Giustizia: alla Camera salta il voto sulle mozioni per le carceri, tutti contro la Casellati Ansa, 4 maggio 2011 Salta in Aula alla Camera il voto sulle mozioni sulla situazione delle carceri: l’opposizione punta il dito contro il sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati che, chiamata a dare i pareri sui sette testi presentati, impiega circa mezz’ora a spiegare la posizione del governo. Dalle 11 alle 11.30 circa la scena cui si assiste è quella del sottosegretario che faticosamente e in maniera un po’ impacciata cerca di spiegare ai firmatari che per l’esecutivo vanno cancellate le premesse di tutte le mozioni, tranne quella di Costa (Pdl), e che l’Aula può esprimersi solo sui dispositivi che fissano gli impegni del governo per affrontare l’emergenza carceri. Impegni sui quali il parere è favorevole solo “nei limiti delle disponibilità finanziarie”. La diretta televisiva delle 13 per il dibattito sulla Libia incombe e la difficoltà e la flemma di Casellati sono così evidenti che il vicepresidente dell’Assemblea Maurizio Lupi la interrompe una decina di volte per sollecitarla a sintetizzare ed accelerare l’illustrazione della posizione del governo. Saltano i nervi all’opposizione che chiede un rinvio del dibattito sulle carceri. Il primo a intervenire è il deputato Udc Roberto Rao, firmatario di una delle mozioni: “È strano che i pareri del governo siano limitati a un solo ministero, cioè si dice che ‘il parere è favorevole se Tremonti ci dà i soldi”. Visto l’andamento dei lavori non vorrei fosse dedicato più tempo all’esplicazione dei pareri che all’intero dibattito”. Interviene poi il democratico Erminio Quartiani, quindi la radicale Rita Bernardini: “È indecoroso che questo dibattito venga ristretto per la diretta televisiva. O il tema delle carceri è sentito dal governo o lo dica con chiarezza si vuole far marcire e suicidare le persone nelle carceri italiane. Casellati è venuta qui e non si è nemmeno letta le mozioni. È una cosa vergognosa”. Per il rinvio del dibattito anche il deputato del Pdl Luigi Vitali: “L’argomento è particolarmente importante e sensibile. Forse è opportuno rinviarlo ad altra seduta”. Dopo una breve sospensione della seduta così viene deciso: “Secondo le intese intercorse tra tutti i gruppi - comunica Lupi - il seguito dell’esame sulle mozioni sulle carceri è rinviato ad altra seduta”. Giustizia: Pannella; troppi detenuti in attesa di giudizio, un’amnistia è indispensabile Notizie Radicali, 4 maggio 2011 Quella che segue è la trascrizione dell’intervento di Marco Pannella alla trasmissione Radio Carcere. “Compagne e compagni detenuti: un terzo di voi si trova in carcere a causa della legge Fini-Giovanardi; un altro terzo per la Fini-Bossi. Un altro terzo infine, è in attesa di giudizio; e metà, lo dicono le statistiche, saranno dichiarati innocenti. Ci sono, tra processi penali e civili, dieci milioni di arretrati. Il che fa di questo Stato, uno Stato fuorilegge. La Giurisdizione Europea, infatti, ritiene che per quel che riguarda la celerità dei processi, che sono la parte costitutiva della certezza del diritto, quelli italiani sono assolutamente contrari agli accordi costitutivi dell’Unione Europea. È una cosa ignobile, questa dei detenuti in attesa di giudizio e in espiazione anticipata di una pena che non ci sarà. In condizioni che sono illegali, sapete che un cittadino serbo-bosniaco ha fatto ricorso alla Corte Europea per le condizioni in cui era detenuto, e ha avuto ragione. Quindi, tranne rarissime eccezioni, come per i detenuti sottoposti al regime del 41-bis, c’è una illegalità di massa. Cosa voglio dire? Un grande Pontefice, Giovanni Paolo II, che domenica scorsa è stato proclamato beato, quando venne invitato al Parlamento italiano, a un certo punto chiese una misura di clemenza per i detenuti; e il Parlamento esplose in una ovazione, sembrava di stare a uno spettacolo di Vasco Rossi, non smettevano più di applaudire. Quello Parlamento non ha poi fatto nulla, fino a quando non abbiamo ingaggiato la lotta per l’indulto e l’amnistia - vincendola in parte - culminata nella marcia di Natale con la partecipazione dell’attuale presidente della Repubblica, dell’ex presidente Francesco Cossiga, don Antonio Galli, tanti altri. Quel Pontefice invocava un provvedimento di clemenza che non è solo un provvedimento umanitario; è un’iniziativa tecnicamente necessaria per il funzionamento della giustizia dello stato italiano. È lo strumento necessario, la decisione che ci può consentire di uscire da una situazione incostituzionale: l’attuale detenzione di oggi è per la stragrande maggioranza dei carcerati, un dato oggettivo di violenza da parte dello Stato; e occorre consentire ai magistrati che possano fare il loro lavoro, possano esaurire mano a mano che arrivano a maturazione i processi. Lo dico a muso duro alla Lega, ad Antonio Di Pietro, alla minoranza del PdL e del PD che si dicono contrari all’indulto e all’amnistia: loro se ne fottono, letteralmente, dei problemi dello stato, si interessano solo dei loro piccoli affari di bottega... L’amnistia è necessaria ai magistrati: ogni anno almeno 200mila processi sono annullati, grazie alla prescrizione. Una prescrizione di classe oltre che di massa, per chi si può permettere avvocati buoni e bravi, chi li può pagare. Noi l’amnistia la vogliamo per l’85 per cento dei reati, anche quelli che riguardano Silvio Berlusconi. L’amnistia è l’unico modo per impedire che ci migliaia, milioni di persone, magari colpevoli dei peggiori reati, se ne vadano, liberi, puliti, grazie alla prescrizione. L’amnistia prima ancora che interessare i detenuti, interessa tutti coloro che sono “fuori” e che non sanno lo stato in cui si trova la Giustizia. Quindi il mio appello a tutti voi detenuti, pur in mezzo agli inconvenienti, alle sofferenze alle quali siete condannati (voi e i vostri tutori dell’ordine, anche loro condannati - sono una ventina che si sono suicidati - i buoni direttori e assistenti e dell’amministrazione penitenziaria, che ci sono, e sentono), un appello dicevo a lottare con serenità, senza rabbia. Vorrei che comprendeste bene: sono al 15 giorno di sciopero della fame anche per l’obiettivo dell’amnistia; per convertire le grandi lotte dei compagni radicali per la difesa dei diritti dei detenuti. Ditelo ai vostri compagni, traducetelo a quelli che sono stranieri e ancora non comprendono bene la nostra lingua: io qui vorrei ringraziare quel detenuto egiziano che al terzo braccio del carcere di San Vittore a Milano ha cercato di organizzare un’iniziativa rifiutando il cibo: merita di essere applaudito, è il mio compagno. Con la nonviolenza, anche simbolica di un giorno, bisogna cercare di dar corpo a questo obiettivo. Ripeto: prima ancora che una necessità dei detenuti, è una necessità dello Stato. Non bisogna mollare. Se mi fate, ci fate fiducia, vedrete che anche questa volta ce la faremo a riformare una giustizia che fa ancora più schifo, è ancora più repellente, di quella dell’infame ventennio fascista: sono, lo ripeto, consistenti, gravissimi nuclei di shoah. Amnistia, dunque: una richiesta che dovremo far esplodere con la nonviolenza. Per noi, voi, in modo nonviolento. Se per un minimo conta la nostra storia: tenete conto che ogni volta che fate violenza a voi o ad altri è anche una prova di sfiducia sostanziale nei nostri confronti: vuol dire che ci ritenete incapaci di fare le cose da fare. La nostra storia dimostra che è il contrario. Con serenità, allegria, anche: perché prenda corpo anche nelle carceri la parola d’ordine di cittadini che dicono: non siamo qui per la democrazia e la libertà. Giustizia: Sappe; nel 2010 hanno tentato il suicidio 1.137 detenuti, 5.703 gli atti di autolesionismo Comunicato stampa, 4 maggio 2011 “Nel 2010 moltissimi eventi critici in carcere: 1.137 detenuti hanno tentato il suicidio, 5.703 gli atti di autolesionismo e 3.039 i ferimenti. Oltre 36mila i detenuti coinvolti in manifestazioni su sovraffollamento e condizioni di vita intramurarie”. “I dati recentemente elaborati dall’Amministrazione Penitenziaria e relativi agli eventi critici accaduti nelle carceri italiane nel corso dell’anno 2010 devono fare seriamente riflettere sulle evidente problematiche del sistema, rispetto alle quali è assolutamente necessario una riforma organica e strutturale. E sono importanti anche per far conoscere il duro, difficile e delicato lavoro che quotidianamente le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria svolgono con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità. È importante che la Società riconosca e sostenga l’attività risocializzante della Polizia Penitenziaria e ne comprenda i sacrifici sostenuti per svolgere tale attività, garantendo al contempo la sicurezza all’interno e all’esterno degli Istituti.” Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, commentando i dati relativi agli eventi critici che si sono verificati negli istituti penitenziari italiani nell’anno passato. Il Sappe sottolinea che “nel 2010, nelle sovraffollate carceri italiane, i detenuti hanno posto in essere 5.703 atti di autolesionismo (263 dei quali da donne ristrette) e 1.137 tentativi di suicidio. Le morti per cause naturali in carcere sono state 108 e 55 i suicidi. 3.039 sono stati i ferimenti. La manifestazioni di protesta individuali hanno visto 6.626 detenuti fare nel corso dell’anno lo sciopero della fame, 1.553 rifiutare il vitto, 1.289 detenuti coinvolti in proteste violente con danneggiamento o incendio di beni dell’Amministrazione penitenziaria. 15 sono state le evasioni da penitenziari, 41 a seguito di mancato rientro in carcere dopo aver fruito di permessi di necessità e di permessi premio, 3 i detenuti che non sono rientrati da lavoro all’esterno e 12 dalla semilibertà: più alto il numero degli internati evasi, 68. Capitolo a parte, infine, lo hanno le manifestazioni di protesta collettive sulla situazione di sovraffollamento delle carceri e sulle critiche condizioni intramurarie che si sono tenute nel 2010: 27 le proteste a seguito delle quali 550 soggetti hanno fatto lo sciopero della fame, 125 quelle con rifiuto del vitto cui hanno partecipato 14.632 ristretti, ben 180 la percussione rumorosa sui cancelli e le inferriate delle celle (la cosiddetta battitura) con 36.641 detenuti coinvolti”. Capece torna a proporre con urgenza un nuovo ruolo per l’esecuzione della pena in Italia, che preveda circuiti penitenziari differenziati ed un maggiore ricorso alle misure alternative, e sottolinea l’importante ruolo svolto quotidiano dai Baschi Azzurri del Corpo: “La Polizia Penitenziaria, negli oltre 200 penitenziari italiani, è formata da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio, e che ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano quotidianamente, soprattutto sventando centinaia e centinaia suicidi di detenuti”. Giustizia: Lisiapp; alla Camera si moltiplicano le mozioni sulle carceri, ma la situazione peggiora www.informazione.it, 4 maggio 2011 Lo stato dei fatti e ancora peggio. Ad affermarlo è una nota della Segreteria Generale del Lisiapp il Libero Sindacato Appartenenti Polizia Penitenziaria, le proposte dell’esecutivo sul piano carceri che prevede interventi sostanziali relativi sia all’incremento del personale che alla costruzione di nuovi istituti penitenziari sta raccogliendo sempre più mozioni che però non riescono ad uscire dalle aule del Parlamento. Alla Camera, per l’ennesima volta, si è discusso di un pacchetto di 7 mozioni presentate da tutti gli schieramenti politici. D’altronde, dati alla mano, la situazione sta peggiorando costantemente, mentre le soluzioni fino ad ora messe in atto, sono state unicamente dei procedimenti tampone, i cui effetti sono stati presto annullati. Il primo intervento afferma il Segretario Generale del Lisiapp Mirko Manna, doveva risolvere in parte il problema affluenza carceraria è stato proprio l’indulto, visto che già dall’anno successivo, il 2007 fino al 2010, la popolazione carceraria è quasi raddoppiata, si è finiti per annullare così qualsiasi beneficio del provvedimento. Da quasi 40 mila si è passati ad oltre 67 mila, mentre a causa dei tagli ai fondi pubblici, i costi giornalieri pro capite sono scesi a 113, circa 60 euro in meno del 2008. Ciononostante le mancate riforme nel sistema sono già costate negli ultimi dieci anni 29 miliardi. Così le 206 strutture penitenziarie, che avrebbero una capienza di 45.022 unità, hanno attualmente raggiunto il 151% di tasso di sovraffollamento. Le carceri in condizioni più sofferenti sono a Padova, Roma, Rebibbia femminile, Sulmona, Roma Regina Coeli, Fermo, Perugia, Milano San Vittore, Napoli e Poggioreale e altre realtà piccole come Imperia, Carinola, Viterbo etc. Inevitabilmente tutte queste situazioni di emergenza si ripercuotono sul personale di polizia penitenziaria già stremato da una carenza di organico fermo da anni come denunciano dal Lisiapp da molti mesi e un vuoto d’ organico di oltre 6.000 unità, creando un rapporto del tutto insufficiente di un poliziotto ogni 2 detenuti. Inoltre continua Manna, più del 43% dei reclusi è composto da imputati in attesa di giudizio a regime di detenzione cautelativa, che pur non avendo subito ancora la sentenza definitiva, vengono trattati alla stessa stregua dei veri e propri condannati. L’ingolfamento processuale sul penale, infatti, a differenza di quello civile, non solo non è stato oggetto di nessuna riforma sostanziale, ma al contrario rischia di peggiorare ancora di più. In questi ultimi anni infatti sono stati adottati dei provvedimenti che invece di risolvere i problemi, li ha incrementati. Fra questi, oltre alla creazione di nuovi reati, vi è anche la decisione di tradurre la detenzione per pene minori in sanzioni pecuniarie che però, dato il loro costo elevato, non sono affatto alla portata di tutti. Anche il tanto annunciato piano carceri, che avrebbe dovuto incrementare i posti, non solo è stato decurtato di oltre 10mila, ma fino ad oggi ne sono stati realizzati soltanto 2.000, aggiungendo nuovi padiglioni alle strutture già esistenti ed alcuni carenti strutturalmente. Un ulteriore situazione poco comprensibile è stato anche il decreto svuota carceri del quale hanno beneficiato soltanto 1.788 detenuti, dei quasi 8.000 potenziali destinatari. Tutto ciò, nonostante le polemiche, quindi si è risolto in un buco nell’acqua, visto che la maggior parte dei detenuti, spesso stranieri, manca di una casa o di una famiglia, e quindi delle condizioni necessarie per ottenere le misure alternative, mentre la rete dei servizi sociali, che potrebbe supplire a tale problema, è del tutto insufficiente. Per concludere il Lisiapp sottolinea che attualmente stenta a partire anche la presa in carico della salute dei detenuti da parte del servizio sanitario pubblico, dal momento che la maggior parte degli ospedali non è ancora attrezzata per accogliere il recluso. Lettere: dal 15 maggio i detenuti di Regina Coeli in sciopero della fame a oltranza Notizie Radicali, 4 maggio 2011 In riferimento alla recente visita dell’On. Marco Pannella avvenuta presso quest’istituto il 24 aprile 2011, a seguito delle rimostranze per il “non rispetto” dei diritti fondamentali dell’Uomo all’interno del carcere per cause connesse al sovraffollamento e dipendenti anche dalla mancanza di strutture idonee a garantire il proposito Costituzionale (artt. 2 - 27 - 32), i detenuti del carcere di Regina Coeli hanno deciso a maggioranza di adottare le seguenti misure: Sciopero della fame generale, ad esclusione delle persone affette da patologie a rischio (diabetici e/o con problemi di pressione bassa, etc.) con conseguente rifiuto del vitto governativo e dei pacchi familiari ad esclusione dei panni intimi e personali. Chiusura dei lavoranti, scopini, portavitto, cucina e scrivani. Spesa limitata ai soli acquisti di sigarette, tabacco, cartine, thè, caffè, camomilla, gas. Lo sciopero proseguirà ad oltranza sino all’ottenimento di quello che è già previsto dalla Costituzione, che per renderlo effettivo occorrerà una riforma del Codice Penale e di Procedura Penale, riforma della Giustizia, amnistia generalizzata ad esclusione dei reati di pedofilia e di quelli inerenti alla violenza sessuale. Si dovrà ridurre la popolazione detenuta almeno del 50% considerando, in primo luogo, i detenuti “non definitivi” e, per i “definitivi” chiediamo che l’indulto concesso nel 2006 non venga revocato ed anzi venga adeguato alle altre Nazioni Europee nelle quali la “concessione” dell’indulto è avvenuta scontando le pene di 5 anni. Tali richieste sono formulate in quanto: nessun detenuto ha avuto il “beneficio” previsto dall’art. 27 Cost.; nessun detenuto ha 7 mq come previsto dal Codice Penale; nessun detenuto, una volta scontata la pena, ha avuto una riabilitazione tale da consentirgli il cambiamento sostanziale per non reiterare il reato commesso. La rieducazione, la riabilitazione non sono affatto sufficienti in quanto “uscendo” non ci sono possibilità di lavoro (art. 1 Cost.) e di reinserimento mentre “all’interno” si alimenta l’ira e l’odio verso le Istituzioni che non fanno né concedono nulla di positivo anzi, in alcuni casi “tolgono” quel che di positivo ci può essere nelle persone detenute non curandosi minimamente di analizzarle e di capire le differenze che possono esser differenti da individuo ad individuo. La “persona” umana non deve essere trattata come un numero; ognuno di noi ha bisogni differenti che devono essere analizzati attentamente per poter rieducare e riabilitare, altrimenti non viene soddisfatto il principio enunciato negli artt. 1- 2 - 27 - 32 della Costituzione... ai principi devono concretizzarsi gli atti che producono “effetti” positivi sulla persona umana, per far in modo che “uscendo” ci sia un animo diverso dall’odio verso le Istituzioni, un animo che si avvicini alla fiducia verso le stesse e verso il “Bel Paese” dove viviamo. Tutto questo lo facciamo anche a tutela degli interessi degli stessi Agenti di Polizia Penitenziaria che sono carenti nell’organico previsto, ed è inammissibile che se un detenuto ha un malore al 1° piano e nello stesso momento un altro detenuto ha un malore al 3° piano, l’Agente di Polizia Penitenziaria può intervenire per una persona soltanto! Carenze dei Servizi Sanitari che non riescono a far fronte alla mole di lavoro che hanno per il sovraffollamento. Per tali motivazioni inizieremo lo sciopero della fame a partire da 15.05.2011. I detenuti del carcere di Regina Coeli Sezione II Liguria: Pellerano (Lista Biasotti); sanità penitenziaria peggiorata con gestione Regione Ansa, 4 maggio 2011 Il consigliere regionale Lorenzo Pellerano (Lista Biasotti) ha evidenziato oggi “il grave stato di emergenza in cui versano le carceri liguri” e i problemi legati alla situazione sanitaria all’interno degli istituti penitenziari. “Dopo che le funzioni sono state trasferite dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria alla Regione e quindi alle Aziende Sanitarie la situazione è peggiorata - ha affermato Pellerano. Ad esempio, a seguito di questo passaggio di competenze i medici di guardia operanti all’interno del carcere di Marassi hanno presentato spontanee dimissioni, contestando all’Asl di non aver rispettato i termini del loro contratto”. Pellerano ha sottolineato “le grosse difficoltà che incontrano gli agenti di polizia che operano all’interno dei centri clinici delle carceri e che vivono a stretto contatto con detenuti affetti da patologie gravi, alcune delle quali particolarmente debilitanti e contagiose (hiv, epatite, ecc.)”. L’assessore Montaldo ha riferito a Pellerano le spese per psicofarmaci nelle carceri liguri: l’Asl1 spende 57.976 euro per il carcere di Sanremo e 19.296 per il carcere di Imperia, l’Asl2 3.114,98, l’Asl4 36.588, l’Asl5 11.641 “e, - dice Pellerano - stranamente, l’Asl3 non ha fornito i dati. Fa piacere, comunque - ha concluso Pellerano, che l’assessore abbia proposto di avviare un confronto per approfondire queste criticità e cercare di dare una risposta concreta a tutti questi problemi”. Pavia: detenuto morì dopo due iniezioni di metadone, medico condannato a risarcire la famiglia La Provincia Pavese, 4 maggio 2011 Otto mesi di pena e 385mila euro di risarcimento alla madre e ai nove fratelli. Con questa condanna e un’assoluzione si è chiuso in Tribunale il caso di Tomas Libiati, morto a 27 anni nel carcere di Torre del Gallo. La condanna al maxi-risarcimento è scattata per il medico del carcere Paolo Caparello (difeso all’avvocato Maria Grazia Stigliano) che aveva avuto in cura il detenuto le ore prima del decesso, avvenuto il primo agosto del 2007. Assoluzione con formula piena, invece, per Pasquale Alecci (era difeso dall’avvocato Girolamo De Rada), all’epoca dei fatti direttore sanitario del carcere. Entrambi dovevano rispondere di omicidio colposo, ma per i due imputati l’esito del processo è stato opposto. Il giudice Pietro Balduzzi doveva decidere sulle loro responsabilità in relazione alla morte di Tomas Libiati, un giovane di Albuzzano che stava scontando una pena per furto e che era stato trasferito, alla fine di luglio 2007, dal carcere di San Vittore alla casa circondariale di Torre del Gallo. Libiati si era sentito male in cella ed era stata disposta una visita al pronto soccorso del San Matteo, dove gli era stato prescritto del Narcan (un farmaco che si usa come antidoto alle droghe) e da cui era stato dimesso. Ma nella notte a cavallo del primo agosto il giovane era stato trovato senza vita sul lettino dell’infermeria. Un decesso causato da due iniezioni di metadone, come aveva rilevato la perizia. Un farmaco con cui il ragazzo, che si era lasciato alle spalle un passato da tossicodipendente, era stato curato, ma a cui aveva rinunciato definitivamente dal 2006, quindi un anno prima dei fatti. Sulla somministrazione del farmaco come causa del decesso c’era stato l’accordo sia della perizia di parte che quella disposta dal magistrato. Su chi avesse avuto una responsabilità (non solo materiale) nella somministrazione del metadone erano invece emersi due nomi nel corso dell’inchiesta. Due medici con compiti differenziati all’interno della struttura. Caparello si era occupato direttamente del detenuto quando si era sentito male in cella, mentre Alecci, dalla ricostruzione che è stata fatta nel corso del processo, era intervenuto solo dopo che Libiati era stato già visitato dai medici del pronto soccorso del Policlinico San Matteo e del Serd. Le motivazioni della sentenza saranno depositate tra pochi giorni, ma appare evidente che il giudice ha ritenuto che non ci fossero profili di colpa a carico del direttore sanitario nemmeno per il ruolo che rivestiva. Caparello è stato invece condannato a otto mesi (il pubblico ministero Antonella Santi aveva chiesto un anno). Il giudice ha anche deciso il risarcimento di 160mila euro a favore della madre di Tomas Libiati e di 25mila euro per ciascuno dei nove fratelli della giovane vittima, per un totale di 385mila euro. La famiglia del giovane aveva chiesto danni per un milione di euro. Al medico non resta che fare appello per sospendere la sentenza e quindi il maxi-risarcimento. Catania: Uil; un dossier sull’emergenza carceri, sovraffollate e senza personale La Sicilia, 4 maggio 2011 È una vera e propria emergenza quella delle carceri catanesi. Emerge evidente dal dossier preparato dalla Uil Pa che domani, giovedì 5, dalle 10 alle 12.30 terrà un sit-in dinanzi alla Prefettura di Catania con i lavoratori degli istituti penitenziari per denunciare le inquietanti carenze delle carceri locali e lo sconcertante trattamento del personale in servizio. Alla manifestazione parteciperanno i segretari provinciali Uil e Uil Pa Angelo Mattone e Armando Algozzino che consegneranno ai rappresentanti delle istituzioni un “Rapporto sulle Carceri di Catania e provincia” dedicato alla memoria dei dodici agenti penitenziari catanesi morti suicidi, vittime di omicidi o stroncati da infarto e altre cause di servizio in questi ultimi anni. La Casa Circondariale di Catania oggi ha un organico di 321 agenti uomini e 19 donne di Polizia Penitenziaria, ma 96 sono stati distaccati al Nucleo Traduzioni e Piantonamenti e in altri servizi, pertanto sono in servizio 244 unità in totale a fronte di un organico previsto di 402 uomini e 33 donne, cioè 435. Di fatto l’organico è carente quasi del 42%. I detenuti, invece, dovrebbero al massimo essere 221, mentre attualmente sono 580 detenuti: quasi il triplo rispetto al previsto. A peggiorare le cose, da 6 anni il personale non fruisce di caserma per interminabili lavori di ristrutturazione e, anche qualora si completassero i lavori, non sono stati previsti i fondi per l’acquisto di mobili e suppellettili per l’arredo della caserma. Inoltre, sono stati negati i fondi per il servizio navetta che, a causa delle difficoltà per l’inagibilità della caserma, accompagnava il personale per il pernottamento alla Scuola di S. Pietro Clarenza. Mancano anche i fondi per i contratti di pulizia e manutenzione ordinaria. Al personale, inoltre, non sono state pagate le missioni effettuate l’anno precedente e lo straordinario non viene pagato interamente al personale nonostante sia chiamato a svolgerlo nel servizio giornaliero espletato. Il personale, infine, ha passato l’inverno al freddo senza poter fruire di caloriferi e senza intervento Ministeriale sarà costretto a morire di caldo nelle garitte dotate di vetri antiproiettile, dove la temperatura arriva a circa 50 gradi nei mesi più caldi. La Casa Circondariale di Bicocca ha un organico previsto di 220 unità, mentre il personale in servizio effettivo è di 163 unità di cui 33 distaccati fuori sede, un in aspettativa e un sospeso. La capienza regolamentare dell’Istituto è di 150 detenuti, ma ad oggi sono presenti circa 180 detenuti sistemati in metà edificio perché l’altra metà è chiusa per lavori di ristrutturazione. Con il sovraffollamento, altresì, sono venute meno le condizioni igienico-sanitarie, mentre la cucina detenuti è in stato di assoluto degrado e totalmente in contrasto con le normative sulla sicurezza: andrebbe immediatamente chiusa; La carenza di organico ormai è insostenibile, anche a causa di un errore iniziale nella formulazione delle piante organiche insufficienti sin dall’inizio. Al personale, peraltro, non sono state pagate le missioni effettuate l’anno precedente e lo straordinario non viene pagato interamente. Anche a Bicocca mancano fondi per i contratti di pulizia e manutenzione ordinaria, inoltre il personale ha passato l’inverno al freddo a causa dell’impianto di riscaldamento di fatto dismesso. Il Nucleo Traduzioni e Piantonamenti di Catania Bicocca è stato costituito nel 2005, la pianta organica assegnata era costituita da 161 unità. Ora, effettivamente in servizio sono rimasti in 132. L’organico