Giustizia: ricerca Dap; con misure alternative meno recidiva, solo il 19% contro il 68% Redattore Sociale, 5 maggio 2011 Il commento della Fondazione Michelucci: “Non ci sono ragioni oggettive per dire che l’affidamento in prova al servizio sociale debba provocare allarme sociale”. Il detenuto a cui viene concessa una misura alternativa al carcere ha una recidività minore rispetto a chi sconta la propria pena all’interno di una cella. Nello specifico, la recidiva, trascorsi sette anni dalla conclusione della pena, si colloca intorno al 19% in caso di pena alternativa, mentre raggiunge il 68,4% quando la stessa viene eseguita in carcere. Sono i risultati emersi da una ricerca del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria illustrata stamattina nel corso del convegno dal titolo “Il carcere nella città. La città nel carcere”, promosso dalla regione e dalla fondazione Giovanni Michelucci. La fondazione Michelucci ha inoltre fatto un confronto fra la situazione delle misure alternative in corso prima del condono e quelle dopo il condono. Nel 2004 i condannati in carcere erano 35.033, le misure alternative 22.675. Nel 2010 i condannati in carcere sono aumentati di 2.400 unità, passando a 37.432 e le misure alternative sono diminuite di circa 7 mila unità, passando a 15.824. In percentuale, il rapporto fra condannati in carcere e in misura alternativa che nel 2004 era di 60,7% a 39,3%, nel 2010 si è modificato in 70,3% a 29,7%. “A questo - ha commentato il presidente della fondazione Alessandro Margara - si è giunti indubbiamente a seguito delle modifiche legislative intervenute fra la fine del 2005 e l’inizio del 2006 (legge 5/12/2005 ex-Cirielli e legge 21/2/2006 Fini-Giovanardi, aggiunte ai precedenti e successivi aggravamenti della legge sull’immigrazione), che hanno inciso sul peggioramento della situazione, ponendo limiti di ammissibilità a misure alternative per i recidivi, che sono i clienti abituali del carcere, e conseguentemente dei benefici previsti per i condannati. Ma è abbastanza evidente, e lo era anche prima del condono, che c’è un sensibile irrigidimento nella concessione dei benefici penitenziari ai condannati da una parte significativa della magistratura di sorveglianza”. Secondo i dati forniti alla fondazione dal Tribunale di sorveglianza di Firenze relativamente alle durate di affidamenti in prova ai servizi sociali nel biennio 2009-2010, a fronte dei 484 casi osservati, si nota l’elevato numero di periodi brevi di misura: la percentuale degli affidamenti brevi fino a 6 mesi è doppia rispetto a quella degli affidamenti lunghi, oltre i due anni, in termini assoluti 116 a 57. Molti gli affidamenti ordinari fino a un mese (23), da un mese fino a due (15), da due mesi a tre (20), da tre a sei mesi (54). I reati relativi alle violazioni delle leggi stupefacenti sono il 33% per gli affidamenti ordinari e addirittura il 41 % per gli affidamenti in casi particolari, seguiti dai reati contro il patrimonio: 22% per gli affidamenti ordinari e 25% per gli affidamenti in casi particolari; seguono i delitti contro la persona: 9% e 3% rispettivamente ai due gruppi di affidamenti; 9 e 16% anche per il gruppo eterogeneo degli “altri” reati. I valori indicati sono da calcolarsi sulla cifra complessiva degli affidamenti considerati. Complessivamente è possibile affermare che la prevalenza dei reati è per violazioni delle leggi sugli stupefacenti. “In sostanza - ha aggiunto Margara - non ci sono ragioni oggettive per dire che l’affidamento in prova al servizio sociale, la misura alternativa più ampia, debba provocare allarme sociale. Questa misura funziona ed ha una ricaduta positiva sulla riduzione della recidiva, come è stato dimostrato dalla ricerca. Non occorre inventare nuove misure, come ha fatto il ministero della giustizia con la L. 199/2010 (Esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno). Bisogna invece far funzionare meglio quelle già esistenti e collaudate da tempo e rimuovere gli ostacoli rappresentati da leggi incostituzionali, come la c.d. Ex-Cirielli”. Giustizia: il sovraffollamento si potrà affrontare… solo quando il governo avrà i soldi di Rita Dietrich Rinascita, 5 maggio 2011 Solo mezz’ora, non più di trenta minuti da dedicare al problema del sovraffollamento carceri. Poi occorre passare a temi più importanti, come per esempio la diretta della votazione sulle mozioni riguardanti l’intervento italiano in Libia. Ecco come ha liquidato la Camera l’analisi sulle sette mozioni presentate da diversi parlamentari appartenenti a differenti schieramenti politici. Certo il problema della Libia è un tema molto caldo in questi giorni, ma il fatto è che non mancheranno mai argomenti più urgenti di quello relativo al sistema carcerario italiano, che nel frattempo andrà sempre più verso il collasso. Ciò che determina tale situazione, non è da imputare soltanto ad una scelta di priorità politica, lo dimostra il fatto che sull’emergenza carceri convergono tutti gli schieramenti, ma il fatto che non ci sono i soldi per realizzare alcun piano, nonostante i ripetuti annunci del governo e del ministro della giustizia Angelino Alfano. A bloccare infatti la discussione, ormai resa inutile, è stata la dichiarazione che: l’Aula può esprimersi solo sugli impegni “nei limiti delle disponibilità finanziarie”, e siccome di disponibilità finanziaria non ce ne sono, la conclusione va da sé. E per calmare le reazioni dei firmatari delle mozioni, che ovviamente non hanno ben accolto la notizia, rimangono soltanto parole di Luigi Vitali, deputato del Pdl: “L’argomento è particolarmente importante e sensibile. Forse è opportuno rinviarlo ad altra seduta”. Ma se questo è quello che accade nei palazzi, tutt’altra realtà si manifesta ogni giorno nei 206 penitenziari italiani, molti dei quali ormai sono vicini al raddoppio di carcerati rispetto al numero legale dei posti. Così continua, senza alcuna risposta concreta, la pioggia di lettere spedite dai diversi penitenziari al ministero, al parlamento e anche al Dipartimento di Polizia Penitenziaria con tanto di descrizioni dettagliate delle criticità. Nella casa circondariale di Ranza, San Gimignano, il personale è sotto del 40% rispetto a quello previsto, ma per fare nuove assunzioni ci vogliono i soldi, e quindi nulla da fare, per il momento. Nel carcere di Catania di Piazza Lanza mancano quasi la metà delle guardie a fronte di 580 detenuti invece dei 220 previsti. Nel carcere di Bicocca, sempre a Catania, i 180 detenuti possono usufruire soltanto di metà edificio, a causa degli interminabili lavori di ristrutturazione. Ma per accelerare i tempi ci vogliono altri soldi, e così anche qui occorre aspettare, soprattutto visto che mancano i fondi persino per la manutenzione ordinaria. La Casa Circondariale di Giarre, invece, che doveva ospitare soltanto detenuti a custodia attenuata, oggi per i problemi della carenza dei posti si ritrova ad accogliere tutti i tipi di carcerati, senza però che sia stata adeguata la sicurezza. E questi sono solo alcuni degli esempi più recenti. In realtà se ne potrebbero fare per tutti i 206 penitenziari presenti nel territorio italiano. Alla luce di tutto ciò, come sorprendersi allora che nel 2010 sono stati 1.137 i detenuti che hanno tentato il suicidio, ai quali si affiancano altri 5.703 che hanno commesso atti di autolesionismo più 3.039 ferimenti. Per non contare i vari scioperi della fame, che in certi casi hanno visto uniti nella protesta i detenuti insieme alle loro guardie. E mentre ogni giorno vengono pubblicati nuovi numeri e aggiornate le statistiche, suonano a vuoto le denunce di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “I dati recentemente elaborati dall’Amministrazione Penitenziaria relativi agli eventi critici accaduti nelle carceri italiane nel corso dell’anno 2010 - ha sottolineato Capece - devono fare seriamente riflettere sulle evidente problematiche del sistema, rispetto alle quali è assolutamente necessario una riforma organica e strutturale”. E così si continua a riflettere, a riflettere e poi ancora riflettere. Tanto le riflessioni sono gratis e non implicano nessun esborso da parte del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Giustizia: Favi (Pd); il ministro Alfano deve rispettare gli impegni presi per le carceri Agenparl, 5 maggio 2011 “Alla ripresa dei lavori parlamentari dopo la pausa per le elezioni amministrative, la Camera dei Deputati voterà le mozioni sul carcere. Ancora una volta il Parlamento chiede, al Ministro della Giustizia Alfano impegni precisi di fronte alla drammatica situazione dei nostri penitenziari”. È quanto si legge in una nota di Sandro Favi, Responsabile nazionale carceri del Pd. “Da quando il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza (gennaio 2010) ci sono 2000 detenuti in più, 1600 agenti di polizia penitenziaria in meno e per il piano carceri sono stati resi disponibili solamente 175 milioni di euro: 75 milioni tratti dal bilancio dell’amministrazione penitenziaria e 100 dalla Cassa delle Ammende. Nel solo 2011 sono morti 45 detenuti e 2 agenti. I 500 milioni di euro previsti dalla Finanziaria 2010 non sono ancora stati messi a disposizione del Commissario straordinario Ionta. I progetti di costruzione, dei nuovi padiglioni e dei nuovi istituti, sono in alto mare e siamo ancora lontani dalla definizione di un piano operativo idoneo ad affrontare la drammatica situazione in cui versano le nostre carceri. Nel frattempo, le risorse finanziarie a disposizione del comparto penitenziario sono state diminuite e ormai quasi il 90 per cento del bilancio è costituito da stipendi e altre spese per il personale. Cosicché l’Amministrazione penitenziaria ha oltre 150 milioni di debiti presso i propri fornitori. Il Sottosegretario Casellati non può blindare, quindi, la discussione delle mozioni sul carcere ai vincoli di bilancio imposti da Tremonti perché la situazione di crisi finanziaria del penitenziario è conclamata ed è destinata a produrre la paralisi dell’intero sistema. Ci auguriamo che gli impegni assunti da Alfano nel gennaio del 2010, alla Camera e al Senato, e quelli che assumerà prossimamente saranno onorati perché veramente le cose cambino sia per le condizioni di vita dei detenuti e della tutela della loro salute, sia per le condizioni di lavoro degli operatori, a cominciare dagli agenti della polizia penitenziaria. Fino ad oggi abbiamo solo ascoltato parole e intenti che non hanno trovato però riscontro nell’azione del Governo”. Giustizia: Cenni (Pd); da noi nuove sollecitazioni sui problemi del sistema penitenziario Agenparl, 5 maggio 2011 “Trovo opinabile la scelta del nuovo direttore generale del personale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Riccardo Turrini Vita, di non ricevere e ascoltare i parlamentari della Repubblica che provano a svolgere il loro compito di rappresentanza di un territorio e delle sue criticità, ed esprimo nuovamente tutta la mia profonda preoccupazione circa la grave situazione che riguarda il carcere di Ranza”. Con queste parole Susanna Cenni, deputata Pd, commenta il mancato incontro con il Dr Turrini Vita per parlare dello stato e delle problematiche delle carceri, in