcere di Gazzi, alla presenza del segretario nazionale Domenico Nicotra, spiegando le ragioni della protesta ed illustrano le motivazioni che hanno determinato lo “strappo” con gli altri sindacati. "Abbiamo ritenuto inutile partecipare all’appuntamento di Palermo perché non è lì che bisogna far sentire la propria presenza, bensì all’interno di quegli istituti dove ci sono fortissime carenze di organico: nei giorni scorsi siamo stati ad Augusta, oggi è il turno di Messina. Terremo conferenze stampa in tutta la Sicilia - aggiunge il sindacalista dell'Osapp - con i sindaci e i prefetti, per spiegare le ragioni del dissenso, affinché tutti si rendano conto che oltre alla carenza di personale determinata dai provvedimenti nazionali, esiste in Sicilia una carenza regionale determinata dal fatto che dei 518 agenti in meno circa 400 mancano in Sicilia orientale. Il provveditore Orazio Faramo deve intervenire il prima possibile". E sulla manifestazione palermitana Nicotra aggiunge: "Non avremmo avuto interesse a prendere parte ad una protesta più politica che sindacale, il nostro obiettivo rimane quello della salvaguardia dei diritti dei lavoratori nelle carceri". Dal capoluogo fanno invece eco le dichiarazioni di Giuseppe Conte, delegato provinciale del Sappe: "Siamo soddisfatti del corteo che questa mattina si è snodato attraverso le strade di Palermo, eravamo più di duecento. Al termine della “marcia” tre delegati per ciascuna sigla sindacale sono stati ricevuti dal vice-prefetto. Abbiamo spiegato come l’attuale carenza di organico mette a rischio non solo la sicurezza degli agenti e dei detenuti, ma anche della cittadinanza, perché sintomo di una insufficiente controllo sulla collettività". Conte si sofferma poi sui "puntuali ritardi" nella retribuzione dei servizi svolti dagli agenti di polizia penitenziaria, sia sul fronte della “missioni”, ovvero il trasferimento di un detenuto da un carcere all’altro, che su quello degli straordinari: "Per quanto riguarda il primo aspetto – afferma il rappresentate del Sappe – per gli agenti di Messina l’ultima retribuzione risale all’aprile 2010, e neanche lo straordinario viene pagato per intero". "Per non parlare del sovraffollamento nelle carceri siciliane - ha continuato - che oggi ha superato la soglia di oltre 8000 ristretti, a fronte di una capienza massima di circa 5.470 posti. Vi è inoltre una mancanza di igiene e salubrità nei posti di lavoro, dove sono violate i più elementari diritti umani. Tutto ciò rendere ancora più difficile lavorare. Questa situazione, insieme al resto comporta la non gestione dell’ordine e della sicurezza delle carceri siciliane. Le recenti, e sempre più di continuo aggressioni accadute all’interno degli istituti penitenziari, dimostrano la limitata attenzione sia da parte della Politica sia da parte dell’Amministrazione Centrale, evidentemente non interessate a risolvere la grave situazione esistente". Il delegato provinciale del Sappe ha poi sottolineato anche le carenze di organico che interessano i reparti detentivi femminili ed in particolare quello di Messina: "Secondo quanto stabilito dalla legge 395/1990, nelle sezioni femminili il controllo delle detenute dovrebbe essere effettuato solo da agenti donne, ma la disposizione non viene rispettato". Infine, sulla “scissione” con le altre sigle sindacali Conte conclude: "Questa manifestazione era già stata programmata per il 18 febbraio, a prescindere dell’incontro fissato il 2 marzo con Ionta. Abbiamo deciso di rinviarla proprio per dare spazio a questo confronto che come si è visto non ha però avuto un esito positivo. Ecco perché la manifestazione organizzata oggi a Palermo è l’ulteriore dimostrazione del nostro impegno nell'affrontare il problema delle carenze di personale e più in generale del mancato livello di sicurezza all’interno delle strutture penitenziarie". Reggio Calabria: detenuta di 44 anni muore per arresto cardiocircolatorio Ansa, 18 marzo 2011 Una detenuta straniera di 44 anni è morta nel carcere di Reggio Calabria a causa di un arresto cardio circolatorio. Lo ha reso noto il segretario generale aggiunto del Sappe, il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Giovanni Battista Durante. "La donna si è sentita male - afferma Durante - e la compagna di cella ha avvisato l'agente di polizia penitenziaria in servizio nella sezione detentiva. L'agente è intervenuta immediatamente ed ha avvisato il medico, ma non c'é stato niente da fare. Da quanto ci è stato riferito, comunque, non ci sarebbero responsabilità da parte di nessuno degli operatori penitenziari, vista la prontezza con cui sono intervenuti". "Rimane il fatto - sostiene ancora il segretario aggiunto del Sappe - che la situazione nelle carceri è drammatica e di difficile gestione. Oltre ai problemi del sovraffollamento e della carenza di