Giustizia: la questione carceraria oggi di Leonardo Arnau (Giuristi Democratici) www.giuristidemocratici.it, 3 maggio 2011 Leonardo Arnau fa il punto sull’attuale insostenibile situazione delle carceri. Il sovraffollamento crea condizioni drammatiche per i detenuti e nega la finalità rieducativa della pena. Solo una riforma del diritto penale può eliminare la vera causa di questa odierna crisi di sistema. L’analisi delle condizioni di vita nelle carceri italiane e del rapporto intercorrente tra custodia cautelare e pena rappresenta la cartina di tornasole di un sistema penale sempre più inosservante il principio di uguaglianza e quello della funzione rieducativa della pena, che appare, negli ultimi anni, sempre più connotarsi per essere inutilmente afflittiva. È ormai noto che l’attuale condizione degli istituti di pena nazionali contraddice radicalmente l’intento delineato dalla Costituzione. Si è, infatti, in presenza di un sistema che ha decisamente spostato l’asse dalla prevenzione alla penalizzazione, tanto è che, da più parti, si parla di funzione pancarceraria della pena. Tale fenomeno, comunemente definito passaggio dallo Stato sociale allo Stato penale, ha comportato una modifica profonda della Costituzione materiale, aprendo così la strada ad uno stravolgimento in senso autoritario ed essenzialmente repressivo dell’intero quadro giuridico nazionale. Il carcere si configura sempre di più come contenitore del conflitto, come discarica sociale e strumento atto a confinare donne e uomini delle classi sociali meno abbienti, in quanto tali, ritenute pericolose. Circa l’80 per cento della popolazione carceraria è, infatti, costituita dalla cosiddetta detenzione sociale, ovvero da persone che vivono uno stato di svantaggio, disagio o marginalità (immigrati, tossicodipendenti, emarginati) per le quali, più che una risposta penale o carceraria, sarebbero opportune politiche di prevenzione e sociali appropriate. Le strutture penitenziarie del nostro Paese raccolgono oggi una popolazione di quasi 68.000 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 44.608 posti. L’Italia si colloca, così, al secondo posto in Europa per un tasso di sovraffollamento (152%) che non conosce precedenti nella storia della Repubblica. In alcune regioni il numero delle persone recluse è addirittura il doppio di quello consentito: in Emilia Romagna il tasso di affollamento è del 193 per cento, mentre in Lombardia, Sicilia, Veneto e Friuli si attesta intorno al 170 per cento. Con un ritmo di crescita di quasi 1.000 ingressi al mese (per l’esattezza gli ingressi mensili si attestano mediamente in circa 800), la situazione delle nostre prigioni peggiora di giorno in giorno. Si tratta di una cifra record che non è stata mai registrata dai tempi dell’amnistia di Togliatti del 1946 e, sulla scorta dei tassi di incarcerazione ora riportati, si prevede che a fine 2012 la popolazione carceraria ristretta nei 206 istituti italiani potrebbe superare 100.000 presenze. Infatti, soltanto 25 tra case di reclusione, case circondariali e istituti per le misure di sicurezza ospitano un numero di detenuti pari o inferiore alla capienza regolamentare. La situazione è palesemente drammatica, tanto che l’Italia è stata recentemente condannata - per assoggettamento di un detenuto a trattamenti inumani e degradanti - con la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 16 luglio 2009 (ricorso n. 22635/03, Sulejmanovic c. Italia). Sono bastati quattro anni dall’ultimo provvedimento di indulto per riportare gli istituti carcerari a vivere gli stessi problemi di allora. Di più, dai 31.000 detenuti del 1991, si è passati ai 53.000 detenuti del 2000, presto innalzatisi a 61.000 detenuti al momento dell’indulto del 2006. Dopo tale provvedimento, i detenuti presenti nelle carceri erano 39.000: in poco meno di quattro anni la cifra di detenuti presenti è quasi raddoppiata. Le cause principali di tale situazione discendono, in sintesi, da due fattori che si snodano lungo due differenti direttrici. Il primo è quello normativo, laddove alcune novelle legislative adottate in ambito penale hanno cominciato a dare frutti a pieno regime, in particolare, la c.d. Bossi-Fini, in materia di immigrazione (particolarmente dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 94/2009), la Fini-Giovanardi (L. n. 49/2006) in materia di contrasto al traffico di stupefacenti e la c.d. ex Cirielli (L. n. 251/2005) che inasprisce sensibilmente le sanzioni penali e rende più difficile l’accesso ai benefici penitenziari per i recidivi, che costituiscono la grande maggioranza dei detenuti nelle carceri, detenzioni, queste ultime, molto spesso legate alla piccola e piccolissima criminalità, di cui la recidiva è fattore caratterizzante. Il secondo fattore è quello culturale, che vede competere alcune forze politiche nel chi grida più forte alla sicurezza pubblica ed alla tolleranza zero. Si è, in definitiva, smarrito il senso del risolvere i problemi dei cittadini con strumenti diversi da quello carcerario. Se questo è il messaggio che viene dalla politica è evidente la ricaduta che ciò può avere sull’operato delle forze di polizia e della magistratura. Con ciò si spiega anche il dato relativo al numero di soggetti sottoposti alla misura cautelare massima. D’altronde è evidente che il tema della sicurezza rappresenta un leit motive utilizzato da una parte della politica nazionale e locale quotidianamente ed ossessivamente, attraverso la costruzione dell’ideologia della paura dell’altro e del diverso, che si traduce in scelte politiche che, ispirate da pure ragioni demagogiche e di consenso, prendono a pretesto un supposto bisogno di sicurezza dei cittadini, artificialmente creato ed amplificato dagli organi di stampa, per introdurre nel nostro ordinamento norme palesemente antidemocratiche - così determinandone un arretramento intollerabile del livello di civiltà - rivelatrici di un atteggiamento discriminatorio, selettivamente orientato a colpire soprattutto i migranti e le persone che versano in situazioni sociali ed economiche disagiate. Da molti anni, negli Usa e in Europa (da ultimo in Italia), per sicurezza si intende solo la diminuzione del rischio, per i cittadini, derivante dalla diffusione della microcriminalità. Ma questo non è l’unico modo di declinare la sicurezza, che un tempo non lontano significava piuttosto messa al riparo dai rischi della vita. La sicurezza viene fatta coincidere, nel dibattito italiano attuale, con legalità È vero, c’è un diffuso senso di insicurezza. Indipendente, però (dicono le ricerche), dall’aumentare o diminuire dei tassi di microcriminalità. Sensibile, invece, alle campagne di legge e ordine: le quali spostano semplicemente questo senso di insicurezza su un bersaglio visibile e (apparentemente) aggredibile, laddove sarebbe molto più difficile fare i conti, e seriamente, con la crisi economica, la precarietà del lavoro, la flessibilità, il declino delle protezioni collettive, l’incertezza del futuro, i problemi ambientali, per non parlare degli infortuni sul lavoro. In questo contesto, si segnala negativamente l’abbandono definitivo dei principali progetti di riforma del codice penale (progetto Commissione Pagliaro; progetto Commissione Grosso; progetto Commissione Nordio e, in ultimo, il progetto della Commissione Pisapia), che ha condotto ad inseguire rimaneggiamenti legislativi settoriali tutti orientati all’inasprimento delle pene ed alla creazione di nuove fattispecie di reato, così mandando in soffitta ogni tendenza, da un trentennio, in più occasioni, caldeggiata da magistratura ed avvocatura, volta alla creazione di un diritto penale “minimo”, volto ad individuare proposte tese alla decarcerizzazione, alla introduzione di sanzioni sostitutive, alla elaborazione