In diretta dal carcere, parlano i “mostri”… davvero solo mostri? di Silvia Giralucci Ristretti Orizzonti, 19 maggio 2011 Ristretti Orizzonti organizza la Giornata nazionale di studi “I totalmente buoni e gli assolutamente cattivi”. Domani, venerdì 20 maggio, ore 9.30-16.30 - Casa di Reclusione di Padova, via Due Palazzi, 35/A - Padova. Chi sono i “mostri” che appaiono nelle prime pagine dei quotidiani come padri assassini, spietati rapinatori di ville, tossicodipendenti incalliti che rubano per vivere? E di che cosa si lamentano, non potevano pensarci prima? “Ristretti Orizzonti”, la rivista del Due Palazzi di Padova punto di riferimento italiano per l’universo carcerario, prova per un giorno a dare la parola proprio a loro, i “mostri”: il ladro incallito, l’uxoricida, il rapinatore di banca che da trent’anni fa dentro e fuori dalla galera, l’assassino che ha ucciso per vendetta. Lo fa mettendoli a confronto con persone che i reati li hanno subiti sulla loro pelle, come Marco Alessandrini, figlio del magistrato ucciso da Prima linea, e Alfredo Bazoli, che perse la mamma nella strage di piazza della Loggia a Brescia. Ma anche con scrittori che hanno vissuto e affrontato il tema del “mostro”. Gaya Ranieri, per esempio, che nel romanzo “Pulce non c’è” ha raccontato la vicenda vera della sorellina autistica e del padre coinvolto nella falsa accusa di molestie sessuali o Lorenzo Pavolini, finalista al premio Strega col suo “Accanto alla tigre” dove racconta la sua ricerca del nonno Alessandro, gerarca fascista impiccato per i piedi a piazzale Loreto, un personaggio molto più complesso di quello tramandato dai libri di storia. Ci saranno le storie dei parenti dei detenuti: dalle difficoltà della madre che vede la figlia inchiodata dalla cronaca a “quel giorno”, senza spiragli per la sua complessa umanità, al difficile rapporto tra un padre appena uscito di galera e una figlia che vuole conoscerlo scandagliato da Davide Ferrario nel romanzo “Sangue mio”. E poi le storie dei detenuti padri che vivono i colloqui in carcere come un momento di recita per non far soffrire ancor di più i figli che sono fuori, e la difficoltà, con i primi permessi, di ricucire relazioni che si sono perse nel tempo, con bambini cresciuti senza di loro. Studenti, insegnanti e detenuti che hanno partecipato a Padova al progetto “Il carcere entra a scuola, le scuole entrano in carcere” che nell’ultimo anno ha portato quasi 5.000 studenti al confronto con i detenuti parleranno con lo scrittore Gianni Biondillo del senso della pena e della possibilità di ricucire lo strappo provocato da debiti, come l’omicidio, che non sono risarcibili. L’obiettivo di Ristretti Orizzonti è dare spazio alla narrazione delle storie dietro ai reati, per scoprire, attraverso un confronto critico, quanto di umano c’è anche in chi compie gesti disumani: non “mostri” ma persone che fanno cose mostruose. Anche perché nessuno può dirsi veramente sicuro che non gli capiterà, un giorno, di diventare o di avere un mostro in famiglia. Partecipano alla discussione Giuseppe Mosconi e Francesca Vianello, docenti della facoltà di Sociologia dell’Università di Padova, Maria Pia Giuffrida, dirigente generale del Dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria e responsabile dell’Osservatorio nazionale sulla giustizia riparativa e la mediazione penale, il sociologo Gianfranco Bettin, la giornalista del Tg2 Daniela De Robert, e Paola Barretta, ricercatrice presso l’Osservatorio di Pavia. Coordinano i lavori Adolfo Ceretti, professore di criminologia dell’Università di Milano-Bicocca, e per la redazione di Ristretti Orizzonti la direttrice Ornella Favero e Silvia Giralucci, figlia di una vittima delle Br e autrice del libro “L’inferno sono gli altri”. Giustizia: Eures; in Italia record di suicidi, per i detenuti rischio 20 volte più alto Ansa, 19 maggio 2011 Nelle carceri italiane si segnala un record di suicidi e tentati suicidi nell’ultimo biennio. Nel 2009, come rileva il rapporto Eures, sono state 72 le vittime di suicidio in cella, il dato più alto negli ultimi 20 anni, Nel 2010 i suicidi sono stati 66, il secondo valore più alto. Inoltre, il rischio suicidio nei luoghi di detenzione è 20 volte superiore a quello tra la popolazione totale. Negli ultimi anni il fenomeno, secondo il rapporto, ha subito un forte incremento così come, in termini relativi, anche il rischio suicidario è aumentato costantemente, passando da 100,2 suicidi ogni 100 mila detenuti nel periodo 1990-1994 a 116,5 nel 2009. Confrontando inoltre il rischio suicidario nelle carceri con quello complessivamente rilevato in Italia (con 5 suicidi ogni 100 mila abitanti nel 2009), il primo risulta dunque di circa venti volte superiore, evidenziando una forte criticità delle condizioni di vita in tale istituzione. Significativo nel 2010 anche il numero dei tentati suicidi, saliti a 1.134, il valore più alto registrato negli ultimi decenni. Giustizia: Radicali; mobilitazione per l’amnistia, detenuti in sciopero di fame con Pannella Ansa, 19 maggio 2011 Cresce la mobilitazione tra i detenuti e i loro familiari per chiedere al governo che venga varato un provvedimento di amnistia “che ponga fine all’illegalità delle carceri italiane e di una giustizia sopraffatta e bloccata da milioni di processi arretrati che danno origine all’irresponsabile amnistia illegale di 170.000 prescrizioni all’anno”. A capeggiare l’iniziativa è Marco Pannella, in digiuno da 30 giorni: in sciopero della fame, a sostegno di Pannella, ci sono anche molti detenuti di Regina Coeli, Rebibbia, Rieti, Fuorni, Poggioreale, Catania Piazza Lanza, Sassari San Sebastiano, Agrigento, Cagliari Buon Cammino, Vercelli, Velletri, di Opera e San Vittore a Milano, Imperia, Ancona, Prato, Ariano Irpino, Venezia, Alessandria, Lanciano e Marassi. “Una partecipazione straordinaria e in continuo aumento anche tra i familiari dei detenuti - spiegano i Radicali - che in più di trecento hanno finora dato la propria adesione allo sciopero della fame per l’amnistia”. La mobilitazione dei detenuti - informa ancora il comunicato dei Radicali - è stata anche al centro della puntata di ieri di Radio Carcere, il programma di Riccardo Arena in onda su Radio Radicale, con ospite Marco Pannella al quale è intervenuto anche Don Andrea Gallo. “La legge per l’amministrazione carceraria non è applicata, le carceri oltre ad essere discarica sociale, sovraffollate, sono case dell’illegalità”, ha dichiarato don Gallo, lanciando un appello a cittadini e associazioni affinché partecipino all’iniziativa del leader radicale “un punto di riferimento massimo per la difesa dei diritti civili degli ultimi e di tutte le persone che stanno in carcere, italiani e stranieri”. “Su di me ha un forte richiamo il digiuno di Pannella, che definirei come un rito, nel senso che non vuol essere solo simbolico, ma una testimonianza che dovrebbe stimolare tutti quegli uomini e quelle donne di buona volontà” , ha concluso don Gallo. Giustizia: l’Associazione Antigone; da 20 anni per la tutela dei diritti dei detenuti Ansa, 19 maggio 2011 È partita dai banchi della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tre la due giorni dedicata ai vent’anni di Antigone, l’associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”. Tema dell’incontro: “Esecuzione della pena, titolarità dei diritti strumenti di tutela”. Così per un giorno a prendere appunti nei banchi dell’università si sono ritrovati garanti locali per la tutela dei diritti dei carcerati, direttori di carceri, professori universitari, insomma addetti ai lavori illustri che di tutela di diritti si occupano tutti i giorni. “La tutela dei diritti in Italia - ha detto Giovanni Tamburino, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma - è molto garantita molto forte sul piano formale. Poi sul piano della sostanza, ovvero quanto questi diritti si traducano effettivamente nell’universo carcerario, è difficile dare una risposta. A volte c’è un gap molto grande”. “Quello della tutela dei diritti - ha spiegato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - è purtroppo un tema di grande attualità. Ossia di fronte ad una situazione di sovraffollamento di quasi 70 mila persone che, stipate in 44 mila posti letto, vivono in condizioni di degrado umano, di dignità calpestata, bisogna puntare su forme efficaci di tutela dei diritti perché questa è una frontiera invalicabile di uno stato di diritto dove la privazione della libertà fa parte dello stato di diritto invece la privazione dei diritti umani no”. Giustizia: intervista a Mauro Palma; Antigone da venti anni contro la società carceraria di Donatella Panzieri Il Manifesto, 19 maggio 2011 “Antigone è una costola del manifesto. È nata dal rifiuto delle leggi d’emergenza e continua a denunciare un sistema politico che cancella le garanzie e soffia sul fuoco dell’insicurezza sociale” Parla il presidente onorario dell’Associazione, oggi