organico ci sono tante difficoltà dal punto di vista sanitario. Molti detenuti soffrono di patologie che nel carcere non possono essere curate per carenza di mezzi e strutture adeguate. Spesso mancano le risorse economiche e le figure professionali adeguate. Il passaggio della sanità penitenziaria a quella nazionale non ha sicuramente risolto i problemi, ma sembra averli aggravati. Molte volte gli operatori che intervengono non conoscono i detenuti e le loro patologie". "La Calabria - afferma, da parte sua, Damiano Bellucci, segretario generale del Sappe della Calabria - si conferma una delle regioni fuorilegge per sovraffollamento e carenza di personale, ma anche per carenza di risorse. A Catanzaro, per esempio, esiste un centro clinico che continua a restare chiuso. Ci vorrebbero almeno 50 agenti per aprirlo". Voghera (Pv): tre detenuti albanesi sono evasi ieri dalla Sezione di “Alta sicurezza” La Stampa, 18 marzo 2011 Sono tre albanesi, pericolosi delinquenti: avrebbero dovuto lasciare le loro celle nel 2024, 2025 e 2033. Hanno anticipato considerevolmente i tempi e da ieri pomeriggio sono liberi dopo essere evasi dal carcere di massima sicurezza di Voghera con un sistema classico: seghetto, lenzuola e un po’ di acrobazie. Una fuga da carbonari dell’Unità d’Italia, incredibile 150 dopo. Infatti già divampa la polemica: i sindacati della polizia penitenziaria accusano il Governo per i tagli e i mancati rimpiazzi di organici. L’evasione è avvenuta attorno alle 14.45. I tre sono: Leonard Mirtai, 32 anni, sequestro di persona ed estorsione; Dritan Rexhpai, di 31, tentato omicidio e altri reati; Yllo Doy, 34 anni tentato omicidio, traffico di droga e altri reati. Erano rinchiusi nel “quinto reparto” al piano terra, lo stesso dove nel 1986 si suicidò il finanziere Michele Sindona. Pare che fossero nel cortile “dei passeggi”, insieme ad altri detenuti. Hanno segato le sbarre di una finestra, sono saliti sul tetto, poi con un balzo su di un muro divisorio e quindi con un altro salto sul muro di cinta. A quel punto hanno usato una corda fatta con le lenzuola lasciandosi cadere a terra. L’allarme è stato lanciato da un passante che ha notato tre persone acquattate nell’erba. Ma ormai era tardi. Hanno raggiunto la statale che porta a Tortona. Uno di loro ha bloccato un’auto guidata da una donna di 82 anni: prendendola per i capelli l’hanno gettata sulla strada (per fortuna solo uno choc per lei) e quindi sono ripartiti probabilmente verso il vicino casello autostradale. Sulla direzione successiva c’è solo l’imbarazzo della scelta, perché da Voghera passano sia la Milano-Genova che la Torino-Piacenza. Ovviamente sono stati predisposti posti di blocco, ma finora nessuna traccia dei fuggitivi. Il carcere di Voghera ospita più di 230 detenuti e sono avviati lavori che porteranno a quasi il doppio delle presenze. L’evasione di ieri non è la prima. Il 19 agosto del 2009 scappò il collaboratore di giustizia Luciano Velia, noto come “Luciano due pistole”, con alle spalle una condanna per omicidio. Lo ripresero pochi giorni dopo. Nel 2001 toccò al francese Stephane Lanza (12 anni per spaccio di droga). Dopo la fuga dei tre parte la protesta dei sindacati. “Questa tripla evasione certifica come il sistema penitenziario italiano non solo non è più in grado di assicurare dignità, umanità e civiltà - sottolinea Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari - ma neppure di tutelare la sicurezza sociale. I nostri allarmi, rimasti inascoltati, erano più che fondati. Non possiamo non sottolineare le responsabilità di chi gestisce l’amministrazione penitenziaria e quelle ancor più evidenti del ministro Alfano. In attesa che si realizzi il piano carceri e si dia corso alle annunciate assunzioni, si continua a perpetrare una politica di prosciugamento degli organici, per destinare unità a non meglio precisati servizi presso i dorati palazzi del potere”. Sulla stessa linea Donato Capece, segretario del Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria: “I tre hanno approfittato della vigilanza ridotta. È opportuno valutare attentamente quanto le gravi carenze di organico di poliziotti a Voghera incidano sui livelli di sicurezza della struttura”. Allarme a Sestri Levante per evasione albanese Tra i tre detenuti evasi ieri pomeriggio dal carcere di massima sicurezza di Voghera (Pavia) c’è l’albanese Leonard Mirtaj, 32 anni, pluripregiudicato, sottoposto a detenzione in regime di massima vigilanza per sequestro di persona e estorsione, con un fine pena nel 2026. Mirtaj era stato arrestato a Pontremoli dopo aver sequestrato un piccolo imprenditore a scopo di estorsione. La famiglia di Mirtaj vive a Crova, frazione di Moneglia, piccolo comune vicino a Sestri, nel levante ligure. Per questo i carabinieri sono stati allertati. Proprio l’attuale comandante della