è stato, quindi, ridotto del 40 per cento negli ultimi anni senza mai avere delle integrazioni; il personale opera sempre con meno unità rispetto a quanto previsto dalle normative vigenti per le scorte e i piantonamenti. I mezzi di servizio non sono perfettamente idonei, spesso sono privi di climatizzatori e fatiscenti: mancano persino i fondi per il lavaggio degli automezzi. Al personale, inoltre, non sono stati pagati i servizi di missione effettuati dall’aprile 2010 a dicembre 2010, oltre ad alcuni mesi del 2011. La Casa Circondariale di Giarre è stata creata per ospitare solo detenuti a custodia attenuata, oggi sono invece presenti circa 115 detenuti di cui appena 22 a custodia attenuata. A fronte di un organico previsto di polizia penitenziaria di n. 45 unità, di fatto sono presenti in Istituto solo 20 Agenti titolari più 14 distaccati da altri istituti, per un totale di 35 - compreso il Comandante di reparto - che non bastano, ovviamente, a garantire la sicurezza dell’Istituto, e poter fruire di riposi e congedi. Quasi tutto il personale, peraltro, deve ancora fruire del congedo ordinario 2010. La carenza di organico costringe il personale a snervanti turnazioni, mentre nel servizio notturno sono impegnate al massimo 3 agenti (ma spesso sono solo 2). Assurdo, poi, che a taluni lavoratori sia stata ridotta la classifica annuale, nonostante abbiano sventato 4 suicidi. La Casa Circondariale di Caltagirone, che doveva essere un fiore all’occhiello dell’Amministrazione Penitenziaria, benché di recente costruzione è afflitta dall’umidità e dall’assenza di sistemi di automatizzazione, oltre che da un sistema fognario insufficiente per una struttura sovraffollata (302 detenuti contro i 170 di capienza massima). Anche qui, la carenza di organico - 118, rispetto ai 158 previsti - è ormai divenuta insostenibile: alcuni agenti coprono 3-4 posti di servizio e nei turni notturni e serali sistematicamente vengono soppressi alcuni posti di servizio ritenuti fondamentali per la sicurezza dell’istituto. Inoltre, la carenza di personale di polizia penitenziaria non permette di utilizzare il blocco 10 e il reparto infermeria. Alla scuola-detenuti, frequentata da circa 50 alunni, viene peraltro impiegata una sola unità di Polizia Penitenziaria quando, invece, ne dovrebbero essere impiegate almeno 4. Vicenza: via libera alle candidature per il Garante comunale dei detenuti Giornale di Vicenza, 4 maggio 2011 Vicenza avrà presto un garante per i diritti dei detenuti. Il Comune ha infatti pubblicato l’avviso per la presentazione delle candidature che va fatta entro il 30 maggio. La figura del garante per i diritti delle persone private della libertà personale è stata istituita dal consiglio comunale con l’obiettivo di potenziare la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo. Sarà il consiglio comunale a scegliere a scrutinio segreto chi nominare tra i candidati. “Istituire questa figura - dichiara l’assessore alla famiglia e alla pace Giovanni Giuliari - non è stato un percorso facile. Auspico che il consiglio elegga il garante dei detenuti nello stesso giorno in cui porterò all’attenzione dell’assemblea consiliare il “Piano della città per le persone in esecuzione penale”. Il garante resterà in carica fino alla scadenza del mandato del consiglio comunale. L’incarico è rinnovabile solo una volta. La funzione è gratuita, al garante spetta solo il rimborso delle spese. La candidatura, in carta semplice, va indirizzata al presidente del consiglio comunale e deve pervenire entro e non oltre le 12 del 30 maggio 2011 al Protocollo del Comune, Palazzo Trissino, corso Palladio, 98, Vicenza (Per le raccomandate fa fede il timbro postale). L’avviso completo delle indicazioni da inserire nella domanda è pubblicato sul sito www.comune.vicenza.it. Per ogni ulteriore informazione gli interessati possono rivolgersi al settore servizi sociali del Comune: tel. 0444.222520, e-mail assintsociali@comune.vicenza.it. Brescia: continua polemica su elezione Garante. Pd: rimuovere Fappani un’ottusa prova di forza Brescia Oggi, 4 maggio 2011 Dopo l’elezione del nuovo garante dei detenuti Emilio Quaranta, i democratici vanno all’attacco. Del Bono: “Ridicolo dire che non c’è stato accordo per colpa nostra Disponibili per un nome che fosse espressione del mondo carcerario”. “Perché cacciare qualcuno che ha lavorato bene ed è stato sostenuto da tutto il mondo carcerario, operatori, associazioni e detenuti? Che lo si dica, piuttosto, che si voleva arrivare ad un nome che fosse espressione della maggioranza, perché sostenere che l’accordo non sia stato possibile per colpa del Pd è quantomeno ridicolo”. È la domanda che si pone il capogruppo in Loggia del Partito democratico, Emilio del Bono, dopo l’elezione dell’ex magistrato Emilio Quaranta nuovo garante dei carcerati, non senza polemiche, nel Consiglio di venerdì scorso. Un quesito che si rivolge alla maggioranza, quella che, secondo il Pd, “in modo deprimente avrebbe riportato una ricostruzione della vicenda che non corrisponde al vero”. A partire dalla presunta contrapposizione politica dei due candidati, in capo all’una o all’altra coalizione. “Mario Fappani è stato indicato dall’associazione Carcere e Territorio, dal Volca, e dai detenuti che hanno depositato centinaia di firme”, ricorda Del Bono precisando quindi che “non si tratta affatto di un nome segnalato dal Pd”, ma di una figura che “a detta di tutti i consiglieri, si è sempre distinta per professionalità e dedizione, maltrattato ingiustamente dalla maggioranza per questioni di potere politico”. Lo confermerebbe anche la relazione del Comitato di valutazione che evidenzia come Fappani abbia ricevuto “il sostegno e l’apprezzamento delle due associazioni principali che sul territorio assistono i detenuti”, ma anche “la notevole levatura morale e l’esperienza professionale” del neoeletto Emilio Quaranta. È a questo punto che Del Bono mette i puntini sulle “i” circa il passo indietro di Fappani al momento della rielezione: “lo ha fatto solo affinché si arrivasse a un nome condiviso dal mondo carcerario, per esempio Carlo Alberto Romano, ma il centrodestra, in particolare la Lega, ha deciso di marcare questa candidatura”. Quanto alle dichiarazioni della presidente del Consiglio, Simona Bordonali, che avrebbe imputato al Pd la responsabilità di un mancato accordo in questo senso, Del Bono tuona con un ripetuto “falso, strafalso”, rivendicando di aver dato “la massima disponibilità a cercare un nome che fosse espressione del mondo dei detenuti”. Ma i sassolini che il centrosinistra leva dalla scarpa non finiscono qui. “La si deve smettere di evocare a ogni piè sospinto, strumentalmente, la vicenda delle carte di credito”, in cui il Pd avrebbe cioè chiuso le porte al dialogo: “l’accordo per il nuovo garante dei detenuti non è stato raggiunto solo perché la maggioranza ha voluto marcare la proprio autosufficienza, a prescindere dal nome specifico - osserva Del Bono -. E di certo non è stato un momento edificante per la politica bresciana, capace di mortificare le richieste degli operatori carcerari mentre tanto parla di sussidiarietà”. Di qui, la considerazione politica stringente. “In questa vicenda il centrodestra non ha considerato che bisogna dimostrare di essere una coalizione moderata”, picca Del Bono che parla piuttosto di una “immotivata, ingiustificata e ottusa prova di forza in cui il ruolo di sintesi non è stato svolto dal sindaco, nè quello di mediazione da Bordonali”. Fappani insomma, per il Pd, “non meritava questo trattamento nè questa ricostruzione dei fatti”, “ma siamo pronti a qualsiasi confronto”, anticipa Del Bono. E a chi ha sostenuto non ci fosse il tempo per ulteriori confronti, il consigliere Giuseppe Ungari ricorda che “il bando era stato chiuso l’11 novembre scorso” e sostiene la maggioranza abbia messo in campo “un’azione intellettualmente disonesta” con il sindaco “grande assente” del dibattito. “Nulla toglierà il nostro sostegno a Quaranta - tiene a sottolineare Del Bono -, ma auspichiamo simili episodi non si ripetano. Siracusa: appello dei familiari di un detenuto 26enne; Franco ha urgente bisogno di operarsi La Sicilia, 4 maggio 2011 Consentire a Franco Miduri, 26enne augustano, di sottoporsi ad un intervento chirurgico urgente. L’appello arriva dai familiari del giovane, detenuto nel carcere di Cavadonna. “Non sono bastati gli appelli al Tribunale, non è bastata la diagnosi del consulente Goliardo Suber, che ha confermato il danno allo scafoide carpale”. L’appello è rivolto alle istituzioni che hanno in custodia Franco, arrestato lo scorso febbraio quando aveva già il braccio ingessato. “Franco - spiegano i familiari - da subito ha lamentato forti dolori al polso. Il dottor Suber richiedeva la rimozione della prima ingessatura, troppo stretta. Con il trascorrere delle settimane il dolore e il fastidio non passavano e quindi il dottor Suber, come consulente di parte, richiedeva al