Giustizia: ogni anno 100mila bambini visitano i genitori in carcere Redattore Sociale, 26 maggio 2011 Sono un milione in tutta l’Ue. I risultati della prima ricerca in Italia. I bimbi vengono perquisiti nel 40% dei casi, l’11% degli agenti controlla anche il cambio del pannolino. Il 90% del personale penitenziario si sente impreparato. I bambini che ogni anno entrano in carcere per incontrare i genitori detenuti sono oltre un milione nell’Unione Europea, tra i 95 mila e i 105 mila soltanto in Italia. Sono i risultati della ricerca “Quando gli innocenti sono puniti: i figli di genitori detenuti. Un gruppo vulnerabile”, condotta da ottobre 2009 a marzo 2011 in Italia, Danimarca, Francia, Irlanda del Nord e Polonia. È la prima ricerca del genere in Italia, dove sono 149 mila i genitori che entrano in carcere in un anno, considerando anche le pene brevi. In Europa, le stime parlano di 800 mila bambini ma il numero esatto non è conosciuto perché non esistono statistiche sistematiche sul dato. Si conviene dunque che con l’allargamento dell’Unione a 27 stati, la cifra arrivi a un milione. La convenzione Onu sui diritti del bambino stabilisce che i minori non devono subire discriminazioni per la condizione dei loro genitori. “Tuttavia, i figli di detenuti spesso provano vergogna, si sentono privi di sostegno e diversi perché i loro genitori sono in carcere - si legge nella ricerca europea - Possono essere vittime di bullismo da parte dei coetanei e della comunità in cui vivono, possono avere problemi a scuola”. L’indagine, finanziata dall’Ue, è stata diretta dall’Istituto danese per i diritti umani (Dihr), in collaborazione con la rete Eurochips, l’Università statale Bicocca di Milano e con il ministero della Giustizia. Una storia delle carceri nei 150 anni dell’Unità d’Italia completa il dossier. La parte italiana della ricerca è stata realizzata dall’associazione “Bambinisenzasbarre” e ha ottenuto la risposta di 112 carceri sulle 213 totali presenti in Italia e di 441 questionari compilati con una risposta media del 53%: 67% al nord, il 43% al centro e il 47% al sud e nelle isole. Il questionario era rivolto agli operatori, agenti ed educatori, che intervengono nel rapporto fra bambini e carcere. Benché all’atto dell’ingresso in carcere la procedura preveda che venga chiesto se la persona ha figli, dalla ricerca emerge che secondo il 18% degli operatori questa richiesta non verrebbe fatta. Nel 76% dei casi il carcere non dispone di personale specializzato per partecipare alle visite dei bambini, gli operatori e gli agenti sono quelli di turno. Solo il 3% degli operatori dichiara che i bambini non sono contenti quando visitano il genitore in carcere, secondo il 46% non sono a disagio. I bambini vengono perquisiti dal personale nel 40% delle risposte, “solo se necessario” nel 20% dei casi, con il metal detector nel 29% dei casi, l’11% controlla anche il cambio pannolino del neonato. Nel 41% dei casi le visite sono consentite con una frequenza di 6 volte al mese, nel 32% anche 8 o più volte al mese, il 27% risponde 4 volte al mese. La durata media del colloquio è di una o due ore. A chi è detenuto al 41 bis per il reato di associazione mafiosa si impedisce la visita dei figli, un dato pari al 36% delle risposte. Ben il 65% dei penitenziari non ha locali destinati solo alle visite dei bambini. Oltre ai colloqui, i genitori detenuti possono parlare con i figli per telefono ma soltanto una volta alla settimana per dieci minuti (93%). Benché sia possibile telefonare a un cellulare, il 49% degli operatori non è informato su questa possibilità consentita al genitore detenuto. I genitori non possono ricevere telefonate dai figli nell’84% dei casi. Il personale penitenziario ritiene che la sua formazione non sia sufficiente a occuparsi dei figli di genitori detenuti nel 90% delle risposte. Sono impreparati ad affrontare l’accoglienza dei bambini in carcere. Dalla ricerca emergono una serie di raccomandazioni al Parlamento europeo, tra le quali: gli arresti effettuati in presenza di bambini dovrebbero seguire linee guida specifiche per minimizzare il trauma, tutte le decisioni di custodia cautelare di un individuo in attesa di giudizio dovrebbero prendere in considerazione in primo luogo i diritti e le esigenze dei figli della persona arrestata; nell’emissione di una sentenza riguardante un genitore, l’interesse superiore del bambino dovrebbe essere preso in considerazione, sia in relazione alla scelta della pena da comminare, sia nella scelta del luogo in cui fare scontare la pena in caso di detenzione, per garantire il contatto faccia a faccia con il bambino; un bambino dovrebbe avere il diritto di fare visita al genitore detenuto in una struttura adeguata entra una settimana dal fermo e frequentemente. Altri elementi da tenere in considerazione per avere standard minimi per la tutela dei bambini sono indicati alla conclusione dell’indagine. Neonati e bimbi piccoli che vivono dietro le sbarre con le madri “devono avere accesso libero ad aree esterne come i parchi giochi, in quanto è necessario riconoscere che il bambino non è un detenuto”. La polizia e le carceri dovrebbero essere obbligati dalla legge a raccogliere informazioni circa il numero e l’età dei bambini i cui genitori sono stati arrestati e le statistiche dovrebbero essere messe a disposizione del pubblico. “Questo è un fenomeno decisivo che può segnare la vita di una persona e la ricerca sottolinea il fenomeno per i numeri elevati” commenta Lia Sacerdote, responsabile dell’indagine nella parte italiana. Bambini in carcere, ignorata la “circolare del sorriso” Una disposizione del ministero della Giustizia sul comportamento da tenere durante le visite ai genitori detenuti stabilisce che gli agenti e gli operatori devono sorridere ai piccoli. Ma il 64% ignora la norma. Gli agenti penitenziari e gli operatori che incontrano i bambini in visita carceraria ai genitori detenuti sono tenuti a sorridere. Lo stabilisce una circolare del ministero della Giustizia, Dipartimento di polizia penitenziaria, tanto che la norma è stata ribattezzata “la circolare del sorriso” perché richiama “l’indispensabilità di ricorrere al sorriso” nella parte conclusiva delle norme per facilitare l’incontro tra bambino e genitori detenuti. Ma solo il 34% del personale penitenziario conosce la circolare diffusa dal ministero della Giustizia nel dicembre 2009 sul comportamento da tenere durante le visite dei bambini. Il 64% risponde di ignorarne l’esistenza. È il dato che è stato raccolto dalla ricerca di Bambinisenzasbarre condotta su oltre la metà delle carceri italiane. “Quei bambini diventeranno adulti e il loro rispetto per le istituzioni passerà anche attraverso i ricordi dell’accoglienza che hanno ricevuto” dice Sebastiano Ardita, consigliere del dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap) e autore della circolare del sorriso. “L’attenzione per i bambini che accedono alle strutture penitenziarie è sintomo di civiltà della pena, perché significa anche rispetto per la dignità dei reclusi, i cui affetti divengono oggetto di attenzione positiva da parte dello Stato e può contribuire alla credibilità del percorso di rieducazione - continua - bisogna tenere fuori dalla sanzione i bambini, altrimenti si produce un danno sociale”. Secondo Edoardo Fleischner, docente di Nuovi Media e Comunicazione all’Università Statale di Milano, “il problema è che l’Italia ha ottime leggi nel panorama europeo ma sono alquanto disapplicate”. Giustizia: Amato; figli dei detenuti, l’Italia indifferente su un problema così grande Redattore Sociale, 26 maggio 2011 Manconi: “Realizzare in altre città strutture senza sbarre come l’Icam di Milano per le madri detenute”. Nella ricerca di Bambinisenzasbarre e di Eurochips anche i disegni dei bambini e una favola per spiegare il colloquio in carcere Sul problema dei bambini in carcere e dei figli dei detenuti c’è “indifferenza” e un “vuoto informativo” secondo Giuliano Amato, presidente del Comitato per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, intervenuto alla presentazione del rapporto di Bambinisenzasbarre e di Eurochips (la rete europea dei figli di genitori detenuti) che ha aperto la prima settimana di sensibilizzazione europea sulla questione, dal 6 al 12 giugno. “La comunità italiana è indifferente davanti a un problema così grande che ha in casa - ha detto Amato - l’unica risposta è che non lo sa, che non lo conosce, il problema è di attrarre l’attenzione dei mezzi di comunicazione in modo che l’azione meritoria del volontariato non si perda in un vuoto informativo. La cultura del sorriso deve essere predicata costantemente e non letta soltanto nella circolare”. Come per Amato, anche per Mauro Palma, presidente della commissione europea per la Prevenzione della tortura e membro del comitato etico di Bambinisenzasbarre “viviamo in una fase di disattenzione sociale rispetto a questioni così complesse”. Palma identifica il problema in tre tipologie. I bambini privati direttamente della libertà, che in paesi come la Scozia è una misura possibile dai 9 anni di età in su. La privazione indiretta della libertà, come nei casi dei minori in carcere con le madri detenute. La privazione della libertà di uno o di entrambi i genitori. “Oggi in Italia sono reclusi con le madri un numero di bambini fino a tre anni oscillante tra 60 e 75. Segnalano quanto il nostro sistema delle pene sia illegale perché oltre alla sanzione prevista c’è un carico non previsto di afflizione e sofferenza” ha dichiarato Luigi Manconi, presidente di A Buon diritto. Manconi ha sottolineato la novità positiva costituita dall’Icam di Milano, l’istituto per la custodia attenuata delle madri, esterno al carcere, simile a una casa famiglia, senza armi, né sbarre, né divise, che in tre anni ha ospitato 118 mamme con 144 bambini. “Con un investimento modestissimo si potrebbero realizzare in altre cinque città italiane altrettante strutture sul modello di quella milanese per attenuare il trauma di reclusione per i bambini, ma il solo celebrato e annunciato piano carceri di questo non parla” ha detto ancora Manconi. Bambinisenzasbarre gestisce nel carcere di San Vittore lo “spazio giallo”, dove ogni settimana 150 bambini aspettano prima del colloquio con il proprio genitore detenuto. I disegni di questi bambini fanno parte della ricerca. Significativi sono quelli di Johnny, 4 anni, che ha frequentato lo spazio giallo dal settembre 2009 al novembre 