Giustizia: depenalizzazione e garantismo… questa è la riforma di cui abbiamo bisogno di Piero Sansonetti Gli Altri, 11 marzo 2011 Che in Italia esista la necessità di una radicale riforma della giustizia, a me pare evidente. Perché? Per tre ragioni. Prima. La macchina della giustizia è lentissima, vecchia, non riesce in nessun modo a soddisfare le esigenze di una società moderna e dinamica. Le sentenze definitive, sia nel penale che nel civile, arrivano dopo dieci o venti o anche trent’anni dal momento nel quale si è consumato il reato o si è aperto il contenzioso. E una sentenza che arriva con vent’anni o trenta di ritardo è sicuramente ingiusta. Seconda. Il potere dei magistrati è molto forte. Insindacabile e privo di contrappesi. I magistrati sono una casta unica e cioè esercitano sia il compito dell’accusatore sia quello del giudice, non sono eletti e non sono direttamente responsabili delle sentenze e degli errori, non sono sottoposti ad alcun tipo di verifica da parte di autorità esterne, e dalle loro decisioni e dalle loro attitudini - o addirittura dal loro arbitrio - dipende la vita di milioni di persone. Grazie al rapporto specialissimo che settori consistenti della magistratura hanno stretto con l’informazione, e il patto di mutuo soccorso tra giudici e giornalisti, la magistratura oggi è in grado di influenzare in modo drammatico la vita di moltissimi cittadini, anche a prescindere dall’iter processuale e dalla sentenza, perché l’uso mediatico dell’avviso di garanzia può condizionare in modo formidabile la vita pubblica e anche la vita privata. Terza. Il sistema delle garanzie processuali è molto limitato rispetto a quello di molti altri paesi dell’Occidente. Sia per le stesse ragioni che ho illustrato nei primi due punti; sia perché i poteri della difesa sono generalmente decisamente inferiori ai poteri dell’accusa; sia per la possibilità, da parte dell’accusa, di poter ricorrere più volte contro le assoluzioni (cosa che altrove, per esempio in America, è impossibile). Se queste osservazioni sono vere - e a me paiono dati di fatto - è difficile negare la necessità di una riforma. Naturalmente si tratta di discutere le linee della riforma, evitando che questa diventi una specie di vendetta della politica sullo strapotere dei giudici, perché una scelta di questo genere porterebbe ad una eccessiva riduzione del peso della magistratura, che invece deve essere salvaguardato perché l’equilibrio tra i tre poteri è decisivo per lo Stato di diritto, e se oggi il potere giudiziario è dilagante, e questo non va bene, non va bene neppure se diventa un potere troppo ridimensionato e subalterno agli altri due. C’è un punto, però, del quale nessuno discute. Né i “garantisti” di centrodestra, che sostengono Berlusconi e la sua volontà di riforme; né i “legalisti” di sinistra, che si oppongono alla riforma e chiedono che lo strapotere dei giudici non sia intaccato. Questo punto è molto semplice: la necessità di riformare non solo la struttura della giustizia e eventualmente il codice di procedura, ma anche - anzi soprattutto - il codice penale. Perché? Non credo che ci siano dubbi sul fatto che la riforma della giustizia debba avere una impronta garantista. E il garantismo, certamente, è fatto anche di regole. Ma non solo. Non esiste la possibilità di un garantismo che si realizzi senza la riduzione delle pene e la depenalizzazione di un gran numero di reati. Del resto solo in questo modo si può affrontare l’altro grande nodo sociale - direttamente collegato alla questione della giustizia - che è il nodo carcerario. Il problema però è questo: la destra “garantista” è disposta a render il suo garantismo così coerente da non essere solo un garantismo di regole ma anche sociale? Cioè, è pronta a trasformare una politica garantista in una politica anti repressiva, che vive dentro una idea di società fondata sull’iniziativa e sulla solidarietà e non sul concetto di colpa e sullo strumento della pena? Naturalmente è difficile che la destra entri in questa ottica. Però la destra è spinta da Berlusconi verso una riforma garantista, seppure dettata da motivi diversi dalle ragioni libertarie. Ma allora - chiedo - la sinistra non dovrebbe cogliere l’occasione di questa pulsione liberale della destra per spingere in questa direzione, anziché nella direzione opposta? E cioè, il modo migliore per opporsi a Berlusconi non è quello di chiedere che la riforma della giustizia sia più garantista, molto più garantista di quella proposta dal centrodestra? Giustizia: la custodia cautelare dev’essere una misura eccezionale, non ordinaria di Michela Evangelisti Il Giornale, 11 marzo 2011 Si parte da misure interdittive, quali il divieto di svolgere determinate attività, di stare in un certo luogo o di avvicinarsi ad alcune persone, per arrivare agli arresti domiciliari e al carcere. Le misure di custodia cautelare, oggetto di polemiche e riflessioni mai sopite, hanno come presupposto gravi indizi di colpevolezza. Ma i requisiti non possono fermarsi qui, perché, come spiega l’avvocato Gaetano Pecorella, “trattandosi di una misura che si applica nonostante il principio di presunzione di innocenza, deve obbedire a ragioni processuali, ovvero servire per impedire l’inquinamento delle prove, la fuga e, infine, la reiterazione del reato”. Punto, quest’ultimo, di per sé contraddittorio e in aperto contrasto con il principio di presunzione di innocenza. “Se da un lato si afferma che il reato va accertato, dire che si applica una misura cautelare per impedire la reiterazione del reato significa presupporre che il reato sia stato già accertato - illustra l’avvocato. Tra l’altro è la più diffusa ragione di applicazione delle norme cautelari, perché le ragioni di non inquinamento della prova hanno una durata determinata nel tempo, considerato che la prova è destinata a essere svelata, e per quanto riguarda il pericolo di fuga il più delle volte sono sufficienti misure come gli arresti domiciliari o strumenti di controllo a distanza”. Ritiene dunque che la norma relativa alla custodia cautelare sia valida e applicabile con efficacia o che andrebbe rivista? “Credo che tutto il sistema andrebbe radicalmente modificato. Il pubblico ministero raccoglie gli indizi e formula una richiesta di misura cautelare, spesso molto estesa e contenente numerosissime intercettazioni ed elementi di prova. Il gip si trova nella difficoltà obiettiva di potere valutare e approfondire tutti questi elementi, disponendo di tempi molto stretti, e finisce per affidarsi in gran parte alle valutazioni del pubblico ministero, al punto che non è raro trovare ordinanze di custodia cautelare che ricalcano alla lettera la richiesta del pm. Il tribunale del riesame, sul quale si riversano una valanga di deposizioni e atti, deve muoversi in tempi molto ristretti, e finisce a sua volta per appiattirsi sulle decisioni dei gip. Purtroppo in Italia, come osservava a suo tempo Vassalli, il giorno della condanna è spesso il giorno della scarcerazione, perché si è scontata tutta la pena nel corso della misura cautelare”. Quale può essere il cambiamento radicale? “Si potrebbe prendere ad esempio il sistema francese, con il cosiddetto contraddittorio anticipato. Si applica una misura restrittiva provvisoria, che non comporta o non dovrebbe comportare la reclusione in carcere ma in istituti appositi, poi si instaura un vero contraddittorio davanti a un giudice o a un tribunale, al termine del quale il tribunale decide se applicare o meno una misura cautelare a carattere permanente. Il paradosso del nostro sistema è che l’articolo 111 prevede che ci debba essere, prima che una persona sia incarcerata per scontare la pena, un contraddittorio nella parità delle parti, ma almeno la metà dei detenuti italiani sono in attesa di giudizio senza aver avuto un vero contraddittorio, né davanti al gip né davanti al tribunale del riesame. Tutto si basa esclusivamente sulle prove che sono state raccolte dal pm; il cosiddetto diritto di habeas corpus da noi non esiste”. La carcerazione preventiva è una misura che dovrebbe essere disposta solo in casi eccezionali e per brevissimi periodi, mentre in Italia se ne fa un uso abnorme. Quali sono le cause di questo uso improprio della legge? La separazione delle carriere tra inquirenti e giudici potrebbe essere una soluzione per arrivare a un’applicazione corretta