particolare quello di Ranza a San Gimignano. “Le ragioni di queste difficoltà sono molteplici - continua Cenni in una lettera inviata,dopo il diniego all’incontro, al dirigente del Dap (lettera alla quale solo in data di oggi è giunta una risposta, garbata e forbita nei linguaggi, ma assolutamente priva di qualsiasi risposta e contenuto di merito) - ma in particolare segnalo la drammatica carenza di personale, stimata oggi intorno al 40% di quello previsto, il sovraffollamento dei detenuti, che sono circa il doppio del livello tollerabile, e le problematiche ancora irrisolte di carattere ambientale ed igienico sanitarie, presenti da alcuni anni nella struttura. Negli ultimi anni, inoltre, si sono registrati gravi e ripetuti episodi di autolesionismo, tentativi di suicidio e di evasione che non si sono trasformati in tragedie solo grazie all’alto senso di responsabilità del personale, che svolge turni ben superiori al normale orario”. È stata avviata la discussione in aula sulla mozione carceri proposta dal Partito democratico - la votazione avverrà in altra seduta - nella quale si chiede al Governo un impegno concreto nel ripensare il modello unico di istituto penitenziario attuale; reperire le risorse finanziarie necessarie all’adeguamento dell’organico di polizia penitenziaria, in modo da gestire le misure alternative alla detenzione; riordinare la medicina penitenziaria, a tutelare il diritto alla salute per i carcerati e per le persone in attesa di giudizio. “In questo nuovo indirizzo della politica carceraria - prosegue Cenni - il Governo dovrebbe affrontare con la massima urgenza il problema dei detenuti tossicodipendenti, procedere alla modifica della legge cosiddetta ex Cirelli, con la quale si preclude ai condannati recidivi reiterati l’accesso agli arresti domiciliari. Dovrebbe invece provvedere all’utilizzo dei 397 posti di educatore penitenziario e ad informare il Parlamento sullo stato di attuazione del piano carceri, relativamente agli interventi di edilizia penitenziaria ipotizzati dallo stato d’emergenza, nonché che fine abbia fatto l’impegno all’assunzione di 2000 nuovi agenti, tra i quali quelli destinati a Ranza, tutti impegni dichiarati dal Consiglio dei Ministri già nel 2010. Chiediamo infine al Governo di affrontare con urgenza e decisione le cause dell’elevato numero di morti e di suicidi in carcere nonché dei fenomeni di autolesionismo e di violenza in genere”. “La situazione del carcere di Ranza - denuncia Cenni - è come noto insostenibile ed è stata più volte denunciata dalle istituzioni locali, dalle organizzazioni sindacali e dal Dap della Toscana. Le iniziative parlamentari in materia sono state numerose ma ad oggi non hanno ottenuto azioni risolutive da parte del governo e dei ministeri competenti. Da quattro anni, inoltre, la casa di reclusione non ha un direttore stabile, elemento che non aiuta a fronteggiare la situazione di emergenza nella quale si trova. Nonostante l’impegno da parte delle istituzioni locali per risolvere la questione, è indispensabile che il Ministero della Giustizia e il Dap diano alcune risposte risolutive in merito alla situazione di carenza del personale, all’assegnazione di una direzione stabile per l’istituto e all’intervento sulla situazione della rete idrica del carcere. Francamente l’assoluta mancanza di impegno ad approfondire e a cercare le soluzioni da parte del ministro, ma anche dei vertici del Dap, come si legge dalla risposta, sono inaccettabili. Sia a livello locale che a livello nazionale la questione delle carceri è delicata e richiede impegno e dialogo tra le varie istituzioni, al fine di trovare la soluzione migliore per le problematiche riscontrate, ma davanti a noi troviamo solo chiusura e disimpegno”, conclude Cenni. Giustizia: Stefani (Lega); disponibili costruire carceri in Romania per rimpatrio detenuti Ansa, 5 maggio 2011 L’Accordo tra Italia e Romania relativo al trasferimento delle persone condannate con sentenza definitiva siglato nel 2003 ed in vigore dal 2006 è stato l’argomento centrale del colloquio - oggi a Bucarest - del Presidente della Commissione esteri della Camera dei Deputati Stefano Stefani con il Ministro della Giustizia romeno, Catalin Marian Predoiu. “I dati a disposizione - ha affermato Stefani - parlano di una carente attuazione dell’accordo alla luce degli oltre 3.500 detenuti romeni che si trovano al momento nelle carceri italiane”. A tal proposito il ministro Predoiu ha dichiarato il fermo interesse e la massima disponibilità della Romania ad accelerare il processo di attuazione dell’Accordo e a riportare i detenuti romeni nel loro Paese per contribuire a porre rimedio alla situazione di sovraffollamento delle carceri italiane. Su invito del Presidente Stefani, il ministro Predoiu si è detto disponibile a partecipare ad un tavolo con i ministeri dell’interno e della giustizia italiani finalizzato a individuare i nodi problematici. infatti emersa, nel corso dell’incontro, la necessità di porre mano ad eventuali interventi di natura legislativa per ovviare alla attuale lentezza delle procedure. Al riguardo, il presidente Stefani ha espresso la disponibilità del Parlamento italiano a operare in tal senso richiamando gli atti di indirizzo e controllo presentati alla Camera sul tema dei detenuti stranieri in Italia. Stefani ha inoltre espresso soddisfazione per l’apertura e la disponibilità manifestata dal ministro Predoiu ed ha sottolineato che il ruolo attivo della Romania in Europa dipende anche dalla positiva soluzione di questioni bilaterali come quella della condizione dei detenuti romeni all’estero. “L’Italia - ha detto Stefani - sarebbe senz’altro disponibile a contribuire alla realizzazione in Romania di nuove Case circondariali destinate ad ospitare i detenuti”. Giustizia: i dirigenti penitenziari aderiscono allo sciopero generale Cgil di domani Comunicato stampa, 5 maggio 2011 Nonostante le ultime dichiarazioni del Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria annunciassero la fine dell’emergenza carceri e l’avvio, quindi, di progettualità volte a riformare il sistema, constatiamo, ancora una volta, come il carattere demagogico dell’annuncio prevalga sulla consapevolezza di una governance finalizzata ad arginare l’imminente paralisi istituzionale del sistema penitenziario. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) ha dimostrato, fino ad oggi, approssimazione nella valutazione delle gravi problematiche che lo caratterizzano e totale incapacità di produrre una seria politica di gestione del personale ed un coerente progetto organizzativo mirato ad innovare il sistema e a contrastare il totale stato di abbandono in cui si lo stesso si trova. È in tale contesto che si colloca la scandalosa vicenda della dirigenza penitenziaria, determinata dalla legge 154 del 2005 voluta fortemente dalla maggioranza dei direttori penitenziari e favorita anche da ambienti ministeriali. Una riforma che promosse ope legis i direttori a rango di dirigenti, delineando i tratti di una dirigenza di diritto pubblico, in analogia con quanto era accaduto per il comparto similare dei Dirigenti di Prefettura. I 450 dirigenti penitenziari ( di istituto penitenziario e di uffici di esecuzione penale esterna), a circa sei anni dalla Legge sono senza contratto ( tecnicamente accordo negoziale ) e fruiscono di un trattamento economico provvisorio, parametrato a quello iniziale della Polizia di Stato, senza riconoscimento di anzianità e di progressione in carriera. Dirigenti di diritto Pubblico, quindi, ai quali gli istituti dell’ordinamento professionale vengono applicati in maniera discrezionale dalla Amministrazione. Dirigenti ai quali la mobilità, peraltro scarsissima, viene accordata singolarmente e nonostante il numero teoricamente lo consentirebbe, molti Istituti penitenziari e Uepe sono privi di Dirigenti titolari. La recente bozza di Decreto Ministeriale sulla individuazione dei posti di funzione, all’esame del Ministro Alfano, non riduce la problematica, anzi la accentua, finendo con l’accentrare ancora più funzioni, e di conseguenza un maggior numero di dirigenti presso gli uffici centrali del Dap, ed in particolare del Capo Dipartimento: tutto questo nonostante nella premessa si dichiari di che “...è stata privilegiata, nella ripartizione delle risorse umane di livello dirigenziale, l’organizzazione degli istituti penitenziari rispetto al livello organizzativo centrale”. Inoltre, rispetto al precedente D.M.,. viene ridotta l’aliquota dei dirigenti degli Istituti e vengono declassati gli Uffici di esecuzione penale esterna delle maggiori circoscrizioni. I Dirigenti penitenziari dicono basta, è ora di far sentire il proprio dissenso, è ora di rivendicare a viva voce: un contratto di lavoro che dia loro dignità professionale, status giuridico, diritti e garanzie; una razionale distribuzione delle risorse professionali sul territorio, negli istituti e negli Uepe ove si concretizza l’esecuzione penale, snellendo le strutture di supporto e burocratiche (Provveditorati regionali e Dipartimento centrale); un serio e coerente progetto organizzativo mirato ad arginare il totale stato di abbandono in cui si trova il sistema penitenziario. Per questi motivi I dirigenti penitenziari aderiranno allo sciopero generale del 6 maggio p.v. indetto dalla Cgil. Un primo modo per partecipare la condivisione degli obiettivi della protesta. Un modo per rappresentare l’unitarietà dei lavoratori nella opposizione allo smantellamento della democrazia. Giustizia: Osapp; gravissimo sovraffollamento, 131 milioni € debiti e carenze di organico Ansa, 5 maggio 2011 “67.600 presenze per 44.800 posti, 131 milioni di euro di debito e una carenza di organico che tra polizia penitenziaria altri profili che assomma ad almeno 10,000 unità, è questa l’attuale situazione del sistema penitenziario italiano a fronte di prospettive future non certo più rosee.” è quanto si legge in una lettera all’indirizzo del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a firma di Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “I gravi debiti dell’Amministrazione penitenziaria, accumulati negli ultimi tre anni, riguardano situazioni anche di notevole allarme - prosegue il leader dell’Osapp - quali quelle riguardanti le spese per i servizi di missione e di traduzione dei detenuti da parte del personale di polizia penitenziaria o i canoni di acqua, luce e gas necessarie all’erogazione dei servizi nelle celle detentive e negli alloggi del personale”. “Ma le situazioni gravi nono finiscono qui e, secondo i nostri calcoli - indica ancora il sindacalista - i fondi per il pagamento delle spese per il vitto ai detenuti termineranno non oltre il prossimo mese di settembre, tant’è che già adesso, una notevole quantità di generi destinati ai detenuti è a carico delle associazioni di volontariato che si occupano di carcere e questo non ci sembra degno di un Paese civile”. “Se consideriamo, inoltre, che le attuali misure deflattive quali la detenzione domiciliare con 12 mesi di pena residua (7.000 detenuti interessati) e, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia europea, la decadenza del reato di clandestinità (1.300 