Giustizia: una Giornata di studi per mettere in discussione la “voglia di vendetta sociale” di Aldo Comello Il Mattino di Padova, 22 maggio 2011 “Bere il calice fino alla feccia”, pagare fino in fondo il debito con la società. I “buoni cittadini”, anche i giovani che hanno contatto con il mondo carcerario chiedono questo, chiedono che le pene non si affievoliscano nel tempo, che le alternative al carcere non trasformino le prigioni in una sorta di limbo disabitato. Un detenuto osserva che c’è confusione ed ignoranza, che i permessi sono cosa diversa dagli arresti domiciliari e che iniziative di recupero al di fuori delle sbarre sono accettate solo nel 20 per cento dei casi, nell’80 per cento è galera. La scarcerazione dopo 17 anni di Pietro Maso che stermina la famiglia per soldi, ha fatto scandalo: “Solo 17 anni”, si è detto come se 17 anni di detenzione passassero in un sospiro. Resta alta la volontà di punire, la vendetta sociale prevale sull’orientamento della correzione e del recupero. La domanda che fanno i ragazzi delle scuole, quando ascoltano i racconti dei detenuti, è sempre ossessivamente la stessa: “Ma non potevate pensarci prima?”. Chi non ci ha pensato prima, paga. Da questa dicotomia il titolo della giornata nazionale di studi che ha affollato la piazza interna del carcere penale “Due Palazzi” a Padova: una platea di oltre 700 studenti, più i volontari, gli operatori carcerari, i detenuti della redazione “Ristretti Orizzonti”: insieme per un giorno di studio i totalmente buoni e gli assolutamente cattivi. Due “razze distinte”: i primi vivono fuori, liberi nella luce, i secondi dentro, prigionieri nel buio. La percezione di carceri come inferni disabitati fa a pugni con un sovraffollamento sempre più pronunciato. Il penale di via Due Palazzi capace di 400 posti ospita 800 detenuti, 3 persone in acrobazia statica in una cella da uno. Pregiudizi, ma soprattutto, banalizzazioni di realtà complesse, casi criminali a puntate che assomigliano troppo ad una fiction, in un linguaggio da soap opera che ricorda Beautiful, riempiono i telegiornali di messaggi da paura. Secondo la testimonianza di due studiose, la ricercatrice Paola Baretta dell’Osservatorio di Pavia e la giornalista del Tg 2 Daniela De Robert, i notiziari televisivi sono gravidi di notizie di nera, una criminalità diffusa, fatta di stupri, investimenti coltellate, aggressioni, eventi di ordinaria follia, non imprese di una criminalità organizzata che ha più ragioni per farsi temere. Questa fabbrica della paura dal 2005 al 2007 ha fornito ai telegiornali 3.500 notizie, il caso Sarah Scazzi ha zavorrato le cronache televisive con circa 5 novità al giorno con un portato formidabile di angoscia sociale. Il Tg1 italiano in un anno ha sciorinato un campionario di 1.023 news di nera ordinaria contro le 60 del Tg tedesco e le 114 di quello spagnolo. La criminalità insieme all’inquinamento e ai disastri dell’alluvione è uno dei principali fattori ansiogeni. Il 1994 è stato contrassegnato da una campagna galoppante sulla sicurezza del Tg di Clemente Mimum, nel 2006 l’indulto: un giornale sardo ha parlato di bande di indultati e di un giovane delinquente con la tipica “faccia da indulto”, poi l’omicidio Reggiani e a Roma vince la destra. Secondo Daniela de Robert, soprattutto in tempo di crisi, il gioco è quello di creare un nemico. Il nemico è straniero, clandestino, romeno, zingaro, sono tutte definizioni che tendono a disumanizzare. L’uso di aggettivi autoadesivi (madri disperate, urlo di dolore muto), di stereotipi, di semplificazioni rende le cronache svianti. Viene in mente una frase di Primo Levi: “Quante sono le menti umane capaci di resistere alla feroce, impercettibile forza di penetrazione dei luoghi comuni?”. Spesso vengono usate le vittime per giustificare la propria cattiveria sociale. Parola d’ordine: essere intransigenti con gli autori del reato in nome delle vittime. Alfredo Bazoli, avvocato, nel 1974 a piazza della Loggia di Brescia ha perso la mamma dilaniata nello scoppio di una bomba nella strage senza colpevoli. “È logica l’empatia tra vittime di una strage - dice - ma che i colpevoli siano condannati, dare un volto agli assassini sarebbe per me una consolazione relativa in rapporto al danno; il vuoto lasciato da mia madre non può essere colmato. La condanna serve alla giustizia, la giustizia è il cemento della società civile”. Giustizia: la legge Usa uguale per tutti e le “tricoteuses” d’Europa di Pierluigi Battista Corriere della Sera, 22 maggio 2011 Uguale per tutti. Mite, non vendicativa, garantista, rispettosa, ma uguale per tutti. Con lo stesso trattamento per tutti, che siano a capo del Fondo monetario interazionale o che lavorino alle pulizie di un albergo. Una giustizia uguale per tutti. Che sia giustizia, e che sia uguale: non era un bell’ideale cantato e declamato prima dell’arresto americano di Dominique Strauss-Kahn? Lo era, ma adesso, in Europa, pare che non lo sia più tanto. Ma come, un uomo potente e riverito messo in galera perché stupra una donna nella sua stanza d’albergo di New York? Se in Europa, e soprattutto in Francia, si diffonde lo stupore per un fatto così, è perché in Europa, e soprattutto nella Francia della Rivoluzione che ghigliottinò il Re tra il giubilo delle tricoreuses, l’Ancien Regime è ancora radicato nella nostra testa e nei nostri riflessi automatici. Dicono: ma la gogna è inaccettabile, ruminazione del detenuto trascinato con i polsi serrati, alla mercé del ludibrio televisivo, è una vergogna. Vero. Ma lo è sempre. Dovrebbe esserlo sempre. La gogna, il perp walk, la passeggiata sotto i riflettori del “perpetrator”, di colui che è sospettato di aver perpetrato un delitto, fu teorizzata e perfezionata dal sindaco Giuliani nella sua crociata contro il crimine ribattezzata “tolleranza zero”, da noi molto apprezzata tra i paladini del Law and Order. Era una vergogna anche allora, ma dato che alla gogna ci andavano neri, portoricani e poveracci, nessun commentatore europeo che oggi si indigna per il trattamento sinora riservato a DSK, ebbe a disquisire sull’inumanità dei metodi americani. Già criticare la severità delle carceri americane dal pulpito di una nazione dove le carceri sono sature di cittadini in attesa di giudizio, appare un paradosso. Ma che un principio elementare, quello dell’uguaglianza di fronte alla legge, venga disatteso in modo così clamoroso per dare addosso alla puritana e spietata America, è più di un paradosso. È un errore. È la sottovalutazione di un principio democratico. Ed è anche un’ipocrisia, perché accende l’indignazione a giorni alterni, a seconda della posizione sociale e della notorietà di chi ne è vittima. Meglio l’uguaglianza. Meglio la parità tra un gigante della finanza e una cameriera di origine ghanese, sua vittima a New York. Giustizia: la medicina penitenziaria in mezzo al guado di Antonio Cappelli Terra, 22 maggio 2011 La riforma che nel 2008 ha sancito il passaggio della sanità penitenziaria alle competenze del Servizio Sanitario Nazionale, risponde all’esigenza di considerare i detenuti titolari dei diritti civili che spettano a tutti i cittadini e quindi deve essere strenuamente difesa. Un modo per farlo è quello di individuare i momenti di inefficienza e di criticità che il nuovo sistema assistenziale attraversa nel periodo di transizione tra il vecchio e il nuovo sistema operativo. Bisogna tenere presente che il sistema attuale attribuisce alle Regioni un ruolo centrale nella programmazione e nel governo dei servizi sanitari, ivi compresi quelli attivi all’interno delle istituzioni carcerarie. Questo stato di fatto dà ragione delle diversità, talora notevolissime, che oggi si rilevano nei modelli organizzativi adottati e nei livelli di efficienza raggiunti all’interno delle diverse realtà regionali. Esistono infatti alcune Regioni che, nell’ambito delle direttive quadro sancite a livello nazionale, hanno provveduto a legiferare tempestivamente in materia di sanità penitenziaria, dotandosi così di strumenti giuridici e organizzativi atti a rispondere adeguatamente alle nuove competenze loro attribuite. Si sono formulati così “piani carcere” che disegnano non solo il modo di organizzare i servizi sanitari all’interno degli istituti, ma anche i percorsi da sostenere, con l’aiuto del volontario, nel difficile periodo che segue al termine della pena. Purtroppo altre Regioni non hanno provveduto al riguardo con la stessa tempestività e si ritrovano con i servizi sanitari carcerari “in mezzo al guado” e cioè in una situazione di precarietà che porta spesso ad assommare alle vecchie inefficienze le nuove incertezze. Come conseguenza di queste diversità tra l’operato delle Regioni si è determinata nel Paese, per