Tribunale che venisse effettuata una radiografia particolare e, quindi, un intervento chirurgico urgente al polso. La seconda visita - spiega la famiglia - avveniva insieme a due consulenti di parte nominati dal giudice. Questi, a differenza di Suber, concludevano che “la frattura e la condizione del paziente erano compatibili con la permanenza in carcere”. “Al di là del valore professionale dei due colleghi - afferma Suber - credo sia necessario un intervento chirurgico per sistemare la lesione carpale. Sarebbe opportuno eseguire una particolare radiografia che, sono certo, evidenzierebbe il sospetto della lesione”. Cagliari: detenuto domiciliare scarcerato con 4 mesi di ritardo… colpa della carenza di personale L’Unione Sarda, 4 maggio 2011 Il Tribunale è in gravi difficoltà per mancanza di personale amministrativo: i funzionari e cancellieri vanno in pensione e non vengono sostituiti. I termini sono scaduti nel dicembre 2010 ma il detenuto ha potuto lasciare gli arresti domiciliari solo nei giorni scorsi. La goccia ha fatto traboccare un vaso colmo da tempo. La presidente della Corte d’appello Grazia Corradini ha scritto al presidente del Tribunale Claudio Gatti: troppi i ritardi nella trasmissione dei fascicoli dopo le sentenze di primo grado, troppi gli imputati scarcerati in attesa del processo di secondo grado. E dire che in Tribunale è in corso una maxi riorganizzazione degli uffici studiata da super esperti finanziati con 900.000 euro di fondi europei. Ma gli effetti ancora non si vedono. Anzi. Basti pensare che un errore nel trasloco da un ufficio all’altro costringerà il Comune (che gestisce il Palazzo di giustizia) a riaffidare a una ditta esterna il trasporto di arredi e fascicoli. Il problema vero è la mancanza di personale di cancelleria: da dieci anni non ci sono assunzioni ma la pianta organica risulta completa perché ogni anno viene modificata per decreto. Si sopperisce ai vuoti d’organico con tirocinanti, stagisti e lavoratori convenzionati che sostituiscono i funzionari andati in pensione: 20 su 40. Intanto il lavoro aumenta: all’ufficio gip-gup il carico nel 2010 è aumentato del 50 per cento mentre il personale si è ridotto del 15 per cento, quindi anche se il numero dei sentenze è aumentato del 56 per cento, le pendenze sono cresciute del 59 per cento. Altro che processo breve, separazione delle carriere, doppio Csm e tutto quello che viene spacciato per riforma della giustizia: il tribunale rischia il collasso. Nel 2009 ogni cancelliere aveva un carico di 300 sentenze all’anno che nel 2010 sono diventare 693 e la proiezione per il 2011 arriva a 1.157. Le impugnazioni nel 2009 erano 78, nel 2010 172, quest’anno 292, e ognuno di questi provvedimenti deve essere notificato prima della trasmissione del fascicolo alla Corte d’appello. E siccome è proprio davanti al gup che si celebra la gran parte dei processi con detenuti, si corre il rischio di scarcerazioni per decorrenza dei termini e si registra pure il caso limite della liberazione di un detenuto con 4 mesi di ritardo. Non va meglio all’ufficio corpi di reato: i cancellieri erano 7 e sono rimasti in 3 a sbrigare giusto le urgenze. Per il resto si passa dai 5 giorni previsti dalla legge ai 5 mesi in cui si riesce a eseguire i provvedimenti del giudice. Così restano affidate ai sindaci le 100 barche sequestrate agli scafisti mentre 100 container carichi di merce sono fermi al porto canale in attesa dello smaltimento. Trieste: detenute cercano di rimanere incinte pur di uscire dal carcere di Laura Tonero Il Piccolo, 4 maggio 2011 Il direttore Sbriglia ha inviato una segnalazione alla Procura: “Esiste il pericolo di infezioni”. Cercano di rimanere incinte pur di uscire dal carcere. È quanto è accaduto al Coroneo, uno dei pochi istituti penitenziari in Italia dove la sezione femminile e quella maschile sono ospitate nello stesso edificio. Le detenute hanno messo a punto un curioso stratagemma per tentare di diventare mamme. Del caso, tenuto nascosto per mesi, stati informati la Procura della Repubblica e il Tribunale di Sorveglianza di Trieste. La segnalazione inoltrata dall’amministrazione penitenziaria racconta di come le recluse nella casa circondariale triestina abbiano tentato più volte di introdurre nel loro corpo il liquido seminale di altri detenuti sperando di restare incinte e di uscire quindi dal Coroneo usufruendo delle misure alternative alla detenzione riservate alle donne in attesa di un bambino. “Sono rimasto incredulo di fronte a un simile stratagemma”, ammette alla fine Enrico Sbriglia, direttore del carcere attualmente in aspettativa elettorale. “Dopo essermi consultato anche con alcuni medici ho ritenuto doveroso segnalare quanto accadeva - visti anche i rischi di trasmissione di malattie - per tutelare la salute di queste donne”. Lo scambio si concretizza durante l’ora d’aria. Tra uomini e donne all’interno del Coroneo non avvengono mai contatti diretti. Possono però comunicare dalle finestre che si affacciano sullo stesso cortile. Cortile al quale, in orari diversi, hanno accesso sia le detenute che i detenuti. Due punti di contatto che non sono passati inosservati alle ingegnose recluse che, mettendo a punto un sistema a dir poco diabolico, hanno tentato più volte di praticare una “casereccia” inseminazione artificiale. Il piano funziona così: dalle finestre delle celle, da dietro le sbarre, la detenuta con inequivocabili gesti avanza la richiesta a questo o quel detenuto scelto con chissà quali criteri di complicità: significa che lei nel giro di pochi minuti, assieme alle compagne di sezione, verrà portata in cortile. Poi qualcuno, con un urlo o con un’imprecazione, distrae gli agenti della polizia penitenziaria incaricati di sorvegliare quanto accade in cortile. Ed è in quel preciso istante che il recluso getta dalla finestra un guanto al cui interno è contenuto il liquido seminale. In alcuni casi i reclusi hanno anche tentato di passare alle donne gli involucri calandoli dalle finestre e utilizzando dei sottili fili di tessuto recuperati nel laboratorio dove si tengono anche le lezioni di taglio, cucito e maglieria. La donna che aspetta la “donazione” a quel punto intercetta il pacchetto e chiede di andare in bagno accampando un’urgenza, o tenta di nascondersi in un luogo appartato. Ed è stato quel fuggi fuggi, quel chiedere con urgenza di andare in bagno che ha inizialmente insospettito le guardie penitenziarie. Non avendo a disposizione dei preservativi - in carcere sono vietate la distribuzione e l’introduzione di profilattici - i reclusi si sono ingegnati inserendo il liquido seminale in sacchettini ricavati dalle dita dei guanti in lattice. Gli stessi guanti utilizzati all’interno della lavanderia o della cucina del Coroneo per proteggere le mani dai detersivi. Le donne, a loro volta, per introdurre il materiale organico nel loro corpo si sarebbero servite di cannule trasparenti ricavate smontando penne tipo “Bic”, utilizzate poi a mò di siringa. Tempo fa in una cella alcuni agenti hanno anche trovato un dettagliato vademecum redatto da una detenuta che, minuziosamente, trascriveva di volta in volta gli esperimenti. Sbriglia spiega che per ora nessuna detenuta risulta mai essere rimasta incinta e assicura che l’attenzione degli agenti penitenziari su questo fronte ora è estremamente alta. “Abbiamo proposto di collocare delle grate a maglie fitte sulle finestre, tipo zanzariere proprio allo scopo di evitare questi lanci - riferisce il direttore - ma vuoi per mancanza di fondi, vuoi perché alcune disposizioni non lo consentono, la proposta non è stata accettata e il problema non è stato risolto”. Il direttore: l’inseminazione “fai da te”? non è reato Tutto è nato dal ritrovamento di una lettera indirizzata da una detenuta al suo uomo, a sua volta incarcerato nella casa circondariale di Trieste, il Coroneo, nella quale la giovane dava istruzioni per farsi inseminare tra le sbarre, spiegando che la pratica aveva avuto già successo altrove. Il direttore del carcere, Enrico Sbriglia, ora in aspettativa perché candidato alle amministrative, non conferma nè smentisce, ma ironizza: “Se fosse nato qualche bambino, lo avrei chiamato Libero o Libera”. Insomma, la faccenda è proprio vera. È trapelata solo ora ma risale a qualche mese fa e Sbriglia, all’epoca, lo ha riferito ai superiori gerarchici e alla magistratura di sorveglianza. Non alla Procura, perché un reato non parrebbe esserci. In pratica, le detenute facevano così: da dietro le sbarre facevano capire al prescelto cosa volevano. Poi, quando la giovane andava in cortile per l’ora d’aria, il detenuto lanciava il pacchetto, mentre gli agenti della polizia penitenziaria destinati alla sorveglianza venivano distratti. In quanto ai particolari tecnici, il seme era infilato in un guanto di lattice, di quelli usati nella cucina e nella lavanderia del Coroneo. Ricevuto il pacchetto, la destinataria con una scusa chiedeva di andare urgentemente