Giustizia: beata amnistia… di Valentina Ascione Gli Altri, 9 maggio 2011 Che avrebbe radunato milioni di fedeli e che sarebbe stato un flop. Che si è atteso troppo e troppo poco. Che fosse già santo da vivo e che durante il suo mandato abbia incontrato dittatori tra i peggiori. Che abbia taciuto sulla pedofilia nella Chiesa, negato l’efficacia del preservativo nella lotta all’Aids e contribuito in maniera determinante alla caduta del comunismo, ma anche con un miracolo - all’uccisione di Osama Bin Laden (sic!). Insomma su Giovanni Paolo II e sulla sua beatificazione è stato detto e scritto un po’ di tutto. Fiumi d’inchiostro a tracciarne il profilo e svelarne i retroscena più scomodi. Ore e ore di immagini trasmesse dalle televisioni di tutto il mondo. Immagini della solenne cerimonia di Piazza San Pietro e dei 27 anni del pontificato dei papa polacco. Quel che però è sfuggito, nella rincorsa alla rievocazione migliore e nella contesa tra fan e detrattori, è il ricordo dell’accorato appello che Karol Wojtyla fece nel 2002, davanti al Parlamento italiano riunito in seduta comune, per un gesto di clemenza a favore dei detenuti delle nostre carceri, già all’epoca sottoposti a condizioni di vita durissime. Un’amnistia, per restituire alla pena il fine rieducativo e al prigioniero i diritti - oltre alle sembianze - di un uomo. “Astenersi da azioni promozionali nei confronti del detenuto significherebbe ridurre la misura detentiva a mera ritorsione sociale, rendendola soltanto odiosa”, dichiarò Giovanni Paolo II, mentre deputati e senatori si spellavano le mani, lasciandosi andare a un lungo e sonoro applauso. Appena quattro anni dopo molti tra quegli stessi parlamentari avrebbero gridato allo scandalo per l’indulto varato dal Governo Prodi. Additandolo come causa di inevitabili impennate di criminalità, utilizzandolo come spauracchio in campagna elettorale e infine come pretesto per promuovere politiche securitarie. Ma la sola cosa che si può imputare a un provvedimento che ha prodotto risultati preziosissimi per la tenuta del sistema penitenziario, è che i suoi effetti siano durati troppo poco. Soffocati ben presto dall’eccesso di penalizzazione e dai nuovi reati che, mese dopo mese, fanno lievitare il tasso di crescita della popolazione carceraria. Mentre le galere cadono a pezzi. Quell’invito a non aver paura è dunque caduto nel vuoto, inascoltato negli anni da una classe dirigente sorda e cieca di fronte all’evidenza che un’amnistia sia la sola soluzione possibile. E che sul carcere Wojtyla avesse ragione da vendere, sebbene nel giorno della sua beatificazione nessuno abbia voluto ricordarlo. Nessuno ad eccezione dei Radicali, che in genere i preti sono accusati di “mangiarli”. Giustizia: in materia di carceri è ora d’invertire la rotta di Antonio Cappelli Terra, 9 maggio 2011 Nonostante i proclami e le buone intenzioni, il carcere è in Italia sempre un luogo di pena, raramente uno strumento di redenzione e di recupero , spesso invece un meccanismo di incentivazione e moltiplicazione della devianza sociale. Per rendersi conto di questo stato di fatto basta porre mente ad alcune caratteristiche criminogene che si riscontrano purtroppo presenti in larga parte dell’organizzazione carceraria italiana. Tra le principali di queste caratteristiche è utile ricordare il disconforto ambientale determinato dal sovraffollamento, la scarsità dei mezzi e degli strumenti necessari per garantire fondamentali attività di recupero attraverso la formazione e il lavoro, le carenze talora gravi dell’assistenza sanitaria, l’arbitrarietà che spesso connota le regole e i provvedimenti disciplinari interni, le difficoltà e le lungaggini burocratiche che ostacolano l’adozione di misure alternative, le pratica inesistenza di forme adeguate di tutela giudiziaria per i non abbienti, la mancanza infine di validi percorsi di sostegno e di inclusione sociale dopo la detenzione. Si tratta di aspetti della nostra organizzazione penitenziaria che inducono nei detenuti sentimenti di frustrazione e di rabbia e che determinano quindi forme di ulteriore esclusione sociale e conseguenti comportamenti devianti o addirittura delinquenziali. Il prodotto finale di un periodo di detenzione non è dunque troppo spesso, come vorrebbero le buone regole, un individuo da restituire