Giustizia: meno fondi disponibili per il lavoro in carcere, diminuiscono i detenuti occupati Adnkronos, 8 maggio 2011 Aumenta il numero dei detenuti ma diminuisce quello di coloro che lavorano. La causa, il budget insufficiente sia per le retribuzioni che per coprire i benefici fiscali previsti dalla cosiddetta legge Smuraglia. A sottolinearlo è la relazione sull’attuazione delle norme relative al lavoro dei detenuti, relativa al 2010, trasmessa al Parlamento dal ministero della Giustizia. Al dicembre 2010 i detenuti lavoranti arano 14.171, pari al 20,85% dei presenti (67.961), rispetto ai 14.271 dell’anno precedente, pari al 22,03 dei presenti (64.791). “A fronte di un consistente aumento della popolazione detenuta - nota il documento di via Arenula - non è stato possibile, da parte dell’amministrazione penitenziaria, rispondere con un uguale aumento dei detenuti lavoranti. (segue) l budget largamente insufficiente assegnato” per la loro remunerazione “ha condizionato in modo particolare le attività lavorative necessarie per la gestione quotidiana dell’istituto penitenziario (servizi di pulizia, cucina, manutenzione ordinaria del fabbricato ecc.) incidendo negativamente sulla qualità della vita all’interno dei penitenziari”. Nel 2010 il budget è stato di 54 milioni, 215 mila 128 euro, del 12,49% superiore rispetto a quello del 2009, ma tolti gli oneri per Inail, Inps e Agenzia delle Entrate, la disponibilità economica per le retribuzioni è scesa a 49 milioni, 965 mila 319 euro. E per il 2011 il budget complessivo diminuirà, scendendo a 49 milioni, 664 mila, 207 euro. Anche il numero dei detenuti lavoranti addetti ai servizi di istituto -nota ancora la relazione ministeriale- è diminuito, passando dagli 11.107 del 2009 ai 10.803 del 2010. Si è invece riusciti ad aumentare il numero degli addetti alle lavorazioni industriali, da 582 a 609, grazie alle numerose commesse concesse per la realizzazione delle suppellettili necessarie all’arredamento delle nuove sezioni detentive di prossima apertura (letti, armadietti, sedie, coperte ecc.). Per quanto riguarda i detenuti lavoranti non alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, la cosiddetta legge Smuraglia, “che definisce le misure di vantaggio per le cooperative sociali e le imprese che vogliano assumere detenuti e che aveva aperto prospettive di sicuro interesse per il lavoro penitenziario, non potrà produrre ulteriori incentivi all’assunzione di soggetti in stato di reclusione, essendo esaurito il budget a disposizione per la copertura dei benefici fiscali”. Il numero di assunti da imprese e cooperative, all’interno degli istituti o ammessi al lavoro esterno e semiliberi è comunque cresciuto, passando da 1.895 del 2009 a 2.061 del 2010. “Particolarmente significative - afferma il ministero della Giustizia - sono le esperienze in atto presso gli istituti di Padova, Milano Bollate, Torino, Monza e Massa dove è forte la presenza di imprenditori che hanno assunto un significativo numero di detenuti per attività lavorative organizzate all’interno degli istituti”. Importante ed efficace in questo contesto, nota la relazione ministeriale, è “la stretta collaborazione” tra l’amministrazione penitenziaria e la Confcooperative Federsolidarietà, e in particolare il Consorzio di cooperative sociali Cgm, con cui è stato siglato un protocollo d’intesa per favorire lo sviluppo di opportunità lavorative per i detenuti. L’amministrazione penitenziaria ha poi posto in essere interventi nel settore delle bonifiche agrarie, per creare nuove e specifiche realtà agricole in istituti con le caratteristiche necessarie per ospitare questo tipo di attività. Si tratta di iniziative che spaziano dall’orticoltura biologica alla frutticoltura in serra, dall’allevamento dei conigli alla floricoltura, all’itticoltura e all’apicoltura. Settore, quest’ultimo, che ha potuto contare sui fondi comunitari per la realizzazione di corsi professionali per circa 200 detenuti. Giustizia: l’Unione delle Camere Penali commenta la nuova legge sulle detenute madri www.camerepenali.it, 8 maggio 2011 Prime riflessioni sul d.d.l. n. 2568 riguardante le modifiche del Codice di Procedura Penale e dell’Ordinamento penitenziario a favore delle detenute madri. Il 30 marzo 2011 il Senato della Repubblica ha approvato in via definitiva il d.d.l. n. 2568 riguardante le modifiche del Codice di Procedura Penale e dell’Ordinamento penitenziario a favore delle detenute madri. L’Unione delle Camere Penali Italiane non può che accogliere con favore tale provvedimento legislativo che elimina dal nostro Ordinamento quelle norme che, in violazione dei principi costituzionali di tutela della maternità e dell’infanzia, fino ad ora hanno impedito alle madri detenute di poter allevare i propri bambini al di fuori del carcere. Tuttavia, ancora una volta, così come per il decreto c.d. “svuota-carceri”, il testo di legge risulta troppo timido e sembra non tener conto del quadro normativo esistente e delle consolidate interpretazioni giurisprudenziali. Nel testo licenziato (art. 1) si prevede, modificando l’art. 275 co. 4° c.p.p., l’innalzamento del limite di età del minore (da 3 a 6 anni) quale circostanza ostativa all’applicazione o al mantenimento della custodia cautelare in carcere della madre (o del padre, alle condizioni ivi previste). Ed invero, il perdurante richiamo ad “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”, non meglio specificate, rischia comunque di consentire l’applicazione della misura, anche nelle ipotesi oggi introdotte, soprattutto nei confronti dei soggetti appartenenti a fasce sociali più deboli, con la paradossale conseguenza di vedere detenuti bambini sino ai sei anni di età. L’art. 285 bis c.p.p. consente al giudice la facoltà (non l’obbligo) di disporre la misura cautelare presso un istituto a custodia attenuata per madri (Icam). Tuttavia oggi è presente ed operativa in Italia una sola struttura, l’Icam di Milano, mentre il d.d.l. approvato rinvia sul punto: “a far data dalla completa attuazione del piano straordinario penitenziario e comunque a decorrere dal I° Gennaio 2014”, salva la possibilità di utilizzare nel frattempo i posti già disponibili presso gli Istituti a custodia attenuata, oggi individuati ma non operativi