compagnia di Sestri, Fabio Benincasa, aveva arrestato Mirtaj dopo una fuga rocambolesca e dopo che l’ostaggio era stato liberato dai militari sotto il suo comando. Il sequestro è avvenuto tre anni fa: l’albanese e i suoi complici avevano rapito Giuseppe Bonelli, piccolo imprenditore di Moneglia, a scopo d’estorsione. Napoli: impieghi “fantasma” per i detenuti, denunciato presidente di una cooperativa Agi, 18 marzo 2011 La sua cooperativa offriva lavoro a detenuti che chiedevano e ottenevano dal tribunale di Sorveglianza di Napoli misure alternative al carcere, ma in realtà gli impieghi esistevano solo sulla carta. Per questo M.C., 82 anni, dopo un’indagine degli agenti del commissariato del quartiere Montecalvario a Napoli, è stato denunciato per false dichiarazioni e attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria. Gli agenti, assieme a personale dell’Ufficio ispettivo della Direzione provinciale del lavoro partenopea, hanno scoperto che la cooperativa di cui l’uomo risultava amministratore, anziché affidare ai detenuti mansioni di operai addetti alle pulizie per condomini cittadini o magazzinieri, non seguiva correttamente l’iter di costituzione del rapporto di lavoro, anzi in alcuni casi non lo iniziava nemmeno. Nel corso degli ultimi mesi, su una disponibilità ad assumere almeno 20 pregiudicati, solo alcuni avevano effettivamente beneficiato delle misure alternative al carcere, e per 4 lavoratori non era stata trasmessa la comunicazione preventiva di assunzione, non erano stati iscritti nel libro unico del lavoro, né erano stati versati i contributi assistenziali e previdenziali. Inoltre, nessun adempimento era stato eseguito circa la corretta costituzione di un rapporto di lavoro così come non era stata corrisposta alcuna retribuzione. I poliziotti hanno anche accertato che i lavoratori che beneficiavano delle misure alternative, pur venendo rintracciati presso la cooperativa negli orari di lavoro, di fatto sono stati sempre sorpresi in atteggiamenti oziosi, seduti nell’androne del palazzo in cui ha sede la cooperativa intenti a dialogare tra loro o con passanti, o a giocare con una consolle giochi playstation PS3 collegata ad un televisore. Il magistrato di Sorveglianza ha disposto la revoca delle misure alternative concesse in favore di tre detenuti. Bergamo: “Non puoi chiamare a casa”, detenuto marocchino manda sei agenti all’ospedale Il Giorno, 18 marzo 2011 È successo in una cella del penitenziario di Bergamo. Protagonista un marocchino di 25 anni che si è infuriato per la mancata concessione del permesso di telefonare in Africa. Nemmeno sei forzute guardie penitenziarie del carcere di Bergamo sono bastate a placare la furia di un detenuto che ha dato in escandescenze nella sua cella dopo la mancata concessione del permesso di telefonare alla famiglia. Inaspettatamente, ad avere la peggio sono stati proprio gli agenti di sorveglianza che hanno subito contusioni varie e sono stati medicati in ospedale. Protagonista un gracile ma determinato marocchino di 25 anni, detenuto nel penitenziario di via Gleno da due anni e sei mesi per droga. Tutto inizia quando una delle guardie raggiunge la cella del nordafricano per comunicargli che, non avendo inoltrato regolare richiesta, non può chiamare la famiglia. La reazione del detenuto è tutt’altro che scontata: afferra una caffettiera e colpisce alla testa l’agente. In suo soccorso arrivano prontamente altre cinque guardie che cercano di contenere la furia del marocchino. Prima che la situazione torni alla normalità, passano diversi minuti conditi da cazzotti e calci che procurano agli agenti qualche contusione. Prima della colluttazione il 25enne avrebbe anche minacciato le guardie dicendo: “Io preparo la valigia e me ne vado. Non posso restare in un carcere che non mi permette di chiamare la mia famiglia”. Lo show del detenuto è proseguito anche venerdì mattina, durante il processo per direttissima di fronte al giudice Valeria De Risi. Il marocchino è stato allontanato dall’aula per aver sbraitato animatamente “sono tutte bugie, non è vero nulla” dopo la deposizione di una guardia penitenziaria che aveva dichiarato di aver visto il marocchino già nervoso ancor prima di comunicargli la decisione del carcere di non fargli telefonare a casa. Il processo è stato rinviato ad Aprile. La denuncia della Cisl Nella serata di giovedì, alla Casa Circondariale di Bergamo, cinque agenti della polizia penitenziaria sono stati aggrediti e hanno subito lesioni tanto che sono stati d’urgenza inviati negli ospedali della città. L’aggressione è venuta da un detenuto marocchino di 25 anni a cui era stato negata la possibilità di telefonare a casa in quanto non aveva presentato regolare domanda. Il detenuto ha dato in escandescenze colpendo alla testa con una caffettiera una guardia e poi continuando