Uno sportello che “ce la mette tutta” per rendere il carcere più umano Il Mattino di Padova, 14 marzo 2011 I cittadini che hanno rapporti con la Pubblica Amministrazione sperimentano quotidianamente le difficoltà nell’ottenere una puntuale e completa soddisfazione dei loro bisogni. Se questo è vero per i cittadini “liberi”, figuratevi come si moltiplicano le difficoltà per i cittadini detenuti. In questo contesto lo Sportello di Orientamento giuridico e Segretariato sociale nella Casa di Reclusione di Padova tenta di semplificare la vita ai detenuti, almeno nel rapporto con le strutture interne ed esterne al carcere. Quando entri in carcere tutto diventa più difficile e per arrivare a piccoli risultati devi spendere grandi energie. Noi che entriamo da liberi ce la mettiamo tutta per rendere ogni giorno il sistema più umano, ma l’efficienza è un difficile obiettivo, anche se a Padova incontriamo sostanziale collaborazione con il personale penitenziario, perché dopo anni c’è sempre più gente disposta ad ammettere che lavoriamo in silenzio, nell’interesse di tutti, e per questo ci rispettano. Siamo un manipolo di volontari che si impegna ad ascoltare e tenta di dare soluzioni concrete ai piccoli e ai grandi problemi che le persone detenute sottopongono alla nostra attenzione. Ci chiedono di tutto, ma le nostre regole di “ingaggio” sono chiare: quello che ci prendiamo in carico cerchiamo di portarlo a compimento, per il resto diciamo tanti no, purtroppo. Ma la verità è che non vogliamo illudere nessuno. Siamo un gruppo di persone con professionalità variegate, supportato efficacemente da alcuni detenuti che con la loro esperienza ci fanno capire meglio la vita del carcere. Ovviamente la nostra attività prosegue e si fa più difficile fuori dal carcere, dove di vera lotta si tratta per portare ai detenuti i risultati da loro sperati. Quando non abbiamo da offrire soluzioni concrete siamo noi i più dispiaciuti e spesso sono i detenuti a risollevare il nostro morale: “Non importa, grazie lo stesso per il vostro impegno”! Però risolviamo anche tanti casi e attraverso la nostra mediazione la maggior parte dei detenuti che accedono allo Sportello viene sostanzialmente soddisfatta. Anche la nostra esperienza è aumentata nel ricercare metodi efficaci per ottenere risultati positivi per coloro che si rivolgono a noi. E in ogni caso fungiamo da qualificato punto di ascolto. Una cosa ci piace sottolineare, proprio perché non è scontata né facile da perseguire: lo Sportello giuridico è un posto in carcere dove si entra e non si viene giudicati. Questo mi sembra il valore aggiunto della nostra attività, e forse è la chiave di volta del nostro modo di conquistare la fiducia di chi chiede il nostro aiuto. Salvatore La Barbera, volontario dello Sportello Chi ha commesso un reato non perde il diritto ad una vita degna Io penso che formare cittadini responsabili debba essere una delle priorità del carcere oggi, e attività come quelle dello sportello in cui si ragiona concretamente sui diritti e sui doveri dei cittadini, anche quando sono detenuti, siano fondamentali. Certo però non è facile far capire alle persone “fuori” che in carcere si perde la libertà, ma non gli altri diritti. È diffusa l’idea che quando una persona ha commesso un reato, soprattutto di sangue, questa perda qualsiasi diritto ad una vita degna. L’unico diritto concesso è quello ad essere vivi. In questo clima è difficile anche affrontare il tema della tutela dei diritti del lavoratore detenuto. In tanti si chiedono: ma come, vogliono pure l’indennità di disoccupazione? E io, che sono stra-precaria e non posso chiedere la disoccupazione per via del tipo di contratti di lavoro che ho, dico comunque che è giusto che l’Inps paghi la disoccupazione ai lavoratori detenuti, credo anzi che il rispetto dei diritti delle persone detenute rientri in quell’educazione alla legalità così assente nel nostro Paese. Sono proprio le persone che hanno violato la legge a dover sperimentare il sistema di leggi che ci governa, nel rispetto dei diritti e dei doveri di ognuno. Io, persona “libera”, né troppo buona, né troppo cattiva, mi chiedo che tipo di persona vorrei veder uscire dal carcere e credo che vorrei avere vicino un cittadino che ha capito la sua responsabilità, che conosce i suoi diritti e i suoi doveri e li esercita, che sente di far parte di una comunità. E questo lo desidererei non solo perché credo che le persone debbano avere una seconda possibilità, ma perché mi sentirei più sicura di sapere che la persona che magari abita vicino a me ha compreso il senso di una vita onesta ed è in grado di immaginare un benessere che non significhi solo soldi e lusso. Per questo credo che preparare una persona a un lavoro per il dopo carcere, sostenendola attraverso percorsi di tutoraggio e accompagnamento, sia fondamentale per aumentare i livelli di sicurezza della società tutta. Davvero chiediamoci come vorremmo che le persone uscissero dal carcere. Siamo così sicuri che un detenuto abituato alla passiva accettazione di regole che a volte