della legge sulla custodia cautelare? “La separazione delle carriere cambia il volto complessivo del sistema penale. Il pm nel tempo finirà per essere visto dal giudice come una parte, esattamente come il difensore. Oggi non è così, tanto che si usa dire che il giudice è prestato all’accusa. Perché si fa un uso così ampio della custodia cautelare? Non a caso è stata definita una dolce tortura, perché è uno strumento di pressione psicologica molto forte. In carcere si debilita la volontà di difesa: pur di uscire di galera l’imputato, per paura di essere soggetto a violenza o sottomissione, finisce per confessare o collaborare. La custodia cautelare qualche volta viene anche usata positivamente, per salvaguardare le prove o evitare il pericolo di fuga, ma soprattutto per certi reati dove non c’è violenza né pericolo di fuga, come ad esempio i reati di corruzione, si potrebbero scegliere altre strade”. Una modifica del 2009 aveva nuovamente esteso a una serie numerosa di reati, fra cui quelli sessuali, la regola eccezionale per cui, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, la magistratura deve comunque applicare la carcerazione preventiva. La Corte Costituzionale ha poi cancellato la norma che imponeva al pubblico ministero di applicare la custodia cautelare in prigione anche per coloro sospettati di reati di sfruttamento della prostituzione minorile. La decisione della consulta ha scatenato polemiche nel mondo delle associazioni, che hanno accusato la corte di giustificazionismo. Cosa ne pensa? “La corte costituzionale non ha motivi di essere giustificazionista: tende sempre e comunque, nonostante i suoi errori, a far rispettare la Costituzione, la quale dice chiaramente che la misura cautelare deve essere eccezionale, non ordinaria. La corte ha ragione quando afferma che, al di là di motivi “propagandistici” o di consenso elettorale, la misura va applicata quando vi siano i presupposti per la sua necessità”. Sono ormai decenni che la nostra politica risponde all’emergenza carceri o con atti di clemenza o con piani di edilizia carceraria, ma il problema è ad ora irrisolto. “Il nostro sistema carcerario è sicuramente medioevale: la pena dovrebbe tendere alla rieducazione del condannato, mentre nelle nostre carceri non è la norma che si lavori, che si studi, che si faccia sport. La reclusione dovrebbe essere un tratto della vita della persona perché poi torni nel mondo civile migliore e non peggiore; un sistema carcerario come il nostro diventa invece un luogo di violenza e di abbandono o addirittura una scuola di delinquenza, nella quale si stabiliscono contatti tra persone che hanno commesso reati modesti e persone di spessore criminale”. Quali strade a suo parere sarebbero percorribili? “Innanzitutto il carcere dovrebbe essere pensato come estrema ratio, da applicare solo quando non c’è nessun altro mezzo più efficace. In secondo luogo bisognerebbe ripensare tutto il sistema carcerario distinguendo, come nell’inferno, i gironi: dal carcere semiaperto o aperto per i reati minori al carcere sempre più restrittivo. Inoltre sarebbe molto utile introdurre una misura che funziona benissimo nei Paesi anglosassoni, cioè quella della cauzione: se ti faccio versare una certa somma anche rilevante, a seconda delle condizioni economiche, e tu fuggi quella somma la perdi. Un provvedimento conveniente anche per pagare le spese di giustizia e risarcire le vittime alla fine del processo. Si potrebbero valutare pene alternative, come il lavoro obbligatorio nell’assistenza agli anziani o ai malati, e aumentare le misure patrimoniali, soprattutto per certi reati economici. Infine il carcere andrebbe concepito come luogo di educazione e che non recida i legami familiari e sociali: un capitolo importante è anche quello della sessualità in carcere, un diritto che credo dovrebbe essere garantito per lo meno ai soggetti in attesa di giudizio”. Giustizia: Uil-Pa; la speranza è che ci siano meno innocenti in carcere Redattore Sociale, 11 marzo 2011 Il commento del segretario generale: "Dal testo che è stato presentato, però, non è emersa la volontà di portare avanti una necessaria opera di depenalizzazione". Nessun giudizio a priori, ma la speranza è che la riforma della giustizia promossa da Guardasigilli Angelino Alfano porti "a un uso minore della carcerazione preventiva e a una minor presenza di innocenti dietro le sbarre. Non dimentichiamoci che il 40% delle persone che passano da una cella, al termine dell'iter giudiziario vengono assolti". E' il commento di Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Pa penitenziari che lunedì 14 marzo parteciperà al convegno "Esecuzione penale, organizzazione giudiziaria, carceri: giustizia, quale futuro", organizzato dalla Uil-Pubblica amministrazione. "Dal testo che è stato presentato, però, non è emersa la volontà di portare avanti una necessaria opera di depenalizzazione -puntualizza Sarno-. Serve invece un impegno a rivedere il codice penale e il codice di procedura penale". "Una vera, organica e strutturale riforma della Giustizia non può prescindere dall’analisi dal quadro normativo e le conseguenti riflessioni sulle varie criticità dell’intero sistema che sono ampliate ed alimentate dai tagli economici abbattutisi sull’intero settore –dicono dalla UIL Pubblica Amministrazione. Così come una riforma che adegui agli standard europei i tempi dei processi non può prescindere da una nuova, moderna ed efficiente riorganizzazione del sistema penitenziario". Sarno lancia poi una provocazione: all'interno del quadro che prevede la separazione delle carriere per i magistrati (con la distinzione tra magistratura inquirente e giudicante), "ci si dimentica che in Italia esiste anche la magistratura di sorveglianza, che ha un'attinenza diretta con il mondo penale. Dove la collochiamo?". Il convegno "Esecuzione penale, organizzazione giudiziaria, carceri: giustizia, quale futuro" si svolgerà lunedì 14 marzo (a partire dalle 9.15) presso l'aula magna del tribunale di Milano. All’evento, parteciperanno il Procuratore capo della Repubblica di Milano Bruti Liberati, il presidente dell’ordine degli avvocati di Milano, il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, Luigi Pagano. Giustizia: martedì al Senato audizioni di “esperti” sul ddl per le detenute madri Ansa, 11 marzo 2011 Il ddl sulle detenute madri riprende la sua corsa al Senato, dopo lo stop and go impostogli dall’Aula, che ha rimandato il testo in commissione, sebbene esso fosse approdato a palazzo Madama dopo un voto praticamente unanime della Camera. La commissione Giustizia del Senato ha quindi fissato una serie di audizioni sulla materia martedì 15 marzo. A partire dalle 10 del mattino saranno infatti ascoltati il direttore del carcere di San Vittore, il presidente del Dap, il presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma, i rappresentanti della Conferenza Stato-Regioni, dell’Anci e dell’Upi ed infine di alcune associazioni rappresentative dei familiari delle vittime dei reati. Inoltre, il presidente Berselli ha fissato per lunedì 21 marzo alle 14 il termine per la presentazione degli emendamenti al ddl. Giustizia: colpevole di essere innamorato... vada in manicomio criminale di Valentina Ascione Gli Altri, 11 marzo 2011 Un viaggio. "Un viaggio tra malattia mentale e carcere, in cui non riesci a distinguere chi è matto da chi non lo è". Eppure per Irene Testa il carcere è pane quotidiano. Con l'associazione radicale di cui è segretaria "Il Detenuto Ignoto", se ne occupa tutti i giorni, da anni, e in questi anni ne ha viste - lei sì - "di ogni". L'Opg, però, è tutta un'altra storia. L'ospedale psichiatrico giudiziario, il manicomio criminale, è un miscuglio di storie, tutte diverse e tutte accomunate dall'incertezza. Quella di Aversa, poi, è forse la peggiore di queste strutture, uniche superstiti della legge Basaglia. Carlo - lo chiameremo così - si trova lì da pochi giorni, come sua madre aveva scritto in una lunga lettera inviata al “Detenuto Ignoto” e a chissà quante altre associazioni. Come un messaggio nella bottiglia, nella speranza che qualcuno lo pescasse. "Mio figlio non è pazzo, non ha mai ammazzato, mai stuprato, non ha mai fatto rapine nè furti, mai spacciato droga. Negli Opg che fino ad oggi lo hanno ospitato erano tutti concordi nel ribadire che tali strutture non sono adatte a