in bagno. Pare che per l’inseminazione “fai da te” le donne usassero, al posto delle siringhe, le cannule delle penne smontate. La pratica, ribadisce Sbriglia, non è un reato. “Non c’è reato - spiega - nell’affacciarsi alle finestre o nel dedicarsi a pratiche onanistiche. Il reato potrebbe essere quello che, se un detenuto è sieropositivo, rischia di mettere in pericolo la salute della donna. Potrebbe starci l’imbrattamento - prosegue Sbriglia - se durante l’iter imbrattano”. La vicenda era ormai divenuta il segreto di Pulcinella nel mondo che ruota intorno al carcere e correva di bocca in bocca tra gli operatori. Ma il problema non è ancora stato risolto. Certo, la polizia penitenziaria è più che mai all’erta, ma per risolvere definitivamente la questione, bisognerebbe impedire che le detenute si affaccino alle finestre, o che facciano un gesto con la mano ai maschi e infine ai detenuti di atti di onanismo. Ma non c’è nessuna legge o norma carceraria che lo consenta. Anzi, non è stato nemmeno possibile apporre “delle griglie a magli strette alle finestre per impedire il lancio dei contenitori - racconta Sbriglia - sia per mancanza di risorse sia perché alcune normative non lo consentono perché grate tipo zanzariere non permetterebbero il ricambio d’aria”. L’unica soluzione sarebbe che il carcere non permettesse nemmeno il contatto visivo tra maschi e femmine. Insomma, fantascienza, fintanto che la struttura architettonica del Coroneo ospita sezione femminile e maschile. Attualmente, le donne dietro le sbarre sono a Trieste circa 35 e in genere sono molto giovani, quindi in grado di rimanere incinta. Di regola, le giovani non scontano più di 5 anni di detenzione. La pratica dell’inseminazione casalinga nasce dal desiderio dei permessi dei quali possono fruire le detenute madri. Di fatto, il bizzarro e ingegnoso procedimento finora non ha prodotto alcun bebè e sembra sia stato tentato da ragazze con legami affettivi con compagni a loro volta dietro le sbarre o con i quali avevano un legame di simpatia costruito attraverso lettere e saluti, “come accade al liceo”, scherza Sbriglia. Il ginecologo Guaschino: “Un metodo praticabile ma rischioso” Basta consultare la “Breve guida all’auto-inseminazione” redatta e pubblicata dall’associazione nazionale Arcilesbica per venire a conoscenza delle tecniche per restare incinta senza avere rapporti sessuali con un uomo e senza dover necessariamente ricorrere ai centri che si occupano di tecniche per la riproduzione assistita. “È probabilmente da guide come questa che le detenute, magari prima di entrare in carcere, hanno appreso i metodi da utilizzare per restare in stato interessante - ipotizza Secondo Guaschino, direttore della Clinica ostetrica e ginecologica e della Scuola di specializzazione dell’Università di Trieste - ma queste giovani recluse non si rendono conto dei rischi di contrarre malattie infettive ai quali si espongono”. Ma quante possibilità ci sono che una giovane resti incinta mettendo in pratica questi metodi “fai da te”? “Se, come sembra accadere in carcere, - spiega Guaschino - il tutto avviene in tempi ridottissimi e le donne calcolano con precisione il loro periodo di ovulazione, le possibilità che l’inseminazione vada a buon fine ci sono”. In pratica il sistema tentato dalle detenute ha fondamento. Il piano messo a punto anche dalle recluse triestine potrebbe in pratica far restare realmente incinta qualche scaltra ragazza rinchiusa dietro le sbarre del Coroneo. Circostanza che permetterebbe alla detenuta di usufruire di misure detentive alternative. La guida dalla quale probabilmente hanno preso spunto le detenute del Coroneo insegna come calcolare i giorni fertili, come raccogliere e conservare il liquido seminale e come, utilizzando una siringa, introdurlo nel corpo della donna. Guaschino alle detenute lancia però un monito. “Sconsiglio vivamente queste pratiche - avverte il ginecologo -perché il liquido seminale è fonte di trasmissione per infezioni, batteri ma anche di virus come l’Hiv e l’epatite”. Una trentina di recluse, quasi tutte giovani Poche le italiane, prevalgono le straniere. Dietro le sbarre per storie di furto e spaccio di droga Le detenute rinchiuse nel carcere del Coroneo sono in media 30. Nei periodi di massimo affollamento se ne contano anche 35. Poche le donne di nazionalità italiana, elevato invece il numero di straniere provenienti soprattutto dalla Romania, dall’Albania, dal Marocco, dalla Repubblica Cinese, dalla Nigeria e dalla Costa D’Avorio. Si stima che la percentuale di detenute non italiane si attesti mediamente intorno al 65-70 per cento. Molte le giovani, anche poco più che diciottenni incriminate nella maggior parte per spaccio e detenzione di stupefacenti, di furto o di reati legati allo sfruttamento della prostituzione La sezione femminile nell’istituto penitenziario triestino era stata soppressa nel 1990. Poi, con la chiusura della sezione femminile del carcere di Tolmezzo - decisione presa per fare spazio al reparto di alta sicurezza in regime di 42 bis - e con l’avvio della ristrutturazione del carcere di Udine, dal febbraio 2003 le donne sono state trasferite tutte a Trieste, a oggi l’unica sezione femminile del Friuli Venezia Giulia. Le madri comunque non restano a Trieste per più di tre, quattro giorni al massimo e vengono tempestivamente trasferite nel carcere della Giudecca a Venezia dove c’è più spazio e vi sono maggiori opportunità per i bambini. Nell’edificio di via del Coroneo costruito sotto l’impero austroungarico con un passaggio diretto al vicino Palazzo di Giustizia, i primi detenuti sono entrati nel 1914. All’epoca la capienza prevedeva 535 reclusi. Oggi la struttura non potrebbe accoglierne più di 150 malgrado i detenuti presenti nella siano da anni in media 240. Un problema di sovraffollamento denunciato più volte dall’amministrazione carceraria costretta a dover ospitare anche nove persone nella medesima cella. Nella costruzione a tre piani con quarto piano mansardato vengono ospitate sette sezioni maschili, compresa l’infermeria e gli isolati, e una sezione femminile situata al terzo piano. Nei seminterrati ci sono i laboratori di tappezzeria, ceramica e falegnameria, ricavati negli spazi un tempo utilizzati per ospitare camorristi e terroristi. A fianco si trovano i nuovi laboratori per la pasticceria e la panificazione. Al primo piano ci sono due sezioni detentive e la sezione per le attività trattamentali con le aule scolastiche, laboratori, la biblioteca, l’ufficio del cappellano, l’aula d’informatica e la palestra. Palermo: lunedì 9 maggio la presentazione del progetto “Buoni Dentro” www.siciliainformazioni.com, 4 maggio 2011 Sarà presentato lunedì 9 maggio alle ore 9.00, presso il Teatro dell’Istituto Penitenziario Pagliarelli, il progetto Buoni Dentro, realizzato da Infaop - Istituto nazionale per la formazione, l’addestramento e l’orientamento professionale, con l’obiettivo di dare alla comunità una nuova immagine della struttura carceraria e dei detenuti. Buoni Dentro è un progetto della durata di 24 mesi che ha l’obiettivo di riqualificare 30 fra detenuti e detenute del carcere Pagliarelli e ampliare le loro possibilità di accesso al mondo del lavoro attraverso due corsi paralleli - con relativi laboratori - che al loro termine qualificheranno rispettivamente gli uomini come mastri pastai e le donne come operatrici socio assistenziali. Realizzato nell?ambito del Programma operativo obiettivo convergenza 2007-2013, Fondo sociale Europeo, Regione Siciliana, il progetto è promosso da Infaop e coordinato da Mediali, l’azione di ricerca è gestita dallo studio di consulenza aziendale Proteos. Partner di Buoni Dentro sono il Pastificio Giglio, che formerà gli uomini, e la Cooperativa Sociale Isola, che formerà le donne. Il coinvolgimento di queste due aziende mira a stabilire una collaborazione professionale futura tanto con l’istituto carcerario, quanto con i detenuti che aderiscono al progetto. Partner di supporto è la Cooperativa Leonardo da Vinci. Durante la presentazione i partecipanti illustreranno in che modo, grazie a Buoni Dentro, sarà possibile creare un ponte fra il mondo della formazione, le amministrazioni penitenziarie e il tessuto economico-produttivo locale. Interverranno Francesca Vazzana, direttrice dell’Istituto penitenziario Pagliarelli; Francesco Cascio, presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana; Gabriele Albergoni, direttore di Infaop, ente capofila del progetto Buoni Dentro; Barbara Scira, coordinatrice del progetto Buoni Dentro; Nicola Sposito, responsabile dell’area educativa dell’Istituto penitenziario Pagliarelli; Mimmo Giglio, titolare del Pastificio Giglio; Andrea Piraino, Assessore regionale alla Famiglia, alle politiche sociali e del lavoro; Orazio Faramo, Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria. L’incontro sarà moderato da Tony Siino, blogger e autore del blog Rosalio.it. Al termine