Giustizia: il terzo suicidio da inizio anno all’Opg di Aversa… sono strutture da abolire! Ristretti Orizzonti, 6 maggio 2011 Salvatore Pepe, 33 anni, si è suicidato la scorsa notte nell’ospedale psichiatrico giudiziario “Saporito” di Aversa. L’uomo si trovava nell’Opg da circa due mesi, dopo essere stato estradato dalla Germania, dove era stato arrestato per un omicidio. Lo rende noto Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce dell’associazione Antigone Campania e componente dell’Osservatorio nazionale sul carcere. L’uomo si è tolto la vita in tarda serata. Non era in isolamento, ma condivideva la cella con altri internati. Sembra che proprio ieri avesse avuto un colloquio con lo psichiatra, che non ravvisando segnati di “pericolo” le aveva rimandato in cella. Verso le 23 si è appartato in bagno e dopo un po’ i compagni, non vedendolo più uscire, hanno aperto la porta trovandolo appeso a un cappio, ma ancora in vita. Hanno chiamato i soccorsi, ma Salvatore è morto mentre erano in corso le “manovre rianimatorie”. “Questo è il terzo suicidio dall’inizio di quest’anno. Il 12 aprile scorso si è tolto la vita un internato rumeno di 58 anni, mentre a gennaio si è suicidato un internato di 32 anni. Una sequenza preoccupante che richiede interventi urgenti e ragionati. E che dimostra anche che è necessario procedere rapidamente al superamento di queste strutture. In Italia sono presenti 6 Opg (Napoli, Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Castiglione delle Stiviere) che dipendono dal Ministero della Giustizia per la parte sulla sicurezza e dalle Asl per la parte sanitaria. Quello di Aversa ha una capacità ufficiale di circa 180 posti, ma in esso sono presenti circa 230 internati. “Si tratta - sottolinea Antigone - di persone incapaci di intendere e di volere, autori di reato, che sono condannati ad una misura di sicurezza detentiva, prorogabile. “Chiediamo con urgenza, - ribadisce l’associazione - all’amministrazione penitenziaria e all’Asl, l’attivazione di risorse per garantire, nell’attesa che si realizzi un rapido percorso di chiusura e dimissione, così come definito dalla commissione parlamentare di inchiesta sull’efficienza del sistema sanitario presieduta da Ignazio Marino. Registriamo nell’Opg di Aversa, tra malattia e suicidi, un’impressionante sequenza di morti che è indispensabile arrestare”. Aumentato il numero di internati Il suicidio si è verificato proprio mentre è in corso, partita il 21 aprile scorso, la Campagna “Stop Opg. Per l’abolizione degli Ospedali Psichiatrici giudiziari”, iniziativa promossa da un coordinamento di 24 associazioni con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e stimolare la politica ad avviare un percorso normativo con cui chiudere gli Opg. Secondo una recente inchiesta di Superabile.it, sito dell’Inail in tre anni, dal 2007 al 2010 il numero degli internati negli ospedali psichiatrici giudiziari è aumentato di 188 unità, sebbene un anno e mezzo fa sia stato assunto l’impegno da parte delle Regioni di dimettere circa 300 soggetti ritenuti non più “socialmente pericolosi”. Attualmente nei sei Opg italiani ci sono complessivamente 1.500 internati, la struttura di Aversa ne contiene 230. Iovine (Api): Ospedali psichiatrici giudiziari, necessario superarli “Credo sia di fronte agli occhi di tutti come gli attuali Ospedali psichiatrici giudiziari siano strutture inadeguate, non in grado di assolvere funzioni di tipo terapeutico-riabilitativo. Un paese civile ha il dovere di compiere un passo deciso verso il superamento di questo tipo di strutture”. Con queste parole Vincenzo Iovine, capo delegazione di Alleanza per l’Italia al Parlamento europeo, è intervenuto dopo aver appreso la notizia dell’ennesimo suicidio maturato all’interno di un Opg, nel caso specifico nella struttura di Aversa in provincia di Caserta, uno dei sei Opg presenti nel nostro Paese. “Già la Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario Nazionale, presieduta dal senatore Ignazio Marino, - ha proseguito l’eurodeputato - aveva fatto emergere la situazione in cui versano alcuni degli Opg italiani. In molti casi si configurano gravi violazioni dei diritti umani fondamentali che, fatto ancor più grave, avvengono sotto gli occhi di tutti”. “Ci si impone - ha sottolineato l’eurodeputato di Api - una seria riflessione sulla necessità di andare oltre questo tipo di strutture. La persona, insieme alla sua sofferenza psichica, deve tornare al centro del processo riabilitativo e gli Opg rappresentano strutture non più adatte a garantire un corretto percorso di cura e reinserimento. L’impegno a cui il nostro Paese è chiamato - ha concluso Iovine - è quello di predisporre iniziative adeguate al fine di restituire dignità agli internati e, al contempo, maggiore serenità all’azione quotidiana degli operatori specializzati”. Giustizia: Melis (Pd); nelle carceri è emergenza, ma il Governo non lo sa Ansa, 6 maggio 2011 “Siamo totalmente insoddisfatti e anche molto preoccupati delle recenti dichiarazioni del Governo in aula in occasione della discussione della nostra mozione sulle carceri”. Lo dichiara il deputato della Commissione Giustizia Guido Melis (Pd) dopo le ultime comunicazioni della sottosegretaria Elisabetta Alberti Casellati in occasione dell’inizio del confronto parlamentare alla Camera sullo stato delle carceri. “Dall’inizio della legislatura - continua Melis in una nota - si succedono da parte del ministro Alfano e dei suoi collaboratori annunci enfatici su imminenti risolutive realizzazioni, nell’ambito di un confusissimo piano carceri del quale non si vede alcun effetto reale. In realtà il numero dei detenuti (circa la metà dei quali è in attesa di giudizio) continua a crescere senza alcun controllo, le strutture attuali scoppiano, le persone (detenuti e agenti di custodia) soffrono e rischiano la salute e persino talvolta la vita in modo intollerabile in un Paese civile”. “Ci saremmo aspettati dal ministro il rispetto dei vecchi impegni (come i 500 milioni previsti dalla Finanziaria 2010 e non ancora disponibili) e anzi l’assunzione di nuove drastiche misure, in rapporto alle peggiorate condizioni del settore. Constatiamo invece che non si fa un passo avanti e che il sottosegretario responsabile crede di cavarsela alla Camera evocando i vincoli di bilancio imposti da Tremonti”. “La verità - conclude Melis - è che la