rappresentante per l’Italia del Comitato contro la tortura del Consiglio d’Europa. Oggi Antigone compie vent’anni. L’associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale” è una costola del manifesto. Mauro Palma, presidente uscente del Comitato europeo contro la tortura e uno dei fondatori, racconta come e perché questa lunga storia è ancora dannatamente attuale. L’associazione Antigone nasce nel marzo 1991. Quali furono le ragioni dei fondatori e quale era il contesto? Antigone è stata la forma associativa data a un dibattito che coinvolgeva già da vari anni un largo gruppo di operatori del diritto, parlamentari, docenti, intellettuali critici attorno al tema dell’emergenza della giustizia in Italia e dei mutamenti intervenuti nel decennio precedente. Ma il tema forte su cui si avverte la necessità di costituire un’associazione è la percezione di un’inversione di rotta in quella che era stata una conquista di pieno adempimento del dettato costituzionale, con l’ordinamento penitenziario nel 1975 e successivamente nel 1986 (con la legge Gozzini) la sua revisione in senso estensivo delle forme alternative. Alla fine degli anni 80, primi 90 si sente il rischio di un rifiuto. In quel periodo c’erano molte pressioni per rivedere quelle leggi in senso restrittivo. Per questo, in difesa di quei principi ispiratori, nasce Antigone. Il panorama carcerario era ben diverso dall’attuale: i detenuti erano 30.000 a fronte dei 67.000 attuali, eppure già si capiva che la legge sulla droga da poco approvata e l’accentuazione sul tema della sicurezza avrebbero portato i numeri del carcere a crescere con rapidità e soprattutto avrebbero dato alla detenzione la fisionomia di strumento di gestione delle contraddizioni della società, invece che misura da riservare a un numero ben limitato di casi. Proprio sulla sua origine, c’è una radice di contenuto nella scelta del nome: l’eroina di Sofocle. Perché? Il nome deriva dalla rivista che quel gruppo aveva creato in collaborazione con il manifesto nella metà degli anni Ottanta. La rivista Antigone aveva come sottotitolo “bimestrale di critica dell’emergenza”. La scelta del nome Antigone potrebbe essere letta anche in modo un po’ ambiguo, di prevalenza del diritto naturale sul diritto positivo: in realtà nella figura di Antigone, e dunque nella scelta del nome, noi indicavamo il ruolo centrale che l’eroina di Sofocle ha nella critica del potere. In questo continuavamo un lungo percorso di pensiero critico del diritto che ha attraversato il dibattito giuridico italiano e che ha continuato a caratterizzare l’approccio che negli anni l’associazione ha avuto rispetto alla giustizia penale e al carcere. Perché il carcere? Negli anni ‘70 si iniziò a monitorare gli effetti che le nuove norme, a partire dalla legge Reale del 1975, producevano. Con Rossanda, Cacciari, Rodotà, Saraceni e altri costituimmo un Centro di documentazione sulla legislazione di emergenza che seguì e documentò in particolare il processo 7 aprile e il processo alle UCC romane: due casi emblematici dell’estensione abnorme della responsabilità penale e dei conseguenti effetti. Verso la metà degli anni ‘80 venne la rivista, diretta da Manconi, che durò solo tre anni ma che diede un contributo notevole per far allargare il dibattito e superare la dicotomia che allora si presentava tra “irriducibili” e “collaboratori”: una via per chiudere con quel periodo dando comunque una prospettiva a chi era stato partecipe di un fenomeno che pur avevamo politicamente contrastato. Ma il nome venne ripreso poi. Quando nel 1991 costituimmo l’associazione, il riprendere quel nome significò collegarsi, in un mutato contesto, a quell’esperienza. In quel periodo il contributo dei Verdi, di Democrazia Proletaria, di singoli esponenti socialisti e anche comunisti - penso per esempio a Franco Russo, ma anche a Giuliano Vassalli, sempre ottimo e acuto consigliere, o a Nilde Jotti che patrocinò il convegno per l’abolizione dell’ergastolo, una delle prime iniziative della nuova associazione. Dopo questa rievocazione, a distanza di vent’anni, quali sono secondo te le principali tappe, che hanno provocato un complessivo, profondo cambiamento dello scenario nel quale Antigone si muove oggi? La situazione è mutata completamente. Noi siamo partiti dal volere tenere insieme la questione carceraria e la questione penale; in particolare la discussione attorno al nuovo codice penale: un tema che ancora attende di giungere a conclusione, ma che sembra cancellato dall’agenda politica. L’asse è sempre stato di tipo riduzionista: restringere l’area dell’intervento penale, per un diritto penale minimo, cioè limitato a laddove il ricorso penale sia effettivamente necessario e al suo interno restringere il ricorso alla pena detentiva. Molte di queste parole sono diventate oggi quasi slogan, apparentemente accettati da molti. Eppure si è avuta una produzione abnorme di leggi penali e il carcere si è esteso diventando sempre di più, come avevamo previsto, uno strumento di politica del territorio. Si è accentuata la sua caratterizzazione di luogo dove vanno a finire tutte le contraddizioni sociali irrisolte: dalla marginalità all’immigrazione irrisolta fino alla presenza alta di disturbi psichiatrici. Una fotografia di classe che registra il fallimento di altre politiche sociali. Non è però solo un bilancio in negativo, perché senza dubbio l’informazione sui problemi carcerari è cresciuta enormemente: nel ‘91 le associazioni, che si occupavano di carcere erano poche e prevalentemente di impostazione assistenziale. Oggi sono molte quelle che si occupano di analisi e di elaborazione di progetti. Qual è stato il rapporto di Antigone con le istituzioni. E come è cambiato, se è cambiato? Antigone ha sempre cercato di essere elemento di coagulo di vari momenti di pensiero. Questi hanno riguardato l’elaborazione legislativa e dunque il confronto con i parlamentari, il confronto con le università, quindi con tutta quella parte relativa alla sociologia e alla filosofia del diritto, il confronto con magistratura e avvocatura, il confronto con chi ritiene che il problema della giustizia non vada relegato agli esperti, ma coinvolga tutti coloro che hanno a cuore la civiltà del nostro sistema. Antigone dialoga molto anche con l’amministrazione penitenziaria, tant’è che da molti anni è autorizzata a entrare negli Istituti per esaminare la situazione e produce biennalmente un Rapporto di questo suo Osservatorio. Voglio ricordare che già nel ‘97 Antigone propose l’istituzione di un difensore civico per i detenuti: un dibattito da cui sono partite le varie esperienze di Garanti che agiscono per ora a livello locale e che, peraltro, ancora attendono una legge complessiva che ne definisca ruolo e poteri. L’altra interlocuzione che Antigone ha avuto, è con gli organismi internazionali che si occupano della tutela dei diritti delle persone private della libertà: lasciata la presidenza di Antigone, io sono divenuto membro per l’Italia del Comitato europeo che svolge questo compito e questo ha saldato il rapporto tra esperienza nazionale e dibattito europeo. Mai incidenti con l’amministrazione? Solo una volta e risolto in tempi brevi. Un’accusa nel primo anno di governo del ministro Castelli, in cui Antigone venne accusata di vicinanza con gruppi “anarco-insurrezionalisti”. L’immediata solidarietà di un alto numero di parlamentari, di maggioranza e opposizione, produsse le scuse dell’amministrazione e il rinnovo della autorizzazioni per l’Osservatorio. Episodio chiuso. Ma oggi com’è cambiato il confronto? Direi che è rimasto positivo, nel senso che Antigone ha continuato ad essere considerata un interlocutore con cui confrontarsi. È cambiata però la qualità del dibattito e, quindi, anche dell’interlocuzione. Oggi è ben più difficile discutere di abolizione dell’ergastolo o del fatto che le pene edittali in Italia sono tra le più alte in Europa. Nel ‘91 gli ergastolani erano poco più di 400, oggi sono il quadruplo, ma questo non indica né un numero più alto di reati da ergastolo, né una maggiore incisività delle indagini; al contrario la sensazione diffusa nel sociale è di un sistema quasi troppo mite. Non ci si interroga più sui tre quesiti fondamentali: perché punire, cosa punire e come punire. Il carcere è divenuto un elemento simbolico che è fa parte della ricerca di consenso elettorale, con campagne sulla risposta all’insicurezza sociale attraverso la promessa di una presunta maggiore sicurezza individuale. Si insegue la pancia di un senso comune insicuro promettendo durezza e ferocia, un po’ da tutti gli schieramenti. Per questo Antigone ha ampliato la sua attività rivolgendosi di più ai giovani, alle scuole, alla formazione di una diversa attenzione a questi problemi. Non a caso anche fra di noi sono mutate le generazioni degli aderenti, con l’adesione di molti giovani presenti nelle diverse regioni. Oggi, maggio 2011, quali sono