2010. Ha disegnato mani con artigli e guanti da lavoro, fantasie horror ispirate a Freddy Krueger, il protagonista della serie “Nightmare” e navi a tre piani piene di fantasmi. La mamma di Johnny raccontava al figlio una bugia sulla detenzione del marito. Diceva al suo bambino che suo padre per lavoro deve lavare la macchina della polizia e che lui non può aiutarlo perché ci vogliono i guanti. Il papà gli diceva che avrebbe potuto restare a lavorare con lui solo quando la sua mano fosse diventata grande come quella del genitore. Johnny piangeva sempre all’uscita dai colloqui e ogni volta che andava a trovare il papà la prima cosa che faceva era di misurare la sua mano con quella del padre. Dallo spazio giallo è stata realizzata anche una favola per spiegare ai bambini il colloquio in carcere. Protagonista è una piccola giraffa, Lalla, che ogni mercoledì va con la mamma a trovare papà “nel posto per i grandi che sbagliano” e gioca con i cani antidroga della perquisizione nel “posto dalle porte grandi”. Dopo la sosta allo spazio giallo per stare con gli altri bimbi, Lalla deve lasciare i giochi prima di entrare e vedere papà. Lui sta nel “posto per i grandi che devono stare lì ma poi ritornano a casa”. Perché un grande trauma per i più piccoli è pensare che il loro papà resterà sempre dietro le sbarre e non potrà più tornare in famiglia. Giustizia: Ionta (Dap); lavora solo 20% dei detenuti, le carceri o sovraffollate o inutilizzate Ansa, 26 maggio 2011 In Italia “il 20% della popolazione detenuta riesce a lavorare. Dobbiamo tendere a superare questa soglia e avvicinarci il più possibile al 100%. Questo è l’impegno dell’amministrazione”. Lo ha detto il capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta in occasione della presentazione di un progetto di informatizzazione dei fascicoli dell’archivio del tribunale di sorveglianza di Roma e del Lazio che coinvolgerà i detenuti del carcere di Rebibbia. “Nelle carceri di Roma e del Lazio l’afflusso è ai limiti del sostenibile”. Lo denuncia il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e del Corpo di polizia penitenziaria Franco Ionta che spiega: “A causa della carenza di personale a Rieti non riusciamo a rendere completamente operativo il nuovo carcere, che è un modello sotto l’aspetto gestionale”. L’allarme, lanciato a margine della presentazione di un progetto di informatizzazione del tribunale di sorveglianza di Roma e del Lazio che coinvolgerà i detenuti del carcere di Rebibbia, è condiviso anche dal garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, che ha sottolineato come, a fronte di strutture sovraffollate, ve ne siano altre inutilizzabili per carenza di organico. “Il padiglione di Velletri finito - ha spiegato infatti Marroni - può contenere 200, 300 detenuti e non ce n’è neanche uno perché manca il personale. Quando si parla di piano carceri (e Ionta ne parla spesso) bisogna dire anche quanti sono i poliziotti, gli psicologi, gli educatori, e i direttori necessari per questo piano. E su questo le risposte sono deludenti”. In particolare, conclude Marroni, “a Rieti ci sono circa 110, 120 detenuti, in una struttura che può ospitarne 400. Non c’è polizia penitenziaria, non ci sono educatori, non ci sono psicologi e la situazione rimane così. Così rimane anche il padiglione di Velletri”. Giustizia: Sarno (Uil); si allarga la protesta negli istituti penitenziari di tutta Italia Adnkronos, 26 maggio 2011 ''Come ci era stato facile pronosticare, si allarga la protesta dei detenuti in molti istituti penitenziari. Da qualche minuto una rumorosissima protesta con la battitura delle stoviglie è cominciata nel carcere milanese di San Vittore. Altre battiture in giornata si sono verificate a Bolzano, Verona, Belluno, Venezia, Prato, Firenze Sollicciano, San Remo, Imperia, Vicenza. Preannunciata per questa sera l'ennesima manifestazione a suon di decibel anche Genova Marassì'. è Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, a dare il quadro delle proteste dei detenuti. ''Se in molti istituti è in corso la battitura -spiega Sarno- in moltissimi altri i detenuti hanno cominciato a praticare l'astensione dal consumare il vitto dell'Amministrazione e/o lo sciopero della fame. L'elenco è davvero lungo : Brindisi, Lecce, Ariano Irpino, Avellino, Imperia, Pisa, Firenze, Prato, Vicenza, Cagliari, Velletri, Agrigento, Rebibbia, Regina Coeli, Milano Opera, Venezia, Locri, Melfi, Belluno, Bolzano''. ''Ci giunge notizia che a Vicenza i detenuti da domani potrebbero cominciare anche lo sciopero della sete - spiega il segretario generale della Uil Pa - considerato che molti detenuti hanno dato vita alle proteste anche per solidarietà all'iniziativa di Marco Pannella confidiamo che esse si connotino per il carattere pacifico e che non si abbiano a registrare i disordini accaduti qualche giorno fà'. ''è un momento delicato e di particolare tensione -rimarca Sarno- ognuno deve agire con responsabilità, senza alimentare ulteriori pulsioni che potrebbero sfuggire al controllo. Se da un lato i detenuti, legittimamente, protestano contro la deriva di inefficienza e di inciviltà del sistema penitenziario dall'altro anche il personale ha i suoi buoni motivi per dar sfogo alla propria rabbia e frustrazionè'. ''E se il livello delle proteste e del confronto si alza, lo si deve esclusivamente all'insensibilità del ministro Alfano che resta silente ed immobile e del governo che continua a far di niente per deflazionare le criticità, nonostante abbia per due anni proclamato la stato di emergenze per le carcerì'. Domani il segretario generale della Uil Pa Penitenziari sarà impegnato a presiedere la riunione del Direttivo Regionale della Campania, convocato nell'aula magna della Casa Circondariale di Benevento: ''La Campania, unitamente alla Lombardia e alla Sicilia, rappresenta una delle aree detentive di maggiore consistenza. Alle 24.00 di ieri in Campania i detenuti ristretti assommavano a 7.823 (7.480 uomini e 343 donne) a fronte di una capacità massima ricettiva pari a 5.593 (5.376 uomini e 217 donne)''. ''Un surplus di ben 2.230 detenuti -sottolinea Sarno- senza dimenticare che la settimana scorsa si è provveduto ad uno sfollamento di circa 350 detenuti. Gli istituti con il maggior tasso di affollamento : Napoli Poggioreale ( 2655 presenti su 1714 previsti); Ariano Irpino (188 su 125), Benevento (429 su 277), Secondigliano (1517 su 988), Pozzuoli (218 su 98), Sant'Angelo dei Lombardi (189 su 117), Santa Maria Capua Vetere /( 890 su 547), Salerno ( 407 su 216), Avellino (483 su 385)''. ''Ovviamente -sottolinea il leader della Uil Pa penitenziari- non è solo il sovraffollamento a preoccuparci. Domani con il provveditore regionale cercheremo di fare il punto sulla situazione degli organici, sulle dotazioni di automezzi e tecnologie, sulle organizzazioni del lavoro ma soprattutto occorre trovare una soluzione ai mancati pagamenti delle spettanze economiche relative alle missioni ed agli straordinarì'. ''Su questo - conclude Sarno - siamo pronti a mettere in campo le più dure forme di protesta e trascinare, come abbiamo già fatto, l'Amministrazione Penitenziaria in Tribunalè'. Giustizia: Ugl; aumentare personale di Polizia penitenziaria, è troppo ridotto Dire, 26 maggio 2011 “Le dichiarazioni di Franco Ionta, capo del Dap, rispecchiano in pieno le preoccupazioni dell’Ugl in merito al sovraffollamento nelle carceri e l’ingestibilità dei detenuti per via della carenza d’organico”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, in merito alle dichiarazioni rilasciate dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a conclusione della presentazione di un progetto di informatizzazione del tribunale di sorveglianza di Roma e del Lazio. “La priorità assoluta - prosegue - è quella di incrementare il personale della polizia penitenziaria che, nelle carceri del Lazio, risulta fortemente ridotto rispetto alla presenza della popolazione detenuta. Ci auguriamo - conclude il sindacalista - che i progetti, più volte annunciati, trovino finalmente una soluzione e che la riforma strutturale e normativa del corpo della Polizia Penitenziaria venga concretizzata al più presto. Nel pieno rispetto di un lavoro, svolto dagli agenti, tanto complesso, quanto ormai divenuto ingestibile”. Giustizia: Fondazione Italia-Usa scrive al presidente Napolitano in difesa di Amanda Knox Apcom, 26 maggio 2011 Il testo della lettera inviata dal presidente della Fondazione Italia-Usa, l’onorevole Rocco Girlanda, al Capo dello Stato sul processo ad Amanda Knox, e il testo dell’interrogazione parlamentare inviata al ministro della Giustizia, Angelino Alfano. “Illustre Presidente, mi rivolgo a Lei nella mia veste di presidente della Fondazione Italia Usa e come parlamentare membro della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati. La vicenda della detenuta americana Amanda Knox ha suscitato grandi discussioni e polemiche, soprattutto negli Stati Uniti dove sono stati coinvolti persino membri del Congresso e diverse autorevoli personalità istituzionali. Sto lavorando personalmente da oltre un anno per cercare di appianare le tensioni, sia in Italia che negli Stati Uniti, che questo caso ha generato. Pur nel pieno rispetto dello svolgimento processuale e del ruolo della magistratura giudicante, non possiamo non notare che il processo di appello ha obiettivamente aperto più ampi e clamorosi dubbi su quelle che erano state considerate evidenti prove nella fase di primo grado, in cui non si erano ammesse possibilità di ulteriori perizie e di audizione di testimoni, limitando cioè il dibattimento, di fatto, alle sole ragioni dell’accusa. Del resto lo stesso presidente della Corte d’Appello ha aperto il processo di secondo grado con una precisazione più che eloquente: “Il rispetto dell’articolo 533 del Codice di procedura penale (pronuncia di condanna soltanto se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio) non consente di condividere totalmente la decisione della Corte d’Assise di primo grado”. La domanda che mi pongo è chi risarcirà due giovani ventenni, nell’auspicato caso in cui il processo di appello riconoscesse la loro innocenza, dei quattro anni di vita e di libertà che sono stati loro ingiustamente sottratti e che nessun indennizzo economico potrà mai compensare. L’utilizzo della carcerazione preventiva caratterizza purtroppo da tempo il nostro Paese. Proprio negli Stati Uniti tale misura appare di difficile comprensione, in quanto, secondo