lui", scriveva nella sua lettera disperata di madre sola e malata. E in effetti Carlo non ha proprio l'aria di essere disturbato, anzi. E' bello, bello davvero, alto e con due splendidi occhi azzurri. E' stato internato per "malattia sopraggiunta in carcere", come molti ospiti di questa struttura del 1800, nella sua versione dei fatti, però, non c'è traccia di patologia. Racconta di essere evaso dagli arresti domiciliari per inseguire una ragazza della quale era innamorato e, una volta riacciuffato, di aver opposto resistenza e sferrato un pugno a un poliziotto. Ciò sarebbe bastato a ritenere che avesse bisogno di cure. Carlo tuttavia non è sottoposto ad alcun tipo di trattamento farmacologico, semplicemente perché non ne ha bisogno. Perché, come sembrano confermare le relazioni di medici e psichiatri, questo bel trentaduenne con alle spalle alcuni problemi di alcol e droga non dovrebbe trovarsi in un Opg. In carcere, magari, dove a quest'ora avrebbe già terminato di scontare la propria pena, ma non qui tra veri o presunti soggetti psichiatrici, condannati a un "ergastolo bianco" perché, proroga dopo proroga, hanno ormai perso ogni contatto con l'esterno e quindi non hanno altro luogo dove poter stare, né qualcuno che possa prendersi cura di loro. O perché non hanno ancora fornito prove sufficienti di un ritrovato lume della ragione e dunque continuano a essere ritenuti potenzialmente pericolosi. Qui, ad Aversa, chi non è matto rischia di diventarlo. E allora è proprio il caso di dire: meglio la galera. Giustizia: l’inferno infinito, abusi su un trans nel manicomio giudiziario di Aversa di Dario Stefano Dell’Aquila (Antigone Napoli) Il Manifesto, 11 marzo 2011 Due agenti di polizia penitenziaria dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa sono stati arrestati con l’accusa di avere costretto un giovane transessuale, internato nella struttura, ad avere rapporti sessuali. Secondo l’inchiesta della procura di Santa Maria Capua Vetere, coordinata da Raffaella Capasso, gli agenti avrebbero approfittato della loro posizione di autorità e dell’evidente stato di soggezione della vittima per costringerla, separatamente e in più occasioni, a rapporti sessuali. Gli episodi, avvenuti nel 2008, sono emersi dopo che la vittima degli abusi ha raccontato i fatti ad una psichiatra e dopo lunghe verifiche sull’attendibilità delle dichiarazioni. La richiesta di arresti domiciliari è stata eseguita dagli stessi colleghi degli agenti indagati. Ma questo episodio va inquadrato in uno scenario più ampio di abusi, violenze e di condizioni detentive inumane e degradanti raccontate, per primo, proprio dal manifesto e denunciate dall’Osservatorio dell’associazione Antigone. Un vaso di Pandora finalmente scoperchiato dopo anni di denunce, inchieste, interrogazioni parlamentari, e dopo l’ultimo suicidio di un internato all’ inizio dell’anno. Nella nota diffusa dalla procura si legge che “le condotte ipotizzate appaiono di particolare gravità in quanto commesse nell’ambito di una realtà detentiva - come accertato nel corso di altre indagini - assai più drammatica di quella carceraria”. Sono state iscritte nel registro degli indagati per omicidio colposo 14 persone, tra cui parte del personale in servizio in reparto: medici, psichiatri e i dirigenti della struttura. Nemmeno un mese e gli stessi magistrati, assieme ai carabinieri dei Nas, hanno effettuato una lunga ispezione nella struttura sequestrando registri e cartelle cliniche. Hanno anche notificato avvisi di garanzia all’ex commissario straordinario dell’Asl Ce, alla direttrice del dipartimento di salute mentale ex Asl Ce2, per “omissione d’atti di ufficio”, alla direttrice penitenziaria dell’Opg Carlotta Giaquinto e al direttore sanitario Adolfo Ferraro. Responsabilità penali tutte da accertare, naturalmente, ma fatti che appare difficile negare, specie se misurati in termini di vittime. Almeno 14 morti, tra suicidi e malattia, nel giro di 4 anni. Le indagini prendono slancio dal lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficienza del sistema sanitario, presieduta da Ignazio Marino, che la scorsa estate aveva, a seguito del rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura, ispezionato la struttura e ne aveva denunciato la degradante umanità. “Quanto si apprende oggi - ha detto Marino - mi lascia senza parole”. Ma nulla sembra scuotere la quotidianità di una struttura dove sono internate 300 persone, su una capienza di 180 posti. Ancora nel novembre scorso, i Nas, accompagnando la Commissione parlamentare, avevano dovuto sequestrare la farmacia interna all’Opg, per “erogazione illegale di stupefacenti ed esercizio abusivo della professione medica”. A febbraio, i Radicali, in un’interrogazione parlamentare hanno denunciato condizioni igieniche precarie, “con pazienti abbandonati e stanze che ospitano anche più di 6 persone”. “Un inferno”, così ha definito l’Opg la vittima delle violenza, dai muri ben spessi: qui, trent’anni fa, si è fermata la riforma Basaglia e qui, oggi, rischia di infrangersi la meno ambiziosa riforma della sanità penitenziaria che ha trasferito le competenze di assistenza dal Ministero della giustizia alle Asl. Nel 1975, a seguito delle denunce di un internato, si aprì un processo penale che si concluse con una condanna per l’allora direttore. Dalle denunce e dall’inchiesta che ne scaturì, emerse lo stato disastroso in cui versava la struttura, l’assenza di attività terapeutiche e di reinserimento, violenze fisiche e psichiche nei confronti degli internati, abuso dei letti di contenzione. C’è chi dice che il tempo scorre via molto velocemente; qui ad Aversa sembra essersi fermato. Giustizia: Ignazio Marino; chiudere gli Opg è unica soluzione per dignità pazienti Ansa, 11 marzo 2011 “La situazione all’interno degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari è talmente degradata, salvo pochissime eccezioni, che non si vede la possibilità di porvi rimedio con qualche riforma o correttivo”. Così Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale, commentando quanto accaduto a un internato transessuale all’Opg di Aversa e chiarendo gli obiettivi della Commissione nell’ambito dell’inchiesta sulla salute mentale. “Dopo la notizia della violenza sessuale subita da un detenuto dell’Opg di Aversa - continua Marino - e dopo gli approfondimenti e i numerosi sopralluoghi svolti in tutt’Italia dalla Commissione, possiamo dire a ragion veduta che l’unica soluzione è superare gli Opg chiudere questi veri e propri manicomi criminali, che non curano né tanto meno riabilitano, e destinare i pazienti a strutture sanitarie specializzate e adeguate ad accoglierli. Non è accettabile che nel nostro paese, nel XXI secolo, i detenuti con problemi psichiatrici siano privati non solo della libertà ma anche della loro dignità di essere umani”. Giustizia: Saccomanno (Pdl); intollerabili gli abusi sessuali su transessuale in Opg Ansa, 11 marzo 2011 “Dopo tutto quello che abbiamo rappresentato di fronte al Governo e di fronte al Parlamento, con uno sforzo corale del Senato per portare alla luce la realtà degli ospedali psichiatrici giudiziari, gli episodi di ieri ed oggi ci rendono più uniti per tirare fuori gli internati dai cosiddetti manicomi criminali”. Lo dice il senatore Michele Saccomanno, capogruppo del Pdl nella Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, apprese le notizie della presunta violenza sessuale subita da un detenuto dell’Opg di Aversa, che sarebbe stato costretto a rapporti orali da parte di due agenti della polizia penitenziaria, e della morte improvvisa di un altro detenuto dell’Opg di Montelupo Fiorentino. In quel degrado tutti sono degradati - continua Saccomanno - dai dirigenti alle guardie carcerarie. Gli internati sono cittadini con la pienezza dei diritti garantiti dalla Costituzione, uomini e donne che devono essere recuperati alla vita, malattie che devono essere curate. I 150 anni devono rappresentare un salto di qualità nel vissuto della dignità italiana. “Scriverò immediatamente - annuncia il senatore - al capo del Governo, ai Ministri della Giustizia, Alfano, e della Salute, Fazio, coinvolgendo i Presidenti delle Regioni interessate, per accelerare un percorso di chiusura di questi ospedali perché lo Stato italiano non può più tollerare questa vergogna”. Imma Battaglia (DiGay Project): un fatto terribile “La