Giustizia: la festa della Polizia penitenziaria e… il business del Piano carceri di Riccardo Arena www.ilpost.it, 15 maggio 2011 Ci risiamo. La festa della Polizia penitenziaria, che si è tenuta oggi a Roma, è stata l’ennesima occasione per rilanciare il famigerato Piano carceri. Tradotto: centinaia di milioni di euro buttati. Uno spot e una torta da spartire. Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e Commissario straordinario per il piano carceri, ha solennemente affermato: “Le difficoltà del sistema penitenziario non possono certo dirsi superate, ma abbiamo delineato e avviato il progetto per superare l’emergenza e ragionare in termini di stabilizzazione del sistema”. Ah sì? Che bella notizia! Peccato poi che Ionta ha spiegato che per “stabilizzazione del sistema” intendeva il Piano carceri. Ovvero “la realizzazione di 11 nuovi istituti penitenziari e di 20 padiglioni in carceri già esistenti, per garantire 9.510 nuovi posti”. Costo? Solo 600 milioni di euro. Una vera occasione. Una torta da spartire appunto. La ghiotta torta della costruzioni. Una sparizione che è anche inutile a risolvere il gravissimo problema delle sovraffollate carceri italiane. Basti pensare allo scopo del “Piano carceri”. La realizzazione di 9.510 posti in più. Uno scopo che non riuscirebbe a soddisfare neanche il fabbisogno odierno delle nostre carceri. Carceri dove infatti vivono più di 67 mila detenuti, a fronte di soli 43 mila posti. Cosa risolvono 9.500 posti in più? Nulla appunto. Ma non solo. Da un’inchiesta fatta da Radio Carcere su Radio Radicale si è scoperto un fatto davvero curioso. Alcuni di questi nuovi padiglioni sono stati già realizzati, ma sono vuoti e inutilizzati a causa della mancanza di personale. Ne abbiamo contati circa 2.000 di posti detentivi nuovi ed inutilizzati. Qualche esempio: il nuovo padiglione del carcere di Cuneo, che potrebbe contenere 400 detenuti, vuoto. Il nuovo padiglione costruito nel carcere di Velletri, che potrebbe contenere 200 detenuti, vuoto. Il nuovo carcere di Rieti, semivuoto. Il nuovo padiglione costruito nel carcere di Nuoro, vuoto. Il nuovo padiglione costruito nel carcere di Avellino, che potrebbe contenere 230, vuoto. Il nuovo carcere di Gela, di 90 posti, il nuovo reparto di Enna, per 150 detenuti e il nuovo reparto dell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto. Vuoti. Questi solo alcuni esempi. Totale nazionale: più di 2.000 posti detentivi nuovi, ma vuoti e inutilizzati. Quanti soldi pubblici sono stati spesi, o meglio, buttati? È un mistero. Chiaro invece il fenomeno. Costruiscono, spendono soldi pubblici, ma poi lasciano vuote le nuove strutture. Sono pazzi? No. Sono interessati alla torta da spartire. Soldi. Soldi. Soldi. La verità è che per risolvere la vergognosa situazione penitenziaria occorre ripensare l’intero sistema con un approccio innovativo. Altro che piano carceri! E occorre farlo in modo disinteressato. Vendere le ottocentesche galere, che sono tante e hanno un grande valore sul mercato immobiliare, per realizzare nuove e diverse strutture a seconda della loro finalità e della tipologia del condannato. Allo stesso tempo, riscrivere il sistema delle pene, come più volte invocato dal presidente Napolitano, al fine di introdurre sanzioni differenti dal carcere, magari eseguibili in primo grado. Ma c’è un problema. Anzi due. Sono riforme che costano meno, farebbero buttare meno soldi pubblici, e ci guadagnerebbe solo il bene comune. E questo evidentemente è un problema. Giustizia: amnistia; a Regina Coeli detenuti in sciopero della fame, fuori sit-in dei Radicali Agenzia Radicale, 15 maggio 2011 Al via da questa mattina tra i detenuti del carcere di Regina Coeli il digiuno a oltranza per denunciare la situazione “insostenibile” dell’istituto penitenziario. A sostegno della protesta anche un sit-in dei Radicali davanti al carcere e il leader storico del movimento, Marco Pannella, giunto al 26 esimo giorno di sciopero della fame. È da 21 anni, spiegano i dimostranti, che non viene varato un provvedimento di amnistia, “misura indispensabile, più che necessaria, per far funzionare il sistema giudiziario”. Intanto cresce la mobilitazione anche tra i familiari dei detenuti: sono oltre duecento, infatti, coloro che in diverse città d’Italia - tra cui Roma, Catania, Salerno, Torre del Greco, Viterbo - hanno aderito alla lotta nonviolenta del leader radicale e da oggi hanno intrapreso uno sciopero della fame. Il sit-in, al quale sono presenti parlamentari, dirigenti e militanti radicali, oltre al “Gruppo carceri” di Radicali Italiani che ha promosso l’iniziativa, è proseguito per tutta la mattinata. Stasera alle 20, sempre davanti all’istituto di Regina Coeli, in via Lungara, avrà poi inizio una veglia che andrà avanti per tutta notte fino a domani mattina. Giustizia: Testa (Detenuto Ignoto); 67mila detenuti… senza indulto ora sarebbero 100mila Agenzia Radicale, 15 maggio 2011 Dichiarazione di Irene Testa Segretario Associazione Detenuto Ignoto: “Il