le principali linee di lavoro, che Antigone svolge, quali le forme per comunicarle? Gli anni recenti hanno portato a interrogarci su episodi molto gravi, dai maltrattamenti a Bolzaneto, qualificati dallo stesso procuratore in aula come vere e proprie torture, a singoli casi, sporadici, ma gravissimi, che la drammatica vicenda di Stefano Cucchi ha portato alla conoscenza del grande pubblico. Nei Rapporti del suo osservatorio, Antigone ha dato notizia di episodi di violenza riportati da vittime o familiari, su cui chiede efficaci e accurate indagini, che tolgano una anche minima percezione d’impunità. In questo contesto tuttavia ha sostenuto la battaglia che associazioni più grandi, quali Amnesty International, portano avanti per l’introduzione nel nostro codice del reato di tortura. Un altro obiettivo prioritario è l’introduzione, in sintonia con quanto richiesto da un Protocollo alla Convenzione Onu contro la tortura che l’Italia ancora non ha ratificato, di un’autorità indipendente incaricata di monitorare con continuità tutti i luoghi di privazione della libertà. Contro la crescita del numero di detenuti, Antigone è impegnata a costruire una inversione radicale di tendenza, rispetto alle droghe, al reato di clandestinità, alla rilevanza della recidiva per l’accesso alle alternative. Ma il tema più ampio su cui dobbiamo ricostruire un dibattito, nel sociale e nelle istituzioni, è sullo spazio del penale, sul nuovo codice, sulla misura della pena, sul suo ruolo in stretta aderenza con il dettato costituzionale. È un grande tema culturale e politico, prima ancora di essere legislativo. Oggi e domani due convegni a Roma Oggi, giovedì 19 maggio, dalle ore 14.30, presso l’Università di Roma Tre (Facoltà di giurisprudenza, aula 2), via Ostiense 161, “Esecuzione della pena, titolarità dei diritti e strumenti di tutela”, primo incontro che Antigone ha organizzato per festeggiare i venti anni dalla sua fondazione invitando magistrati, costituzionalisti, giuristi, garanti, esponenti di associazioni. Domani, venerdì 20 maggio, dalle ore 9.00, a Roma, alla Sala del Refettorio della Camera dei Deputati, il sociologo francese Loïc Wacquant, professore all’Università di Berkeley, aprirà il convegno: “Giustizia, sicurezza, carcere: gli ultimi vent’anni italiani”. Interverranno, tra gli altri, Franco Ionta, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che parlerà delle politiche della sicurezza e Giuseppe Cascini, Segretario Associazione nazionale magistrati, che, insieme a Valerio Spigarelli, Presidente Unione Camere Penali, discuteranno di politiche della giustizia. L’incontro è coordinato da Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella, conclude Mauro Palma. Lettere: parlare di malagiustizia e malasanità non è il solo problema… di Vittorio Scialpi Ristretti Orizzonti, 19 maggio 2011 Oggi ho appreso del triste decesso del signor Mario Santini, mentre leggevo la notizia, pensando a quello che ha passato mio figlio Graziano, gli occhi si sono appannati dalle lacrime. Un conto e pagare il proprio debito con la pena, altro è scontare sofferenze inutili e gratuite, unicamente, come diceva mio figlio: perché non ci considerano più uomini ma “reati che camminano”. Parlare di malagiustizia e malasanità non è il solo problema. Occorre rimettere al centro della vita l’uomo in quanto tale, con i suoi pregi e i suoi difetti e, ridare dignità alla persona senza sottrargli i diritti fondamentali. Questo era l’ultimo impegno di mio figlio: affinché non capitasse ad altri quello che fosse successo a lui. E questo è l’impegno che intendo portare avanti ad ogni livello. Ai familiari sentite condoglianze. Lettere: sulle carceri troppi dibattiti parlamentari che si esauriscono in un nulla di fatto di Furio Colombo Il Fatto Quotidiano, 19 maggio 2011 Caro Colombo, vedo che oggi (18 maggio) alla Camera, siete di nuovo impegnati in un dibattito sulle carceri. Quanti ce ne sono stati finora? E tutto si concluderà di nuovo con una buona dose di ipocrisia e niente, assolutamente niente che cambia, nelle prigioni più affollate del mondo? Rosa Risposta di Furio Colombo: Diciamo subito che il problema “carceri in Italia” esiste in due modi: nella realtà (e lì avrebbe potuto giacere per un tempo infinito) e nell’ostinazione dei Radicali, che tornano a mettere la questione “carceri” davanti a tutti quando parlano di legalità, quando discutono di diritti umani e civili, quando parlano di giustizia, quando dibattono di governo, quando il tema è l’immigrazione, quando il punto del dibattere è la spesa pubblica e l’economia. E anche quando il discorso riguarda la Costituzione. Proprio nel corso di questo nuovo dibattito alla Camera, è stata Rita Bernardini a ricordare che la Costituzione italiana prevede e condanna la violenza (che può essere attiva o passiva, inflitta da qualcuno o subita dalle condizioni di vita) contro coloro che sono privati della libertà. La giornata di dibattito parlamentare di cui sto parlando è il 18 maggio, l’occasione è la presentazione di mozioni di tutte le parti politiche, più o meno nobili (solo la Lega chiede di “assicurare la concreta attuazione del principio di effettività della pena anche attraverso lo sviluppo in ambito carcerario di più efficaci e moderni sistemi di controllo dei detenuti”, ovvero vuole il braccialetto elettronico in carcere), e il gesto di buona volontà politica consiste in questo: unire le mozioni e far finta che, votando tutti un testo generico, vago e buono, si risolva il problema, almeno per il notiziario politico di domani. Quanto alle carceri, si domanda la radicale Bernardini nel suo intervento: “Ma a che cosa serve? Continueranno i suicidi (ne ricorda il numero impressionante) che coinvolgono persino le guardie carcerarie e per il resto non accade nulla”. Ha ragione. Trascorre un’intera mattina in cui, non viene in mente a nessuno (tranne Bernardini) di ricordare che Marco Pannella, per questa condizione carceraria senza soluzione, sta facendo di nuovo lo sciopero della fame (28esimo giorno). E c’è un governo inerte, distratto, disinteressato e ricco solo di false promesse. È vero, viene approvata a sorpresa una mozione Della Vedova-Granata, piena di buone intenzioni. E, di nuovo a sorpresa, una mozione Pd “disapprovata dal governo” e di nuovo indirizzata a forme di miglioramento. Ci sono poi votazioni in comune, espresse in termini così generici che non cambierebbero nulla, neppure se vi fosse un normale ministro della Giustizia che si occupa di carceri. È vero, viene respinta, di nuovo a sorpresa, la mozione della Lega. Voto unanime in questa strana Camera post elettorale, per la mozione formulata con chiarezza e durezza da Rita Bernardini. E si approvano persino parti della mozione Di Pietro. Però come ha detto la stessa Bernardini più volte nel suo intervento, a che cosa serve se nessuno pone mano al problema carceri, a cominciare dal dove mettere i carcerati? Lo spazio per uomo o donna detenuti era un metro e mezzo ieri e resta un metro e mezzo oggi, e non ci sono progetti per domani. Tranne lo sciopero della fame, che continua nel più quieto silenzio. Emilia Romagna: soldi per ampliare carceri, ma non apriranno mai… manca il personale di Roberto Laghi Il Fatto Quotidiano, 19 maggio 2011 Previsti cinque nuovi padiglioni, per un totale di mille posti e 55 milioni di spesa da parte della Regione. Il Sappe: “Mancano 6.500 agenti, rischiano di rimanere chiusi come già accade a Parma, Rimini e Forlì”. I nuovi padiglioni carcerari annunciati dalla regione Emilia Romagna per far fronte all’emergenza sovraffollamento rischiano di restare chiusi. Lo fa notare il Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, che da tempo denuncia la carenza di personale negli istituti penitenziari nazionali, dove mancano 6.500 agenti. L’ampliamento degli istituti regionali ha avuto il via libera oggi con la firma congiunta del presidente Vasco Errani e di Franco Ionta, Commissario delegato per il Piano carceri, e prevede cinque nuovi padiglioni detentivi, per un totale di mille posti. Ma “se la costruzione di nuove strutture - commenta Gian Battista Durante, segretario del Sappe - non sarà accompagnata da un aumento degli agenti che le facciano funzionare, rimarranno chiuse, come lo sono già alcune strutture della regione a Parma, Forlì e Rimini”. Il provvedimento è stato giudicato insufficiente anche dai consiglieri regionali di Sel Gian Guido Naldi e Gabriella Meo che, pur condividendo l’impegno della Regione, ricordano che la costruzione di nuovi padiglioni non basta a risolvere il problema carceri. Secondo i due consiglieri bisogna anche stanziare fondi per la manutenzione, aumentare il numero degli agenti, predisporre gli spazi e dare incentivi per il lavoro esterno. Le carceri interessate sono quelle di Bologna, Ferrara, Parma, Reggio Emilia e Piacenza (qui i lavori sono già partiti a marzo scorso). Ogni carcere avrà un nuovo padiglione