per carenza di fondi. Inoltre l’ipotesi di cui all’art. 21 ter o.p. nel prevedere le visite al minore infermo in caso di imminente pericolo di vita e di gravi condizioni di salute, sembra limitarsi ai casi già regolati dai permessi ex art. 30, mentre non è stato previsto il caso di assistenza continuativa nell’ipotesi di malattia grave del bambino. L’art. 3 ha modificato il testo della detenzione domiciliare, di cui all’art. 47 ter o.p., prevedendo la possibilità (per le sole madri, giusto il richiamo alla lett. a) e non anche alla lett. b) del co. 1 della norma) di espiare la pena in casa famiglia protetta. Inoltre l’art. 47 quinquies è stato modificato prevedendo la possibilità per le detenute madri di prole non maggiore di anni 10 di scontare almeno un terzo della pena, o 15 anni per condanne all’ergastolo, presso un Icam ovvero, in assenza delle circostanze ivi previste, in altri luoghi privati e/o pubblici. Tale norma pare evidentemente avere una ratio non comprensibile posto che detto limite è comunque inferiore alla pena espianda. A tal proposito occorre rilevare come tale articolo non contempli i padri, con evidente violazione dell’art. 3 della Costituzione. Peraltro sono state escluse dal beneficio le condannate per i delitti di cui all’art. 4 bis o.p., riproponendo ancora una volta lo schema del doppio binario, da sempre avversato dall’Unione delle Camere Penali, poiché contrario all’art. 27 co. 3. Ancor più grave appare tale limite laddove si vorrebbe tutelare il minore e favorire il rapporto madri e figli, cosa che dovrebbe avvenire a prescindere dal titolo di reato. Ed ancora, a fronte di una costante interpretazione restrittiva per quanto riguarda la concessione delle misure anche al padre in caso di madre assolutamente impossibilitata, sarebbe stato opportuno eliminare quell’”assolutamente” che ha finora impedito la concreta applicazione della norma. Per ultimo l’art. 4 rimanda ad apposito decreto del Ministro della Giustizia, da adottarsi (senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge, la determinazione delle case-famiglia protette. Sul punto l’Unione delle Camere Penali e l’Osservatorio Carcere evidenziano che il d.d.l. n. 1129, recante misure per la creazione di case-famiglie per detenute con figli minori, prevedeva al contrario una norma che individuava nel dettaglio le funzioni e l’organizzazione di dette strutture. Inoltre l’art. 5 del d.d.l. individua la copertura finanziaria degli Icam, riferita alle risorse indicate in ordine alla finanziaria 2010, con riserva rispetto agli effetti stimati in termini di indebitamento netto: la prudenziale previsione induce a dubitare dell’effettivo realizzo degli Icam, e comunque a ritenere che le risorse che verranno effettivamente utilizzate saranno insufficienti a realizzare le finalità previste dal d.d.l.. L’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane si augura che, da un lato, il Governo realizzi al più presto le strutture che consentano effettivamente alle madri detenute di poter allevare i propri bambini in un luogo che non sia il carcere, e che, d’altro lato, la Magistratura di Sorveglianza applichi tali misure tenendo conto che in gioco vi sono valori costituzionalmente garantiti quali la tutela della maternità e dell’infanzia. L’Osservatorio Carcere vigilerà affinché il Governo e la magistratura diano effettiva attuazione alla legge e segnalerà ogni stortura e inadempienza. Ucpi - Osservatorio Carcere Lettere: l’estate è alle porte, in carcere si muore e i politici nicchiano Ristretti Orizzonti, 8 maggio 2011 Il grande caldo è in arrivo e come ogni anno nelle carceri italiane la detenzione, nella maggior parte dei casi già illegale, diventerà ancora una volta tortura. Ancora due suicidi. Nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa e a Le Vallette a Torino, due uomini si sono impiccati. Il senso di smarrimento, la perdita di dignità, l’abbandono sono le cause dei tantissimi suicidi nelle carceri italiane. Dall’inizio del 2011, sono stati 21. Per la maggior parte giovanissime vite spezzate a cui doveva essere tolta la sola libertà, ma sono state private dei più elementari diritti, umiliate, dall’istituzione pubblica a cui erano affidate. In questi 4 mesi del nuovo anno, i morti sono stati 60. Ogni mese 15 morti, uno ogni 2 giorni. In carcere si entra sani, poi spesso ci si ammala per il sovraffollamento, per l’immobilità, per le condizioni igienico-sanitarie precarie e si muore. Quando non si muore, la malattia deve essere sopportata in attesa di cure e, anche se le condizioni sono gravi e inducono sofferenza, si attendono mesi per interventi che dovrebbero essere affrontati con la massima urgenza. Le temperature intanto salgono e, con il caldo, non arriveranno provvedimenti da parte del Governo o del Parlamento, ma solo le immancabili visite di ferragosto ai detenuti. Una giornata di penitenza che solo pochi politici sentono veramente, mentre per la maggior parte è una “vetrina” come un’altra per proclamare le solite cose e cioè che le condizioni di vita negli Istituti di Pena sono vergognose ed è necessario intervenire senza indugi. L’estate scorsa vi fu una moltitudine trasversale di parlamentari e consiglieri regionali che, grazie all’iniziativa dei Radicali, visitò le carceri, poi nulla è cambiato. Nulla cambia eppure lo “stato di emergenza” proclamato dal Consiglio dei Ministri nel gennaio 2010 è stato prorogato. Nel confronto parlamentare appena iniziato, il Governo nell’introdurre il dibattito ha fatto riferimento alle solite risorse promesse da tempo e mai arrivate, alle solite iniziative da intraprendere e mai intraprese. Cittadini condannati perché hanno commesso un reato e cittadini in attesa che un processo accerti se lo hanno commesso, sono detenuti illegalmente e spesso destinati a morire, mentre lo Stato nicchia. Avv. Riccardo Polidoro Presidente “Il Carcere Possibile Onlus” Camera Penale di Napoli Lettere: un altro suicidio nell’Opg di Aversa… è ora di mettere la parola “fine” di Psichiatria Democratica Ristretti Orizzonti, 8 maggio 2011 Il terzo suicidio del 2011 nell’Opg di Aversa deve essere accompagnato - insieme al dolore ed allo sgomento - soltanto dalla parola fine per queste strutture. È quanto ribadisce Emilio