a picchiare gli altri agenti accorsi per fermarlo. La Fns Cisl denuncia: “Questo è l’ennesimo episodio di estrema gravità che colpisce il personale di Polizia Penitenziaria nella struttura bergamasca e che dimostra, ad appena 24 ore dalla visita del Capo del Dap a Milano e da poche ore dall’evasione di Voghera di 3 pericolosi detenuti, quanto le parole dello stesso dirigente tese all’ottimismo e agli impegni assunti dall’Amministrazione Penitenziaria, non collimino con la realtà dei fatti”. La questione specifica successa a Bergamo, dichiara Francesco Trovè, segretario generale di Fns Cisl “ovviamente, costituisce il tassello di un mosaico più ampio caratterizzante l’intero mondo dell’esecuzione penale detentiva ed è la spia di un malessere che ha origini ben più complesse da quelle che si possono desumere da una prima valutazione dell’accaduto”. Le annose ed irrisolte disfunzioni che riguardano il sistema penitenziario, prosegue “non possono ricadere addosso ai colleghi che anche in questo momento, vogliamo ribadirlo, sono l’ultimo baluardo dello Stato italiano in una terra di confine fra la legalità e l’illegalità qual è l’istituto penitenziario. Solo attraverso il forte spirito di abnegazione ed il loro senso di responsabilità, spesso dimenticato, i poliziotti penitenziari riescono a garantire il corretto esercizio dell’esecuzione della pena e la sicurezza per tutta la comunità sociale”. La Fns Cisl esprime tutta la sua vicinanza ai colleghi aggrediti e a tutti gli altri poliziotti penitenziari della struttura penitenziaria di Bergamo che in questo momento, di estrema difficoltà, dimostrano tutto il loro valore e capacità professionale. Palermo: Sappe; 300 agenti di Polizia penitenziaria partecipano a corteo di protesta Ansa, 18 marzo 2011 Circa 300 agenti di polizia penitenziaria stanno partecipando a Palermo alla manifestazione regionale indetta dai sindacati di categoria per la mancanza di personale, di fondi, strutture, mezzi e il sovraffollamento delle carceri. Il corteo, che è partito dal carcere Ucciardone, sfilerà per le vie del centro fino alla prefettura. “In una terra dove il problema vero è la mafia, come si fa a fronteggiare la situazione - dice il segretario regionale della Fns Cisl, Giovanni Saccone - senza mezzi, personale, strutture e risorse. Abbiamo organizzato lo stato di agitazione per chiedere al governo, che ha fatto della sicurezza il suo cavallo di battaglia durante l’ultima tornata elettorale, un intervento immediato. la Sicilia non può essere trattata in questo modo”. I sindacati, in particolare, lamentano la carenza di personale femminile, insieme all’inadeguatezza delle strutture. “A causa del sovraffollamento delle carceri - dice il segretario regionale del Sappe, Calogero Navarra - abbiamo difficoltà a garantire la sicurezza dei detenuti stessi dentro le carceri. Ci troviamo a dover sopperire una carenza di personale che si traduce nell’insofferenza dell’utenza dei detenuti stessi ed è alla base dei suicidi e degli atti di autolesionismo che negli ultimi tempi sono aumentati”. Nelle carceri situazione da Terzo Mondo Nel carcere Ucciardone di Palermo non vengono svolti interventi di manutenzione ordinaria, mancano gli impianti di riscaldamento e le celle hanno la muffa sulle pareti. Nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto(Me), invece, sono aumentate le aggressioni al personale da parte dei detenuti: a febbraio sono state 4 in meno di quindici giorni. è quanto denunciano alcuni agenti di polizia penitenziaria, che stamattina a Palermo hanno partecipato alla manifestazione regionale indetta dai sindacati. Il carcere Ucciardone è una delle 27 strutture presenti nell'isola: sono 630 i detenuti e circa 400 gli agenti in servizio, di cui solo cinque donne. ''Ai detenuti non vengono garantiti i diritti piu' elementari - dice il segretario proviciale della Fp Cgil Anna Maria Tirreno - è una struttura antica, fatiscente, cade a pezzi''. ''Servirebbero almeno 100 agenti in piu' - sottolinea il segretario provinciale del Sappe, Giuseppe Terrazzino - il contratto prevede turni di 6 ore, la media giornaliera è di otto, a volte ne svolgiamo 12 continuativè'. Nell'ospedale psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto, dove sono ricoverate circa 380 persone, la pianta organica prevede 180 unita' di personale, ma gli agenti in servizio sono solo 122. ''Nell'ultimo mese si sono verificate 4 aggressioni - dice il segretario provincale dell'Ugl polizia penitenziaria di Messina, Lillo Italiano - la piu' eclatante è quella di un detenuto, che ha colpito un agente con una tavola con dei chiodi, non sappiamo come sia riuscito a procurarsela''. ''La carenza di organico - aggiunge - incide anche sull'attivita' di controllo''. Secondo un documento elaborato dai sindacati sono 5 mila gli agenti di