detenuti che dovranno essere scarcerati) hanno come unico effetto quello di “rallentare” da 800-1.000 a 200-500 mensili i nuovi ingressi in carcere, mentre gli iniziali 5.000 posti detentivi in più del il c.d. piano-carceri non potranno essere disponibili, bene che vada, prima di gennaio 2013, probabilmente per il carcere in Italia sono necessari ulteriori impegni anche dal punto di vista normativo” “Soprattutto, appare assolutamente indifferibile - conclude Beneduci - che il Ministro della Giustizia Alfano, a cui il sistema penitenziario ha dato molte meno preoccupazioni e, grazie alla professionalità del Personale, anche quale soddisfazione rispetto al sistema giudiziario, si faccia promotore delle irrinunciabili riforme strutturali a partire da quella della polizia penitenziaria”. Giustizia: carcere di Bollate, quando la “pena utile” è possibile di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 5 maggio 2011 L’ultima dal carcere milanese di Bollate ci racconta di una squadra di cavalli allevati e accuditi da detenuti, appositamente formati, che acquisiscono il diploma di scudieri groom, artieri. Veri e propri mestieri di qualità imparati in prigione. Da anni da Bollate arriva un messaggio: “rendere la pena utile è possibile”. Lucia Castellano, autrice insieme a Donatella Stasio del libro “Diritti e Castighi” nel quale racconta la sua idea di detenzione, dirige la struttura milanese, divenuta una dei fiori all’occhiello dell’amministrazione penitenziaria. In sintesi può descrivermi il progetto Bollate? L’istituto nasce nel 2000 come carcere a custodia attenuata ed è la prima e unica sperimentazione di questo ampiezza in Italia. Esperienze analoghe vengono condotte con gruppi ristretti di detenuti o in carceri di piccole dimensioni. Bollate ospita 1100 detenuti, tra cui 50 donne, tutti della categoria dei cosiddetti “comuni”, (nessuno appartenente alla criminalità organizzata), che hanno commesso i reati più svariati. Circa 10 sono gli ergastolani, gli altri hanno pene che vanno da un minimo di 3 a un massimo di 30 anni. Gli addetti ai lavori sono 390 poliziotti, 13 educatori, 4 psicologi e circa 50 unità tra personale amministrativo e sanitario. L’esigenza da cui partiamo è quella del reinserimento socio-lavorativo dell’utenza e della prevenzione della recidiva. Il carcere viene concepito come una piccola città. Per realizzare questo obiettivo si lavora su diversi livelli. Il primo è la progressiva perdita dell’autoreferenzialità dell’istituzione. Il secondo è la responsabilizzazione del detenuto rispetto all’organizzazione della giornata detentiva. Il terzo livello è quello dell’organizzazione di opportunità lavorative e formative all’interno e all’esterno dell’istituto. Sono 4 le cooperative sociali attive dentro le mura (catering, giardinaggio, sartoria, falegnameria). 3 le aziende “profit” che assumono detenuti (circa 200 in totale) con propri capannoni all’interno. L’offerta scolastica arriva fino alla scuola superiore. Ci sono circa 10 studenti universitari. Quali sono i progetti da voi portati avanti a cui credete maggiormente rispetto alle potenzialità di reintegrazione sociale? Il momento più delicato e importante del progetto è quello dell’accompagnamento graduale delle persone detenute verso una definitiva libertà. A Bollate si punta moltissimo sul lavoro all’esterno dell’istituto (90 detenuti beneficiano attualmente di questa misura). 30 detenuti lavorano alle dipendenze dell’Amsa, 8 al canile municipale, molti altri alle dipendenze di aziende private. Quanto le offerte educative incidono positivamente sulla recidiva? Abbiamo realizzato uno studio statistico: su un campione di 100 detenuti qui ospiti dal 2002 al 2009 ammessi a fruire del lavoro all’esterno e poi delle misure alternative alla detenzione. Il tasso di recidiva è del 12%, a fronte del 16% circa di chi fruisce di misure alternative da altri istituti e del 70 di chi non ne fruisce affatto. Giustizia: crac Parmalat; condanna definitiva di 8 anni per Tanzi, la Cassazione ordina l’arresto La Stampa, 5 maggio 2011 “Cavaliere, si prepari...”. A portargli la notizia, nella villa immersa nella campagna di Langhirano, è stato il suo avvocato, Giampiero Biancolella, seguito poche ore dopo da un medico. E non è stata una bella notizia, perché ieri la quinta Sezione della Corte di Cassazione ha confermato la condanna definitiva per Calisto Tanzi a 8 anni e un mese di reclusione, due anni in meno della sentenza d’appello, ma sempre sufficienti per finire in carcere. Ed è “solo” la condanna per il processo milanese di aggiotaggio, mentre è ancora in corsa con la prescrizione il processo per bancarotta di Parma, dove in primo grado l’ex lattaio di Collecchio si è visto infliggere 18 anni. Ora l’ex Cavaliere (disarcionato con un decreto del Presidente della Repubblica) rischia di tornare in carcere. Infatti, la sentenza è esecutiva e comporta teoricamente l’arresto immediato. Ma tutto dipenderà dalla decisione -nei prossimi giorni - dell’ufficio esecuzione della procura di Milano, al quale preventivamente i legali di Tanzi, che non si facevano troppe illusioni, hanno fatto arrivare nei giorni scorsi un’istanza di sospensione in attesa che il giudice di sorveglianza si esprima sulla possibilità che l’ex patron di Collecchio possa accedere direttamente agli arresti domiciliari. Infatti, anche se previsto per gli ultrasettantenni, l’applicazione di questa legge non è automatica: il giudice dovrà valutare una serie di variabili e la presenza di cosiddetti “reati ostativi”, in cui non sembra rientrare quello di aggiotaggio. Ciò nonostante non è affatto scontato che la Procura accolga l’istanza di sospensione chiesta dai legali, avendo i pm appena l’anno scorso combattuto in Cassazione affinché Tanzi tornasse in carcere proprio in vista della sentenza di ieri, nell’ipotesi che l’ex padrone di Parmalat potesse fuggire e avesse tutt’ora “ingenti disponibilità” di denaro all’estero. Colpa del misterioso viaggio a Quito del 2003, che Tanzi fece con la moglie pochi giorni prima di essere arrestato, incontrando personaggi e faccendieri di cui non ha mai dato conto e, sospettano i magistrati, occultando il suo patrimonio personale. L’ex Cavaliere ha però giurato di non possedere più nulla. Con buona pace dei piccoli risparmiatori truffati. Che dovranno farsi una ragione anche del fatto che gli eventuali domiciliari passeranno in fretta nella “prigione” della villa con piscina e campi da tennis della moglie. Non più di un anno, visto che tra i 3 di condono, i 3 di affidamento ai servizi sociali e i 9 mesi di carcere “pre-sofferto”, alla fine, su 8 anni e un mese di reclusione definitivi, rimarranno da scontare non più di 13 mesi. Si potrà discutere se siano troppi o troppo pochi (e c’è lo spettro dei 18 anni in arrivo da Parma), ma di fatto Tanzi conquista il poco invidiabile record di essere forse il primo in Italia a pagare un prezzo così alto per un reato finanziario di cui certo non è stato l’unico responsabile, anche se i giudici recentemente hanno assolto le banche che la Procura aveva chiamato sul banco degli imputati. Ieri la Cassazione ha confermato nel complesso l’impianto accusatorio riducendo in generale le condanne per intervenuta prescrizione di alcuni reati (un anno due mesi e 15 giorni per Luciano Silingardi) confermando inoltre il risarcimento a 103 milioni di euro (provvisionale a 100 milioni) per gli oltre 32 mila risparmiatori che si erano costituiti parte civile capitanati dal professor Carlo Federico Grosso. Infine, i giudici hanno annullato con rinvio in appello la condanna a 2 anni e 6 mesi per Giovanni Bonici, ex presi dente di Parmalat Venezuela e respinto un ricorso di Bank of America. Lettere: la giustizia in prigione di Furio Colombo Il Fatto Quotidiano, 5 maggio 2011 Caro Colombo, abbiamo ascoltato il ministro della Giustizia Alfano snocciolare i numeri della attività in ambito penitenziario: “Abbiamo emesso tot provvedimenti di sottoposizione al regime del 41 bis, abbiamo creato tot nuovi posti in carcere senza la necessità di fare indulti” e altre cose del genere. Come se l’emissione di quei provvedimenti di carcere duro siano un motivo di vanto e non una debolezza della nostra società, a meno che la società italiana non ritenga la tortura un vanto. Mentre i posti che l’on. ministro dice di avere creato sono quelli diventati tre in una cella dove dovrebbe stare un solo detenuto, aumentando così il rischio che le carceri esplodano irrimediabilmente. Fermate il massacro e riportate la legalità nelle carceri. Francesco La lettera a cui sto rispondendo viene da un carcere (Milano) ed è molto più lunga. Affronta il caso di Calisto Tanzi, che, circondato dalla sua armata di avvocati, è riuscito finora a non entrare neppure per un giorno in prigione. Cita il celebre Totò Cuffaro, che, a quanto dice il detenuto Francesco (che firma con nome e cognome), è stato subito accolto nel reparto G8 di Rebibbia che, precisa la lettera, non è un albergo a cinque stelle. Però “in quel reparto sono attuati tutti i regolamenti e le garanzie e il rispetto che la legge, teoricamente, stabilisce per ogni detenuto”, e che, in realtà sono negati a tutti gli altri (“tranne a chi ha santi in Parlamento”). La prima cosa che mi ha colpito, in questa lettera, oltre all’evidente, sincero sfogo di verità, è il linguaggio. Lo avranno notato anche alcuni lettori. È il linguaggio dei Radicali, la radio e i politici, come Rita Bernardini e Marco pannella, che erano in giro per le carceri italiane anche pochi giorni fa (per esempio il giorno di Pasqua). So benissimo ciò che altri parlamentari potrebbero osservare a questo punto: in carcere ci andiamo anche noi, per vedere, sapere e testimoniare. È vero. Ma solo i Radicali ne hanno fatto uno dei loro principali impegni politici. Francesco lo dice con chiarezza, un po’ disperata che, purtroppo, suona realistica: le carceri stanno per esplodere. Perché gli altri (i partiti, i movimenti politici di opinione, il governo, le opposizioni) non lo vedono e non dedicano tempo ed energia a un problema così grave e urgente? Costa, certo. Ma è un problema che non va via, e che viene trattato come le scorie quando ti parlano della modernità del nucleare (poi si vedrà, si troverà certo una soluzione, ti dicono) o dei rifiuti urbani che, oltre una certa soglia di trascuratezza, diventano assedio inestricabile e forte minaccia. Qui però c’è di mezzo, due volte, il valore e la dignità della vita umana: salvarla ma poi garantirla, giorno per giorno, in quel lunghissimo percorso (lunghissimo anche se dura solo un anno) che è il vivere in prigione. Non occorre santità o altruismo per dedicarsi a questo grave problema della Repubblica (ma anche della sua dignità, della sua immagine). Occorre un nitido senso politico, occorre sapere che nessun problema si risolve da solo, meno che mai quelli che coinvolgono centinaia di migliaia di vite umane. Da una parte c’è la voce di Francesco, che non andrà via, non smetterà di chiedere civiltà. Dall’altra c’è un disinteresse pericoloso e difficile da spiegare perché esteso e, disgraziatamente, bipartisan. Quanto durerà l’attesa che qualcuno, oltre ai Radicali, veda