di progetti di mediazione penale, alla instaurazione di prassi avanzate all’interno delle carceri. Gli istituti di pena nazionali sono così pervenuti ad una situazione non più sostenibile. Tale condizione rappresenta il frutto di un ventennio di politiche settoriali di sicurezza, accomunate dal tratto comune costituito dalla introduzione di nuove fattispecie di reato, finalizzate ad assecondare supposte emergenze, dall’immissione nel sistema di ipotesi di custodia cautelare obbligatoria, dall’innalzamento delle pene per reati anche di non particolare allarme sociale o, peggio, legati ad una mera condizione di irregolarità sul territorio nazionale (quanto ai migranti) operata all’esclusivo e non celato intento di consentire l’applicazione della custodia cautelare in carcere. Ciò è il portato dell’irrazionale inasprimento del sistema penitenziario scelto dal legislatore per l’esecuzione delle pene nei confronti degli stranieri condannati (poi dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 249/2010) e per l’esecuzione penale nei confronti dei recidivi. Si tratta del fallimentare risultato di politiche legislative che sottolineano ed esasperano diseguaglianze, delineando quello che i Giuristi democratici hanno già definito il “diritto penale dell’amico e del nemico”. La popolazione carceraria è - in larghissima misura - costituita da persone in condizioni sociali disagiate: stranieri (la maggior parte dei quali in custodia cautelare), tossicodipendenti, alcol-dipendenti, persone con ridotto grado di scolarità, disoccupati. Molti dei ristretti - non solo negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari - hanno problematiche di natura psichiatrica che richiederebbero assistenza. Questo è il frutto di scelte amministrative che - da anni - riducono gli organici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, mentre progetti di reinserimento sociale vengono sviluppati per lo più grazie a volontari o dall’associazionismo penitenziario. Queste scelte legislative finiscono per pervenire all’accettazione esplicita e programmata della prospettiva di un numero indeterminato e progressivamente crescente di detenuti. Quasi a voler significare che per ogni tipo di devianza e marginalità, comunque determinata, la risposta è una sola: il carcere e l’esclusione. Si tratta di politiche indifferenti alle ragioni del disagio sociale e alle cause dei fenomeni collettivi complessi, quali ad esempio l’immigrazione e le tossicodipendenze, che hanno ha operato una scelta: quella dell’emarginazione forzata dei soggetti che ne sono il prodotto. A fronte dell’attuale sovraffollamento carcerario i Giuristi democratici intendono opporsi con forza all’idea che l’orientamento del nuovo piano carceri - unica soluzione ipotizzata dal Governo - sia lo strumento più idoneo a risolverlo. L’ampliamento dell’edilizia carceraria (a condizione che si reperiscano fondi sufficienti per realizzarla) si configura, in verità, come un fallimento annunciato, sulla base dell’esperienza dell’incarcerazione di massa negli Stati Uniti. Le carceri non sono mai abbastanza: più prigioni si costruiscono, più se ne riempiono. Del pari, è risultata fallimentare l’esperienza applicativa della L. n. 199 del 2010 (c.d. svuota carceri) che ha condotto alla concessione della detenzione domiciliare ad un numero di poco superiore ai mille detenuti (a fronte della platea dei 9000 inizialmente ipotizzata dal Ministro Alfano). Contro la costruzione di nuove prigioni come soluzione a tutti i problemi, i Giuristi democratici intendono mantenere l’orizzonte di una riforma sostanziale del codice penale che promuova una drastica riduzione dei reati e delle pene e la riconduzione del carcere ad extrema ratio attraverso la tutela del principio della riserva di codice, la concessione più equilibrata e diffusa del beneficio della pena sospesa. La previsione di misure extrapenali e la riduzione dei minimi e dei massimi edittali possono rappresentare soluzioni ben migliori se affiancate alla disponibilità a rivedere normative altamente criminogene. Una politica criminale lungimirante dovrebbe guardare alle cause del sovraffollamento ed intervenire sulle disposizioni che creano un incremento dei detenuti, senza, peraltro, far accrescere la sicurezza pubblica. La riforma del codice penale rappresenta, in questo quadro, la strada maestra per eliminare la centralità della pena detentiva, per introdurre pene alternative e sostitutive alla detenzione e valorizzare l’utilizzo delle misure alternative, argine efficace al ritorno in carcere. È, in definitiva, indispensabile cambiare approccio, abrogare le leggi che hanno, di fatto, creato criminalizzazione e carcerazione crescenti, per delineare il ritorno ad una nuova stagione del “diritto penale minimo”, capace di comprendere e incidere sulle effettive ragioni sociali della devianza e del crimine. Giustizia: mozioni sul carcere alla Camera, ma la situazione appare senza vie d’uscita di Rita Dietrich Rinascita, 3 maggio 2011 Approdano nuove mozioni alla Camera sulla situazione carceri. Una realtà sempre più drammatica, per la quale già da un anno è stato dichiarato dal ministro della Giustizia Angelino Alfano lo stato di emergenza, senza però che alle parole siano susseguiti fatti risolutivi. Così la proposta dell’esecutivo del piano carcere che prevedeva interventi sostanziali relativi sia all’incremento del personale che alla costruzione di nuovi istituti penitenziari sta raccogliendo sempre più mozioni che però non riescono ad uscire dalle aule del Parlamento. Oggi la Camera, per l’ennesima volta, dovrà discutere un pacchetto di 7 mozioni presentate da tutti gli schieramenti politici. D’altronde, dati alla mano, la situazione sta peggiorando costantemente, mentre le soluzioni fino ad ora messe in atto, sono state unicamente dei procedimenti tampone, i cui effetti sono stati presto annullati. Il primo intervento “farsa” è stato proprio l’indulto, visto che già dall’anno successivo, il 2007 fino al 2010, la popolazione carceraria è quasi raddoppiata, annullando così qualsiasi beneficio del provvedimento. Da quasi 40 mila si è passati ad oltre 67 mila, mentre a causa dei tagli ai fondi pubblici, i costi giornalieri pro capite sono scesi a 113, circa 60 euro in meno del 2008. Ciononostante le mancate riforme nel sistema sono già costate negli ultimi dieci anni 29 miliardi. Le voci di spesa che assorbono più risorse sono quelle relative al personale, oltre l’80%, mentre tutte le altre voci, dal cibo all’igiene, dall’assistenza sanitaria all’istruzione, dalla manutenzione degli istituti alle spese di approvvigionamento energetico ed idrico, si devono spartire il rimanente con inevitabili disfunzioni. Così le 206 strutture penitenziarie, che avrebbero una capienza di 45.022 unità, hanno attualmente raggiunto il 151% di tasso di sovraffollamento. Le carceri in condizioni più sofferenti sono a Padova, Roma, Rebibbia femminile, Sulmona, Roma Regina Coeli, Fermo, Perugia, Milano San Vittore, Napoli e Poggioreale. Inoltre, più del 43% dei reclusi è composto da imputati in attesa di giudizio a regime di detenzione cautelativa, che pur non avendo subito ancora la sentenza definitiva, vengono trattati alla stessa stregua dei veri e propri condannati. L’ingolfamento processuale sul penale, infatti, a differenza di quello civile, non solo non è stato oggetto di nessuna riforma sostanziale, ma al contrario rischia di peggiorare ancora di più. In questi ultimi anni infatti sono stati adottati dei provvedimenti che invece di risolvere i problemi, li ha incrementati. Fra questi, oltre alla creazione di nuovi reati, vi è anche la decisione di tradurre la detenzione per pene minori in sanzioni pecuniarie che però, dato il loro costo elevato, non sono affatto alla portata