Ministro Alfano dica pure quello che vuole rivolgendosi agli agenti di Polizia penitenziaria oggi in occasione del 194esimo anniversario della fondazione del Corpo, ma è chiaro che se si riesce ancora, tra incredibili difficoltà e sofferenze e nella completa illegalità di sistema a custodire i detenuti lo si deve invece proprio al provvedimento di indulto concesso nel 2006, senza il quale ora i detenuti sarebbero ben più degli attuali 67mila, probabilmente oltre i 100 mila a fronte di una capienza legale di 43mila. Se poi il ministro è capace anche di vantarsi di come siano al giorno d’oggi stipate e pronte a scoppiare le carceri, e di quanto male è costretto a lavorarci il troppo poco personale, tanto che, oltre a quello dei detenuti, si registra un sempre più alto tasso di suicidi proprio fra gli agenti di Polizia penitenziaria, allora è chiaro che l’intero sistema è in mano a persone che non esitano a strumentalizzare a proprio vantaggio ogni duro sacrificio che stoicamente è compiuto da questi reali servitori della collettività. Nessuna concreta ipotesi di soluzione si è ancora mai avuta sul grave problema delle carceri sovraffollate e dell’insufficienza di organico degli agenti da parte del governo, solo promesse impraticate e impraticabili e atteggiamenti pilateschi, mentre si registra la galoppante rincorsa alla carcerazione quale unico strumento per soddisfare gli appetiti populisti e falsamente securitari di certe aree politiche. Di questo passo le cose non faranno che peggiorare, ma questo per il Ministro Alfano lungi dall’essere motivo di preoccupazione, riesce a trasformarsi in vanto. Giustizia: Fleres (Pdl); parole Napolitano sulle carceri sono base di confronto per riforme Adnkronos, 15 maggio 2011 “Le parole del ministro della Giustizia e del Presidente della Repubblica in occasione della festa della polizia penitenziaria costituiscono una buona base di partenza per un sereno e concreto confronto che abbia al centro la piena e reale applicazione dell’art. 27 della Costituzione”. Lo afferma il coordinatore nazionale della conferenza dei garanti regionali dei diritti dei detenuti, Salvo Fleres in occasione della festa della polizia penitenziaria. L’esponente di Forza del Sud auspica la formazione di “un tavolo di confronto tra i ministeri della Giustizia, degli Esteri, dell’Interno, della Salute, l’amministrazione penitenziaria, le organizzazioni di rappresentanza del personale penitenziario, le regioni, gli enti locali, il mondo del volontariato ed i garanti dei detenuti attraverso il quale si possono formulare proposte concrete miranti ad assicurare il rispetto dei diritti inalienabili della persona umana reclusa”. Giustizia: Molteni (Lega); detenuti stranieri devono scontare pene nei paesi d’origine Agenparl, 15 maggio 2011 “Le parole del ministro Angelino Alfano sono in piena sintonia con la politica espressa dalla Lega. Da sempre sosteniamo che il problema del sovraffollamento delle carceri non si risolve né con le amnistie né con atti di clemenza generalizzata. E infatti la Lega Nord nel 2006 è stata l’unica forza politica che ha votato contro l’indulto voluto dal governo Prodi. Per noi il principio della certezza della pena è imprescindibile, per cui chi sbaglia deve pagare e scontare interamente la pena”. Lo dichiara Nicola Molteni, capogruppo della Lega Nord in commissione Giustizia alla Camera. “Le strade per affrontare il problema carceri nel nostro Paese sono due: con l’implementazione delle politiche di edilizia carceraria, attraverso la costruzione di nuove carceri e nuovi padiglioni, e soprattutto facendo scontare ai detenuti stranieri la pena nei propri paesi di origine. Il quaranta percento della popolazione carceraria è infatti straniera, con picchi del settanta percento al nord. Infine voglio ricordare l’importanza del lavoro svolto dagli agenti di Polizia Penitenziaria, che assicura un’azione determinante dentro le carceri, a cui il governo ha rivolto la propria attenzione predisponendo l’assunzione di nuovi agenti”. Giustizia: Sappe; da Napolitano parole alto profilo, ma il sistema penitenziario è al tracollo Adnkronos, 15 maggio 2011 “Esprimiamo vivo apprezzamento per i contenuti del messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della Festa nazionale della Polizia Penitenziaria. Un discorso di alto profilo, ancora una volta. Come Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, il primo e più rappresentativo della categoria, proponiamo un termine di cento giorni entro i quali Governo e Parlamento trovino soluzioni politiche e amministrative concrete per evitare il tracollo del sistema penitenziario italiano”. È il commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), al messaggio del Capo dello Stato per il 194° Annuale del Corpo che si è svolto venerdì a Roma. “Anche i dati recentemente elaborati dall’Amministrazione Penitenziaria e relativi agli eventi critici accaduti nelle carceri italiane nel corso dell’anno 2010” sottolinea il Sappe “dovrebbero