che costerà 11 milioni di euro, per spesa di 55 milioni di euro. “Ogni struttura andrà ad ampliare quelle già esistenti- spiega il commissario Ionta - e avrà quattro cortili di passeggio e una capienza di 200 detenuti. I nuovi padiglioni saranno edificati in tempi rapidi secondo le disposizioni urgenti per la realizzazione di istituti penitenziari stabilite per il Piano carceri”. Al 30 aprile, secondo i dati del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, in regione i detenuti sono 4.146 e il problema del sovraffollamento delle carceri è piuttosto grave. La Uil Pa penitenziari ha recentemente denunciato la situazione di sovraffollamento nelle carceri italiane, che vede l’Emilia Romagna collocarsi al terzo posto della classifica nazionale, dietro soltanto alla Calabria e alla Puglia, con un tasso di affollamento del 73,7% e circa 2.000 detenuti in più rispetto alla capacità di accoglienza delle strutture. La Dozza di Bologna, per esempio, vede la presenza di 1.124 detenuti, nonostante la struttura sia stata realizzata per 497 detenuti a regime regolamentare, e 903 a regime di massima tollerabilità. Il primo cantiere, quello di Piacenza, è già avviato. A breve dovrebbe essere pronto il bando di gara per la realizzazione dei padiglioni delle altre città e, un volta che i lavori saranno affidati, serviranno circa due anni per completarli. Ionta si è inoltre impegnato per realizzare uno studio di fattibilità, in collaborazione con la Regione, per individuare una nuova struttura sanitaria che sostituisca l’attuale Opg di Reggio Emilia, che ospita 321 persone. Questo dovrebbe permettere di ospitare le persone che soffrono di disagio mentale che sono attualmente internate in un padiglione del carcere. Vasco Errani ha espresso soddisfazione per “questa intesa, frutto di un lavoro intenso”, soprattutto perché “occorre fare sempre di più per garantire diritti, pieno rispetto, qualità di vita e di lavoro negli istituti carcerari del nostro paese”. Sardegna: un programma di sostegno per le famiglie dei detenuti Redattore Sociale, 19 maggio 2011 Un finanziamento per sostenere i familiari dei detenuti, costretti ogni giorno a lunghe attese fuori dal carcere di Buoncammino in attesa dei colloqui. Un camper di un’Associazione, oltre a dare riparo e assistenza, diventerà anche un punto d’appoggio. Non solo sostegno psicologico, ma in alcuni casi anche economico. Nasce a Cagliari, finanziato dalla Regione Sardegna, un progetto pilota rivolto ai familiari dei detenuti del carcere di Buoncammino. A proporlo, ricevendo il via libera dell’Assessorato regionale ai Servizi sociali, è stata l’associazione di volontariato “Coordinamento volontariato giustizia Onlus” di Cagliari che ha stretto un accordo con la direzione della casa circondariale del capoluogo. L’idea è quella di incrementare i servizi di assistenza ai detenuti e alle loro famiglie, potenziando anche l’equipe di supporto che ogni giorno lavora tra i reclusi. “In particolare - spiegano dalla Regione - con un autocaravan dell’associazione, acquistato con fondi regionali, non solo si offrirà riparo e generi di conforto ai familiari dei detenuti spesso esposti a ogni genere di condizione climatica, in attesa per lungo tempo, ma anche la costruzione e il mantenimento di relazioni significative in una logica di inclusione sociale”. Il problema è ormai antico. Ogni giorno, in occasione dei colloqui, decine di familiari dei detenuti sono costretti a fare la file fuori dal carcere, arrivando nel cuore della notte per mettersi in fila. La piccola sala colloqui, infatti, non accoglie tutti e dunque è necessario aspettare all’esterno il proprio turno prima di parlare col familiare. Questo ogni giorno, d’inverno e d’estate, col risultato che quando c’è pioggia o freddo il rischio per la salute dei parenti dei carcerati è altissimo. Nel corso degli anni un gran numero di associazioni ha sollevato la questione, anche con una raccolta di firme dei parenti . “L’Assessorato - conclude la Regione - vista la specificità e l’importanza sociale dell’intervento, ha erogato all’associazione un finanziamento annuo che ha consentito di migliorare e potenziare i servizi di assistenza, ritenuti essenziali dall’amministrazione penitenziaria stessa”. L’Assessore regionale Antonello Liori, infine, ha ribadito la volontà di supportare progetti futuri, specie quelli riguardanti attività finalizzate al recupero e al reinserimento socio lavorativo di persone emarginate. Pisa: detenuto in fin di vita; lo dimettono dall’ospedale, muore in cella 2 ore dopo Redattore Sociale, 19 maggio 2011 È successo ieri pomeriggio al “Don Bosco” di Pisa. A Mario Santini era stato diagnosticato un tumore a marzo. Una settimana fa il ricovero in ospedale. Il dottor Ceraudo: “Rabbia e indignazione per questo caso di gravissima malagiustizia e malasanità” Mario Santini, 60 anni, è morto ieri pomeriggio verso le 16 nella sua cella del carcere “Don Bosco” di Pisa, dopo appena due ore che era stato dimesso dai medici dell’Ospedale “Santa Chiara”. Questo è il tragico epilogo di una triste vicenda che lo vede come protagonista, come rifersice l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. Santini era considerato un detenuto a “bassa pericolosità”: assegnato alla Sezione di custodia attenuata “Prometeo”, aveva già fruito di diversi permessi-premio, dai quali era sempre rientrato regolarmente. Ma era anche un uomo gravemente ammalato, debilitato dalla tossicodipendenza e dall’Aids. A marzo, dopo che aveva cominciato a “sputare sangue”, gli era stato diagnosticato un tumore ai polmoni, ormai allo stadio avanzato. Il responsabile sanitario del “Don Bosco” Francesco Ceraudo, che conosceva Santini, si è subito adoperato per fargli ottenere una misura alternativa, o il ricovero ospedaliero senza piantonamento, al fine di garantirgli una cura adeguata. Ma a nulla è valso il suo intervento. Passati due mesi, il detenuto è rimasto in carcere, fino a che, una settimana fa, ha avuto una grave crisi respiratoria. Solo allora è stato condotto all’Ospedale “Santa Chiara”, piantonato dagli agenti di polizia penitenziaria. Ieri mattina i sanitari l’hanno dimesso, rispedendolo in carcere. Alle 14 è rientrato in cella, e alle 16 è morto in seguito a una nuova crisi respiratoria. Per di più, nessuno se ne è accorto inizialmente: il suo corpo senza vita è stato scoperto solo alle 18. “Provo rabbia e indignazione per questo caso di gravissima malagiustizia e gravissima malasanità - afferma il dottor Ceraudo. Da quattro mesi (ndr da quando ha lasciato l’incarico per il pensionamento) il carcere di Pisa è senza direttore sanitario e, in attesa del concorso per la nomina del nuovo funzionario, il servizio medico è precipitato nel caos”. Il responsabile sanitario pretende che siano accertate le responsabilità sulla morte di Santini: “Se fossi stato nei panni del medico Sias che prestava servizio ieri pomeriggio al carcere Don Bosco, non avrei accettato il paziente Santini, avrei dichiarato la sua totale incompatibilità con il regime detentivo e l’avrei rimandato all’ospedale”, conclude Ceraudo. Con la morte di Mario Santini salgono a 65 i decessi in carcere dall’inizio del 2010. Nella Casa Circondariale di Pisa l’ultimo decesso risaliva al 5 settembre 2010, vittima il 33enne Moez Ajadi, sulla cui morte fu aperta un’inchiesta che ne identificò la causa in una overdose da farmaci. Callaioli (Garante detenuti): “non etico” farlo rimanere in carcere viste condizioni di salute Un detenuto di 60 anni residente a Pistoia, è morto ieri pomeriggio nel carcere Don Bosco. L’uomo, che era allo stadio terminale di un cancro polmonare ed era affetto da hiv, era stato dimesso da circa due ore dall’ospedale santa Chiara di Pisa in quanto dichiarato paziente lungo degente. A darne notizia è stato il garante per i diritti dei detenuti, l’avvocato Andrea Callaioli che ha dichiarato: “Un uomo nelle sue condizioni non doveva morire in carcere per questioni etiche”. Sempre stando ad una prima ricostruzione fatta da Callaioli, l’uomo sarebbe stato dimesso perché “nella struttura ospedaliera civile non si potevano fare trattamenti clinici e neppure trattamenti di cura del dolore visto il livello avanzato della malattia ed erano necessari solo interventi di mantenimento”. L’uomo in ospedale è sempre stato piantonato in quanto il giudice di sorveglianza non aveva disposto la sospensione dell’esecuzione penale e quindi una volta dimesso è rientrato in carcere. “Purtroppo - ha detto Callaioli - l’uomo non aveva una famiglia ed era difficile ricollocarlo nel breve tempo in una struttura diversa da quella carceraria”. Il detenuto deceduto avrebbe finito di scontare la pena detentiva per lesioni dolose aggravate nel 2013. La procura di Pisa ha disposto l’autopsia ed è stato aperto un fascicolo dal pm Miriam Romano. Il Comandante: ci siamo accorti subito della morte di Mario Santini Sono il Commissario Marco Garghella, Comandante