polizia penitenziaria in Sicilia, mentre la carenza di organico stimata di 518 unita'. Sono circa 8 mila, invece, i detenuti nelle strutture penitenziarie, 3 mila in piu', rispetto alla capienza massima, di circa 5.470 posti. Ugl: la polizia penitenziaria in Sicilia è al collasso “Occorre seguire l’esempio di tutti quei politici e patrioti italiani che hanno sacrificato se stessi con spirito di abnegazione per creare l’Italia unita”, ha dichiarato il Segretario Generale dell’Ugl Sicilia, Giovanni Condorelli, per il quale “ l’estrema precarietà del quadro politico, ci induce a sensibilizzare la classe politica, adesso molto distratta da problemi secondari”. Ed oggi, venerdì 18 marzo a Palermo, dalle 10 alle 14, si svolgerà la manifestazione regionale del personale di polizia penitenziaria associato a Cisl Fns, Cgil Fp Pp, Uil Pa Pen, Sappe e Ugl Pp. L’appuntamento è alle 10 davanti all’Ucciardone, quindi un corteo sfilerà per le vie Albanese, Libertà, Maqueda e Cavour. Per Giovanni Condorelli Segretario Generale dell’Ugl in Sicilia “gli immani sforzi che quotidianamente sono fatti da ogni singolo agente della Polizia penitenziaria, per garantire ordine e sicurezza negli istituti penitenziari della Sicilia, non sono più sufficienti a tutelare il territorio, ecco perché chiediamo a tutta la società civile, di sostenere le rivendicazioni per i diritti dei lavoratori della Polizia Penitenziaria, vessati da condizioni di lavoro impossibili, al fine di ripristinare una sufficiente condizione lavorativa a garanzia del comparto carceri”. In provincia di Messina il carcere di Gazzi e l’Ospedale di Polizia Giudiziaria di Barcellona Pozzo di Gotto sono sempre al centro di polemiche e attenzioni da parte dell’opinione pubblica e delle forze sindacali. Messina: Osapp; la situazione del carcere è ad altissimo rischio Il Velino, 18 marzo 2011 Oggi alle 12 il sindacato della polizia penitenziaria Osapp ha tenuto una conferenza stampa davanti alla casa circondariale di Messina, presente il vice segretario generale Mimmo Nicotra: “Noi non saremo a Palermo - spiega Nicotra, dove si svolgerà una manifestazione regionale degli altri organi sindacali, ma abbiamo deciso di andare negli Istituti dove la carenza assume livelli gravissimi. Nei giorni scorsi siamo stati ad Augusta, da dove è evaso un detenuto da poco, oggi saremo a Messina per dire che il rischio è alto anche lì. Mancano più di 60 unità e riteniamo che il Provveditore Orazio Faramo debba intervenire prima possibile, magari attingendo da Istituti dove la carenza è meno grave.” “Terremo conferenze stampa in tutta la Sicilia - aggiunge il sindacalista dell’Osapp -, con i sindaci e i prefetti, per spiegare le ragioni della protesta affinché si rendano conto che oltre alla carenza di personale determinata dai provvedimenti nazionali, esiste in Sicilia una carenza regionale determinata dal fatto che dai 518 agenti in meno circa 400 mancano in Sicilia orientale”. Siracusa: sindacati di Polizia penitenziaria in piazza per le carenze di organico Il Velino, 18 marzo 2011 Sono in piazza, davanti alla Prefettura di Siracusa, gli agenti della Polizia Penitenziari locali aderenti all’Ugl/Pp, Fsa/Cnpp, Sinappe, Cgil/Pp e Uil, per sollecitare l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sulle gravi carenze di organici nelle tre strutture carcerarie del siracusano (Siracusa, Augusta, Noto). Secondo le organizzazioni sindacali di categoria, sarebbero circa 200 le unità in meno in servizio in provincia di Siracusa, rispetto ad una popolazione carceraria in forte sovrannumero, che costringe il personale in servizio a turnazioni che superano, spesso, le 12 ore consecutive. Al prefetto Carmela Floreno Vacirca, le sigle sindacali aderenti alla manifestazione, chiederanno di bloccare gli arrivi di detenuti da altri istituti e di chiudere parzialmente alcune aree del carcere di Augusta sprovviste dei necessari sistemi di sicurezza, dopo la fuga, qualche settimana addietro di un detenuto. Inoltre, verrà chiesto di poter disporre di maggiori fondi per migliorare la vivibilità all’interno delle case di pena e rendere più efficienti i mezzi di trasporto. Al sit-in non parteciperà la Cisl Fns impegnata in una analoga manifestazione regionale che si terrà a Palermo. Trento: il Sappe denuncia l’estremo disagio della Polizia penitenziaria Ansa, 18 marzo 2011 “Resto sconcertato da come si rendano operativi nuovi istituti penitenziari se, come nel caso di Trento, mancano le unità di Polizia Penitenziarie necessarie e tutto sembra affidato più alla buona volontà dei singoli che non ad una adeguata e pianificata organizzazione del lavoro, condivisa anche dopo un confronto sindacale che fino ad oggi non c’è stato”. Lo afferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), oggi in visita nel nuovo penitenziario di Trento. Certo