all’improvviso tutta la gravità di questo problema? Certo, mentre scrivo se ne sta discutendo alla Camera. Ma non preoccupatevi, passa subito. Anzi, un minuto dopo, il futile problema è già stato rinviato a nuova data. Furio Colombo Toscana: l’assessore Allocca; dobbiamo costruire un altro modello di espiazione delle pene In Toscana, 5 maggio 2011 L’assessore regionale al welfare è intervenuto al convegno “Il carcere nella città. La città nel carcere” organizzato dalla Regione in collaborazione con la Fondazione Michelucci “Aveva ragione Sant’Agostino quando diceva che la speranza ha due figli: la rabbia e il coraggio. Ecco, queste cose dobbiamo averle noi tutti, amministratori e cittadini, per provare a cambiare le cose e risolvere una situazione, come quella del carcere, davvero complicata”. L’assessore regionale al welfare è intervenuto oggi pomeriggio alla tavola rotonda al convegno ‘Il carcere nella città. La città nel carcerè organizzato dalla Regione in collaborazione con la Fondazione Michelucci. “Il carcere - detto ancora Allocca - è lo specchio feroce del disagio sociale che stiamo vivendo oggi in Italia. Sono due i pensieri espressi durante la sessione di questa mattina che secondo me riassumono bene la situazione. Il primo appartiene al presidente della Fondazione Margara che ha detto che in Italia non è aumentata la criminalità, ma la criminalizzazione. É vero, viviamo nella cultura della paura, creata ad arte, siamo una società profondamente insicura. Dobbiamo essere capaci di costruire un altro modello, basato sulla valutazione del rischio. Il secondo è del presidente dell’Associazione Antigone, Patrizio Gonnella, che ha ricordato come la dignità delle persone non può essere subordinata a politiche di bilancio. Le risorse, è vero, mancano e saranno ancora meno, ma bisogna anche essere bravi a spenderle nel modo giusto. Ci vogliono bravi amministratori ma anche bravi cittadini”. “Migliorare la situazione tragica delle nostre carceri - ha concluso Allocca - è un compito arduo e gli strumenti in mano a Regione ed enti locali sono limitati. Però quel poco che siamo in grado di fare dobbiamo farlo, rafforzando la collaborazione che già esiste e attivando esperienze innovative, come quella della figura dell’educatore ponte, che finora hanno dato risultati incoraggianti”. Nella prima parte della sessione pomeridiana sono state illustrate le modalità di intervento in favore del carcere, a disposizione di Regione ed enti locali, e le attività realizzate negli ultimi anni. Il progetto regionale sperimentale per la creazione della figura dell’educatore ponte è unico in Italia. Si tratta di quei soggetti destinati a fornire un tramite tra il personale socio-educativo della struttura penitenziaria e quello socio-educativo del territorio (Comuni, Province e Zone). L’operatore, opportunamente formato, entra nel carcere e prende in carico detenuti a fine pena per condurli in un percorso di reinserimento sociale e lavorativo. Il primo bando è del 2008, quasi 120 mila euro a disposizione (96 mila dalla Regione). Quattro i territori (Firenze, Pistoia, Prato e Siena) e 5 gli istituti coinvolti. 6 gli educatori formati, 700 i detenuti contattati e più di 1000 i colloqui svolti. Il secondo è partito a fine 2010 e prevede altri 120 mila euro di finanziamento. Per l’inserimento socio-lavorativo di detenuti ed ex detenuti la Regione ha dato vita ad altri due bandi. Il primo, del 2008, che ha potuto contare su un finanziamento totale di oltre 300 mila euro (180 mila dalla Regione), ha dato esiti molto positivi: 6 progetti conclusi e 82 persone coinvolte, 31 delle quali alla fine del percorso hanno trovato un lavoro. Il secondo, che ha attivato altri 5 progetti, è in corso e ha una dotazione economica di circa 215 mila euro (150 mila dalla Regione). La Fondazione Michelucci ha inoltre condotto, per conto della Regione, una ricerca sulla spesa degli enti locali per interventi sociali in ambito carcerario nel periodo 2007-2009 (Regione esclusa). Nel 2007 sono stati spesi circa 900 mila euro, 1.320.000 euro nel 2008 e 1.080.000 euro nel 2009. Rispetto al tipo di intervento le cifre maggiori riguardano l’accoglienza residenziale e l’accompagnamento ai percorsi di reinserimento sociale (2007: 375.653,00; 2008: 606.485,00; 2009: 618.485,00); le attività culturali, corsistiche, ricreative, sportive - intramurarie (2007: 273.268,11; 2008: 331.198,05; 2009: 200.644,20); gli inserimenti lavorativi dei detenuti - borse lavoro, tirocini, sostegno all’assunzione (2007: 115.884,53; 2008: 97.921,95; 2009: 81.807,82); i centri diurni per detenuti, ex detenuti, internati (2007: 81.600,00; 2008: 95.100,00; 2009: 98.066,00). Relativamente alla spesa delle Province questo è l’andamento nei tre anni presi in considerazione: 585 mila euro, 1 milione e 81 mila euro, 430 mila euro (7 Province su 10). Per quanto riguarda il tipo di intervento i maggiori finanziamenti riguardano: i corsi di formazione professionale (2007: 312.697,50; 2008: 793.662,60; 2009: 132.133,40); gli inserimenti lavorativi dei detenuti - borse lavoro, tirocini, sostegno all’assunzione (2007: 111.143,75; 2008: 45.500,00; 2009: 209.500,00); le attività culturali, corsistiche, ricreative, sportive - intramurarie (2007: 67.525,00; 2008: 76.100,00; 2009: 46.000,00); le consulenze e gli sportelli interni/esterni per informazioni/documenti/tutele (2007: 33.380,00; 2008: 39.944,00; 2009: 18.944,00). I dati della spesa regionale “solo sociale” ci vedono abbastanza stabili, anche se in calo, passando da 466.500 Euro del periodo 2007-2008 a circa 187.000 Euro del 2010, con la particolarità di non essere investiti in progetti ricorrenti o estemporanei, ma normalmente privi di ottica generale, come è il caso degli Enti locali, ma di essere immessi in base a bandi che perseguono linee di azione specifiche; educatore-ponte e reinserimento socio-lavorativo. La Regione, attraverso l’assessorato al welfare, ha stanziato 466 mila euro nel 2007-2008, 270 mila nel 2009 e 187 mila nel 2010. È utile sottolineare che parte di queste risorse sono state messe a bando, finanziando due particolari progettazioni: l’attivazione della figura del cosiddetto educatore ponte (96 mila euro nel 2008 e 120 mila nel 2010) e di percorsi di reinserimento socio-lavorativo (180 mila euro nel 2008 e 150 mila nel 2009). A queste risorse regionali devono essere aggiunti i finanziamenti - pari a 300 mila euro annui per il 2008, 2009 e 2010 - destinati alle iniziative teatrali sviluppate nelle carceri della Toscana, rese disponibili dall’assessorato alla cultura. Valle d’Aosta: approvata la legge sulla sanità penitenziaria, funzioni trasferite alla Regione www.aostaoggi.it, 5 maggio 2011 Via libera unanime del Consiglio regionale al disegno di legge che disciplina la gestione della medicina e sanità penitenziaria, le cui funzioni sono state trasferite alla Regione attraverso una norma di attuazione lo scorso anno. La legge, composta da sei articoli, individua le precise funzioni che dovrà esercitare l’Amministrazione regionale attraverso l’Azienda Usl della Valle d’Aosta, alla quale verranno trasferiti attrezzature, arredi e beni strumentali di proprietà dell’Amministrazione penitenziaria. Per quanto riguarda il personale, i medici che già prestano servizio nella casa circondariale di Brissogne saranno trasferiti all’Usl, che potrà conferire anche incarichi a tempo determinato utilizzando apposite graduatorie. “L’essenza di questo disegno di legge - ha spiegato la relatrice Emily Rini (Uv) - è il principio dell’equivalenza: l’assistenza sanitaria è un diritto uguale per tutti e quindi, in questo caso, sia per le persone libere che per i detenuti”. Il testo sarà seguito da una convenzione tra la Regione e l’Usl che disciplinerà nel dettaglio modello organizzativo. La consigliera unionista ha illustrato un ordine del giorno della Commissione “Servizi sociali” relativo alla presenza del medico all’interno del carcere. “Durante le audizioni dei rappresentanti di tutte le sigle sindacali degli operatori di polizia penitenziaria sono emerse alcune problematicità”, ha spiegato Rini, che sono state risolte con l’odg. Quest’ultimo “chiede a l’Assessore di farsi carico di garantire, in sede di stesura del modello organizzativo tra Regione e Usl, la presenza all’interno della casa circondariale di Brissogne di un medico 24 ore su 24”. Reggio Emilia: all’Opg si aggravano condizioni di fratello boss Santapaola, in 41-bis da 11 anni Agi, 5 maggio 2011 “Le condizioni psichiatriche di Antonino Santapaola, 56 anni, affetto da schizofrenia paranoide cronica associata a debolezza mentale con in atto depressione ansiosa, sembrano passare in secondo piano rispetto alle condizioni cliniche generali di salute”. Lo rende noto il professore Carlo Rossitto, medico legale incaricato dalla quarta sezione del Tribunale di Catania di redigere una perizia clinica sul fratello del boss Antonino Santapaola. I legali di Santapaola, gli avvocati Giuseppe Lipera e Grazia Coco, hanno chiesto ai giudici di trasferire l’imputato dall’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia dove Antonino Santapaola, in carcere da 11 anni per associazione mafiosa, si trova ricoverato in regime di 41-bis, in un Centro diagnostico terapeutico per “essere adeguatamente monitorato e curato”. “Antonino Santapaola - affermano i suoi legali - mostra chiari segni di aggravamento della sofferenza fisica e psichica. Peraltro, da un recente esame ecodoppler, eseguito il mese scorso, si è rilevato una “sindrome post trombotica dell’arto inferiore sinistro con insufficienza valvolare della vena femorale superficiale e poplitea”, a conferma delle sue scadenti condizioni di salute”. Venezia: Radicali; solo per l’impegno del personale il carcere non esplode Notizie Radicali, 5 maggio 2011 Nei giorni scorsi abbiamo visitato le carceri veneziane dove solo l’attenzione, l’intraprendenza e l’umanità del personale riescono a tenere sotto controllo una situazione di poco sopra la media nazionale dell’illegale sovrappopolazione che fa degli istituti di pena italiani delle discariche sociali transnazionali. La situazione veneziana è leggermente al di sopra della grave emergenza nazionale; anche se la collaborazione colle amministrazioni locali potrebbe essere aumentata, le responsabilità vanno imputate direttamente a Roma dove la giustizia continua ad essere agitata come elemento di campagna elettorale e mai come patente esempio di illegalità delle istituzioni che calpesta quotidianamente la nostra Costituzione. Il pianeta carcere - fatto di oltre 68mila detenuti, nel 40% dei casi in attesa di giudizio!, ristretti in strutture che dovrebbero ospitarne 42mila, di direttori senza contratto da cinque anni, di agenti sotto organico obbligati a turni stressanti, di istituti resi inadatti da un’amministrazione dedita solo a tagli orizzontali - è solo l’appendice dell’amministrazione della giustizia italiana che la Corte di Strasburgo considera un delinquente abituale per la sistematica violazione della carta europea dei diritti umani. Contro tutto ciò occorre assumersi la responsabilità di azzerare questa illegalità costituzionale con un nuovo indulto e