fare seriamente riflettere sulle evidente problematiche del sistema, rispetto alle quali è assolutamente necessario una riforma organica e strutturale. Questi dati sono importanti anche per far conoscere il duro, difficile e delicato lavoro che quotidianamente le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria svolgono con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità”. Capece torna quindi a proporre “con urgenza un nuovo ruolo per l’esecuzione della pena in Italia, che preveda circuiti penitenziari differenziati ed un maggiore ricorso alle misure alternative, e sottolinea l’importante ruolo svolto quotidiano dai Baschi Azzurri del Corpo”. “La Polizia Penitenziaria, negli oltre 200 penitenziari italiani - dice - e formata da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio, e che ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano quotidianamente, soprattutto sventando centinaia e centinaia suicidi di detenuti”. Giustizia: caso Petrilli (Pd) e la proposta di legge sul risarcimento per l’ingiusta detenzione Ansa, 15 maggio 2011 La condanna in primo grado per banda armata, poi l’assoluzione in appello dopo 6 anni di carcere. Quello dell’aquilano Giulio Petrilli, è uno di quei casi di ingiusta detenzione che il codice di procedura penale non riconosce come meritevole di risarcimento per il tempo passato in galera perché anteriore al 1989. Come lui tanti negli anni di piombo sono state vittime di errori giudiziari, ma non hanno avuto diritto all’indennizzo per il trauma personale e familiare perché i procedimenti che li hanno poi assolti si sono conclusi prima della riforma del codice, che prevede una norma che non ha retroattività. Petrilli, che ora è responsabile del dipartimento delle Garanzie e dei Diritti del Pd della provincia dell’Aquila, aveva anche protestato nei mesi scorsi con uno sciopero della fame a oltranza proprio contro l’assenza di una legge che rendesse retroattiva la norma che sancisce la riparazione per ingiusta detenzione. “In quel periodo in base all’emergenza - dice Petrilli - una persona veniva condannata per delle semplici dichiarazione da parte di un pentito, senza alcun riscontro”. Per sanare questa discriminazione, sono state presentate due proposte di legge alla camera, una della radicale Rita Bernardini e l’altra dell’Udc. Nessuno dei testi è stato però calendarizzato, per questo l’osservatorio permanente sulle carceri ha lanciato un appello affinché si abbrevino i tempi, e hanno aderito giuristi, operatori, dirigenti di partito del Pd, del Prc e di Sel. “Uno dei beneficiari - osserva Bernardini - potrebbe essere l’attuale candidato a sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, ma immaginiamo ci siano fruitori anche a destra: sappiamo quanti processi negli anni 70 si sono conclusi con assoluzione”. Bernardini spiega di non poter quantificare quanti siano i beneficiari della legge, “aspetto i dati il ministero della giustizia, in ogni caso - aggiunge - l’impegno di spesa non è insormontabile perché si prevedono due paletti: dall’entrata in vigore si avrebbero sei mesi per accedere ai risarcimenti; ne può usufruire chi ha subito l’ingiusta detenzione e non i parenti”. “La legge - dice Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - sarebbe il riconoscimento delle legittime aspettative di chi ha subito la carcerazione in un’altra epoca storica”. “In base alla norma attuale - spiega - si configura una violazione del principio di uguaglianza: due errori analoghi considerati in maniera diversa, per cui se ne potrebbe investire la consulta”. Giustizia: Scalfarotto (Pd); il rapporto di Amnesty è un’assoluta vergogna per l’Italia Ansa, 15 maggio 2011 Ivan Scalfarotto, vicepresidente del Partito Democratico, commenta con “molta asprezza i gravi rilievi sull’Italia” contenuti nel Rapporto annuale di Amnesty International che denuncia le violazioni dei diritti umani nel mondo. “Il rapporto di AI uscito oggi è un’assoluta vergogna per l’Italia. Tutta la comunità internazionale si chiede dove sia finita la civiltà dell’Italia di Cesare Beccaria: il nostro Paese - continua il vicepresidente dei democratici - continua inspiegabilmente ad ignorare gli inviti all’introduzione del reato di tortura e l’abolizione di quello di immigrazione clandestina come ci è stato chiesto a seguito dell’Esame periodico universale delle Nazioni Unite, continua a respingere i migranti in Paesi che non rispettano le convenzioni internazionali e non ha alcun piano per affrontare la situazione nelle carceri dove tra affollamento e scarso controllo si continuano a verificare tragedie dai risvolti oscuri a danno dei detenuti”. Lettere: dalla malattia all’autolesionismo, per farsi curare… di Antonio Cappelli Terra, 15 maggio 2011 Un caso doloroso, emblematico del modo attraverso il quale il carcere si rappresenta troppo spesso con il suo volto più arcigno come luogo della pena afflittiva e della mancanza di forme anche elementari di solidarietà umana. Il detenuto è giovane, alto, con