le norme che variano da Stato a Stato, negli Usa si può essere detenuti dalle 48 alle 72 ore, dopodiché o si viene dichiarati imputati o si viene rilasciati. Processi come questo di Perugia si sarebbero potuti celebrare con gli imputati in condizione di libertà, eventualmente con misure restrittive circa l’espatrio per quanto riguarda una cittadina straniera. Eppure è stata addotta come ragione per una detenzione in carcere la possibile reiterazione del reato, una motivazione che mi limito a definire surreale per chi come me, da oltre un anno a questa parte, ha avuto modo di conoscere Amanda Knox. Ho infatti sentito l’obbligo di scrivere un libro su Amanda Knox frutto dei tanti colloqui avuti con lei in carcere, proprio per renderle giustizia e spiegare all’opinione pubblica mondiale che la vera Amanda è una ragazza completamente diversa dall’immagine che, con il contributo dei media, è emersa inizialmente. Tutto il personale della Polizia Penitenziaria del carcere di Perugia, che la conosce da oltre tre anni, mi ha confermato il suo comportamento esemplare fatto di rispetto e gentilezza verso tutte le altre detenute e verso tutto il personale penitenziario. Amanda è una ragazza di cui oggi sono fiero di dichiararmi grande amico. È la ragazza ideale con cui manderei in vacanza, affidandoglieli, i miei cinque figli. Eppure sin dall’inizio questo caso ha fatto rilevare delle forzature estremamente inquietanti per uno Stato di diritto. Durante le fasi di indagine un dirigente della Polizia di Stato, in un’intervista televisiva presente anche su internet, ha mostrato alle telecamere il corridoio degli uffici della Polizia a Roma dove sono esposti ritratti fotografici incorniciati di personaggi come i capi della criminalità organizzata, serial killer ed altri malviventi condannati con sentenze molto pesanti passate in giudicato. Il dirigente in questione ha mostrato anche tra i successi del Servizio Centrale Operativo, subito dopo le immagini del capo della mafia Bernardo Provenzano, un ritratto fotografico incorniciato di Amanda Knox. Tale ritratto è stato affisso presso gli uffici della Polizia di Stato prima ancora dell’inizio del processo di primo grado, ed accompagnato da gravissime dichiarazioni alla stampa del suddetto dirigente (che non risulta essere mai stato sanzionato) dove egli sostiene che un’investigazione unicamente “psicologica”, e senza nessun altro ausilio tecnico-scientifico, “ci ha consentito di arrivare in brevissimo tempo all’individuazione dei colpevoli”. Non è necessario richiamare qui che in base ai principi giuridici del nostro Paese un imputato può essere eventualmente definito colpevole al termine di tre gradi di giudizio da parte della magistratura, e non al termine degli interrogatori di polizia. Appare invero piuttosto curioso ed inquietante per uno Stato liberale e democratico che, malgrado quanto espressamente prescritto dal codice di procedura penale circa la necessità di prove assolutamente certe ed inequivocabili, sia possibile giudicare un cittadino colpevole solo su base “psicologica” e dopo un interrogatorio di polizia. E tanto più alla luce delle risultanze del processo di appello, dove le prove e testimonianze emerse in primo grado si stanno rivelando nel migliore dei casi contraddittorie o inattendibili. Tutte le criticità avvenute nelle varie fasi sia delle indagini, con dichiarazioni fuori luogo da parte della polizia giudiziaria, sia del processo di primo grado, sono state ampiamente riportate e diffuse negli Stati Uniti, anche in talk show con decine di milioni di telespettatori, alimentando non senza ragione perplessità verso l’amministrazione della giustizia del nostro Paese. Tutto ciò a tutela della libertà dell’individuo, ma soprattutto a garanzia dei principi delle istituzioni liberali e democratiche. Come scriveva Martin Luther King in una sua lettera dal carcere di Birmingham, Alabama, “l’ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque… La giustizia ottenuta troppo tardi è giustizia negata”. In questa luce e con l’intendimento di una auspicata pronuncia di riforma della sentenza di primo grado relativamente al processo di Amanda Knox in corso a Perugia, ben conscio della sensibilità che Ella nutre verso la nazione americana e verso gli eccellenti e storici rapporti di amicizia tra i due Paesi, mi permetto di rivolgerle un appello perché un Suo autorevole intervento contribuisca a ricomporre e mitigare le tante polemiche che questa vicenda ha generato al di qua e al di là dell’Atlantico. Nel manifestarLe sin da ora la mia gratitudine, anche dei tanti numerosissimi cittadini italiani e americani che la Fondazione Italia-Usa si onora di rappresentare, colgo l’occasione per esprimerle i sensi dei miei più deferenti ossequi”. Interrogazione parlamentare al ministro Angelino Alfano Per sapere - premesso che la vicenda della detenuta americana Amanda Knox, per la quale è in corso il processo di appello a Perugia, come è noto ha suscitato grandi discussioni e polemiche, soprattutto negli Stati Uniti dove sono stati coinvolti persino membri del Congresso e diverse autorevoli personalità istituzionali; pur nel pieno rispetto dello svolgimento processuale e del ruolo della magistratura giudicante, non possiamo non notare che il processo di appello ha obiettivamente aperto più ampi e clamorosi dubbi su quelle che erano state considerate cosiddette prove nella fase di primo grado, in cui non si era ammessa la possibilità di ulteriori perizie e di audizione di testimoni, limitando cioè il dibattimento, di fatto, alle sole e discutibili ragioni dell’accusa; del resto lo stesso presidente della Corte d’Appello ha aperto il processo di secondo grado con una precisazione più che eloquente: “Il rispetto dell’articolo 533 del Codice di procedura penale (pronuncia di condanna soltanto se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio) non consente di condividere totalmente la decisione della Corte d’Assise di primo grado”; l’utilizzo distorto della carcerazione preventiva caratterizza purtroppo da tempo il nostro Paese. Proprio negli Stati Uniti tale misura appare di difficile comprensione, in quanto, secondo le norme che variano da Stato a Stato, negli Usa si può essere detenuti dalle 48 alle 72 ore, dopodiché o si viene dichiarati imputati o si viene rilasciati; processi come questo di Perugia si sarebbero potuti celebrare con gli imputati in condizione di libertà, eventualmente con misure restrittive circa l’espatrio per quanto riguarda una cittadina straniera, eppure la magistratura ha addotto come surreale ragione per una detenzione in carcere la possibile reiterazione del reato; sin dall’inizio questo caso ha fatto rilevare delle forzature estremamente inquietanti per uno Stato di diritto. Durante le fasi di indagine un dirigente della Polizia di Stato, in un’intervista televisiva presente anche su internet, ha mostrato alle telecamere il corridoio degli uffici della Polizia a Roma dove sono esposti ritratti fotografici incorniciati di personaggi come i capi della criminalità organizzata, serial killer ed altri malviventi condannati con sentenze molto pesanti passate in giudicato. Il dirigente in questione ha mostrato anche tra i successi del Servizio Centrale Operativo, subito dopo le immagini del capo della mafia Bernardo Provenzano, un ritratto fotografico incorniciato di Amanda Knox. Tale ritratto è stato affisso presso gli uffici della Polizia di Stato prima ancora dell’inizio del processo di primo grado, ed accompagnato da gravissime dichiarazioni alla stampa del suddetto dirigente (che non risulta essere mai stato sanzionato) dove egli sostiene che un’investigazione unicamente “psicologica”, e senza nessun altro ausilio tecnico-scientifico, “ci ha consentito di arrivare in brevissimo tempo all’individuazione dei colpevoli”; non è necessario richiamare qui che in base ai principi giuridici del nostro Paese un imputato può essere eventualmente definito colpevole al termine di tre gradi di giudizio da parte della magistratura, e non al termine degli interrogatori di polizia; appare invero piuttosto curioso ed inquietante per uno Stato liberale e democratico che, malgrado quanto espressamente prescritto dal codice di procedura penale circa la necessità di prove assolutamente certe ed inequivocabili, sia possibile giudicare un cittadino colpevole solo su base “psicologica” e dopo un interrogatorio di polizia, e tanto più alla luce delle risultanze del processo di appello, dove le cosiddette prove e testimonianze dell’accusa si stanno rivelando nel migliore dei casi contraddittorie o inattendibili; t Tutte queste distorsioni avvenute nelle varie fasi sia delle indagini, con dichiarazioni fuori luogo da parte della polizia giudiziaria, sia del processo con il mancato riconoscimento del diritto alla difesa degli imputati, sono state ampiamente riportate e diffuse negli Stati Uniti, anche in talk show con decine di milioni di telespettatori, alimentando non senza ragione le accuse verso l’amministrazione della giustizia del nostro Paese; questo caso ripropone con drammatica urgenza la necessità di una indifferibile e profonda riforma della giustizia, che ad avviso degli interroganti dovrebbe auspicabilmente contenere un chiaro e netto riequilibrio tra poteri e ruoli dell’accusa e della difesa, sia nelle fasi di indagine che di dibattimento (come accade in tutti i Paesi democratici), il riconoscimento della responsabilità civile dei magistrati per gli errori compiuti (come richiestoci da una sentenza della Corte di Giustizia Europea sin dal 2006), una rigorosa disciplina della custodia cautelare limitata scrupolosamente ai casi di elevata pericolosità sociale e non intesa, come troppo spesso tristemente oggi accade, come anticipazione di una pena verso cittadini neppure imputati; se il Ministro interrogato, nell’ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda assumere iniziative ispettive alla luce di quanto riportato in premessa. Lettere: appello agli psicologi penitenziari di tutta Italia e un saluto ad uno che si è arreso Ristretti Orizzonti, 26 maggio 2011 Una resa con l’onore delle armi da parte di tutti noi e, presumibilmente, con molta gioia da parte del dott. Ionta per “uno di meno”. In tutto il mondo le carceri sono lo specchio dei rispettivi Paesi. E qui da noi? Questa Italia ha compiuto 150 anni ma lo “specchio carceri” dice che non è ancora diventata grande. Graziano è stato psicologo penitenziario