dell’evento, il Pastificio Giglio offrirà agli ospiti un rinfresco a base di pasta. Oristano: progetti di formazione per una vita di libertà e lavoro La Nuova Sardegna, 4 maggio 2011 Insegnare un mestiere ai detenuti, per una scommessa che potrà essere vincente con il ritorno alla libertà. Allora l’ex detenuto dotato di un curriculum professionale avrà le carte in regola per trovare un lavoro. È questo il senso dei tre progetti avviati nel carcere di Oristano, ma soprattutto nelle Colonie penali di Isili, Mamone e Is Arenas. Ha funzionato, perché adesso dalle mani dei detenuti nascono cose importanti: il recupero di aree archeologiche e il loro restauro, ma anche prodotti agroalimentari firmati “Galeghiotto” che hanno sbaragliato alle fiere di settore di Rimini e Milano. Per il momento, delizie come il miele di Isili oppure l’olio e il pecorino di Mamone, solo per fare alcuni esempi della vasta gamma di un catalogo che in futuro avrà anche il marchio biologico, non si trovano nei normali canali di vendita. Sono prodotti che si possono acquistare soltanto negli spacci della polizia penitenziaria, in futuro però si pensa di canalizzarli nella vendita al pubblico, magari anche attraverso forniture per enti pubblici, ad esempio, le mense degli ospedali. È si questi argomenti che si basa il convegno “Sinergie progettuali nell’agricoltura sociale, biologica ed equosolidale” che si terrà domani alla Casa di reclusione di Is Arenas. Due i progetti: “Terra Madre” e “Progetto Colonia”. Li racconteranno ad una platea specializzata, Luigi Pagano, provveditore dell’Amministrazione penitenziaria della Sardegna; Roberto Demontis, presidente del Patto territoriale Oristano Sil; il direttore della Casa di reclusione Is Arenas, Pier Luigi Farci e Marco Greco, vicepresidente dell’Aiab Sardegna. Fra i relatori, Antonello Comina, funzionario del Laore, ma anche presidente della cooperativa Il Seme, una delle realtà da cui è partito un progetto che è anche una enorme scommessa. Ovvero, il recupero di chi è stato in carcere. “Perché se non ci riusciremo noi, a Oristano, dove il numero delle persone che delinquono è decisamente limitato rispetto ad altre realtà, allora significa che non sarà possibile da nessuna parte”. Parole che si piazzano, quelle pronunciate dal direttore del carcere, Pier Luigi Farci, ma da intendere nel segno della speranza che suonano un po’ così: “Mai abbandonare l’obiettivo primario: il recupero”. Recuperare nel segno del lavoro. È accaduto con gli scavi di Fordongianus, adesso si farà per altri 30 detenuti (12 di Is Arenas) con i due progetti che, finanziati per circa 630mila euro, potrebbero dare risultati importanti. Uno è già quasi al traguardo e farà della Sardegna la regione europea con la maggior estensione di aziende biologiche. Infatti, ben 65mila ettari di terreni delle colonie penali avranno la certificazione biologica. Ieri, nel corso di una conferenza stampa, Giampaolo Cassitta, direttore dell’Ufficio detenuti e trattamento ha spiegato come i progetti daranno anche risposte di reinserimento per i detenuti stranieri. Le conclusioni del convegno saranno del presidente del Tribunale di Sorveglianza, Francesco Sette; di Caterina Corte direttore del servizio Attuazione politiche sociali; dell’assessore regionale all’Agricoltura, Mariano Contu e di Emilio Somma, vice capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Monza: la Provincia attiva uno “Sportello servizi al lavoro” per i detenuti Ansa, 4 maggio 2011 Il reinserimento dei detenuti della Casa Circondariale di Monza sarà da oggi favorito dallo Sportello Servizi al Lavoro inaugurato oggi nel carcere del capoluogo brianzolo. Realizzato dalla Provincia, lo sportello offrirà ai detenuti i servizi normalmente forniti dai Centri per l’impiego del territorio: percorsi di orientamento, servizi di incontro tra domanda e offerta, tirocini formativi e anche consulenza informativa e normativa alle imprese. Allo sportello potranno accedere i detenuti con pena detentiva residua non superiore ai 12 mesi e quelli in regime di semilibertà. Allo stato attuale, secondo una prima stima, sarebbero circa 200 le persone, tra le 850 rinchiuse nel carcere brianzolo, che potrebbero usufruirne. All’inaugurazione hanno partecipato oggi il presidente della Provincia Dario Allevi, l’assessore al Lavoro Giuliana Colombo e il direttore del carcere Massimo Parisi. Immigrazione: sentenza della Corte di giustizia europea; scarcerati i primi 15 clandestini La Nuova Venezia, 4 maggio 2011 La Procura lagunare ha recepito la recente sentenza della Corte di giustizia europea che ha bocciato il reato di clandestinità introdotto dal governo italiano. Presto decine di nuove scarcerazioni. Entrare in Italia da clandestino non è più un reato. A ribadirlo, smentendo la legislazione italiana voluta dal governo di Silvio Berlusconi e Roberto Maroni, è stata la Corte europea sei giorni fa. E anche la Procura veneziana si sta adeguando: lunedì sono stati scarcerati da Santa Maria Maggiore i primi quindici extracomunitari arrestati e condannati solo per il reato di clandestinità. Ieri, invece, il procuratore e il pubblico ministero incaricato hanno firmato altri cento provvedimenti che riguardano coloro che avrebbero dovuto essere cercati e bloccati nei prossimi giorni. Verranno anche riviste altre sentenze, che hanno condannato gli immigrati soltanto per clandestinità e quindi altri extracomunitari potranno uscire dalle carceri veneziane. La decisione della Corte europea di Strasburgo, infatti, è retroattiva e cancella le norme della legge ormai conosciuta come Bossi-Fini perché in contrasto con la direttiva europea entrata in vigore la vigila dello scorso Natale. Fino al giorno in cui si è pronunciata la Corte di giustizia Europea, il 28 aprile dello scorso anno, in Italia l’extracomunitario che risultava condannato per essersi trattenuto nel nostro territorio senza giustificato motivo, non rispettando l’ordine del questore di lasciare l’Italia entro 5 giorni, era legittimamente detenuto. Infatti per la violazione di quell’ordine - equiparata a un reato penale - era prevista una condanna da uno a 4 anni di reclusione in base al pacchetto sicurezza introdotto nel 2009 dal ministro degli Interni Maroni, per inasprire le norme anti-immigrazione della già discussa Bossi-Fini. Quando la maggioranza del Parlamento aveva varato quelle norme, tutti ben sapevano che erano in netto contrasto con la normativa europea, peraltro sottoscritta dall’Italia. Infatti, la direttiva 115 del 16 dicembre 2008 (votata dal Parlamento europeo e adottata dal Consiglio) imponeva prima il rimpatrio volontario, poi a scalare provvedimenti più pesanti prevedendo l’eventuale trattenimento in un Centro di identificazione - e quindi una limitazione della libertà temporanea - per un massimo di 180 giorni solo al fine dell’espulsione. L’Italia non si è mai adeguata a quella direttiva: avrebbe dovuto farlo entro il 24 dicembre 2010. Già a gennaio alcune Procure, ma non tutte, avevano adottato la normativa europea. Droghe: cannabis “terapeutica”; confermata condanna ad 1 anno ed 8 mesi di reclusione www.aduc.it, 4 maggio 2011 Venerdì 29 aprile scorso, a L’Aquila, la Corte di Appello ha confermato la condanna ad 1 anno ed 8 mesi di reclusione + € 5.000 di multa, inflitta dal Tribunale di Chieti al pianista-pittore teatino Fabrizio Pellegrini in primo grado, per la coltivazione sul balcone di casa di 8 piantine di canapa nel giugno 2005. Fabrizio, affetto da una sindrome fibromialgica che gli causa continui dolori e che gli impedisce tra l’altro di esercitarsi nelle sue attività, negli anni ha scoperto che le cure più efficaci nel suo caso sono gli esercizi yoga, e la terapia con cannabis. Nel 2005, all’epoca dei fatti, ancora il Thc non era stato inserito dal Dm 18-4-2007 nella tabella II sezione B delle sostanze stupefacenti dotate di attività terapeutica, e nessuna importazione nel nostro Paese era ancora mai avvenuta (con l’eccezione di una episodica importazione di Bedrocan per un paziente di Crotone nel 2005, le forniture cominceranno a Roma solo a metà 2006, su apposita deroga ministeriale dalla nuova Legge 49 Fini-Giovanardi, che metteva tutte le droghe inclusa la cannabis in una unica tabella “proibita”). Quindi la cannabis medicinale olandese, che solo in seguito il medico gli avrebbe prescritto e la Asl gli avrebbe fornito, non era disponibile e Fabrizio, come molti altri malati nelle sue condizioni, si è trovato senza alternative. Se non quella tra rifornirsi presso spacciatori, finanziando la mafia e rischiando di avvelenarsi ma commettendo solo un illecito amministrativo, o coltivarsi la sua medicina, modo certo più “etico” e sicuro per la salute, ma che lo espone in prima persona alle apocalittiche pene (fino a 20 anni di reclusione) previste per il suo comportamento. In primo grado la difesa aveva inutilmente chiesto al tribunale di riconoscere la pressoché inesistente offensività