un’espressione di sofferenza disegnata sul viso. Da più di un anno è affetto da una fistola sacrale che gli provoca dolore e disagio impedendogli di mantenere la posizione seduta. Si tratta di un’affezione che affrontata tempestivamente può essere risolta con un semplice intervento chirurgico e pochi giorni di degenza, ma il percorso assistenziale del carcere ha regole che ne complicano assurdamente l’andamento. Dopo la diagnosi, abbastanza semplice, si impiegano infatti mesi per ottenere il ricovero ospedaliero, ma quando finalmente si giunge alla vigilia del giorno prenotato per l’intervento sopravviene l’inesorabile ostacolo burocratico: il detenuto, per esigenze del tutto divergenti dalle problematiche sanitarie che lo affliggono, viene trasferito dal carcere di Regina Coeli a quello di Rebibbia. Qui il percorso assistenziale, in base ad una regola di cui non si riesce a intravedere la logica, ricomincia da principio come se il pregresso periodo di malattia non fosse mai esistito. Di nuovo dunque tempi inutili per stabilire una diagnosi già esistente e ancora lungaggini determinate dall’inserimento ex novo in una interminabile lista di attesa. La malattia nel frattempo ovviamente ignora le regole burocratiche e procede per suo conto aggravandosi e determinando un’insostenibile condizione di sofferenza. Inutili le sollecitazioni e le proteste. La fistola si infetta ma la possibilità di intervento risolutivo appare ancora lontana. Finalmente l’epilogo, tra i più dolorosi. Il detenuto perde ogni speranza nell’efficienza del sistema e non vale a rassicurarlo nemmeno l’interessamento di alcuni volontari che gli garantiscono di intervenire come possono al riguardo. Decide così di “tagliarsi” infliggendosi volontariamente ferite sulle braccia per attirare l’attenzione dei responsabili sul suo caso. È una raccapricciante forma di protesta, abbastanza comune nelle carceri, che in questo caso raggiunge il suo scopo. Le regole ferree della burocrazia improvvisamente scompaiono e l’agognato intervento viene finalmente effettuato. Potrebbe sembrare un epilogo positivo ma è invece una sconfitta per tutti. Se ci si rassegna e si considerano normali queste modalità di operare viene da pensare, parafrasando Voltaire, che questo è il peggiore dei mondi possibili e tutto va per il peggio. Lettere: no a quei detenuti per reati sessuali che fanno i giardinieri Roberto Mirabile (La Caramella Buona onlus) La Repubblica, 15 maggio 2011 Mi permetto di intervenire dopo aver letto il 6 maggio l’intervento del Garante per i detenuti della Regione Campania, dottoressa Adriana Tocco, sul caso di Castelnuovo Cilento e il “passo falso” che avrebbe compiuto il ministro Mara Carfagna, che invita il sindaco a ritirare il progetto di “rieducazione” di un gruppo di detenuti accusati di reati sessuali, attualmente reclusi nel carcere di Vallo della Lucania. Mi sento parte in causa, in quanto centinaia di cittadini di Castelnuovo hanno contattato La Caramella Buona Onlus chiedendo sostegno concreto alla loro opposizione netta e chiara al progetto. Precisiamo subito: nessuno dei cittadini e neppure il sottoscritto è contrario al reinserimento degli ex detenuti. Precisato quanto sopra, mi sento di dissentire categoricamente dalle opinioni espresse dal Garante Tocco. Innanzitutto, se disinformazione o mancata informazione c’è stata e ancora esiste, questo è unicamente responsabilità di chi ha voluto questo progetto, senza adeguatamente presentarlo ai cittadini, né in fase di studio, né durante tre ore di acceso dibattito pubblico a Castelnuovo del Cilento. Il Garante esclude i pedofili (per fortuna dico io!) ma conferma che si tratta di mettere dei detenuti condannati per reati sessuali a curare i giardinetti comunali. È del tutto insignificante continuare a ripetere che questi detenuti sono ormai a fine pena, quindi uscirebbero a breve: noi tutti, cittadini e associazione, contestiamo la tipologia di attività che queste persone, condannate per reati sessuali, potranno andare a fare, inoltre col rischio di venire additate come “i mostri che fanno i giardinieri”. Sarebbe stato opportuno indirizzare il progetto su qualche altra attività, utile lo stesso socialmente e alle casse del Comune (che comunque qualcosa pagherà). Il Garante poi si dilunga in un attacco diretto al ministro per le Pari opportunità: non devo certo io difendere l’onorevole Carfagna, di cui mi onoro della diretta conoscenza e di cui apprezzo l’operato e non lo nascondo; non devo prendere le sue difese. Le argomentazioni del Garante le ritengo, come cittadino e come presidente di una organizzazione impegnata nella concreta tutela dei minori, talmente strumentali e insignificanti da non meritare alcuna considerazione. A proposito di inviti: sicuramente potremmo invitare garante, sindaco, direttore del carcere e i vari esperti intervenuti nel progetto, a incontrare vittime di reati sessuali e loro famigliari. Tanto per “par condicio”. Torino: detenuto di 48 anni si impicca in