del reparto di Polizia Penitenziaria della casa Circondariale di Pisa; quotidianamente attraverso la vostra newsletter vengo a conoscere notizie utili sul mondo in cui lavoro e ho sempre apprezzato il vostro costante impegno, non solo sotto l'aspetto dei risultati trattamementali ma anche come fonte informativa interessante e completa. Non posso esimermi dal notare come, nel riportare la notizia del decesso del detenuto Mario Santini, abbiate riferito una circostanza completamente falsa ed irreale, il fatto cioè che nessuno si sarebbe accorto della morte del povero Santini per ben due ore. Evidentemente siete stati informati da qualcuno che ha interesse ad alimentare tensioni e sospetti, ed a gettare ombre sui medici del Don Bosco che solo nei due ultimi mesi hanno salvato la vita ad almeno tre detenuti, in un caso rianimando un detenuto che aveva tentato l'impiccamento strappandolo letteralmente alla morte. Il sottoscritto è stato chiamato e si è precipitato in carcere alle ore 16,30, per informare immediatamente il magistrato - Pubblico ministero di turno. Con lo stesso coraggio che mostrate quotidianamente nel rappresentare la nostra complessa e a volte "feroce" realtà vi invito a pubblicare questo mio messaggio. Venezia: ubicazione del nuovo carcere in terraferma; ultimatum del Commissario Ionta Il Gazzettino, 19 maggio 2011 “Se entro la prima quindicina di giugno non arriveranno proposte alternative a Campalto, nei giorni immediatamente successivi verrà avviata la fase di progettazione esecutiva per la realizzazione del nuovo carcere veneziano nell’ex struttura militare di Via Orlanda”. Con queste parole Franco Ionta, commissario straordinario del Piano carceri, ha comunicato al presidente del Consiglio comunale Roberto Turetta che l’ha incontrato l’altro ieri a Roma, la decisione di dare avvio quanto prima ai lavori della nuova casa circondariale veneziana. “Il commissario si rende conto che il dibattito consumato finora in città ha prodotto una sostanziale difficoltà di accettazione del sito di Campalto - ha precisato Turetta - ma di fronte a questa situazione gli sono rimaste solo due opzioni: agire con autorità (prerogativa, peraltro, possibile per un Commissario straordinario) oppure fare un ulteriore tentativo di condivisione, se non totale, il più largo possibile”. La “filosofia” politica del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è stata, fin dall’inizio, orientata verso la condivisione con la città, ma visto che da dicembre dell’anno scorso ad oggi non sono pervenute al tavolo del commissario proposte ritenute delle valide alternative a Campalto, Ionta ha deciso di concedere ancora tre settimane di tempo affinché il Comune formuli una proposta diversa da quella indicata nel Protocollo d’intesa sottoscritto con la Regione Veneto e con il riscontro positivo di idoneità da parte del Comune di Venezia, ovvero il sito demaniale di Via Orlanda a Campalto. Nel corso dell’incontro avvenuto l’altro ieri a Roma, il Commissario ha precisato che per quanto riguarda l’istituto di pena da realizzare nell’ex area militare campaltina, ritiene, in mancanza di indicazioni diverse, di poter indire la gara d’appalto dei lavori prima della fine dell’anno in corso. Se il consiglio comunale deciderà di convocarsi per formulare una proposta alternativa a Campalto, il Dipartimento dell’amministrazione carceraria metterebbe, comunque, a disposizione delle proprie figure tecniche per supportare il dibattito e l’eventuale scelta che il consiglio dovesse fare. “Il commissario si è raccomandato - ha aggiunto Turetta - di fare presto, in modo che il soggetto attuatore del Dipartimento possa verificare la fattibilità di una scelta diversa e sottoporla come alternativa al sito di Via Orlanda”. Tra le forze politiche e i vari comitati sorti per contrastare la scelta di Via Orlanda, sale intanto la tensione. Saverio Centenaro (Pdl) ha ribadito il no del suo raggruppamento al progetto di Campalto, riconfermando l’ipotesi di Forte Pepe in località Cà Noghera. “Ho già inoltrato richiesta di convocazione urgente del Consiglio comunale - ha precisato il consigliere d’apposizione - in modo che ci possa esprimere a favore di una scelta diversa”. “Più di mille persone sono scese in strada qualche mese fa per dire che quella di Campalto è una scelta sbagliata, ma sembra che il parere della gente conti sempre meno” è stato l’amaro commento raccolto tra gli aderenti del comitato “Cittadini per Campalto”. Nella nuova struttura 4-500 detenuti Il sito demaniale di Via Orlanda a Campalto, sul quale il Commissario straordinario per il Piano carceri Franco Ionta, d’intesa con la Regione Veneto e con il riscontro positivo d’idoneità del Comune di Venezia, ha deciso di realizzare la nuova casa circondariale veneziana in sostituzione di Santa Maria Maggiore, ha una superficie territoriale di 198.836 metri quadrati. È un’ex struttura militare a ridosso della gronda lagunare, attualmente utilizzata come parcheggio di automezzi dimessi di proprietà dell’Esercito italiano. La classificazione d’uso e di “impianto militare”, ma non sarà necessario operare alcuna Variante per potervi costruire l’istituto di pena. È, infatti, nei poteri del Commissario straordinario il cambio di destinazione d’uso in presenza di carattere emergenziale, come è, appunto, la situazione carceraria in Italia. Il progetto del nuovo complesso di detenzione non è, al momento, stato ancora reso noto dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, si sa solo che il nuovo carcere potrà ospitare tra i 400 e i 500 detenuti. E Santa Maria Maggiore ospiterà i detenuti in attesa di giudizio Campalto in sostituzione di Santa Maria Maggiore? Fino a ieri sembrava fosse così e che la nuova casa circondariale da costruire in terraferma potesse sostituire totalmente la vecchia struttura della città storica. Invece le indicazioni sono altre, secondo quanto ha comunicato il Commissario straordinario per il Piano carceri Franco Ionta al presidente del Consiglio comunale Roberto Turetta, durante l’incontro svoltosi l’altro ieri a Roma presso il Dipartimento dell’amministrazione carceraria. Santa Maria Maggiore non diventerà, dunque, la sede della Corte d’Appello di Venezia, come proposto dal sindaco Giorgio Orsoni, o qualsivoglia altro complesso a servizio della città, bensì una struttura di supporto al nuovo carcere per ospitare i detenuti durante le fasi processuali. Per rendere più snelli, veloci e sicuri i trasferimenti dei carcerati dal luogo di detenzione al tribunale, verrebbe, quindi, utilizzata la vecchia sede carceraria per “alloggiare” coloro che hanno il processo in corso. “I nuovi istituti, undici in tutta Italia, tarati su capienza variabile tra le 400 e le 500 unità - ha spiegato il commissario - servono per operare interventi di deflazione della situazione di difficile vivibilità delle attuali case circondariali, che verrebbero mantenute esclusivamente per la detenzione nelle fasi processuali”. Ciò accadrebbe anche per Venezia, per cui la struttura di Santa Maria Maggiore, avendo funzioni di detenzione temporanea, resterebbe in capo al Dipartimento penitenziario. Il consiglio comunale aveva a suo tempo proposto, come alternativa alla scelta di Campalto, di ristrutturare l’attuale carcere in modo da renderlo più vivibile ma il commissario ha tagliato corto. “Non ci sono le condizioni per contrattare soluzioni diverse - ha precisato - per cui l’attuale istituto di pena fungerà da struttura di supporto al nuovo carcere che verrà costruito in terraferma”. Bari: progetto per il raddoppio del carcere. la maggioranza verso il no in Consiglio La Repubblica, 19 maggio 2011 La maggioranza dice no al progetto di realizzazione del nuovo carcere o comunque subordina il piano alla dimissione dell’ attuale istituto penitenziario. È questo l’orientamento dello schieramento di centrosinistra chiamato in consiglio comunale a esprimersi sul caso. Perplessità anche dal centrodestra. Il progetto del ministero della Giustizia prevede la realizzazione di un carcere “leggero” per detenuti comuni nella zona del tondo di Carbonara. Il finanziamento previsto è di 40 milioni di euro che con il no del Comune rischiano di saltare. Palazzo di Città deve esprimere un parere non vincolante e il sindaco Emiliano ha investito della questione il consiglio comunale. Ma la posizione della maggioranza è chiara: il nuovo carcere potrà essere realizzato solo a patto che l’ attuale venga dismesso con il recupero dell’area. Il Sindaco si prende altri 15 giorni per esprimere un parere L’avevamo annunciato che il Consiglio comunale di ieri sarebbe stato fondamentale per la questione nuovo carcere nella nostra città. La discussione è durata ben 3 ore, per giungere, poi, ad una conclusione che ha tanto l’aria di vittoria per l’opposizione e di pezza a colori per il Sindaco Emiliano. La questione è la seguente. Per porre rimedio all’emergenza carceri, il