di tutti. Anche il tanto annunciato piano carceri, che avrebbe dovuto incrementare i posti, non solo è stato decurtato di oltre 10mila, ma fino ad oggi ne sono stati realizzati soltanto 2.000, aggiungendo nuovi padiglioni alle strutture già esistenti. In ultimo vi è il problema del personale: mancano oltre 6.000 unità, creando un rapporto del tutto insufficiente di un poliziotto ogni 2 detenuti. Un ulteriore fallimento è stato anche il decreto svuota carceri del quale hanno beneficiato soltanto 1.788 detenuti, dei quasi 8.000 potenziali destinatari. Tutto ciò, nonostante le polemiche, quindi si è risolto in un buco nell’acqua, visto che la maggior parte dei detenuti, spesso stranieri, manca di una casa o di una famiglia, e quindi delle condizioni necessarie per ottenere le misure alternative, mentre la rete dei servizi sociali, che potrebbe supplire a tale problema, è del tutto insufficiente. Per concludere stenta a partire anche la presa in carico della salute dei detenuti da parte del servizio sanitario pubblico, dal momento che la maggior parte degli ospedali non è ancora attrezzata per accogliere il recluso. Se il Fli si è concentrato più sugli aspetti organizzativi del sistema, le mozioni del Pd invece hanno come oggetto il problema dell’incremento dei suicidi nei penitenziari. Fenomeno che si sta diffondendo a macchia d’olio coinvolgendo quasi tutti gli istituti. Nel 2009 i suicidi sono stati 72, mentre l’anno successivo 55, ma nei soli primi mesi del 2011 sono arrivati già a 34. Il problema è dovuto anche al fatto che tutti quegli interventi, che per legge dovrebbero essere mirati al recupero del detenuto, rimangono principalmente sulla carta. Infatti ormai dell’assistenza psicologica non ve n’è più traccia, visto che c’è un operatore per ogni 60 detenuti, con una media di un paio di visite all’anno a detenuto. Ogni soluzione però implica un dispendio di risorse e di energie, e sembra proprio che nonostante le buone parole, il governo attualmente di soldi da investire sui carcerati non ne ha proprio. Non si tratta quindi di individuare le mosse strategiche, che da anni vengono ripetute ad ogni incontro sull’argomento, quanto di investire su nuove strutture alternative sociali, nuovo personale di custodia, sull’incremento dei posti letto, e sull’incremento di sostegno e di progetti di recupero da parte di specialisti. Effetti della depenalizzazione del reato di clandestinità. Da questa settimana per la Corte di Giustizia Europea la clandestinità non è più un reato, annullando così con un colpo di spugna la decisione italiana di incarcerare chi, beccato dalla polizia, non rispetta il foglio di espulsione. Questa normativa in poco più di un anno ha portato negli istituti penitenziari italiani diverse migliaia di clandestini, che da adesso potrebbero ritrovarsi liberi, se insieme al depenalizzato reato di clandestinità non ne abbiano commesso qualcun altro. Se il governo non si inventerà qualcosa di nuovo per bloccare le scarcerazioni, le procure quindi dovranno a breve rivedere ogni caso selezionando chi può tornare libero e chi no. Giustizia: Bernardini (Radicali); ok alla riforma, ma il Governo dimentica le carceri Agenparl, 3 maggio 2011 “A distanza di due anni dall’approvazione a Montecitorio della risoluzione radicale sulla giustizia, ha preso oggi il via, con la relazione di Pecorella e Contento, l’esame del ddl costituzionale che introduce - almeno in relazione ai problemi affrontati - quanto noi avevamo richiesto e l’aula, con una maggioranza consistente, approvato. Se da una parte non possiamo che dichiararci soddisfatti, dall’altra rileviamo tre problemi”. Lo dice in una nota Rita Bernardini, deputata radicale in Commissione Giustizia. “Il primo riguarda i tempi: questo ritardo rende fortemente improbabile il raggiungimento del risultato, il percorso per l’approvazione infatti richiede la doppia lettura di Camera e Senato trattandosi di ddl costituzionale. Perché si è aspettato tanto tempo? Il secondo problema consiste nel fatto che all’interno di questa riforma vi sono dieci o più rinvii alla legge ordinaria, atteso che questo disegno di legge di riforma costituzionale ha bisogno di essere riempito di contenuti attraverso successive leggi attuative. Terzo punto, per noi radicali il più importante, è il problema delle carceri: nessuna riforma della giustizia può prescindere per noi dal porre fine allo stato di illegalità dei nostri istituti penitenziari sempre più luoghi di violazione di diritti umani fondamentali di tutta la comunità penitenziaria”. Giustizia: Ferranti (Pd); sanità e affollamento sono i veri problemi delle carceri Agenparl, 3 maggio 2011 Carceri stracolme e personale insufficiente. È l’argomento della mozione in discussione oggi alla Camera, presentata da Donatella Ferranti e altri 18 deputati del Partito Democratico. I parlamentari democratici chiedono un preciso impegno al Governo, perché vengano reperite le risorse finanziarie per adeguare le piante organiche del personale di polizia penitenziaria. In non migliori condizioni versa il personale civile del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia. Diverso, poi, il discorso sulla sanità in carcere. I deputati del Pd chiedono la verifica della applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 aprile 2008, attuativo del riordino della medicina penitenziaria. Particolare sostegno, per il Pd, serve alle “regioni impegnate nei piani di rientro dai deficit sanitari”, alle quali andrebbe concessa “la possibilità di non sottoporre a restrizioni i fondi destinati alla sanità in carcere”. “Si affronti con la massima urgenza - suggeriscono i deputati di opposizione, assumendo le necessarie iniziative normative, il problema dei detenuti tossicodipendenti, in particolare valutando la possibilità che l’esecuzione della pena avvenga in istituti a custodia attenuata, idonei all’effettivo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi”. Parallelamente, serve l’impegno del Governo “ad affrontare, con urgenza e decisione, le cause dell’ Giustizia: sulla situazione delle carceri l’On. Pietro Tidei “interroga” Alfano Asca, 3 maggio 2011 Interrogazione parlamentare del deputato del Pd, Pietro Tidei, in merito alla situazione delle carceri in Italia e, più nel dettaglio, nel Lazio. Testo integrale. “Premesso che: intollerabile è la condizione di vita delle persone detenute costrette a subire gli effetti di un sovraffollamento mai visto nella storia del Paese; la popolazione carceraria è aumentata a livelli esponenziali e se la tendenza dovesse continuare a questo regime, avremo entro il 2012 circa 100.000 detenuti; la Corte europea dei diritti dell’uomo, con sentenza 16 luglio 2009, ha già condannato l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (divieto di tortura e delle pene inumane e degradanti), proprio a causa delle disumane condizioni di detenzione; vittima di questa situazione drammatica è lo stesso personale (educatori penitenziari ed agenti di polizia penitenziaria), ormai esasperato e come riportato da notizie di stampa, spesso fatto oggetto di aggressioni da parte dei reclusi; in questo momento le carceri della Regione Lazio vivono una situazione davvero drammatica e precaria, forse la peggiore di tutta Italia proprio come le organizzazioni sindacali e le associazioni di categoria hanno denunciato in questi giorni definendo gli istituti penitenziari laziali a rischio “implosione”; la carenza di personale complessivamente supera nel Lazio le 1000 unità con circa 400 agenti di polizia penitenziaria distaccati nei palazzi del potere romano: ciò ovviamente incide sulla gestione della sorveglianza interna, 6.500 detenuti mentre la capienza “tollerabile” è di 4.500 posti; a questo si aggiunge il taglio delle risorse per lo straordinario, le