cella, nuovo suicidio alle Vallette Ansa, 15 maggio 2011 Un nuovo suicidio alle Vallette. Vincenzo Lemmo, 48 anni, di Napoli - si è suicidato oggi nella sua cella nella quarta sezione del adiglione A del carcere di Torino. Non ha lasciato alcun biglietto per spiegare il gesto. Era in attesa del processo di appello per condanne per traffico e spaccio di sostanze stupefacenti e agevolazione dell'attività mafiosa. Doveva rimanere in carcere fino al 2025. "Eravamo stati facili profeti sul trend delle morti per suicidio in carcere", ha commentato il segretario generale dell'Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria, Leo Beneduci. "Le cause sono svariate: dalle condizioni della detenzione ai tempi della giustizia, al costante calo della consistenza della polizia penitenziaria in servizio. Basti pensare che al di là di quanto hanno detto sia il Ministro Alfano, sia il capo del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), Franco Ionta, il 13 maggio scorso in occasione della Festa nazionale della Polizia Penitenziaria, l'organico del corpo di Polizia penitenziaria è di 5.500 unità inferiore a quello previsto. Quest'anno saranno assunte solo 760 unità e ne andranno via duemila; l'anno prossimo andranno via 2.500 unità e ne saranno assunte solo 1.150. Per chi fa il poliziotto penitenziario e ha il compito di tutelare anche la vita dei detenuti - ha concluso - è due volte deludente: in primo luogo perchè si sente impotente e, in secondo luogo, perchè chi ha il compito di assumere iniziative rilevanti in sede politica, a parte le chiacchiere, non fa nulla". Livorno: detenuto muore a Porto Azzurro; si pensa a malore, disposta l’autopsia Ansa, 15 maggio 2011 Un detenuto di 51 anni, italiano, recluso nel carcere di Porto Azzurro, all’isola d’Elba, è stato trovato morto questa mattina nella sua cella. Ne dà notizia il sindacato Sappe. A far la scoperta sono stati gli agenti della polizia penitenziaria: l’uomo è stato rinvenuto privo di vita nel suo letto. Da chiarire le cause del decesso ma secondo l’ipotesi più accreditata il cinquantunenne sarebbe morto per un malore. È probabile che il detenuto si sia sentito male durante la notte. Il medico legale è intervenuto subito per constatare il decesso, quindi è stato informato il magistrato di turno che ha disposto l’autopsia. Caserta: Cgil: il 17 maggio sit-in all’Opg di Aversa, dopo 4 morti da inizio anno Asca, 15 maggio 2011 Per accendere un faro sulle quattro persone morte da inizio anno nell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Aversa, e per chiedere l’immediata chiusura di tutti gli Opg presenti nel paese, la Cgil promuove per martedì 17 maggio un presidio davanti all’Opg del comune campano. Un’iniziativa promossa dalla Cgil e dalla Fp Cgil della Campania e di Caserta, insieme al Comitato Stop Opg, che per il sindacato è “una doverosa reazione di fronte alle morti di questi mesi nell’Opg di Aversa e per reclamare un’azione straordinaria verso tutte queste strutture insieme ad un potenziamento dei servizi socio sanitari nel territorio, a partire dai Dipartimenti di Salute Mentale”. Secondo la segretaria confederale della Cgil, Vera Lamonica, “i quattro cittadini morti nei primi mesi dell’anno nella struttura di Aversa, di cui tre per suicidio, confermano tragicamente il valore della campagna ‘Stop Opg’ che abbiamo promosso con un vasto fronte di associazioni”. La Cgil, sottolinea la sindacalista, “è consapevole che la situazione è drammatica in tutti gli Opg, non solo ad Aversa, così come sa che non basta chiuderli ma che bisogna costruire misure di assistenza alternative e intervenire anche sulle drammatiche condizioni delle carceri”. Allo stesso tempo, aggiunge Lamonica, “ci sono chiare le enormi difficoltà nelle quali gli operatori lavorano in simili strutture e riconosciamo anche gli sforzi che si sono fatti in alcune realtà per offrire agli internati percorsi di assistenza e di inserimento sociale alternativi all’Opg e per migliorare le condizioni di vita al loro interno”. In ogni caso, ribadisce la dirigente sindacale, “non possono bastare gli sforzi degli operatori né basta imbiancare qualche muro: gli Opg vanno chiusi perché sono una risposta sbagliata e incivile, come lo erano i manicomi. Occorre un’assunzione di responsabilità, forte e immediata, del Governo e delle Regioni, che, tramite le Asl e i dipartimenti di Salute Mentale, hanno il dovere di offrire l’assistenza sanitaria alternativa all’Opg, applicando finalmente le norme e le sentenze della Corte Costituzionale. Perciò, a partire da Aversa, fa sapere la sindacalista, “abbiamo chiesto il commissariamento di tutti gli Opg, finalizzato ad organizzare la loro chiusura, offrendo subito agli oltre 350 cittadini dichiarati dimissibili ma ancora internati e, quindi a tutti gli altri, un percorso di assistenza esterno. Abolire gli Opg, e quindi l’internamento cui sono costretti nostri concittadini, come è successo con i manicomi grazie alla legge Basaglia, diventa una conquista