questione carceri dev’essere assunta come una grande emergenza nazionale, e come tale trattata. Mentre al contrario il Governo sul tema continua a fare solo una sterile propaganda verbale”. Giustizia: Ucpi; legge su detenute madri è buona nelle intenzioni ma “troppo timida” Agi, 6 maggio 2011 L’Unione delle camere penali giudica così le norme a favore delle detenute madri pubblicate oggi sulla Gazzetta ufficiale. “Ci auguriamo che il governo - spiega l’Osservatorio carceri dell’Ucpi - realizzi al più presto le strutture che consentano effettivamente alle madri detenute di poter allevare i propri bambini in un luogo che non sia il carcere e che la magistratura di sorveglianza applichi tali misure tenendo conto che in gioco vi sono valori costituzionalmente garantiti quali la tutela della maternità e dell’infanzia”. In tal senso l’Ucpi “vigilerà affinché il governo e la magistratura diano effettiva attuazione alla legge segnalando ogni stortura e inadempienza”. Secondo i penalisti, “il richiamo in legge a ‘esigenze cautelari di eccezionale rilevanza non meglio specificate rischia di vanificare i benefici, soprattutto nei confronti dei soggetti più deboli, con la paradossale conseguenza di vedere detenuti bambini sino ai 6 anni di età”. L’Unione delle camere penali, inoltre, lamenta il rinvio al 2014 della realizzazione degli istituti a custodia attenuata per madri (al momento esiste solo l’Icam di Milano) e l’esclusione dal beneficio delle condannate per i delitti più gravi “riproponendo ancora una volta lo schema del doppio binario. Tale limite appare decisamente grave -sottolineano i penalisti- laddove si vorrebbe tutelare il minore e favorire il rapporto madri e figli, cosa che dovrebbe avvenire a prescindere dal titolo di reato”. Giustizia: Osapp; sottovalutata situazione personale femminile in Polizia penitenziaria Adnkronos, 6 maggio 2011 “L’amministrazione penitenziaria centrale, ovvero il cosiddetto Dap, continua a sottovalutare, con conseguenze gravissime, le reali condizioni del personale femminile di polizia penitenziaria addetto agli istituti e alle sezioni detentive destinati alle detenute di sesso femminile”. Lo affermano, in un appello al guardasigilli Angelino Alfano e al sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), Leo Beneduci. “Benché il personale femminile di polizia penitenziaria sia il 6,9% nell’organico complessivo del corpo (3.074 su 44.620 unità) e le detenute siano mediamente il 4,6% della popolazione detenuta nazionale di circa di 67.600 soggetti - aggiunge Beneduci - si continuano a trasferire le agenti agli istituti maschili o, peggio, a destinarle ad uffici ministeriali o presso segreterie politiche. Accade così, per fare esempi concreti - prosegue il sindacalista - che nella sezione femminile della casa circondariale di Firenze-Sollicciano, in cui alloggiano 107 detenute, alcune delle quali con gravi problemi psichici e 7 bambini in tenerissima età, siano impiegate solo 1 o 2 agenti per turno, oppure presso il più grande istituto femminile d’Italia di Roma-Rebibbia per quasi 400 detenute ci siano solo 90 agenti delle 160 previste”. Secondo Beneduci, “in questo mondo non si fanno gli interessi né dell’istituzione né della collettività, e tanto meno delle detenute, e il prezzo vero lo pagano quelle poche unità femminili del corpo che continuano a prestare servizio negli istituti e non possono neanche concedersi il lusso di ammalarsi”. Giustizia: delinquenti di mammà… di Maurizio Tortorella Panorama, 6 maggio 2011 Dopo l’aggressione ai due carabinieri: che cosa pensano i genitori dei “bravi ragazzi” che di colpo uccidono? Ci sono i tormenti, certo, ma anche tante assoluzioni e giustificazioni. Un giorno scopri che tuo figlio, il classico “bravo ragazzo” sui 18-20 anni, ha selvaggiamente picchiato uno sconosciuto che giace tra la vita e la morte in un letto d’ospedale. Che cosa fai? Come reagisci, da genitore? Quale mare di sensazioni si mette a ondeggiare dentro di te? Queste domande sono inevitabili dopo la terribile aggressione avvenuta il 24 aprile a Sorano, nelle dolci campagne del Grossetano, dove tre ragazzi e una ragazza fra i 17 e i 19 anni sono usciti a notte fonda da un rave party, imbottiti di droga e alcol, e hanno quasi ucciso due carabinieri che avevano avuto la sfortunata idea di fermarli per accertamenti. Dalle domande è partita l’inchiesta di copertina di Panorama: alla ricerca dei genitori di quei quattro e di altri giovani, finiti nel le più recenti pagine di cronaca per omicidi di selvaggia violenza, per aggressioni senza una vera giustificazione. Ci aspettavamo reazioni ben diverse da quelle che abbiamo incrociato. Sì, era prevedibile l’incredulità di fronte alla scoperta di avere accanto un figlio diverso da quel che hai sempre immaginato. Eravamo sicuri, però, che nei padri e nelle madri avremmo incontrato soprattutto la disperazione, i sensi di colpa, la spaventosa sensazione di avere sbagliato ogni cosa nella vita. Sbagliavamo. La statistica che Panorama propone con questa storia di copertina, limitata ma di certo significativa, indica che il fenomeno emergente è tutt’altro. Di fronte alla violenza di un figlio, nelle famiglie italiane oggi c’è molta giustificazione, in casi estremi perfino il fiancheggiamento sempre e comunque, anche di fronte alla più sconfortante evidenza dei fatti e perfino dopo una condanna di tribunale. La responsabilità individuale è un concetto lontano mille miglia. La colpa è sempre altrui. Insomma, molti figli di papà troppo spesso diventano “delinquenti di mammà”. La violenza giovanile, un tempo caratteristica della società americana, oggi è un fenomeno anche europeo: ogni giorno, in base a uno studio che l’Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato alla fine del 2010, nei paesi dell’Unione muoiono per l’aggressione di un coetaneo almeno 40 giovani tra i 14 e i 29 anni, quattro dei quali vittime di accoltellamenti. Si tratta di 15 mila morti ogni 12 mesi. Il fenomeno, particolarmente grave nei paesi dell’ex Unione Sovietica e nell’est del continente è in rapida crescita soprattutto in Italia, in Belgio, Lituania, Ungheria. Cifre e tendenze sicuramente non stupiscono i frequentatori della materia. Quel che turba, invece, è l’impreparazione della famiglia. È vero, alla fine degli anni Sessanta e per tutto il decennio successivo la violenza giovanile è stata un