missioni e la manutenzione che influisce negativamente anche sulla popolazione detenuta; a Civitavecchia, Comune a Nord di Roma che ospita ben due istituti penitenziari la situazione carceraria si prospetta davvero drammatica: oltre 700 detenuti nei due istituti ed una carenza nell’organico di oltre il 30% che rende la condizione lavorativa degli agenti in servizio insostenibile anche sotto il profilo della sicurezza; sempre a Civitavecchia presso il nuovo complesso penitenziario di Aurelia sono presenti circa 600 detenuti con un decremento continuo, per pensionamento e trasferimento in altre sedi, del personale che conta solo 232 unità anziché le 342 previste dalla pianta organica del decreto elaborato dal Ministero della Giustizia nel 2001; analoga la situazione al carcere di via Tarquinia dove si trovano circa 120 ristretti ed il personale è di sole 52 unità anziché le 82 previste dallo stesso decreto; i sindacati a fronte di questo stato di totale abbandono accusano non solo il Governo ma anche l’amministrazione centrale per non aver proceduto alla nomina di un nuovo Provveditore Regionale determinando quindi la mancanza di un tavolo di confronto e una situazione di totale immobilismo; per le ragioni esposte in premessa, i sindacati di concerto con le associazioni del settore minacciano lo stato di agitazione del personale a livello regionale ed una manifestazione di protesta che si terrà probabilmente l’11 maggio a Roma davanti al dipartimento di Polizia Penitenziaria -: se l’On. Ministro intenda affrontare seriamente i problemi delle Carceri Italiane, ingiustificabili in un paese civile e democratico come l’Italia e con particolare attenzione l’emergenza che si sta creando nel Lazio, vera bomba pronta all’esplosione”. Giustizia: Garante detenuti Lazio; bene la sentenza Ue sugli immigrati, ora un’indagine nazionale Agenparl, 3 maggio 2011 “Non posso che esprimere la mia soddisfazione per questa sentenza con cui la Corte di Giustizia Europea chiarisce definitivamente una posizione di inadempienza del nostro Paese causata dal contrasto fra una norma della Legge Bossi/Fini e una direttiva comunitaria che impedisce di punire con il carcere la mancata ottemperanza all’ordine di espulsione da parte di un cittadino straniero”. Così all’Agenparl Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio, in merito alla sentenza europea contro il reato di clandestinità. “Già a gennaio, ben prima del pronunciamento della Corte di Giustizia Europea, il mio Ufficio scritto alla Procura della Repubblica di Roma - che per altro aveva già emesso una propria circolare con cui si chiedeva di non arrestare più gli stranieri che non ottemperavano all’ordine di espulsione - chiedendo di accelerare i tempi per il rilascio degli stranieri in carcere con tale situazione giuridica. Ora, in attesa che a livello nazionale si prenda concretamente atto del pronunciamento della Corte Europea, come ufficio abbiamo avviato proprio in questi giorni un’indagine in tutte le carceri della regione per capire quanti sono gli stranieri che si trovano in questa situazione giuridica”. Lettere: Ombre… di Francesca De Carolis (giornalista Rai Radio 1) Ristretti Orizzonti, 3 maggio 2011 Tornando, venerdì sera dalla presentazione del libro di Carmelo Musumeci, “Gli uomini ombra”. A Roma, in via del Seminario… Strana sensazione, e non sono stata la sola a provarla. Presentare il libro di qualcuno che non c’è. Un’ombra, appunto, ben custodita nel carcere di Spoleto. Ma ha aleggiato, quest’ombra continuamente evocata da tutti, su tutti noi, nella Sala del Refettorio della Camera dei Deputati, una grande stanza rivestita di libri, trafitta dal sole che entrava obliquo dalle finestre, nella trasparenza delle tende… Ed erano tutti, lì, a parlare soprattutto di un amico, con il quale ciascuno dei presenti ha almeno scambiato lettere. A parlare di lui, del suo libro e della pena dell’ergastolo. In un tempo, questo dell’oggi, in cui, come ci ha fatto notare Susanna Marietti, di Antigone, sembra che nessuno più voglia mettere in dubbio la costituzionalità della pena dell’ergastolo. Eppure, ci ha ricordato, un tempo queste cose si potevano ben dire… solo ieri, quando di questi dubbi aveva parlato “persino” Aldo Moro. Solo ieri, il nostro ieri, ma sembrano passati duemila anni, oggi che “non si può più usare la ragione” e solo si urla e si minaccia e si creano paure e spavento. Tutti lì, a parlare “solo” di un amico, reintegrato e migliore di tanta parte della società, dice Russo Spena, a cui piace soprattutto la sua (di Musumeci) sapienza narrativa, testimone della poesia “che si fa largo nella bulimia carceraria”, e chiede, e pretende un impegno per gli ospiti delle nostre galere etniche. Sì, ci avete mai pensato? Il nostro è uno Stato dove la povertà sta diventando, è diventata, reato in quanto tale, basta guardare i numeri e la geografia della popolazione carceraria del nostro bel paese. Un paese dove, l’abbiamo dimenticato? il reato di tortura non esiste… (…) Tutti lì, dunque, a parlare di carcere e di chi vi sta ben sigillato dentro con la condanna al “fine pena mai”. A parlarne nel tempio, ce lo fa notare Vauro, dell’impunità. Che è cosa ben beffarda. Surreale, persino, a pensarci bene. E chissà se un po’ ne ride anche l’ombra che aleggia su di noi, quest’ombra che sappiamo quanto sia fatta di carne e sangue, come i suoi racconti sono lì a ben testimoniare. Bello il racconto di Vauro, che parla della lezione avuta dal figlio, che pure ha tessuto con Musumeci una corrispondenza fatta di lettere e disegni. Non ha mai chiesto suo figlio, ha detto Vauro, “Ma cosa ha fatto?”. Perché insomma, quel Musumeci che invia disegni e scrive così bei racconti, è stato condannato ad una pena grave come quella dell’ergastolo. E mi ha fatto sentire a casa sapere di questo bambino, perché, sotto sotto quasi vergognandomi, neanch’io ho mai voluto sapere che cosa ha mai combinato questo Carmelo Musumeci, per essere in carcere. Atteggiamento molto poco “giornalistico”. Ma da ieri, non me ne vergogno più… Perché come ama ripetere Nadia, Nadia Bizzotto, della comunità Papa Giovanni XXIII, “l’uomo non è il suo errore”, e sempre più ne sono convinta anch’io. Di questo ergastolano, oggi, apprezziamo la fantasia, anche, e la fantasia, parola di Vauro, è la molla dell’umanità. Punta diritto al cuore Giuseppe Ferraro, docente di Filosofia, che ci ricorda che l’uomo è un animale che sogna, e se la ragione non persegue il sogno, diventa un incubo. E ben racconta Musumeci, con le sue storie, come il carcere possa uccidere i sogni. Come sia, l’ergastolo, l’Assassino dei sogni. Il grado di civiltà di un paese, ricorda Ferrero, si misura dalle sue scuole e dalle sue carceri. I nostri, dice, sono errori di scrittura… Carmelo Musumeci, alla presentazione del suo libro non c’è, è un uomo ombra, come quelli di cui parla nei suoi racconti. È ben chiuso in carcere, per via di quello che ha fatto, anche se noi non vogliamo sapere cosa, ma non per questo, dice Nadia, ci sentiamo tutti più sicuri… Tutti noi, lì dentro, venerdì pomeriggio, legati, me ne sono resa conto andando via, da un lungo filo fatto di parole, corrispondenze, pensieri, che entrano ed escono dal carcere tessendo una rete, dove qualche volta, ancora, si spera possano rimbalzare i sogni… Sardegna: Sdr; basta con Provveditori precari, Regione da un anno senza funzionario incaricato Agenparl, 3 maggio 2011 “Da un anno la Sardegna è senza provveditore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. A turno si alternano i titolari di altri Uffici regionali con dispendio di denaro pubblico per le trasferte e l’impossibilità concreta di assumere decisioni oltre l’ordinario. Dopo tanti mesi di attesa e promesse, l’annuncio dell’imminente arrivo di Maurizio