Governo nazionale ha stanziato 40,5 milioni di euro per realizzare un nuovo carcere che possa ospitare 450 detenuti. Si è avviato così un tavolo di concertazione tra Ministero della Giustizia, Regione Puglia e Comune di Bari al fine di identificare un’area idonea ad accogliere la nuova struttura. In base ad una serie di requisiti richiesti dal Governo nazionale, la zona Sud del quartiere Carbonara di Bari sembrava essere l’unica soluzione per la maggioranza di Emiliano, e proprio ieri il Consiglio comunale avrebbe dovuto esprimere un parere su tale scelta. L’opposizione non aveva di certo perso tempo nei giorni scorsi, e aveva presentato una proposta di emendamento con cui chiedeva di spostare la costruzione del nuovo carcere nella stessa area su cui dovrebbe sorgere la Cittadella della Giustizia. La raccolta firme promossa da un gruppo di cittadini residenti nel quartiere Carbonara, l’annunciata dichiarazione di voto contrario del consigliere Loiacono e del suo gruppo, e il dibattito di ieri sera, hanno portato però il sindaco Emiliano a ritirare la delibera. Probabilmente perché le critiche mosse dall’opposizione non erano poi così assurde. Lo stesso consigliere Peppino Loiacono, capogruppo della Lista Simeone, ha fatto notare in un intervento come la proposta del centrodestra non fosse casuale, ma alquanto ponderata, e che agendo in tal senso, l’Amministrazione comunale, e quindi i cittadini baresi, potrebbero risparmiare 8 mln di euro, dato che si tratta di un terreno agricolo. Il consigliere Marcello Gemmato (Pdl), da sempre attento alle esigenze dei giovani, ha fatto notare come nel Piano Triennale delle Opere Pubbliche sia previsto sul territorio di Carbonara un intervento per 82 mln di euro per edilizia universitaria, proprio quel territorio che ieri il Sindaco Emiliano proponeva come deputato per la costruzione della nuova casa circondariale. Questo cosa significa, che si preferisce una nuovo carcere ad una struttura universitaria? Messo alle strette, Emiliano ha così ritirato il provvedimento è ha aperto un nuovo tavolo di concertazione tra maggioranza e opposizione per giungere finalmente ad una proposta condivisa e definire una nuova area. Sorpreso della svolta serale del primo cittadino, Roberto Carbone, Presidente della Commissione Urbanistica, sottolinea che il Sindaco di Bari non era affatto tenuto a sentire il parere del Consiglio Comunale e che a lui spetta la decisione finale, decisione, tra l’altro, non vincolante. Apprezza, quindi, il modus operandi messo in atto dal Sindaco, il quale “ha dovuto fare senza dubbio una scelta strategica, valutando più opportuna una soluzione condivisa. L’auspicio - continua Carbone - è che si giunga ad una soluzione che veda da un lato l’accoglimento della proposta di insediare il nuovo carcere nella zona già individuata per la costruzione della Cittadella della Giustizia, e dall’altro, la costruzione di un unico nuovo carcere per la città di Bari”. Alghero: pochi agenti e troppi detenuti, dietro le sbarre situazione insostenibile La Nuova Sardegna, 19 maggio 2011 La casa circondariale scoppia e ora il Sappe, sindacato delle guardie carcerarie, si rivolge al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, a muso duro: “Così non si può andare avanti”. Secondo i dati ufficiali, nel carcere di Alghero al momento sono recluse 200 persone, a fronte di una capienza che ne prevede non più di 150. “Un sovraffollamento - spiega Roberto Martinelli, vicesegretario nazionale del Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria - che non soltanto impedisce una normale funzione rieducativa, ma che oggettivamente mette in discussione la dignità di chi sta pagando per le proprie colpe”. Una situazione alla quale va a sommarsi la carenza del personale di sorveglianza. “Su un organico ottimale di 92 agenti - continua Martinelli - quelli in forza al carcere di Alghero sono appena 72, tra i quali non pochi distaccati, per un totale di appena 44 uomini impiegati per i turni nell’arco delle 24 ore”. Non sorpende, dunque, che tra le guardie penitenziarie ci sia chi non fa le ferie dal 2008 o che gli straordinari siano di 40 ore a testa. Sempre secondo il Sappe, la situazione lavorativa nel carcere di Alghero sarebbe al limite della tolleranza. “Attualmente - si legge nel documento inviato alle istituzioni competenti - in ogni turno vengono impiegati sei o sette colleghi, che però la notte diventano quattro o cinque”. Praticamente, meno della metà rispetto ai quattordici previsti. Il che, si capisce, crea non pochi disagi. “Anche perché - aggiungono dal sindacato - durante il servizio a turno le guardie devono provvedere pure allo svolgimento delle visite ambulatoriali esterne dei detenuti o all’accompagnamento di questi ultimi nei tribunali o in altri penitenziari”. Con prevedibili conseguenze nefaste se, magari durante la notte, si dovesse verificare qualche evento critico. Tuttavia, la sicurezza e l’ordine all’interno del carcere sarebbero comunque garantiti, sebbene a costo di turni faticosi. Ad affermarlo con assoluta certezza è il commissario Gesuino Meloni, che in questi giorni - in assenza del direttore Francesco D’Anselmo, ancora in attesa di conferma, e del comandante Antonello Brancati - è di fatto il responsabile della casa circondariale. “Non nego - commenta Meloni - che con una ventina di colleghi in più la situazione sarebbe migliore, ma in tutta sincerità devo dire che la sicurezza all’interno del carcere non è mai stata messa in discussione. E qualora si dovessero verificare emergenze notturne, con detenuti che devono essere trasportati in qualche ospedale, si avverte un’ambulanza del 118 alla quale viene assegnata una guardia che a sua volta è immediatamente sostituita da un’altra unità richiamata in servizio per l’occasione”. Stando al commissario Meloni, sarebbero in fase di completamento anche i lavori di ristrutturazione dei precari ballatoi della sezione “D”, dove sono detenute ventiquattro persone. Catanzaro: Ugl al provveditore delle carceri; preoccupano condizioni di lavoro agenti Ansa, 19 maggio 2011 Una delegazione della segreteria regionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, composta dal segretario regionale, Andrea Di Mattia, e dal delegato regionale, Carlo D’Angelo, ha incontrato il provveditore della Calabria, Nello Cesari. Nel corso dell’incontro, è scritto in una nota, i sindacalisti hanno manifestato “le preoccupazioni per le condizioni lavorative dei poliziotti penitenziari in servizio negli istituti della regione; condizioni che non sfuggono, purtroppo, alle ataviche criticità che contraddistinguono il sistema penitenziario nazionale, tra cui giova ricordare l’abnorme sovraffollamento delle carceri, la preoccupante carenza di personale e turni di servizio espletati su 3 quadranti orari, ossia su 8 ore giornaliere”. Al riguardo è stata segnalata la situazione del carcere di Cosenza, “uno dei pochi istituti (se non l’unico) della Calabria dove fino a pochi giorni fa il personale espletava turni da 6 ore, come previsto dalla normativa pattizia e di settore. Purtroppo, l’apertura di un nuovo padiglione detentivo (che non sembra, per la verità, aver rappresentato la tanto agognata panacea ai problemi del sovraffollamento dell’istituto) ha mutato la situazione tanto da spingere i componenti la delegazione a richiedere un incremento delle risorse umane a disposizione della stessa casa circondariale”. Nel corso dell’incontro è stata anche ‘invocata la necessità di nominare un Provveditore titolare che garantisca e stabilisca corrette relazioni sindacali, allo stato inesistentì. Parrma: Libè (Udc); assumere agenti mancanti, per dare dignità alla detenzione Dire, 19 maggio 2011 L'Unione di centro per il terzo polo incalza il Governo sul problema della carenza di agenti di Polizia penitenziaria nelle carceri dell'Emilia-Romagna e in particolare nella casa circondariale di Parma. Sul tema, è stata presentata questa mattina un'interpellanza urgente dal deputato Mauro Libè (Udc per il terzo polo), che durante la seduta della Camera ha incalzato il sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati chiedendo quali siano le intenzioni del Governo e sollecitando l'adeguamento della pianta organica del personale di Polizia penitenziaria del carcere di Parma. "Il Governo sa bene che la situazione dell'Emilia-Romagna è difficile in quanto il sovraffollamento delle carceri è più forte che in altre parti" esordisce Libè. Poi parla di "alcune situazioni specifiche", quella di Parma appunto, in cui occorre un intervento immediato: nel carcere parmense, afferma Libè, "al di là delle strutture che sono state in alcune parti anche ristrutturate, vi è una carenza di organico che ormai è congenita e non si puo' dire neanche che sia straordinaria". Questo ha ricadute "sulla situazione dei carcerati ma ancor più su quella delle forze che devono intervenire per la buona gestione del settore". Ecco