esercizio frequente, nei licei e nelle università italiane. Ma quel che accade oggi è diverso. Non che fosse più giustificato quel tipo di aggressività “politica”, ci mancherebbe. Oggi, però, sembra che sia l’assenza di valori, di regole certe o di un insegnamento a scatenare la violenza: e proprio i genitori che tutto giustificano ne sono i veri responsabili. Assolvono e si autoassolvono. Droga, alcol e cattive compagnie, spesso, fanno soltanto da sfondo. Reggio Emilia, 21 gennaio Due sedicenni scappano di casa. Ritrovate, simulano di essere state stuprate tagliandosi i polsi e gettandosi del vino addosso. Cremona, 26 gennaio Un ragazzo di 20 anni e due minorenni vengono arrestati per violenza sessuale ai danni di due ragazze di 16 anni adescate su internet. Tarquinia (Viterbo), 18 febbraio Un diciassettenne fa irruzione in un bar con pistola e pugnale e tenta una rapina. Spiegherà dopo: “Mi annoiavo”. Vicenza, 19 febbraio Vengono fermati due minorenni di Bassano del Grappa: hanno compiuto varie rapine e ripetute estorsioni ai danni di alcuni coetanei. Grosseto, 4 marzo Tre giovani tra 19 e 21 anni pestano a sangue un ragazzo di 16: è responsabile solo di averli guardati mentre gli passavano accanto. Roma, 9 marzo Due ragazzi di 14 anni e uno di 13 vengono bloccati dalla polizia perché responsabili di gravi atti vandalici sui mezzi pubblici dell’Atac. Napoli, 10 marzo Due sedicenni insultano con frasi razziste una somala, la umiliano e l’aggrediscono. Poi le offrono 50 euro in cambio del silenzio. Napoli, 10 aprile Un branco di sette ragazzini di una scuola media di Marechiaro, a Posillipo, violenta un tredicenne durante una gita scolastica. Barletta, 22 aprile Un minorenne aggredisce un ragazzo di 22 anni, nel corso di una lite in strada per futili motivi, e lo ferisce alla schiena con un coltello. Siracusa, 27 aprile I carabinieri fermano tre minorenni per rissa, devastazione, violenza e saccheggio, dopo una lite in un locale notturno: 8 mila euro di danni. Giustizia: caso Parmalat; l’arresto di Tanzi, in cella a 72 anni per il maxi crac Corriere della Sera, 6 maggio 2011 Dalla sentenza alla cella in meno di 24 ore. Calisto Tanzi, 72 anni, condannato mercoledì in via definitiva dalla Cassazione a 8 anni e 30 giorni per aggiotaggio, entra nel carcere di Parma per scontare la sua pena che, però, grazie a tre anni di indulto e al tempo trascorso agli arresti durante le indagini, si riduce drasticamente a 4 anni e 4 mesi. E che non è detto passerà dietro le sbarre, visto che a più di 70 anni può ottenere la detenzione domiciliare. Alle 16 di ieri pomeriggio due imponenti Suv Mercedes percorrono il lungo viale che porta alla magnifica villa di Alberi di Vigatto (Parma) in cui, dopo il crac miliardario che nel dicembre 2003 ha travolto l’azienda agroalimentare di Collecchio, l’ex patron della Parmalat ha trascorso la sua vita in una autoreclusione dorata. Sono i finanzieri della polizia giudiziaria della procura e del nucleo della tributaria di Milano, e non sono stati graziati da un’improvvisa opulenza, perché le fiammanti fuoriserie tedesche sono il frutto del loro lavoro istituzionale, visto che sono state confiscate durante le indagini fiscali dello scandalo Santa Giulia a Milano. Le Fiamme gialle bussano alla porta, sono in borghese e nelle mani hanno l’ordine di carcerazione firmato qualche ora prima dal sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda in esecuzione della sentenza della Cassazione. “Ma devo andare 4 anni e 4 mesi in carcere?”, chiede Tanzi, incredulo e sbigottito nonostante il tatto della gdf e la preparazione psicologica ricevuta dai suoi legali che gli hanno anche spiegato che presto potrebbe uscire dalla prigione di via Burla, la stessa che ospita il boss mafioso Bernardo Provenzano. Subito dopo la sentenza, gli avvocati Giampiero Biancolella, Fabio Belloni e Filippo Sgubbi avevano anche tentato di frenare il cammino inesorabile della giustizia con un’istanza di sospensione dell’esecuzione basata sui motivi di salute (Tanzi alla notizia della condanna si era anche sentito male) e sui 72 anni del loro assistito. Ma la legge prevede che si possa intervenire solo dopo che il condannato in carcere ci è entrato. E così da oggi scatta la corsa sul tribunale di Reggio Emilia per tirare fuori dalla cella il protagonista di uno dei più clamorosi fallimenti della storia italiana che ha travolto 35 mila risparmiatori ai quali Tanzi dovrebbe, teoricamente, anche pagare 100 milioni per i danni subiti. Maglione rosso, sguardo basso, Calisto Tanzi legge e rilegge le tre pagine firmate dalla Manfredda, chiama gli avvocati per essere sicuro che in carcere ci deve proprio andare. Rassegnato riempie una borsa di vestiti e di medicine e mentre sale tra due della gdf su una delle Mercedes che lo porterà in carcere, la moglie in lacrime si chiede ad alta voce: “Ancora non è finita questa storia?”. No, non è finita. Sulla testa di quello che un tempo fu uno degli uomini più riveriti e temuti dell’industria italiana pende un’altra condanna a Parma in Appello a 18 anni per il buco da 14 miliardi della Parmalat che, come hanno detto i giudici di Parma, trasformò il colosso multinazionale dell’agroalimentare nella più grande fabbrica di debiti d’Europa. Onida: un atto dovuto, ora può sperare nel comma Previti Solo i gravi motivi di salute - tali da determinare una incompatibilità con il regime carcerario - avrebbero potuto far scattare la sospensione dell’esecuzione in carcere della pena di 4 anni e 4 mesi per il condannato ultrasettantenne Tanzi. A sostenerlo sono tre giuristi del calibro di Valerio Onida, Paola Severino e Vincenzo Siniscalchi. In altre parole - argomentano l’ex presidente della Consulta e i due noti penalisti - la procura generale di Milano “doveva” dar corso all’esecuzione della sentenza definitiva emessa dalla Cassazione. Anche se - puntualizza l’avvocato Vincenzo Siniscalchi, ex consigliere del Csm su indicazione dei Ds - “quella che sostituisce la detenzione domiciliare al carcere per gli ultra settantenni è una norma di civiltà”. Eppure anche Calisto Tanzi, che di anni ne ha 72, dovrà attendere la decisione del Tribunale di sorveglianza di Reggio Emilia prima di ottenere l’applicazione del cosiddetto “comma Previti” che nel 2005 fu aggiunto alla legge Cirielli per evitare che l’ex ministro della Difesa di Forza Italia, ultrasettantenne, scontasse