notizia della violenza sull’internato transessuale dell’Opg di Aversa è terribile. Noi di DiGay Project, che da anni ci impegniamo a portare negli istituti di contenzione l’idea di un carcere diverso, vorremmo consegnare una targa di ringraziamento alla psichiatra che ha denunciato gli abusi da parte delle guardie penitenziarie, dimostrando ancora una volta che le donne sono sempre più sensibili al tema della violenza e più coraggiose nella denuncia”. Lo afferma, in una nota, Imma Battaglia, presidente DiGay Project. “Ieri c’è stata una vittoria importante: le quote rosa nei Cda, che daranno alle donne l’opportunità di portare quella stessa sensibilità, tenacia e coraggio nei luoghi di potere, innescando un importante processo di cambiamento nell’equazione potere-abuso. Da questa ondata femminile di rinnovamento venga la spinta politica a riaprire il dibattito sulla legge contro l’omofobia e la transfobia”, conclude Battaglia. Giustizia: i Sindacati Polizia penitenziaria chiedono incontro urgente al ministro Alfano Il Velino, 11 marzo 2011 Alcune organizzazioni sindacali del Corpo di Polizia Penitenziaria, nello specifico Osapp, Sinappe, Cisl Fns, Fp Cgil P.p., Ugl, Fsa Cnpp, “in seguito alle valutazioni emerse in una riunione tenutasi in data odierna, chiedono un incontro urgente al ministro Angelino Alfano”. “Non è più rinviabile - scrivono in una nota congiunta - una discussione che affronti i temi centrali della generale crisi del sistema penitenziario, dalla scarsità di risorse economiche alla possibile ulteriore riduzione degli stanziamenti per il lavoro straordinario, dalla penuria di personale all’emergenza sovraffollamento. Considerata la rilevanza politica del tema in oggetto e le evidenti criticità del sistema, le organizzazioni sindacali non ritengono più procrastinabile un momento di confronto e un piano di azione comune per affrontare l’emergenza”. Giustizia: Osapp, grave esclusione Polizia penitenziaria da protocollo pubblica sicurezza Adnkronos, 11 marzo 2011 “Il documento siglato oggi conferma due cose: quanto sia necessario, ora più che mai, che la Polizia Penitenziaria si stacchi definitivamente dall’Amministrazione Penitenziaria e si costituisca Corpo a sé stante (come i Carabinieri, la Polizia di Stato e la Guardia di finanza), realizzando l’immediato passaggio alle dipendenze funzionali e gerarchiche del Ministero dell’Interno”. Lo dichiara in una nota Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, Organizzazione sindacale autonoma di Polizia Penitenziaria, riferendosi al protocollo d’intesa firmato oggi dal Dap, di comune accordo con le altre forze di Polizia, per la costituzione di un Gruppo Centrale Operativo Interforze “al fine - come si legge nel documento - di rendere effettivo il flusso informativo relativamente alle notizie da acquisire, confrontare e verificare nell’ambito dell’attività di contrasto della criminalità di tipo mafioso”. “Come forza di pubblica sicurezza, preminente per il ruolo che le viene demandato per legge all’interno delle carceri - denuncia Beneduci - non siamo stati nemmeno interpellati. E questo è un insulto per la divisa che portiamo. Cosa ancor più denigrante per l’importanza sociale che svolgiamo all’interno dei penitenziari è che non faremo nemmeno parte dei nuclei provinciali composti dai rappresentanti delle quattro forze di Polizia del Paese”. Giustizia: la cultura dell’abuso di potere che ha consentito anche lo stupro in caserma di Luigi Zingales L’Espresso, 11 marzo 2011 Una giovane donna, arrestata per furto, viene violentata dai Carabinieri che l’hanno in custodia. Costoro, interrogati, si difendono dicendo che il rapporto era consensuale. Se la prima notizia non fosse sufficientemente sconvolgente, lo sarebbe la seconda. Ammesso e non concesso che la versione dei Carabinieri su vera, è possibile per delle guardie avere un rapporto “consensuale” con una detenuta? E se ammettiamo che il potere delle guardie sulla detenuta renda irrilevante il “consenso”, quale differenza c’è tra il rapporto consensuale tra un professore e la sua studentessa, o tra un uomo ricco e una donna povera? Arriviamo all’estremo, sostenuto da molte femministe, che qualsiasi rapporto in cui ci sia una differenza di potere è stupro? Questo dilemma può essere analizzato dal punto di vista giuridico e morale. Non essendo un esperto di queste discipline, non mi azzardo a commentare. Ma alcuni principi economici ci aiutano a capire meglio qual è la differenza tra “l’utilizzatore finale” di una prostituta, un professore che ha una relazione con una studentessa e un carceriere che ha un rapporto sessuale con una detenuta. In economia il “potere” deriva da una posizione monopolistica. In un mercato perfettamente competitivo, né il compratore né il venditore hanno alcun potere, perché entrambi hanno a disposizione molte alternative simili. Nel mondo reale il grado di potere che un venditore ha su un compratore deriva da quanto inferiori sono le opzioni alternative di cui quest’ultimo dispone. Un supermercato ha potere sui suoi clienti in funzione della distanza che costoro devono percorrere per andare a un altro supermercato. Il produttore di un medicinale, per contro, ha un enorme potere, se non ci sono alternative valide. La disciplina antitrust americana non vieta l’uso del potere di mercato, ma solo l’abuso. Microsoft può usare il suo potere sul mercato dei sistemi operativi, perché ha conquistato questo potere competendo sul libero mercato. Quello che è illegale (e per cui Microsoft è stata condannata) è l’uso di questo potere per monopolizzare altri mercati (per esempio quello degli Internet browser). Il fatto che i compratori di Microsoft Office lo facessero volontariamente, non cambia il risultato: si tratta di un abuso di potere (in senso economico e non giuridico). Lo stesso principio si può applicare alle relazioni sessuali. Nella misura in cui la prostituta non è forzata, ma sceglie liberamente di farlo, l’utilizzatore finale compra i suoi servizi in un libero mercato. Il fatto che sia ricco e la prostituta povera non altera il fatto che entrambi hanno molte alternative e quindi il primo non ha alcun potere sulla seconda. Diverso è il caso del professore. Il professore ha potere sugli studenti nella misura in cui è costoso per costoro cambiare università. Il caso del carceriere è la forma più estrema: il prigioniero non ha alternative. Questo potere viene conferito per permettere al professore di valutare gli studenti e al carceriere di impedire al prigioniero di fuggire. Usato nel contesto in cui è stato concepito, questo potere è legittimo. Ma qualsiasi altro scambio che avvenga tra i due, anche se volontario, è falsato, perché non avviene a condizioni di mercato. Se il carceriere compra un gioiello da un detenuto, che garanzie abbiamo che non si tratti di un abuso del suo potere o di un tentativo mascherato di corromperlo? A maggior ragione questo si applica a uno scambio di favori sessuali. Il caso del professore è una forma meno estrema del carceriere (il suo potere è di gran lunga inferiore), ma il principio è lo stesso. Per questo negli Stati Uniti qualsiasi rapporto (anche consenziente) tra un professore e una studentessa è considerato sexual harassment. Questo inverte l’onere della prova. Spetta alla persona in posizione di potere di giustificarsi e non viceversa. Purtroppo in Italia questa sensibilità manca. Il triste caso dei Carabinieri è indicativo di una cultura in cui l’abuso di potere, a cominciare dai vertici dello Stato, è pratica diffusa. È ora di cambiare. Lombardia: il Provveditore Luigi Pagano; un’alternativa al carcere è possibile Brescia Oggi, 11 marzo 2011 “Spendiamo soldi per creare criminalità e le prigioni sono diventate centro di internamento per immigrati”. Le carceri si riempiono perché non si ha più in mente il reinserimento sociale ma si ha l’ordine pubblico come stella polare ed è per questo che, se si vuole qualcosa di diverso dalla situazione (invivibile) attuale degli istituti di pena bisogna cambiare anche il codice penale. Ad affermarlo è Luigi Pagano, provveditore regionale per le carceri lombarde e già direttore a San Vittore e Canton Mombello (dal 1983 al 1986), intervenuto ieri sera nel salone Bevilacqua di via Pace su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura e dei Padri Filippini della Pace in collaborazione