nemmeno capisce, e alla dimostrazione di un rispetto dell’istituzione che spesso è solo apparente, sia funzionale alla sicurezza della società fuori? Che un sistema che umilia, infantilizza e scoraggia qualsiasi spinta critica possa preparare dei buoni cittadini? Io sono sicura di no. Aiutare le persone detenute a rinsaldare per esempio i rapporti con la propria famiglia, come cerca di fare il nostro sportello, risponde a una logica di reinserimento, verso cui anche la collettività, spesso ossessionata dalla “sicurezza”, dovrebbe mostrare maggior interesse. Umiliare il corpo e lo spirito, svuotare la persona della dignità che le spetta, significa invece aggravare la pena in modo controproducente per tutti, detenuti, familiari e anche la collettività che comunque, presto o tardi, si troverà ad accogliere un individuo isolato e mutilato da un punto di vista affettivo e sociale. Francesca Rapanà, operatrice dello Sportello Da detenuto, faccio volontariato per aiutare chi sta peggio di me Il carcere del sovraffollamento è anche il carcere della disperazione, e a viverci dentro ho cominciato a capire che cosa significa per chi è privo di risorse trovarsi da solo a lottare contro un mondo che non ammette l’ignoranza e non riconosce il diritto alla povertà. In carcere almeno la metà dei carcerati assume psicofarmaci per lenire l’ansia della galera e alleviare le sofferenze della carcerazione. In queste condizioni difficilmente le persone riescono a difendere i loro diritti, specialmente quando non hanno la possibilità di pagarsi gli avvocati. Teniamo presente che nelle carceri il 30% dei detenuti è tossicodipendente, gli immigrati sono oltre il 40%. La maggior parte non ha parenti in Italia che possano assisterli. Perciò sono un po’ abbandonati a se stessi e lo Stato non provvede neppure a garantirgli la telefonata settimanale alle famiglie residenti nei Paesi di origine. In questa situazione i detenuti che hanno studiato e conoscono un po’ le leggi diventano gli avvocati dei compagni più sfortunati. Io presto opera di volontariato presso lo sportello di orientamento giuridico. Qui ogni settimana raccogliamo decine di richieste di aiuto. Quando torno in cella dedico buona parte del mio tempo a scrivere istanze di ogni tipo per cercare di risolvere i problemi dei miei compagni di pena. Molto spesso la disperazione spinge le persone a chiedere aiuto per situazioni che in realtà sono irrimediabili, ma anche sapendo che ci sono cause perse in partenza, diventa fondamentale affrontarle ugualmente. Io ricordo molti casi come questi in cui alcuni compagni di pena si rivolgevano a noi per avere una parola di sostegno o per vedere nascere la speranza e poter continuare a vivere. Troppo carcere e troppi in carcere significa una società che non riesce a individuare altre risposte da dare per la sicurezza. Le carceri sono piene per questo motivo e oggi i governanti non sanno più come risolvere il problema, con il risultato che il problema viene ignorato e si creano sacche di sofferenza ai limiti della tortura. Bruno Turci Che cos’è lo Sportello? Lo Sportello di Orientamento giuridico e Segretariato sociale, gestito da volontari dell’associazione Granello di Senape, è attivo nella Casa di Reclusione di Padova dal novembre 2007. Le questioni giuridiche vengono affrontate grazie alla collaborazione di un gruppo di avvocati del Foro di Padova che prestano gratuitamente la propria consulenza. Giustizia: riformare la “riforma”… e aggiungervi l’amnistia di Sandro Padula Ristretti Orizzonti, 14 marzo 2011 Il disegno di legge costituzionale per la riforma della giustizia approvato dal Consiglio dei Ministri il 10 marzo 2011 ha poche probabilità di essere sostenuto dai due terzi del parlamento come necessita ogni riforma della Costituzione. Nel caso in cui fosse appoggiato da una maggioranza inferiore ai due terzi, fatto questo probabilmente più realistico, sarebbe destinato a sfociare in un referendum. Vediamo comunque di cosa si tratta. Il progetto, con i suoi 18 articoli, in parte riprende alcune idee della bozza Boato presentata alla Bicamerale diretta da D’Alema al tempo del primo governo Prodi, in parte se ne distacca e un po’ immette cose del tutto diverse. Prevede la separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri in una configurazione compatibile rispetto al nuovo codice di procedura penale, entrato in vigore il 24 ottobre 1989, che aveva già precisato la netta differenza di ruolo fra i primi e i secondi. L’articolo 5 propone infatti di sostituire così l’articolo 104 della Costituzione: “i magistrati si distinguono in giudici e pubblici ministeri. La legge assicura la separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri. L’ufficio del pubblico ministero è organizzato secondo le norme dell’ordinamento giudiziario che ne assicurano l’autonomia e l’indipendenza”. L’unico limite dell’articolo 5 è il richiamo alla legge ordinaria invece che alla Costituzione stessa. Quest’ultima, e non una semplice legge, dovrebbe assicurare la separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri. Forse