quanto riguarda l’assistenza sanitaria ai detenuti, una configurazione che si può definire “a pelle di leopardo” con momenti di sufficiente efficienza, e talvolta addirittura di eccellenza, e situazioni invece ancora gravemente deficitarie che portano, alcuni, a rimpiangere il vecchio modello della sanità penitenziaria precedente alla riforma. Tenendo presente che il duro scotto delle inefficienze lo pagano con sofferenza i detenuti, e non i politici distratti, ci si deve augurare, nelle Regioni che manifestano al riguardo particolari ritardi, un sussulto di dignità da parte dell’opinione pubblica per sollecitare i Governi locali ad adempiere sollecitamente a loro precisi doveri di carattere istituzionale. Giustizia: Rita Bernardini; il lavoro dell’Associazione Antigone è la base della democrazia di Eleonora Martini Il Manifesto, 22 maggio 2011 Mai iscritta all’associazione Antigone? “Forse sì, qualche volta negli anni... Ora che ci penso, loro non me l’hanno mai chiesto. E hanno sbagliato! Ma è come se lo fossi”. Scherza Rita Bernardini, la deputata radicale, paladina per antonomasia dei diritti dei carcerati. Vent’anni passati a lottare per gli stessi principi. Vicini eppure differenti. Come definirebbe l’opera di Antigone in questo ventennio? Meritoria. Importante, soprattutto perché si è concentrata sul lavoro d’informazione, per rendere il sistema carcerario un po’ più trasparente. Indagare per informare è l’unico metodo per sconfiggere l’illegalità diffusa nei penitenziari italiani. Per esempio, se Dario Stefano Dall’Aquila non avesse denunciato (sul manifesto, ndr) sistematicamente le condizioni dei detenuti psichiatrici nell’Opg di Aversa, non ci sarebbe stata nemmeno l’indagine compiuta dal senatore Ignazio Marino per la commissione d’inchiesta parlamentare. Il lavoro sulla trasparenza che fa Antigone è la base per un sistema democratico. Mai stati in disaccordo? No, mai. Se devo riscontrare un limite, che però contraddistingue molto dell’associazionismo italiano, è quello di non sapersi unire con altri su obiettivi precisi in momenti particolarmente delicati, come l’attuale. Scontano la particolarità della sinistra di essere un po’ litigiosa? Esatto. Visto che siamo tutti animati dallo stesso spirito e perseguiamo gli stessi fini, dovremmo unire di più le nostre forze. Per esempio in questo momento noi abbiamo individuato l’amnistia come strumento per riportare il sistema giudiziario in una condizione di legalità, e per questo Marco Pannella sta facendo lo sciopero della fame. La situazione è talmente degenerata che non basta l’indulto senza amnistia e altri tipi di accorgimenti. Tipo cercare di cambiare le leggi criminogene come quella sulle droghe, sull’immigrazione e sulla recidività? Sull’analisi del perché si riempiono le carceri siamo d’accordo ma occorre trovare subito una risposta giusta ai problemi del carcere ma anche a quelli della giustizia. Se c’è un incendio, prima va spento poi si interviene per prevenirlo. Ecco, sull’amnistia non sento particolare entusiasmo. In vent’anni la sinistra è diventata un po’ meno garantista e un po’ più giustizialista? Purtroppo sì. Teniamo conto del periodo storico in cui è nata Antigone: nel 1991 sembrava dovesse crollare il regime partitocratico, poco dopo ci fu Tangentopoli e così via. Allora sembrava che si potesse sconfiggere quel sistema di potere, e invece purtroppo quel sistema si è ricomposto sotto altri termini mantenendo il carattere consociativo del potere. Da allora in poi, la sinistra ha fatto mancare il sostegno al principio garantista allo stesso modo che nei confronti dei delitti di stampo mafioso, disconoscendo cioè i diritti degli uomini di mafia e accettando per loro leggi speciali, una legislazione a doppio binario. Antigone nasce proprio mentre nelle carceri entrano i politici di Tangentopoli. Non è un marchio di garantismo doc? Certo, cosa doppiamente apprezzabile visto i tentativi di soffocare questi principi. Negli anni anche il ruolo di Magistratura democratica è scolorito dal punto di vista delle garanzie democratiche. Da quando sale sulla scena Berlusconi? Secondo me già da prima, dai tempi di Tangentopoli perché si voleva marcare la differenza, ribadire che quel sistema era estraneo alla sinistra. Mentre era chiarissimo che quel sistema riguardava tutta la partitocrazia. Allora bisognerebbe risalire agli anni di piombo. Sì, è vero. Il Pci sostenne la legge Reale come l’articolo 41 bis (che dispone il carcere duro per determinati reati, ndr). Davanti alla “minaccia del terrorismo” erano poche le voci contro queste leggi speciali che limitavano l’esercizio della democrazia, ed erano voci considerate addirittura estremiste. Mi pare che mai le cosche abbiano avuto un periodo di sviluppo come ora, perché ormai sono interne al regime. Quindi, doppio merito ad Antigone. Assolutamente. Proprio perché per loro non deve essere stato così facile reggere per venti anni, meritano stima incondizionata. Antigone ha retto per la sua autorevolezza dimostrata negli anni. La resistenza di tanti anni dà anche la misura delle convinzioni, quelle che mancano alla sinistra italiana. Giustizia: audizione in Senato sui gravi problemi dei detenuti italiani all’estero Asca, 22 maggio 2011 La Commissione straordinaria per la tutela dei diritti umani ha approfondito, con un’audizione di Katia Anedda Presidente dell’Associazione Prigionieri del Silenzio, i gravi problemi dei detenuti italiani all’estero. L’Associazione, composta solo da volontari e costituita nel 2008, è l’unica che si occupa dei problemi di connazionali reclusi in altri Paesi e delle difficoltà legali, finanziarie e morali che hanno anche i loro congiunti. La situazione delle carceri, anche in molti dei cosiddetti Paesi civili, è pessima in quanto troppo spesso caratterizzata da assoluta mancanza dei diritti dei detenuti. La Anedda ha sottolineato che a fronte di questo problema - che secondo cifre fornite dal Ministero degli esteri riguarda 2.905 persone - “lo Stato attraverso le strutture diplomatiche è troppo spesso impreparato e non dà assistenza adeguata”. Anche il legale dell’Associazione, Francesca Carnicelli ha rilevato l’esigenza di maggiore assistenza dei detenuti italiani all’estero da parte di consolati e ambasciate. Giustizia: Sappe; intervenire contro sovraffollamento e carenze organico Adnkronos, 22 maggio 2011 “Deve fare seriamente riflettere lo sciopero bianco e del sonno che i componenti del Nucleo Operativo Traduzioni e Piantonamenti della Polizia Penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere hanno deciso di proclamare per protestare i gravi disagi con cui essi quotidianamente hanno a che fare”. È quanto sottolinea Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria(Sappe), commentando le proteste in atto. “Parliamo di agenti - continua Capece - che ogni giorno girano l’Italia trasportando, su mezzi spesso inadeguati, detenuti senza aver ancora ottenuto il saldo delle competenze per lavoro straordinario e per numerosi servizi di missione già espletati, rispetto ai quali hanno dovuto fare fronte di tasca propria alle inevitabili spese. È un grave problema sul quale l’Amministrazione penitenziaria ha il dovere di intervenire con tempestività”. “La Polizia Penitenziaria - riferisce in una nota il Sappe - ha assunto il servizio di trasporto dei detenuti, prima affidato all’Arma dei Carabinieri, nel 1996 senza ottenere alcun incremento di organico. È evidente che l’esplosiva combinazione tra il grave sovraffollamento pari ad oltre 67mila detenuti e una carenza di 6mila unità negli organici della Polizia penitenziaria determina di fatto livelli di sicurezza assolutamente insufficienti per i nostri Agenti. Mi auguro - conclude Capece - che Governo, Ministero della Giustizia e Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria adottino al più presto i provvedimenti di urgenza che la gravissima situazione non consente più di rinviare “. Giustizia: Osapp; si estende la protesta dei detenuti, sciopero fame a Lecce e Trani Ansa, 22 maggio 2011 Si è estesa anche alle carceri pugliesi di Lecce e Trani la protesta dei detenuti che in varie parti d’Italia hanno iniziato uno sciopero della fame per evidenziare il problema del sovraffollamento nelle strutture di reclusione e l’eccessiva lentezza dei processi. Lo rende noto il vicesegretario generale nazionale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp), Domenico Mastrulli. In Puglia, è scritto nella nota, i detenuti sono attualmente 4.376, dei quali 214 donne, contro una capienza regolamentare di 2.524 unità (181 donne). Nel carcere leccese di Borgo San Nicola i reclusi, fa sapere ancora l’Osapp, sarebbero 1.381 (99 donne) rispetto ad una capienza di 659 detenuti (59 donne). Nel penitenziario di Trani ci sarebbero invece 318 reclusi contro una capienza di 228 detenuti. Giustizia: Amanda Knox; sono innocente, non voglio rimanere in carcere per tutta la vita Adnkronos, 22 maggio 2011 “Io non voglio rimanere in carcere ingiustamente per tutta la mia vita”. È quanto ha affermato Amanda Knox prendendo spontaneamente la parola al termine dell’udienza di stamane a Perugia. “Ringrazio la Corte per avere accolto la richiesta dei periti -ha aggiunto ancora la Knox- io sono in carcere da innocente da più di tre anni e mezzo e questo per me è frustrantissimo e mi esaurisce. Non c’è cosa più importante che accertare la verità. Ci sono stati tanti pregiudizi ed errori che sono stati fatti” ha sostenuto ancora Amanda con un filo di emozione nella voce. “Mi ricordo i primi giorni, io ero piccola e non capivo nulla di tutto questo”. Mario Alessi e Luciano Aviello sentiti come testimoni La Corte di assise di appello di Perugia ha accolto stamani la richiesta delle difese di sentire come testimoni Mario Alessi, il muratore siciliano in carcere per l’omicidio del piccolo Tommaso Onofri e il pentito Luciano Aviello, nell’ambito del processo ad Amanda Knox e Raffaele Sollecito per l’omicidio di Meredith Kercher. Accolta anche la richiesta di sentire altri tre detenuti, reclusi nello stesso carcere dove si trova Alessi. La Corte ha stabilito che i testimoni vengano sentiti durante le udienze fissate per il 18 e il 27 giugno prossimi. Detenuto scrive lettera: so chi ha ucciso Mez In una lettera scritta recapitata alla Procura Generale di Perugia e ai difensori di Raffaele Sollecito e Amanda Knox, un detenuto sostiene di conoscere il mandante dell’omicidio di Meredith e l’esecutore, anzi gli esecutori. Secondo l’uomo, sarebbero infatti in due ad aver ucciso la studentessa inglese su mandato di un terzo uomo verso il quale Meredith avrebbe maturato un presunto debito di droga. Legale famiglia Mez: lettera detenuto offensiva memoria vittima Per il legale della famiglia Kercher, l’avvocato Francesco Maresca, la lettera inviata da un detenuto del carcere di Vercelli che afferma di conoscere mandante e assassino di Meredith, è “oggettivamente offensiva verso la memoria della povera ragazza”. Nella missiva infatti, è scritto che Meredith sarebbe stata uccisa per aver accumulato in ingente debito di droga. “Non ho nulla da dire rispetto a questa persona- ha aggiunto il legale - che non conosco e non ho nessun interesse a conoscere”. Quanto alla testimonianza di Alessi, secondo Maresca, la sua deposizione è “completamente inutile”. L’avvocato ritiene invece “importante” quello che ha precisato il perito Carla Vecchiotti, “sul fatto che tutto il materiale messo a loro disposizione è sufficiente per il completamento della perizia scientifica”. Giustizia: sacerdote arrestato con l’accusa di pedofilia rivela “sono sieropositivo” Ansa, 22 maggio 2011 Don Riccardo Seppia, il sacerdote genovese arrestato con l’accusa di abusi sessuali su un chierichetto minorenne e cessione di cocaina, sarebbe sieropositivo. A rivelarlo sarebbe stato il parroco stesso, poco dopo il suo ingresso nel carcere di Marassi. Don Seppia avrebbe confessato la sua sieropositività in un questionario riservato ai nuovi detenuti. Questa rivelazione shock potrebbe aggravare ulteriormente il quadro accusatorio a carico dell’imputato: nel caso in cui avesse contagiato altre persone senza avvisarle preventivamente della sua sieropositività, Don Seppia rischierebbe infatti anche l’accusa di lesioni gravissime. Da ieri, intanto, nell’ambito dell’inchiesta che ha già portato all’arresto del parroco del quartiere di Sestri Ponente e del suo amico ed ex seminarista Emanuele Alfano, accusato di induzione e favoreggiamento della prostituzione minorile, sarebbe indagato anche un ragazzino appena maggiorenne. Secondo quanto trapelato, il giovane, che sarebbe di nazionalità straniera ma residente nel capoluogo ligure, avrebbe reclutato minorenni da presentare a don Seppia e ad Alfano. Qui a Marassi mi vogliono ammazzare, trasferitemi subito da un’altra parte Le urla che arrivano dalle celle, da ogni angolo del carcere di Marassi, sono inequivocabili: propositi di vendetta, di giustizia sommaria, contro il prete accusato di essere uno stupratore di bambini, un orco con la tonaca. Perché gli uomini dietro le sbarre, qualunque sia l’accusa che si portano addosso, non perdonano chi tocca i bambini. “Io qua non faccio più vita, tutti mi vogliono ammazzare, non posso uscire nemmeno per l’ora d’aria”. Don Riccardo Seppia, o meglio il detenuto Riccardo Seppia, prete sospeso a divinis, ieri mattina ha chiesto di incontrare il direttore della casa circondariale di Marassi, Salvatore Mazzeo. Nel quale l’ex parroco sestrese, per quanto in isolamento e controllato discretamente ma in continuazione, ha chiarito di temere per la propria incolumità: ragione per cui si è profilata la necessità di trasferirlo in un altro carcere, lontano da Marassi. La struttura prescelta dovrebbe essere quella di Sanremo, un istituto penitenziario più piccolo, dove anche l’isolamento di don Seppia - e quindi la sua relativa sicurezza rispetto ad aggressioni e a regolamenti di conti violenti - sarebbe più garantito rispetto ad una struttura comunque sovraffollata come Marassi. Il trasferimento, a quanto confermano alcune voci, dovrebbe avvenire entro domani, domenica. Ma, per quanto se ne sa, la destinazione potrebbe anche essere un’altra, dove i carcerati non siano in ogni caso stati avvertiti attraverso la tv dell’arrivo del nuovo, indesiderato , compagno di cella. Comunque sia, il carcere ha condannato don Riccardo. Le voci che filtrano dalle Case Rosse parlano di un clima inquieto tra i detenuti, di una rabbia che passa di cella in cella, con il rischio che in qualche modo possa deflagrare in modo clamoroso tra i detenuti, pronti anche a farsi prendere la mano dall’indignazione. E quello che, ancora secondo le voci che si raccolgono oltre il portone di Marassi, sconcerta ancora di più, sarebbe proprio il comportamento di don Riccardo, che a chi l’ha incontrato nel mondo carcerario non avrebbe mostrato alcun segno di pentimento, né di tenere in considerazione l’enormità delle accuse di cui è gravato, o, ancora di più, la responsabilità nei confronti dei minori coinvolti. “Sembra che si occupi solo di sé stesso e della propria incolumità, e di nient’altro” è quanto si riesce a sapere. Si sa che ha avuto colloqui con il cappellano del carcere, con lo psicologo, con i funzionari, compreso appunto il direttore Mazzeo: ma solo per chiedere di essere spostato, messo al sicuro da quelle urla che in ogni momento del giorno e della notte lo minacciano di morte e di terribili violenze. Le stesse, probabilmente, di cui è accusato, almeno di aver scritto nei suoi sconvolgenti sms. Ok procura per trasferimento don Seppia Il pubblico ministero Stefano Puppo ha autorizzato il trasferimento in un’altra struttura di don Riccardo Seppia, in carcere da 10 giorni a Genova Marassi per violenza sessuale su minore e cessione di stupefacenti. Non è noto quando avverrà il trasferimento che è stato chiesto dallo stesso sacerdote a seguito di minacce e insulti avuti da altri detenuti. È invece stato ribadito che don Seppia andrà nel carcere di Sanremo nel settore che ospita detenuti per reati sessuali. Domani l’avvocato di don Seppia, Paolo Bonanni, depositerà al tribunale del riesame di Genova un ricorso di scarcerazione poggiando gli argomenti sulle rivelazioni raccolte durante i giorni scorsi a seguito degli interrogatori delle presunte vittime del sacerdote. In particolare a don Seppia è contestato dal gip di Milano Maria Vicidomini di avere dato con violenza un bacio a un chierichetto sedicenne della chiesa di Santo Spirito dove don Seppia era parroco. Il ragazzino in sede di interrogatorio avrebbe ridimensionato questo episodio dicendo di essere stato toccato ma non baciato. Nella stessa ordinanza di custodia cautelare di Vicidomini sono contestati al sacerdote diversi passaggi di stupefacenti anche a un minorenne in cambio di favori sessuali. Anche in questo caso don Seppia ha detto ieri al pm Puppo di avere avuto cocaina solo per uso personale. Sulla base di questi due argomenti l’avvocato Bonanni chiederà la scarcerazione del suo assistito. Domani intanto è previsto l’interrogatorio di garanzia di Emanuele Alfano, l’ex seminarista 24enne confidente e amico di don Seppia. L’interrogatorio dovrebbe avvenire in carcere a Marassi e sarà condotto dal gip Annalisa Giacalone. Lettere: sei milioni di dollari per “evadere” dal supercarcere americano di Rikers Islands di Giulio Petrilli (Pd - L’Aquila, dipartimento diritti e garanzie) Ristretti Orizzonti, 22 maggio 