dunque il senso dell'interpellanza di Libè: sapere dal sottosegretario Casellati "quali siano le intenzioni del Governo per ripristinare una corretta situazione all'interno di queste strutture al fine di restituire dignità a tutti, prima di tutto agli operatori e in secondo luogo - ma non secondo a importanza - ai carcerati". Questo per "dimostrare una volta per tutte che la giustizia non è diversa per i potenti rispetto ai poveracci". Reggio Emilia: vuole tornare in carcere per non farsi mantenere dai genitori Adnkronos, 19 maggio 2011 Finito agli arresti domiciliari per stupefacenti ha preteso a tutti i costi di tornare in carcere perché non voleva essere mantenuto dai genitori. E per essere maggiormente convincente è arrivato a minacciare che in caso contrario avrebbe ucciso un proprio familiare. I carabinieri della stazione di Castelnovo Sotto, in provincia di Reggio Emilia, hanno così inviato una relazione al competente gip del Tribunale di Parma che aveva concesso al giovane i domiciliari. E il giudice con un provvedimento lampo ha disposto il ripristino della custodia cautelare in carcere considerando la situazione di pericolo per i familiari del giovane. E così ieri pomeriggio i carabinieri hanno eseguito il provvedimento nei confronti del 23enne Omar Loukili. Il giovane era stato arrestato nel novembre dello scorso anno a Berceto, in provincia di Parma, perché trovato in possesso di circa 25 grammi di cocaina. E a fine gennaio aveva ottenuto gli arresti domiciliari. Firenze: il camper di “Recuperiamoci!” approda alla Fortezza Da Basso In Toscana, 19 maggio 2011 Da domani - venerdì 20 - a domenica a “Terra futura” allestito l’Emporio con le produzioni carcerarie da tutta Italia e poi incontri, laboratori e “pranzi galeotti”. In arrivo a “Terra futura” da domani alla Fortezza da Basso di Firenze il camper Anni Ottanta di “recuperiamoci!” il network solidale e da settembre 2010 associazione no profit con sede a Prato - delle esperienze lavorative esistenti dentro il “pianeta carcere”. Il camper (“Jail Mobile”) sosterà nei tre giorni della grande mostra-convegno internazionale dell’economia solidale e delle buone pratiche, nel piazzale per invitare i visitatori. Per un anno Paolo Massenzi, presidente e ideatore del network, ha girato l’Italia in lungo e largo con la “Jail Mobile” a cominciare dalla Dogaia di Prato. Ha fatto tappa nelle carceri italiane per censire e promuovere le buone attività produttive. Ha così raccolto e catalogato il “made in carcere” di 80 cooperative che producono circa quattrocento prodotti di ogni tipo dall’abbigliamento ai generi alimentari ai mobili. Adesso “recuperiamoci!” compie un anno e a “Terra Futura” si presenta con un fitto programma di eventi e una significativa presenza all’interno (e all’esterno) della fiera. Nel Padiglione Spadolini (piano attico area “Z”) “recuperiamoci!” ha allestito nei tre giorni della fiera l’Emporio &conomia Carceraria uno spazio di oltre 100 mq che ospita tante eccellenze delle realtà produttive carcerarie provenienti da tutta Italia da bambole, magliette, borse, lenzuola, lampade, arredi, biscotti, marmellata, olio, vino, taralli, caffè, tappeti e opere d’arte. Grazie alla rete di “recuperiamoci!” le richieste di informazioni sui prodotti e di fornitura ricevute vengono direttamente girate alle realtà produttive - cooperative e non - che si occupano poi della produzione. Queste le cooperative sociali presenti e i prodotti Dolci libertà: pasticceria e cioccolateria (Busto Arsizio), Vale la pena: vino (Alba), Made in Jail: magliette e serigrafia (Roma), Pazzerelle: caffè (Pozzuoli), Pantagruel: bambole (Firenze), Via del Campo: ortaggi biologici (Prato), Oikos: sartoria (Vigevano), Altra città: carta riciclata (Padova), Nuove idee: marmellate (Prato), Partinverse: gioielli con materiali di recupero (Mantova), Facoltà di Tessere: tappeti (Porchiano). Proprio all’Emporio farà la sua prima uscita pubblica la linea “Veri Avanzi di Galera-Jail&Design” Prodotti ideati dai progettisti di “recuperiamoci!”, realizzati con materiale di recupero e scarti del carcere e della società, attraverso l’unione dell’esperienza e della sensibilità di più cooperative e delle professionalità acquisite dai detenuti. Dallo scarto al design: borse da coperte strappate del carcere, lampadari dai fari dei muri di cinta, settimini, comodini, librerie, plafoniere e opere d’arte dalle lavatrici e dai computer smaltiti in carcere. Degustazioni e pranzi galeotti - Da domani fino a domenica alle 12,30 saranno prepararti “Pranzi galeotti - bontà non più recluse”, per pranzi a prezzi popolari con materie prime biologiche prodotte e cucinate da realtà che occupano detenuti e ex detenuti a cura dell’associazione Nuove idee e della cooperativa “Via del Campo” entrambe di Prato. Tra gli altri appuntamenti di “recuperiamoci!” a Terra Futura: sabato 21 maggio dalle 10,30 alle 13 nella Sala delle Polveriere “recuperiamoci!” ha organizzato la tavola rotonda “Lavoro in carcere: una risorsa per tutti”. Roma: Uisp; Vivicittà nelle carceri, domani si corre a Rebibbia Dire, 19 maggio 2011 Prosegue Vivicittà nelle carceri, la manifestazione podistica dell’Uisp-Unione italiana sport per tutti che porta lo sport negli istituti penali e minorili di tutta Italia. Domani si correrà a Roma, presso la casa circondariale Nuovo complesso di Rebibbia, l’istituto di reclusione maschile che ospita oltre 1.700 detenuti. È quanto si legge in una nota dell’Uisp. Lo start della corsa è previsto alle ore 16 dallo spazio all’aperto interno al carcere e adiacente all’area verde generalmente destinata ai colloqui con i familiari, spiega la nota. Ai nastri di partenza circa 50 detenuti, insieme a una quarantina di atleti esterni provenienti da 8 società sportive del territorio, già impegnate al fianco dell’Uisp Roma con attività sportive nelle carceri. Si corre lungo un tracciato di due chilometri che costeggia le mura interne dell’istituto, da ripetere sei volte per un totale di 12 km, la distanza classica di Vivicittà, continua la nota. Inoltre viene allestito un percorso più breve, di quattro chilometri. La manifestazione è organizzata dall’Uisp con l’intento di gettare un ponte tra l’esterno e l’interno delle mura dove l’associazione è l’unica presente tramite il circolo “La Rondine”, suo affiliato. Come consuetudine al termine della gara si terranno le premiazioni con la distribuzione delle coppe per i vincitori e le medaglie per tutti i partecipanti, conclude la nota. Partecipano all’evento il direttore del carcere, Carmelo Cantone, il garante dei diritti dei detenuti della regione Lazio, Angiolo Marroni, e il comandante del reparto di Polizia Penitenziaria del Nuovo complesso, Massimo Cardilli. Immigrazione: il Viminale vieta l’accesso dei giornalisti nei Cie Redattore Sociale, 19 maggio 2011 Con una circolare del ministero dell’Interno si limita l’ingresso ad alcune Ong e a parlamentari, “fino a nuova disposizione”. Il giurista Paleologo: “Illegittimo e grave”. Giornalisti respinti dai Centri per gli immigrati ed esercizio del diritto di cronaca precluso a tempo indeterminato. Così l’emergenza immigrazione diventa anche un problema per la libertà di stampa. Con una circolare a firma del Ministro dell’Interno, (prot. n. 1305 del 01.04.2011) inerente l’accesso ai Centri per immigrati, il Viminale consente, “fino a nuova disposizione”, l’ingresso alle strutture di accoglienza e a quelle di detenzione “esclusivamente” a soggetti pubblici (ad esempio organismi internazionali quali Oim, Cri, Amnesty International, Caritas) e a individui singoli come parlamentari europei, deputati e senatori della Repubblica e consiglieri regionali. Sulla base di questa circolare interna, le prefetture ci hanno negato l’accesso ai Cara e ai Cie di Roma Ponte Galeria, di Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto, di Trapani e di Brindisi. “Il 13 maggio 2011 mi è stato negato l’ingresso nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, a Catania, al seguito di due parlamentari (Marilena Samperi e Giovanni Burtone, Pd) che sono entrati per visitare il Cara dove sono attualmente ospitate circa 1.800 persone sbarcate a Lampedusa dalla Libia e che hanno chiesto asilo politico al nostro paese - dice il giornalista Gabriele Del Grande, fondatore del blog Fortress Europe - Ricordo che per cancellare il diritto di cronaca in questo paese è bastata una circolare ministeriale, che con un solo colpo di spugna ha cancellato la possibilità di raccontare quanto accade nei centri”. Si tratta di strutture in cui vengono spese montagne di soldi pubblici. Ad esempio, al Cara di Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto (Kr), che prima dell’istituzione del mega centro di Mineo era il più grande d’Europa con una capienza di quasi 1500 posti, arrivano 28,88 euro per ospite. La media è di 700 presenze, che fanno 20.216 euro al giorno, oltre sette milioni di euro