basterebbe usare la parola Costituzione al posto di legge e il discorso sarebbe migliore dal punto di vista della logica del diritto costituzionale. Il disegno di legge illustrato dal Ministro Alfano propone poi, sulla base della suddetta separazione delle carriere, la nascita di due Consigli Superiori della Magistratura, uno per la magistratura requirente e uno per quella giudicante, mentre la bozza Boato prevedeva un Csm con sue sezioni, una per i pm e un’altra per i giudici. Non esiste una differenza sostanziale fra l’ipotesi di due Csm e quella di un Csm con sue sezioni. Il disegno di legge presenta senza dubbio anche delle relative novità con gli articoli 14 e 16, due proposte che comunque sono per lo più accettabili dai garantisti di ogni schieramento politico. Mentre c’è poco da dire sul 16, che stabilisce la responsabilità civile dei magistrati e risponde al principio costituzionale dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge, un discorso a parte si deve fare sull’articolo 14 del disegno di legge costituzionale. Quest’ultimo recita come segue: “contro le sentenze di condanna è sempre ammesso l’appello, salvo che la legge disponga diversamente in relazione alla natura del reato, delle pene e della decisione. Le sentenze di proscioglimento sono appellabili soltanto nei casi previsti dalla legge”. L’articolo 14 del dl Alfano rinvia alla legge ordinaria e quindi sarebbe opportuno modificarlo, in termini chiari e limpidi, affinché abbia una carattere compatibile con il primo comma dell’articolo 3 della Costituzione (“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”). Ad esempio, in questa maniera: “contro le sentenze di condanna è sempre ammesso l’appello. Le sentenze di proscioglimento non sono appellabili”. Gli articoli più controversi del disegno di legge costituzionale per la riforma della giustizia sono invece il 12 e il 15. Il 12 propone di modificare l’articolo 109 della Costituzione (“l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria”) con la seguente formulazione: “il giudice e il pubblico ministero dispongono della polizia giudiziaria secondo le modalità stabilite dalla legge”. È giusto che la polizia giudiziaria non sia direttamente a disposizione del Pm. L’attività della polizia giudiziaria è di tipo investigativo e, dovendo verificare anche l’attendibilità o meno delle prove d’accusa, non può essere subordinata direttamente alle attività del Pubblico Ministero che riguardano l’esercizio dell’azione penale e il sostegno dell’accusa nel processo. D’altra parte, è sbagliato modificare l’articolo 109 della Costituzione facendo un rinvio alla legge ordinaria. L’articolo 12 del dl Alfano andrebbe perciò modificato nel senso che “il giudice e il pubblico ministero, nei limiti delle loro competenze e nel rispetto della Costituzione, dispongono della polizia giudiziaria”. L’articolo 12 è discutibile ma potrebbe essere modificabile in meglio e senza dover fare il richiamo a generiche “modalità stabilite dalla legge”. La polizia giudiziaria, d’altra parte, dovrebbe avere compiti meglio definiti nel quadro di un disegno di legge costituzionale e nel totale rispetto del terzo comma dell’articolo 3 della Costituzione secondo cui “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. L’articolo più criticabile in assoluto del dl Alfano non è comunque il 12 ma il 15. Quest’ultimo vorrebbe far modificare l’articolo 112 della Costituzione (“il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”) in modo tale che l’ufficio del pubblico ministero abbia “l’obbligo di esercitare l’azione penale secondo i criteri stabiliti dalla legge”. Questa formulazione potrebbe apparire giusta ma di fatto è ambigua nella misura in cui rinvia alla legge ordinaria. I “criteri stabiliti dalla legge” possono mutare di mese in mese e, di conseguenza, rendere gravosa e schizofrenica l’attività del pubblico ministero. Ragionando sull’esperienza accumulata negli ultimi decenni, si può affermare che l’obbligatorietà dell’azione penale rischierebbe di seguire dei criteri stabiliti da Politiche dell’Emergenza contro qualche gruppo di persone e non rispetterebbe neanche sul piano formale i principi della Costituzione riguardanti i diritti e i doveri dei cittadini (artt. 1-12). No, non va bene. L’ufficio del pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale secondo dei criteri che da un lato tengano in considerazione le realtà delle comunità locali e dall’altro i principi fondamentali della Costituzione. Con questa modalità, senza alcun rinvio alla legge ordinaria, è possibile trasformare in meglio l’articolo 112 della Costituzione. In sintesi, gli articoli del disegno di legge costituzionale forse meriterebbero di essere modificati come qui si è proposto. Il vero difetto della riforma della giustizia prospettata dal governo Berlusconi sta in ciò che non affronta: le gigantesche questioni del sistema giuridico italiano come il sovraffollamento carcerario derivante soprattutto da una sovrabbondanza di leggi penali e la dilatazione del contenzioso