per 19 anni ma ora non c’è più. Non materialmente ma spiritualmente. Non è necessaria una pistola per uccidere l’anima. O per lasciare un lavoro che è nel contempo un credo e una missione. Ha lasciato il suo lavoro in carcere. Una lettera spiega perché con parole che noi tutti comprendiamo e condividiamo. Per questo ci sentiamo molto vicini a chi ha alzato bandiera bianca di fronte al muro dell’indifferenza di chi è capo degli Istituti Penitenziari. Noi psicologi penitenziari - 400 in tutt’Italia - siamo stanchi, sfiduciati, offesi, ma non demotivati. Noi sappiamo quanto vale il nostro lavoro perché siamo responsabili. Siamo seri professionisti anche se, come erroneamente ci definiscono, solo “ex articolo 80”. Siamo psicologi e sappiamo cosa è la psicologia e a cosa serve. Come può aiutare un essere umano, come farlo tornare a sperare e a sorridere. Ci siamo riusciti tante volte anche nel brevissimo tempo che avevamo a disposizione: abbiamo ridato il sorriso ad un disperato. E dentro di noi abbiamo sorriso fieri del nostro operato. Del risultato che altre persone (con stipendi “veri”) non riusciranno mai ad ottenere. Per questo non ci arrenderemo: per noi, per la popolazione detenuta, per gli agenti della polizia penitenziaria. Abbiamo l’obbligo civile e morale di continuare a dare il nostro contributo in un mondo che contributi non ha da parte di chi avrebbe l’obbligo e il dovere civile e morale di fermare l’ondata di suicidi. Non arrendiamoci! Il 18 maggio alla Camera dei Deputati, è stata nuovamente discussa la mozione sul “pianeta carcere”. Vari e contrastanti i pareri: Edmondo Cirielli giudica “sbagliato” il fine rieducativo della pena. L’on. Vitali si dichiara d’accordo con l’indulto, come promesso a Papa Giovanni Paolo II, inoltre professionando ed ottimizzandolo il lavoro degli operatori penitenziari. Plaude quindi il Ministro Alfano per le costruzioni dei nuovi 11 Istituti di pena e i 20 nuovi padiglioni, per una spesa di 670 milioni di euro: circa milletrecento milioni delle vecchie lire. Niente male! Non fa cenno, però, ai tanti soldi già buttati al vento: altri nuovi padiglioni sono vuoti per mancanza di personale. Quanti e dove? Velletri 150 posti; Cuneo 400 posti; Avellino 230 posti; Enna 150 posti; Gela nuovo carcere con 90 posti. Inoltre posti vuoti per mancanza di personale anche a Rieti, Nuoro, Parma, Forlì e Rimini. Nonostante l’evidenza dei numeri il Ministro Alfano e il Dott. Ionta, continuano imperterriti il sostenere il loro megalomane programma “nuove carceri”. L’on. Rita Bernardini, che sta continuando lo sciopero della fame con Pannella, ha chiesto al Ministro per quale motivo si riparla oggi di mozioni già approvate dal governo nella seduta del 12 gennaio 2010. Ha sottolineato che nulla di quello che il governo si è impegnato a fare quasi 2 anni fa è stato fatto. Aggiunge che se ne riparla oggi con le stesse modalità, le stesse promesse da parte del governo. Nel 2010 Angelino Alfano alle domande di Rita Bernardini e Marilena Samperi rispondeva testualmente che: “sono prossime le assunzioni di nuovi educatori così come quelle degli psicologi perché il principio è lo stesso, quindi non c’è motivo di operare distinzioni. Le leggi impongono vincoli relativamente alla pianta organica, ma bisogna assorbire i vincitori di concorso, perché non è stato un concorso virtuale, e gli psicologi in un turnover fisiologico nei limiti consentiti dalla legge. È una regola generale”. Parola di Alfano. Ma i 39 psicologi vincitori di concorso e gli “ex articolo 80” non sono mai stati inseriti nei quadri di lavoro. Il 13 maggio il dott. Ionta dichiarava che il carcere deve “garantire la sicurezza e tendere alla rieducazione. Il tempo della pena deve essere utile al reinserimento e alla socializzazione”. Parola di Ionta. Ma oltre all’incalzare delle nuove costruzioni, nulla è cambiato. Noi psicologi siamo rimasti con il quasi nullo e ridicolo monte ore. I 3.400 nuovi agenti della Polizia Penitenziaria non sono ancora arrivati. La giunta regionale del Lazio ha approvato, assumendo anche l’impegno finanziario, il Progetto Pilota Benessere e Comunicare per “ben” 35 corsisti del corpo degli agenti di Polizia Penitenziaria, non tutti operanti negli Istituti penitenziari. La durata del corso è di 5 giorni solo la mattina, ovvero 2 giorni e mezzo in totale. Tratteranno argomenti come i disturbi da stress e disagio nel lavoro, resistenza alle frustrazioni, consapevolezza del ruolo e responsabilità, capacità di mediazione e propria autorevolezza e autorità. Ci si può domandare se questo corso - peraltro sponsorizzato dalla Regione - sostituirà le assunzioni promesse degli Agenti della penitenziaria o i 2 giorni e mezzo dell’intero corso sostituiranno i 5 anni di laurea in psicologia e i vari ed innumerevoli master degli psicologi. Sorge qualche dubbio. Non si riesce a spiegare, a capire perché per il dott. Ionta come il Ministro Alfano, la soluzione per il reinserimento e sostegno della popolazione detenuta è focalizzata solo sugli arresti domiciliari e le nuove carceri. La psicologia non è contemplata, ma nemmeno nominata dai nostri “capi”. Non sanno che un essere umano, quando entra in carcere, perde un po’ di se stesso. Non sanno che il vissuto in una cella cambia la personalità. Il dolore è più grande. La tristezza più buia. Fino alla depressione. Fino al suicidio. Vorrei accompagnare il ministro Alfano e il dott. Ionta in un carcere del sud America. Quei carceri in paesi sottosviluppati. Ma in “quei paesi” gli psicologi esistono. Aiutano. Sono ascoltati e rispettati da un governo che si occupa anche dell’umore, dell’anima dei detenuti. Lì non si uccidono. E noi siamo un paese migliore? O siamo troppo superiori per pensare che esiste del buono nelle persone private della libertà? O, forse, siamo inferiori? Propongo un corso accelerato per chi ancora non sa che cosa è e che cosa serve la psicologia. Psicologia! Psicologi! Terribili parole, ruoli da evitare, da dimenticare. Nessuno tocchi Caino dunque e nessuno tocchi i 670 milioni di euro stanziati per inutili carceri se dovranno rimanere vuote per mancanza di personale. L’iperbolica cifra si sta traducendo in calcinacci e tegole. Quando saranno finite resteranno vuote e i morti quotidiani saranno aumentati. Ma le carceri saranno nuove. Monumenti a finti ideali e scellerate scelte. O forse il ministro di giustizia e il capo del dipartimento pensano anche di costruire piccoli, deliziosi cimiteri all’interno delle nuove, splendenti carceri?!? Un po’ all’inglese. Con i cimiteri antistanti alle case della Gran Bretagna. Perché quindi si lamenta il Segretario Generale del Sappe Donato Capece? Perché parla di dramma? I morti per suicidio sono soltanto 24 fino ad oggi e solo 3 i poliziotti che non ce l’hanno fatta e si sono ammazzati. Il dramma è un quadro serio. Questa è una tragedia, perché tragedia è un avvenimento funesto, luttuoso. E i morti sono 27. Tanti. Troppi in un paese che si dichiara “civile”. Ma i capi sono “disattenti”. Forse troppo impegnati ad inaugurare inutili edifici dove rimbomba il silenzio. Così come sono silenziosi loro alle nostre domande. Nelle carceri dove vivono i detenuti si ascolta il dolore. La voglia di migliorare. Di essere accompagnati con un adeguato supporto psicologico. Ci chiedono verbalmente i colloqui che non possiamo dare per “tagli per mancanza di fondi” (ma i 670 milioni di euro?). Di essere presi per mano nel processo educativo che, domani, in libertà, li aiuti ad avere un vissuto diverso. Una realtà diversa. Per non ritornare in cella. Andiamo avanti. Non arrendiamoci. Lottiamo per difendere i buoni frutti del nostro operato. Per non delegare la nostra professione agli agenti della penitenziaria che sono stremati, sovraccarichi già di un pesante lavoro di alta responsabilità, svolto in un ambiente come le mura di un carcere. Pochi. Sempre in allerta. Sempre di corsa. Per non abbandonare chi, con un recupero psicologico idoneo, può abbandonare la rabbia per una vita che non è stata clemente. Per aiutare i cittadini a non chiudere le porte di casa con mille chiavi e a vivere nell’ansia di subire furti e violenze da quelle persone che “dentro” hanno visto negata la possibilità di trovare dentro se stessi una forma di vita migliore. Lottiamo ancora anche per i nostri diritti di lavoratori. Diritti che sono stati calpestati. Offesi. Disconfermati. Calpestati. Violentati. Chiediamo appoggio a chi sa cosa significa stare in carcere. Viverlo. Parole, odori, pianti, colori. Vissuta da dentro, e non da una comoda scrivania in una stanza piena di sole e di luce. Lontana dagli istituti. Chiediamo appoggio ai detenuti che conoscono il nostro lavoro. Chiediamolo agli Agenti di Polizia Penitenziaria per dividere il lavoro. A chi al governo interessa sul serio il carcere e lo dimostra. Andiamo avanti aderendo con Pannella allo sciopero della fame. Andiamo avanti promuovendo iniziative. Andiamo avanti perché crediamo in quello che facciamo. Andiamo avanti con le leggi che ci danno ragione. Cerchiamo giustizia e troviamo la legge. Questa legge che è legale ma è anche umana. Questa legge che al ministro di Giustizia non interessa, o, stranamente, non sembra conoscere. Ada Palmonella, psicologo penitenziario Lazio: il Garante dei detenuti; a Rieti e Velletri carceri semivuote per mancanza personale Dire, 26 maggio 2011 La situazione del carcere di Rieti “rimane così com’era, con 110 - 120 detenuti in una struttura che ne può ospitare 300 - 400 perché non c’è Polizia Penitenziaria, non ci sono educatori né psicologi. E rimane così”. Lo ha dichiarato il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, a margine della conferenza di presentazione del progetto di informatizzazione dell’Archivio del tribunale di sorveglianza di Roma e Lazio, presentato questa mattina in un’aula del tribunale. “Rimane così anche il padiglione del carcere di Velletri - ha continuato Marroni - finito e completato, che potrebbe contenere 200 - 300 detenuti ma che non ne contiene nemmeno uno perché non c’è personale. Quindi, quando si parla di Piano carceri e Ionta ne parla spesso, in realtà bisogna anche dire quanti sono i poliziotti, gli educatori, gli psicologi, quanti i direttori e i provveditori dei quali necessita il Piano carceri, e su questo - ha concluso - la risposta mi pare deludente”. Alla conferenza era presente anche il capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, che ha parlato di un afflusso di detenuti “ai limiti del sostenibile” spiegando che “Roma e il Lazio non rappresentano però un’eccezione a livello nazionale ma rientrano nella media. Tuttavia - ha proseguito - esistono situazioni particolari a Rieti, Velletri e in alcuni reparti del carcere di Rebibbia”. Lazio: Lisiapp; per la polizia penitenziaria tensione quotidiana difficile da sopportare www.ontuscia.it, 26 maggio 2011 “Ancora una volta ribadiamo l’applicazione della circolare sui centri d’ascolto per i fenomeni da stress diffuso tra il personale di polizia penitenziaria anche alla luce dell’ultimo suicidio a Viterbo. Di certo, l’ambito lavorativo è una componente che può influire su un quadro generale già compromesso”. A lanciare l’allarme è ancora una volta il Lisiapp, Libero sindacato appartenenti alla polizia penitenziaria, di fronte agli ultimi suicidi dall’inizio dell’anno e anche nel ricordo dell’ispettore in servizio nell’istituto di Viterbo. “Si contano troppi colleghi che hanno scelto questa drammatica via”. È quanto afferma Mirko Manna, segretario generale del Lisiapp “a tutto ciò si aggiungono le carenti condizioni in cui operano gli agenti della polizia penitenziaria, sempre più spesso oggetto di aggressioni e violenze, costretti dal sovraffollamento delle carceri a turni massacranti e a uno stress che a volte diventa insopportabile. I problemi del settore - sottolinea Manna - sono innumerevoli, ma il primo su tutti nasce da una popolazione carceraria di gran lunga superiore a quella regolamentare, nonostante l’indulto di alcuni anni fa”. “Entrando nello specifico - aggiungono dal Lisiapp - a volte basta un piantonamento in ospedale per mandare la struttura in crisi. I turni sono di 10 ore, mentre nei contratti è sancito che al massimo possono essere di 6. In traduzione, addirittura, capita di lavorare fino a 20 - 22 ore consecutive senza smontare, con il detenuto in carico e nessuno a dare il cambio. Una tensione difficile da sopportare. Lo dimostra il fatto che ogni anno circa 250 agenti sono costretti dal giudizio delle commissioni mediche a passare a ruoli civili, perché non più idonei”. “Il disagio - riprende Manna - esce dalla struttura penitenziaria per mostrarsi nella vita quotidiana, a partire dalla denigrazione nel linguaggio, quando si viene chiamati secondini. E pensare che è un mestiere che non rientra tra i cosiddetti usuranti. Ci sono istituti penitenziari in cui si sta al freddo, all’umido, in condizioni igieniche fatiscenti, aspetti che contano nella psicologia e nello stress. Servono investimenti per rendere questi luoghi più confortevoli, a partire da tecnologie per evitare agli operatori una serie di azioni ripetute, come aprire un cancello 200 volte al giorno”. Secondo il segretario Manna “bisogna puntare sul benessere degli agenti, creando occasioni socializzanti e di raccordo con il territorio al di fuori dell’istituto, specie per i tanti che vengono dal Sud e vivono lontani dalle famiglie”. Qualche passo avanti a favore della condizione degli agenti si è fatto, negli anni passati fu infatti emanata la circolare dal Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (Dap) che prevedeva un piano straordinario di sostegno, investimenti nella prevenzione del fenomeno stress, l’implementazione del ricorso a misure alternative alla detenzione e un piano alloggi per il personale. “È certo che non possiamo restare inerti di fronte al drammatico fenomeno dei suicidi”, affermò l’allora capo del Dap Ettore Ferrara, rispondendo alle sollecitazioni delle organizzazioni sindacali che con forza chiedevano una soluzione in merito all’esistenza nel settore del burn - out, la sindrome che colpisce chi esercita “professioni d’aiuto” in condizioni disagiate e con carichi eccessivi di stress. Si annunciava in pompa magna la famosa circolare sui cosiddetti “centri d’ascolto per contrastare il disagio e stimolare la professionalità tramite condivisione, ascolto e solidarietà”. In quella stessa circolare il Dap avviò l’istituzione di un forum di comunicazione telematica tra il centro e la periferia dell’amministrazione penitenziaria e la creazione di un osservatorio esterno permanente di studio. Da subito, la richiesta agli istituti di pena di realizzare un presidio psicologico per tutti gli appartenenti della polizia penitenziaria. Ora a distanza di qualche anno, di quella circolare c’è traccia solo su carta ma dei centri d’ascolto nemmeno l’ombra e soprattutto ancora ci si ammala per stress da disagio lavorativo. “Infine - conclude Manna - auspichiamo una vera presa di posizione dei vertici dell’amministrazione con un impegno reale alla costituzione in ogni reparto di polizia penitenziaria della penisola dei centri d’ascolto, coinvolgendo anche gli enti locali per attivare collaborazioni da parte di professionisti del settore”. Roma: i detenuti di Rebibbia al lavoro per l’archivio del tribunale Redattore Sociale, 26 maggio 2011 Detenuti alle prese con il trattamento di dati sensibili per un lavoro di archiviazione digitale. Succede a Roma, per la prima volta in Italia. Oltre 140.000 fascicoli dell’archivio del Tribunale di sorveglianza di Roma e Lazio, verranno scannerizzati e digitalizzati da 12 detenuti, all’interno di locali appositamente attrezzati del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. Questa la novità del progetto frutto della collaborazione tra garante dei detenuti del Lazio, Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, Tribunale di sorveglianza di Roma e Lazio e carcere di Rebibbia che è stato presentato questa mattina a Roma. La prima fase operativa del progetto sarà la formazione dei detenuti coinvolti che riguarda, in particolare, l’uso di computer, scanner e software da utilizzare. I lavoratori saranno regolarmente assunti da una cooperativa sociale per un periodo di 24 mesi. Saranno retribuiti come normali impiegati d’ufficio e lavoreranno per quattro ore al giorno. Per l’attività in questione sarà individuato un datore di lavoro e il personale di Polizia penitenziaria vigilerà sul corretto andamento delle operazioni. Il materiale da lavorare sarà trasferito dagli archivi del Tribunale di sorveglianza a Rebibbia, e, successivamente, riconsegnato secondo le indicazioni fornite dallo stesso Tribunale. Il progetto, costato complessivamente 200.000 euro, è stato interamente finanziato dalla Cassa delle Ammende, l’ente che si occupa di finanziare programmi di assistenza e di reinserimento delle persone detenute, finalizzati al miglioramento delle condizioni carcerarie. I 12 detenuti saranno “italiani e non, scelti in base a graduatorie di collocamento lavorativo” ha spiegato il direttore della casa circondariale di Rebibbia, Carmelo Cantone, che ha aggiunto “saranno detenuti comuni di media sicurezza e il loro impiego ad ampio raggio sarà consentito dal fatto che l’attività non si svolgerà all’esterno ma nei laboratori del carcere e ciò permetterà una vigilanza più leggera, garantendo così turni di lavoro dalla mattina fino alla sera. Questo progetto - ha aggiunto Cantone - aiuterà a migliorare la qualità della vita all’interno dell’istituto penitenziario”. Il recupero del detenuto è un progetto “previsto da una norma costituzionale del 1948 - ha spiegato il presidente del Tribunale di sorveglianza, Giovanni Tamburino - ed è un progetto molto difficile, che talvolta sfiora l’utopia. Non siamo illusi ma consapevoli delle difficoltà. Per questo la parola chiave di questo progetto è sinergia, perché anche mettendo insieme tutte le forze e tutte le energie, resta difficile da realizzare, ma senza, sarebbe quasi impossibile. Questo lavoro di archivio - ha aggiunto Tamburino - va nel senso del risultato raggiunto in altri paesi da più di dieci anni. È un lavoro che agevola l’attività della Magistratura sul territorio regionale e fa lavorare i detenuti”. Alla conferenza era presente anche il garante dei detenuti del Lazio, Angiolino Marroni, che ha spiegato come il suo ruolo sia stato di “mediazione” tra le parti interessate “e ora che abbiamo concluso l’accordo - ha aggiunto - questa operazione deve partire. Questo progetto ci deve far pensare che il carcere, oltre a rappresentare una pena, deve anche essere utile. Ricreare all’interno di un istituto penitenziario un’atmosfera di normale quotidianità come può essere quella di un posto di lavoro, può contribuire a favorire il reinserimento sociale dei detenuti. La loro responsabilizzazione, il farli sentire parte integrante di un mondo, è uno dei capisaldi del percorso che porterà queste persone a pieno titolo nella società. Detenuti che, d’altra parte - ha concluso - attraverso questo progetto potranno acquisire una professionalità ed una specializzazione da spendere sul mercato del lavoro”. A concludere la conferenza è stato il capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, che ha voluto affermare come la cultura e il lavoro siano “componenti essenziali” nella gestione della permanenza all’interno degli istituti penitenziari. “Dei 67.000 detenuti presenti nelle nostre carceri - ha aggiunto - solo il 20% è impiegato in attività lavorative, un numero che deve essere incrementato. Per la legge del contrappasso il detenuto si occuperà dell’attività giudiziaria. Una situazione singolare. Nelle loro mani le carte diventeranno uno strumento di conoscenza delle regole del sistema stesso. Così - ha concluso Ionta - capiranno che l’amministrazione non è solo quella che apre e chiude le porte delle carceri, ma anche quella che dà loro un’opportunità”. Castrovillari (Cs): il Comune fornisce terreni per un progetto di reinserimento dei detenuti Quotidiano di Calabria, 26 maggio 2011 Firmato il contratto tra Comune e Casa Circondariale per la cessione in comodato d’uso gratuito di un terreno di 2 ettari, necessario alla realizzazione di una colonia agricola per il reinserimento dei detenuti. “Ancora una volta il Comune di Castrovillari - ha affermato il sindaco Franco Blaiotta - si è distinto per aver contribuito ad avviare un percorso dalla valenza sociale e importanza etica notevole.” Il capoluogo del Pollino e la Casa Circondariale locale suggellano un nuovo patto a favore dell’inclusione sociale, riabilitazione e reinserimento dei detenuti e per sostenere un ambizioso progetto volto alla realizzazione di una colonia agricola ad indirizzo zootecnico, con attenzione all’apicoltura ed al florovivaismo attraverso la cessione in comodato d’uso gratuito, per 99 anni, da parte del Comune di due ettari di terreno. Ciò