con le associazioni Carcere e Territorio e Vol.Ca. I termini del problema li ha ricordati in apertura di dibattito il docente di Criminologia all’Università di Brescia Carlo Alberto Romano. A fine anno, nei 19 istituti penitenziari lombardi, c’erano 9.643 detenuti, 4mila in più rispetto al consentito. Di questi 4.900 sono definitivi, mentre 4.300 circa in attesa di giudizio, cioè sono persone private della libertà ma che non hanno ancora avuto una sentenza definitiva. È questa già una grande anomalia, che ci pone come “osservati speciali” in Europa. Tra gli stranieri (poco più di 4mila) la sproporzione tra definitivi (1.731) e in attesa di giudizio (2.429) è ancora più marcata. “Questi numeri - afferma Romano - ci dicono che il carcere, sempre più spesso, non obbedisce a regole penalistiche ma è diventato un centro di stoccaggio di rifiuti sociali”. Alcuni altri numeri aiutano a comprendere meglio la dimensione del problema. Nel 2010 gli ingressi nelle carceri lombarde sono stati oltre 13mila e il 60 percento dei detenuti ha una pena residua inferiore ai 3 anni, 1.347 detenuti devono scontare meno di un anno. Gli ergastolani sono 239. Insomma, la percezione di “pericolosità sociale” è cosa diversa dalla realtà carceraria. In carcere sono pochissimi quelli che hanno la possibilità di lavorare. “Nessuno nega il castigo - sottolinea Romano -, ma questo deve essere intelligente, tendere alla rieducazione e non infliggere un supplizio aggiuntivo”. L’esatto contrario della realtà delle carceri italiane in questo momento. Luigi Pagano, “un carceriere a cui non piace il carcere”, osserva che le prigioni, per definizione, sono un’istituzione chiusa alla società. Il carcere dovrebbe essere la soluzione estrema: prima dovrebbe esserci spazio per tutte le forme possibili alternative. Sono principi che nelle leggi italiane ci sono, ma che non trovano concretezza o che sono stati smentiti da altre leggi. Spesso la differenza tra chi sta in carcere e chi usufruisce di misure alternative passa dalla possibilità di avere una rete minima di sostegno rispetto a casa, lavoro, famiglia. Nelle carceri italiane un terzo dei detenuti sono tossicodipendenti e “sono oramai diventate un enorme Centro di internamento per immigrati”. Non solo, c’è anche una quotidianità paradossale. Persone che entrano alle 12 ed escono alle 16 o che stanno in cella pochi giorni solo perché non hanno un’alternativa. Oppure persone che vengono trasferite in altre regioni per calmierare le situazioni più esplosive come Milano e Brescia. Le risorse sono poche e tutto questo ha un costo, non solo sociale, ma anche economico. “Spendiamo soldi per creare criminalità”, afferma. Per Pagano le prigioni sono il grande rimosso del sentire collettivo e si possono aumentare gli istituti di pena, o utilizzare di più le misure alternative, ma ci sono problemi di fondo che restano e non verranno risolti fino a quando non cambia il modo di considerare l’istituzione carceraria, recuperando i dettami costituzionali. Pagano riporta l’esempio del carcere di Bollate, non un “esperimento rivoluzionario - dice -, ma quello che dovrebbe essere la normalità”. Chiude citando un apologo raccontatogli da Mino Martinazzoli, ministro della Giustizia ai tempi in cui Pagano era direttore di Canton Mombello. Un millepiedi si ammala e va dal dottore della foresta, il quale assume un fare pensieroso. La moglie del millepiedi, preoccupata, chiede lumi e il dottore risponde: “No, non è grave. Guardi, il fatto è che suo marito guarirebbe se camminasse su due piedi”. La moglie: “Ma scusi, mio marito è un millepiedi”. Il dottore: “Io le sto dando un parere tecnico”. Le leggi si fanno, si fanno grandi proclami, le carceri restano quello che sono. E, par di capire, non è una gran prova di civiltà. Emilia Romagna: Sindacati di Polizia Penitenziaria; carenza d’organico e sovraffollamento Comunicato stampa, 11 marzo 2011 Com’è noto, le oltre 200 carceri italiane, spesso vecchie e fatiscenti, sono state costruite per ospitare al massimo 43 mila detenuti, ma oggi ne contengono circa 65 mila, di cui uno su 3 è straniero e uno su 4 tossicodipendente. Tale situazione sta divenendo esplosiva al punto che sempre più spesso ci capita di dover registrare episodi suicidari all’interno delle mura carcerarie, a causa dell’immane sovraffollamento e della conseguente sostanziale invivibilità delle carceri italiane. L’impatto di tali questioni è ancora maggiore nell’Italia settentrionale raggiungendo il punto apicale nella Regione Emilia Romagna laddove, rispetto alla capienza regolamentare, ci sono circa 2.000 detenuti in più e circa 700 agenti di polizia penitenziaria in meno, per un indice di sovraffollamento che supera il 180% contro il dato nazionale del 140%. Il sovraffollamento rende, tra l’altro, preoccupanti le condizioni igienico-sanitarie e crea grossi rischi dal punto di vista infettivo, con casi di contagio che stanno interessando anche agenti di polizia penitenziaria, mentre la carenza di personale di Polizia Penitenziaria e delle figure professionali del trattamento rende inapplicabili le misure di alleggerimento del regime carcerario. La situazione è diventata ormai esplosiva con punte di criticità che raggiungono valori allarmanti riguardo al servizio dei Nuclei Traduzioni e Piantonamenti degli istituti della regione ormai non più capaci di gestire autonomamente le incombenze quotidiane e sempre più costretti a chiedere l’ausilio del Nor (nucleo operativo regionale) e, cosa ancor più allarmante, di personale preposto al servizio interno degli Istituti penitenziari, mettendo a rischio la sicurezza non solo del poliziotti del Ntp (si esce sempre sotto scorta) ma di tutte le strutture penitenziarie e soprattutto della cittadinanza del posto. Il personale di polizia penitenziaria è ormai rassegnato a vedersi, da un giorno all’altro, cambiare i turni di servizio, revocare i riposi settimanali programmati, tagliare le ferie, non avere garantito nessuno dei diritti soggettivi sanciti dalle norme contrattuali e di legge. A ciò va inoltre aggiunta, la grave carenza di educatori e psicologi, a fronte di un aumento dei detenuti che sono affetti da dipendenze croniche, con un conseguente incremento della richiesta di interventi specialistici di tipo psichiatrico e psicologico. Come se non bastasse, aumentano a dismisura le incombenze richieste al personale di polizia penitenziaria direttamente dal Dap (emblematica è la circolare Ardita sull’osservazione dei detenuti, assolutamente inapplicabile con le attuali dotazioni organiche) e, cosa ancora più grave e fastidiosa, i provvedimenti di distacco o missione decisi al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 7 del Dpr 254/99. La concessione di tali trasferimenti temporanei, oltre a creare grosso malcontento nel personale che vede ledere il proprio diritto, acquisito nel tempo, ad avvicinarsi al luogo di nascita e talvolta di residenza ovvero a vedersi rigettare analoghe istanze seppur supportate da serie e comprovate esigenze familiari e/o di salute, finisce con l’aggravare fortemente la già drammatica carenza di personale. Il personale di polizia penitenziaria della regione ha sempre dimostrato alta professionalità, senso del dovere ed encomiabile spirito di sacrificio, eseguendo tantissime ore di ore di lavoro straordinario mensile (fino a punte di 90 ore mensili) che tra l’altro non viene ultimamente neppure riconosciuto interamente per i rilevanti tagli operati ai relativi stanziamenti (con la ulteriore conseguenza che la prevista turnazione a sei ore giornaliere dei turni di lavoro non è nemmeno ipotizzabile), ma ora è stanco e sfiduciato da una politica miope fatta di scelte discutibili e provvedimenti unilaterali riguardo alla mobilità del personale non più accettabili. Concludendo, le scriventi OO.SS. chiedono l’assegnazione dai prossimi corsi per neo agenti di un’aliquota straordinaria ed adeguata a coprire le vacanze d’organico di tutti gli istituti della regione, l’immediato blocco dei provvedimenti di distacco-missione già disposti e/o eseguiti di recente a favore di personale di polizia penitenziaria della regione in assenza dei requisiti richiesti dall’art. 7 del Dpr 254/99, l’immediato rientro in sede di quei poliziotti distaccati per motivi diversi da quelli previsti dal predetto art. 7 del Dpr 254/99 nonché l’adozione di una serie