civile. Se davvero in Italia si vuole fare una dignitosa riforma della giustizia è opportuno quindi che essa preveda, come minimo e non come massimo, anche un’ampia amnistia per i reati minori e per gli “anni di piombo”. Senza una tale amnistia le ingiustizie si andrebbero a moltiplicare nel prossimo futuro a danno della massa delle persone detenute e delle decine di ex brigatisti rossi in carcere addirittura dopo 26 e perfino 32 anni. Nel centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia è giunta l’ora dell’amnistia! Se non ora quando? Fra 150 anni? Giustizia: le proposte del Partito Democratico per la “riforma” del carcere Asca, 14 marzo 2011 La situazione nelle carceri italiane è drammatica per il sovraffollamento, per la carenza di personale di sorveglianza e per l’insufficienza di personale. Questa situazione porta al numero incredibile di suicidi e vanifica completamente la previsione costituzionale della finalità rieducativa della pena. È necessario ampliare la tipologia delle misure alternative alla pena detentiva in favore di quelle volti al reinserimento sociale. Per fare ciò non si può prescindere dall’adeguare le piante organiche riferite al personale di Polizia penitenziaria e alle figure degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi. Crediamo debbano essere riviste anche le norme sulla custodia precautelare e sulla custodia cautelare in carcere limitandola a criteri più stringenti per il suo utilizzo, anche al fine di eliminare quei meccanismi che concorrono al sovraffollamento con detenzioni in attesa di giudizio. Per garantire il rispetto della dignità dei detenuti proponiamo l’istituzione a livello nazionale del Garante dei diritti dei detenuti. Infine, chiediamo l’introduzione del reato di tortura nel codice penale. Firenze: il Garante; l’Opg di Montelupo doveva chiudere, ma è tutto bloccato Redattore Sociale, 14 marzo 2011 Il garante dei detenuti critica le istituzioni per il mancato superamento della struttura. Bondioli (Psichiatria Democratica): “Troppo immobilismo. Situazione allarmante”. L’assessore Allocca: “Confermo l’impegno della regione”. “L’annunciato superamento dell’Opg di Montelupo è bloccato. Le istituzioni locali sono tornate sui propri passi e adesso nessuno sa più come si vuole procedere. Qual è il destino dell’Opg?”. Franco Corloene, garante dei detenuti di Firenze e coordinatore dei garanti italiani, critica l’atteggiamento delle istituzioni locali al riguardo dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, il cui superamento era stato più volte annunciato. In merito interviene anche Cesare Bondioli, responsabile carceri e Opg di Psichiatria Democratica. “La situazione dell’Opg di Montelupo diventa ogni giorno più allarmante e non si vedono segnali concreti per la sua soluzione da parte della regione, che anzi colpisce per il suo immobilismo e silenzio operativo non conseguente alle pur recenti affermazioni politiche”. La regione conferma il suo impegno per arrivare al superamento dell’Opg. “Non è facile formulare un progetto con tempi certi - ha detto l’assessore al welfare Salvatore Allocca - Non dipende soltanto dalla Toscana, ma anche dalla disponibilità delle altre regioni a trovare strutture adeguate ad ospitare i detenuti che da quelle regioni provengono”. Secondo gli annunci della regione, l’Opg avrebbe dovuto chiudere entro fine 2011. Difficile secondo Bondioli, visto che “tutto è bloccato e nulla è accaduto nella prospettiva della chiusura di Montelupo”. I pazienti dell’Opg, in caso di chiusura, dovrebbero essere trasferiti in altre strutture a carattere sanitario. Una in provincia di Firenze per l’area vasta della Toscana centrale, un’altra ad Aulla per l’area vasta nord ovest, una terza ad Arezzo per l’area vasta sud est. Per quanto riguarda le persone che devono terminare il percorso della misura di sicurezza, si è previsto di utilizzare la struttura di Solliccianino a Firenze. I detenuti non toscani, invece, dovrebbero essere trasferiti in strutture delle proprie regioni. Secondo Corloene, nell’ottica di un miglioramento delle politiche carcerarie toscane, sarebbe opportuno “nominare il garante regionale dei detenuti, una figura che in Toscana manca e che potrebbe diventare il centro propulsore di una riforma”. A scatenare ulteriori polemiche sull’opg di Montelupo è stato il suicidio di cui, la scorsa settimana, è stato vittima un giovane paziente genovese. Prato: Radicali; grave sovraffollamento, 705 detenuti su 475 posti regolamentari Adnkronos, 14 marzo 2011 Nel carcere di Prato si trovano attualmente 705 detenuti contro i 475 della sua capienza regolamentare. Lo sottolinea il senatore radicale, eletto nelle liste del Pd, Marco Perduca, lamentando un “grave sovraffollamento” dell’istituto constatato in una sua visita ispettiva. “230 detenuti in più di quanto prevede la legge in una struttura che con grandi sforzi riesce e garantire processi educativi dalle elementari all’Università fanno di Prato il modello della realtà detentiva italiana - afferma Perduca, in una nota - 360 i detenuti con