2011 Dominique Strass Khan, ex Presidente del fondo monetario internazionale, pagando una cauzione complessiva di sei milioni di dollari, è uscito dopo quattro giorni dalla “tomba” : il carcere di Rikers Islands, in un isolotto della costa newyorkese, chiamato anche il nuovo Alcatraz, perché chi entra lì rischia di rimanerci tutta la vita. Arrestato sabato scorso con l’accusa di stupro, è stato scarcerato in attesa che la giustizia faccia il suo corso e stabilirà se è colpevole o innocente. Il sistema penale americano, prevede la concessione della libertà provvisoria per cauzione, ma colpisce molto la cifra di sei milioni di euro e la libertà dal supercarcere di Rikers Islands. Questi due aspetti mi hanno colpito molto e se da un lato la libertà non ha prezzo, perché secondo me anche un solo giorno di non carcere può valere sei milioni di dollari, è pur vero che a questo punto chi ha i soldi esce e chi non li ha rimane dentro e non mi pare né giusto, né corrispondente al criterio che la giustizia è uguale per tutti, perché scontare o meno la carcerazione preventiva dipende dalla possibilità o meno di pagare la cauzione. Una giustizia così è oggettivamente discriminante e spero che da questo punto di vista si levino voci garantiste anche in America. Secondo me, la carcerazione preventiva meno si attua e meglio è, è il giudizio definitivo che stabilisce o meno la colpevolezza, ma in ogni caso libertà o non libertà, nella fase antecedente al processo, non può essere sancita dal portafoglio. Un’altra importante riflessione che mi viene comunque da fare e non in senso ironico è quella che è proprio vero che la libertà non ha prezzo, che per uscire da un carcere pagheresti tutto quello che hai, perché il carcere è un po’ come la guerra puoi da un momento a l’altro morire, anche psicologicamente. Sardegna: nasce il Comitato regionale di sostegno alla campagna nazionale “Stop Opg” Ristretti Orizzonti, 22 maggio 2011 La costituzione italiana afferma che “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Nonostante ciò esistono luoghi di morte, di sofferenza e di privazioni dove le persone vengono imprigionate sulla base di un obsoleta concezione della malattia mentale. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. In Italia sono state emanate delle norme per il superamento di questi luoghi, ma a distanza di anni sono inapplicate. Per questo si è costituito a Roma il comitato nazionale “Stop Opg” che ha promosso un appello a cui ha seguito l’adesione di numerose organizzazioni nazionali. In Sardegna, si è costituito ieri, il comitato sardo di sostegno alla campagna nazionale “Stop Opg” promosso da Associazione Sarda per l’Attuazione della Riforma Psichiatrica, Associazione “5 Novembre”, Cgil Sarda, SOS Sanità Sardegna, Assemblea Territoriale di Cittadinanza Attiva - Tribunale per i diritti del Malato - Sede di Cagliari, Associazione Culturale “Art Meeting” Cooperativa Sociale “I Girasoli”, Cooperativa Sociale “Asarp Uno”. Il comitato a cui aderiranno altre organizzazioni presenterà la sua piattaforma durante la conferenza stampa che si terrà a Cagliari, il 6 Giugno 2011 alle 10:30 presso la sala riunioni della Cgil Sarda in viale Monastir N° 17. Gisella Trincas - Associazione Sarda per l’Attuazione della Riforma Psichiatrica Roberto Loddo - Associazione “5 Novembre” Pisa: detenuto in fin di vita mandato a morire in carcere, infuriano le polemiche Il Tirreno, 22 maggio 2011 Malato terminale, con Aids conclamata e un tumore che non perdona ai polmoni, è morto in carcere, solo. E siccome non c’era più niente da fare, l’ospedale lo ha mandato a morire al Don Bosco. È stato dimesso alle due del pomeriggio di mercoledì, è morto alle quattro, due ore dopo. E sul caso la procura ha aperto un’inchiesta di rito, come si fa per ogni morte in carcere, diretta dal pm Miriam Pamela Romano. La salma di Mario Santini, 60 anni, si trova all’istituto di medicina legale per l’autopsia. Nato a Canneto sull’Oglio, in quel di Mantova, per l’anagrafe residente in Toscana, a Pistoia, presso l’ex moglie da cui è divorziato, in carcere per un cumulo di reati dovuto ad una vita in lotta con la dipendenza dalla droga, fine pena 2013 per l’ultima condanna (lesioni aggravate dolose), Mario sarebbe morto quasi dimenticato dalle istituzioni. Mentre due certificati medici del centro clinico del carcere, uno del 28 aprile, l’altro dell’11 maggio, avevano decretato l’assoluta incompatibilità delle sue condizioni col sistema carcerario. Un problema morale, umano, per l’avvocato Andrea Callaioli, garante dei diritti delle persone private della libertà personale a Pisa, un problema umano sì, ma anche di malasanità e di malagiustizia, per Francesco Ceraudo, fino a febbraio scorso direttore del centro clinico del Don Bosco, oggi responsabile del centro regionale per la salute in carcere. “Le carceri sono diventate una discarica sociale - sostiene Callaioli - in cui non esiste il fine della rieducazione. Dall’inizio dell’anno in Italia sono morte dietro le sbarre 60 persone e in questa situazione ci rimettono i più diseredati. In questo caso non ci sono responsabilità penali, ma etiche, sociali. Era stata fatta richiesta di sospensione della carcerazione al giudice di sorveglianza, visto che il malato non si reggeva più in piedi, ma l’ex famiglia non voleva accoglierlo e il detenuto non aveva più nessuno. Si sarebbe dovuta cercare una struttura di accoglienza, ma per l’Asl di Pistoia, dove era residente, era un problema dell’Asl di Pisa, visto che da anni lui era al Don Bosco, e viceversa. E in questo rimpallo di competenze e mancanza di decisioni quest’uomo è stato spedito a morire in carcere”. “Spero che la procura indaghi anche - commenta Francesco Ceraudo - su tutto quello che non è stato fatto”. Il detenuto era stato ricoverato per sei giorni, uno nel reparto pneumologico di Cisanello e gli altri cinque in clinica medica, al Santa Chiara. “Dal Santa Chiara Santini è stato dimesso - aggiunge Ceraudo - in cachessia neoplastica. Che senso ha? Si poteva salvare almeno la forma, facendo morire questa persona, incapace di nuocere, da uomo libero. Il magistrato di sorveglianza, viste le certificazioni fatte, che comunque non hanno mai avuto alcuna risposta, avrebbe potuto dargli, in assenza di casa, gli arresti ospedalieri, togliendo così anche di mezzo il ridicolo piantonamento di tre agenti per un moribondo incapace di nuocere. Io ho sempre lottato per questo tipo di situazioni e solo nel gennaio scorso ho fatto scarcerare 14 persone gravemente malate”. Da cinque mesi intanto il centro clinico del Don Bosco non ha più un direttore e il concorso bandito, per le condizioni poste, rischierebbe di naufragare in un nulla di fatto. Il Garante dei detenuti: riportato in cella a morire Odissea di un detenuto a Pisa. Malato terminale, con Aids conclamato e un tumore che non perdona, è morto in carcere. Visto che non c’era più niente da fare, l’ospedale lo ha mandato a morire al Don Bosco. È stato dimesso alle due del pomeriggio di mercoledì, è morto due ore dopo. Sul caso di Mario Santini, 60 anni, la Procura ha aperto un’inchiesta. Per Francesco Ceraudo, ex direttore del centro clinico della casa circondariale pisana, si tratta di “malasanità e malagiustizia”. Per Andrea Callaioli, garante dei diritti dei detenuti, “un uomo nelle sue condizioni non doveva morire in carcere per questioni etiche”. Secondo Azienda ospedaliera pisana e Asl è stato seguito il protocollo e “tutto l’iter diagnostico e terapeutico effettuato prima nel centro clinico del carcere e presso il pronto soccorso, la fisiopatologia respiratoria e infine la medicina generale, è stato puntuale, estremamente accurato”. “La dimissione - proseguono - è avvenuta in quanto le condizioni del paziente, pur gravi per la presenza di un quadro di pluripatologie in fase avanzata, non davano più spazio per ulteriori terapie di tipo intensivo o chirurgico. Oltretutto il paziente, al momento della dimissione, era vigile, interagiva con il personale sanitario e non presentava alcun segno clinico di stato preagonico o agonico. In sostanza, in ospedale non si poteva fare nulla di più rispetto al trattamento di mantenimento che si poteva praticare al centro clinico del Don Bosco, con il quale, in assenza di sintomatologia dolorosa, il trasferimento è stato concordato”. Azienda sanitaria e Asl 5 concludono osservando che “nel corso della sua degenza, il dirigente sanitario del carcere di Pisa aveva trasmesso ben tre relazioni informative al magistrato sull’incompatibilità delle condizioni del paziente con la detenzione ma il detenuto era sempre piantonato e ogni suo trasferimento ha richiesto l’intervento della polizia penitenziaria”. L’incompatibilità del detenuto