di iniziative a sostegno del personale affinché venga alleviato il peso delle procedure lavorative all’interno degli istituti penitenziari della Regione maggiormente colpiti da sovraffollamento e carenza d’organico. Nell’attesa di riscontro, si porgono distinti saluti. Osapp, Uil, Cisl, Cgil, Sinappe, Ugl, Cnpp Emilia Romagna: nelle carceri rischi igienici e malattie, contagi anche tra agenti Dire, 11 marzo 2011 Il sovraffollamento delle carceri in Emilia-Romagna sta cominciando a portare grandi “preoccupazioni dal punto di vista igienico-sanitario e infettivo, con casi di contagio che stanno interessando anche agenti della Polizia penitenziaria”. Lo denunciano i sindacati delle guardie carcerarie in una lettera inviata oggi ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria e al presidente della Regione, Vasco Errani: le richieste sono quelle già avanzate nelle ultime settimane, ovvero di avere rinforzi di personale al più presto per coprire le vacanze d’organico. Se infatti il sovraffollamento è un problema comune a tutte le carceri italiane, dicono i sindacati, la situazione dell’Emilia-Romagna è la peggiore del centro-nord: “Rispetto alla capienza regolamentare ci sono 2.000 detenuti in più e 700 agenti in meno, per un indice di sovraffollamento che supera il 180%”, a fronte di un dato nazionale del 140%. La situazione delle carceri emiliano-romagnole, in cui si stanno evidenziando appunto anche rischi di tipo sanitario, “è diventata ormai esplosiva”. Particolarmente critica la condizione di lavoro dei Nucleo traduzione e piantonamenti (che si occupa di accompagnare i detenuti ai processi o di sorvegliare gli arrestati in ospedale) delle varie carceri regionali. “Ormai non sono più capaci di gestire autonomamente le incombenze quotidiane” e così sono costretti a chiedere aiuto al nucleo regionale oppure a colleghi in servizio dentro gli istituti. Questo, dicono i sindacati, “mette a rischio la sicurezza non solo dei poliziotti ma di tutte le strutture penitenziarie e dei cittadini”. Agli agenti penitenziari, poi, si chiedono sempre più ore di straordinario, con “punte di 90 ore mensili”. Il personale è “stanco e sfiduciato” dicono i sindacati. Emilia Romagna: Marzocchi (Regione); lavoriamo contro sovraffollamento delle carceri Adnkronos, 11 marzo 2011 “Siamo molto consapevoli dei problemi di cui parlano i sindacati degli agenti penitenziari, che siamo disponibili a incontrare, sia per quanto riguarda le condizioni del personale che quelle dei detenuti”. Così l’assessore regionale dell’Emilia Romagna alle Politiche sociali, Maria Teresa Marzocchi, ha commentato la lettera dei sindacati delle guardie carcerarie, inviata oggi all’amministrazione penitenziaria e alla Regione Emilia Romagna, in cui si denunciano gli effetti igienico-sanitari conseguenti al grave sovraffollamento. “Da tempo - ha aggiunto l’assessore Marzocchi - stiamo lavorando nella stessa direzione per risolvere i gravissimi problemi giustamente denunciati: il presidente della Regione Vasco Errani si è anche attivato personalmente per farlo e abbiamo incontrato ultimamente il ministro Alfano, a Piacenza, cui abbiamo chiesto che venga allentato il sovraffollamento e rafforzato il personale delle carceri. Il ministro ci ha assicurato il suo impegno per migliorare le condizioni nelle nostre strutture penitenziarie”. Brescia: il sovraffollamento rende le celle invivibili, detenuti in protesta da giorni Brescia Oggi, 11 marzo 2011 Battitura delle pentole, fumogeni, musica fuori dalle mura; battitura delle sbarre, teli messi a fuoco e urla dentro le celle. La protesta che i detenuti di Canton Mombello stanno attuando da alcuni giorni contro il sovraffollamento e le condizioni invivibili di detenzione è stata ieri amplificata anche all’esterno del carcere grazie al presidio di solidarietà promosso da Diritti per Tutti, Rete Antifascista, centri sociali Magazzino 47 e 28 Maggio, Sinistra Ecologia Libertà e Rifondazione Comunista. Nelle 207 carceri presenti in Italia ci sono in questo momento 69mila detenuti a fronte di una capienza regolamentare per 45mila persone. Nel 2010 le morti in carcere sono state 173, di cui 66 i suicidi. In questo contesto non edificante Canton Mombello è una delle prigioni peggiori per condizioni di detenzione con i suoi 520 detenuti (dei quali 160 tossicodipendenti) quando la capienza regolamentare è di 204 e quella di tollerabilità a 298. “Vogliamo testimoniare la nostra vicinanza con la protesta - afferma Umberto Gobbi dell’associazione Diritti per Tutti. La situazione invivibile delle carceri rappresenta un aggravio di pena aggiunto alla privazione della libertà. E mentre c’è gente che parla di braccialetti elettronici e nuove carceri noi diciamo che già oggi si può utilizzare lo strumento delle misure alternative alla detenzione e che ci sono leggi che riempiono le prigioni in modo inutile”. Il riferimento è alla legge sulle tossicodipendenze, che mette in carcere migliaia di persone “che avrebbero invece bisogno di essere curate e finiscono in carcere per un furto”, o alla legge sull’immigrazione clandestina, che riempie le celle con chi non ha il permesso di soggiorno. “Una cosa è certa - afferma Gobbi: mentre il governo si occupa di riformare la giustizia ad uso dei potenti, questa protesta ci riporta alla realtà”. Mirko Lombardi, coordinatore cittadino di Sel, annuncia per i prossimi giorni una visita in carcere della consigliere regionale del partito Chiara Cremonesi, ricorda che è da anni che siamo in una situazione “vergognosa”. E osserva: “I liberali vollero la prigione in città per fare in modo che da dentro si sentisse la vita della strada e che da fuori si vedessero quelli che avevano sbagliato ma anche per dire che il carcere riguarda tutti e non è un corpo estraneo”. Firenze: comunicato di Psichiatria Democratica sul suicidio di un internato a Montelupo Comunicato stampa, 11 marzo 2011 Il recente suicidio di un internato all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo - si trattava tra l’altro di una persona prossima alla dimissione - rende ancora più drammatica e attuale la denuncia recentemente fatta da Psichiatria Democratica sugli inspiegabili ritardi con cui è gestita, a livello nazionale ed anche regionale, la fase di “graduale superamento” degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari prevista dal Dpcm (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) dell’aprile 2008 e delle conseguenti Linee Guida. Sono trascorsi quasi tre anni e nulla è accaduto. Nel gennaio 2010 la Regione Toscana ha sottoscritto un protocollo col Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) per avviare concretamente il programma di chiusura di Montelupo. Sembrava un promettente inizio ma da allora, come da noi denunciato, nulla è successo nonostante le impegnative dichiarazioni (dicembre 2010) rese in Consiglio Regionale dagli Assessori Allocca e Scaramuccia che prevedevano la conclusione della prima fase della chiusura di Montelupo entro il 2011. La drammatica condizione degli internati impone a questo punto un rinnovato impegno di tutti i soggetti coinvolti nel processo - Regione, Dap, Dipartimenti di Salute Mentale, Enti Locali - per concretizzare ed accelerare la dismissione della struttura, provvedendo alla dimissione innanzitutto degli internati immediatamente dimissibili: 14 persone secondo quanto dichiarato dagli Assessori (si tratta per lo più di soggetti in regime di proroga della misura di sicurezza, persone cioè che hanno finito di scontare il provvedimento restrittivo in Opg e che vi rimangono per mancanza di alternative nei territori di provenienza). Va inoltre rilanciata, con idonei finanziamenti tra cui quelli che cominciano ad affluire dal Ministero, la realizzazione delle strutture territoriali previste per la dimissione di altri soggetti per i quali si può prevedere una cura in strutture a vigilanza attenuata. La dimissione immediata di un certo numero di internati permetterebbe anche di iniziare a spostare internati da altri OPG in funzione della regionalizzazione degli attuali Opg prevista dal Dpcm (in Toscana dovrebbero essere destinati gli internati provenienti, oltre che dalla Regione, da Umbria, Liguria e Sardegna). Temiamo che ogni ulteriore ritardo nella dismissione di Montelupo (in cui mancano le pur minime condizioni di vivibilità come ha denunciato la