al contesto della società civile, bensì un soggetto che ha maturato nel carcere ulteriori sentimenti di disistima nei confronti delle istituzioni, di disprezzo delle leggi e di rivolta verso l’intera comunità. Se è questa la situazione, non ci si può meravigliare davanti alle recidive e all’incremento degli atti di reato. Bisogna invece domandarsi se è proprio vero che sono i detenuti ad essere costituzionalmente irrecuperabili o se non è piuttosto il carcere a rendere irrecuperabili i detenuti. Queste considerazioni elementari non sembrano avvertite dai grandi mezzi di comunicazione di massa e dall’opinione pubblica comune, sensibilissime invece alle ricorrenti suggestioni della “tolleranza zero”. I benpensanti che hanno così a cuore la sicurezza per le strade, dovrebbero invece una volta tanto davvero ben pensare: moltiplicare le fattispecie di reato, come fanno i nostri legislatori, significa riempire le carceri; conservare le caratteristiche criminogene delle carceri significa produrre delinquenti. Un meccanismo infernale che è proprio il contrario della sicurezza. Forse sarebbe il caso di invertire finalmente la rotta. Giustizia: detenute madri, niente carcere con figli di età fino a 6 anni di Manuela Rinaldi www.altalex.com, 9 maggio 2011 Le donne condannate a pene detentive con figli minori non saranno più detenute in carcere fin quando il bambino non avrà compiuto il sesto anno di età (nel regime vigente il limite è di 3 anni di età), se non nella ipotesi in cui vi siano “esigenze di eccezionale rilevanza” (in tal caso la detenzione sarà disposta presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri - c.d. Icam). Così dispone la Legge 21 aprile 2011, n. 62 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 5 maggio 2011, n. 103) recante “Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”. Le norme previste saranno applicabili anche ai padri, nel caso in cui la madre sia deceduta oppure assolutamente impossibilitata all’assistenza dei figli. Le nuove regole scatteranno a partire dal primo gennaio 2014. Nuove regole sono previste anche per quanto concerne il diritto di visita al minore infermo, anche non convivente da parte della madre detenuta o del padre. Nella ipotesi di imminente pericolo di vita o anche nel caso di gravi condizioni di salute, il magistrato di sorveglianza potrà concedere il permesso con provvedimento urgente alla detenuta o imputata (o al padre) per far visita al figlio malato, con modalità che devono tener conto (nel caso ad esempio di ricovero ospedaliero) della durata del ricovero e anche del decorso della patologia. Nelle ipotesi assolutamente urgenti il permesso viene concesso dal direttore dell’istituto. Viene, altresì, previsto il diritto della detenuta o imputata (o del padre) di essere autorizzata dal giudice all’assistenza del figlio minore durante visite specialistiche, con un provvedimento che dovrà essere rilasciato non oltre le 24 ore precedenti la data della visita. Altra novità concerne gli arresti domiciliari delle condannate incinte (o madri di figli con età inferiore a 10 anni), in quanto con la normativa prevista dal disegno di legge in commento si prevede che le condanne, in tal caso, possano essere espiate fino a 4 anni presso una casa famiglia protetta. Il Ministero della Giustizia dovrà definire, con apposito decreto, le caratteristiche tipologiche delle strutture. Nel caso in cui non vi sia concreto pericolo di fuga o, comunque, di commissione di altri delitti, e vi sia, inoltre, la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, le detenute potranno espiare la pena nella propria abitazione o, in ogni caso, in altro luogo privato o luogo di cura dopo aver scontato almeno un terzo della pena o almeno 15 anni nel caso di condanna all’ergastolo. Giustizia: oggi al Quirinale celebrazione del “giorno per le vittime del terrorismo” Adnkronos, 9 maggio 2011 “No alla violenza e alla rottura della legalità in qualsiasi forma: è un imperativo da non trascurare in nessun momento, in funzione della lotta che oggi si combatte, anche con importanti successi, soprattutto contro la criminalità organizzata, ma più in generale in funzione di uno sviluppo economico, politico e civile degno delle tradizioni democratiche e del ruolo dell’Italia”. Lo ha