sociale e civile per tutti, che - conclude Lamonica - rende migliore e più solida la democrazia nel nostro Paese”. Catanzaro: Oliverio e Laratta (Pd) in visita al carcere di Siano; situazione è esplosiva Agi, 15 maggio 2011 I deputati calabresi del Partito Democratico Nicodemo Oliverio e Franco Laratta hanno visitato oggi il carcere di Siano, a Catanzaro, dopo l’allarme lanciato nei giorni scorsi dalla direttrice della struttura, Angela Paravati. “La situazione - hanno detto Oliverio e Laratta - ha ormai raggiunto livelli esplosivi, tanto da non poter più accogliere nuovi detenuti. Si registra infatti un sovraffollamento del 40% (in carcere ci sono circa 600 detenuti, il 20% di stranieri), a fronte di un organico che è del 50% in meno di quello previsto, basti considerare che nell’ultimo anno su 30 pensionamenti non c’è stato alcuna sostituzione”. Oliverio e Laratta sottolineano anche “a fronte di un numero alto di detenuti sono in servizio soltanto cinque educatori, e di conseguenza il lavoro propedeutico alla riabilitazione di chi ha sbagliato è davvero impossibile realizzarlo. Ci siamo resi conto della realtà drammatica in cui si trova il carcere di Siano a Catanzaro - hanno aggiunto i due esponenti del Pd - e considerato che mercoledì prossimo sarà in discussione alla Camera dei Deputati una mozione sulla situazione delle carceri italiane come partito chiederemo interventi per la Calabria e per Catanzaro in particolare. Il Governo ha una diretta responsabilità sulle condizioni assai gravi in cui versano le carceri italiane. Ci chiediamo che fine abbia fatto l’annunciato “Piano carceri” del ministro Alfano, che fine abbiano fatto le risorse finanziarie che avrebbero dovuto rendere più vivibili i nostri istituti di pena. In carcere ormai l’allarme è quotidiano, anche dal punto di vista igienico-sanitario, considerato inoltre che sono sempre più frequenti i tentativi di suicidio. Le condizioni di vita di tante persone in attesa di giudizio sono insostenibili e soprattutto non favoriscono la cosiddetta opera rieducativa, che è alla base di una società civile e democratica. L’opera della direttrice del carcere di Siano di Catanzaro, che più volte ha lanciato l’allarme sulla situazione generale della struttura - concludono Oliverio e Laratta - è meritoria, ma rischia di risultare vana se il Governo continua a far finta di non vedere e non sentire quella che ormai a tutti i livelli viene denunciata come una vera e propria emergenza”. Pavia: la Uil-Pa in visita al carcere; situazione al limite dell’illegalità, presenteremo un esposto Il Giorno, 15 maggio 2011 Nel penitenziario pavese infiltrazioni d’acqua su quadri elettrici, assenza di misure di sicurezza e posti di servizio igienicamente invivibili. Doppia visita della Uil Penitenziari nelle carceri pavesi. Il tour del sindacato, tra le altre figure territoriali, ha visto la presenza del Segretario Generale Eugenio Sarno al “Piccolini” di Vigevano e del Segretario Regionale lombardo Gian Luigi Madonia al “Torre del Gallo” di Pavia. Due visite con esiti diametralmente opposti. “Al di là dell’impatto iniziale relativo al prospetto degli edifici esterni dell’istituto, certamente bisognosi di essere ristrutturati, il carcere di Vigevano nel complesso - sostiene Sarno - si presenta positivamente, sia dal punto di vista strutturale che da quello organizzativo”. “Sono davvero stupito - attacca invece Madonia - di come due strutture praticamente identiche, costruite negli stessi anni, possano presentarsi così diversamente. A Pavia, a parte la prospettiva di ingresso piena di verde e di spazi igienicamente sani, entrando all’interno della struttura si vive una vera e propria escalation di brutture, fatta di ambienti sporchi, cancelli sudici e pareti piene di macchie e muffa. Da quello che ho visto, probabilmente, l’ultima tinteggiatura è stata fatta 10 anni fa”. Il sindacalista preannuncia interventi pesanti dopo la visita a Torre del Gallo: “Ho visto condizioni a limite della legalità: infiltrazioni d’acqua su quadri elettrici, assenza di misure di sicurezza e posti di servizio igienicamente invivibili. Mi riservo di fare un esposto all’Asl ed alle autorità dipartimentali competenti. Il personale di Polizia Penitenziaria che presta servizio, soprattutto in alcuni settori, è esposto a rischi notevoli. Può rimanere folgorato da probabili cortocircuiti o essere arrostito dalle conseguenti fiamme. In tutto questo contesto ho rilevato che alcuni posti di servizio sono addirittura privi di misure antincendio”. Accuse pesanti quelle di Gian Luigi Madonia: “Mi chiedo: dove sono i vertici dell’Istituto? E soprattutto, dov’è il Responsabile del Servizio di Protezione e Prevenzione? Chi conosce la situazione e non fa nulla per risolverla è evidente che si fa complice dello scempio ed è certamente responsabile di eventuali incidenti o delle spiacevoli conseguenze per il personale”. Oltre alle problematiche strutturali, Madonia coglie l’occasione per criticare anche l’aspetto