Commissione presieduta dal Senatore Marino nel luglio scorso) o la sua ventilata ristrutturazione potrebbero comportare altre tragedie: occorre ridare speranza agli internati, anzitutto in una possibilità di cura, realizzabile, come ci ha insegnato la storia della legge 180, solo fuori dal manicomio. Cesare Bondioli Responsabile Carceri e Opg Psichiatria Democratica Firenze: dopo il decesso di un detenuto marocchino, discussione in Consiglio provinciale In Toscana, 11 marzo 2011 Sulla vicenda del detenuto morto a Sollicciano, il gruppo provinciale di Rifondazione comunista aveva presentato una domanda d’attualità alla quale ha risposto l’assessore Giovanni Di Fede. “Com’è prassi - ha detto Di Fede - saranno svolti tutti i necessari accertamenti, al fine di verificare se all’interno del complesso penitenziario di Sollicciano siano stati attivati tutti i necessari provvedimenti di pronto soccorso per salvare il recluso. È chiaro che anche la nostra Amministrazione su questo pretende chiarezza”. Il decesso avvenuto comunque riapre il dibattito sull’opportunità di inviare in luoghi idonei di reclusione “quei detenuti tossicodipendenti che non risultano compatibili al regime carcerario ordinario. Questo è un male tutto italiano e un male che più volte forze poche e Istituzioni hanno sollevato”. In relazione al caso in questione, la vittima, un marocchino di 48 anni già condannato in primo grado per traffico di stupefacenti, viveva in Italia con regolare carta di soggiorno. Soffriva già di crisi respiratorie e da quanto risulta sarebbe morto per infarto. Era la prima volta che l’uomo veniva incarcerato. L’autopsia, di cui ancora non conosciamo l’esito, é stata disposta dal Sostituito Procuratore Dottoressa Giuseppina Mione. “Più volte - ha replicato il consigliere provinciale di Rifondazione comunista Andrea Calò - noi abbiamo chiesto alla Giunta Provinciale di occuparsi della situazione che si sta verificando di sovraffollamento e di carenze igienico sanitarie negli istituti carcerari della Provincia di Firenze. Abbiamo più volte chiesto anche, tra l’altro, alla Giunta Provinciale di riferire dettagliatamente sulle iniziative che la Giunta ha adottato insieme alla complessa filiera istituzionale per superare la situazione di emergenza e di criticità presenti a Sollicciano. La Provincia di Firenze, al di là di quelle che sono le sue competenze formali, deve essere impegnata a far sì che comunque nel sistema carcerario comunque vengano ripristinate le situazioni di legalità e di legittimità. Ci aspettiamo da parte della Giunta Provinciale che sul sistema penitenziario provinciale faccia sentire di più la sua presenza proprio in termini di rispetto delle libertà e della dignità alla persona”. Reggio Emilia: Sappe; maxi rissa con lamette tra detenuti tunisini e marocchini Ansa, 11 marzo 2011 Ne dà notizia il Sappe: otto detenuti di nazionalità marocchina e tunisina si sono fronteggiati con l’uso di lamette; alcuni si sono feriti in modo serio. L’intervento della polizia ha sedato la lite. Maxi rissa oggi pomeriggio, nella casa circondariale di Reggio Emilia: ne dà notizia in una nota il Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Otto detenuti di nazionalità marocchina e tunisina si sono fronteggiati con l’uso di lamette, alcune delle quali - informa ancora il Sappe - applicate a piccole aste, in modo da formare dei rudimentali rasoi. L’episodio, probabilmente, è da associare a dissidi tra bande. Alcuni detenuti sono rimasti feriti in modo abbastanza serio, tanto da dover ricorrere alle cure dei medici del carcere. La situazione è stata contenuta - spiega il Sappe - solo grazie al pronto intervento della polizia penitenziaria che, seppur in carenza di organico, è riuscita a sedare la rissa: la situazione è avvenuta all’interno del cortile passeggi, dove, in quel momento, c’erano circa 70 detenuti. I detenuti coinvolti sono stati isolati e saranno denunciati per rissa. Gli stessi dovranno essere sottoposti a procedimento disciplinare. Nel carcere di Reggio Emilia i detenuti stranieri sono circa 200, più del 50% del numero totale che è di 322 reclusi, circa 150 in più rispetto ai posti previsti. In Emilia Romagna gli stranieri sono 2.295, su un totale di 4287 reclusi. La media, in regione, superiore al 50%, è di gran lunga maggiore di quella nazionale che arriva al 37% circa. Cremona: quasi 400 detenuti, il carcere di Cà del Ferro è al collasso Agi, 11 marzo 2011 Nel carcere di via Cà del Ferro è tempo di aggiornare i dati. E il bilancio si fa pesante. I detenuti, l’altro giorno a quota 380, veleggiano oramai verso quota 400. Di qui a sette-dieci giorni quella soglia, record storico, potrebbe essere raggiunta e superata. Le ripercussioni sono inevitabili e pesanti: da un paio di settimane a questa parte in una parte delle celle sono ospitati non due bensì tre detenuti. Sovraffollamento bell’e buono. Al problema, cronico, della mancanza di personale, si aggiunge dunque quello delle condizioni di vita dei detenuti. Un mix micidiale. Il grido d’allarme è stato lanciato negli ultimi giorni dai sindacati. Rovigo: proseguono i lavori per il nuovo carcere, sarà pronto a fine 2012 Il Gazzettino, 11 marzo 2011 Entro la fine del prossimo anno la nuova struttura dovrebbe essere consegnata alla città e i detenuti finalmente potranno godere di uno spazio adeguato. Già, perché, la situazione che vivono oggi al’interno della Casa circondariale di via Verdi non è delle più rosee come denuncia il Movimento sociale Fiamma Tricolore. “La prigione di via Verdi può ospitare 66 detenuti ma ha un limite di tollerabilità che arriva a 79. Oggi nella struttura ce ne sono 116. Le conseguenze di questa situazione possono facilmente essere immaginate con sei o sette detenuti costretti a soggiornare in celle da 12 metri quadri spesso senza una doccia e con un solo wc. In queste condizioni la normalità è avere letti a tre piani e si riesce con grande difficoltà ad avere spazi di vita quotidiana. Con il medico carcerario che deve essere scortato dalla Polizia Penitenziaria e dunque non può assistere tutti coloro che, soprattutto in queste condizioni, dovessero avere bisogno di aiuto”. Il nuovo carcere potrà ospitare 120 persone e nel progetto sono previste anche delle aree sociali che consentiranno ai detenuti di praticare attività sportiva, laboratori, coltivazioni all’aperto e luoghi per i colloqui famigliari. Nell’attuale casa circondariale, secondo Fiamma Tricolore, “non c’è nemmeno spazio per il supporto psicologico. Il 44% dei detenuti sono in custodia cautelare. Partendo, dunque, dalla considerazione che più della metà dei carcerati in attesa di giudizio sarà riconosciuta innocente, si tratta di persone che non dovrebbero nemmeno essere dietro le sbarre. Fatte le debite proporzioni nel reclusorio di Rovigo sono ristretti, in condizioni disumane, 25 persone innocenti. È necessaria una riflessione urgente sulla politica criminale e sulle misure alternative alla detenzione e una nuova valutazione sulla custodia preventiva prima del processo, considerando la detenzione in carcere come extrema ratio da applicarsi soltanto per i reati di effettivo allarme sociale”. La criticità non sta solo nella struttura ma anche nel personale come afferma il segretario Fp Cgil Giampietro Pegoraro: “Il carcere è sovraffollato e manca il personale. Assieme alla Provincia e al Comune abbiamo chiesto un incontro a livello nazionale perché non c’è abbastanza personale di Polizia penitenziaria, manca un turnover, mancano le divise, manca tutto. Come mancheranno gli spazi adibiti per il personale all’interno del nuovo carcere in costruzione. Questa nuova struttura parte con un handicap, non ci sarà nessun locale per la Polizia penitenziaria perché mancano i fondi. Come Cgil siamo contrari alla costruzione di nuove strutture detentive e pensiamo che sia arrivato il momento di applicare adeguatamente le leggi e di trovare misure alternative come lavori socialmente utili per riparare a danni causati da reati minori altrimenti le carceri saranno sempre sovraffollate”. Iglesias (Or): poesia per liberare le emozioni dalle sbarre La Nuova Sardegna, 11 marzo 2011 La poesia per scandagliare l’animo e per farlo volare anche attraverso le sbarre. Alla creatività è stato dedicato il laboratorio di narrativa che ha consentito di pubblicare il volumetto Poesie in Libertà. Promosso