è che oggi la situazione a Trento è di estremo disagio per i Baschi Azzurri del Corpo, che sono costretti a lavorare in cattive condizioni gestionali aggravate dall’assenza di un vero Comandante di Reparto e di una Direzione che sembra ignorare le prerogative sindacali ed affidata alla buona volontà dei singoli poliziotti l’operatività quotidiana. È inaccettabile e ne informeremo quanto prima il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta ed il Ministro della Giustizia Angelino Alfano. Capece parla poi della prossima chiusura del carcere di Rovereto “e dei disagi connessi al trasferimento del personale di sede”. Parma: laboratorio gioco per i figli dei detenuti, è la prima esperienza del genere in Italia La Repubblica, 18 marzo 2011 Sostenere e promuovere le relazioni familiari e la genitorialità degli ospiti degli Istituti Penitenziari di Parma; garantire condizioni di pari dignità ai genitori detenuti, agevolando le visite da parte dei loro figli; affiancare le famiglie sia all'interno che all'esterno del carcere grazie al volontariato penitenziario: è nato con queste finalità il progetto Laboratorio Gioco, per l'accoglienza in carcere dei famigliari dei detenuti, e in particolare dei minori, durante lo svolgimento dei colloqui. Prima esperienza del genere in Italia all'interno di un carcere maschile, il Laboratorio Gioco ha il patrocinio del Ministero per le Pari Opportunità e non a caso, se pur attivo da agosto, viene presentato alla città in occasione della Festa del Papà. Il Laboratorio Gioco rientra nell'ambito del progetto "Laboratorio", che ha dato vita, a oggi, in città, anche a tre Laboratori Famiglia - Al Portico, in Oltretorrente e San Martino - e a otto Laboratori Compiti in diversi quartieri cittadini. La novità del progetto sta nella modalità, "laboratoriale" appunto, di "pensare e fare insieme" per promuovere politiche familiari innovative e far crescere una rete di solidarietà e un welfare sussidiario attorno alla famiglia. All'interno degli Istituti penitenziari di Parma, in spazi individuati dalla direzione, il progetto porta un'animazione con momenti di gioco e di ricreazione per bambini e ragazzi che, provenienti da tutta Italia, entrano nel carcere in visita ai famigliari detenuti. Le attività sono differenziate a seconda dell'età. I bambini e i preadolescenti possono così condividere piacevoli momenti di gioco, leggere storie, partecipare a laboratori creativi e socializzare. Le attività si avvalgono della presenza di educatori professionali, dell'apporto di giovani volontari e della preziosa collaborazione della Polizia Penitenziaria. Il Laboratorio Gioco è attivo tutto l'anno, i martedì e i venerdì dalle 8.30 alle 14.30.Il progetto Laboratorio Gioco nasce in collaborazione tra il Comune di Parma - Agenzia per la Famiglia, gli Istituti Penitenziari, l'associazione di volontariato "Per ricominciare", le ACLI di Parma e Forum Solidarietà. Danno, inoltre, il loro contributo la Consulta comunale delle Associazioni familiari e il Forum delle Associazioni familiari. L'esperienza, iniziata in via sperimentale nell'estate 2010, alla luce dei risultati ottenuti - da agosto a oggi più di 250 bambini con le loro famiglie ne hanno usufruito - è ormai consolidata e continuerà per i prossimi due anni. Il progetto Laboratorio Gioco affianca altri progetti promossi dall'associazione "Per ricominciare" e sostenuti dal Comune: tra questi, le case di accoglienza "Il Focolare" e "Il Samaritano" per i parenti in visita e per i detenuti in permesso, a sostegno delle famiglie, della genitorialità. Anche il Laboratorio Gioco, come i Laboratori Famiglia e i Laboratori Compiti, ha il sostegno degli "Amici del Laboratorio", Parmalat spa e Colser Servizi di Parma. Vicenza: i detenuti “ospiti” a scuola raccontano la dura vita del carcere Il Giornale di Vicenza, 18 marzo 2011 Esperienza fuori dal comune per alcuni studenti delle classi prime e secondo del liceo Tron di Schio. L’altro giorno hanno infatti avuto la possibilità di ascoltare nell’aula magna della loro scuola il racconto di due carcerati, oggi detenuti nel penitenziario di Vicenza. Francesco e Vincenzo, accompagnati dal presidente del Centro Sportivo Italiano, visibilmente emozionati, hanno avuto la forza di condividere con gli studenti gli errori commessi, mettendo a nudo le colpe che li hanno portati alle pesanti pene che stanno scontando. Hanno raccontato le difficoltà di vivere in carcere, lontano dall’affetto dei propri cari, relegati in pochi metri quadrati, con solo due ore di aria al giorno. Hanno messo in luce le carenze del sistema penitenziario, le scarse condizioni igieniche in cui sono costretti a vivere, raccontato di episodi di mancanza di rispetto. Francesco, per il suo passato nel traffico di stupefacenti, è stato condannato ad una pena di quasi dodici