scritto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel testo “Il nostro omaggio” che apre il libro “Nel loro segno” edito dal Csm in memoria dei magistrati uccisi dal terrorismo e dalle mafie e che verrà presentato dal presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, nel corso della celebrazione del 9 maggio al Quirinale. La cerimonia di quest’anno è dedicata in particolare ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane: tra loro i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche. La cerimonia, condotta da Eugenio Occorsio, figlio del magistrato Vittorio ucciso nel 1976, è stata caratterizzata dalle testimonianze di familiari di vittime appartenenti alla Polizia di Stato, all’Arma dei Carabinieri, e alla Polizia penitenziaria, di Francesca Marangoni, figlia di Luigi, direttore sanitario del Policlinico di Milano ucciso nel 1981, e di alcuni studenti della Scuola Vantini di Rezzato (Brescia) che hanno partecipato al progetto “Il cammino della memoria”. Nel corso della celebrazione è stato presentato dal direttore generale per gli Archivi del ministero per i Beni e le Attività culturali, Luciano Scala, il Portale della “Rete degli Archivi per non dimenticare” teso a rendere fruibili le varie fonti documentarie relative alle stragi di mafia e di terrorismo che si sono succedute dal dopoguerra ad oggi. Precedentemente nel salone delle Feste saranno consegnate dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, e dal segretario generale della Presidenza della Repubblica, Donato Marra, le onorificenze di “vittima del terrorismo” conferite con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del ministro dell’Interno in base alla legge n. 222/2007. Palermo: al via progetto di formazione per 30 detenuti del carcere di Pagliarelli Adnkronos, 9 maggio 2011 Creare il primo laboratorio permanente per la produzione di pasta all’interno di un carcere in Italia. È uno degli obiettivi del progetto Buoni Dentro, realizzato da Infaop (Istituto nazionale per la formazione, l’addestramento e l’orientamento professionale) e presentato oggi a Palermo nel corso di un convegno presso il teatro dell’istituto penitenziario Pagliarelli, al quale hanno preso parte anche i detenuti che partecipano al progetto. Buoni Dentro nasce con lo scopo di dare una nuova immagine della struttura carceraria e dei detenuti attraverso un programma di formazione della durata di 24 mesi per riqualificare professionalmente 30 fra detenuti e detenute del carcere palermitano e ampliare le loro possibilità di accesso al mondo del lavoro, attraverso due corsi paralleli di formazione professionale: mastro pastaio per gli uomini e operatrice socio assistenziale per le donne. Partner di Buoni Dentro sono il Pastificio Giglio per la formazione degli uomini, e la Cooperativa Sociale Isola, per quella delle donne. Il coinvolgimento di queste due aziende mira a stabilire una collaborazione professionale futura tanto con l’istituto carcerario, quanto con i detenuti che aderiscono al progetto. Partner di supporto è la Cooperativa Leonardo da Vinci. Realizzato nell’ambito del Programma operativo obiettivo convergenza 2007-2013, Fondo sociale Europeo, Regione siciliana, il progetto Buoni Dentro è promosso da Infaop e coordinato da Mediali. Lo studio di consulenza aziendale Proteos ha condotto la ricerca che ha preceduto l’avvio della fase di formazione. “Il progetto Buoni Dentro rientra nell’ambito di un programma generale, che coinvolge ben 539 unità, mirato a tenere impegnati i detenuti in attività professionali, scolastiche, corsuali e lavorative interne - ha detto Francesca Vazzana, direttrice dell’istituto penitenziario Pagliarelli. Grazie a questi progetti è possibile creare un clima più disteso e sereno che contribuisce a ridurre il rischio di atti di violenza o peggio ancora di autolesionismo che, purtroppo, tendono per forza di cose a verificarsi con frequenza all’interno del penitenziario”. “Buoni Dentro può e deve diventare un marchio, una realtà produttiva nel settore della pasta fresca, grazie alla realizzazione di un laboratorio permanente qui all’interno dell’istituto penitenziario Pagliarelli” ha detto Gabriele Albergoni, direttore di Infaop, ente capofila del progetto, lanciando anche un appello a ristoratori, commercianti, mense e supermercati affinché “credano in questa importante iniziativa e si interessino a un prodotto di qualità a costi contenuti e con notevoli vantaggi fiscali e incentivi economici: le carceri sono infatti delle zone franche dove le imprese possono ridurre i costi di gestione di oltre il 50%”. Albergoni ha inoltre lanciato un invito a Maurizio Zamparini, presidente del Palermo Calcio, a intervenire al prossimo convegno, quando il rinfresco sarà offerto direttamente dai detenuti di Buoni Dentro. Presenti al convegno anche i 30 detenuti coinvolti nel progetto, che attraverso due lettere hanno espresso la loro gratitudine a tutto lo staff di Buoni Dentro, ringraziando “tutti per aver compreso e condiviso il dolore e l’immensa solitudine che quotidianamente sopportiamo e per averci aiutato a comprendere che non siamo soli”. Bologna: venti detenuti pagati per la raccolta differenziata dei rifiuti in carcere Dire, 9 maggio 2011 Anche i detenuti della Dozza faranno la raccolta differenziata. Il Comune di Bologna ha approvato un protocollo d’intesa con Hera e la Casa circondariale appunto per promuovere una migliore gestione dei rifiuti all’interno del carcere. Hera fornirà 35 cassonetti di varie dimensioni per la raccolta di carta, plastica e organico da dislocare nelle varie aree del carcere, oltre a 14 bidoncini per le pile. Il Comune invece metterà a disposizione cinque borse lavoro per il personale addetto alla raccolta differenziata selezionato tra i detenuti. È prevista una media di due ore di lavoro al giorno per sei giorni alla settimana. Il sussidio sarà erogato ai detenuti tramite l’Asp Poveri vergognosi. La Dozza, si legge nella delibera approvata dal commissario Anna Maria Cancellieri, lo scorso anno scolastico organizzò all’interno del carcere un seminario di educazione ambientale, in collaborazione con Hera e con l’istituto Keynes di Castel Maggiore, che ha coinvolto alcune decine di detenuti. Questa volta si è deciso di andare oltre. Hera si occuperà di formare i detenuti che si occuperanno della raccolta differenziata (ne servono 20, selezionati dalla direzione del carcere in base alle pene) sulla corretta gestione e separazione dei rifiuti. I cassonetti (azzurro per la carta e giallo per la plastica) saranno forniti in comodato d’uso e saranno svuotati ogni settimana (ogni sette i bidoni delle pile). La sperimentazione durerà 12 mesi, al termine dei quali il protocollo potrà essere rinnovato solo a due condizioni: che la raccolta differenziata sia almeno al 50% e che la presenza oltre il 10% di materiali non conformi si verifichi al massimo una volta per ogni raccolta. Il carcere si impegna a coinvolgere nelle attività anche il proprio personale. Firenze: mostra artigianato; ottima riuscita stand con prodotti dalle carceri regionali Adnkronos, 9 maggio 2011 È molto positivo il bilancio delle vendite e delle visite allo stand dei prodotti delle carceri toscane allestito alla 75/esima Mostra dell’artigianato di Firenze, chiusasi ieri. Lo stand, allestito come ogni anno in collaborazione con l’associazione Diritti e Società Onlus e con il contributo organizzativo del gruppo consiliare della Federazione della Sinistra - Verdi e dell’assessorato regionale al welfare, è stato visitato - si legge in un comunicato - da moltissime persone e i prodotti, arrivati dalle carceri di Livorno, Volterra e dall’istituto minorile di Firenze, hanno ricevuto largo apprezzamento. “Siamo davvero soddisfatti della riuscita dell’iniziativa - dichiara Monica Sgherri, capogruppo della Federazione della Sinistra - Verdi in Consiglio regionale della Toscana - Ringraziamo i responsabili delle carceri che hanno partecipato all’iniziativa, i volontari che si sono alternati allo stand consentendone l’apertura per tutta la durata della mostra, gli organi di stampa che ci hanno seguito e supportato”. “Contando sulla disponibilità degli istituti di pena - continua Sgherri - fin da ora lavoriamo per far diventare la presenza alla mostra un appuntamento fisso. Un altro progetto che ci piacerebbe realizzare, in tempi rapidi, è il portale web per pubblicizzare i prodotti fatti dai detenuti: il patchwork di Volterra, la pelletteria dei ragazzi del minorile di Firenze, le t-shirt col marchio Gattabuia di Livorno, e tutti gli altri manufatti che aspettiamo il prossimo anno”. Verona: “Bimbi