con il regime carcerario, viste le condizioni di salute, era stata documentata in alcuni certificati medici. Ma non è servito. Ospedale e Asl: abbiamo fatto tutto il possibile per il detenuto malato In ospedale e al centro clinico per il detenuto morto mercoledì in carcere dopo le dimissioni era stato fatto tutto. Lo precisa in una nota l’Azienda ospedaliero-universitaria pisana e Asl 5. “Puntuale l’iter diagnostico e terapeutico in carcere e nel pronto soccorso, la fisiopatologia respiratoria e infine la medicina generale dell’ospedale. Il trasferimento in carcere di Mario Santini è avvenuto solo quando le sue condizioni, pur gravi, non davano più spazio per ulteriori terapie di tipo intensivo o chirurgico. Oltretutto il paziente, al momento della dimissione, era vigile e non presentava alcun segno clinico di stato preagonico o agonico. In ospedale non si poteva fare nulla di più rispetto al trattamento di mantenimento che si poteva praticare nel Centro clinico, con cui, in assenza di sintomatologia dolorosa, il trasferimento è stato concordato. Va aggiunto che il paziente era stato visitato anche dalla responsabile dell’Hospice dell’Asl 5, che aveva dato la sua disponibilità ad accoglierlo nella struttura di via Garibaldi per un eventuale successivo ricovero. Durante la degenza, dal carcere erano partite tre relazioni informative al magistrato di sorveglianza sull’incompatibilità delle condizioni del paziente con la detenzione, ma è sempre stato piantonato”. Palermo: Rita Bernardini (Pd) visita il carcere dell’Ucciardone… “ancora troppe ombre” Agi, 22 maggio 2011 “Ancora molte ombre avvolgono il carcere Ucciardone di Palermo, in particolare alcune sezioni, la terza e la settima, dove abbiamo riscontrato violazioni che riguardano trattamenti disumani e degradanti verso i detenuti, con locali fatiscenti che non rispettano la dignità della persona. Chiediamo che si intervenga e continueremo a chiedere l’intervento del ministro della Giustizia con un’altra interrogazione che invieremo anche la magistrato di sorveglianza e alla Procura della Repubblica”. È la denuncia del deputato radicale-Pd, Rita Bernardini, al termine della visita all’interno del carcere Ucciardone, a Palermo, con una delegazione dell’associazione radicale “Cento diritti”. “Le condizioni dei locali della terza e settima sezione sono disumane - ha detto la Bernardini - mancano servizi igienici adeguati, docce che sembrano grotte, assenza di strumenti adeguati per la pulizia delle celle e carenza anche dei farmaci base. In particolare nella settima abbiamo potuto constatare un grande sovraffollamento, in una stanza di 15 mq abbiamo trovato stipate sette persone e, in alcune celle, sono ancora presenti coperture poste davanti alle sbarre che impediscono di poter guardare all’esterno”. Su 560 detenuti di questi 315 sono definitivi, mentre gli altri sono in attesa di giudizio, e solo 70, il 12% ha la possibilità di fare qualche attività. Trascorrono 20 ore in cella e non è prevista la socialità, mentre è prevista da altri istituti penitenziari, e questo è legato in parte alla mancanza di agenti. Sono presenti, infatti, solo 350 agenti effettivi, mentre la pianta organica ne prevede 530, e i turni sono distribuiti su tre fasce, anziché quattro. Non è stata ristrutturata la sala colloqui che presenta un muretto divisorio, e questo è vietato dal regolamento penitenziario. “Abbiamo registrato anche alcuni miglioramenti rispetto a un anno fa - ha proseguito la Bernardini - è stato aperto il nuovo reparto, l’ottava sezione, appena ristrutturato, in grado ora di garantire il rispetto della dignità umana. E lavori di ristrutturazione stanno interessando la seconda sezione e a ottobre dovrebbero partire i lavori anche per la sesta”. Un miglioramento si è registrato nel numero totale dei detenuti, sceso da 750 agli attuali 590, anche se la capienza regolamentare consentirebbe di ospitarne solo 483 anche se, in parte, il numero è diminuito perché alcuni sono stati trasferiti. Ma, ha concluso, “le condizioni del carcere rimangono inaccettabili e continueremo a batterci affinché si intervenga per interrompere questi reati, anche con l’applicazione della amnistia legale prevista dalla costituzione, che i radicali chiedono da tempo”. Agrigento: ispezione ministeriale al carcere; quasi 500 detenuti, stretti in 4 per ogni cella La Sicilia, 22 maggio 2011 All’origine della visita il sovrannumero di detenuti che protestano e i mal di pancia dei poliziotti penitenziari. Quasi 500 detenuti stretti in 4 per ogni cella, oltre ogni limite di sopportazione; agenti di polizia penitenziaria in eterno fermento contro il loro capo e i vertici del penitenziario; problematiche strutturali che non mancano mai. Tanto, forse troppo anche per il ministero della Giustizia, retto dall’agrigentino Angelino Alfano. E nei piani alti di via Arenula - sede del dicastero guidato dal guardasigilli - a Roma hanno deciso di spedire ad Agrigento, nella casa circondariale di contrada Petrusa una squadra di ispettori. Era da molto tempo che nel penitenziario inaugurato “appena” nel 1997 non avvenivano controlli specifici, disposti dal ministero di competenza, ovvero quello alla Giustizia. Tutto si è svolto, ovviamente in grande segreto, con estrema riservatezza, per evitare che una simile “visita” potesse diventare spunto per qualche ulteriore episodio frutto della tensione. Nei giorni scorsi alcuni detenuti avevano inscenato uno sciopero della fame, battendo spesse volte le pentole alle sbarre delle celle, in segno di malcontento. Per non parlare della manifestazione di piazza organizzata dalle organizzazioni sindacali di categoria, capaci di portare ai piedi della Prefettura alcune decine di agenti - in particolare quelli più sindacalizzati - per dire alla gente dei tanti problemi che gli agenti penitenziari agrigentini vivono nel “loro” carcere. Panni sporchi - veri o presunti - lavati dunque in pubblica piazza, facendo diventare pubblici i presunti problemi che non sempre escono dalle segrete di Petrusa. Alla luce di queste situazioni di obiettivo disagio, possibile sponda per il materializzarsi di atti di intolleranza, il ministero ha disposto l’ispezione, svoltasi nei giorni scorsi. Rigorosamente tenuto top secret il bilancio di questo “blitz”. Nulla è dato sapere se gli ispettori abbiano o meno ottenuto conferme sulle tante emergenze denunciate dai poliziotti e dai detenuti. I dati certi sono sempre quelli, anche senza la necessità di conoscere il commento della commissione ispettiva: a Petrusa i detenuti sono troppi per una struttura concepita ed eretta per “accogliere” massimo 200 persone. Oggi sono quasi 500. Altro elemento incontestabile è la costante fibrillazione dei sindacati di categoria, più o meno sempre sul piede di guerra per denunciare carenze vere o presunte. L’esito della visita ispettiva lo conosceranno “solo” i vertici del penitenziario e l’attesa non dovrebbe essere lunga, vista la situazione complessiva che, certamente, non è delle più tranquille. Livorno: sciopero della fame dei detenuti, contro le condizioni di detenzione alle Sughere Il Tirreno, 22 maggio 2011 Da alcuni giorni i detenuti di tre sezioni del carcere delle Sughere stanno mettendo in atto una protesta contro le condizioni al limite che stanno vivendo. I detenuti rifiutano il cibo dell’amministrazione penitenziaria e battono con gli oggetti su sbarre e cancellate. A renderlo noto è il garante dei detenuti del Comune Marco Solimano che ieri ha incontrato all’interno del penitenziario una rappresentanza delle sezioni in agitazione. A scatenare la rabbia soprattutto le condizioni igieniche e sanitarie: su tutto lenzuola cambiate ogni 25 giorni e mancanza di disinfettanti per le docce. “Le motivazioni della protesta - spiega Solimano - riguardano essenzialmente le difficilissime condizioni di vita all’interno, dovute ad un sovraffollamento asfissiante e fortemente limitante dell’agibilità e degli spazi minimi di vita. Si pensi che in una cella di neanche 12 metri quadri vengono ospitati tre detenuti”. Ma la situazione delle Sughere ha disagi specifici. “La quota destinata dal ministero alla manutenzione ordinaria - prosegue il garante - è del tutto risibile ed inadeguata: le lenzuola vengono cambiate una volta ogni 25 giorni, nonostante l’ordinamento penitenziario preveda una volta ogni settimana, non sono più disponibili disinfettanti né per le singole celle né tantomeno per gli spazi comuni come le docce che versano in condizioni penose ed umilianti, i materassi sono oramai vere e proprie sottilette senza alcuna prospettiva di sostituzione”. Nelle docce, che vengono utilizzate da circa 70 detenuti per volta, compare spesso la muffa. Una recente relazione dell’Asl ha