sentenza definitiva in un istituto dove 403 sono i non italiani, prevalentemente marocchini, albanesi e cinesi, e dove mancano all’appello 113 agenti sui 345 previsti dall’organico”. “Nella visita ispettiva con Fioravante Scognamiglio, accompagnati dal direttore e dal capo commissario, abbiamo potuto visitare - racconta Perduca - il reparto di media sicurezza dove tre detenuti sono ristretti in 9 metri quadrati e dove la presenza dei non italiani sale notevolmente, e la sezione ad alta attività trattamentale dove ci siamo potuti intrattenere in una sorta di assemblea estemporanea con una quarantina di detenuti, per scambiare opinioni sulla realtà carceraria pratese, ma anche sulle riforme necessarie per l’applicazione della Costituzione che prevede il recupero di chi delinque”. “In assenza di attività lavorative per tutti i detenuti, lo studio delle materie più disparate occupa la giornata di chi è costretto a trascorrere in cella condivisa con un altro detenuto la stragrande maggioranza della giornata. Solo il positivo rapporto tra agenti e detenuti - sottolinea Perduca - supplisce alla carenza di psicologi, due per 700 persone! E consente la gestione del rischio di autolesionismo e tentativi di suicidi, in passato problemi sentiti a Prato”. “Circa 120 i tossicodipendenti, mentre solo 14 della sessantina che ne hanno fatto richiesta hanno potuto essere assegnati agli arresti domiciliari in virtu’ della legge Alfano detta ingiustamente ‘svuotacarceri’. Occorre potenziare il rapporto con le amministrazioni locali e il tessuto socio-economico circostante per creare ulteriori opportunità lavorative e di formazione unico vero strumento di recupero e di abbattimento della recidiva”, conclude Perduca. Forlì: “Il carcere è malato”, la Cgil manifesta con gli operatori penitenziari Ansa, 14 marzo 2011 “Il carcere di Forlì è malato a.a.a. cercasi medico curante”. Questo appello si legge in un volantino della Cgil e la Fp Cgil Forlì che annuncia una manifestazione per il 30 marzo, dalle 10 alle 12 presso la casa circondariale di via Della Rocca, entrata a fronte sede Ausl - Medicina del lavoro. L’organizzazione sindacale manifesterà con gli operatori del carcere “per denunciare alla cittadinanza ed alle istituzioni la grave condizione della casa circondariale. Dignità per i lavoratori e per il carcere di Forlì”. La Cgil fa il punto: “Il mondo carcerario è in crisi, il carcere di Forlì è sovraffollato di detenuti, è in grave carenza di personale, è sporco, infestato da topi, scarafaggi, sciami di zanzare, una vera discarica con quantità industriali di escrementi di piccione. A chi importa di tutto questo? Il piano carcere del governo si è rivelato sotto tutti i punti una vera bufala. Sorge il dubbio che il governo voglia l’autogestione degli istituti penitenziari da parte dei detenuti”. Velletri (Rm): Cisl: organico polizia penitenziaria al tracollo Dire, 14 marzo 2011 La Fns Cisl Lazio denuncia la situazione ormai al tracollo” dell’organico di Polizia Penitenziaria dell’istituto di Velletri. “Basti pensare che attualmente risultano in servizio circa 118 unità nel ruolo agenti/assistenti, di cui circa 45 unità in convalescenza da lungo periodo, rispetto ad una pianta organica prevista da D.M. del 2001 di 135 unità”. Così in una nota il coordinatore regionale Fns Cisl, Massimo Costantino. “Questa situazione è attinente soltanto ai servizi d’istituto, esclusi quindi i servizi espletati dal nucleo traduzioni e piantonamenti che, vista la presenza del tribunale, e innumerevoli traduzioni anche fuori regione, ha sicuramente un carico di lavoro che, di fatto, deve essere garantito anche mediante l’utilizzo del personale dei servizi d’istituto. Come noto, per i motivi di cui sopra, dal 10 marzo scorso il personale di Polizia Penitenziaria in servizio presso tale istituto sta effettuano l’astensione al oltranza dalla mensa di servizio”. “Per tali motivi - conclude Costantino - la Fns Cisl Lazio ha chiesto al dipartimento amministrazione penitenziaria opportuni provvedimenti quali predisporre, nella fattività, l’invio di congruo contingente di personale pari al 30% della forza presente, mediante interpello straordinario o provvedimenti di missione”. Trani: per fine marzo l’apertura della nuova ala detentiva, ma manca il personale Ansa, 14 marzo 2011 Sarebbe imminente l’apertura dei nuovi reparti detentivi del carcere di Trani, la cui capienza regolamentare (stimata per 70 posti letto, più due stanze per disabili), potrebbe raggiungere la capienza tollerabile di 150 ospiti. Lo dice Domenico Mastrulli, vice segretario nazionale del sindacato di polizia penitenziaria. Per Mastrulli ci sarebbe già una data: domenica 20 marzo oppure lunedì 21 marzo potrebbero giungere a Trani i primi detenuti destinati alla nuova ala detentiva. Per l’inaugurazione ed il consueto taglio del nastro, circola la voce del possibile arrivo in città del ministro Angelino Alfano. Intanto, i sindacati di polizia, tra cui L’Osapp, hanno chiesto prima dell’apertura dei nuovi reparti ristrutturati di Trani, il rientro in città