Lupo, Psichiatra e Segretario Nazionale di Psichiatria Democratica (Pd) all’indomani del suicidio di un giovane trentatreenne avvenuto nella struttura aversana, oggetto negli ultimi anni - in ragione di gravi lesioni dei diritti dei detenuti-pazienti -dell’attenzione da parte di organismi di tutela internazionali e nazionali. Per Lupo non c’è più tempo da perdere: va reso operativo lo smantellamento di tutti gli Ospedali Giudiziari, smantellamento che Psichiatria Democratica ha sollecitato, di recente, in un convegno, sul tema proprio degli Opg, che si è tenuto a Vico-Equense insieme a Magistratura Democratica, ad avvocati e ad operatori del settore. Psichiatria Democratica, difatti, in un articolato e puntiglioso programma/percorso ha indicato modalità e tempi, perché questi monumenti della vergogna vengano definitivamente cancellati ,insieme ai lutti e alle continue violazioni dei diritti delle persone costrette nelle sei strutture presenti sul territorio nazionale. Il Pd quindi ripropone, operativamente, quanto segue: 1) Che il Presidente della Conferenza Stato-Regioni costituisca il punto di coesione e raccordo di tutte le strutture interessate alla dismissione, anche al fine di evitare ritardi nei piani attuativi; 2) Che il Governo fissi -attraverso una disposizione legislativa - tempi massimi per la completa chiusura degli Opg e sanzioni per gli Enti inadempienti; 3) Che si determinino risorse economiche certe ed adeguate per garantire progetti individualizzati per ciascuna persona interessata, insieme al coinvolgimento di tutti gli attori in campo (dalle famiglie, alle Istituzioni, alle strutture di accoglienza fino agli operatori - questi ultimi adeguatamente formati) beninteso con il coordinamento e la supervisione costante dei programmi attuativi, che restano appannaggio del Servizio Pubblico, attraverso le sue articolazioni funzionali. Dal punto di vista operativo Psichiatria Democratica ritiene indispensabile, inoltre, costituire Uffici ed equipe di dismissione per ciascuna struttura, quali reali strumenti operativi e di collegamento tra le realtà interne e quelle esterne. Il Pd, da ultimo, auspica che i Senatori impegnati nella Commissione Marino - a cui è stata inoltrata una richiesta di audizione urgente - e che tanto impegno hanno profuso in questa direzione, possano contribuire a scrivere -insieme a quanti si battono per la chiusura degli Opg - la parola fine a questa brutta pagina della nostra storia contemporanea. Liguria Sappe; sacrifici della Polizia penitenziaria per garantire vigilanza e sicurezza www.savonanotizie.it, 8 maggio 2011 Carceri liguri. “Sacrifici per garantire vigilanza e sicurezza” “Nel 2010 in Liguria 23 detenuti hanno tentato il suicidio, 220 gli atti di autolesionismo e 61 i ferimenti: 5 le morti per cause naturali. Quasi 1.500 i detenuti coinvolti in manifestazioni su sovraffollamento e condizioni di vita intramurarie” “I dati recentemente elaborati dall’Amministrazione Penitenziaria, riferiti agli eventi critici accaduti nelle carceri liguri nel corso dell’anno 2010, devono fare seriamente riflettere sulle evidente problematiche del sistema e su quanto essi vadano ad incidere sul duro, difficile e delicato lavoro che quotidianamente le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria in servizio in Liguria svolgono con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità. Da questi dati emerge una volta di più quali e quanti sacrifici affrontano ogni giorno le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria per garantire vigilanza e sicurezza all’interno e all’esterno degli Istituti di pena liguri partecipando nel contempo alle attività di osservazione e di trattamento rieducativo dei detenuti”. È quanto scrive in una nota Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e Commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, commentando i dati relativi agli eventi critici che si sono verificati negli istituti penitenziari liguri nell’anno passato. Martinelli sottolinea che “nel 2010, nelle sovraffollate carceri liguri, i detenuti hanno compiuto 220 atti di autolesionismo (11 dei quali da donne ristrette) e 23 tentativi di suicidio - 6 a Genova Marassi, 5 a Genova Pontedecimo, 3 a Imperia, 6 a La Spezia, 1 a Sanremo e 2 a Savona - . Le morti per cause naturali in carcere sono state 5 - 2 a Sanremo e 3 a Marassi - e 2 i suicidi - 1 a Pontedecimo ed 1 a La Spezia. 61 sono stati i detenuti che hanno posto in essere ferimenti. Le manifestazioni di protesta individuali hanno visto 148 detenuti fare nel corso dell’anno lo sciopero della fame, 25 hanno rifiutato il vitto o le terapie mediche, 89 detenuti sono stati coinvolti in proteste violente con danneggiamento o incendio di beni dell’Amministrazione penitenziaria. 5 sono state le evasioni da penitenziari, delle quali 3 a seguito di mancato rientro in carcere dopo aver fruito di permessi di permessi premio e 2 dalla semilibertà. Capitolo a parte, infine, lo hanno le manifestazioni di protesta collettive sulla situazione di sovraffollamento delle carceri e sulle critiche condizioni intramurarie che si sono tenute nel 2010: 8 le proteste, che hanno visto coinvolti complessivamente nei 7 penitenziari della Liguria 1.475 detenuti, proteste che si sono concretizzate in scioperi della fame, rifiuto del vitto dell’Amministrazione e soprattutto nella percussione rumorosa dei cancelli e delle inferriate delle celle (la cosiddetta battitura)”. Il Sappe torna a proporre con urgenza un nuovo ruolo per l’esecuzione della pena in Italia, che preveda circuiti penitenziari differenziati ed un maggiore ricorso alle misure alternative e sottolinea l’importante ruolo svolto quotidiano dai Baschi Azzurri del Corpo: “L’organico della Polizia Penitenziaria nei 7 penitenziari della Liguria dovrebbe contare 1.264 unità: in realtà, ne abbiamo in forza 850. Nonostante queste gravi carenze, nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento i Baschi Azzurri della Penitenziaria in servizio in Liguria credono nel proprio lavoro, hanno valori radicati ed un forte senso d’identità e d’orgoglio, e ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano quotidianamente, soprattutto sventando centinaia e centinaia suicidi di detenuti”. Torino: indagato per violenze