un’amnistia. Auspichiamo che la prossima visita del consiglio comunale a S. Maria Maggiore faccia maturare questa consapevolezza. Milano: la moda nasce in carcere, storie di marchi alternativi che diventano cult Adnkronos, 5 maggio 2011 Da “Sartoria San Vittore” a “Made in carcere” passando per “Fumne”, “UrObure” e “Cangiari”. Sono sempre più diffusi sul territorio italiano marchi e produzioni di moda “fuori dal comune”, così definiti sia per la tipologia dei vestiti e degli accessori realizzati, sia per la manodopera impiegata, perlopiù composta da detenuti, malati psichiatrici e lavoratori sottoposti al potere della mafia. A tracciare una fotografia delle esperienze nazionali più significative, ormai casi imprenditoriali di successo, sarà il convegno “Mode eccentriche. Produzioni sostenibili fuori dal comune”, che si terrà venerdì dalle 9.30 alle 13.30 nell’Aula Pio XI dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Obiettivo della giornata di studio, promossa dal Centro per lo studio della Moda e della Produzione Culturale (Modacult), diretto da Laura Bovone, docente di Sociologia della comunicazione, in collaborazione con il master in Comunicazione per le industrie culturali, è riflettere sulla moda come occasione di produzione e consumi responsabili, come spazio in cui è possibile trovare un accordo fra etica ed estetica, fra creatività ed inclusione sociale, fra libertà e qualità della vita. Da Torino a Siracusa le carceri italiane sono un motore attivo di esperienze lavorative, importanti sia per il reinserimento futuro del detenuto, sia per l’alta qualità di servizi e prodotti offerti ai cittadini. Secondo i dati del ministero della Giustizia, aggiornati a dicembre 2010, nelle carceri italiane lavorano 14.174 detenuti, pari al 20% dei detenuti presenti. Falegnameria, legatoria, pelletteria, abbigliamento e accessori, serigrafia, cosmetica, alimentare: sono solo alcuni dei settori lavorativi in cui operano i detenuti. A partire dalla presentazione di alcune esperienze di lavoro in carcere, e non solo, l’incontro “Mode eccentriche. Produzioni sostenibili fuori dal comune” presenterà un excursus di produzioni etiche e alternative nel campo della moda. In particolare, saranno analizzate le iniziative imprenditoriali di tre cooperative carcerarie, tra cui Alice e Ecolab di San Vittore a Milano e Officina creativa di Lecce, quelle dell’Associazione culturale La casa di Pinocchio della Casa Circondariale di Torino, della Cooperativa Città e salute di Milano che lavora con malati psichiatrici, realizzando gioielli (UrOBuro di Milano) e, infine, del brand Cangiari nato per volontà del consorzio sociale Goel, che lavora con i beni confiscati alla malavita organizzata. Cagliari: l’agricoltura e la pastorizia possono far cambiare la Colonia penale di Is Arenas La Nuova Sardegna, 5 maggio 2011 In origine era “colonia penale”, poi con il tempo è diventata casa di reclusione a tutti gli effetti, pur conservando la specificità di istituto di pena dove parte dei detenuti possono lavorare dedicandosi all’agricoltura e alla pastorizia all’interno del vasto territorio penitenziario. A Is Arenas oggi (inizio alle 9.30) si torna appunto alle origini con un convegno sul tema “Sinergie progettuali nell’agricoltura sociale, biologica ed ecosolidale”, organizzato nell’ambito del progetto “Terra Madre 2” dal Sil-Patto territoriale di Oristano in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria della Sardegna e della direzione della casa di reclusione di Is Arenas. Al convegno parteciperanno, oltre ai rappresentanti dell’organizzazione, autorevoli esperti in fatto di agricoltura biologica (quella che appunto si intende fare a Is Arenas) e sociale (fatta in cooperativa), ma in particolare autorità penitenziarie e giudiziarie della Sardegna impegnate nei processi di recupero e riabilitazione dei detenuti. Fra questi il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Cagliari Francesco Sette e il vice capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Emilio Di Somma. Bologna: arrestato in Calabria il detenuto-attore scappato durante le prove Ansa, 5 maggio 2011 Fermato in Calabria: Giulio Santoro, 37 anni, deve scontare una condanna a 30 anni per duplice omicidio. Era su un pullman diretto a Torino insieme alla sorella; con sé aveva una pistola. Lo cercavano da un mese, dall’8 aprile scorso, quando durante le prove di uno spettacolo teatrale era fuggito. Giulio Santoro, detenuto della Dozza, è stato individuato dai carabinieri a Crucoli, nel Crotonese, a bordo di un pullman diretto a Torino. Santoro deve scontare una condanna a 30 anni di reclusione per l’omicidio di Cataldo e Michele Caligiuri, avvenuto a Cirò Marina nel 1994 nell’ambito della faida che dal 1989 al 1994 ha contrapposto il gruppo Santoro a quello dei Caligiuri. Giulio Santoro aveva ottenuto un permesso dal giudice di sorveglianza di Bologna per partecipare come allievo attore ad uno spettacolo ma era riuscito a fuggire. Nel momento in cui è stato bloccato dai militari Santoro è stato trovato in possesso di una pistola calibro 38 col numero di matricola cancellato, venti cartucce blindate e di una carta d’identità contraffatta, oltre che di 1.400 euro in contanti. La sorella del latitante è stata arrestata anche lei con l’accusa di procurata inosservanza di pena. Benevento: il candidato Sindaco Fausto Pepe in visita al carcere di Capodimonte Il Mattino, 5 maggio 2011 Il candidato sindaco incontra la direttrice e gli agenti di Polizia Penitenziaria. Il candidato sindaco di Benevento, Fausto Pepe, si è recato stamani presso l’Istituto Penitenziario di Contrada Capodimonte, accompagnato da Luigi Scarinzi, assessore comunale uscente alle Politiche sociali. Incontrando la direttrice Maria Luisa Palma e gli agenti di Polizia Penitenziaria, Fausto Pepe ha ribadito l’importanza della struttura carceraria che rappresenta un fiore all’occhiello del territorio cittadino. Il candidato sindaco ha poi ribadito il suo impegno per favorire iniziative volte alla valorizzazione dell’Istituto di pena che deve poter contare sull’aiuto degli Enti locali per garantire il recupero sociale dei detenuti, così come prevede la legislazione nazionale. Ringraziando la direzione del Carcere e il corpo di Polizia Penitenziaria che in esso vi opera, Fausto Pepe ha infine espresso l’auspicio che la struttura possa continuare a integrarsi con la città di Benevento attraverso la cooperazione con tutti gli organi istituzionali deputati al governo del territorio. La replica del segretario dell’Osapp: una visita strumentale e di cattivo gusto Il Segretario dell’Osapp Benevento (polizia penitenziaria), Isacco Luongo, in una nota replica alle dichiarazioni rilasciate dall’ex sindaco Fausto Pepe ieri durante la visita presso la struttura carceraria di contrada Capodimonte. “I commenti di molti colleghi, non solo dell’Osapp, - scrive Luongo - trovano la visita dell’Ingegnere Pepe veramente strumentale e di cattivo gusto. Non è stato mai presente quand’era sindaco, ora che non lo è più, corre in carcere in cerca di voti? Condivido pienamente l’opinione dei miei colleghi che non sono andati a mangiare i pasticcini, e sono rimasti in mensa a mangiare il loro pasto scadente. È ora che a Benevento la gente apra gli occhi. La struttura non è un fiore all’occhiello. Di solito ho stima per gli ingegneri, perché loro vedono le cose in maniera tecnica e lontano dagli opportunismi. Ma rispetto all’ingegnere Pepe, sono costretto a ricredermi. Ripeto ancora una volta, le camere detentive sono piccolissime, misurano 6 metri quadri. Ed in questo spazio, ci sono 2 detenuti, e occasionalmente anche 3 detenuti ristretti come sardine. Ricordo che, la corte europea dei diritti umani, stabilisce che “ogni essere umano deve avere almeno 6 metri quadri”. Inoltre, non comprendo, in che modo ritiene di aver integrato i detenuti con le attività della città di Benevento, non capisco su quale pianeta viva, oppure di quanta fantasia sia dotato il signor Pepe. Ma quello che appare in realtà, è tutto l’opposto, e le statistiche sulla recidiva parlano chiaro: chi esce dal penitenziario, ci ritorna. Gli effetti dell’indulto dell’ex Ministro Mastella, si sono esauriti in poco tempo. Perché la città offre da sempre scarse alternative al precariato, oppure alla delinquenza. Il problema del lavoro, è molto sentito. Ma quello che appare sconcertante, è il momento che a scelto il Sig. Pepe, per visitare il Penitenziario. Infatti pochi giorni fa, è avvenuto un caso di autolesionismo, che la dice lunga sulle reali condizioni dell’Istituto: quel detenuto siciliano 38enne aveva deciso di passare a miglior vita, procurandosi una ferita profonda al collo, con una lametta da barba, piuttosto che passare altri anni della sua vita in pochi metri quadri. E voglio ricordare che tale evento critico è stato gestito con lodevole prontezza dai colleghi in servizio di notte sulla sezione detentiva, e solo grazie ad un lavoro di equipe insieme al personale sanitario, siamo riusciti a salvare quel detenuto. Così, se mi posso permettere di dare un consiglio all’Ex Sindaco attualmente commissariato, l’unica cosa che mi sento di dire: Provi lui a vivere in sei metri quadri, e condividerli magari con altri due detenuti, e poi rifletta sul significato della parola diritti umani”. Ferrara: leggere dietro le sbarre, doppio appuntamento alla biblioteca Bassani www.estense.com, 5 maggio 2011 La lettura come strumento di rieducazione dei detenuti. A questo punta il progetto a favore della biblioteca del carcere cittadino che sarà presentato oggi, giovedì 5 maggio, alle 17, nell’auditorium della biblioteca Bassani di Barco. In base al progetto, il Servizio Biblioteche e Archivi del Comune, la Circoscrizione 3 e l’associazione Amici della biblioteca Ariostea forniranno il loro supporto specialistico agli operatori delle biblioteche della Casa Circondariale di Ferrara, coordineranno il servizio di prestito a favore della stessa casa circondariale e collaboreranno alla promozione di iniziative culturali per i detenuti. L’iniziativa sarà illustrata dal dirigente del Servizio Biblioteche e Archivi del Comune Enrico Spinelli, dalla Presidente Circoscrizione 3 Paola Boldrini, dal direttore della Casa Circondariale di Ferrara Francesco Cacciolla e dalla Presidente dell’associazione Amici della biblioteca Ariostea Paola Zanardi, con interventi del narratore Marcello Brondi. Il pomeriggio proseguirà quindi con la presentazione, in occasione del nono compleanno della biblioteca Bassani, dei due volumi dal titolo “Biblioteca comunale Giorgio Bassani: un universo che comunica” (tesi di Laurea di Valentina Vecchiattini, con introduzione di Marco Chiarini) e “Intersezione, percorsi e divagazioni all’interno dello scaffale interculturale della Biblioteca Rodari” (a cura di Licia Vignotto con introduzione di Luigi Rasetti). Milano: esce dal carcere il musical dei detenuti di Opera Il Giornale, 5 maggio 2011 Il musical dei detenuti di Opera davanti al grande pubblico del Teatro degli Arcimboldi. Alla fine ci sono riusciti. Comune di Milano, Regione Lombardia, Provveditorato regionale per l’amministrazione dei penitenziari, la cooperativa Exit e il