anni; Vincenzo invece è in carcere per tentato omicidio. Entrambi hanno alle spalle due reati molto differenti ma al momento sono uniti dallo stesso destino: trascorrere interminabili ore all’interno di quattro pareti grigie e vedere la propria vita consumarsi senza potarla vivere appieno. Un incontro emozionante che ha toccato i cuori dei giovani e dei professori, un’esperienza che è valsa più di tante raccomandazioni. Treviso: gruppo cicloturistico sostiene attività formative dell’Istituto penale minorile Messaggero Veneto, 18 marzo 2011 Una delegazione della società ciclistica di Fratta di Caneva, composta dal presidente Riccardo Manfé e dal vice Vito Corbanese, lunedì ha consegnato al direttore dell’istituto Alfonso Paggiarino e alla coordinatrice dell’area pedagogica Maria Catalano una stampante laser per la bottega grafica dell’istituto penale minorile. Hanno accompagnato i rappresentanti del Meschio, il sindaco Andrea Attilio Gava e l’assessore regionale allo sport Elio De Anna: si è trattato della prima visita all’unico istituto penale minorile del Triveneto di un amministratore della Regione. “I ciclisti fanno molta fatica soprattutto quando la strada è in salita, ma è con l’impegno di ciascuno e il gioco di squadra che si raggiunge la vetta - ha detto Manfé ai giovani detenuti - Sfida ancor più importante la stanno compiendo i ragazzi dell’Ipm che spingendo sui pedali della formazione e del percorso rieducativo si preparano al reinserimento nella società. Nel corso della cena sociale di gennaio all’unanimità avevamo assunto l’impegno di donare una stampante alla bottega grafica per sostenere le attività educative, formative e del tempo libero che vengono svolte con i giovani detenuti. Attività che trovano limitazioni anche dalla limitatezza degli spazi disponibili sia interni che esterni”. La Bottega Grafica è un laboratorio dove si realizzano loghi, brochure, locandine e altro materiale grafico per enti pubblici, associazioni e organizzazioni del volontariato e del terzo settore. I committenti sono stati finora più di 50 per i quali sono stati realizzati oltre 300 progetti comunicativi. Dal 2008 sono stati più di venti i giovani detenuti, italiani e stranieri, che per periodi più o meno lunghi, determinati anche dalla durata della pena, hanno frequentato la bottega grafica. Genova: un ponte tra carcere e territorio, l’impegno dell’Uisp all’interno degli istituti penitenziari Secolo XIX, 18 marzo 2011 “Un Ponte tra carcere e territorio”, è questo il titolo del convegno che si terrà lunedì 21 marzo 2011 a Genova, presso l’Auditorium della Regione Liguria a partire dalle ore 9 sino alle 13.30, a conclusione delle attività della prima annualità del Progetto Ponte, portato avanti all’interno degli Istituti Penitenziari della Liguria, grazie al sostegno della Regione Liguria nell’ambito del Piano Sociale Integrato Regionale (Psir-2007-2010). Durante tutto il 2010, infatti, grazie alla collaborazione tra i Comitati Regionali liguri e territoriali di Acli, Arci e Uisp, in stretta sinergia con il Prap, il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, tutti gli istituti della regione sono stati coinvolti nell’importante progetto “Ponte”, volto a favorire il reinserimento sociale delle persone in esecuzione penale o ex detenute. Da Imperia e Sanremo sino a La Spezia, passando per gli istituti di Genova Marassi e Pontedecimo e strutture più piccole, come Savona e Chiavari, le tre associazioni hanno lavorato all’interno delle mura del carcere per offrire alla popolazione detenuta opportunità di acquisire competenze, sviluppare autonomia e coltivare buone relazioni, utilizzando attività culturali e ricreative (corsi di musica, teatro, alfabetizzazione etc.) o, come nel caso dell’Uisp, lo strumento dello sport per tutti: pallavolo, calcio, yoga, ginnastica, attività motoria a corpo libero ed espressione corporea, corsi per arbitri di calcio e cicli di incontri di educazione alla salute o sull’abuso di sostanze come integratori o farmaci sono state solo alcune delle attività portate avanti dagli educatori Uisp, fino allo scorso mese di dicembre. Intanto, dopo una prima valutazione positiva delle azioni svolte, stanno iniziando proprio in questi giorni gli incontri con il personale dei vari Istituti (direzioni, educatori, polizia penitenziaria), le associazioni ed il Prap per programmare e pianificare al meglio le attività della seconda annualità di progetto, nuovamente sostenuto dalla Regione Liguria. Lo stesso convegno di lunedì vedrà la presenza di tutti gli attori che hanno reso possibile lo svolgimento del Progetto Ponte per il 2010 e che lavoreranno alla sua realizzazione per il 2011, in un momento di confronto sul lavoro svolto, che vuole anche restituire alla cittadinanza i risultati e costruire collettivamente prospettive e linee