dentro”; per la festa della mamma iniziativa nella Casa circondariale di Montorio di Giulia Cerino La Repubblica, 9 maggio 2011 La Casa circondariale di Montorio ha aperto eccezionalmente le porte ai figli delle detenute. Un modo per tentare di trovare una soluzione di compromesso a uno dei problemi più gravi delle sovraffollate prigioni italiane. Cui una legge approvata di recente non ha di fatto dato risposta. Al “mai più bambini in carcere” lanciato due anni fa dal Ministro della Giustizia Angelino Alfano risponde la Casa circondariale di Montorio: “Bimbi dentro”. I bambini delle detenute d’Italia che entrano in carcere, almeno per un giorno, per stare con le madri. Ieri, alla vigilia della festa della mamma, il penitenziario veronese ha aperto le porte ai figli delle carcerate, eccezionalmente autorizzati a varcare quella soglia. Momento atteso dalle donne più che dai piccoli, la cosiddetta “pizzata” pasto condiviso all’aria aperta, in spazi dell’Istituto appositamente allestiti per l’occasione. Con accompagnamento di un set musicale a cura delle detenute del corso di chitarra. “Bimbi dentro”, evento promosso dal direttore dell’istituto penitenziario Antonio Fullone, segue l’approvazione, a fine marzo, della legge “a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori” 1, varato con 178 sì, nessun no e 93 astenuti. La nuova norma porta da tre a sei anni l’età del figlio che può stare con la mamma e viene incontro ai disagi dei piccoli che dopo i tre anni venivano allontanati. Cambiano anche le regole che disciplinano il diritto di visita al minore infermo da parte della madre in stato di detenzione. Il magistrato di sorveglianza, in caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del minore, può concedere alla detenuta, con provvedimento urgente, il permesso di visitare il figlio malato. Ed ecco la novità più significativa: il provvedimento permette alle donne condannate o in attesa di giudizio di non varcare più la soglia della cella fino al sesto anno di vita dei figli “a meno - si legge - di particolari esigenze cautelari di ‘eccezionale rilevanzà”. Le disposizioni si applicheranno “a decorrere dal 1 gennaio 2014” (“fatta salva la possibilità di utilizzare i posti già disponibili a legislazione vigente presso gli istituti a custodia attenuata”). Ma è proprio per quel passo in cui si parla di “eccezionale rilevanza” che si è scatenata la polemica. Al 31 dicembre 2010, secondo i dati forniti dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), le donne detenute con prole nelle carceri italiane erano 54, 42 i bambini fino a tre anni, quattro le donne in gravidanza. Alla stessa data però risultavano funzionanti 13 asili nido, su un totale di 25. Ed ecco il punto. A sollevarlo per prima è stata Rita Bernardini, deputata radicale eletta con il Pd, spiegando che “la legge non risolve il problema di quelle detenute madri, magari nomadi e recidive, in carcere in attesa di processo, o perché condannate in via definitiva. I loro bambini continueranno a rimanere chiusi negli istituti di pena, perché rispetto a questa tipologia di detenute esisterà sempre l’esigenza cautelare di eccezionale rilevanza o il pericolo di reiterazione di ulteriori delitti o quello di fuga, che non consentirà loro di scontare la custodia cautelare o la reclusione presso un istituto a custodia attenuata o presso una casa famiglia”. La legge non è piaciuta nemmeno alle associazioni. Quella approvata, spiega Federica Giannotta, responsabile diritti dei bambini di Terre des Hommes, “non garantisce alla mamma di poter stare accanto al figlio piccolo minore di tre anni se ospedalizzato, né di poterlo andare a trovare fuori dal carcere, nel caso in cui sia a rischio la sua salute, in modo da assicurare la sua vicinanza per tutto il tempo in cui il figlio ne ha bisogno, come invece richiede la Convenzione Onu sui diritti dell’Infanzia, ai quali l’Italia è vincolata”. L’accusa è di aver approvato “l’ennesima legge inutile sulla detenzione delle madri, che continuerà a non tirare fuori i bambini di età inferiore ai tre anni dal carcere”. C’è chi dice che nell’elaborazione del testo sono prevalse solo le ragioni e i timori legati alla sicurezza, dato che in Italia le carceri sono sovraffollate e malmesse, e c’è chi dice che in fondo rispetto al ben più