in carcere la condanna per corruzione in atti giudiziari. Anche Previti fu ristretto per alcuni giorni a Rebibbia prima di essere ricondotto ai “domiciliari” nel suo palazzo di piazza Farnese. Spiega Valerio Onida, ex presidente della Corte costituzionale: “La concessione della misura alternativa per gli ultrasettantenni c’è, ma è prevista dopo l’emissione dell’ordine di esecuzione. Non può esserci la sospensione. A meno che la pena residua sia inferiore a un certo limite: in questo caso la sospensione è sempre obbligatoria. Evidentemente, la procura generale di Milano ha fatto i suoi conteggi prima di firmare l’ordine di esecuzione per Tanzi”. La professoressa Paola Severino, che è anche vicerettore della Luiss, ritiene corretto il comportamento della procura generale: “No, direi che questa decisione non può essere considerata vessatoria anche se come in tutti casi c’è una margine di discrezionalità nell’applicazione della norma. È comunque comprensibile che l’esecuzione immediata della pena venga assunta affinché l’imputato non si sottragga. Poi è chiaro che ci sono una serie di correttivi che possono essere adottati in seguito, nella fase di esecuzione”. L’avvocato Siniscalchi conferma: “Sarà il tribunale di sorveglianza a prendere in considerazione tempestivamente l’età e gli altri coefficienti. E anche Tanzi dovrebbe conseguire gli arresti nel suo domicilio”. Raffaele Della Valle: le prigioni italiane inadatte a gestire un settantenne malato Raffele Della Valle, penalista ed ex parlamentare della Commissione Giustizia, è ripartito il solito dibattito, dopo l’arresto di Calisto Tanzi... “Dal punto di vista tecnico e giuridico il provvedimento non fa una grinza. Una pena oltre i 4 anni deve andare in esecuzione...” Ma? “Ma ci sono una quantità di considerazioni da fare sullo stato in cui versano le carceri italiane. Fa effetto Calisto Tanzi che ha 73 anni. Ma dovrebbero fare effetto pure le condizioni di molti detenuti sconosciuti che stanno in carcere con gravi patologie o hanno già abbondantemente superato i 70”. Gli avvocati di Tanzi dicono che il loro cliente è malato. E hanno già presentato istanza... “Ci sono le misure alternative da applicare quando lo stato di detenzione sia incompatibile con la malattia. Ma è uno spartiacque sempre difficile da valutare. Il carcere, il carcere in Italia, non è fatto né per gli anziani né per i malati. Se il servizio sanitario nazionale è quello che è per chi è fuori dal carcere, pensiamo a chi è dentro. Il sistema carcerario italiano ha gravissime lacune”. Ha senso parlare di “rieducazione.. con un detenuto di questa età, oltre i 70 anni... “Il reato di Tanzi è sicuramente grave. L’alternativa potrebbe essere la detenzione domiciliare. Non si può certo pensare che uno che ha una certa età non finirà mai più in carcere, ma troppe volte la carcerazione viene comminata a dismisura”. Vinicio Nardo: reati allarmanti e ripercussioni sociali… giusta la detenzione Avvocato Vinicio Nardo dell’Unione delle Camere Penali italiane, è giusto che Calisto Tanzi sia finito in carcere? “Il dibattito su questi temi nel mondo politico e giudiziario è ondivago. Si dice che il carcere sia giusto quando i reati sono più gravi e destano più allarme sociale. Ci sono momenti in cui viene detto che sono peggio i reati da colletto bianco che non l’omicidio. Tant’è che molti reati come la concussione non sono rientrati nei provvedimenti di indulto”. Allora il metro oggettivo quale deve essere? “Fermiamoci all’entità della pena. Una pena di questo tipo vuol dire che i reati per cui è stato condannato Tanzi vengono percepiti come più allarmanti a livello sociale”. Tanzi non è mai scappato. È un colletto bianco... “Usciamo dall’ambiguità per cui i colletti bianchi sono meglio. Si è sempre detto che sono peggio. Chi avrebbe dovuto godere del decreto Biondi ai tempi di Mani Pulite era percepito peggio di un assassino”. E poi ha 73 anni. E i suoi avvocati giurano che le sue condizioni di salute sono gravi. Non basta? “I domiciliari per motivi di salute vengono dati quando la pena è fino a quattro anni. Tanzi è stato condannato a 8 anni e 1 mese e deve scontare 4 anni e 4 mesi. Il limite dell’età è stabilito dal codice. I 70 anni di oggi non sono certo quelli di 50 anni fa. Negli Stati Uniti ad esempio il limite dell’età anagrafica non viene considerato”. Lettere: il Comitato vincitori idonei concorso educatori penitenziari scrive al Parlamento Comunicato stampa, 6 maggio 2011 Questo Comitato, premesso che in data 4 maggio 2011 veniva discussa presso la Camera dei Deputati la mozione n. 100615 (firmataria, On. Ferranti ed altri) sullo stato di attuazione del piano carceri. La stessa, in un suo specifico passaggio, impegnava il Governo in carica “ad attivare tutti gli adempimenti necessari affinché il dipartimento dell’organizzazione giudiziaria proceda, nell’ambito delle assunzioni già autorizzate per personale da destinarsi agli uffici giudiziari, per l’anno 2011, e per quelle ancora da autorizzare, in riferimento agli anni a venire, alla prioritaria utilizzazione, partendo dalla posizione n. 414, della graduatoria risultante dal concorso bandito dal Ministero della giustizia - dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - a 397 posti di educatore penitenziario, pubblicata il 15 dicembre 2008 sul bollettino ufficiale dello stesso”; il Sottosegretario di Stato per la Giustizia, Sen. Alberti Casellati, esprimeva sul punto, a nome dell’ Esecutivo debitamente rappresentato, parere contrario non corredato da apposita motivazione; considerato che: Il Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria più volte nel tempo è stato autorizzato ad avvalersi del disposto di cui all’art. 9 della legge n.3/2003 sull’utilizzazione degli idonei di concorsi pubblici in graduatoria presso anche altre P.P.A.A. per il medesimo comparto di contrattazione allo scopo di inserirli in ruolo presso gli Uffici Giudiziari quale personale in dotazione organica a questi ultimi, in ragione delle carenze cui gli stessi sono afflitti; detta possibilità di scelta per tutte le Amministrazioni Statali è stata ribadita dalla nota circolare prot. Dpf 0011786 P-4.17.1.7.4 del 22/02/2011 emanata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Funzione Pubblica U.P.P.A. (par.8 pag.12); in altri contesti e per altre situazioni il Governo in carica si è adoperato