di tutti di poliziotti effettivi che si trovano, da anni, distaccati in ambito della Regione Puglia ed in altre sedi ed uffici della Regione. Una stima di 70 agenti che aiuterebbero a gestire la situazione nel carcere tranese. “Non vogliamo personale provvisorio - scrive Mastrulli - ma pretendiamo, nel rispetto di datati accordi, l’immediato rientro in sede dei poliziotti”. Cagliari: il Pd contro la chiusura della Scuola di Polizia penitenziaria a Monastir La Nuova Sardegna, 14 marzo 2011 Il Pd è contrario alla chiusura della Scuola di Formazione della polizia penitenziaria. L’ipotesi ventilata dal ministero è stata rigettata dai parlamentari del Pd. “Si tratta - scrive la deputata Amalia Schirru - di un provvedimento incomprensibile ed inaccettabile. La struttura è uno degli impianti di eccellenza nel settore della formazione e dell’aggiornamento degli agenti di custodia non solo della Sardegna, ma anche delle reclute provenienti dalla Penisola. Respingiamo nel modo più assoluto una possibile dismissione dello stabile. “L’istituto - recita il documento firmato anche da Giulio Calvisi, Paolo Fadda e Guido Melis - può contare su aule didattiche auditorium da 110 posti, una sala docenti e con un modernissimo poligono, utilizzato non solo dalla polizia penitenziaria ma anche dalle altre forze dell’ordine presenti nell’isola”. Interrogazione Schirru al ministro I parlamentari sardi del Pd Amalia Schirru, Giulio Calvisi, Paolo Fadda e Guido Melis hanno presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia Angelino Alfano per chiedere certezze sul futuro della Sfapp di Monastir, la scuola di formazione degli agenti di polizia penitenziaria per la quale è stata annunciata dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, in un documento inviato al ministro, l’ipotesi di dismissione. Di fatto, la chiusura insieme a quella di Napoli. “Se la notizia dovesse essere confermata - si legge nell’interrogazione - ci si troverebbe di fronte all’ennesima crisi economica, tenendo conto che intorno alla scuola ruotano servizi di pulizia esterna e sono stati operati interventi di manutenzione considerevoli da parte dell’amministrazione municipale di Monastir. L’ultimo un rifacimento di 500 mila euro per le condotte idriche”. Proprio nei giorni scorsi Amalia Schirru ha fato un sopralluogo alla scuola e sentito i sindaci di Monastir Ignazio Puddu e di San Sperate Antonio Paulis. L’idea è quella di una mobilitazione a livello territoriale che coinvolga anche la Provincia. Intanto, dopo le decise prese di posizione dei sindacati degli agenti, Sinappe e Sappe e Cgil regionale, adesso interviene anche la Fp-Cgil nazionale per voce del responsabile Francesco Quinti. “Incomprensibile e “inaspettata”: così è stata giudicata la decisione del capo dell’amministrazione penitenziaria Ionta di chiedere al ministro Alfano la dismissione delle scuole di formazione tra cui quella di Monastir. Un no secco alla serrata soprattutto in considerazione della “promessa assunzione di alcune migliaia di uomini e donne della Polizia penitenziaria che in quelle scuole andrebbero formati, assunzioni che non consentirebbero comunque il recupero delle seimila unità mancanti”. E ancora: “Se si vuole razionalizzare l’utilizzo del personale non impiegato nelle strutture e nei servizi penitenziari, noi siamo d’accordo. Siamo stati i primi a chiederlo al ministro Alfano e al capo del Dipartimento Ionta. Napoli: il Cardinale Sepe; i detenuti non sono lebbrosi o scarti Ansa, 14 marzo 2011 Bisogna “abbattere tutti quei pregiudizi che considerano i carcerati come lebbrosi o pietre di scarto, di fronte ai quali siamo tentati di volgere lo sguardo dall’altra parte”. Con la celebrazione eucaristica in Cattedrale a Napoli il cardinale Crescenzio Sepe chiude la due giorni dedicata al problema carceri, cominciata ieri con un convegno e culminata oggi con una giornata di preghiera. Ogni prima domenica di Quaresima nella diocesi di Napoli si celebra la giornata di preghiera per i carceri. La conclusione con una celebrazione e l’incontro di Sepe con detenuti e famiglie. Proprio il periodo quaresimale deve indurre ad “amare i nostri fratelli e sorelle carcerati, invitandoli a recuperare i veri valori umani e religiosi, morali e sociali contro quei disvalori della devianza, della delinquenza, del sopruso e della violenza. Cristo offre ad ogni uomo la possibilità della conversione della salvezza, di cambiare vita e redimersi, a riscrivere la propria storia”. Secondo il cardinale Sepe “la sofferenza personale e sociale dei detenuti deve indurci tutti ad umanizzare i luoghi della detenzione in modo da poter offrire loro una speranza di inserimento nella comunità civile”. Ci deve essere un impegno ‘a far si’ che, quanti nella nostra società soffrono, non siano ulteriormente condannati a soffrire. A nessuno è concesso di violare la sacralità della vita, a mercificare giovani, donne e bambini’. “Come possiamo - aggiunge il cardinale - celebrare la Pasqua se non pratichiamo la carità e la giustizia; se non ci asteniamo dall’odio e dalla illegalità; se non ci assumiamo la responsabilità anche sociale, se non riusciamo a incarnare la nostra fede nella ferialità di un amore senza limiti (chiarita sine modo)?”