definito molto alta la possibilità di diffusione di scabbia e tubercolosi. “I magazzini - aggiunge Solimano - sono vuoti e non si riesce a far fronte nemmeno all’essenziale ed all’indispensabile. I livelli di povertà fra i detenuti non consentono a tutti di poter acquistare il necessario alla spesa e quindi sono i più marginali a pagare duramente queste condizioni. C’è una vera e propria emergenza che può riguardare anche la tutela della salute pubblica”. Solimano scriverà al provveditorato regionale e al Dap per “una vibrata protesta” garantire ad ogni detenuto il “livello minimo vitale per un diritto alla dignità ed al decoro”. Prato: 15 detenuti al lavoro nel parco dell’Aringhese, ripuliranno i boschi Il Tirreno, 22 maggio 2011 Detenuti al lavoro nel parco dell’Aringhese. Martedì e mercoledì prossimo quindici carcerati de La Dogaia di Prato saranno impegnati a ripulire il bosco da tronchi secchi e sterpaglie, valorizzando il percorso della salute che porta a Montale Alto. A lanciare l’idea è stato il consigliere di maggioranza Salvatore Pantaleo che, insieme al comando di Polizia penitenziaria della casa circondariale pratese, ha seguito tutte le procedure. La due giorni di manutenzione coprirà anche il parco di Fognano dedicato a Jorio Vivarelli. Il progetto, un’iniziativa prima di tutto educativa, non costa nulla al Comune. Due gli obiettivi dell’operazione: riqualificare parte del territorio montalese e reinserire i detenuti nella comunità. “Siamo molto contenti, è un fatto sociale inedito per noi; ci stavamo lavorando da due mesi - commenta il sindaco David Scatragli. L’idea, oltre all’operazione della prossima settimana totalmente basata sul volontariato, è quella di procedere in questa direzione attraverso una collaborazione con il carcere di Prato e, in caso di disponibilità, con quello di Pistoia. Da una parte infatti - continua il primo cittadino - tuteliamo il patrimonio ambientale della comunità e, dall’altra, mettiamo in atto un percorso importante sotto l’aspetto umano”. I quindici detenuti in arrivo a Montale saranno accompagnati dalla Polizia penitenziaria; il pranzo sarà offerto dalla Pro-loco di Fognano. L’intervento sull’Aringhese arriva proprio a poche settimane dalla polemica sul parco sollevata dal centrosinistra in assemblea comunale. Il consigliere Franco Pessuti, provocatoriamente, ne aveva addirittura chiesto la chiusura per il rischio sicurezza. “Come mai questa richiesta formale è saltata fuori proprio mentre stavamo lavorando al progetto con la casa circondariale di Prato?” chiede, in una domanda ovviamente retorica, Scatragli. “Negli ultimi trent’anni - aggiunge - sull’Aringhese non è stato fatto niente. Dove sono stati messi i soldi in sessantaquattro anni di amministrazione del centrosinistra? Noi, per quanto difficile, stiamo riuscendo almeno a far qualcosa su quel parco”. L’iniziativa della prossima settimana rientra nell’ampio progetto pedagogico messo in atto da La Dogaia per il 2011 e votato al recupero di chi ha commesso reati contro la persona e il patrimonio. Un’occasione di riscatto per i carcerati e una possibilità concreta per la manutenzione del territorio locale, specie ora che i fondi destinati alla cura delle aree pubbliche sono stati drasticamente ridotti. L’amministrazione ha portato avanti le procedure con il direttore del carcere, Vincenzo Tedeschi, il comandante commissario della Polizia penitenziaria, dottor Giuseppe Pilumeli, e il direttore dell’area pedagogica de La Dogaia, Pasquale Scala. Modena: decine le scarcerazioni di immigrati sui quali gravava il reato di clandestinità La Gazzetta di Modena, 22 maggio 2011 “Sono centinaia i fascicoli presi in esame e già diverse decine le scarcerazioni di immigrati sui quali gravava il reato di clandestinità”. Lo riferisce il procuratore capo, Vito Zincani, a margine del convegno “Diritti e rieducazione nella realtà carceraria modenese”, svoltosi nella casa circondariale Sant’Anna. Al convegno, organizzato dall’Anm e coordinato dal gip Domenico Truppa, hanno partecipato la nuova direttrice del carcere Rosa Alba Casella, il provveditore Nello Cesari, avvocati e magistrati, politici. Per il Comune l’assessore Francesca Maletti. Mancanza di risorse economiche, carenza di organico e sovraffollamento i temi affrontati. Tra i relatori, anche esponenti dei sindacati di polizia penitenziaria. Tutti concordi nel ritenere il Sant’Anna uno dei carceri più affollati di Italia. Secondo quanto riferisce la direttrice Rosa Alba Casella, ieri erano 425 i detenuti rinchiusi in carcere, a fronte di una capienza di appena 220: “Oltre il 70% sono stranieri - aggiunge Casella - per detenzioni sul breve periodo”. Casella si è intrattenuta sui diversi cantieri aperti al Sant’Anna, tra i quali la nuova ala in cui saranno ospitati altri 150 detenuti: “Il rischio - afferma - è quello di un ulteriore sovraffollamento, anche in relazione alla mancanza di un adeguato organico”. Ma è tutto la struttura ad avere numerose criticità: “Stiamo mettendo a norma le docce, ma il Sant’Anna è un penitenziario che ha bisogno di manutenzione. Si sono verificate infiltrazioni di acqua che hanno reso inagibili alcune zone, condizionando la vita di detenuti e agenti”. Al problema del sovraffollamento potrebbe non rappresentare una soluzione nemmeno la scarcerazione (previo esame dei fascicoli) dei molti immigrati accusati del reato di clandestinità. Dopo la pronuncia della Corte europea dello scorso 28 aprile, che ha dichiarato illegittima la detenzione prevista nella Bossi-Fini per gli immigrati che non rispettano l’ordine di allontamento emesso dal questore, sono centinaia i casi ora in esame in Procura: “Non tutti saranno scarcerati - spiega Zincani - a coloro ai quali si sommano altri reati, verrà ridotta la pena”. Quanto alle misure di sicurezza alternative alla detenzione, nel convegno è intervenuto Giuseppe Mazza, magistrato di sorveglianza della casa di lavoro di Saliceta-San Giuliano, dove gli internati hanno lamentato nei giorni scorsi una “condanna all’ergastolo”. Nella struttura sono ospitate persone che hanno espiato la pena e che hanno iniziano percorsi di recupero: “Sono molti i problemi della struttura - afferma Mazza - a cominciare dal fatto che molti internati non sono modenesi, con maggiori difficoltà di ambientamento”. Una media di 90 ospiti, secondo i dati riferiti, per i quali è a disposizione “un’educatrice, una psicologa per otto ore al mese, e una trentina di operatori. Solo 16 i percorsi nei quali gli ospiti possono dimostrare la loro riabilitazione. Di conseguenza i tempi si allungano”. A Saliceta attualmente ci sono circa 60 persone. Massa: stop al reato di clandestinità; già 20 gli immigrati scarcerati Il Tirreno, 22 maggio 2011 Hanno commesso reato di clandestinità, hanno affrontato il processo e - in molti casi - sono finiti in carcere. Ma quel reato per la Corte europea di giustizia non è ammissibile. Così 20 immigrati detenuti a Massa hanno già riacquistato la libertà. E altri la acquisteranno perché la Procura è al lavoro per individuare tutte le persone che stanno scontando la pena per clandestinità nella casa di reclusione cittadina. E alle prese con i fascicoli è il pubblico ministero Federico Manotti che ha il compito di dare esecutività alla sentenza della Corte europea, già accolta dalla prima sessione della Cassazione. La storia. Il reato di clandestinità, introdotto con il pacchetto sicurezza del 2009, prevedeva la reclusione per gli immigrati irregolari. In parole semplici, l’immigrato che non ottemperava all’ordine del Questore di lasciare il paese entro 5 giorni rischiava il processo e il carcere. Sono stati parecchi gli immigrati condannati alla reclusione, da 1 a 4 anni. La decisione dell’Europa. La Corte di Giustizia ha evidenziato un contrasto tra la norma italiana e la direttiva sui rimpatri, ha ritenuto che il reato di clandestinità possa “compromettere l’obbiettivo di instaurare una politica efficace di allontanamento e rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali”. Norma bocciata, dunque. La decisione dell’Europa si applica anche retroattivamente. Ora alle Procure spetta riprendere in mano tutti i fascicoli aperti per il reato di clandestinità. Il pm al lavoro. A Massa è Federico Manotti che si sta occupando di individuare le persone finite in carcere dopo una sentenza che riconosceva il reato di clandestinità. Ha già chiesto al giudice - e ottenuto - la scarcerazione di 20 immigrati e sta verificando quanti siano attualmente quelli ancora detenuti in base alla norma introdotta dal pacchetto sicurezza. A breve, quindi, altre scarcerazioni. Cosenza: telefoni cellulari nel carcere “Cosmai”; indagati otto detenuti e un agente Quotidiano di Calabria, 