al fine di tamponare e definire positivamente condizioni di disagio lavorativo, tant’è che in data 15 aprile 2011 - come reso noto da fonti del Ministero della Giustizia (notizia pubblicata dal sito www.giustizia.it) - l’attuale Ministro Guardasigilli ha siglato un Protocollo con la Regione Campania “per l’assegnazione da parte di quest’ultima di 300 lavoratori socialmente utili da destinare agli uffici giudiziari appartenenti al distretto della corte d’appello di Napoli”; il rigetto della soluzione proposta dalla mozione ieri discussa palesa una volontà dell’Esecutivo di ordine diverso in quanto che, se accolta, avrebbe potuto far cessare la non più tollerabile incertezza sulla sorte dei 44 vincitori del relativo concorso (per i quali già da ben un anno sono state attivate e definite le procedure per l’individuazione delle sedi di assegnazione) e dei restanti idonei, destinatari di altro apposito atto parlamentare (mozione n. 1/0031 approvata all’unanimità nella seduta della Assemblea in data 12 gennaio 2010) volto ala loro immediata assunzione a completamento delle piante organiche vigenti; tanto premesso e considerato esprime, nella speranza di auspicato ripensamento, il proprio assoluto rammarico e dissenso per la determinazione negativa adottata ribadendo con forza le ragioni di quanti hanno superato le prove di un lungo e difficile concorso statale e che ciò malgrado vedono ignorati, da troppo tempo ormai, i propri diritti e le proprie legittime aspettative di vita con gravissimo danno - personale e familiare - in termini esistenziali, di relazione e, non da ultimo, economici. Dott.ssa Anna Fasulo Lettere: gli internati in Casa di lavoro… noi che scontiamo l’ergastolo senza condanna Gazzetta di Modena, 6 maggio 2011 Come scontare la pena dell’ergastolo senza essere stati condannati alla reclusione a vita. È la condizione in cui si sentono gli internati della Casa di lavoro di Saliceta San Giuliano e non vedono una via d’uscita. Ne hanno parlato a cuore aperto lunedì durante un confronto-dibattito nelle ore di scuola statale tenute a Saliceta dall’insegnante Rosalia Italia. “Gli internati presenti sono persone che di fronte alla legge italiana hanno già espiato la loro pena. Ma sono ritenuti ancora socialmente pericolosi e nei confronti dei quali il magistrato che esamina il loro fascicolo ha la possibilità di dare un’ulteriore misura di sicurezza che ha teoricamente una fine. Come disciplina il codice penale, l’assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro ha una durata minima di un anno, che divengono due per i delinquenti abituali, tre per i delinquenti professionali e fino a quattro per i delinquenti per tendenza” ha spiegato una volontaria dell’associazione Carcere Città. “Dico teoricamente - prosegue la volontaria - perché per uscire da questo luogo, al contrario del carcere, gli internati devono dimostrare di avere un lavoro, una famiglia e una residenza, condizioni che molti di loro soddisfacevano ma che per ovvie ragioni hanno perso. Solo il Magistrato di Sorveglianza può decidere il loro fine pena e solo se esistono le condizioni sopra citate, in caso contrario sono sottoposti a una proroga di mesi e, purtroppo anche di anni. Questa misura di sicurezza è definita “ergastolo bianco”. Credo, tuttavia, che la vera sicurezza non stia nel rinchiudere semplicemente le persone ma occorre porre in essere le condizioni affinché escano migliorate e a maggior ragione da una Casa di Lavoro”. La presenza della componente “lavoro” rappresenterebbe, infatti, la ragione fondatrice e giustificativa di questa realtà, esattamente come si desume dal nome di questa misura di sicurezza personale detentiva e da quanto disposto dalla legge. “Qui dentro non abbiamo da fare nulla” ha detto chiaramente un internato durante il dibattito. “Siamo in troppi e il lavoro all’esterno non c’è e all’interno è poco. Percepiamo uno stipendio solo se lavoriamo e di media abbiamo di che lavorare 10 giorni al mese, per un totale di circa 85 euro mensili, escluse le spese di mantenimento (per il mangiare ecc..)”. La vita nella casa di lavoro scorre quindi tra l’appuntamento quotidiano con le ore di scuola, uno sguardo alla tv, i colloqui con i propri cari per un totale di massimo 6 ore al mese e, come raccontano i ragazzi, due telefonate a settimana che possono fare a loro spese dal fisso della casa di lavoro. Non esiste nessuna possibilità di intraprendere un percorso per reinserirsi nella società. “Questo è peggio di un carcere perché qui non sappiamo quando la pena finirà” aggiunge un altro internato. “Il poco lavoro che svolgiamo consiste in attività di mantenimento dell’istituto. I più anziani lavorano nella tipografia interna alla casa per 20 giorni al mese” ha spiegato uno degli uomini. “Vorremmo incontrare più spesso gli assistenti sociali che ci seguono per farci conoscere meglio, avere un rapporto più diretto con loro” hanno detto i ragazzi durante l’incontro, insistendo sul fatto che manca loro la possibilità di accedere alle informazioni per trovare lavoro. “Senza un intervento delle istituzioni non c’è speranza” dice ancora un altro. Fondamentali i volontari. “Per fare un esempio, lo Stato non prevede né per gli internati né per i detenuti il vestiario. Nella maggior parte dei casi, se non intervenissero i volontari che portano dei vestiti, questi uomini andrebbero in giro in mutande” ha detto la volontaria di Carcere Città. “Da quest’anno, grazie alla grande apertura ai volontari della direzione, un gruppo di insegnanti in pensione di cui faccio parte anch’io, sempre dell’associazione Carcere Città - ha proseguito la volontaria - ha realizzato il progetto educativo - culturale Università del tempo perduto “che si affianca all’attività dell’insegnante ufficiale della casa di lavoro e che prevede vari corsi dalla storia a filosofia, esame di terza media, alfabetizzazione di base, musica e anche cucina. Abbiamo anche attivato un progetto dedicato alla coltivazione di un orto adiacente alla casa di lavoro, all’interno del quale gli internati stanno costruendo un pollaio con il quale vorremmo dare il via a una sorta di pet-therapy all’emiliana!”