dell’organizzazione: “A Pavia la presenza dei detenuti raggiunge quasi il doppio della capienza regolamentare. I posti previsti sarebbero 244. Oggi a Pavia sono ristretti 480 persone. Una situazione che chiaramente comprime gli spazi dei reclusi ed abbatte al minimo i livelli di civiltà. Una evidente condizione di insofferenza che si riverbera sull’intero sistema e sull’agente di sezione che quotidianamente è costretto a gestire le emergenze e ad improvvisarsi psicologo. Grazie all’impegno costante della Polizia Penitenziaria di Pavia, infatti, fortunatamente, i numeri degli eventi critici sono davvero irrisori”. Salerno: detenuti al lavoro a Castelnuovo Cilento, avviato il progetto nonostante le polemiche La Città di Salerno, 15 maggio 2011 Lo aveva promesso al sindaco Lamaida ed ieri mattina il sostituto procuratore Alfredo Greco ha accompagnato i detenuti del carcere di Vallo della Lucania nel loro primo giorno di lavoro come giardinieri nel comune di Castelnuovo Cilento. È iniziato infatti il progetto che vede cinque detenuti della struttura penitenziaria vallese impegnati nella pulizia e messa a dimora del verde pubblico nel comune di Castelnuovo. I detenuti sono arrivati a metà mattinata a Casalvelino Scalo, frazione di Castelnuovo, e subito si sono messi a lavoro ripulendo le aiuole dello spazio comunale situato alle spalle del centro commerciale. Ad accompagnare i detenuti anche la direttrice del carcere di Vallo Maria Rosaria Casaburo, Adriana Tocco garante dei detenuti della Regione Campania, il direttore del carcere di Fuorni Alfredo Stendardo e Tommaso Pelliccia dell’associazione Carcere possibile. “Considero l’iniziativa eccezionale - ha ribadito Greco - al fine di far comprendere che solo un percorso di rieducazione sociale e la socializzazione concreta possono salvare i detenuti. La società non si deve liberare di loro ma deve creare le condizioni per accoglierli”. Allo stesso tempo va avanti la protesta dei residenti. “Non siamo stati neanche informati dell’arrivo dei detenuti -sottolinea Tonia Morinelli portavoce del comitato - constatiamo con tristezza che le istituzioni che abbiamo allertato non ci hanno ancora spiegato perché il progetto doveva essere realizzato ad ogni costo”. Verona: non c’è più il reato di clandestinità, scarcerati in ventuno L’Arena di Verona, 15 maggio 2011 Gli effetti dopo l’abrogazione del reato decisa dall’Europa. Scattano anche le prime assoluzioni in tribunale. E le forze dell’ordine non possono più arrestare i “clandestini”. Il reato di clandestinità è stato abrogato dalla corte europea e 21 migranti sono usciti dal carcere di Montorio sui 1300 detenuti, già usciti o in procinto di farlo in tutte le carceri italiani. Sarebbero stati molti di più a Verona se ad un’altra sessantina non fossero stato attribuito altri reati oltre a quello di aver violato la legge del 2010. Sono i primi effetti dell’abolizione del reato di clandestinità, deciso con una sentenza della corte di giustizia europea lo scorso 27 aprile. Ora le forze dell’ordine non possono più arrestare se trovano un irregolare e, allo stesso tempo, i giudici devono assolvere chi è stato arrestato nei mesi scorsi. Ne sa qualcosa Jamal Jawhari, 27 anni, arrestato a Verona il 24 marzo in lungadige Attiraglio proprio perché trovato senza documenti. Dopo poco un mese e mezzo di detenzione, è stato assolto e scarcerato con la motivazione che il fatto non è più previsto dalla legge come reato dal giudice Giorgio Piziali. Anche in tribunale a Verona, quindi, ci si è adeguati alle indicazioni della corte di giustizia europea. In carcere a Montorio, sono state presentate una sessantina di richiesta di scarcerazione. Di queste ventuno sono state accolte, 8 o 9 sono state respinte e una trentina sono ancora al vaglio delle procure, chiamate in causa dai detenuti. D’altro canto, la motivazione della sentenza europea è scarna ma chiara: il rimpatrio, scrivono i giudici, deve avvenire nel rispetto della dignità dell’uomo e dei diritti fondamentali dell’uomo. E ancora: il ritorno in patria deve essere eseguito in modo graduale e solo se l’irregolare non si adegua all’ordine di espulsione, si può pensare ad un trattenimento in un centro ad hoc. Ma ciò deve avvenire in ambienti separati dai detenuti e, quindi, fuori dal carcere. Tutti requisiti al quale il nostro governo non si è adeguato nella formulazione della legge. “Ventuno detenuti in meno non rappresenta un numero marginale”, commenta il direttore della casa circondariale di Montorio, Antonio Fullone “anche se la situazione di sovraffollamento resta uguale a quella di sempre”. I detenuti a Montorio continuano ad essere sopra la capienza tollerabile, toccando in questi giorni quota 920. Anche i provvedimenti, presi dal governo, non hanno avuto gli effetti sperati. “La legge svuota carceri”, commenta ancora Fullone, “non ha svuotato le celle. Con quel provvedimento sono usciti solo in una ventina”. Quella normativa prevede che i detenuti possano scontare l’ultimo anno di pena