guida per il futuro. Al convegno, che sarà aperto dai saluti di Claudio Burlando, Presidente della Regione Liguria, interverranno Lorena Rambaudi, Assessora alle Politiche Sociali della Regione Liguria, Milò Bertolotto, Assessora alle Carceri della Provincia di Genova e Giovanni Salamone, Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria. Il convegno, introdotto da Giuliano Bellezza, Coordinatore del Progetto Ponte e Responsabile del Settore Diritti Sociali dell’Uisp Nazionale, prevede poi testimonianze ed prevede poi testimonianze “da dentro le mura”, racconti ed interventi sul lavoro svolto, coordinati dall’Avvocato di Asgi Elena Fiorini. Per Uisp Liguria e Uisp Genova interverranno Fabrizio De Meo, responsabile delle azioni Uisp nelle carceri della provincia di Genova e Gaia Fiorini in rappresentanza degli istruttori sportivi impegnati attivamente nel progetto. Cagliari: oggi la presentazione dell’ultimo romanzo dell’ergastolano Annino Mele Ansa, 18 marzo 2011 “Sa grutta de sos mortos” è la nuova produzione letteraria di Annino Mele che sarà presentata a Cagliari oggi venerdì 18 marzo alle 16.30 nel Salone della Società degli Operai di Mutuo Soccorso (via XX Settembre, 80) per iniziativa dell’associazione culturale onlus “Socialismo Diritti Riforme”. Pubblicato da Carlo Delfino Editore, il romanzo in italiano dal titolo suggestivo in sardo, racconta in 244 pagine un universo culturale dove si covano e si attivano “sentimenti di vendetta” e dove gli individui rispondono a una legge superiore che ne decreta il destino. Sesta opera letteraria dell’ergastolano mamoiadino cinquantottenne, in carcere continuativamente da 24 anni e attualmente nel Penitenziario di Fossombrone dove sta scontando l’ergastolo, il romanzo si avvale di una prefazione-saggio di Paolo Pillonca, giornalista, scrittore, cultore ed esperto di lingua sarda. “L’iniziativa - sottolinea Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione SDR - intende valorizzare l’impegno di un cittadino privato della libertà che non solo non ha dimenticato le sue origini ma che ha rielaborato il senso della sua esistenza agendo su più fronti. Innanzitutto quello civile per l’attuazione della legge sull’ordinamento penitenziario e dei diritti costituzionali anche con clamorose pacifiche proteste. Annino Mele ha con i volontari dell’associazione un costante rapporto epistolare così come intrattiene una fitta corrispondenza con insegnanti che operano in diverse realtà del Paese inviando lavori e riflessioni. Esprime un modo attivo di intendere la pena fatto di produzioni artistiche, come dipinti; artigianali, come vasi e centri tavola realizzati con materiali poveri; creative, come racconti e romanzi; e di studio, saggi”. “Per la nostra associazione l’appuntamento - aggiunge Caligaris - è un’occasione anche per approfondire la conoscenza dei “miti” della Sardegna più remota e riflettere su quanto ancora la loro presenza influenzi lo scorrere della vita nei nostri piccoli centri sempre più spopolati e in balia di valori spesso non meno pericolosi. “Sa Grutta de sos Mortos” offre quindi più di un motivo di riflessione”. Alla presentazione del romanzo, oltre a Maria Grazia Caligaris che coordinerà il dibattito, interverranno Paolo Pillonca e la criminologa sassarese Lisa Sole. Iraq: dimostranti in piazza per il rilascio dei detenuti, la polizia carica a Falluja Osservatorio Iraq, 18 marzo 2011 Scontri fra polizia - ed esercito - e dimostranti a Falluja, dove le forze di sicurezza irachene oggi sono intervenute per disperdere una manifestazione di protesta che chiedeva la liberazione dei detenuti in carcere da anni senza processo. Nella città dell’ovest dell’Iraq erano scesi in piazza in più di 600, radunatisi nel centro, mentre una manifestazione analoga si svolgeva a Baghdad, dove i manifestanti portavano bandiere irachene urlando slogan che chiedevano riforme per mettere fine alla corruzione e alla disoccupazione elevata - in mezzo a strettissime misure di sicurezza. A Falluja però la situazione si è riscaldata, e la polizia, aiutata dall’esercito, ha usato i manganelli per disperdere la protesta. Le manifestazioni di oggi erano state indette da associazioni in difesa delle libertà su Facebook, e da organizzazioni della società civile, con il sostegno dei familiari dei detenuti, che chiedono il rilascio dei loro parenti. Egitto: arrestato l’ex ministro dell’Interno; diede l’ordine di sparare sui dimostranti in piazza Ansa, 18 marzo 2011 Il procuratore generale egiziano ha stabilito una custodia cautelare per l’ex ministro dell’Interno Habib El Adly con l’accusa di avere ordinato di sparare sui dimostranti a piazza Tahrir nei primi giorni della rivoluzione del 25 gennaio. Lo riferiscono fonti giudiziarie. Lo stesso El Adly è già inquisito per malversazione e riciclaggio di denaro.