rilevante diritto di protezione dei bambini, non si sia poi fatto granché. “Bimbi dentro” ha colto la palla al balzo. E ha tentato di trovare un compromesso. “La risorsa più efficace - spiega Margherita Forestan, Garante dei diritti delle persone detenute del Comune di Verona - per le persone detenute è poter mantenere e recuperare gli affetti”. L’istituto penitenziario veronese dispone di celle di poco meno di 10 metri quadrati che ospitano anche tre detenuti alla volta. Si contano 400 posti disponibili ma i carcerati sono circa 900, di cui 52 donne. “Bimbi dentro” ci ha provato lo stesso. Ha tentato l’esperimento degli esperimenti. Per capire se davvero è possibile trovare un compromesso tra il modello “degli affetti” che vorrebbero la mamma vicina al figlio, dentro e fuori gli istituti penitenziari, e il problema irrisolto ma risolvibile delle carceri d’Italia. Stipate, prive di asili nido. Insomma non adatte a far crescere un bambino. Bari: progetto per un nuovo carcere, il Comune accelera Il Levante, 9 maggio 2011 Calendarizzare subito la questione, pena la perdita dei fondi ministeriali. Il sindaco Michele Emiliano ha preso carta e penna per sollecitare la conferenza dei capigruppo a fissare una data per la discussione in Consiglio del nuovo carcere di Bari. Il 18 aprile scorso Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e commissario delegato per l’emergenza carceri (ogni istituto ha almeno un saldo attivo di 700 persone al mese) il 18 aprile scorso ha sollecitato il Comune, in via ultimativa, ad esprimersi sulla localizzazione della nuovo penitenziario. Per Bari ci sono in ballo 40,5 milioni di euro per realizzare una struttura moderna e da 450 posti. Sulla carta i lavori dovrebbero concludersi nel dicembre 2012. La zona individuata è nei pressi dello stadio San Nicola, lungo l’asse Nord-Sud sul lato ovest in direzione Carbonara-Santa Rita, in sostanza dove l’impresa Pizzarotti dovrebbe realizzare la Cittadella della Giustizia contenziosi permettendo. “La sede è ideale - spiega l’assessore all’Urbanistica Elio Sannicandro - perché è ben servita per la viabilità. Inoltre, ed è una delle condizioni poste dal Ministero, si trova in una zona non abitata e fuori del centro città”. Ma che fine farà l’attuale penitenziario di corso Alcide De Gasperi costruito ne lontano 1926? “Il Ministero non ci ha ancora risposto - risponde l’assessore - sulla possibilità di accorparlo al nuovo. Sarebbe troppo dispendioso sostenere le spese per due distinti istituti di detenzione”. Ma per realizzarne uno che vada oltre i 450 posti, servirebbero almeno 80 milioni, cioè il doppio rispetto ai 40 stanziati da Roma nell’ambito del Piano Carceri. E allora la strada per reperire più fondi sarebbe quella di un accordo di programma con la messa a valore dell’area del carcere vecchio. Ad esempio se in Consiglio comunale tramite una variante urbanistica si rendesse edificabile quel suolo si potrebbero ottenere risorse aggiuntive anche per la riqualificazione del quartiere Carrassi. I dati sulla situazione dei penitenziari pugliesi non sono incoraggianti. Secondo l’Osapp, su una capienza di 2.550 posti nelle carceri regionali, sono 4.550 i detenuti rinchiusi. Il sindacato della polizia penitenziaria nelle scorse settimane ha protestato chiedendo non solo il rafforzamento dell’organico ma anche nuove strutture. Circa un mese fa 150 detenuti sono stati trasferiti dal capoluogo a Trani per lavori di ristrutturazione di un’ala del carcere barese. Catania: evaso due mesi fa da Augusta, arrestato perché agente lo riconosce in strada Ansa, 9 maggio 2011 È stata interrotta ieri pomeriggio a Catania, dopo poco più di due mesi, la latitanza di Walter Pitzanti, 40 anni, che era evaso dal carcere di Brucoli. L’arresto è stato effettuato dagli stessi agenti della polizia penitenziaria di Augusta e ne dà notizia la segreteria provinciale di Siracusa del sindacato Ugl. Pitzanti, di origine sarda, intorno alle 16 di ieri è stato notato, mentre stava passeggiando a Catania lungo la centralissima via Etnea, da un assistente capo della polizia penitenziaria, libero dal servizio. È stata subito messa in atto un’operazione, con il contributo di altre forze di polizia presenti nella zona, culminata con l’arresto del ricercato. Nel corso della stessa operazione è stata