Veneziano non viene confermato e anzi apprendiamo che il Ministro Angelino Alfano intende assegnare l’incarico per un anno al dott. Orazio Faramo. Una decisione sconsiderata per l’importanza dell’incarico e per il momento particolarmente delicato. Insomma ancora uno schiaffo alla Sardegna”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” sottolineando che “è inaccettabile la mancanza di riguardo verso il sistema penitenziario isolano così com’è assurdo non pensare di assegnare anche temporaneamente l’incarico a un dirigente sardo che conosce la realtà dell’isola in tutte le sue sfaccettature”. “In Sardegna - afferma Caligaris - si stanno realizzando quattro nuove carceri ed è opinione diffusa che in particolare la nuova struttura detentiva di Cagliari-Uta sarà destinata ad accogliere i detenuti in regime di alta sicurezza con personaggi importanti della grande criminalità organizzata. Nel silenzio generale si sta trasformando un’isola, che aspira ad uno sviluppo compatibile con il rispetto dell’ambiente naturale, in luogo ideale per concentrare il più alto indice di detenuti pericolosi. In questo modo viene favorito ulteriormente lo spopolamento e si indebolisce la crescita economica autonoma rafforzando invece le servitù penitenziarie”. “I Provveditori regionali - conclude la presidente di Sdr - hanno un’importante funzione in quanto contribuiscono a definire e gestiscono gli indirizzi del Ministero. Svolgono altresì un delicato compito di equilibrio tra i diversi istituti e collaborano con i Direttori e i responsabili della sicurezza per realizzare le migliori opportunità per ciascuno. Un’assenza prolungata da un luogo di così alta responsabilità determina disagio e preoccupazione tra le diverse figure professionali impegnate a dare attuazione a direttive ministeriali. C’è il rischio di ampi margini di discrezionalità e di contrapposizione tra Istituti”. Toscana: sciopero dei direttori delle carceri; è iniziato un mese di proteste Ansa, 3 maggio 2011 Iniziato per trenta giorni lo sciopero dei direttori delle carceri toscane. È un altro segno della situazione di degrado e disgregazione dell’Amministrazione Penitenziaria. Il Sindacato dei direttori penitenziari denuncia l’assenza di un contratto collettivo e la gravissima carenza di dirigenti in Toscana”. Lo riferisce in una nota il Garante per i detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, esprimendo solidarietà ai direttori pur paventando un peggioramento della situazione nelle carceri. Corleone specifica che i direttori si asterranno dallo svolgimento delle prestazioni che ricadono fuori dal normale orario di lavoro (astensione dallo straordinario, rifiuto di missioni, incarichi aggiuntivi, attività di formazione, astensione da ispezioni e relazioni sindacali). “Infatti - spiega Corleone - sono scoperte otto direzioni di importanti istituti della Toscana (Livorno, Gorgona, Massa Marittima, Pistoia, San Gimignano, O.p.g di Montelupo, Massa, Gozzini) oltre a diversi uffici U.e.p.e. e dodici posti di dirigente al Provveditorato regionale. Nonostante le modalità di assoluta responsabilità, lo stato di agitazione non potrà che produrre un aggravamento delle condizioni di vita delle carceri toscane. Come Garante non posso che manifestare solidarietà, per chi difende il proprio lavoro e i propri diritti e chiedo che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, risponda immediatamente alle giuste richieste e trovi una soluzione per la copertura dei posti vacanti e la nomina dei direttori che rappresentano un elemento imprescindibile per la vita degli istituti penitenziari”. Firenze: alla mostra dell’artigianato uno stando di prodotti realizzati dai detenuti Redattore Sociale, 3 maggio 2011 Alla kermesse sono esposti gli oggetti fabbricati dai reclusi di vari istituti: dalle magliette agli specchi, dai capi d’abbigliamento ai gadget. Allocca: “La creatività è espressione della vita che continua malgrado tutto”. Uno stand di prodotti realizzati dai detenuti è presente alla mostra dell’artigianato di Firenze, in corso alla Fortezza da Basso. Tra i tanti prodotti in vendita, ci sono i patchwork realizzati dai detenuti della sartoria del carcere di Volterra, la pelletteria e gli specchi dei ragazzi del minorile Meucci di Firenze, le magliette e i gadget del progetto Gattabuia della Casa circondariale di Livorno. L’iniziativa, promossa e organizzata dal gruppo consiliare Federazione della Sinistra - Verdi col patrocinio dell’assessorato regionale al welfare e la collaborazione dell’associazione Diritti e Società, coinvolge l’istituto di pena di Volterra, l’Istituto penale minorile di Firenze e la Casa circondariale di Livorno insieme ad Arci Solidarietà Livorno e Artex. “Il progetto - ha commentato l’assessore Allocca - viene sviluppato positivamente ormai da diverso tempo ed è la testimonianza di quanto sia importante l’apertura del carcere al mondo esterno. Ovviamente vale anche il discorso inverso, cioè la capacità del mondo esterno di sentirsi coinvolto nel percorso di rieducazione e reinserimento dei detenuti attraverso l’attivazione di iniziative come questa. Vorrei sottolineare l’importanza delle attività che vengono svolte all’interno del carcere, specialmente quelle artigianali. Stimolano la coesione tra detenuti, permettono di imparare un mestiere, alleggeriscono il senso di precarietà ed incertezza. I prodotti ottenuti sono il significato di tutto questo, il frutto della volontà di sentirsi ancora utili e vivi, in un ambiente che invece finisce per svilire e svuotare le persone”. Anche un modo per ottenere una piccola fonte di reddito. “La crisi - ha aggiunto Allocca - attraversa anche quelle mura spesse che separano queste persone dalla società civile e sono sempre minori gli aiuti che provengono dalle rispettive famiglie. Questo può permettere anche di avere un piccolo contributo per condurre una vita migliore all’interno del carcere. Però quello che più conta è il risultato che si ottiene sotto il profilo del reinserimento. Il lavoro e la creatività sono espressioni della vita che continua malgrado tutto. Tutto ciò che viene fatto all’interno di queste strutture è un’esperienza davvero significativa”. “Nella difficilissima situazione in cui si trovano gli istituti di pena nel nostro paese - ha detto Monica Sgherri, capogruppo regionale di Federazione della Sinistra - Verdi - sviluppare questa esperienza lavorativa e dargli continuità è una strada da perseguire con determinazione per concretizzare questo importante diritto al lavoro e la funzione educativa che vi è legata”. Allocca alla presentazione dello stand dei prodotti artigianali Ci sono i patchwork realizzati dai detenuti della sartoria del carcere di Volterra, la pelletteria e gli specchi dei ragazzi del Minorile Meucci di Firenze, le magliette ed i gadget del progetto Gattabuia della Casa circondariale di Livorno. Lo stand con i prodotti artigianali usciti da alcuni istituti di pena toscani è per il quarto anno consecutivo alla Mostra dell’Artigianato, alla Fortezza da Basso di Firenze. L’iniziativa, promossa e organizzata dal Gruppo Consiliare “Federazione della Sinistra - Verdi” col patrocinio dell’assessorato regionale al welfare e la collaborazione dell’Associazione Diritti e Società Onlus, è stata presentata stamattina nello stand allestito alla Mostra. Sono intervenuti l’assessore al welfare Salvatore Allocca ed il capogruppo regionale di “Federazione della Sinistra - Verdi” Monica Sgherri. Gli istituti di pena coinvolti sono l’istituto di pena di Volterra, l’Istituto Penale Minorile di Firenze e la Casa circondariale di Livorno insieme ad Arci Solidarietà Livorno e Artex. “Il progetto - ha commentato l’assessore Allocca - viene sviluppato positivamente ormai da diverso tempo ed è la testimonianza