22 maggio 2011 Otto i detenuti che avrebbero usufruito dei telefonini nel carcere “Cosmai” di via Popilia. Chiusa l’inchiesta che vede coinvolto anche un agente di polizia penitenziaria. La Procura di Cosenza, nella persona del pubblico ministero Giuseppe Casciaro, ha chiuso le indagini sulla consegna di tre cellulari, da parte di un agente di polizia penitenziaria, ad alcuni detenuti, all’epoca dei fatti reclusi nel carcere “Cosmai” di via Popilia. Nove in tutto le persone sotto accusa. Si tratta dell’agente di polizia penitenziaria Salvatore Gabriele, 44 anni di Lattarico, di Erminio Mendico, 38 di Melito Porto Salvo, Fabio Bruni, 29 di Cosenza, attualmente detenuto a Voghera, Vincenzo Ciriello, 51 di Napoli, ora recluso a Caltanissetta, di Luigi Cozza, 33 anni di Vibo Valentia, attualmente recluso a Cosenza, Antonio Albanese, 51 di Rosarno, ora detenuto a Biella, Giovanni Giannone, 42 di Cosenza, detenuto ad Enna, Bruno Dimitri, 23 di Belvedere Marittimo, e di Massimo Imbrogno, 49 anni di Cosenza, ora detenuto a Como. I fatti contestati sarebbero stati commessi dal settembre del 2010 all’8 ottobre dello stesso anno. Caserta: si sente emarginato in famiglia, evade dai domiciliari e si costituisce Adnkronos, 22 maggio 2011 Sentendosi isolato dai suoi stessi famigliari con i quali conviveva ma agli arresti domiciliari da oltre due anni, un pregiudicato di 61 anni, è evaso ma anziché darsi alla fuga, si è consegnato agli agenti del commissariato di Castelvolturno (Caserta). Un vero professionista della truffa, da tempo viveva in un forte disagio tra le mura domestiche a stretto contatto con i suoi famigliari. Ieri non ce l’ha fatta più: ha preparato una borsa con pochi indumenti, un pigiama, biancheria intima, qualche pantalone e maglietta ed è evaso dalla sua abitazione a Castelvolturno. Senza tentennamenti il pregiudicato si è diretto subito in commissariato. Al “piantone” dell’ufficio di polizia ha detto: “voglio ritornarmene in galera, lì starò sicuramente meglio”. Evaso di fatto, il pregiudicato è stato arrestato e condotto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Firenze: si conclude oggi la mostra “Recuperiamoci!”, sul lavoro dei detenuti In Toscana, 22 maggio 2011 Lavoro in carcere: una risorsa per tutti. È il tema della tavola rotonda svoltasi venerdì a Firenze (Fortezza da Basso) a Terra futura, e la filosofia che sta alla base di “Recuperiamoci!”, network solidale - e da settembre 2010 associazione no profit con sede a Prato - all’interno della grande mostra-convegno internazionale dell’economia solidale e delle buone pratiche. Per un anno Paolo Massenzi, presidente e ideatore del network, ha girato l’Italia in lungo e largo con la Jail Mobile, un camper motorhome 7 posti personalizzato che da Prato ha fatto tappa nelle carceri italiane per censire e promuovere le buone attività produttive. Ha così raccolto e catalogato il “made in carcere” di 80 cooperative che producono circa quattrocento prodotti di ogni tipo dall’abbigliamento ai generi alimentari ai mobili. recuperiamoci! torna per il secondo anno a Terra Futura con un fitto programma di eventi e una significativa presenza all’interno (e all’esterno) della fiera. “Un anno di viaggio ci ha aiutato a comprendere che il lavoro in carcere è fondamentale per il recupero delle persone che hanno sbagliato, favorisce la sicurezza sociale e la creazione di eccellenze produttive a basso costo - spiega Paolo Massenzi - i Veri Avanzi di Galera - Jail & Design che presentiamo in questa fiera ne sono la dimostrazione tangibile. La prima ambizione del nostro progetto è potenziare le produzioni che esistono già, usando quello che abbiamo, a partire da quello che buttiamo, in barba a tutti quelli che dicono che non si può fare niente per mancanza di fondi”. Veri Avanzi di Galera - Jail & Design Prodotti ideati dai progettisti di recuperiamoci!, realizzati con materiale di recupero e scarti del carcere e della società, attraverso l’unione dell’esperienza e della sensibilità di più cooperative e delle professionalità acquisite dai detenuti. Dallo scarto al design: borse da coperte strappate del carcere, lampadari dai fari dei muri di cinta, settimini, comodini, librerie, plafoniere e opere d’arte dalle lavatrici e dai computer smaltiti in carcere. L’Emporio &conomia Carceraria Nel Padiglione Spadolini (piano attico area “Z”) recuperiamoci! ha allestito nei tre giorni della fiera l’Emporio &conomia Carceraria uno spazio di oltre 100 mq che ospita tante eccellenze delle realtà produttive carcerarie provenienti da tutta Italia da bambole, magliette, borse, lenzuola, lampade, arredi, biscotti, marmellata, olio, vino, taralli, caffè, tappeti e opere d’arte. Grazie alla rete di recuperiamoci! le richieste di informazioni sui prodotti e di fornitura ricevute vengono direttamente girate alle realtà produttive - cooperative e non - che si occupano poi della produzione. Queste le cooperative sociali presenti: Dolci libertà (Busto Arsizio), Vale la pena (Alba), Made in Jail (Roma), Lazzerelle (Pozzuoli), Pantagruel (Firenze), Via del Campo (Prato), Oikos (Vigevano), Altracittà (Padova), Nuove idee (Prato), Partinverse (Mantova), Campo dei miracoli (Trani), Facoltà di Tessere (Porchiano). La Jail Mobile La Jail Mobile è il camper Anni Ottanta, personalizzato, con cui recuperiamoci! ha fatto il giro dell’Italia (Jail Tour 2010) per conoscere e promuovere tutte le realtà carcerarie italiane a cominciare dalla Dogaia di Prato. Un viaggio da cui poi è nata recuperiamoci! e all’interno del quale circolano le esperienze lavorative esistenti dentro il “pianeta carcere”. Il camper sosterà nei tre giorni della fiera solidale fuori nel piazzale per invitare i visitatori. Laboratori di Buone prassi Nei tre giorni di Terra futura l’associazione ha organizzato una serie di laboratori temporanei di Buone Prassi che si svolgeranno nell’Emporio e nel Padiglione Spadolini (piano attico, area “Buone Prassi”): Degustazioni e pranzi galeotti - Venerdì, sabato e domenica alle 12,30 i “Pranzi galeotti - bontà non più recluse”, per pranzi a prezzi popolari con materie prime biologiche prodotte e cucinate da realtà che occupano detenuti e ex detenuti a cura dell’associazione Nuove idee e della cooperativa “Via del Campo” entrambe di Prato. Laboratorio creativo di Carla Martins (sabato e domenica pomeriggio, e domenica alle 11). La eco designer brasiliana, farà un laboratorio creativo costruendo lampade e piantane con cd usati. “Recuperiamoci!” invita chiunque abbia cd usati, torrette porta cd e dischi in vinile da regalare, a portarli direttamente i giorni della fiera allo stand dell’associazione. L’oro non luccica sabato alle 14 Laboratorio creativo di gioielli innovativi da materiale di recupero Partinverse. Cantieri del recupero domenica alle 15 Laboratorio di creazione lampade e arredi con materiali recuperati a cura di “recuperiamoci!”. Sarà questa l’occasione per presentare la linea Veri Avanzi di Galera - Jail & Design con 10 prototipi di oggetti (arredi, illuminazione, abbigliamento, complementi e accessori) realizzati in carcere con materiali di scarto. La poesia delle Bambole domenica alle 16 Laboratorio di creazione bambole dal carcere di Sollicciano. Cuneo: il concerto dei “Lowlands” per i detenuti del carcere di Alba www.targatocn.it, 22 maggio 2011 Un concerto dei “Lowlands” per i detenuti del carcere di Alba venerdì 20 maggio. La rock band indipendente formata da Edward Abbiati ha già tre album all’attivo “The Last Call”, “Ep Vol.1”, “Gipsy Child” con brani in inglese ed è in tour con date in Italia e in Irlanda. Nella Sala Polivalente della Casa di detenzione il gruppo è accolto dal lungo e caloroso applauso dei reclusi. È un applauso intenso, partecipante, entusiasta, diverso rispetto a quelli cui assistiamo di solito. Un applauso più vivo rispetto agli altri. Il loro entusiasmo sembra amplificato rispetto a chi ha la libertà di vivere questi eventi ogni giorno. Loro sembrano divertirsi, sembrano aver dimenticato il posto dove si trovano. Il concerto serve anche a questo. “Serve a dimostrare che nelle carceri non c’è solo cattività, rissa. Ci sono anche momenti diversi utili a crescere. Le carceri mondi isolati. Le attività servono anche a porre l’attenzione su di essi”, sostiene il comandante della Polizia penitenziaria Gerardo D’Errico presentando l’iniziativa preceduta dalle poesie di uno dei detenuti. È S.M. dentro per rapina. Ora scrive rime. “Ognuno di noi ha delle capacità che vanno ascoltate anche attraverso questi momenti di rieducazione”, sostiene D’Errico prima di leggere “Catania” e far leggere a M.: “Alla figlia mai nata”, “Libertà”, “Lode a te”. Testi pieni di rimpianti e nostalgie confermate quando un giornalista