. “L’austero cammino della Quaresima ci mette in guardia da queste tentazioni e ci offre gli strumenti per poterle vincere. Chiediamo alla beata Vergine di aiutarci - sottolinea - a imitare il suo figlio Gesù, abbandonando gli idoli che possono essere presenti nella vita personale e in quella della nostra società”. E poi la conclusione con l’ormai solito incoraggiamento ai fedeli in dialetto: “A Madonna c’accumpagna!”. Torino: l’arcivescovo Nosiglia al Ferrante Aporti con i giovani detenuti e il personale La Repubblica, 14 marzo 2011 Ha fatto una buona impressione. Ho visto un ambiente accogliente e una fitta rete di persone intorno ai ragazzi, che vengono seguiti bene”. Così l’arcivescovo Cesare Nosiglia ha commentato ieri la sua visita nel carcere minorile Ferrante Aporti. L’arcivescovo è stato accompagnato dalla direttrice Gabriella Picco e dal cappellano don Domenico Ricca. “Ho incontrato i giovani e ho visto che fanno molte attività. Mi hanno anche intervistato per la loro televisione interna, Tg Ferrante - ha raccontato. Spero che vengano aiutati a riprendere fiducia in loro stess, e a costruire delle relazioni tra di loro e con gli adulti. Arrivano da situazioni difficili, dove mancano relazioni con i più grandi. È importante che questi ragazzi sappiano che c’è anche una società buona, che li aspetta, che li riaccoglie quando escono”. “È stata una bella visita, i ragazzi l’hanno apprezzata - ha raccontato la direttrice. Di 17 ospiti, sei sono italiani. Gli altri sono ragazzi di origine rumena, marocchina e sudamericana. Per loro, attività come quella della televisione sono importanti: spesso provengono da storie difficili e hanno bisogno di riscoprire che possono creare qualcosa”. La visita dell’arcivescovo Nosiglia ha coinciso con il mercoledì delle ceneri. “Non era una coincidenza voluta - ha detto Nosiglia - Un arcivescovo deve anche dare esempi concreti. In un giorno di preghiera questo è un piccolo segnale di solidarietà con chi soffre, che mi ha arricchito”. Nosiglia in serata ha poi dato il via alla quaresima in cattedrale incontrando 68 nuovi catecumeni. Roma: mercoledì la premiazione del concorso “Racconti dal carcere” Adnkronos, 14 marzo 2011 Saranno premiati mercoledì alle ore 15.30, presso la Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso, via Raffaele Majetti n.70, i vincitori del Premio letterario Goliarda Sapienza “Racconti dal carcere”. Sarà anche presentato il volume “Volete sapere chi sono io? Racconti dal carcere” (Oscar Mondadori), un’antologia delle 20 opere finaliste. Il Premio, che vede per la prima volta detenuti affiancati da grandi scrittori, è stato ideato dalla giornalista Antonella Ferrera e patrocinato dalla Società Italiana Autori Editori, dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e da Pubblicità Progresso. Parteciperanno, fra gli altri, la madrina del Premio, Dacia Maraini, gli autori giunti in finale e gli scrittori tutor. Tra i quali: Barbara Alberti, Edoardo Albinati, Massimo Carlotto, Vincenzo Consolo, Franco Cordelli, Maurizio Costanzo, Giancarlo De Cataldo, Erri De Luca, Massimiliano Griner, Giordano Bruno Guerri, Nicola Lagioia, Franca Leosini, Massimo Lugli, Liliana Madeo, Federico Moccia, Sandra Petrignani, Lidia Ravera, Susanna Tamaro, Marcello Veneziani, Renato Zero. Immigrazione: Radicali; recepire Direttiva Ue su rimpatri e sfruttamento lavoro nero Dire, 14 marzo 2011 Alla signora Marine Le Pen, che oggi visiterà Lampedusa per “farsi una idea di cosa sta accadendo”, vorrei far sapere quanto il suo accompagnatore Borghezio non le dirà. Anche in materia di immigrazione, infatti, l’Italia è un Paese tre volte fuorilegge. Lo dice in una nota Mario Staderini, segretario di Radicali Italiani. “Lo è - spiega - rispetto alle Convenzioni internazionali sui richiedenti asilo, come accaduto per i respingimenti in forza dell’ignobile Trattato con la Libia. Lo è rispetto all’Unione europea, non avendo recepito entro i termini previsti la direttiva europea n 155/2008 sui rimpatri. Lo è anche rispetto alla legge italiana, visto che l’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione, che consentirebbe la concessione di permessi di soggiorno provvisori a chi è vittima di sfruttamento da lavoro è ampiamente disapplicato, se non violato, dalle questure”. Staderini non crede che “tra i valori della destra francese sia compresa anche la violazione delle leggi. Ai deputati italiani, che stanno esaminando in Commissione la legge comunitaria, rinnovo l’appello ad accogliere gli emendamenti presentati dai Radicali affinché siano recepite sia la direttiva europea sui rimpatri che la direttiva sullo sfruttamento del lavoro nero degli immigrati. Se fosse approvata la direttiva rimpatri, ad esempio - conclude l’esponente dei Radicali - non sarebbe più possibile a Maroni di trattare i fuggitivi dai Paesi del Sud Mediterraneo come detenuti da chiudere