di quanto sia importante l’apertura del carcere al mondo esterno. Ovviamente vale anche il discorso inverso, cioè la capacità del mondo esterno di sentirsi coinvolto nel percorso di rieducazione e reinserimento dei detenuti attraverso l’attivazione di iniziative come questa. Vorrei sottolineare l’importanza delle attività che vengono svolte all’interno del carcere, specialmente quelle artigianali. Stimolano la coesione tra detenuti, permettono di imparare un mestiere, alleggeriscono il senso di precarietà ed incertezza. I prodotti ottenuti sono il significato di tutto questo, il frutto della volontà di sentirsi ancora utili e vivi, in un ambiente che invece finisce per svilire e svuotare le persone”. Anche un modo per ottenere una piccola fonte di reddito. “La crisi - ha aggiunto Allocca - attraversa anche quelle mura spesse che separano queste persone dalla società civile e sono sempre minori gli aiuti che provengono dalle rispettive famiglie. Questo può permettere anche di avere un piccolo contributo per condurre una vita migliore all’interno del carcere. Però quello che più conta è il risultato che si ottiene sotto il profilo del reinserimento. Il lavoro e la creatività sono espressioni della vita che continua malgrado tutto. Tutto ciò che viene fatto all’interno di queste strutture è un’esperienza davvero significativa”. Monica Sgherri, oltre a sottolineare che “si tratta di un’esperienza di buona pratica, buona politica e solidarietà vera per connettere il dentro e il fuori; il carcere, e capace di contribuire a superare quella consuetudine diffusa che fa rimuovere questi luoghi dalla percezione collettiva” e che “nella difficilissima situazione in cui si trovano gli istituti di pena nel nostro paese sviluppare questa esperienza lavorativa e dargli continuità è una strada da perseguire con determinazione per concretizzare questo importante diritto al lavoro e la funzione educativa che vi è legata”, ha spiegato che lo sviluppo futuro del progetto è legato alla realizzazione di uno spazio web dove far conoscere le produzioni e avviarne la commercializzazione online. Catania: Uil-Paa; un sit-in e un dossier per denunciare l’invivibilità delle carceri La Sicilia, 3 maggio 2011 Emergenza-carceri: un problema non solo per chi sta dentro, ma anche per chi è fuori”. La Uil con la sua organizzazione di categoria Uil-Pa, ha indetto per dopodomani, giovedì 5 maggio, un sit-in dinanzi alla Prefettura di Catania. Sarà un’occasione - dicono i dirigenti di categoria - per denunciare l’immobilismo dell’amministrazione penitenziaria nelle case circondariali di Catania e provincia”. Per documentare i motivi della protesta la Uil-Pa ha preparato un dossier sulle inquietanti carenze negli Istituti locali: un rapporto dettagliato dedicato dall’organizzazione Uil alla memoria dei dodici agenti penitenziari catanesi morti suicidi, vittime di omicidi o stroncati da infarto e altre cause di servizio in questi ultimi anni. D’altronde se soffrono i detenuti per il sovraffollamento e la fatiscenza degli ambienti, non si capisce perché gli agenti della polizia penitenziaria dovrebbero stare meglio. A piazza Lanza, per esempio, la carenza dei riscaldamenti d’inverno e dell’aria condizionata d’estate, tra muffa, blatte e sorci, rende invivibile la permanenza degli uni e degli altri. Oltretutto all’intollerabile sovraffollamento delle celle corrisponde un altrettanto insopportabile carenza d’organico all’interno del corpo. “Considerata la grave situazione attuale, ogni giorno più grave - spiega il segretario provinciale UilPa Armando Algozzino - non ci aspettiamo miracoli, ma soltanto alcune soluzioni concrete ai problemi di vivibilità degli istituti penitenziari. Chiediamo che almeno il capo dell’Amministrazione Penitenziaria, Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, presti attenzione ai dati e alle problematiche sollevati da questa organizzazione sindacale”. I lavoratori della Polizia penitenziaria e gli operatori penitenziari sono costretti a vivere e operare in condizioni da terzo mondo. Gli Istituti, peraltro, sono carenti di personale del Comparto Ministeri e tale carenza viene sopperita dal personale di Polizia penitenziaria che, quindi, deve svolgere anche compiti amministrativi che non dovrebbero essere di loro competenza. “Un consiglio vogliamo, intanto, dare al Ministro della Giustizia - conclude Algozzino - Prima di pensare a costruire nuovi istituti, renda funzionali e adeguati quelli esistenti con organici sufficienti a garantire i servizi in sicurezza”. Catania: la morte di Carmelo Castro; dopo tre anni salta fuori il lenzuolo usato come cappio La Sicilia, 3 maggio 2011 La Procura sta entrando nel vivo delle indagini sulla morte in carcere del 19enne incensurato Carmelo Castro di Biancavilla. Il giovane - fu asserito da fonti di piazza Lanza - il 28 marzo 2009 fu trovato impiccato e penzoloni nella cella di isolamento dov’era detenuto da soli quattro giorni. L’indagine fu archiviata una prima volta, senza che un solo agente di custodia penitenziaria fosse ascoltato dal magistrato, senza che nulla, neanche la cella della morte, fosse sequestrata, senza che si svolgessero approfondimenti di sorta, dando insomma per scontato tutto quello che emergeva dalle “carte” di piazza Lanza. Ora che il caso è stato riaperto (vi sono stati diversi ricorsi e molte ragioni per farlo) si ricomincia davvero da zero. Si cominciano anche a interrogare le persone informate dei fatti (e la lista è molto lunga, comprendendo, oltre che il personale del carcere, anche i medici e il personale parasanitario che in un modo o nell’altro hanno avuto qualcosa a che fare con questa vicenda). E per la prima volta, dopo tre anni, è saltato fuori un reperto molto importante, che prima d’ora, inspiegabilmente, non era stato mai consegnato alla magistratura: il lenzuolo trovato annodato al collo della vittima. E pare anche che la Procura sia determinata a disporre un’analisi di polizia scientifica per prelevare il Dna e compararlo con quello del ragazzo. La tardiva consegna del reperto lascia molto perplesso l’avvocato Vito Pirrone - che assiste i familiari di Castro - il quale a questo punto reclama a gran voce che l’amministrazione di piazza Lanza consegni pure i filmati relativi al “traffico” che si è svolto nel corridoio dove si affacciava la cella di Castro. Si vuole insomma sapere chi ha visto per l’ultima volta Carmelo vivo: sono stati gli agenti penitenziari o piuttosto i detenuti addetti alla distribuzione del pasto? Di certo si sa che il ragazzo, dopo aver fatto i nomi dei correi di una rapina aveva paura di rappresaglie e rinunciava anche all’ora d’aria. Inoltre Carmelo era in regime di grandissima sorveglianza (e fu perso di vista dal personale del carcere per circa tre ore) e si dubita che egli possa essersi effettivamente suicidato: egli era alto 1,75 ed il letto a castello al quale dicono si sia impiccato non supera il metro e 60. Bassano (Tv): scuola e carcere; allievi dello “Scotton” con i detenuti del “Due Palazzi” Il Gazzettino, 3 maggio 2011 L’incontro fa parte del progetto “Educazione alla legalità” che si concluderà domani con una lezione tenuta da funzionari della Polizia. Scuola e carcere, ovvero educazione alla cittadinanza sul campo. L’istituto Scotton di Bassano ha confermato di recente una scelta pedagogica che lo caratterizza da anni, quella di far toccare agli studenti il difficile mondo del carcere. Tre classi seconde sono state accompagnate dai professori Alessandra Bianchin, Mario Gasparotto e Ivana Dissegna a visitare il “Due Palazzi” di Padova, dove hanno incontrato il gruppo di detenuti che costituiscono la redazione della rivista “Ristretti Orizzonti”, seguita dalla giornalista Ornella Favero. “La visita rientra nel progetto Educazione