anche identificata una donna che si trovava assieme all’evaso. Pitzanti si era allontanato dal penitenziario di Augusta lo scorso 4 marzo profittando del lavoro di giardiniere che svolgeva all’esterno delle mura di cinta del carcere megarese. Pavia: reinserire i detenuti… domani un convegno sul carcere La Provincia Pavese, 9 maggio 2011 “Il territorio con le sue case circondariali. Recupero e reinserimento della persona con limitazione della libertà: un obiettivo comune da costruire e raggiungere assieme”. È il tema del convegno organizzato dalla direzione sociale dell’Asl. Si tiene martedì 10 dalle 9 alle 14 nel Salone III Millennio, in via Lomonaco. Scopo dell’iniziativa è mettere a confronto tutte le realtà del territorio interessate per verificare la possibilità di costruire un sistema stabile di offerta e una rete di servizi per il reinserimento e la riabilitazione. Parteciperanno tra gli altri i direttori delle tre Case Circondariali della provincia. Milano: stasera il musical dei detenuti di Opera al Teatro degli Arcimboldi Ansa, 9 maggio 2011 Il musical dei detenuti di Opera davanti al grande pubblico del Teatro degli Arcimboldi. Alla fine ci sono riusciti. Comune di Milano, Regione Lombardia, Provveditorato regionale per l’Amministrazione dei penitenziari, la cooperativa Exit e il Tribunale di sorveglianza di Milano hanno raggiunto l’obiettivo di portare fuori dal carcere di Opera il musical “La Luna sulla Capitale”, per una serata speciale al Teatro degli Arcimboldi. Uno spettacolo unico: il 9 maggio sul palcoscenico di via dell’Innovazione saliranno come interpreti una ventina detenuti, per lo più provenienti dal circuito di alta sicurezza, dove stanno scontando condanne all’ergastolo per reati legati alla criminalità organizzata. L’incasso della serata sarà devoluto in parte all’Associazione “Hope of Children” e in parte servirà a finanziare nuovamente il laboratorio musicale dei detenuti. È proprio dal sostegno a questo laboratorio, curato dalla cooperativa Exit, che è nata l’idea di portare lo spettacolo anche fuori dalle mura del carcere. Dopo la rappresentazione del 5 febbraio scorso nel carcere di Opera, le istituzioni si sono messe al lavoro per far conoscere a un pubblico più ampio lo sforzo e l’impegno di questa cooperativa e di questi attori speciali. Quello del 5 febbraio non è stato il primo spettacolo, aperto al pubblico, che si è svolto al carcere di Opera. Già nel 2010 i detenuti avevano portato in scena il musical “I 10 mondi”, che ha riscosso molto successo e ha raccolto offerte destinate alla ricostruzione del campetto di calcio della scuola elementare di San Demetrio in provincia dell’Aquila, distrutto dal terremoto. Il musical “La luna sulla capitale” è curato da Isabella Biffi. Narra la storia di un ragazzo di 14 anni che sogna la mamma defunta. Nel sogno la madre lo incoraggia ad andare in città, a diventare un uomo di valore, unico modo per essere davvero di aiuto alla sua famiglia. Quella d’origine è una povera famiglia di spazzacamini che all’inizio cerca di trattenerlo, ma poi decide di lasciarlo libero permettendogli di iniziare un’avventura che procura sacrifici e difficoltà prima di assaporare il traguardo. Può essere interpretato come il viaggio-metafora degli stessi detenuti, per ora attori preparati anche se non professionali. Libri: “Il Giudice della Pena”, di Angelica Di Giovanni Il Velino, 9 maggio 2011 “In verità, la confusione totale che accompagna l’esecuzione penale in questo momento, risolvendosi in una incertezza del diritto della pena, costituisce forse la causa principale della crisi che il nostro intero sistema giuridico sta attraversando”. È uno dei tratti salienti del libro “Il giudice della pena”, scritto da Angelica Di Giovanni. Un saggio giuridico di 128 pagine che sarà al centro di un articolato dibattito mercoledì 11 maggio alle ore 18,00 alla libreria Guida di Corso Giuseppe Garibaldi. Il caos generato dall’esecuzione della pena pone all’autrice una serie di quesiti e riflessioni che, attraverso un percorso storico, focalizzano l’attenzione sugli sviluppi realizzati in ambito giuridico e offre interessanti spunti di analisi e nuove proposte. Dinanzi alla diffusa percezione dell’aleatorietà delle pene giuridiche, si avverte con maggiore urgenza la necessità di una riforma