l’anno. Nessuno sa la cifra pro capite stanziata alla Croce Rossa Italiana per il centro di Mineo (Ct), su cui si sono espresse negativamente sia le associazioni umanitarie che si occupano di rifugiati, sia sindaci di comuni che ospitano i profughi con il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Somma che lievita ancora perché bisogna aggiungere il compenso per l’affitto alla ditta Pizzarotti di Parma, proprietaria della struttura. “Per quanto riguarda i Cara, è illegittimo vietare l’accesso ai giornalisti” commenta il giurista Fulvio Vassallo Paleologo dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione. “I centri di accoglienza non sono chiusi, i richiedenti asilo possono uscire e allora non si capisce perché non possono entrare i giornalisti - spiega -il fatto che la circolare richiami congiuntamente i centri di accoglienza e quelli di identificazione e di espulsione, conferma la trasformazione in atto delle strutture di accoglienza in centri di detenzione”. Secondo il docente di Diritto di asilo dell’Università di Palermo “l’aspetto più grave svelato dal divieto d’accesso per la stampa è proprio questa assimilazione tra Cara e Cie, che al contrario sono strutture giuridicamente diverse”. Nei Cara infatti sono ospitati i richiedenti asilo in attesa che la commissione territoriale competente esamini la loro domanda di protezione internazionale. Nei Cie vengono reclusi fino a sei mesi i migranti che non hanno ottemperato al decreto di espulsione dall’Italia, in attesa di essere identificati e rimpatriati. “Come si faceva dal 1998 al 2008 occorre creare regione per regione dei gruppi di monitoraggio composti da parlamentari anche regioali in collegamento con avvocati e giornalisti - sostiene Paleologo. L’invito che si rivolge a quella politica che ancora dice di interessarsi di diritti umani è di mettersi in collegamento con la società civile per fare uscire dai centri le storie di soprusi, come è successo da ultimo nel Cie temporaneo di Santa Maria Capua Vetere, dove alcune convalide di trattenimento sono diventate oggetto di denuncia penale solo perché alcune associazioni sono potute entrare in contatto con i migranti. Laddove ciò non è possibile, non si può intervenire”. All’interno dei centri per migranti è comunque concesso l’accesso ad alcune associazioni umanitarie che cooperano con il ministero dell’Interno, tra cui l’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Tuttavia questo non assicura il rispetto dei diritti umani, secondo Paleologo. “Le associazioni incaricate soprattutto in regioni come Puglia, Basilicata, Calabria e Campania non possono garantire il monitoraggio continuo, unica garanzia per evitare che sugli abusi possa calare l’impunità più totale” sottolinea il giurista. Paleologo ricorda infine un decreto del ministro dell’Interno Roberto Maroni che ha trasformato alcuni centri di accoglienza e tendopoli in Cie fino al 31 dicembre. Si tratta di Trapani Kinisia, Palazzo San Gervasio (Pz) e Santa Maria Capua Vetere (Ce). “Il regime dei Cara si connota sempre più per l’applicazione di detenzione amministrativa - afferma il giurista dell’Asgi - come dimostra l’utilizzo di un Cara come Salina Grande a Trapani in alcune sue parti, quali la palestra, come centro di detenzione per i migranti tunisini in attesa del rimpatrio”. Messico: battaglia tra detenuti in una prigione, 8 morti Asca, 19 maggio 2011 Una prigione messicana è stata il teatro di una feroce battaglia tra detenuti, con tanto di pistole e coltelli, costata la vita ad almeno 8 prigionieri e il ferimento di altri 11. Gli scontri sono esplosi ieri notte in un carcere della città di Durango. I media locali parlano di 20 minuti di combattimenti terminati con la ripresa del controllo da parte delle autorità penitenziarie che hanno sequestrato decine di coltelli e armi da fuoco. Non è chiaro il motivo dello scontro ma le carceri messicane, dove sono imprigionati 222 mila detenuti, sono note per essere sovrappopolate e spesso luogo di rivolte e battaglie tra bande. Stati Uniti: morto detenuto afghano a Guantanamo, per il Pentagono è suicidio Agi, 19 maggio 2011 Un afghano detenuto a Guantanamo è morto in quello che secondo il Pentagono è un caso di suicidio. Inayatullah, 37 anni, era stato rinchiuso nella prigione americana a Cuba dal settembre del 2007 dopo aver confessato di far parte di Al Qaeda. Le guardie della sicurezza lo hanno trovato privo di sensi e non sono riusciti a rianimarlo. Secondo il Pentagono, Inayatullah si rese responsabile di coordinare gli spostamenti di militanti e mettere alloggi a loro disposizione in Afghanistan, Pakistan e Iraq. Quello di Inayatullah è l’ottavo decesso dal gennaio 2002, quando la base di Guantanamo venne adibita a supercarcere per i sospetti arrestati in Afghanistan e Pakistan e ritenuti legati alla rete di al-Qaeda. In cinque casi si trattò di suicidio, in due di cause naturali. Siria: la reporter di Al Jazeera rilasciata; in carcere pestaggi a tutte le ore Agi, 19 maggio 2011 Nelle carceri siriane le forze di sicurezza pestano selvaggiamente i detenuti e a tutte le ore del giorno si sentono solo “grida e pianti”: a denunciarlo è la giornalista irano-canadese americana di Al Jazira, Dorothy Parvaz, in un’intervista a un’emittente qatariota dopo il rientro a Doha. “Sono stata per tre giorni e due notti, in un centro di detenzione siriano, e tutto quello che ho udito sono stati violenti pestaggi”, ha raccontato la reporter di cui si erano perse le tracce dopo il suo arrivo in Siria, a fine aprile, e che era stata detenuta brevemente anche in Iran dopo la sua espulsione. “Ho avvertito di trovarmi in un luogo senza leggi, dove nessuno monitorava la situazione e nessuno aveva un’uniforme o un nome, e non c’era nessun responsabile”, è il j’accuse dell’inviata, “gli agenti sembravano dei teppisti, per come agivano”. Per la Parvaz la decisione di espellerla verso l’Iran è stato “un segnale forte” del regime che “non vuole che al Jazira racconti la rivolta siriana”. La giornalista ha riferito di essere stata in cella con “un’adolescente arrestata per strada” durante le proteste e a cui non veniva neppure consentito di avvisare i propri genitori. La 39enne Dorothy Parvaz era scomparsa il 29 aprile, giungendo in Siria per seguire le rivolte di piazza che stanno scuotendo il Paese. La giornalista era stata vista per l’ultima volta all’aeroporto di Damasco, quando era stata presa in consegna dagli uomini dei servizi segreti che l’avevano condotta in una località sconosciuta di detenzione. Dopo il silenzio di piombo dei primi giorni, il 5 maggio, grazie alla campagna martellante della sua emittente, le autorità siriane avevano ammesso di averla arrestata e di tenerla sotto custodia, per poi sostenere pochi giorni dopo che la giornalista era stata trasferita a Teheran il primo maggio. Egitto: team medico esaminerà salute Mubarak per trasferimento in carcere Aki, 19 maggio 2011 Il procuratore generale egiziano, Abdel Meguid Mahmoud, ha disposto la formazione di una nuova commissione medica per verificare le condizioni di salute dell’ex presidente Hosni Mubarak e stabilire se possa essere trasferito dalla clinica di Sharm el-Sheikh, dove si trova ricoverato, all’ospedale del carcere di Tora, al Cairo. Lo scrive il sito di al-Masry al-Youm, ricordando che, in base ai bollettini emessi finora da Sharm el-Sheikh, Mubarak soffre di problemi cardiaci che richiedono cure nel reparto di terapia intensiva. Secondo fonti giudiziarie, la nuova commissione medica comprende tre cardiologi delle università del Cairo, di Ain Shams e di al-Azhar, oltre a due medici militari. Il portavoce ha inoltre chiesto che la commissione verifichi se l’ospedale del carcere di Tora abbia le attrezzature adatte per garantire a Mubarak le cure di cui ha bisogno. Varie sono le accuse rivolte a Mubarak, per le quali è stata chiesta la custodia cautelare, provvedimento non ancora messo in atto a causa delle sue condizioni di salute. Tra le altre, quelle di corruzione e di aver disposto la repressione violenta della rivolta contro il suo regime, che è costata la vita a decine di cittadini. Arabia Saudita: arrestato polizia religiosa perché aveva capelli lunghi, muore in carcere Aki, 19 maggio 2011 Un giovane giordano di 28 anni, Hussein Nabil Hamid, è morto ieri in circostanze misteriose nella provincia di al-Asir, nel sud dell’Arabia Saudita. Secondo quanto riporta il giornale arabo ‘al-Quds al-Arabì, il giovane era stato portato in ospedale in gravi condizioni dopo aver subito percosse da parte di alcuni agenti della polizia religiosa che lo avevano arrestato. Era stato fermato dal cosiddetto “Ente per la promozione della virtù e la repressione del vizio” perché aveva i capelli lunghi. I medici gli hanno riscontrato emorragie interne e un trauma cranico. Secondo alcuni testimoni gli agenti della polizia religiosa lo avevano fermato e costretto con la forza a tagliarsi i capelli.