sessuali s’impicca in cella alle Vallette di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 8 maggio 2011 Tecnico di 62 anni approfitta dell’ora d’aria e si uccide con un cappio ricavato da un lenzuolo. Era in carcere da pochi giorni e non era stato ritenuto a rischio di suicidio. Che cosa avesse nella testa ieri mattina Luciano B. - se vergogna, rimorso, dispiacere, volontà di gridare la propria innocenza con un gesto estremo, la sensazione di essere comunque di peso per i parenti - nessuno lo può sapere. Non ha lasciato biglietti. E nessuno aveva intuito pensieri di morte, percependo che fosse arrivato al punto di rottura. L’ex riparatore di radio e tv, 62 anni compiuti, casa e famiglia in una cittadina della cintura, poco dopo le 11 si è impiccato in carcere, in una cella delle Vallette, stringendosi attorno al collo il cappio fatto con il lenzuolo sfilato dalla branda. In galera c’era finito pochi giorni prima, martedì, schiacciato o sconvolto da accuse pesantissime, tutte ancora da dimostrare. 609 bis e 609 ter, sintetizza il codice penale, con numeri che nei gironi dei penitenziari posso ancora essere associati a infamia, ritorsioni, emarginazione nell’emarginazione. Violenze sessuali e aggravate, pare su più persone, forse anche minorenni. L’indagine contro di lui, tenuta coperta dalla procura e dalla polizia, così come lo scattare delle manette, era in una “fase delicata”. Il sostituto procuratore titolare del fascicolo, Dionigi Tibone, a inizio settimana ha impresso un’accelerazione all’inchiesta. Si temeva che l’uomo potesse entrare a contatto con una delle vittime, in tempi ravvicinati. Ed è stato firmato un decreto di fermo del pm, per evitare di lasciarlo libero di muoversi e incontrare persone da proteggere. Il gip di turno non ha convalidato l’arresto, fatto da personale della questura, e ha disposto la custodia in carcere. Alle strapiene Vallette, stando agli accertamenti interni e alle prime verifiche della stessa procura, l’uomo ha seguito la trafila prevista per tutti i “nuovi giunti”. “Fotosegnalamento”, registrazione delle impronte digitali, colloquio d’ingresso. È stato visitato dal medico di turno, come d’obbligo, e da uno specialista, chiamato a valutare e misurare la propensione a gesti estremi. Non è stato classificato a rischio suicidio. Gli è stato assegnato un posto nel padiglione C, quinta sezione. Nessun problema, fino a ieri mattina alle 11. Quando il compagno di cella è uscito per andare all’ora d’aria, in cortile, lui è rimasto dentro, con una scusa, con la volontà di uccidersi. “Sono enormemente dispiaciuta, in una situazione che è estremamente delicata”, sono le poche cose che si sente di dire l’avvocatessa che assisteva Luciano B., Elena Deambrogio. “Le indagini - tiene a sottolineare - erano ancora in un passaggio assolutamente preliminare”. L’assistito avrebbe avuto il tempo e il modo di difendersi, spiegare, reagire. A Palazzo di giustizia restano avari di informazioni sui contenuti dell’inchiesta e sulla portata degli indizi, “per rispetto ai familiari della persona che si è suicidata e per rispetto alle parti offese”. Salerno: progetto reinserimento sex-offenders; Garante Tocco contro ministro Carfagna La Città di Salerno, 8 maggio 2011 Adriana Tocco, garante dei detenuti per la Regione Campania interviene in un articolo su Repubblica sul progetto presentato dal Comune di Castelnuovo Cilento che coinvolge i detenuti del carcere di Vallo della Lucania rispondendo al ministro Mara Carfagna. Nei giorni scorsi, infatti, il ministero delle Pari opportunità è intervenuto in merito all’iniziativa promossa dal Comune di Castelnuovo e dalla direttrice dell’istituto penitenziario di Vallo della Lucania. L’iniziativa prevede che dieci detenuti dell’istituto di Vallo, che accoglie persone condannate per reati sessuali, si adoperino alla pulizia delle strade e dei giardini di Castelnuovo. Già tempo fa parte degli abitanti si era manifestata contraria e ora Tocco riferisce che il ministro Carfagna voglia appoggiare questa parte della popolazione con una lettera in cui, facendo erroneamente riferimento all’impiego di 40 detenuti, invita il sindaco a lasciar perdere “pur riconoscendo l’importanza di reintegrare”. Tocco continua dicendo: “È però davvero singolare che proprio il ministero delle Pari opportunità mostri volutamente di ignorare l’esistenza del principio rieducativo della pena, ignori l’esistenza delle regole penitenziarie europee che ribadiscono tale principio, ignori, in particolare, la sentenza 313 del 1990 della Corte costituzionale che definisce il principio della rieducazione qualità essenziale della pena, affermazioni e principi cogenti, non mere formule di cortesia”. La garante conclude: “Venga anche Lei, ministro Carfagna; la sua presenza darà ulteriore dignità all’iniziativa”. Carfagna: un passo falso sui detenuti da rieducare, di Adriana Tocco (La Repubblica) Il ministero delle Pari opportunità interviene, senza averne peraltro alcuna titolarità, in merito a una iniziativa meritevole e in linea con tutte le indicazioni nazionali e internazionali, presa dalla direttrice dell’Istituto penitenziario di Vallo della Lucania (che accoglie persone condannate per reati sessuali) e dal sindaco di Castelnuovo Cilento. L’iniziativa prevede che dieci detenuti, in concreta applicazione del principio di giustizia riparativa e dell’intento rieducativo della pena, puliscano e tengano in ordine strade e giardini di quel centro. Parte degli abitanti, forse mal informati e in base, spiace evidenziarlo, a una serie di intuibili pregiudizi e, forse, di rivalità di natura politica, si sono manifestati contrari, sono insorte le associazioni antipedofilia, convocate anche da altre parti d’Italia. Infine, ultima chicca, giunge la cortese (in apparenza) letterina del capo di gabinetto del ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna, che, riferendosi erroneamente all’impiego di 40 detenuti, invita il sindaco a lasciar perdere, “pur riconoscendo l’importanza di reintegrare...”