gli chiede: “Qua dentro, cosa ti manca di più? Affetto, amore, libertà?” Lui risponde: “La libertà che li include tutti”. E mentre manca la libertà, la riabilitazione continua nell’”Eco vigneto” della Casa Circondariale albese dove i grappoli di nebbiolo a maggio hanno già preso forma come ci mostra l’agronomo Giovanni Bertello alla guida dei corsi di agricoltura nel carcere dove si produce l’uva per il vino rosso da tavola “Valelapena d’Alba”. Tra un filare e l’altro il pozzo dell’acqua per la serra e l’orto curatissimo dove i detenuti hanno piantato di tutto. “Abbiamo sfruttato ogni angolo disponibile”, ci spiega Bertello mentre tra un solco e l’altro notiamo piantine di fagiolini, pomodori, zucchine, cetrioli, fave, basilico, patate, peperoni, cipolle destinati alla cucina del carcere. A supporto della coltivazione da poco è arrivato un trattore fornito dal Ministero dell’Interno utile al lavoro dei reclusi curatori anche degli angoli verdi interni con roseti, alberi, siepi, rosmarino, lavanda e altro. Droghe: don Zappolini (Cnca); aprire sportello d’ascolto alla Camera, per i parlamentari Asca, 22 maggio 2011 Uno sportello di ascolto sulle droghe da aprire alla Camera dei Deputati. Questa la proposta-provocazione lanciata da Don Armando Zappolini, presidente nazionale Cnca, Coordinamento delle comunità di accoglienza, a margine della presentazione di un libro sulla regolamentazione delle droghe nell’ambito di “Terra Futura”. “Sulla droga - ha spiegato il sacerdote - c’è una forte ipocrisia da parte del mondo della politica. Il Parlamento italiano che produce alcune delle leggi più repressive sulle droghe, è quello in cui invece c’è un buon numero di parlamentari che fanno uso di sostanze”. Per questo “vogliamo aprire uno sportello di ascolto dentro la Camera dei deputati per aiutare i parlamentari che magari hanno problemi con le sostanze”. Secondo il sacerdote, “probabilmente la percentuale del rapporto tra consumatori di sostanze e gente che non ne fa uso in Parlamento è maggiore che in molti quartieri delle nostre citta”‘. Per questo, ha precisato, “abbiamo già avanzato una proposta specifica al Pd”. Secondo Zappolini “è ipocrita credere che il proibizionismo sia l’approccio più efficace per il contrasto alle droghe. In realtà questa è una visione ideologica sbagliata. Il proibizionismo non ha risolto i problemi da nessuna parte e ha invece solo favorito il mercato illegale in mano alle mafie”. Per il presidente del Cnca “il proibizionismo serve solo a produrre leggi criminogene come in Italia, a riempire le carceri di poveracci che potrebbero invece seguire percorsi di recupero. Di un problema sociale ed educativo se ne fa un problema penale. Le politiche proibizioniste hanno fatto tanti morti. La legalizzazione non vuol dire la mancanza di ogni indirizzo ma governare un fenomeno invece di ignorarlo”. Usa: 14enne accusato omicidio di coetaneo condannato ergastolo senza libertà condizionale Ansa, 22 maggio 2011 La Corte suprema dello Stato americano del Wisconsin ha ritenuto legittima la condanna all’ergastolo senza possibilità di ottenere la libertà condizionale per un adolescente di 14 anni, affermando che non si tratta di una punizione “ingiustamente dura ed eccessiva” in caso di crimini efferati. La Corte si è pronunciata sul caso di Omer Ninham, responsabile dell’omicidio di un coetaneo, ma sono oltre 2.200 gli adolescenti che scontano nelle carceri americane la condanna all’ergastolo senza possibilità di ottenere la libertà condizionale. Di questi, circa 73 hanno commesso il crimine quando avevano 13 o 14 anni. Stando alla ricostruzione dei fatti, nel settembre 1998 Ninham decise, insieme a quattro amici, di “punzecchiare” un ragazzo di 13 anni che stava tornando a casa in bicicletta. Ninham e i suoi amici non conoscevano Zong Vang, un immigrato Hmong: lo inseguirono, lo picchiarono e lo bloccarono sulla rampa di un parcheggio vicino, dove continuarono a percuoterlo. Quindi lo afferrarono alle caviglie e ai polsi, lo fecero dondolare avanti e indietro, quindi lo lanciarono nel vuoto. Un passante testimoniò al processo che la caduta di 13 metri di Vang risuonò come “una borsa di cemento bagnato che colpisce il marciapiede”. La corte decise di condannare Omer Ninham all’ergastolo, senza possibilità di libertà condizionale. Ieri, il Annette Ziegler ha affermato che la “punizione inflitta a Ninham è severa, ma non eccessiva”, ritenendo la morte di Zong Vang un “crimine orribile e insensato”. Gli avvocati di Omer Ninham, oggi 26enne, hanno annunciato l’intenzione di presentare il caso davanti alla Corte suprema degli Stati Uniti, sostenendo che la condanna violi la costituzione americana, perché “crudele e inusuale”. Lo scorso anno, la Corte suprema degli Stati Uniti ha ritenuto incostituzionali le condanne inflitte a minori, ma non in caso di omicidio, che non prevedono la possibilità di ottenere la libertà condizionale. Iran: impiccati 5 condannati a morte, magistrato nega motivi politici Ansa, 22 maggio 2011 Cinque uomini condannati a morte per “rapina a mano armata” sono stati impiccati a Isfahan, in Iran, secondo quanto riferisce oggi il sito di notizie Tabnak. Il procuratore di Isfahan, Mohammad Reza Habibi, ha respinto quelle che ha definito “le menzogne diffuse da mezzi di stampa stranieri” secondo le quali si sarebbe trattato di “esecuzioni politiche” e ha affermato che i cinque erano criminali comuni. Le affermazioni del magistrato si riferiscono ad interviste realizzate da televisioni satellitari in persiano basate all’estero con il padre di due dei giustiziati, Mohammad e Abdollah Fathi, secondo il quale i figli erano innocenti ed erano stati condannati sulla base di “confessioni estorte sotto pressione”. Queste cinque impiccagioni, avvenute giovedì nel carcere di Isfahan, portano ad almeno 130 il numero delle esecuzioni capitali in Iran dall’inizio dell’anno, secondo fonti di stampa locali. Nel 2010, secondo le stesse fonti, erano state 179. Ma Amnesty International ha parlato di “almeno 252 esecuzioni” e Human Rights Watch di 388. Libia: liceo di Misurata trasformato in carcere; detenuti un centinaio di fedeli a Gheddafi Adnkronos, 22 maggio 2011 Sono oltre un centinaio gli uomini fedeli al Colonnello libico Muammar Gheddafi attualmente detenuti in un liceo di Misurata trasformato dai ribelli in un carcere. Molti di loro sono stati catturati nel corso degli scontri a fuoco tra l’Armata verde e gli insorti in città, attualmente sotto la giurisdizione del Consiglio nazionale di transizione. Secondo quanto spiegato da un religioso locale che si occupa della prigione, Abdul Hafid Abu Grain, la decisione di tenere questi uomini in una struttura di detenzione è in realtà più un modo per proteggerli da vendette di strada piuttosto che per impedirne la fuga. I prigionieri sono disposti in 20, circa, per ogni classe della struttura a due piani. Dormono su materassi posti a terra e molti di loro consultano testi religiosi. Sono trattati bene, spiega Sheikh Abu Grain alla Bbc, “diamo loro lo stesso cibo che mangiamo noi”. Perché “sono nostri fratelli e nostri figli. Non sono nati come nemici. Gheddafi ha nascosto loro la verità”, prosegue il religioso. I prigionieri sono stati interrogati, come spiega un rappresentante militare dei ribelli a condizione di anonimato. “Vengo trattato bene - dice un giovane soldato che ha una ferita sul ginocchio. Ci era stato detto che Misurata era stata invasa e che noi dovevamo liberarla dai crociati e da al-Qaeda. Ma quando siamo arrivati qui abbiamo scoperto che i nostri superiori ci avevano mentito e che stavamo combattendo con il nostro stesso popolo. Il nostro morale era distrutto. Chi ha avuto la possibilità di scappare lo ha fatto, ma se ti rifiutavi di sparare ti uccidevano”. In merito al futuro di questi detenuti nel dopo Gheddafi, il prigioniero contatto dalla Bbc dice che “sono sicuro di non aver mai puntato il mio fucile contro nessuno a Misurata. Spero che capiscano la mia posizione e che dopo Gheddafi mi dicano che posso tornare a casa”. Tunisia: attivista denuncia; la tortura è ancora una pratica ricorrente nelle carceri Ansa, 22 maggio 2011 Un’attivista per i diritti umani, Radhia Nasraoui, ha denunciato che in Tunisia quella della tortura è una pratica ancora ricorrente a oltre quattro mesi dalla caduta del regime di Ben Ali. “Abbiamo raccolto testimonianze di detenuti che sono stati torturati dopo la rivoluzione, anche di stupri”, ha detto l’attivista in dichiarazioni all’agenzia francese Afp. Secondo Radhia Nasraoui, sono stati torturati anche ragazzi di 14 o 15 anni che hanno preso parte a delle manifestazioni. “Penso che non vi sia la volontà politica di arrestare tali pratiche selvagge”, ha lamentato.