. E il 25 maggio in casa lavoro grande festa di fine anno scolastico organizzata dai volontari con concerto lirico. Lazio: il Garante; in carceri regionali 2.200 reclusi in più, si preannuncia un’estate calda Il Velino, 6 maggio 2011 Continuano a crescere i detenuti nelle carceri del Lazio. Al 3 maggio i reclusi nelle 14 carceri della Regione Lazio erano 6.550, 2.222 in più rispetto ai posti disponibili indicati dal Dap. I dati sono stati diffusi dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo marroni secondo cui, “nonostante gli ultimi provvedimenti legislativi fra cui anche la Legge svuota carceri, che avrebbe dovuto sgravare gli istituti di tutta Italia di oltre ottomila reclusi, il trend non sembra invertirsi, anzi i reclusi continuano a crescere in maniera impressionante. Lo scorso mesi di aprile, nella Regione Lazio è stata sfondata per la prima volta quota 6.500 presenze e, in poco più di quattro mesi, dall’inizio dell’anno ad oggi, i detenuti anziché diminuire, sono aumentati di 173 unità, con tutte le conseguenze che questo implica”. Rispetto al 21 aprile del 2010 (quando i detenuti erano complessivamente 6.138), c’è stato un incremento di 412 unità. Attualmente nelle celle della Regione sono reclusi 6.108 uomini e 442 donne. Il 27 marzo erano 6108 uomini e 444 donne. In 15 mesi, da febbraio 2010 quando nelle celle c’erano 5.882 persone (5.470 uomini e 412 donne), il numero dei detenuti è aumentato di 668 unità. I problemi maggiori delle carceri sono legati alla cronica carenza del personale di polizia penitenziaria, ai tagli al budget che hanno messo in difficoltà anche la gestione ordinaria degli istituti e, soprattutto, al sovraffollamento. Riguardo quest’ultima priorità, i casi più problematici si registrano a Latina (dove i detenuti dovrebbero essere 86 e sono invece più del doppio), a Viterbo (quasi 300 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare), Frosinone (quasi 200 reclusi in più), Rebibbia N.C. (circa 450 in più) e Regina Coeli. Infine, a Rebibbia femminile le donne dovrebbero essere 274, sono invece quasi cento in più, con tutti i problemi che ciò comporta nella gestione delle recluse madri con i figli fino a 3 anni al seguito. Paradossale il caso di Rieti dove sono state attivate solo una parte dei 306 posti disponibili (circa 120) e che risultano già abbondantemente sovraffollati, mentre a Velletri resta ancora chiuso per carenza di agenti di polizia penitenziaria il padiglione con oltre 200 nuovi posti. “Sovraffollamento, carenze di organico e cronica penuria di risorse - ha detto Marroni - stanno pian piano portando l’intero sistema al collasso. Orami sono sempre più frequenti, in tutta Italia, le manifestazioni di protesta anche da parte degli agenti di polizia penitenziaria che denunciano le difficili condizioni di lavoro. Fin quando non si deciderà di intervenire in maniera strutturale, rivedendo una legislazione fatta per reprimere con il carcere ogni condotta illegale, ci sarà sempre emergenza nelle carceri. Ma un intervento del genere non sembra essere all’orizzonte; ed intanto siamo costretti a prepararci a vivere un’estate che si preannuncia caldissima sotto tutti i punti di vista”. Brescia: nel carcere di Canton Mombello otto detenuti in una cella di 14 mq Brescia Oggi, 6 maggio 2011 Canton Mombello fa ancora parlare di sé. Del suo degrado e dell’abbruttimento di chi lo abita, psicologico e fisico. Stavolta a denunciare le condizioni inumane dei detenuti nel carcere bresciano sono i consiglieri del Pd di Loggia, Broletto e Pirellone, reduci da una visita “a dir poco devastante”. “Abbiamo visitato la casa circondariale cittadina, appurando che la fama di carcere tra i peggiori d’Italia è vera”, spiega il consigliere comunale Giuseppe Ungari. Lo sdegno arriva ancor più forte dopo una seconda visita al carcere che invece può fregiarsi d’essere tra i migliori: Bollate. “Un confronto spiazzante - sottolinea Gianbattista Ferrari, consigliere regionale -, che dimostra come Canton Mombello sia un cancro per la nostra città”. Da qui, con l’indignazione ancora fresca, alcune proposte “per cercare anche solo in piccola parte di ripristinare quel senso di umanità e di rieducazione sanciti nell’articolo 27 della Costituzione”. COME SEMPRE è tutta questione di budget: oltre all’intenzione di scrivere una lettera al presidente Napolitano e al ministro Alfano, il consigliere Ferrari chiederà il ripristino della somma destinata a pagare l’agente di rete (figura che si occupa di mantenere le relazioni tra carcerato e mondo esterno): “Poca cosa: chiederò di ripristinare i 31mila euro stanziati nel 2010, quest’anno scesi a 23mila”. Più onerose, soprattutto per un’amministrazione schiacciata da un bilancio in rosso spinto, le proposte che il consigliere provinciale Roberto Cammarata presenterà la settimana prossima: “Ciò che mi ha colpito di più, oltre al fatto che in una cella da 14 metri quadrati stiano in otto e che non riescano mai a stare in piedi tutti nello stesso momento, sono i servizi igienici - racconta; per questo chiederò 100mila euro per una sistemazione sommaria”. Sempre da Cammarata un secondo emendamento, questa volta per i figli dei detenuti: “Per raggiungere la sala in cui incontrano i papà, i bambini devono passare attraverso la stanza centrale del carcere, sulla quale danno tutte le celle, come in uno zoo”. Una situazione sconcertante per un bambino. “Vorrei chiedere di destinare 25mila euro per tre anni a favore delle associazioni che sostengono le attività tra detenuti e figli - sottolinea: ce n’è molto bisogno, altrimenti i bambini rischiano di pagare gli sbagli dei padri”. L’IMPEGNO A smuovere le acque arriva anche dal consigliere della Loggia Ungari, che incalza sull’urgenza di trovare un’altra sede: “Nel programma dell’amministrazione Paroli si annuncia una nuova casa circondariale vicino a Verziano - dichiara, ma la cosa è ancora un mistero. Dicono che a luglio arriverà una risposta. Vediamo”. Ungari sollecita anche l’introduzione di un kit di entrata e di uscita: “Forse la maggioranza non lo sa, ma a Milano è previsto dal 2007 - commenta -. È dal 2008 che lo proponiamo, ma nulla si è mosso”. I kit consterebbero dello stretto necessario per accompagnare l’ingresso del detenuto nel carcere: un sapone, un asciugamano, spazzolino e dentifricio, una maglietta pulita per presentarsi in tribunale, carta da lettera e francobollo. Per l’uscita si parla dell’elenco delle associazioni solidali, un biglietto del bus e una scheda telefonica con qualche euro. Milano: Pietro Maso torna in Tribunale, rischia di perdere la semilibertà