. È, però, davvero singolare che proprio il ministero delle Pari opportunità mostri volutamente di ignorare l’esistenza del principio rieducativo della pena (articolo 27 della Costituzione), ignori l’esistenza delle regole penitenziarie europee che ribadiscono tale principio, ignori, in particolare la sentenza 313 del 1990 della Corte costituzionale che definisce il principio della rieducazione “qualità essenziale della pena (qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico”), affermazioni e principi cogenti, non mere formule di cortesia. Quale garante dei detenuti per la Regione Campania, penso perciò che occorra fare alcune riflessioni dettate dal buon senso, altre di carattere più istituzionale. 1) In questo momento nel carcere di Vallo della Lucania non vi sono pedofili. Sarà pure un caso, ma ciò basta a escludere che ve ne siano nelle strade di Castelnuovo e comunque, pur se colpevoli di un reato tra i più odiosi, anche i pedofili sono titolari di diritti costituzionalmente garantiti. 2) In Italia non esiste, per fortuna, la pena di morte, né è previsto l’ergastolo per i reati a sfondo sessuale. 3) Dunque i detenuti prescelti, dieci in tutto (ne saranno di volta in volta occupati cinque), sono tutti in procinto di terminare la pena. Perciò, progetto di reinserimento o no, tra poco saranno comunque in libertà. 4) Il Comune di Castelnuovo, come tutti gli altri, non ha fondi: il progetto di giustizia riparativa offre un servizio utile ai cittadini, garantendo la manutenzione delle strade a titolo gratuito. 5) Il sindaco e la direttrice del carcere si dimostrano coscienziosi funzionari dello Stato, se fanno accettare ai detenuti il principio di giustizia riparativa. 6) La loro iniziativa istituzionale non è certo frutto di una estemporanea invenzione: è certamente passata al vaglio del Prap e della magistratura di sorveglianza. 7) Non solo i detenuti, ma anche i cittadini liberi vanno educati alla conoscenza e alla pratica dei principi costituzionali che coincidono con quelli più ampi di solidarietà laica e cristiana. 8) Non si tratta infine solo di solidarietà ma anche di sicurezza sociale, perché è chiaro che un ex detenuto che si sente riaccettato sarà più motivato a non ripetere atti delittuosi. 9) L’aggettivo “pari” non ammette i più e i meno. Le opportunità non possono essere meno o più pari, sono pari e basta. Cogliamo dunque l’improvvido intervento ministeriale per meditare tutti sull’impegnativa regola costituzionale della solidarietà e soprattutto dell’uguaglianza nei diritti e dello sforzo civico che deve guidare la coscienza dei cittadini nell’anelito a realizzarla: nella vicenda che ci occupa “pari opportunità” significa anche consentire attraverso il lavoro, su cui è fondata la Repubblica, a tutti i soggetti che possono beneficiarne, di accedere alle forme riparatorie alternative. E, considerata l’importanza e la serietà della iniziativa, vogliamo credere che il ministro sia stato male informato e da un disguido sia sorto l’invito a desistere dall’attuare il progetto descritto. Se è così, allora tutti noi facciamo un contro invito, anzi davvero un invito. Il giorno di inizio del lavoro dei detenuti saranno presenti, oltre al garante dei detenuti, il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, esponenti della Caritas, dell’associazione “Il Carcere possibile”, dell’associazione “Oltre le sbarre” e altre associazioni che si occupano di tutela della legalità della pena e dei diritti fondamentali di tutti i cittadini, in qualunque situazione, anche di estremo svantaggio, si trovino diritti. Venga anche Lei, onorevole ministro Carfagna; la sua presenza darà ulteriore dignità all’iniziativa, testimonierà la presenza dello Stato accanto a chi ne garantisce, attraverso le sue articolazioni, il funzionamento, dimostrerà che esiste una tensione ideale nelle istituzioni, ribadirà che il fondamento solidaristico repubblicano impone di garantire piena dignità ai soggetti che, nel percorso detentivo hanno evidenziato segni di ravvedimento, rassicurerà la cittadinanza e darà speranza di redenzione e reinserimento a chi ha sbagliato. Ministro l’aspettiamo. Gela (Ct): dopo 50 anni di lavori e due inaugurazioni il carcere rimane ancora chiuso www.ilgiornaledigela.it, 8 maggio 2011 Un ordine del giorno è stato presentato al Presidente dal gruppo consiliare del Partito Democratico (Cirrone Cipolla, Bonura, Bellanca, Cacioppo, Cusumano, Cannizzo, D’Arma, Licata, Scarciotta) per chiedere di porre all’attenzione del Governo nazionale, in raccordo con la deputazione nissena al Parlamento nazionale: i dati allarmanti della situazione delle carceri in provincia di Caltanissetta con un sovraffollamento aggravato da condizioni precarie degli istituti con gravi carenze igienico-sanitarie delle strutture e con un personale ridotto al minimo, costretti a rinunciare ai riposi per garantire le ferie ai colleghi; ad attivarsi presso il Ministro di Grazia e Giustizia Angelino Alfano per concretizzare l’apertura della nuova struttura carceraria di Gela, e per l’adeguamento degli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi; a predisporre tutte le misure necessarie per fare rispettare gli impegni già assunti che prevedevano l’apertura del Carcere di Gela per il 2010 e per sanare la situazione esposta in premessa, per impedire che ulteriore danaro pubblico sia speso inutilmente. Mentre molte delle carceri della Sicilia soffrono di sovraffollamento, c’è un penitenziario che ha il problema opposto: - denuncia il capogruppo del Pd Alfonso Cirrone Cipolla - inaugurato tre anni e mezzo fa (il 26 novembre 2007) alla presenza dell’ex Guardasigilli, Clemente Mastella, non si è mai aperto. Nell’ottobre 2008, il Ministro di Grazia e Giustizia Angelino Alfano annunciava alla Camera che entro quell’anno, dopo gli ultimi ritocchi per l’adeguamento e il completamento dei sistemi di sicurezza (per una spesa di un milione e mezzo di euro) il nuovo carcere avrebbe finalmente aperto, ma, ad oggi, ancora si attende l’apertura, tutto ciò è assurdo e a noi cittadini nisseni ci sembra l’ennesima bufala e soprattutto l’ennesimo spreco di denaro pubblico. Lo hanno definito, il “Carcere d’oro”, per la cifra impiegata per costruirlo circa 5 milioni di euro o il “Carcere fantasma”, sorto sulla s.s 117 bis Gela-Catania, per quante volte è stato inaugurato e mai aperto ai detenuti. Un progetto durato più di una soap, una vergognosa testimonianza di soldi di noi contribuenti sprecati-incalza Cirrone Cipolla-un