Tribunale di sorveglianza di Milano hanno raggiunto l’obiettivo di portare fuori dal carcere di Opera il musical La Luna sulla Capitale, per una serata speciale al Teatro degli Arcimboldi. Uno spettacolo unico: il 9 maggio sul palcoscenico di via dell’Innovazione saliranno come interpreti una ventina detenuti, per lo più provenienti dal circuito di alta sicurezza, dove stanno scontando condanne all’ergastolo per reati legati alla criminalità organizzata. L’incasso della serata sarà devoluto in parte all’associazione “Hope of Children” e in parte servirà a finanziare nuovamente il laboratorio musicale dei detenuti. È proprio dal sostegno a questo laboratorio, curato dalla cooperativa Exit, che è nata l’idea di portare lo spettacolo anche fuori dalle mura del carcere. Dopo la rappresentazione del 5 febbraio scorso nel carcere di Opera, le istituzioni si sono messe al lavoro per far conoscere a un pubblico più ampio lo sforzo e l’impegno di questa cooperativa e di questi attori speciali. Quello del 5 febbraio non è stato il primo spettacolo, aperto al pubblico, che si è svolto al carcere di Opera. Già nel 2010 i detenuti avevano portato in scena il musical I 10 mondi, che ha riscosso molto successo e ha raccolto offerte destinate alla ricostruzione del campetto di calcio della scuola elementare di San Demetrio in provincia dell’Aquila, distrutto dal terremoto. Il musical La luna sulla capitale è curato da Isabella Biffi. Narra la storia di un ragazzo di 14 anni che sogna la mamma defunta. Nel sogno la madre lo incoraggia ad andare in città, a diventare un uomo di valore, unico modo per essere davvero di aiuto alla sua famiglia. Quella d’origine è una povera famiglia di spazzacamini che all’inizio cerca di trattenerlo, ma poi decide di lasciarlo libero permettendogli di iniziare un’avventura che procura sacrifici e difficoltà prima di assaporare il traguardo. Può essere interpretato come il viaggio-metafora degli stessi detenuti, per ora attori preparati anche se non professionali. Reggio Emilia: il più grande chef del mondo premia i cuochi-carcerati La Gazzetta di Reggio, 5 maggio 2011 Massimo Bottura, il più grande chef del mondo, ha premiato personalmente nel carcere della Pulce i detenuti che si sono diplomati addetti alla ristorazione dopo aver frequentato un corso in prigione. Dalla celeberrima Osteria Francescana alla Pulce. Nelle vesti di docente, Massimo Bottura, uno dei più famosi chef italiani ha premiato i detenuti che hanno concluso con successo il corso per operatori della ristorazione. Il corso, realizzato dal Centro Studio e lavoro “La Cremeria” si è concluso il 15 aprile scorso con l’esame per il rilascio del Certificato di competenze relativo alla qualifica di operatore della ristorazione. Il percorso - dice una nota - ha avuto una durata di 300 ore, di cui 75 di stage, svolte interamente all’interno dell’Istituto. I destinatari di questa attività sono stati 13 detenuti definitivi non in possesso di conoscenze-capacità pregresse e scelti tra quei detenuti che hanno presentato una pre-adesione all’attività formativa, evidenziando quindi una forte motivazione nei confronti del percorso e di uno sbocco occupazionale nel settore della ristorazione. Il percorso, coordinato da Lorenza Bertani (Csl La Cremeria), ha visto l’alternarsi di tre docenti esperti: Gino Fontanesi, Emanuele Comanducci e Marcello Comanducci. Da oltre 10 anni, il Centro “La Cremeria” progetta e realizza, alla Casa Circondariale di Reggio, corsi di formazione per “addetto alla ristorazione” o “addetto alla panificazione”. La finalità di tale attività risiede nell’esigenza di sviluppare una professionalità specifica in un settore lavorativo in cui le possibilità di occupazione non vengono particolarmente inficiate dai trascorsi precedenti. Scegliere di partecipare e impegnarsi in un corso di formazione, come quello realizzato, rappresenta, per gli allievi, l’occasione per imparare un mestiere, ma anche per sperimentare ruoli diversi da quelli noti e per costruire relazioni interpersonali che si fondano su dinamiche costruttive. Ai partecipanti si richiede l’apprendimento di conoscenze teoriche e pratiche, di gestione di attrezzature e materiali, ma anche stili comunicativi e atteggiamenti tipici dei team di lavoro. Del corso si avvantaggerà anche la cucina interna del carcere in cui presteranno ora servizio i detenuti. Il giorno 15 aprile, però, oltre ad essere il giorno di conclusione del corso, è stato un giorno speciale per gli allievi perché, su invito del direttore della Casa circondariale Paolo Madonna, hanno avuto la possibilità di incontrare e conoscere Massimo Bottura, chef dell’Osteria Francescana di Modena. Bottura ha vinto il premio di migliore cuoco al mondo, ottenuto dall’Accademia internazionale della cucina, organismo con sede a Parigi, cui afferiscono tutte le accademie di cucina del mondo, inclusa quella italiana. Lo chef modenese succede nel riconoscimento a cuochi del calibro di Bocuse, Blumenthal, Adrià, Guerard. La commissione d’esame che ha “diplomato” i tredici detenuti era composta da Pietro Pilotti, Federica Cardinali, Claudio Ciresola, oltre che dal direttore della Casa Circondariale Paolo Madonna e dai docenti che hanno seguito i detenuti per tutta la durata del corso, Marcello Comanducci e Gino Fontanesi, dalla direttrice de “La Cremeria”, Lucrezia Chierici e la coordinatrice del corso Lorenza Bertani. Libri: da Nisida otto racconti per i prigionieri illustri del Risorgimento italiano Corriere della Sera, 5 maggio 2011 Scrittori e detenuti del laboratorio di scrittura del carcere minorile firmano un volume sull’Unità d’Italia. Nisida probabilmente sarà il miglior carcere possibile, ma c’è stato un tempo nemmeno troppo remoto in cui i prigionieri non potevano posare in terra catene che li tenevano saldi ai ceppi di detenzione. Gli ambienti confortevoli della casa circondariale minorile di oggi, adombrano quelli della Torre di Guardia borbonica dove finivano i nemici della famiglia reale: politici, pensatori o semplicemente “poeti”, ricorda una docente della giovanissima comunità di detenuti, Maria Franco, nella postfazione ad un libro appena pubblicato da Guida, “Racconti per Nisida e l’Unità d’Italia”. Un’antologia di scrittori professionisti, fuori commercio, ma dal doppio valore - o triplo - di testimonianza di un’esperienza laboratoriale importante, che offre un contributo alla memoria storica di questi luoghi e della città ad uso soprattutto scolastico e, in primo luogo, nel tentativo di restituire consapevolezza, agli ospiti detenuti in questo posto così singolare, dell’oasi che sono costretti ad abitare. La Franco entra a Nisida negli anni Ottanta con altri docenti delle medie Sogliano e Michelangelo e già trova il piazzale Poerio e il piazzale Settembrini, molti anni prima del progetto Nisida come parco letterario, oggi sostenuto dal ministero dell’Istruzione, senza il quale questo libro degli autori-docenti realizzato col contributo attivo degli allievi-detenuti non sarebbe nato. Raccontando la sua prima volta alla Torre-prigione borbonica, la coordinatrice delle attività didattiche del penitenziario cita Herman Melville (entusiasta della città in “Naples in the time of Bomba” ), una descrizione in versi di Castel dell’Ovo che “però può rendere l’idea”, di “una fortezza ovale in mezzo al mare/i prigionieri in celle sotto l’acqua:/son patrioti incolpati di congiura,/poeti, ma anche chi parla soltanto,/candidamente, non da sovversivo”. Molti degli ospiti illustri di Nisida transitano in questa Torre (Luigi Settembrini soltanto al largo: trascorre una notte in nave davanti all’isola in attesa del trasferimento a Santo Stefano) dopo una durissima sentenza del 1851, definitiva al secondo anno dall’arresto subito dopo i moti del 1848: Nicola Nisco, Sigismondo Castromediano, Michele Pironti e Carlo Poerio. Silvio Spaventa invece è condannato nel ‘ 52 prima a morte e poi all’ergastolo come gran parte degli altri; e sull’isola sarebbe entrato ma con un travestimento anche Sir William Gladstone dopo aver assistito al medesimo processo contro i 42 della setta Unità Italiana. Ora, l’approccio dei curatori e degli autori è convincente, lo spazio dell’immaginazione poggia su ossa robuste. Nemmeno le tracce della detenzione sempre uguali, come i nomi o i disegni di bambini-figli dei prigionieri graffiati sulle pareti di buchi per celle, provocano facile retorica peggio una pacchiana estetica della sofferenza come spesso accade quando all’invenzione non si associa l’esperienza sul campo. Forse è con la consapevolezza che la sofferenza dei detenuti meriti più e meglio di versi precotti per voraci lettori cresciuti a soap-opera, che questi docenti-scrittori hanno varcato queste mura per davvero, per mescolarsi a lungo ai suoi abitanti, per una volta o a differenza di tanti indifferenti ai riscontri nell’ipertrofia narrativa generale. Diceva Vittorio Arrigoni, “restiamo umani”, magari anche sforzandoci di conservare un atteggiamento agnostico, ancor più trattandosi di minori, ascoltando il racconto di chi l’esperienza l’ha realmente compiuta. E l’opera che compiono gli autori che hanno insegnato al laboratorio di scrittura dell’isola è quella di raccontare la detenzione dei ragazzi assieme a quella dei prigionieri dei Borbone e con gli allievi, parte attiva nelle scelte dell’autore del racconto. Anche perché, pare di capire, questi ragazzi - ma probabilmente come gli altri - vengono coinvolti nella Storia quanto più la faccenda li riguarda da vicino. Una volta c’erano “celle anguste”, scrive la Franco sulla Torre di Guardia, “chissà come ci si poteva stendere, con ceppi scuriti dal tempo, certo, ma forse anche dal sangue. Piccolissime aperture dall’alto accedono solo all’interno: chi sta dentro nulla può sapere del cielo e del mare”. E “te lo sei mai chiesto?”, scrive invece Riccardo Brun, raccontando un Poerio che appare ad un giovanissimo Nicola in isolamento e febbricitante, “ti sei mai chiesto se la vita che fai l’hai scelta o l’hai subita? Gli squilibri che trovi dentro assomigliano a quelli che regolano la vita di fuori”. E se in fondo “siamo tutti rinchiusi, in trappola, almeno finché non cerchiamo di uscirne”, per citare invece un artista egiziano, Magdy El Shafee, condannato in patria a distruggere tutti i suoi volumi ma in questi giorni libero (e a Napoli) allora questa lettura fuori commercio avrebbe potuto interessare chiunque. Ma tornando alla Franco, “per tutto il percorso della Torre”, scrive, “mi è cresciuto un sogno. E se potessero tornare per un solo giorno (Poerio o Spaventa, ndr) giovani e liberi, sull’isola.. quello che di certo farebbero con entusiasmo è partecipare ad un incontro del nostro laboratorio di politica”. Un sogno, per la precisione otto racconti, che affiancano gli eroi risorgimentali come tutor d’eccezione agli odierni ospiti del penitenziario di Nisida, firmati ancora dai docenti-scrittori Angelo Petrella, Mario Gelardi, Antonella Del Giudice, Maurizio De Giovanni, Luigi Pingitore, Antonella Ossorio e Patrizia Rinaldi. Domani alle 17 al Centro europeo di Studi di Nisida (via Nisida 59) Silvio Petrella, presidente del Premio Napoli e la storica Elvira