del sistema giurisdizionale italiano. Non solo gli addetti ai lavori, ma anche la società civile, sentono il bisogno di una ridefinizione che garantisca, in primis, la certezza dell’esecuzione della pena. Tale processo consente di stabilire la centralità del ruolo della Legge e, soprattutto, di favorire lo sviluppo sociale. Il volume scritto dal giudice Angelica Di Giovanni vuole essere una proposta alternativa alla cultura del Pm, rilanciando la figura del “Giudice della pena”. Con l’autrice discuteranno il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Salerno Lucio Di Pietro e l’avvocato Andrea R. Castaldo, Ordinario di Diritto penale presso l’Università di Salerno. Angelica Di Giovanni entra in Magistratura nel 1977. Dall’anno seguente esercita le funzioni di Pretore civile e nel settembre 1980 assume il ruolo di Magistrato di Sorveglianza di Napoli. Presiede, come reggente, il Tribunale di Sorveglianza di Napoli dal 1998 e, quale Presidente, dal 2001. Diventa, così, la prima donna in Magistratura ad esercitare funzioni direttive di Cassazione. Partecipa come relatore ad oltre centoventi convegni giuridici, tra cui spiccano gli incontri di studio organizzati dal Consiglio Superiore della Magistratura. Dal 1998 al 2002 è componente della Commissione Mista del Csm sulle problematiche della Magistratura di Sorveglianza. Presiede il “Centro Studi Penali di Napoli” dal 1997. Immigrazione: già oltre 300 firme per chiudere il Cie di S. Maria Capua Vetere Redattore Sociale, 9 maggio 2011 La petizione lanciata da Maurizio Braucci, Goffredo Fofi, Alessandro Leogrande e Roberto Saviano raccoglie le adesioni di intellettuali e personaggi pubblici. “Situazione oltre ogni tollerabilità”. Una petizione per chiudere il Cie di S. Maria Capua Vetere dove sono recluse 102 persone di nazionalità tunisina. A proporla sono Maurizio Braucci, Goffredo Fofi, Alessandro Leogrande e Roberto Saviano. “Lunedì 2 maggio - si legge nella petizione - , al seguito dei senatori Annamaria Carloni (Pd) e Mario Perduca (Radicali), siamo entrati nel Centro di identificazione ed espulsione di S. Maria Capua Vetere. Già con una posizione fortemente critica verso il ricorso a luoghi del genere per gestire un’emergenza umanitaria, abbiamo constatato insieme agli altri visitatori che nel Cie in questione la situazione è oltre ogni tollerabilità in termini di diritti umani e di condizioni igienico sanitarie. Così, in collaborazione con la Rete Antirazzista Campana e il Centro Sociale Ex Canapificio di Caserta, abbiamo scritto una petizione al ministero dell’Interno per la chiusura del Cie di S. Maria Capua Vetere e per un trattamento democratico delle persone lì segregate. La petizione è sottoscrivibile al sito http://www.firmiamo.it/liberimigranti. La petizione chiede l’immediata chiusura del Centro al fine di riservare un trattamento democratico delle persone lì senza motivo detenute e cessare l’umiliante situazione che, lungi dall’affrontare l’emergenza attuale, sta soltanto creando un assurdo meccanismo di uomini trasformati in bestie e in aguzzini; la valutazione equa, condotta caso per caso da parte degli organi incaricati, del riconoscimento di protezione umanitaria per le 102 persone recluse con un’illecita procedura che viola l’articolo 13 della Costituzione”. Si chiede inoltre “che la stessa disposizione di chiusura venga estesa agli altri Centri di identificazione ed espulsione in cui i profughi della recente emergenza del Nord Africa sono reclusi senza le necessarie condizioni igieniche e sanitarie e senza il rispetto delle procedure previste dalla legge”. Finora, in tre giorni, hanno aderito 321 persone tra artisti, intellettuali e personaggi pubblici tra cui Fabrizio Gifuni, Nicola La Gioia, Toni Servillo, Gianni Berengo Gardin, Paolo Mereghetti, Valeria Parrella, Giacomo Panizza, Marco Martinelli, Helena Janeczek, Roberto Koch, Roberta Carlotto, Vittorio Giacopini, Edoardo Brugnatelli, Carlo De Maria, Rodolfo Sacchettini, Fausta Orecchio, Stefano Liberti, Enzo Ferrara, Stefano Trasatti, Roberta Mazzanti, Costantino Cossu, Silvia Dai Prà, Maria Salvati, Adriano Prosperi, Gianni Volpi, Luca Rastello, Giovanni Maria Bellu, Maria Nadotti. Intanto mercoledì 11 maggio la Commissione per i diritti umani del Senato sarà al Ciedi Santa Maria Capua Vetere.