del fatto, e l’attenuante di cui all’art. 62 n.1 c.p. relativa ai “motivi di particolare valore morale e sociale”, per la scelta di non alimentare il mercato della droga (in mano alla criminalità)”. Ed aveva fatto notare che nella cd. coltivazione domestica per uso personale manca del tutto, per definizione, la dimensione offensiva del “pericolo di aumento della sostanza stupefacente in circolazione”, che sola giustifica la rilevanza penale, secondo sentenze di Cassazione precedenti ai fatti. Niente da fare, la legge punisce la coltivazione senza eccezioni possibili, e sì che Giovanardi continua imperterrito a ripetere che la “sua” legge colpisce solo gli spacciatori. E Fabrizio? e tutti i malati nelle sue condizioni, signor sottosegretario? Perché vuole obbligare tutti gli auto coltivatori per uso personale, terapeutico o meno, a frequentare (e finanziare) per legge proprio quella filiera narco mafiosa, che a parole addirittura pretende di voler combattere? Ora, a Fabrizio resta solo l’opzione di un costoso ricorso in Cassazione, se non vuole essere incarcerato definitivamente, e per un lungo periodo. Ma non è tutto: il prossimo venerdì 13 maggio, a L’Aquila ci sarà già un nuovo processo di Appello, con una nuova sentenza, per il reato di coltivazione di 9 piantine nella propria abitazione nel 2002. In primo grado a Chieti, a marzo 2006 era stato condannato ad 1 anno e 4 mesi di reclusione, + € 3.000 di multa, anche se aveva dichiarato l’uso terapeutico cui le piantine erano destinate, aveva prodotto una prescrizione di un medico e naturopata tedesco per infiorescenze di cannabis, e nonostante nel 2002 i vari Bedrocan, che in seguito gli hanno prescritto, ancora non fossero nemmeno stati registrati e commercializzati. Ed anche se, dalle analisi chimiche agli atti, la percentuale di Thc riscontrata (in un solo campione su 5, gli altri comprendevano i semi, una pipa, terriccio da coltivazione ecc. e non presentavano Thc) era “inferiore allo 0,1%”, quindi molto al di sotto di quanto previsto dalla legge come discrimine tra la canapa “tessile” e quella psicoattiva. Nessun tribunale perseguirebbe mai un cittadino su queste basi, ci confermano i nostri autorevoli consulenti, come è possibile che a Chieti lo abbiano addirittura condannato? Dalla stessa perizia commissionata dal tribunale: “L’analisi quantitativa, effettuata mediante gascromatografia con rilevatore a ionizzazione di fiamma (gc/fid), ha evidenziato la presenza di Thc con una percentuale di purezza inferiore allo 0,1%. La differenza tra una tipologia di cannabis da droga e una tipologia di cannabis da fibra è data dal rinvenimento nelle foglie e nelle infiorescenze dei cannabinoidi (cannabinolo, tetraidrocannabinolo e cannabidiolo), dove, in particolare, un contenuto di tetraidrocannabinolo (Thc) superiore allo 0,5% identifica proprietà stupefacenti e non più merceologicamente commerciali della pianta. La percentuale di tetraidrocannabinolo (Thc) determinata nel campione 2 risulta quindi inferiore al valore cui la comunità scientifica fa riferimento per distinguere la Cannabis utile per la produzione di fibra alla Cannabis utilizzabile per finalità stupefacenti”. Secondo l’avvocato Marco Di Paolo, “gli appelli arriveranno uno dopo l’altro come le ciliegie”. In questa situazione surreale, incombe anche l’Appello relativo alla condanna a 6 anni in primo grado, la cui data non è ancora stata fissata, dove Fabrizio non potrà neanche difendersi invocando l’uso terapeutico perché l’avvocato d’ufficio dell’epoca non lo aveva neanche menzionato, e Fabrizio stesso non era presente in aula perché detenuto in carcere. Queste prime condanne in Appello, per questo crimine senza vittime, saranno funzionali alla presentazione di Fabrizio come plurirecidivo “delinquente abituale”. Le prospettive si fanno sempre più cupe, per la nostra Giustizia, per il nostro Paese (che avrà un motivo in più per essere biasimato a livello internazionale) e soprattutto per il povero incolpevole Fabrizio. Chiederemo conto direttamente a Giovanardi ed al Dpa, per questo assurdo accanimento contro i pazienti. Stati Uniti: pena morte; in Texas prima esecuzione con anestetico veterinario Ansa, 4 maggio 2011 Un uomo di 46 anni, condannato a morte per omicidio e stupro, è stato messo a morte nella prima esecuzione compiuta in Texas nella quale per addormentare il condannato è stato utilizzato un anestetico veterinario. L’uomo, Cary Kerr, nel 2003 fu giudicato colpevole da una giuria che si riunì per soli 45 minuti dello stupro e dell’ omicidio di Pamela Horton, un’amica, avvenuti nel 2001. È morto alle 18:19 di ieri (le 02:19 italiane di oggi) nel carcere di Huntsville. Di recente diversi stati americani che praticano la pena di morte si sono trovati a corto dell’anestetico thiopental, approvato dalla Corte Suprema Usa, e tre di essi (Oklahoma, Ohio e ora il Texas) sono ricorsi all’anestetico penthiobarbital, normalmente usato dai veterinari. Si tratta della terza esecuzione in Texas e la tredicesima negli Stati Uniti, dall’inizio dell’anno. Corea Nord: Amnesty; nei campi di prigionia 200 mila detenuti vivono in condizioni “atroci” Ansa, 4 maggio 2011 I campi di prigionia in Nordcorea sono aumentati di ampiezza e di numero nel corso degli ultimi dieci anni e attualmente vi sono rinchiusi circa 200 mila detenuti in condizioni “atroci”. Lo denuncia Amnesty International che ha diffuso nuove immagini satellitari e testimonianze. Le foto rivelano la localizzazione, la dimensione e le condizioni all’interno dei campi. Per ricostruire cosa accade al loro interno, Amnesty International ha parlato con diverse persone, tra cui ex prigionieri politici del campo di Yodok e guardiani di altri campi di prigionia. Secondo gli ex prigionieri politici di Yodok, i detenuti sono costretti a lavorare in condizioni che rasentano la schiavitù e sono frequentemente sottoposti a torture e altri trattamenti crudeli, disumani e degradanti. Tutti i prigionieri di Yodok hanno assistito a esecuzioni pubbliche. “La Corea del Nord non può più negare ciò che non può essere negato. Per decenni, le sue autorità hanno negato l’esistenza di campi di detenzione di massa per prigionieri politici” - ha dichiarato Sam Zarifi, direttore per l’Asia e il Pacifico di Amnesty International. “Si tratta di luoghi fuori dalla vista del resto del mondo, dove viene ignorato quasi del tutto l’intero sistema di protezione dei diritti umani che il diritto internazionale ha cercato di costruire negli ultimi 60 anni. In una fase in cui la Corea del Nord pare avviarsi verso la nuova leadership di Kim Jong-un e un periodo di instabilità politica, preoccupa molto il fatto che i campi sembrano crescere di ampiezza”. Amnesty International ritiene che i campi siano in funzione dagli anni Cinquanta, eppure si sa che solo tre persone sono riuscite a scappare dalle Zone di controllo totale e a fuggire dalla Corea del Nord. Circa 30 persone sono state rilasciate dalla Zona rivoluzionaria di Yodok. Secondo la testimonianza di un ex prigioniero, circa il 40 per cento dei detenuti nella Zona rivoluzionaria di Yodok è morto di malnutrizione tra il 1999 e il 2011. Le immagini dal satellite mostrano quattro dei sei campi che occupano ampie aree delle terre disabitate delle province di Pyongan sud, Hamkyung sud e Hamkyung nord, in cui si producono pasta di soia, dolciumi, carbone e cemento. Un raffronto con le immagini riprese nel 2001 mostra un significativo ampliamento della dimensione dei campi. Nel solo campo Kwanliso 15 di Yodok, migliaia di persone sono detenute per reati associativi o per il fatto che un parente vi era già detenuto. La maggior parte dei detenuti, compresi quelli colpevoli di reati associativi, si trovano nelle Zone di controllo totale, dalle quali non verranno mai rilasciati. Somalia: pirati rapirono nave spagnola, condannati a 439 anni di carcere ciascuno Adnkronos, 4 maggio 2011 Un tribunale spagnolo ha condannato due pirati somali a 439 anni di carcere ciascuno per il ruolo avuto nel sequestro di un peschereccio spagnolo nell’Oceano indiano nel 2009. Il Tribunale nazionale spagnolo ha ritenuto Abdou Willy e Raagegeesey Adji Haman responsabili di accuse che vanno dal sequestro di persona alla rapina violenta. Oltre al carcere, la Corte ha ordinato ai due somali di pagare a ognuno dei pescatori che erano a bordo della nave Alakrana 148mila dollari Usa (circa 100mila euro) in danni. I pirati somali avevano sequestrato la nave Alakrana nell’Oceano Indiano nell’ottobre 2009. L’equipaggio di 36 membri, tra cui 16 spagnoli, sono stati poi rilasciati dopo sette settimane. I due cittadini somali sono stati catturati nel novembre del 2009 in un’operazione condotta dalla marina spagnola e portati a Madrid per essere processati. Qui hanno confessato di aver ricevuto quattro milioni di dollari (2,7 milioni di euro) come riscatto per liberare gli ostaggi, ma il governo spagnolo ha negato di aver dato soldi ai pirati.