è avvenuto martedì 24 maggio, alle ore 10, nella sala 14 del Protoconvento. Qui, è stato sottoscritto per il Comune dall’architetto Angelo Maccari, responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale, e per la Casa Circondariale dal direttore dottore Fedele Rizzo , assistiti dal direttore generale, dottore Elio Schettini, presenti il sindaco, Franco Blaiotta, gli Assessori Filomena Ioele, Mariarosaria D’Atri, Rosalia Vigna, i consiglieri Riccardo Rosa, Oscar Marotta, la criminologa Lio Tullia consulente progettista per le attività di formazione delle fasce svantaggiate della Casa Circondariale insieme alla dottoressa Immacolata Rescigno Capo Area Pedagogica , il responsabile dei Servizi Sociali del Comune, dottore Ugo Ferraro e tra gli altri, Luigi Calonico della segreteria affari generali dello stesso Istituto, il contratto tra l’Amministrazione comunale di Castrovillari e la Direzione della Casa Circondariale locale che si propone la cessione dei terreni per avviare un “modello” di impresa agricola biologica che avrà la sua sperimentazione proprio su questi, ceduti in comodato gratuito dal Comune di Castrovillari. Una iniziativa sottolineata in apertura dal sindaco Blaiotta che ha richiamato l’importante sinergia con la Casa Circondariale e l’impegno nei confronti di un progetto che ha come obiettivo il reinserimento dei soggetti in esecuzione di pena. L’Assessore Ioele in una dichiarazione resa alla stampa ha ribadito, poi, la sua soddisfazione per un’opera altamente meritevole. Valutazione affermata da più parti con una serie di motivazioni e poi rilanciata e richiamata anche dal consigliere Riccardo Rosa in uno degli interventi programmati. L’attività agricola, così come si è rivelata particolarmente inclusiva per soggetti “svantaggiati”, dimostra - è stato ricordato in alcuni passaggi - anche forti potenzialità sul piano “trattamentale” ai fini rieducativi e di inclusione sociale dei detenuti, come è emerso dalle ultime ricerche sul lavoro agricolo dei detenuti. Il progetto ha quindi un forte valore sociale e unisce all’inclusione di soggetti marginali il valore aggiunto delle produzioni biologiche che, si auspica, favoriranno la creazione di opportunità nuove per uscire dalla marginalizzazione, attraverso un settore, quello agricolo in continua crescita e capace di assorbire forza lavoro a fronte della crescente crisi che sembra, inarrestabilmente, colpire le altre realtà produttive. “La firma è l’atto conseguenziale - si è ricordato - di una delibera consigliare approvata nello scorso mese di novembre, avanzata e sostenuta dal consigliere Riccardo Rosa e sposata da altri, con la quale si provvedeva di assegnare in comodato d’uso , alla Direzione del Carcere di Castrovillari, un terreno di 2 ettari sul quale bisogna avviare una colonia agricola per detenuti annessa proprio alla casa circondariale”. Il Direttore dell’istituto, Fedele Rizzo, nel ringraziare l’Amministrazione, ha ricordato che “quanto avvenuto in sede di consiglio comunale ha sancito oltre che un accordo per creare un contesto favorevole al reinserimento sociale dei detenuti durante e a fine pena, a concorrere a stabilire un rapporto come prevedono la normativa e le disposizioni dell’amministrazione penitenziaria, tra carcere, territorio circostante e l’imprenditoria locale”. Su tale scia si sono sviluppati i contributi dei suoi collaboratori, i quali hanno sostenuto l’importanza di costruire un modello di impresa agricola con finalità sociali.” Firenze: in via della Scala c'è il gelato dei detenuti dell'Ipm Apcom, 26 maggio 2011 Alcuni ragazzi del carcere minorile Meucci hanno prodotto, sotto la guida di un maestro gelatiere, il loro gelato e lo venderanno fino al 29 maggio. Ma gli organizzatori del progetto stanno già cercando gelaterie per commercializzarlo. In via della Scala, all’angolo con via Orti Oricellai, c’è un piccolo spazio aperto. Ci vendono il gelato, ma non sempre, solo in questa settimana. Ma dietro il bancone non c’è una commessa o un gelatiere professionista, bensì Nunzio, 20 anni, gli ultimi tre passati nel carcere minorile Meucci. E quel gelato l’ha fatto lui insieme ad altri compagni in un laboratorio istituito proprio dentro il penitenziario, guidati da un vero maestro gelatiere. Questo per loro è un momento da festeggiare. Per la prima volta non solo hanno portato i loro prodotti all’esterno, ma li vendono direttamente al pubblico. E lo fanno all’interno del festival del gelato, anche se la loro postazione è un po’ lontana da piazza Pitti, dove si svolge la rassegna. Vestito di tutto punto, con camice, cappello bianco e addirittura i guanti, Nunzio aspetta i clienti, li saluta e sorride con molta compostezza. Sembra quasi un’altra persona rispetto a quella che avevamo incontrato il giorno prima dentro alle mura del carcere, che con un la sicurezza di chi conosce il posto ci aveva preso e fatto fare il giro della struttura, mostrandoci gli apparecchi del laboratorio e presentandoci gli altri partecipanti all’iniziativa. E quando gli abbiamo chiesto se avesse fatto qualche cavolata per finire lì, ci ha risposto: "Un po’? Varie cavolate". Ora a vendere c’è solo lui, perché così ha deciso la direzione. La gente passa e assaggia il gelato. La speranza del direttore del carcere, Fiorenzo Cerruto, e del presidente della cooperativa Co&So, Matteo Conti, è che questo sia il primo passo per poi distribuire i gusti anche nelle gelaterie vere e proprie e rendere autosufficiente il progetto, che oggi è sponsorizzato da Provincia e Comune di Firenze: "Potrebbe essere un valore aggiunto per i negozianti - spiegano - un po’ come i prodotti equo e solidali". Nunzio intanto continua a distribuire coppette dietro il bancone, con l’auspicio di andare il prima possibile a svolgere uno stage esterno. "Fare il gelatiere? Perché no". Chi vuole lo trova dalle 11-13.30 e 14-19.30 fino alla fine del festival, il 29 maggio. E chi non ha la tessera, può lasciare un’offerta e assaggiare i gusti che preferisce. Venezia: sull’area per il nuovo carcere Comune e Dap ricercano una mediazione Il Gazzettino, 26 maggio 2011 Il sindaco Giorgio Orsoni e il commissario per il Piano carceri Franco Ionta si sono sentiti parecchie volte al telefono negli ultimi tempi e tra i due è imminente anche un incontro formale. Il contenuto dei colloqui non è ufficialmente noto, ma i capigruppo del consiglio comunale sono certi che il primo cittadino e il commissario governativo stiano lavorando per cercare una soluzione diversa da quanto finora prospettato. Nell’attesa di buone nuove i capigruppo hanno intanto deciso di non fissare la data del consiglio comunale in cui si discuterà delle possibili aree alternative su cui realizzare il nuovo carcere, riservandosi di farlo, eventualmente, la settimana prossima. Al momento si sa che il Consiglio verrà convocato in municipio a Mestre e che al più tardi la convocazione dovrà avvenire entro venerdì 10 giugno. Anche perché, al di là dei possibili fatti nuovi, il commissario è stato piuttosto chiaro durante l’incontro avvenuto a Roma la settimana scorsa con il presidente del consiglio comunale Roberto Turretta. “Se entro la prima quindicina di giugno non arriveranno proposte alternative a Campalto, nei giorni immediatamente successivi verrà avviata la fase di progettazione esecutiva per la realizzazione del nuovo carcere veneziano nell’ex struttura militare di Via Orlanda” sono state le sue parole”. Nel corso del medesimo incontro Ionta ha pure precisato che per quanto riguarda l’attuale istituto di pena di Santa Maria Maggiore, lo stesso non verrebbe dato in uso al Comune di Venezia, come da più parti veniva auspicato, ma resterebbe in capo al Dipartimento Penitenziario per fungere da casa di detenzione provvisoria per gli imputati con il processo in corso. Intanto l’altra sera i vertici locali del Partito Democratico hanno fatto il punto sull’argomento carcere. Il Pd ha ribadito che la proposta di realizzare il carcere a Campalto è del tutto fuori luogo, essendo questa parte del territorio al centro di un importante programma di sviluppo urbano e di recupero dell’area di gronda. “C’è disponibilità a valutare qualsiasi altra indicazione - ha spiegato Gabriele Scaramuzza - dal momento che è indispensabile trovare delle soluzioni in grado di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, auspicando, tuttavia, che assieme alle strutture carcerarie vengano avviati, di pari passo, dei percorsi di rieducazione e di recupero nei confronti dei soggetti coinvolti”. Vicenza: in arrivo il Garante dei detenuti, candidature entro lunedì prossimo Il Gazzetino, 26 maggio 2011 Si chiama Garante dei detenuti. È la figura che Vicenza si appresta a nominare per la tutela delle persone, sia durante la detenzione sia nel periodo di reinserimento sociale. Fino al 30 maggio sarà possibile inviare le candidature al Comune. La scelta spetterà poi al consiglio comunale, a scrutinio segreto. Il servizio sarà gratuito. Al garante spetterà tra l’altro il compito di promuovere l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile dei detenuti, l´utilizzo dei servizi comunali, l´accesso agli atti e ai documenti amministrativi anche in ambito penitenziario o di restrizione della libertà personale. Rimarrà in carica fino alla scadenza del mandato del consiglio comunale. La candidatura va indirizzata al Protocollo del Comune, Palazzo Trissino, corso Palladio, 98, Vicenza. Per informazioni, chiamare il numero 0444.222520. Paola (Cs): manca la benzina, appiedato il nucleo traduzioni e piantonamenti del carcere Ansa, 26 maggio 2011 I mezzi del nucleo traduzioni e piantonamenti della casa circondariale di Paola sono rimasti fermi perché privi di carburante e di conseguenza stamane non è stato possibile trasferire i detenuti. Lo rende noto il sindacato Sappe. Il segretario nazionale del Sappe, Damiano Bellucci, ed il segretario generale aggiunto, Giovanni Battista Durante, in una nota hanno evidenziato che “l’episodio di Paola si aggiunge alle altre criticità come la mancanza di carta, toner , ed altro materiale per il funzionamento degli uffici, che nei giorni scorsi ha rischiato di bloccare l’attività di altre strutture. La gestione delle carceri è ormai diventata una vera e propria emergenza nazionale, per sovraffollamento, carenza di personale, mezzi e risorse economiche”. Il Sappe ha anche reso noto che per protestare contro le “condizioni lavorative delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria non parteciperà alla Festa Regionale del Corpo di Polizia Penitenziaria che si terrà il prossimo 30 maggio a Catanzaro”. “Il personale del Corpo - conclude la nota - impiegato nei nuclei traduzioni e piantonamenti è costretto ad operare con automezzi insufficienti ed obsoleti, svolgendo lunghissimi turni di servizio, anticipando spesso i soldi por le missioni, per poi ricevere il rimborso, a volte, anche a distanza di dodici mesi”. Lucera (Fg): i parenti dei detenuti in fila all’ingresso del carcere, una vergogna della città www.luceraweb.it, 26 maggio 2011 Mettiamo le mani avanti a scanso di equivoci: il titolo è volutamente e necessariamente forzato, perché mira a determinare qualche sussulto nella coscienza dei responsabili. La premessa è stata fatta perché alla fine qualcuno non si offenda! Stiamo parlando della situazione di inciviltà che periodicamente si viene a determinare all’ingresso della casa circondariale lucerina, dove, in attesa dei colloqui con i detenuti, si ammassano decine di persone, spesso sotto l’incalzare delle avversità atmosferiche. E frequentemente si tratta di parenti di detenuti che provengono da altre città, per cui quell’impatto così vergognoso con il cancello del carcere, quasi sbattuto sul muso dei presenti, non depone certamente a beneficio del grado di accoglienza di Lucera. Non si riesce a comprendere (o almeno non lo si vuol dire) perché non si può trovare una soluzione al problema, posto anche che sinora tanti sono stati gli appelli volti a cautelare la privacy, anzi la dignità di queste persone, che si devono vedere osservate come lebbrose, sfiancate dalle lunghe attese in luogo e cielo aperti. È un vecchio problema, per il quale già il Vescovo Mons. Francesco Zerrillo, ora emerito, si fece promotore di un vibrante appello volto a mettere ai parenti dei detenuti di sostare in un luogo chiuso e dignitoso, senza aggravare ulteriormente la loro condizione psicologica di sentirsi scarti della società. Poi, anche altre autorevoli figure, tra cui anche l’attuale Vescovo Mons. Domenico Cornacchia, hanno ribadito con più forza l’appello, senza, però, ottenere grandi risultati. Il Comune, qualche anno, installò una modesta pensilina a ridosso dell’entrata, le cui dimensioni sono talmente ristrette da non consentire neppure il riparo di un paio di persone! Una presa in giro. Modestamente nel passato anche noi abbiamo fatto la nostra parte, senza aver la soddisfazione di avere un riscontro in termini di fattività. Anche questi interventi sono regolarmente e miseramente finiti nel vuoto. Ci sembra di rivivere la storia della cella del Padre Maestro, che si riteneva incedibile, nonostante la logica dicesse il contrario, nonostante tantissimi appelli volti a ripristinare i luoghi di origine di quell’angolo della casa circondariale. Poi, si è visto, dopo decenni di combattimenti, che la cosa era possibile e, difatti, è stata realizzata. Ormai, nessuno più crede agli appelli, dato che tutti sembrano destinati a finire nel dimenticatoio. Non dubitiamo che vi siano delle difficoltà tecniche a trovare un posto di riparo per queste gente, altrimenti dovremmo pensare che chi amministra il carcere e gli organi superiori di vigilanza siano degli incoscienti, dei duri di cuore. Gradiremmo, però, che queste difficoltà vengano rese pubbliche, posto che dal confronto delle idea potrebbe venire fuori la soluzione. Si parla sempre della dignità dei detenuti e si fa bene a farlo, anche se talvolta solo a chiacchiere. E la dignità dei parenti che attendono fuori dal cancello in condizioni penose dove la mettiamo? I detenuti si trovano all’interno perché ritenuti responsabili di un reato solo contestato o passato in giudicato. Ma, il popolo dei parenti quale colpa ha? Quella di essere congiunti dei detenuti, condizione già di per sé poco gratificante a prescindere? Ci auguriamo che presto si possa iniziare un vero percorso di riflessione per questa situazione, il cui degrado morale e civico rappresenta veramente una vergogna per la città. Si, perché il carcere non deve essere considerato una entità a parte, ma parte integrante dello stesso tessuto sociale in cui opera e, quindi, beneficiario del massimo dell’accoglienza. Parma: punito perché parla con un altro detenuto, ma il Magistrato annulla la sanzione La Sicilia, 26 maggio 2011 Il Magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Reggio Emilia ha accolto il reclamo presentato dal boss siracusano Alessio Attanasio contro la sanzione dell’ammonizione irrogatagli dalla direzione della casa di reclusione di Parma, in quanto resosi responsabile di aver dialogato con un altro detenuto. La sanzione era stata comunicata ad Attanasio il 18 marzo scorso con la motivazione che, nonostante invitato da un agente penitenziario a troncare la conversazione che stava intrattenendo con il detenuto Bosti, “l’Attanasio disattendeva l’ordine avuto impartito e anzi spiegava che, secondo un articolo di legge, solo i detenuti sottoposti ad isolamento disciplinare non possono parlare con nessuno e lui l’isolamento l’aveva già scontato”. La spiegazione di Attanasio non faceva desistere l’agente penitenziario dal fargli appioppare la sanzione dell’ammonizione, contro la quale però il detenuto siracusano, recentemente laureatosi in Scienze della Comunicazione, proponeva reclamo all’ufficio di sorveglianza di Reggio Emilia. Il Magistrato, Manuela Mirandola, il 12 maggio scorso, accogliendo il reclamo, ha annullato “il provvedimento impugnato” perché il “comportamento tenuto dal detenuto (parlare con il detenuto Bosti) nel caso di specie è stato, pertanto, legittimo e come tale non sanzionabile”. Nel suo motivato provvedimento, il Magistrato sottolinea che “non possa ritenersi che al detenuto sia preclusa qualsivoglia comunicazione anche verbale con gli altri detenuti appartenenti al suo gruppo di socialità. Una cosa è, infatti, la preclusione alla partecipazione ai momenti di socialità con gli altri ristretti, tutt’altra cosa è il divieto di comunicare con i compagni”. Il Magistrato ha ritenuto fondate le lagnanze del detenuto Attanasio contro l’applicazione della sanzione e, dandogli ragione, ha ordinato alla direzione del carcere di eliminare dal fascicolo intestato allo sfesso Attanasio “il provvedimento impugnato e i provvedimenti conseguenti (sospensione delle cosiddette premialità). Catanzaro: nuovo convegno del progetto interministeriale “LeAli al futuro” Comunicato stampa, 26 maggio 2011 La location è di quelle che incutono timore riverenziale. Come del resto lo spessore del relatore. I toni e gli argomenti sciorinati, invece, hanno messo completamente a loro agio i corsisti del progetto interministeriale “LeAli al futuro” i quali, come al solito, hanno alla fine interagito col tavolo dei lavori e fra loro con riflessioni e domande. Il tredicesimo seminario si è tenuto nell’Aula Udienze penali del Tribunale minorile dove la tipologia degli arredi e la stessa logistica degli spazi hanno attribuito un alone di austerità al pomeriggio didattico. Ad animare un’abbondante ora e mezza di ascolto è stato il giudice penale Carlo Caruso, esperto di cultura, prevenzione e repressione minorile. “Un punto spesso trascurato è l’auto - educazione del minore il quale - ha esordito il magistrato romano - ha un modo di vedere le cose che gli adulti hanno perso in quanto prigionieri di schemi mentali fuorvianti. A questi bambini/ragazzini - ha continuato - occorre dare strumenti di base affidabili, sul modello di quello che in passato riuscivano ad essere le parrocchie e le prime palestre, dove sacerdote e maestro erano punti di riferimento autorevoli di religione e di ginnastica, ma anche di etica e filosofia di vita”. Secondo Caruso, che ha citato Tagore, Gandhi ed “Il grande fratello” di Orwell, “durante i primi anni c’è una fase molto pericolosa in quanto mancano avviamenti alla creatività. Le famiglie e gli educatori hanno il dovere costituzionale di ascoltare il minore nelle sue propensioni, un valore importantissimo perché preserva questi giovani dalle delusioni del mondo adulto”. Una critica piuttosto esplicita al sistema il giudice l’ha riservata facendo riflettere “su quanti falsi parametri si diano ai più giovani, i quali sono ad esempio indotti a pensare che il lavoro artigianale sia riservato alle persone meno istruite mentre nessuno insegna a cosa serve un ufficio del lavoro o a come si compila un curriculum. È l’impulso di conoscenza, la voglia di appagamento culturale la forza motrice dell’animo umano e del giovane che si apre al mondo - ha concluso il giudice - L’irrequietezza ci fa cercare qualcosa di diverso, di appassionante e preserva dalle tentazioni della devianza”. Ed anche un generico senso di sfiducia diventa elemento di positività in quanto genera reazione. “Persino S.Tommaso, icona dello scetticismo, è divenuto beato ugualmente - ha aggiunto Caruso - a dimostrazione di quanto sia giusto ed utile mettere in discussione la realtà”. Il prologo e le conclusioni del seminario sono state affidate ad Angelo Meli, direttore del Centro di Giustizia minorile di Basilicata e Calabria, mentre il pedagogo Domenico Martelli ha offerto un interessante spunto di riflessione dalla lettura individuale della relazione d’addio alla giustizia minorile del giudice Giuseppe Spadaro (oggi Presidente di sezione al Tribunale di Lamezia Terme), un atto d’accusa intriso di passione per la professione in cui il magistrato denuncia i limiti soggettivi ed oggettivi di una procedura che offusca i diritti del minore, svilisce la grande tradizione dello “ius”, elimina il diritto all’ascolto e conclama la mancanza di fondi per l’esercizio della Giustizia. L’interesse in termini di partecipazione ed attenzione al progetto “LeAli al futuro” scaturito da questo ennesimo seminario è stato il miglior viatico in vista dei due prossimi ed ultimi appuntamenti, a conclusione di un percorso di proficua sperimentazione affidata dal Ministero dell’Università e dell’Istruzione e dal Dicastero della Giustizia all’Istituto scolastico catanzarese “Vincenzo Vivaldi”, tra le poche scuole italiane a vantare questo lusinghiero privilegio. Volterra: se l’arte è galeotta… lavori dei detenuti in mostra Il Tirreno, 26 maggio 2011 L’arte e la produzione passano anche attraverso le carceri, dando vita a mostre e a veri e propri mestieri retribuiti. Coperte e ricami, ma anche quadri e modellini, sono al centro dell’esposizione dei detenuti volterrani che resterà