Chiosi presentano “Racconti per Nisida e l’Unità d’Italia” edito da Guida (fuori commercio), con la dirigente della scuola di Nisida Maria Franco ed alcuni autori dell’antologia, modera Daniela De Crescenza. Cinema: la vita di Armida Miserere diventa un film, Valeria Golino ne sarà la protagonista Apcm, 5 maggio 2011 Valeria Golino sarà la protagonista di “Come il vento”, il nuovo film drammatico diretto da Marco Simon Puccioni. Il regista girerà il suo nuovo lavoro dedicato alla figura di una donna che ha dato la vita per la giustizia italiana. Il film sarà ambientato tra la metà degli anni ottanta e quella del duemila e sarà un importante spunto di riflessione sul sistema carcerario. La pellicola narra della vita di Armida Miserere, direttrice del carcere di Parma che ha lavorato anche nelle carceri di Lodi, Pianosa, Ucciardone e Sulmona, dove si suicida delusa dalla giustizia e dopo la morte dell’uomo amato e assassinato dalla mafia. Puccioni torna al cinema a quattro anni di distanza da Riparo, pellicola presentata alla Berlinale 2007 nella sezione Panorama. Il film è prodotto da A Movie Productions Spa, Intelfilm Srl, Les Films de L’Astre. Immigrazione: cosa resta della Bossi-Fini… dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea? di Raffaele Miraglia www.giuristidemocratici.it, 5 maggio 2011 Raffaele Miraglia commenta la situazione che si è venuta a creare nella legislazione italiana sullo straniero dopo la pronuncia del 28 aprile 2011 con cui la Corte di Giustizia Europea nella causa El Dridi ha sancito la diretta applicabilità degli articoli 14 e 15 della direttiva europea 2008/115/CE con la conseguente inapplicabilità della norma penale prevista dall’art. 14 comma 5 ter T.U. sull’immigrazione (inottemperanza all’ordina del Questore di lasciare il territorio nazionale a seguito di provvedimento di espulsione). Quando nel 2008 fu definitivamente approvata la cosiddetta “direttiva rimpatri” gli esponenti del governo Berlusconi spesero parole di elogio, mentre le forze e le associazioni più impegnate nel lavoro di tutela dei migranti e dei loro diritti espressero numerose e fondate critiche. Oggi, dopo la sentenza del 28 aprile 2011 della Corte di Giustizia Europea sugli effetti di quella direttiva nella legislazione italiana, le parti si invertono. Suona così quasi surreale rileggere il comunicato del 18 giugno 2008 dell’allora Ministro del governo Berlusconi: “Il via libera del Parlamento europeo alla direttiva sui rimpatri è motivo di grande soddisfazione per tutto il governo italiano” dichiara il ministro per le Politiche Europee, Andrea Ronchi. “Grazie al voto espresso oggi a larghissima maggioranza dall’aula di Strasburgo, l’Unione Europea ha, infatti, raggiunto un obiettivo importantissimo: avviare la costruzione di un’architettura di norme comuni per l’espulsione degli immigrati clandestini”. “È importante sottolineare che la direttiva prevede l’estensione della durata della detenzione amministrativa per gli extracomunitari irregolari sino a 18 mesi. Una misura perfettamente coerente con le misure adottate dal nostro governo”. “La decisione del Parlamento di Strasburgo è, dunque, la riprova che la linea della fermezza, improntata ai principi di legalità e solidarietà, adottata dall’Italia in tema di immigrazione sta ormai prevalendo in tutta Europa. E questi principi verranno tanto più declinati nel corso dell’ormai prossima presidenza francese dell’Unione che si annuncia decisiva per fronteggiare un fenomeno come quello dei flussi migratori, che nessun Paese europeo può pretendere di risolvere da solo. La direttiva Ue sui rimpatri rappresenta in questo senso un importante passo in avanti. Ma anche una risposta e un segnale di grande credibilità per le istituzioni europee in un momento in cui il vento della protesta irlandese rischiava di minarne in profondità le fondamenta”. Non bisognava essere esperti di diritto dell’immigrazione per capire come la direttiva europea, che imponeva agli Stati membri di adottare norme comuni per regolare le espulsioni degli stranieri irregolarmente soggiornanti, disegnasse una procedura in netta antitesi con quella inserita dalla legislazione italiana dalla legge cosiddetta Bossi Fini. Eppure dal momento dell’approvazione della direttiva alla data ultima entro la quale l’Italia avrebbe dovuto trasfonderla nella propria legislazione, l’unica misura adottata dalla maggioranza è stata quella di portare ai termini massimi consentiti dalla direttiva la durata del possibile trattenimento nei centri di identificazione e espulsione dei migranti da espellere. Il risultato è che oggi l’Italia è di fatto priva di una propria legislazione nazionale che regoli l’espulsione del migrante privo di idoneo titolo di soggiorno. Il risultato è che oggi le Prefetture e le Questure per le espulsioni non applicano il Testo Unico sull’Immigrazione, ma la cosiddetta “circolare Manganelli”, un testo diramato dal Ministero dell’Interno il 17.12.2010 con una finalità ben evidente: “Nelle more del recepimento, da parte dell’Italia, della Direttiva in questione, occorre considerare che: decorso il termine del prossimo 24 dicembre, lo straniero attinto da un provvedimento finalizzato al suo rimpatrio potrebbe impugnarlo e chiedere, alla competente autorità giudiziaria, di eccepirne la difformità rispetto ai contenuti della normativa comunitaria; il ricorso dello straniero potrebbe essere accolto poiché il giudice, in applicazione dei principi di diritto comunitario, è obbligato ad interpretare il diritto interno alla luce della lettera e dello scopo della Direttiva. In previsione di tale situazione: assumeranno una rilevanza strategica le motivazioni su cui si fonderanno i provvedimenti propedeutici al rimpatrio che codesti Uffici proporranno per l’adozione alle competenti Prefetture o adotteranno direttamente; tali motivazioni, per essere idonee a neutralizzare gli effetti del ricorso, dovranno essere articolate, in modo che emerga con chiarezza la conformità dell’azione di rimpatrio rispetto ai contenuti della normativa comunitaria.” Potremmo addirittura dire che alla faccia della Costituzione oggi non è una legge a regolare la condizione giuridica e la libertà personale dello straniero, ma una semplice circolare amministrativa, una delle più “infime” tra le fonti normative. Se pensiamo, poi, al contenzioso in atto sulla cosiddetta sanatoria badanti del settembre 2009 - dettato proprio dal fatto che un’altra “circolare Manganelli” negava la regolarizzazione dello straniero condannato per un delitto oggi abrogato in forza della direttiva europea e della sentenza della Corte di Giustizia - e al fatto che quello è stato uno degli atti più importanti adottati dal governo Berlusconi per regolare il “problema” immigrazione, ci possiamo rendere conto di come l’attuale maggioranza politica non sia stata e non sia in grado di esprimere sul terreno delle politiche migratorie altro che provvedimenti che si possono definire cattivi (sia come espressione di cattiveria, sia come espressione di incapacità). Se la riforma Bossi Fini del 2002 si caratterizzava per essere un complesso di norme-manifesto dove la volontà di affermare principi (nefasti) finiva per sopraffare il compito di esprimere regole che consentissero di amministrare la condizione giuridica dello straniero - con il risultato di aggravare il “problema” anziché dare soluzioni -, le misure prese o deliberatamente omesse (come il mancato recepimento della direttiva rimpatri) dall’ultimo governo Berlusconi si sono caratterizzate quasi esclusivamente per il loro contrasto con la Costituzione (puntualmente sanzionato dalla Corte Costituzionale - vedi le decisioni sull’aggravante della clandestinità e sull’art. 14 comma 5 quater) e con la legislazione europea. La sentenza della Corte di Giustizia Europea ha definitivamente interrotto lo sconcio introdotto dall’art. 14 comma 5 ter (e di fatto dell’art. 14 comma 5 quater) del T.U. sull’Immigrazione (una norma che sanzionava l’incapacità dello Stato ad eseguire le espulsioni comminando la pena del carcere allo straniero), ma purtroppo dobbiamo constatare come l’Italia governi l’immigrazione con norme che determinano e favoriscono il sorgere di un mercato criminale per ottenere l’ingresso formalmente legale dello straniero (ci riferiamo alla compravendita dei nulla-osta all’autorizzazione al lavoro, che si apre ogni anno nel momento in cui viene emanato il cosiddetto “decreto flussi”), norme che determinano e favoriscono l’ingresso legale dello straniero che dopo otto giorni si troverà nella condizione del “clandestino” (ci riferiamo soprattutto ai decreti flussi per i lavoratori stagionali, ugualmente forieri di compravendite di nulla-osta in favore di stranieri, che neppure sapranno mai dove si trova il loro presunto aspirante datore di lavoro), norme che favoriscono il passaggio da una condizione di regolarità ad una condizione di irregolarità (quelle che legano il permesso al reddito e quelle che privano del permesso lo straniero che si è macchiato di reati anche di lieve entità), norme inapplicabili per le espulsioni e, in linea generale, norme che sembrano dettate da un unico principio: dobbiamo porre paletti, sbarramenti e ostacoli allo straniero che voglia stabilirsi e vivere regolarmente in Italia. In altre parole la politica del governo (cioè la politica della Lega) sembra finalizzata solo a ingigantire il tasso di irregolarità per evitare lo stanziamento regolare dello straniero. Le norme che oggi regolano l’immigrazione in Italia sono proprio la trasposizione dei desiderata leghisti: mantenere costante il pericolo della presenza dei clandestini (così da agitarlo come propaganda) e evitare ogni processo di integrazione. Non è, dunque, un caso che l’attuale maggioranza, dopo aver applaudito la direttiva europea sui rimpatri, nulla abbia fatto per adeguare la legislazione italiana al nuovo quadro legislativo. Pur consapevole di quali sarebbero state le conseguenze (basti leggere la già citata circolare ministeriale del 17 dicembre scorso), ha preferito non avere norme che regolino l’espulsione piuttosto che dover sconfessare l’impianto della legge che porta il nome anche del leader della Lega. Tanto, poi, la colpa per le mancate espulsioni la si può far ricadere sui giudici (nazionali od europei che siano) e si può aggiungere propaganda a propaganda. Se, come auspichiamo, anche dai nostri giudici arriverà, poi, il riconoscimento che la direttiva europea non è direttamente applicabile nella parte in cui consente di adottare immediatamente sulla base del pericolo di fuga dello straniero un provvedimento di espulsione e, magari, di trattenimento (e non un mero ordine di allontanamento), allora giungeremo veramente al paradosso di un uno Stato governato anche e soprattutto dalla Lega Nord e impossibilitato ad ordinare le espulsioni. L’eventualità non è così remota se solo si pensa a quel che sta accadendo in Francia, dove il Consiglio di Stato il 21 marzo 2011 ha sentenziato che sino a che - in ottemperanza alla disposizione dell’art. 3 n. 7) direttiva 115/2008/CE - lo Stato non abbia fissato nella legislazione nazionale i criteri obiettivi sulla base dei quali