Ansa, 6 maggio 2011 Pietro Maso quella frase, “io ti ammazzo”, dice di non averla mai pronunciata. L’uomo che nel 1991 a Montecchia di Crosara (Verona) uccise in modo efferato i suoi genitori per impossessarsi dell’eredità - andando poi in discoteca - e che fu condannato a 30 anni, ha sostenuto che “dopo quello che ho fatto, una frase di questo genere non mi sarebbe mai passato per la testa” davanti ai giudici del Tribunale di Sorveglianza di Milano che dovranno decidere della sua semilibertà. Un beneficio ottenuto nel 2008 e ora a rischio per una denuncia per minacce ai danni di un uomo conosciuto casualmente negli uffici di Telepace a Milano, dove Maso lavorava prima di tornare in carcere, nell’aprile scorso, quando il beneficio è stato sospeso, appunto per questa denuncia. Una denuncia che Maso reputa frutto di una falsità, tanto che ha contro denunciato per estorsione l’uomo il quale, a suo dire, sarebbe stato minacciato perché Maso non voleva restituirgli una somma ricevuta in prestito. La versione di Pietro Maso è diametralmente opposta: era stato lui a dare piccole somme all’uomo che si trovava in difficoltà; di tutta risposta aveva ricevuto delle minacce e con lui la sua compagna, una ragazza milanese, anch’ella autrice di una denuncia per minacce contro il conoscente del fidanzato. Maso, vestito con un abito di buon taglio e come sempre curato nell’aspetto, l’ha detto più volte in aula: “Non sono più la stessa persona di vent’anni fa, mai mi sarebbe passato per la testa di dire: ti ammazzo”. È rimasto sullo sfondo, invece, l’episodio del sorpasso azzardato che a Maso è costato la sospensione della patente. Dalla relazione degli agenti che l’hanno fermato emerge che ha avuto un atteggiamento collaborativo e ha anche già pagato la relativa sanzione. Il sostituto Pg ha chiesto gli atti del procedimento per minacce per decidere quali richieste presentare. I giudici si sono riservati la decisione e il loro provvedimento dovrebbe essere noto tra qualche giorno. Potrebbero decidere per la revoca della semilibertà (in questo caso sconterebbe in carcere l’anno e mezzo di pena che gli rimane); potrebbero stabilire, invece, di ripristinare il beneficio oppure, infine, ipotesi che però il suo avvocato Maria Pia Licata ritiene improbabile, decidere per l’affidamento ai servizi sociali. Maso, fino al suo ritorno in carcere poteva uscire dall’istituto di pena milanese di Opera alle 7,30 per lavorare e vi tornava alle 22,30. Pescara: quattro detenuti scontano la pena… costruendo strade Il Centro, 6 maggio 2011 Costruire strade ed edifici per ricostruirsi una vita: quattro detenuti della Casa circondariale sconteranno gli ultimi mesi di carcere lavorando nell’edilizia. Con questo risultato si è chiusa la seconda edizione di “Cementiamo la solidarietà”, il progetto per l’inclusione sociale dei carcerati. I detenuti hanno frequentato, a partire dallo scorso novembre, 320 ore di lezione su etica del lavoro, ma anche sulle tecniche di muratura, verniciatura, installazione impianti di isolamento termico e acustico. A seguire, quattro mesi di tirocinio retribuito realizzando lavori di pavimentazione delle strade e tinteggiatura di edifici. A segnare la fine del ciclo di formazione la consegna, ieri mattina, degli attestati di “Operatore edile polivalente” per Celmeta Shkelqim, Aldo Pignatelli, Bulai Marius e Ferdinando Spinelli. L’iniziativa ha coinvolto l’ente per la formazione Formedil, il Comune, la Carichieti, l’amministrazione penitenziaria, l’assessorato ai lavori pubblici e la Caritas. “Un’esperienza”, spiega il direttore della Casa circondariale di Pescara, Franco Pettinelli, “che intendiamo replicare con cadenza biennale”. Soddisfatti anche i detenuti coinvolti: “Dovrei firmare un contratto di sei mesi con il Comune per la pulizia dei parchi”, dice Aldo Pignatelli, “Questo è comunque un inizio, la vera prova arriverà tra un anno quando uscirò dal carcere”. Venezia: il Papa in visita e i detenuti gli scrivono, chiedendo una “giustizia più giusta” Ansa, 6 maggio 2011 I detenuti veneziani scrivono al Santo Padre. Alcuni detenuti del carcere maschile di S. Maria Maggiore (Venezia), anche a nome di tutti gli altri, hanno inviato una lettera aperta a Papa Benedetto XVI in occasione della sua imminente visita nel capoluogo lagunare. “Le chiediamo di farsi interprete - scrivono tra l’altro i detenuti - del nostro desiderio di avere una “giustizia più giusta” che persegue il reato non solo dei poveri disgraziati ma di chiunque ha infranto la legge. Spesso ci sentiamo etichettati in maniera generica, mentre dietro ogni colpa c’è una persona, una storia”. Camerino (Mc): costruzione di un nuovo carcere, il ministero conferma l’impegno Corriere Adriatico, 6 maggio 2011 A piccoli passi, sembra avvicinarsi il momento in cui in località Morro si potrà porre la prima pietra per la costruzione del nuovo carcere di Camerino da completare entro il dicembre del 2012. In attesa della visita in città del sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo, prevista per lunedì prossimo, da Roma arrivano positive rassicurazioni. Il sindaco Dario Conti aveva scritto a febbraio a Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia. Nei giorni scorsi è giunta la risposta da Roma, indirizzata per conoscenza anche al presidente della Regione Gian Mario Spacca. Confermo che stiamo procedendo alla redazione degli atti necessari per l’espletamento della successiva gara ad evidenza pubblica per la progettazione, riguardante progettazione, contratto, bando..., si legge nella lettera. Ionta sottolinea inoltre: Colgo l’occasione per riconoscere al Comune di Camerino di essere stata una delle forze propulsive che hanno permesso di siglare per prima, sul territorio nazionale, l’intesa con il presidente della Regione per la localizzazione del nuovo carcere. Sulle rassicurazioni romane ha espresso la sua soddisfazione il primo cittadino: Ringrazio il commissario Ionta, per come sta seguendo la procedura del nuovo carcere, che rappresenta una risorsa di grande importanza socio-economica, poiché costituisce un volano per l’economia della città e anche della zona montana, struttura destinata a rafforzare attività e istituzioni già esistenti come il tribunale, l’ospedale. L’iter per la costruzione del nuovo carcere, destinato ad ospitare circa 450 detenuti, per circa 40 milioni di euro di spesa, è