aperta, fino al 29 maggio, in via Turazza. Coperte, tappeti, sovraccoperte, piccole opere d’arte. “Tutta roba di qualità”, garantisce Mirella Venturi, presidentessa di Spazio Libero, l’associazione promotrice dell’evento. “Dietro a questi prodotti c’è una capacità acquisita con la pratica e la dedizione - spiega - i ricavi di eventuali vendite saranno versati ai carcerati attraverso la mediazione dell’ufficio ragioneria”. Turisti e familiari sono gli acquirenti più assidui. “La crisi - afferma - non crea circostanze favorevoli al mercato dell’arte”. Ciò non toglie che si raggiungano risultati sorprendenti. Dietro il lavoro artigianale c’è l’esperienza nella sartoria del carcere (in questo caso i proventi delle vendite vanno al Ministero, perché i detenuti sono assunti e stipendiati) ma nell’ambito artistico si scoprono dei talenti: “Un detenuto russo ha la passione per le icone religiose - racconta Venturi - un altro ci ha consegnato delle miniature di velieri, due delle quali riproducono le caravelle di Colombo. C’è chi imita i futuristi o Caravaggio, e chi preferisce scorci di Volterra”. Insomma, le qualità produttive non vanno perse con la reclusione, e in certi casi costituiscono una sorta di riscatto. L’orario della mostra è continuato: dalla mattina alla sera. L’evento, che ha il sostegno della Fondazione Crv, coinvolge una ventina di reclusi, fra i quali anche alcuni appartenenti alla sezione alta sicurezza. Ivrea (Cn): domani presentazione di “Scatenata 2011”, libri e oggetti dal carcere Agi, 26 maggio 2011 Si svolgerà domani, alle ore 11.00, nella Sala Dorata del palazzo municipale, la conferenza stampa di presentazione della prima edizione di “Scatenata 2011 - libri e oggetti dal carcere”, mostra - evento in programma nelle giornate di sabato 11 giugno e domenica 12 giugno presso la sala Santa Marta di Ivrea. La mostra è organizzata dall’Associazione Volontari Penitenziari “Tino Beiletti” di Ivrea, (che porta il nome dell’indimenticabile volontario che al carcere e alla sua popolazione ha dedicato molta parte della propria vita), in collaborazione con la Casa Circondariale e la città. L’iniziativa si caratterizzerà in diversi momenti tra i quali un’esposizione di oggetti in legno realizzati dai detenuti e una tavola rotonda nel corso della quale saranno presentati tre libri sul carcere. Alla conferenza stampa saranno presenti l’assessore alle Politiche Sociali Paolo Dallan, il direttore della Casa Circondariale di Ivrea Maria Isabella De Gennaro e il direttore della Biblioteca eporediese Gabriella Ronchetti. Roma: sabato a Rebibbia “Festa della solidarietà”, musica e cucina insieme ai detenuti Dire, 26 maggio 2011 Un sabato di musica e cucina con i detenuti di Rebibbia: ecco gli ingredienti della “Festa della solidarietà”, organizzata dall’associazione Volontari in carcere della Caritas di Roma. L’evento sarà “un modo per stare vicini idealmente a tutte le donne e gli uomini che abitano le nostre prigioni” spiegano i volontari dell’associazione. I detenuti, organizzati in squadre per paesi di provenienza, si sfideranno in una gara di cucina dal titolo “Incontro tra i popoli”. Le regole saranno le stesse della cucina in cella: fornelletti, posate in plastica e piccole pentole per preparare ciascuno la propria pietanza. Una giuria specializzata assegnerà poi i rispettivi premi. A seguire uno spettacolo musicale con Ambrogio Sparagna e il suo organetto, insieme a Raffaello Simeoni e i suoi strumenti a fiato, al termine del quale seguirà un rinfresco con detenuti e invitati. Nel promuovere l’iniziativa, i volontari della Caritas spiegano che tra “sovraffollamento, mancanza di fondi, carenza di personale e suicidi, in carcere c’è poco da stare allegri. Ma è proprio in momenti come questi che la solidarietà deve farsi sentire più forte”. L’appuntamento è dunque per sabato, dalle 10 alle 14, nella casa di reclusione di via Bartolo Longo 22. Pozzuoli (Na): Sal Da Vinci ha tenuto un concerto nella Casa circondariale femminile Il Mattino, 26 maggio 2011 Mancavano soltanto gli accendini. Per il resto, grida, cori, applausi, fan sul palco a ballare strette al loro idolo e bagno di folla in platea per l’ultima canzone, “Gente, magnifica gente” che ha chiuso lo spettacolo per il suo pubblico, per un giorno tutto al femminile. Un concerto davvero speciale quello che Sal Da Vinci ha tenuto ieri pomeriggio a Pozzuoli sul palco della casa circondariale femminile. Per il cantante napoletano - che da anni collabora con la Comunità di Sant’Egidio che ha organizzato anche l’incontro di ieri - non è il primo concerto in carcere: ha cantato più volte a Poggioreale, per i giovani detenuti di Nisida e addirittura nella casa di detenzione di massima sicurezza di Spoleto. “È una mia scelta di vita - spiega - non c’è nessun intento promozionale o di marketing. Semplicemente sento di doverlo fare perché mi ritengo una persona molto “fortunata” che è riuscita a fare gran parte di quello che voleva: la vita non mi si è mai accanita contro come, purtroppo, capita a tanta gente che fa le scelte sbagliate. A cantare qui ci tenevo proprio, perché se stare dentro è duro, per una donna, che magari lascia fuori i suoi figli dev’essere davvero terribile. Io spero davvero che queste donne, dopo aver pagato il loro conto con la giustizia possano risollevare le sorti della loro vita”. Canzoni e musica, intanto, hanno risollevato gli animi delle 150 donne, scelte con un faticoso sorteggio, che ieri pomeriggio hanno cantato, applaudito e quando possibile anche ballato, per tutta la durata del concerto. “Questo - spiega il responsabile della Comunità di Sant’Egidio Antonio Mattone - è un momento di grande disagio per le detenute perché la struttura è al massimo del sovraffollamento: ci sono 208 donne, il carcere ne potrebbe ospitare al massimo 153. Sono tratta in gran parte di detenute per reati comuni, detenzione e spaccio, scippi, qualcuna per prostituzione, molte in attesa di giudizio, nel 30% dei casi extracomunitarie”. Quando Sal canta “Mercante di stelle” che dà il titolo al suo ultimo album, la platea esplode: forse soltanto le donne straniere non ne conoscono il testo. E quando ripete il refrain “Fai quello che vuoi, ma fai la cosa giusta, falla con l’anima” è tutto un annuire e un guardarsi l’una con l’altra. Poi, invece, gli occhi sono tutti per Daniela, la biondina con le treccine e Carla, la bruna con una gran cascata di capelli ricci che Sal invita sul palco, a ballare abbracciate con lui, sulle note si “Nammuratè”. Anche l’agente penitenziaria con il pesante mazzo di grosse chiavi: si piazza in prima fila e non stacca lo sguardo dall’insolito ed imprevisto spettacolo. Stati Uniti: computer sbaglia, in libertà circa mille detenuti ad “alto rischio di violenza” 9Colonne, 26 maggio 2011 A due giorni dalla decisione della Corte suprema californiana sulla riduzione dei carcerati da 143.335 a 33 mila, per contrastare il problema del sovraffollamento delle prigioni dello Stato, si scopre che per un errore del sistema informatico penitenziario, circa mille detenuti ad “alto rischio di violenza” sono tornati in libertà. Lo rivela il Los Angeles Times, citando le dichiarazioni del portavoce dell’ispettore generale dello Stato, Renee Hansen, secondo cui i computer avrebbero confuso questi prigionieri con altri considerati a “basso rischio di recidiva”. Si tratta di persone che hanno commesso reati sessuali o crimini particolarmente efferati, come Javier Giuseppe Rueda, che era stato classificato come “delinquente di basso livello”. Una volta tornato in libertà l’uomo ha aperto il fuoco su due poliziotti di Los Angeles, colpendone uno a un braccio. Giordania: re Abdallah II concede la grazia a 6.000 detenuti Ansa, 26 maggio 2011 Re Abdallah II di Giordania ha firmato un decreto che concede la grazia a migliaia di detenuti, in occasione del 65° anniversario del Regno, che ormai da mesi è sotto pressione per crescenti richieste di riforme politiche ed economiche. La decisione del re, la seconda del genere sin da quando è asceso al trono dieci anni fa, dovrebbe riguardare circa 6.000 detenuti, che dovrebbero riguadagnare la liberta nelle prossime settimane, secondo quanto ha detto all’Ansa il portavoce del dipartimento per la pubblica sicurezza, Mohammad Khatib. La grazia non riguarda condannati in casi di spionaggio, corruzione, omicidio e traffico di stupefacenti, ha aggiunto Khatib. Cina: condannati a giochi on-line “forzati”, il nuovo business del sistema carcerario Ansa, 26 maggio 2011 Condannati ai “giochi forzati”: quella che potrebbe risultare la trama di una pellicola cinematografica di stampo comico è in realtà la quotidiana routine di diversi prigionieri cinesi, costretti a giocare online per scontare i crimini commessi. A renderlo noto è il quotidiano britannico Guardian, grazie ad un’intervista concessa da un ex-carcerato che ha vissuto tre anni in uno di tali campi di lavoro. Oltre 12 ore al giorno di gioco forzato, secondo quanto dichiarato da Liu Dali, permettono alle guardie carcerarie di accumulare crediti sui server in Rete di giochi quali World of Warcraft e simili. Crediti che vengono poi convertiti in denaro reale dalle medesime guardie, con ricavi superiori rispetto a quelli ottenibili mediante i tradizionali lavori forzati. Il guadagno medio si aggira sulle 500 sterline al giorno: i giochi forzati, dunque, rappresentano un importante business per chi sfrutta in questo modo la manodopera forzata disponibile. Ad ogni prigioniero spetta poi una quota minima di crediti da accumulare durante il proprio turno di gioco: qualora non dovesse essere raggiunta tale soglia scatta automaticamente una punizione fisica inflitta dalle guardie del centro rieducativo. Durante il proprio soggiorno presso il penitenziario di Jixi, Liu Dali ha visto oltre 300 prigionieri costretti a giocare per 12 ore continuative al giorno, sostituiti al termine del proprio turno da altri carcerati, con i computer della prigioni costantemente occupati. L’acquisto di beni virtuali in Rete quali i crediti per i giochi online rappresenta uno dei business più attivi dell’intero web, con migliaia di persone pronte a versare denaro reale in cambio di strumenti immateriali per l’ottenimento di bonus e privilegi per il proprio videogame preferito. Un aspetto, questo, che ha suscitato particolare interesse in Cina, al punto da trasformare i carceri in vere e proprie miniere d’oro basate sull’accumulo di crediti per giochi online.