paradosso dopo l’altro, non c’è che dire. Prima anni e anni per progettare la struttura, poi la costruzione realizzata fra pause e riprese interminabili. Una struttura costata una fortuna, adeguata in ogni aspetto. La storia di questo carcere batte di gran lunga tutte le altre opere incompiute, lasciate li a marcire per non curanza o per chissà qualche altro motivo. Inaugurato due volte in 50 anni, consegnato ufficialmente nel luglio 2009 all’amministrazione penitenziaria, ma oggi non ancora pronto, il carcere di Gela è il simbolo paradossale delle opere pubbliche incompiute siciliane. Un carcere inaugurato anni addietro, addirittura dall’ex Guardasigilli, Clemente Mastella, con tanto di cerimonia, e ancora nulla? Fra progetti, autorizzazioni, ricerca di investimenti e nuovi appalti volarono gli anni: mentre Gela scalava le classifiche delle città a maggior rischio criminale, e il governo mandava plotoni di agenti e carabinieri per fronteggiare una criminalità mafiosa e comune sempre più agguerrita, ad occuparsi del completamento del carcere è rimasto il Comune, stretto dalle denunce contro i mafiosi e le infiltrazioni negli appalti pubblici. Il Comune di Gela, che ancora oggi, paga la sorveglianza al fine di evitare eventuali atti vandalici. Attualmente due guardiani sono gli unici custodi della struttura vuota, mai entrata in funzione. Il carcere dovrebbe ospitare 96 detenuti in 48 celle con bagno, avrà 80 agenti di custodia e altri educatori e personale amministrativo. Per rendersi conto di come sono costretti a vivere i carcerati di Caltanissetta -continua il Capogruppo del Pd Cirrone Cipolla - basterà ricordare che al momento al “Malaspina” sono ospitati circa 300 detenuti, quando invece la struttura ne potrebbe ospitare la metà. C’è dunque un problema di sovraffollamento dei detenuti, costretti a stare in 6 od in otto per cella ed in condizioni non certo ottimali. Problema assolutamente inverso per gli agenti di Polizia penitenziaria preposto alla loro sorveglianza: in tutto ce ne sono 220, che però sono chiamati a sostenere turni massacranti per potere mantenere i servizi richiesti e a volte sono costretti a fare turni di dodici ore al giorno e poi magari a riprendere servizio per fare il turno di notte. Una situazione quasi analoga c’è al carcere di San Cataldo, dove attualmente sono rinchiusi detenuti comuni che devono scontare dei residui di pena -aggiunge Cirrone Cipolla-qui i carcerati sono 109 in una struttura dove al massimo ce ne potrebbero stare 89, ma la cosa più grave è quella che in ciascuna cella di 20-30 metri quadrati sono rinchiusi notte e giorno da 8 a 16 detenuti. Una situazione davvero inumana, anche per i 71 agenti chiamati ad occuparsi della loro sorveglianza. Numerosissime sono state le richieste di urgente intervento rivolto al ministro della Giustizia Angelino Alfano, ed ai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria, in questi anni sulla situazione in cui versano gli Istituti penitenziari nisseni. Napoli: a Secondigliano impianto trattamento rifiuti con lavoro detenuti Adnkronos, 8 maggio 2011 Forse sarà una goccia nel mare, solo un piccolo contributo per risolvere il problema, ma il superamento del'emergenza rifiuti a Napoli passa anche attraverso il lavoro dei detenuti del carcere di Secondigliano, dove è stato installato un impianto per il trattamento dei rifiuti solidi, recuperati attraverso la raccolta differenziata cella per cella. A spiegarlo è la Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione delle disposizioni di legge relative al lavoro dei detenuti relativa al 2010, trasmessa dal ministero della Giustizia. "Al fine di favorire un concreto inserimento della popolazione detenuta in contesti lavorativi rispondenti a criteri di impresa in grado di svilupparsi autonomamente, al di fuori delle forme assistenziali, è stato inaugurato, nel mese di agosto -spiega il documento- un impianto per il trattamento di rifiuti solidi presso l'istituto di Napoli Secondigliano. L'iniziativa rientra in un quadro di piu' ampia collaborazione con il 'Consorzio sociale Rolando Innocenti'", con il quale l'amministrazione penitenziaria ha stipulato una convenzione nel gennaio 2009, "che prevede, dopo un periodo di sperimentazione presso l'istituto di Napoli, l'estensione dell'iniziativa anche in altri istituti". "Il progetto -spiega la relazione del ministero di via Arenula- prevede, oltre alla raccolta differenziata cella per cella, l'installazione di un impianto per la selezione e la lavorazione di rifiuti solidi non organici (plastica, legno, carta). Il ciclo lavorativo dell'impianto impegna dodici/quindici lavoratori per turno, con i detenuti assunti da una cooperativa sociale del Consorzio". "I turni di lavoro -spiega ancora il documento ministeriale- vengono stabiliti in base alla disponibilità del personale di Polizia penitenziaria necessario per il controllo e per il movimento dei lavoratori. Presso l'istituto napoletano sono stati selezionatin e formati 20 detenuti e successivamente ne sono stati avviati al lavoro dodici, aumentati poi a quindici quando l'attività è andata a regime". "Recentemente anche presso l'istituto di Roma Rebibbia nuovo complesso è iniziata un'attività di selezione e la lavorazione di rifiuti secondo il modello già sperimentato a Napoli Secondigiano". "Sono stati trovati accordi -rende noto infine la relazione- con il Consorzio per estendere l'attività in altri istituti della Toscana, delle Marche e dell'Abruzzo dove sono stati già effettuati sopralluoghi". Trieste: i reclusi del Coroneo camminano a turno nelle celle super affollate Il Piccolo, 8 maggio 2011 “Ci sono celle così affollate che i detenuti sono costretti a camminare a turno: le persone sono costrette a restarci in media 20 ore al giorno e non c’è lo spazio vitale per muoversi in più persone”. Una testimonianza quella di Pino Roveredo che fotografa la drammatica situazione dalla casa circondariale del Coroneo. Ieri mattina lo scrittore assieme ad alcuni rappresentanti politici ha fatto un sopralluogo nell’istituto scambiando due chiacchiere con alcuni reclusi e confrontandosi con gli operatori penitenziari. “Abbiamo riscontrato i problemi a cui si va incontro in qualsiasi carcere sovraffollato, - ha affermato