iniziato con la firma del protocollo d’intesa, che ha visto coinvolti tra gli altri ministero della Giustizia, Comune, regione Marche e Dap. Una firma - conferma il sindaco - che rappresenta la prima pietra del nuovo istituto penitenziario di Camerino. In quell’occasione al primo cittadino giunse la telefonata del sottosegretario della Presidenza del Consiglio Gianni Letta che si complimentò con l’amministrazione camerinese per la forte determinazione nel perseguire il progetto. Roma: il 12 maggio conferenza su irretroattività della legge per l’ingiusta detenzione Il Velino, 6 maggio 2011 Ci sarà giovedì 12 maggio 2011, alle 16 a Roma (in Sala delle Colonne alla Camera dei deputati) l’assemblea e la conferenza stampa dei firmatari dell’appello: “Introdurre la retroattività nella legge sulla riparazione per ingiusta detenzione”. Interverranno Rita Bernardini, deputata Radicale - Pd, componente Commissione giustizia; Giovanni Russo Spena, dipartimento giustizia Prc; Andrea Orlando, responsabile giustizia Pd; Luigi De Magistris, responsabile giustizia Idv; Patrizio Gonnella, presidente Associazione Antigone; Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto; Elettra Deiana, responsabile giustizia Sel; Sandro Favi, responsabile nazionale carceri Pd; Carlo Leoni, responsabile giustizia Sel; Elisabetta Laganà, conferenza nazionale volontariato Giustizia ristretti orizzonti; Marcello Pesarini, Osservatorio permanente sulle carceri; Giulio Petrilli, responsabile giustizia Pd L’Aquila. “La norma relativa alla riparazione per ingiusta detenzione - si legge in una nota - è stata introdotta in Italia nell’ottobre del 1989 con il nuovo codice di procedura penale, ma è applicabile solo per i procedimenti in corso all’entrata in vigore del codice e non per quelli già conclusi”. “Ciò significa - continua la nota - che numerose vittime dell’errore giudiziario, contemplato dall’art.314 del codice di procedura penale, sono rimaste prive della giusta riparazione, in aperta violazione degli articoli 2 e 24 della Costituzione, nonché delle norme della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Per sanare questa inaccettabile discriminazione, sono state presentate due proposte di legge alla Camera, a prima firma Rita Bernardini (Radicali-Pd) e Pier Luigi Mantini (Udc), e una al Senato a firma dei Radicali Donatella Poretti e Marco Perduca, che introducono la retroattività nella riparazione per ingiusta detenzione. Nessuno dei testi è stato però calendarizzato. Parlamentari ed esperti di giustizia discuteranno e illustreranno i motivi per i quali è necessario intervenire legislativamente per rendere retroattiva una legge che al momento non vale per tutti”. Terni: progetto “Musica in Carcere”, domani il concerto di apertura La Nazione, 6 maggio 2011 “Musica in Carcere”, presentato a Palazzo Donini, è un progetto che mira a portare negli istituti penitenziari dell’Umbria e del Lazio la produzione culturale dei conservatori e delle scuole popolari di musica. Sabato 7 maggio, alle dieci del mattino, è in programma il concerto di apertura di “Musica in carcere”, all’interno della casa circondariale di Terni. Suoneranno la big band dell’Istituto Superiore Briccialdi ed il Mike Applebaum Jazz Project. Ne hanno parlato Federica Porfidi, presidente di Arci Ora d’Aria di Terni, Francesco dell’Aira, ex direttore del carcere di Terni, tra i promotori e organizzatori dell’iniziativa, e Andrea di Mario, rappresentante del Briccialdi. L’iniziativa, come è stato detto dagli organizzatori, si propone “di tenere accesi i riflettori su due mondi apparentemente lontani che grazie al supporto del volontariato possono interagire per mettersi uno a disposizione dell’altro e insieme richiamare l’attenzione di una società colpevolmente distratta”. Si tratta dunque di portare nelle carceri momenti di distensione ma anche il diritto di usufruire della cultura come elemento di crescita personale e collettiva. Al progetto hanno collaborato in molti, tra organizzazioni del volontariato, istituzioni culturali e gruppi musicali. Tra gli altri, oltre all’Arci, lo stesso istituto Briccialdi di Terni, il Conservatorio Morlacchi di Perugia, diverse scuole di musica e di danza, l’Orchestra Roma Sinfonietta, la Banda Nazionale “Garibaldina” di Poggio Mirteto, la cantautrice Lucilla Galeazzi. “Molto gradito” è stato definito il sostegno offerto da Ennio Morricone. Il patrocino è stato assicurato dalla Regione Umbria, dal Garante regionale dei detenuti del Lazio, dal Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, dalla Conferenza regionale volontariato e giustizia dell’Umbria. San Marino: il carcere meno affollato al mondo, un solo detenuto e sei celle a disposizione Adnkronos, 6 maggio 2011 Sei celle per un solo detenuto. È il carcere meno affollato al mondo, quello della Repubblica di San Marino. Il settimanale “Gente” lo racconta nel numero in edicola domani. Grazie al permesso e alla collaborazione concessi dalla Segreteria per gli affari esteri e dalla Segreteria alla giustizia sanmarinesi, “Gente” ha potuto visitarlo. “L’unico recluso è un nostro concittadino di circa 40 anni, condannato a 1 anno di prigione per violenza familiare ripetuta”, spiega il brigadiere Domenico Cavuoto, da 8 anni direttore dell’Istituto di pena. A fare la guardia insieme con lui ci sono altri sei gendarmi. “Ma se non ci sono prigionieri - rivela il sottufficiale - il carcere chiude e noi torniamo a fare i poliziotti per le strade di San Marino”. Il penitenziario, ospitato nell’ala di un convento di cappuccini, non ha nemmeno una cucina: “I pasti e le cene ai detenuti li prepara tutti giorni un ristorante”, dice Cavuoto. Cina: rilasciato dopo 10 anni di carcere attivista in precarie condizioni di salute Adnkronos, 6 maggio 2011 È tornato in libertà dopo 10 anni di carcere cui era stato condannato con l’accusa di “incitazione alla sovversione del potere dello stato” l’attivista cinese Li Wangyang, 60 anni. Rilasciato da una prigione nella provincia centrale di Hunan, Li versa - secondo la testimonianza di un altro attivista che lo ha incontrato - in precarie condizioni di salute. “A stento riesce a vedere e sentire” ha affermato l’altro attivista parlando con la Dpa e precisando che le condizioni di salute dell’amico “erano già cattive prima che venisse rinchiuso in cella” dove in totale ha trascorso 21 degli ultimi 22 anni.