deve essere ritenuta la sussistenza del rischio di fuga, lo Stato stesso non può avvalersi dell’eccezione prevista dall’art. 7 § 4 della direttiva, considerabile separatamente dalle precedenti disposizioni dell’art. 7 (non può, dunque, espellere o trattenere in vista dell’espulsione lo straniero, al quale va concesso invece un termine per l’allontanamento volontario). Avanti ai Giudici di Pace si continua a sperperare inutilmente il denaro di tutti i cittadini al fine di far celebrare i processi per l’art. 10 bis del T.U. sull’Immigrazione (soggiorno illegale) destinati a concludersi con l’irrogazione di una sanzione pecuniaria che nessun migrante pagherà (mentre lo Stato paga giudici, forze di polizia, cancellieri, interpreti e difensori d’ufficio e, magari, Equitalia per il tentativo di recupero dell’ammenda) e questo è tutto ciò che rimane per poter far vedere che lo Stato italiano mostra i muscoli contro gli stranieri privi di un permesso di soggiorno. Nel frattempo non sembra che l’attuale governo sia intenzionato a porre mano in tempi ragionevoli alla doverosa modifica della legge Bossi Fini per adeguarla alla direttiva europea, preferendo impegnare il Parlamento a legiferare su questioni quali il processo breve. Stati Uniti: Bin Laden trovato grazie alle confessioni estorte ai detenuti con la tortura? di Federico Rampini La Repubblica, 5 maggio 2011 Il paese si divide. “Il suo più grande successo è legato alle politiche che Barack stesso aveva criticato”. Nel 2008 Obama non ebbe esitazioni sull’annegamento simulato: “Tradisce i valori degli Usa”. L’America di George Bush lo rivendica con orgoglio. L’America di Obama imbarazzata non conferma né smentisce. La tortura ha contribuito alla vittoria contro Bin Laden? Il sospetto-quasi-certezza divide l’America, tormenta la coscienza di alcuni nell’ora del trionfo. Da Bush a Obama, cosa è cambiato davvero, e quanta continuità viene nascosta sotto un velo di reticenze? Criminali di guerra, condannati a morte per impiccagione: così gli americani mandavano al patibolo i soldati giapponesi accusati di “water boarding”: è il terribile interrogatorio in cui il prigioniero viene soffocato versandogli acqua in bocca. Si rischia di morire, come annegati. O si possono subire danni permanenti ai polmoni, al cervello. Da candidato nel 2008 Obama non ebbe esitazioni: “È tortura, è una pratica che tradisce i valori dell’America”. C’erano dubbi? Sì, perché dal primo agosto 2002 un memorandum legale di John Yoo, alto consigliere della Casa Bianca, aveva stravolto la giurisprudenza: il “water boarding” da quel momento non era più tortura. Via libera dunque per praticarlo contro terroristi, o presunti tali, se poteva servire a estorcere informazioni preziose per la sicurezza nazionale, per impedire attentati, prevenire nuove stragi. È la Interrogation Opinion di Yoo, passata alla storia come “Torture Memo”, ad avere spianato la strada alle 183 sedute di tortura inflitte dalla Cia a Khalid Shaikh Mohammed. “Sì, certo che lo sapevo. E lo rifarei per salvare delle vite umane”: così Bush rispondeva ancora il 2 giugno 2010, irremovibile nella difesa di quel metodo. Subito dopo l’uccisione di Bin Laden, il fantasma della tortura è riapparso a turbare Obama. Ci ha pensato proprio Yoo a guastare la festa: poche ore dopo il blitz nel covo di Abbottabbad il giurista si è messo alla tastiera del computer per buttare giù un editoriale per il Wall Street Journal. “Se Obama può prendersi il merito della vittoria contro Bin Laden - dice Yoo - lo deve alle dure decisioni prese da Bush”. Un coro da destra lo sostiene. Si unisce Peter Wehner, ex direttore dell’Office of Strategic Initiatives con Bush: “Il più grande successo dell’Amministrazione Obama, l’uccisione di Bin Laden, è il risultato almeno in parte di politiche che Obama stesso aveva criticato”. Esce dal silenzio l’ex capo dell’antiterrorismo alla Cia, José Rodriguez: in un’intervista a Time dice che le informazioni essenziali per scoprire il covo di Bin Laden sono il risultato di “metodi di interrogatorio duri”. Una frase che fa riaffiorare anche l’imbarazzo dei mass media. Dall’epoca del famigerato memorandum Yoo, che escludeva il “waterboarding” dalle forme di tortura, molti media sono in un limbo lessicale. Ce n’è traccia ancora oggi. Tre giorni dopo l’annuncio dell’uccisione di Bin Laden, il New York Times nella sua edizione di carta intitola “Riesplode il dibattito sui metodi duri di interrogatorio” e nell’articolo usa anche l’altra espressione cara a Bush sulle “tecniche d’interrogatorio rafforzate”, mentre nell’edizione online lo stesso articolo è intitolato sulla “tortura”. L’incertezza etica si è sedimentata nella coscienza americana dopo che Bush ha convinto l’opinione pubblica che proprio grazie al “waterboarding” Khalid Sheik Mohammed avrebbe dato informazioni che consentirono di sventare un attacco terroristico “stile 11 settembre” all’aeroporto di Los Angeles. “Un tuffo nell’acqua”, come lo definì sprezzante il vicepresidente Dick Cheney, è un prezzo equo per salvare vite umane. L’imbarazzo dell’Amministrazione Obama e dei democratici viene dal fatto che la tortura non è monopolio dei neocon. Quando nel 2005 il New Yorker comincia a pubblicare una serie di inchieste sulla pratica parallela delle “extraordinary rendition” - detta anche “outsourcing della tortura”, i detenuti vengono trasferiti in paesi stranieri dove le polizie usano sistemi brutali d’intesa con la Cia - il magazine progressista rivela che il sistema “risale alla presidenza di Bill Clinton”. È dai tempi di Clinton che la Cia iniziò a usare una filiale della Boeing - Jeppesen International - con base a San José in California, per quei voli speciali. Verso le prigioni saudite, egiziane. E gli scandali sarebbero esplosi alla luce del sole solo quando le vittime innocenti erano cittadini di paesi “avanzati”. Come il canadese-siriano Maher Arar, catturato all’aeroporto di New York il 26 settembre 2002, e spedito ad Amman in Giordania per la “tortura delocalizzata” su richiesta della Cia. Poi rilasciato, innocente, grazie all’intervento del Canada. Oppure Khaled el-Masri, tedesco di religione islamica, scambiato per un terrorista di Al Qaeda e catturato dalla Cia mentre viaggiava in Serbia nel gennaio 2004, spedito in una prigione afgana. Scagionato, anche lui, grazie alla Germania. Con Obama tutto questo doveva essere finito per sempre. Fedele alla posizione di principio espressa nella campagna elettorale del 2008, l’attuale presidente ha messo al bando il “waterboarding” nel gennaio 2009. E tuttavia tre mesi dopo, nell’aprile 2009, il Dipartimento di Difesa si rifiutava di confermare o smentire se i militari Usa vengano tuttora addestrati a usare quella “tecnica rafforzata” di interrogatorio. E risale al 2009, sotto Obama, il caso dell’uomo d’affari libanese Raymond Azar arrestato in Afghanistan da agenti americani, e sottoposto ai seguenti trattamenti: “Denudato completamente, perquisito in tutte le cavità del corpo, incatenato, soggetto a ipotermìa e privazione del sonno”. In una parola, tortura. Di fronte all’offensiva revanscista dei neocon, lanciata in queste ore da Yoo sotto la regìa di Cheney e Donald Rumsfeld, colpisce la timidezza del campo democratico. Mentre il repubblicano Peter King, presidente della commissione Homeland Security alla Camera, afferma che “il waterboarding ha portato fino a Bin Laden”, la sua rivale democratica al Senato, Dianne Feinstein, si limita a dir che “quelle tecniche d’interrogatorio non hanno avuto un ruolo decisivo”. I democratici insistono piuttosto sulla scarsa efficacia della tortura - proprio Khalid Sheik Mohammed mentì sempre sul “postino” di Bin Laden quando interrogato col “water boarding”. L’uomo-chiave di Obama, Leon Panetta che ha guidato fin qui la Cia e sta per passare alla Difesa, è ambiguo: “Certo che alcune tecniche d’interrogatorio furono usate. Il dibattito è aperto, forse avremmo potuto ottenere gli stessi risultati con metodi diversi”. La linea ufficiale di Obama la ribadisce il suo portavoce Tommy Vietor: “L’intelligence è venuta da anni di lavoro, fonti diverse, questo dibattito è fuorviante”. Fuorviante? Sembra lontano il tempo in cui un coraggioso dirigente della Cia, Glenn Clarke, si dissociò da quei metodi denunciandoli come “anti-americani, contrari ai valori di questa nazione”. O quando nello stesso 2002 il vicedirettore dell’antiterrorismo per l’Fbi Pasquale D’Amuro disse al suo capo: “Un giorno qualcuno di noi potrebbe essere chiamato a rispondere di queste cose davanti alla giustizia”. Purtroppo aveva torto. Tibet: due monaci tibetani torturati in carcere e condannati per una protesta Ansa, 5 maggio 2011 Due monaci tibetani sono stati condannati per aver preso parte ad una protesta contro un esproprio, dopo essere stati torturati nel carcere in cui erano detenuti. Lo denuncia in un comunicato il il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia (Tchrd). La condanna è di marzo, anche se i fatti sono stati resi noti in questi giorni. I monaci Trulku Jangchub, e Pesang del monastero Jophu, contea di Jomda prefettura Chamdo nel Tibet, sono stati condannati rispettivamente a 3 anni, e a due anni e mezzo di carcere per avere protestato contro un esproprio terriero. Alla fine del 2009 le autorità cinesi decisero di appropriarsi di terreno del monastero Jophu per “ragioni di sviluppo”. I monaci protestarono rivendicando la antica proprietà delle terre, spalleggiati dalla popolazione locale. Nel dicembre 2009 la polizia ha arrestato Trulku per avere guidato le proteste e nel gennaio 2011 Pesang è stato incarcerato per le stesse ragioni. Thrcd denuncia che i due monaci sono stati torturati in carcere, al punto che Trulku Jangchub ora è ricoverato in ospedale. Svizzera: trovato detenuto morto, si sarebbe ucciso con il frammento di una stoviglia Agi, 5 maggio 2011 Un detenuto è stato trovato morto ieri sera nel penitenziario di Pöschwies a Regensdorf (Zh). Tutto lascia pensare che il 29enne svizzero si sia tolto la vita con il frammento di una stoviglia. Secondo il comunicato odierno dell’Ufficio cantonale di esecuzione delle pene, l’uomo si trovava agli arresti per omicidio intenzionale. Non vedendolo arrivare per l’orario di cena, una guardia è andata a cercare il detenuto in cella. Le prime ricostruzioni dimostrano che l’uomo si è tolto la vita tagliandosi la gola con il frammento di una stoviglia. Interventi di terze persone sono esclusi. Nella nota si legge che una valutazione più completa sarà possibile dopo l’autopsia dall’Istituto di medicina legale. Tunisia: evasione di massa dal carcere di Sfax, almeno 58 detenuti sono in fuga Ansa, 5 maggio 2011 Almeno 58 detenuti del carcere di Sfax, seconda città della Tunisia, sono evasi oggi dopo aver appiccato il fuoco alla prigione. Lo rivela l’agenzia Tap, sottolineando che l’evasione è l’ultima di una lunga serie di fughe avvenute dall’inizio della rivolta nel Paese nordafricano. Secondo la fonte, i fuggitivi sono stati aiutati da alcuni complici armati di spranghe di ferro e coltelli. Le forze di sicurezza tunisine ritengono che le evasioni siano opera di fedeli del deposto presidente Zine al-Abidine Ben Ali.