all’uscita dell’istituto detentivo Alfredo Racovelli, consigliere comunale dei Verdi per la Pace - trovo che chi gestisce questa struttura stia facendo più di quanto sia possibile viste le poche risorse economiche a disposizione. Sono gli enti a dover collaborare di più, a garantire maggiori opportunità attraverso borse-lavoro e lavori esterni per accompagnare queste persone nel percorso di reinserimento”. Ieri in carcere si contavano 241 detenuti: 208 uomini dei quali 147 stranieri e 33 donne tra le quali 12 straniere. Il 50 per cento condannati in via definitiva. “Il lavoro degli operatori va apprezzato - hanno spiegato Fidel Tonchia e Michela Novel, candidati per le comunali nella lista Trieste Cambia - soprattutto se teniamo conto della carenza di personale: le guardie penitenziarie sono 120 quando l’organico per garantire la sicurezza e le quotidiane attività del carcere ne prevedrebbe 160”. “Il 16 maggio - ha avvertito il consigliere regionale del Pd, Franco Codega - verrà riattivato il laboratorio di pasticceria e panetteria. E questo tipo di attività all’interno della struttura sono fondamentali”. Imperia: grido d’allarme del Siulp sulla situazione delle carceri in crescente difficoltà www.riviera24.it, 8 maggio 2011 “Tutto questo è umiliante sia per la dignità dei lavoratori che dei detenuti, ai quali non è possibile neanche fornire coperte pulite perché non si possono lavare, quindi se le passano a vicenda per giorni e giorni”. Ancora una volta occorre lanciare un forte segnale d’allarme affinché anche i cittadini si rendano conto delle crescenti difficoltà che attraversano gli operatori della sicurezza italiani ed in particolare di questa provincia. Il governo, nelle persona del Presidente del Consiglio, On. Silvio Berlusconi, aveva solennemente promesso che per tutte le donne e gli uomini del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, in sede di approvazione del decreto che annullava il tetto salariale e quindi consentiva l’effettiva esplicazione della funzione di polizia, delle Forze armate e di soccorso, avrebbe trasformato la misura da una tantum in definitiva. Così non è stato e in sede di Commissione Bilancio il provvedimento approvato dall’Assemblea è stato annullato. Questo comporterà gravi ripercussioni sulla possibilità di garantire un minimo di efficacia dell’azione delle forze dell’ordine e dei Vigili del Fuoco che cercano di compensare le gravi carenze strutturali e tecniche con grandi sacrifici e, spesso, pagando di tasca propria le spese per effettuare l’attività di servizio a favore della collettività. Non è più possibile continuare senza una chiara programmazione di investimento, senza che il sistema non arrivi al “collasso” operativo. In questa provincia a fronte delle accresciute esigenze, il personale è in carenza d’organico e tutti i colleghi che vengono trasferiti o vanno in pensione non vengono sostituiti perché non vengono effettuate assunzioni in numero sufficiente. Il personale è sempre più anziano e non può rispondere con la stessa capacità al disagio dei continui servizi. Iniziano a scarseggiare i veicoli di polizia poiché non arrivano nuove autovetture con gravi ripercussioni sul controllo del territorio accresciute dalle difficoltà nel rifornimento di carburante. Mancano le divise e anche il “simpatico” scambio di capi abbigliamento usato fra i colleghi ha esaurito le risorse. Ci vergogniamo di avere le divise lise e consunte e di essere vestiti tutti in maniera differente come a carnevale per cui nelle medesima pattuglia può accadere che vi siano operatori con divise differenti. Manca il materiale di cancelleria per cui se serve un timbro o le penne, bisogna farsi raccomandare o procedere, come al solito, all’acquisto personale. La spesa per le pulizie è stata ridotta di un ulteriore 30% rispetto all’anno precedente, già fortemente ridotta, per cui le pulizie diventano sempre più una parola provocatoria e non si riescono a garantire delle condizioni igieniche normali in un Paese civile. Solo nei giorni scorsi i colleghi sono stati costretti a convivere con il vomito di alcuni fermati negli Uffici, fino a quando delle anime pie hanno provveduto in autonomia; le pulizie dei veicoli e delle camere di sicurezza ove vengono ristretti i fermati e gli arrestati vengono effettuate in maniera saltuaria con grave pregiudizio dei poliziotti e dei fermati, senza che neanche le pulizie straordinarie, giacché le ordinarie non si riescono più a fare, siano svolte celermente. Tutto questo è umiliante sia per la dignità dei lavoratori che dei fermati, ai quali non è possibile neanche fornire coperte pulite perché non si possono lavare, quindi se le passano a vicenda per giorni e giorni. La logistica presenta aspetti irritanti sia alla Questura di Imperia, ove in certi Uffici bisogna attendere che il collega finisca il lavoro poiché non vi sono nemmeno scrivanie e computer a sufficienza, pertanto ci si mette in coda sia negli Uffici di polizia della provincia. Il Commissariato di Ventimiglia è da demolire per la vetustà della struttura poiché non più idonea al servizio di polizia. Commissariato con forte afflusso di turisti per le pratiche amministrative i quali rimangono perplessi di fronte alla fatiscenza dell’ufficio pubblico. Cadono le persiane ma siccome non ci sono i soldi per sostituirle verranno levate per garantire la sicurezza dei cittadini, gli alloggi degli operatori sono delle cloache e quest’inverno dopo che si era rotta la caldaia, pregevole pezzo di archeologia industriale, gli operatori sono rimasti giorni al freddo senza lamentarsi pur di non chiudere il Commissariato al pubblico e, adesso, dopo mesi che sono stati forniti preventivi ancora non si riesce a far partire i lavori perché nessuno autorizza la spesa. Speriamo di non dovere chiudere il Commissariato quest’inverno perché non potremo tollerare scuse dal Ministero. Potremo continuare ancora a lungo ma vogliamo fermarci con questa breve panoramica, sperando che anche la cittadinanza si renda conto della situazione e faccia sentire la sua voce perché non si può fare sicurezza in questo modo; come dice un detto popolare: non si possono fare le nozze con i fichi secchi. Mantova: dalla Fondazione Comunità Mantovana un frigorifero per ogni cella del