dall’area educativa dell’Istituto Penitenziario, coordinata da Roberto Sorgente, il progetto, si è avvalso del supporto dei volontari della Caritas Diocesana e della collaborazione della Società Operaia di Mutuo Soccorso. A patrocinare la pubblicazione, che propone 76 componimenti in versi scritti da cinque detenuti, è stato l’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri Enrico Fermi di Iglesias. La raccolta in versi è stata presentata nell’Istituto alla presenza, tra gli altri, del Direttore Gianfranco Pala e di Don Roberto Sciolla, responsabile della Caritas Diocesana. “La realizzazione di questa pubblicazione - ha detto il Direttore Pala - è la concreta prova che anche in un contesto detentivo è possibile esercitare la libertà narrativa, raccontare storie di vita passate, presenti, future per far emergere saperi perduti o dimenticati, i cambiamenti, i sogni nel cassetto, esprimere sensazioni, pensieri, emozioni, collegare esperienze. Testimonia però - ha sottolineato Gianfranco Pala - l’importanza della solidarietà e della partecipazione di chi vive fuori dal carcere, oltre che del ruolo degli operatori”. “Il carcere come luogo di arricchimento umano e culturale - ha sottolineato Don Roberto Sciolla - è una realtà spesso sottovalutata. L’impegno costante dei volontari dimostra invece che la realizzazione di un progetto è sempre una occasione di crescita per tutti per chi vive la condizione di detenuto e per quanti operano con passione nelle carceri”. Determinante l’operato degli educatori, dei volontari e della scuola. Senza una rete di positive relazioni dentro e soprattutto fuori dal carcere, il principio fondamentale del reinserimento sociale dei cittadini privati della libertà, dopo aver scontato la pena, diventa quasi impossibile. La pubblicazione contiene, oltre a un’autopresentazione di ciascun autore, 20 componimenti di Efisio Allegria, 14 di Luigi Angioni, 8 di Francesco Marongiu, 17 di Giuseppe Moi e 17 di Sulyic Fadil. Immigrazione: l’allarme della Polizia sul Cie di Gradisca; qui ci può scappare il morto di Luigi Murciano Il Piccolo, 11 marzo 2011 “Potrebbero esserci altri tentativi di fuga di massa da questo Cie ormai in ginocchio. E se non saranno presi provvedimenti in tempo utile, qualche immigrato potrebbe decidere d’immolarsi o essere immolato per la causa. Sì, a Gradisca d’Isonzo ci può scappare il morto. Ma dalle istituzioni solo silenzio”. Intervento-choc quello di Giovanni Sammito, consigliere nazionale e segretario provinciale del Siulp. Dopo i colleghi del Sap, anche il principale sindacato di polizia lancia l’allarme sull’emergenza nella struttura isontina. Dove dopo i 40 incendi in sei settimane si dorme e si mangia sul pavimento, nei corridoi. Una polveriera “degradante sul piano umano” per Sammito. “L’assenza della politica e del Dipartimento per l’immigrazione sono inquietanti. E se qualcosa di grave dovesse succedere gli agenti saranno certamente il capro espiatorio. Non ci staremo” spiega Sammito, che sarà a Roma per lanciare “un’operazione - verità sui Cie” e ha preparato un dossier per la Commissione Schengen domani in visita a Gradisca. Non solo gli immigrati, anche le forze dell’ordine si sentono in qualche modo ostaggio della struttura. “Tutta la provincia lo è - denuncia Sammito-. Si è voluto il Cie più grande d’Italia nel comune più piccolo. Una struttura che sta assorbendo gli sforzi degli agenti distogliendoli dal controllo del territorio ma senza adeguate risorse umane ed economiche si rischia il fallimento”. Da quando il trattenimento dei clandestini è stato portato a sei mesi la situazione è precipitata. “Sia in termini di sicurezza interna che degli sprechi” spiega Sammito. Per il sindacato il Centro d’identificazione ed espulsione costa ai contribuenti più del carcere goriziano di via Barzellini. Almeno 10 milioni di euro annui. “Ogni immigrato costa circa 15mila euro per i sei mesi di trattenimento. Ma per quelli effettivamente rimpatriati o riaccompagnati alla frontiera (appena un terzo, ndr) si supera quota 30mila. Un detenuto costa un quarto”. Senza contare che dei circa 300 espulsi (su 800 immigrati che in media transitano al Cie) è più che consistente la percentuale di coloro che tornano in Italia. Kafkiano. “Allora a che cosa serve tutto ciò - si chiede Sammito -? La gente deve sapere in che condizioni operiamo. Chiediamo rinforzi da anni e invece presto altri 30 uomini che andranno in quiescienza. Non saranno rimpiazzati. A differenza delle altre località che ospitano Cie non c’è un Reparto mobile: per le emergenze i rinforzi arrivano da Padova. Mancano almeno tre funzionari, di cui almeno uno a tempo pieno per il Cie, e manca un presidio fisso di vigili del fuoco”. “I materassi incendiati - rivela Sammito - sprigionano fumi tossici per i quali neppure abbiamo le mascherine”. E c’è di peggio. In questo meccanismo perverso gli agenti, sottoposti a rischi quotidiani devono persino anticipare i soldi spesi durante le missioni di rimpatrio dei clandestini. “Si, a volte se vi sono imprevisti gli agenti pagano di tasca propria persino i voli - sostiene Sammito -, per tacere di vitto e alloggio. Anticipano da soli le indennità di trasferta, nella speranza di venire rimborsati dopo mesi”. Stati Uniti: pena di morte; primo detenuto giustiziato tramite iniezione di pentobarbital Apcom, 11 marzo 2011 Si è tenuta ieri mattina, nella prigione di Lucasville, in Ohio, la prima esecuzione avvenuta tramite l’utilizzo di pentobarbital, un potentissimo anestetico generalmente usato per sopprimere cavalli o bovini. Ne abbiamo parlato più volte in passato: le scorte del Tiopental sodico (thiopental sodium), il farmaco finora utilizzato per le iniezioni letali, sono terminate e diversi Stati avevano chiesto di poter utilizzare il pentobarbital, conosciuto anche come Nembutal. L’Ohio è stato uno dei primi ad ottenere quel permesso dalla Corte dello Stato e ieri mattina, nel carcere di Lucasville, il Nembutal è stato utilizzato per l’iniezione letale del 37enne Johnnie Baston, dichiarato morto alle 10.30, ora locale. Stati Uniti: Wikileaks; Manning umiliato in carcere “dormo nudo in isolamento” Ansa, 11 marzo 2011 Deve dormire nudo, è controllato a vista 24 ore su 24 e vive dal luglio scorso in isolamento nel penitenziario americano di Quantico: è la denuncia di Bradley Manning, il soldato americano accusato di essere la “talpa” di Wikileaks. In un testo di undici pagine, Manning ha spiegato che i funzionari del carcere militare hanno abusato del loro potere discrezionale nel classificarlo come un detenuto a rischio di autolesionismo, motivo per il quale si trova tuttora in stato di “massima custodia”. La sua scheda carceraria, ha raccontato, dimostra che è un prigioniero modello e gli psichiatri del penitenziario avrebbero ripetutamente raccomandato di rimuoverlo dall’isolamento. “Nella situazione di restrizione in cui mi trovo, oltre a essere spogliato di notte, sono essenzialmente in un confino solitario”, si legge nel testo, “per 23 ore al giorno, sono solo nella mia cella, le guardie mi controllano ogni cinque minuti chiedendomi se vada tutto bene e devo sempre rispondere in modo affermativo”. “Di notte, invece, se le guardie non riescono a vedermi, poiché ho la coperta sulla testa o sono rannicchiato verso il muro, mi fanno alzare per essere certi che io stia bene”, ha raccontato ancora il soldato. Manning, sospettato di aver passato al sito di Julian Assange centinaia di migliaia di cablogrammi riservati della diplomazia americana, ha spiegato che in cella con sè può avere soltanto un libro o una rivista che deve restituire alla fine della giornata. Inoltre, non gli è consentito fare esercizi fisici: “Se ci provo, vengo fermato dalle guardie, solo per un’ora al giorno posso uscire dalla cella e allenarmi, ma ciò consiste solo in una passeggiata in una stanza vuota”. Libia: liberati 3 militari olandesi che erano detenuti a Sirte dal 27 febbraio Aki, 11 marzo 2011 I tre militari olandesi detenuti in Libia dal 27 febbraio sono stati liberati e hanno lasciato Tripoli a bordo di un elicottero militare greco diretto ad Atene. Lo ha annunciato Otte Beeksma, portavoce del ministero della Difesa olandese. I tre soldati, tra cui una donna, erano stati catturati mentre erano impegnati nell’evacuazione di due civili a Sirte senza l’autorizzazione delle autorità locali.