alla legalità - hanno riferito Gasparotto e la Bianchin - che riguarda tutte le classi prime, che sono state accompagnate a visitare il Tribunale di Bassano e ad assistere ad alcune udienze; gli alunni hanno potuto partecipare alla celebrazione di alcuni processi, completando così le conoscenze acquisite durante le ore di Diritto”. Studenti delle classi quinte e terze dello Scotton hanno poi incontrato alcuni detenuti della casa circondariale di Padova che hanno parlato delle loro sofferte vicende e di come sono pervenuti alla esperienza della detenzione. La 5. M ha avuto l’opportunità di far visita al carcere minorile di Treviso, dove ha disputato una partita di calcio con i minori ivi trattenuti. Il progetto si concluderà il 4 maggio con l’incontro, in aula magna, con alcuni funzionari della Polizia sui rispetto delle regole, sull’abuso dell’alcool, sul bullismo. Libri: l’ergastolano che racconta il carcere “non vogliamo pietà, ma solo umanità” di Giulia Cerino La Repubblica, 3 maggio 2011 Il libro “Uomini ombra” è il diario dell’esperienza di Carmelo, condannato per omicidio, da 20 anni rinchiuso al penitenziario di Spoleto. La sua storia è quella di tanti altri. L’autore non chiede lo sconto di pena ma dignità. E denuncia i problemi di sovraffollamento a cui sono costretti gli ergastolani Di solito sono le cifre diffuse dalle associazioni o dall’Istat a darne un’idea. Altre volte, sono i giornalisti o gli studiosi ad avvicinarvisi per tentare di capire cosa significhi vivere in carcere. Oggi a spiegare la detenzione, la prigione e l’ergastolo è un ergastolano ostativo: un condannato a vita, senza privilegi, senza sconti. Da dietro le sbarre ha scritto un libro destinato a chi è libero. Non per discolparsi, ma per raccontare a chi non lo sa cosa significa in Italia il “fine pena mai”. Il volume presentato oggi alla Camera dei Deputati dall’Associazione Antigone 1 si chiama gli Uomini ombra (Gabrielli Editore) ed è firmato da Carmelo Musumeci, recluso nella prigione di Spoleto da venti anni. Nato in Sicilia, è un ex capo della mafia versiliana e ha ucciso un uomo. Si definisce poeta ma è un assassino che non è mai uscito di prigione. “Tempo fa - scrive - avevo chiesto al Tribunale di Sorveglianza qualche ora d’aria ma “le motivazioni affettive sottese alla richiesta avanzata dal Musumeci, encomiabili e rispettabili sul piano umano non sono applicabili”. Permesso respinto. Musumeci è uno dei circa 1200, uomini e donne, soprattutto meridionali, colpevoli di reati di stampo mafioso e condannati a vita. Per loro la legge prevede la preclusione - di fatto - di ogni beneficio durante il periodo di detenzione. I permessi premio, di necessità o la liberazione condizionale sono concessi solo a chi collabora con la giustizia. Nel libro, “Carmelo racconta di lupi, Carmelo racconta di ombre, Carmelo dipinge leoni e li spedisce a mio figlio, Carmelo mi scrive lunghe e belle lettere che mi arrivano in buste gialle. Io rispondo in ritardo risposte brevi, frettolose. Ho poco tempo io. Carmelo no, ha tanto tempo però non è il suo e delle mura alte, dei cancelli di ferro e delle sbarre di acciaio[...] Carmelo non ha mani, né gambe, né corpo. Carmelo è un uomo ombra però posso toccare le sue parole impresse nelle pagine di questo libro, le parole, la fantasia, il dolore, la ostinazione, l’amarezza, la dolcezza e la durezza di Carmelo sono corpo: il corpo di un uomo libero”. Il virgolettato è di Vauro Senesi, fumettista e giornalista, che del libro ha curato la prefazione e ha disegnato la copertina. I testi invece sono frutto della corrispondenza giornaliera tra Musumeci e la realtà, quella esterna. Il “diario” personale di Carmelo era già stato pubblicato a puntate sul blog “Urla dal silenzio” 2 e anche sul portale Informacarcere. Attraverso la Rete, è riuscito a farsi conoscere. A farsi sentire e a comunicare con il mondo. Oggi i pensieri dal carcere sono un libro. Anzi, racconti “social noir” come ama definirli, attraverso i quali l’autore spiega giorno per giorno, ora per ora, la vita dietro le sbarre e la morte spirituale dei detenuti. Racconta cosa significa “sovraffollamento”, denuncia ciò che non va e cosa dovrebbe andare meglio. Si pente ripetutamente ma non chiede la libertà. Sa di non meritarla. Però riflette. E chiede almeno umanità. “Nella pena che scontiamo - scrive - non c’è nulla di costruttivo”. Il “sistema penitenziario italiano prevede all’art. 27 della Costituzione che ‘le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Nel caso degli ostativi non succede”. Per questo Carmelo si definisce Uomo ombra. Perché è come se l’avessero dato per spacciato anche se lui è ancora vivo. “La sospensione delle normali regole di trattamento penitenziario” nei confronti dei carcerati, anche non ergastolani, accusati di associazione mafiosa, fu stabilita nel maggio del 1992. Il decreto Martelli-Scotti, pochi giorni dopo che Giovanni Falcone veniva fatto saltare in aria con la moglie e la scorta, inaspriva le pene già contenute nell’articolo 4 bis della legge antimafia del 1975. Con uno scopo: distruggere la rete malavitosa attraverso le confessioni dei detenuti. Da allora, per varie ragioni, gli ergastolani ostativi si sono spesso rifiutati di collaborare. In merito alla legge del ‘92, invece, non è mancata la polemica. “Mentre in alcuni paesi - Norvegia, Portogallo, Spagna, Slovenia, Croazia e Polonia per esempio - la detenzione a vita è stata abolita - spiegano i volontari della comunità Papa Giovanni XXIII - in Italia, unico Paese nel mondo, l’ergastolo puro si sconta per minimo 25 anni. Un provvedimento, questo, in contrasto con l’articolo 5 della Carta europea dei dritti dell’uomo che - in ogni caso - prevede che nessuno venga sottoposto a tortura o trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti”. Libri: “L’inferno sono gli altri”; gli anni 70 a Padova secondo Silvia Giralucci Adnkronos, 3 maggio 2011 Padova, una città colta, borghese, apparentemente tranquilla, negli anni Settanta diventa il crocevia delle trame eversive nere e rosse che insanguinano il paese e un laboratorio unico in Italia di violenza diffusa e di illegalità di massa. È qui che il 17 giugno 1974 le Brigate rosse fanno le loro prime vittime, Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola, uccisi durante un’irruzione nella sede del Msi. Partendo dalla sensibilità di una vicenda personale, la giornalista Silvia Giralucci, figlia di Graziano, ha scritto un libro inchiesta “L’inferno sono gli altri”, pubblicato da Mondadori, che ricostruisce il clima di quegli anni di passioni e tempeste. Attraverso i racconti di persone che, da una parte e dall’altra, hanno vissuto quegli avvenimenti in prima persona e le cui storie, antitetiche e inconciliabili, formano un mosaico di memorie “divise”. Cecilia, la sfrontata “ragazza dello yoga”, che di quel tempo rimpiange l’ironia e la voglia di cambiare il mondo. Il suo nemico giurato, Guido Petter, insigne docente ed ex partigiano, divenuto bersaglio degli studenti e della violenza estremista. Pietro Calogero, il magistrato che condusse l’inchiesta “7 aprile” e fece arrestare i vertici dell’Autonomia operaia organizzata, sospettati di collusione con le Br. Antonio Romito, il sindacalista che, dopo l’assassinio di Guido Rossa, passò da Potere operaio al Pci e collaborò con la giustizia. Pino Nicotri, il giornalista accusato di essere uno dei “telefonisti” nei giorni del sequestro Moro. E poi, in colloqui più sofferti e difficili, ex autonomi che hanno conosciuto la durezza del carcere ma non si sono “pentiti”. Nella ricerca delle ragioni dei “sovversivi” e nel racconto delle prove di coraggio di chi, per contrastarli, ha messo a repentaglio la propria vita, è riconoscibile il tentativo di ricucire i lembi di una ferita