carcere La Gazzetta di Mantova, 8 maggio 2011 Trentatré piccoli frigoriferi, da sistemare uno per ogni cella, sia nella sezione maschile che in quella femminile. Li ha consegnati ieri la Fondazione Comunità Mantovana alla casa circondariale di via Poma. Qualche frigo in realtà c’era già, ma soltanto nelle celle più ampie. Ora i generi alimentari acquistati dai detenuti potranno essere conservati in condizioni igieniche più sicure, evitando di essere esposti al caldo e alle intemperie sui davanzali delle finestre. Il problema è sempre lo stesso: le ristrettezze economiche, aggravate da un trenta per cento in meno di stanziamenti negli ultimi anni. Per questo, come ha sottolineato il direttore del carcere Enrico Baraniello, “avrei voluto provvedere all’acquisto entro il 2011, ma se non ci fosse arrivato un aiuto dal cielo non ce l’avrei fatta. Come si vede, anche un semplice elettrodomestico può migliorare le condizioni di vita in un carcere” ha osservato. L’interessamento della Fondazione è avvenuto attraverso la lettura di Controsenso, il giornalino del carcere, in cui si evidenziava questa necessità. “Ho chiesto al cda di procedere all’acquisto e il voto è stato unanime” ha riferito il presidente della Fondazione, Mario Nicolini, presente con i consiglieri Mario Anghinoni e Giuseppe Mattiello. L’importante segnale di attenzione della comunità mantovana verso chi deve scontare una pena è stato rimarcato dall’educatrice Stefania Ianulardo. Gli apparecchi, a marchio italiano, sono stati acquistati a prezzi agevolati e già ieri è iniziata l’installazione. L’impianto elettrico è esterno alle celle, per questione di sicurezza. Presenti alla consegna il comandante degli agenti, Raffaele Pierro, la volontaria dell’associazione Csc, Paola Busi e il fornitore Alberto Ruberti. Chieti: “Napoli milionaria”, teatro in carcere con detenuti di Madonna del Freddo Il Centro, 8 maggio 2011 È la “Napoli milionaria” di Eduardo la commedia con la quale si cimenteranno i detenuti e le detenute della Casa circondariale di Chieti. A dirigere i provetti attori sarà la regista Paola Capone. Gli spettacoli si terranno nel teatro polivalente delle carceri. Gli spettacoli sono tre: oggi 4 maggio per detenuti e familiari degli attori; il 5 maggio, alle 21, per gli invitati; il 6 maggio mattina per gli studenti di Chieti e Pescara. In numero maggiore parteciperanno gli alunni dell’Itis Luigi Di Savoia. L’iniziativa ha trovato il consenso del prefetto Vincenzo Greco, del provveditore regionale delle carceri Salvatore Acerra, del presidente del consiglio regionale Nazario Pagano, del sindaco Umberto Di Primio. Il laboratorio teatrale è solo una delle iniziative attivate nell’ambito del progetto pedagogico e tende a stimolare nei detenuti modifiche del loro comportamento e capacità di riconoscere il valore delle regole, mantenendo aperto il dialogo tra carcere e comunità esterna. Interessantissima la variegata composizione degli attori: provengono da ogni regione e da paesi esteri ed hanno attraversato personali percorsi e vicende di marginalità sociale. La polizia penitenziaria del reparto chietino ha fornito un rilevante apporto di partecipazione alle attività, non solo garantendo la sorveglianza, ma anche fornendo supporto tecnico nelle prove e nell’allestimento degli spettacoli. Bari: “Questo cuore” di Tedeschi in scena all’istituto penale per minorenni Fornelli La Repubblica, 8 maggio 2011 Giunge al termine la stagione della Sala prove dell’istituto penale per minorenni “Fornelli” di Bari. Come di consueto l’ultimo appuntamento è con l’esito del laboratorio condotto con i detenuti dal regista Lello Tedeschi: lo spettacolo promosso dal Kismet ha per titolo Questo cuore e va in scena oggi e domani alle 20,30. Oltre ai giovani protagonisti sul palco ci sono le attrici Piera Del Giudice e Annalisa Locaputo. Questo cuore, si legge nelle note di regia, è un “vagabondaggio tra i sentimenti, per andare al cuore, all’emozione: un catalogo di passioni, di risentimenti, di amori vissuti, cercati, perduti, o di amori ritrovati, o mai nati”. Tutte le paure, le ansie e gli errori degli adolescenti si riversano così sulla scena, alla ricerca di un ordine che nasce non dal rifuggire gli interrogativi propri della loro età, ma dall’affrontarli. Iraq: rivolta in carcere a Baghdad, muoiono 11 detenuti e sette agenti La Repubblica, 8 maggio 2011 Le vittime sono tutte persone sospettate di appartenere ad Al Qaeda. I detenuti si sono asserragliati per alcune ore in un settore della prigione, poi la strage. Tra i morti l’estremista Huthaifa al-Batawi. Undici detenuti e sette poliziotti sono morti nel corso di una rivolta scoppiata nella notte in una prigione di Baghdad gestita dall’Unità per la lotta al terrorismo del ministero degli Interni iracheno. Lo hanno annunciato fonti della sicurezza: i detenuti morti erano tutti sospettati di appartenere ad Al Qaeda. Protagonista della rivolta, ha raccontato una fonte del ministero dell’Interno, è stato Huthaifa al-Batawi, detto l’Emiro di Baghdad, accusato di essere la mente del sanguinoso attentato messo a segno nella cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza nell’ottobre scorso e costato la vita a 50 persone 1. Tutto è cominciato quando, durante un interrogatorio, al-Batawi è riuscito ad impossessarsi di un’arma da fuoco. Gli uomini dell’intelligence volevano avere da lui indizi su eventuali attentati in programma per vendicare la morte di Osama bin Laden. Ma lui è riuscito ad afferrare l’arma di un tenente e lo ha ucciso, riuscendo poi a fuggire e a liberare altri detenuti. Il gruppo di rivoltosi si è diretto verso l’ufficio del capo dell’Unità antiterrorismo per il settore di Karrada, il generale Moayed al Saleh, e gli ha sparato un colpo alla testa; conquistate armi e granate, i detenuti si sono fatti largo verso i cancelli di uscita: cinque sono saliti su un veicolo della polizia e hanno tentato di uscire, ma prima che potessero darsi alla fuga hanno ingaggiato uno scontro a fuoco con gli agenti e sono stati uccisi; gli altri si sono dunque asserragliati all’interno del carcere e l’ammutinamento ha avuto fine solo all’alba (alle 04.30 ora locale, in piena notte italiana), quando tutti, compreso Huthaifa al-Batawi, sono stati uccisi.