nei Cie, con tutti i problemi che comporta”. Iraq: coprifuoco a Tikrit per sedare la rivolta dei detenuti Adnkronos, 14 marzo 2011 Un coprifuoco è stato imposto nella città irachena di Tikrit dove le forze di sicurezza sono intervenute per sedare la rivolta dei detenuti del carcere di al-Mawqef Wa al-Tasfirat, nel centro della città. Per fermare gli incidenti sono state chiamate unità della polizia antisommossa e militari che hanno circondato la prigione ed usato gas lacrimogeni per porre fine alla rivolta delle centinaia di detenuti, molti dei quali scontano condanne all’ergastolo o sono stati condannati alla pena capitale. Stati Uniti: polemiche sulla detenzione di Manning, si dimette il portavoce della Clinton La Stampa, 14 marzo 2011 “Un comportamento ridicolo, stupido e controproducente”. Così il portavoce del Dipartimento di Stato ha definito il trattamento carcerario denunciato dal soldato americano Bradley Manning, detenuto in condizioni di massima sicurezza con l’accusa di aver trasmesso al sito Wikileaks migliaia di cablogrammi segreti della diplomazia Usa. In una nota di undici pagine alle autorità militari scrive che nel carcere le guardie hanno abusato del loro potere discrezionale nel classificarlo come detenuto a rischio, il che permette ai secondini di controllarlo costantemente, anche se la sua scheda carceraria mostra il suo comportamento esemplare e gli psichiatri si sono espressi contro l’isolamento. Nel documento, reso pubblico dalla France Presse, Manning scrive: “Per 23 ore al giorno sono solo nella mia cella. Ogni cinque minuti le guardie mi chiedono se sto bene e devo rispondere in maniera affermativa. Di notte, se non riescono a vedermi perché sono girato, mi svegliano per assicurarsi che io stia bene”. Si dimette il portavoce della Clinton Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Philip Crowley, si è dimesso dopo essere stato accusato, negli Stati Uniti, di avere rilasciato una serie di commenti critici sulle condizioni di detenzione di Bradley Manning (dove a suo avviso subisce un trattamento “stupido e controproducente”), l’uomo che ha consegnato milioni di documenti a Wikileaks. Il segretario di Stato Usa Hillary Clinton le ha immediatamente accettate, anche se con rammarico, e a sostituire Crowley sarà Mike Hammer, l’attuale portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, oltre ad essere il responsabile per le relazioni con la stampa internazionale per il presidente Usa Barack Obama. L’avvicendamento era previsto, occorrerà come sempre a questi livelli il via libera del Senato degli Stati Uniti (il posto è quello di Assistente segretario di Stato per gli affari pubblici), ma i tempi sono stati decisamente accelerati. Come ha anticipato sulla Cnn online il corrispondente alla Casa Bianca dell’emittente, Ed Henry, il primo giornalista a dare la notizia citando fonti di alto livello al corrente dei fatti, le dimissioni sono il frutto delle forti pressioni della Casa Bianca, dopo la controversa presa di posizione di Crowley, diversa dalla linea ufficiale difesa anche dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Parlando con gli studenti del Massachusetts Institute of Technology, Crowley, che lavora con Hillary Clinton, aveva detto che il trattamento riservato dal Pentagono a Bradley Manning è “stupido e controproducente”. Manning è detenuto in un braccio di isolamento a Quantico in Virginia e secondo l’avvocato del giovane le sue condizioni sfiorano la tortura: spogliato di routine e costretto ogni notte a dormire in mutande. Gli vengono inoltre confiscati gli occhiali da vista lasciandolo impossibilitato a vedere chiaramente, e gli è stato anche imposto di portare un `grembiule antisuicidio´ che lui definisce particolarmente scomodo. Secondo il Pentagono sono le misure di routine per i detenuti a rischio suicidio. Venerdì rispondendo ad una domanda alla Casa Bianca, Obama aveva detto: al Pentagono “mi hanno garantito che il soldato Manning viene trattato seguendo gli standard appropriati”. Sud Africa: nuovi nomi per le carceri, per dimenticare il passato Agi, 14 marzo 2011 Le carceri sudafricane cambieranno nome per tagliare definitivamente i ponti con un passato troppo ingombrante e “esprimere al meglio i valori del moderno Sud Africa”. Lo ha annunciato a una cerimonia pubblica nella baraccopoli di Soweto, alla periferia di Johannesburg, il ministro dei Servizi penitenziari, signora Nosiviwe Mapisa Nqakula. La decisione, ha argomentato il ministro, punta a “rimarcare il significato della storia, cultura, eredità e diversità” del Paese, oltre a mettere in primo piano la funzione riabilitativa degli istituti di pena rispetto a quella prettamente punitiva. Nqakula ha riferito anche che numerosi cittadini hanno già contattato il dicastero per proporre i nuovi nomi. Le prime strutture carcerarie a cambiare nome saranno quelle di Johannesburg, Pretoria Central e Leeuwkop, situate nella provincia del Gauteng. I nuovi nomi saranno ufficialmente annunciati il 21 marzo, Giornata mondiale contro le discriminazioni razziali.