privata, che però può essere un modo per curare anche le tante aperte da allora sul corpo della società italiana. Libri: nella testa degli scrittori; “Spezzare la catena del male” tra le letture di Lorenzo Pavolini di Caterina Morgantini http://hounlibrointesta.style.it, 3 maggio 2011 L’ultimo romanzo di Lorenzo Pavolini è “Accanto alla tigre” (Fandango, finalista al Premio Strega 2010), un romanzo di memorie importante per capire chi eravamo e chi siamo. I libri che sto leggendo: Ho diversi libri in testa, perché contemporaneamente li tengo aperti per leggerli e/o lavorarci. E alla fine formano una matassa inestricabile che li lega uno all’altro in una catena più o meno infinita. Ho ripreso ad esempio “La banalità del male” della Arendt perché stavo lavorando su un testo teatrale che la scrittrice israeliana Savyon Liebrecht ha recentemente dedicato al rapporto tra la celebre teorica della politica e il suo professore Martin Heidegger con il titolo “La banalità dell’amore” (edizioni e/o). Con l’occasione ho rispolverato anche il breve carteggio tra la Arendt e Gershom Scholem, in una smilza edizione Nottetempo. La sua geniale intuizione sulla natura umana alle prese con il male mi sembra ancora utile: “Oggi il mio parere è che il male non sia mai radicale, che sia solo estremo, e che non possieda né profondità né dimensione demoniaca. Esso può invadere tutto e devastare il mondo intero precisamente perché si propaga come un fungo È qui la sua banalità. Solo il bene ha profondità e può essere radicale”. Intanto leggo una raccolta di interventi pubblicati da Ristretti Orizzonti, che normalmente realizza una rivista con le detenute, i detenuti e i volontari della Casa di Reclusione di Padova. Il libro in questo caso si intitola “Spezzare la catena del male” e contiene tra l’altro alcune testimonianze di familiari di vittime di attentati terroristici come Manlio Milani, Andrea Casalegno, Olga D’Antona, Benedetta Tobagi, Silvia Giralucci, Sabina Rossa. Nel frattempo mi è capitato tra le mani il nuovo libro di Giovanni De Luna La Repubblica del dolore (Feltrinelli) dove si sostiene che a tenere insieme il patto fondativo della nostra memoria sono oggi solo il dolore che scaturisce dal ricordo delle vittime, della mafia, del terrorismo, della Shoah… Sto anche leggendo gli ultimi romanzi di Mauro Covacich (sempre e ancora più bravo) e Mario Desiati (tq). Ma se devo dire la scoperta di questi primi mesi dell’anno è stata la lettura di uno dei nostri capolavori sommersi, senza ombra di dubbio il miglior libro scritto sull’avventura dei Mille per mano del mitico attendente di Garibaldi, Giuseppe Bandi. Sono arrivato a lui seguendo un sentiero che risale per le vie maremmane di Bianciardi. La cronaca di Bandi I Mille. Da Genova a Capua è insieme romanzo picaresco e d’avventura (tanto che non c’è da dubitare che Salgari calcò Sandokan sul Generale e Yanez su Bixio), domestico (sappiamo tutto dell’amore per il caffè di Garibaldi e della sua passione per i baccelli), vivido come sanno essere solo le immagini della storia vissuta con disinvoltura (Bandi fu gravemente ferito a Calatafimi). Nella sua lingua risuonano Dante e Leopardi, la voce di Bandi m’è proprio rimasta in testa. Il libro che sto scrivendo: Sono alle prese con la storia di tre fratelli (titolo provvisorio sperando prenda peso: tre fratelli magri). Direi che i primi cinque capitoli ci sono, magari sono da buttare ma contano 50mila battute. Di capitoli la storia alla fine dovrebbe misurarne una ventina. Il problema è che uno di questi tre fratelli sono io, per cui anche gli altri due rischiano di coincidere con fratelli veri, e in più, per complicarmi la vita sto intrecciando anche il fili di una vecchia storia di famiglia, di quelle cose che restano chiuse in una scatola a lungo e nessuno ha tanta voglia di ricordare, un lutto che risale al 1954, un fratello di mia madre che è morto in montagna a diciannove anni. Insomma roba allegra e soprattutto da mediare passo passo con persone realmente esistenti, con le loro ferite, le loro memorie. Sono per la letteratura come relazione, quindi mi convinco a scrivere mentre faccio digerire ad altri che io scriva di questioni che li riguardano intimamente, anzi la mia necessità di raccontare è proporzionale al loro tacito assenso… boh? Ce la farò? Riuscirà una vicenda particolare a mettersi in cortocircuito con un senso più ampio, senza pretendere che diventi collettivo, ma almeno condominiale? Santo Domingo: l’Ambasciatore italiano; noi facciamo il massimo per i connazionali detenuti www.italiachiamaitalia.com, 3 maggio 2011 I detenuti italiani nella Repubblica Dominicana vivono una situazione di grande insofferenza. Le carceri dominicane non sono come quelle italiane: in quei luoghi, c’è davvero molto poca umanità. E così sono diverse le associazioni che cercano di aiutare i nostri connazionali detenuti. Di recente, a Italia chiama Italia è stato segnalato da parte della commissione Derechos Umanos della Repubblica Dominicana il caso di tre detenuti italiani in particolare. Abbiamo girato la segnalazione all’Ambasciatore italiano a Santo Domingo, Arturo Olivieri, che ci ha risposto. “Il caso dei tre detenuti in questione - scrive a Italia chiama Italia l’Ambasciatore Olivieri - ci è ben noto ed abbiamo ampiamente riferito al Ministero ed al Ministro stesso che è stato interessato al riguardo tramite varie associazioni”. Ecco alcune precisazioni da parte dell’Ambasciatore: “La responsabilità del trattamento carcerario ricade interamente sulla struttura penitenziaria dominicana, come ebbi modo di chiarire con lo stesso responsabile di tutte le carceri dominicane poche settimane dopo il mio arrivo in sede, proprio in relazione al caso dei tre cittadini italiani” che mi avete voluto segnalare; “secondo il codice civile italiano i congiunti di cittadini italiani indigenti - detenuti o meno che siano - hanno una responsabilità primaria nella loro assistenza (a titolo di esempio francesi ed inglesi si limitano a tramitare somme in denaro inviate dai congiunti, ma non effettuano dazioni con soldi erariali); le autorità consolari italiane hanno come compito di vegliare affinché ai cittadini italiani detenuti non vengano fatti trattamenti discriminatori rispetto agli altri detenuti dominicani o di altra nazionalità. Come mi disse il responsabile del sistema carcerario dominicano la Repubblica dominicana ha il 34% di popolazione che vive al di sotto della linea di povertà...e le carceri della Repubblica dominicana sono quelli di un Paese con mezzi molto limitati; la legislazione italiana prevede che un contributo a italiani indigenti non possa avere carattere di continuità, malgrado ciò ai tre detenuti i questione viene dato tutto quel che si può bimensilmente (8.000 pesos), in un paese dove il salario del carceriere è di 6000 pesos mensili; i trattamenti medici sono stati sempre sollecitati ed ottenuti, naturalmente anche i cittadini italiani liberi in Italia attendono per esser ricevuti dal servizio sanitario italiano ed in tutti i casi - ripeto - è reponsabilità del sistema carcerario dominicano”. “Avevamo ottenuto il cambiamento di stabilimento penitenziario per i tre in questione, che informati al riguardo lo hanno rifiutato”. L’Ambasciatore Olivieri, dopo averci ringraziato per la segnalazione, in ogni caso, ci tiene a sottolineare: “Se c’è qualcosa che possa fare, a termini di legge ovviamente, che non sia stato fatto, prontissimo a provvedere. Altresì ribadisco la mia disponibilità ad aprire una colletta in favore dei nostri connazionali indigenti come primo “contribuente”.. ma a titolo personale ed umanitario in quanto, a termini di legge, abbiamo già fatto, e stiamo facendo, anche oltre il consentito, effettuando di fatto dei versamenti regolari...”.