ai domiciliari. “Ma a diversi detenuti, rientranti nei paletti della legge Alfano, non hanno la casa dove trascorrere agli arresti gli ultimi dodici mesi di pena”, conclude il direttore del carcere. Venezia: Commissione Consiglio comunale a Santa Maria Maggiore; è urgente un nuovo carcere La Nuova Venezia, 15 maggio 2011 La richiesta di un nuovo carcere di detenzione penale, per riportare Santa Maria Maggiore alla sua funzione originaria, quella di istituto per detenuti in attesa di giudizio. È la richiesta raccolta ieri dai capigruppo del Consiglio comunale e dai consiglieri della III commissione in sopralluogo al carcere. Sovraffollamento e mancanza di personale le due emergenze prioritarie, con 350 detenuti dove dovrebbero stare in 160 o al massimo - secondo la deroga tutta formale della “soglia di tollerabilità” - 260. “In questo contesto, per quanto Santa Maria Maggiore sia stata notevolmente ristrutturata e migliorata”, osserva il presidente del Consiglio, Roberto Turetta, “oltre ai disagi di convivenza, c’è l’impossibilità di attuare la fase di recupero, con spazi di socializzazione e lavoro adeguati”. Martedì, Turetta incontrerà il commissario governativo Ionta - deputato al progetto di nuovo carcere a Venezia - per sollecitare una risposta in merito alla richiesta del Consiglio di azzerare le procedure (che avevano individuato un’area a Dese) per poi coinvolgere l’amministrazione nella scelta. “Una delle richieste più pressanti che arrivano da direzione e polizia penitenziaria”, evidenzia Nicola Funari, presidente della III commissione, “è nell’immediato anche quella di un’adeguata relazione con l’Asl 12 per l’assistenza sanitaria e psichiatrica, dopo l’abolizione della sanità penitenziaria, per rendere più agevole e completa l’assistenza”. Brescia: raccolta differenziata dei rifiuti, anche in carcere si ricicla www.quibrescia.it, 15 maggio 2011 È preciso impegno del comune di Brescia incrementare la raccolta differenziata sul proprio territorio. Nel 2010 il livello raggiunto da tale indicatore è del 40,7% sul totale dei rifiuti, e può essere ulteriormente incrementato attraverso iniziative specifiche. Dunque Palazzo Loggia, con il supporto di Aprica Spa (gestore del servizio di nettezza urbana sul territorio comunale), ha deciso di attuare un piano per migliorare la raccolta differenziata nelle carcerari di Canton Mombello e Verziano. La situazione attuale per Canton Mombello, spiega una nota stampa, evidenzia una produzione di rifiuti, relativa alla gestione di circa 500 persone, che corrisponde a una media di circa 10 mc/giorno di rifiuti indifferenziati, rimossi attraverso lo svuotamento di tre cassonetti da 3.200 litri ogni giorno. Per Verziano la produzione attuale di rifiuti, sulla gestione di circa 180 persone tra detenuti e personale, corrisponde alla produzione media di circa 5 mc/giorno di rifiuti indifferenziati, rimossi attraverso lo svuotamento (tre volte la settimana) di un cassone da 10 mc, posizionato all’interno dell’istituto. Sono, inoltre, presenti tre cassonetti per raccolta differenziata di organico, vetro e cartone (uno per tipo), svuotati con frequenza settimanale. Il progetto proposto prevede, per entrambi gli istituti penitenziari di Brescia, la raccolta differenziata con separazione “a monte”, da parte di incaricati interni a ciascun istituto, individuando cinque frazioni: rifiuto organico proveniente dalla cucina o dai resti dei pasti; rottame di vetro, pure proveniente dalla cucina; bombolette di gas vuote, provenienti dalle celle; contenitori in plastica (bottiglie); carta e cartone. Le modalità adottate sono, tra i due istituti, analoghe, con una piccola differenza organizzativa: nel caso di Canton Mombello i contenitori utilizzati per le raccolte dovranno essere posizionati all’esterno della proprietà, per consentirne lo svuotamento da parte dei mezzi Aprica nei giorni e orari concordati, mentre a Verziano ciò non sarà necessario, perché all’interno dell’istituto, nell’area dedicata a parcheggio visitatori, gli spazi di manovra consentono ai mezzi Aprica di entrare e svuotare i contenitori. L’alternativa proposta prevede la fornitura di un numero sufficiente di contenitori carrellati (bidoncini o cassonetti), da portare, a orari prefissati e secondo un calendario concordato, all’esterno del carcere (Canton Mombello) o nell’area interna di parcheggio per visitatori (Verziano), per essere svuotati dagli incaricati di Aprica. Una volta svuotati, i contenitori potranno essere riportati nelle rispettive aree di utilizzo. Per la realizzazione del progetto, Aprica ha quantificato una maggiore spesa, rispetto al piano finanziario 2011 già approvato, di 15mila euro; tale spesa verrà coperta dalla migliore separazione delle frazioni di rifiuto recuperabile e dai vantaggi operativi della raccolta dei contenitori a filo strada. “Brescia è capofila di un progetto di grande importanza”, ha dichiarato il vicesindaco di Brescia, Fabio Rolfi, “che sarà realizzato grazie al prezioso aiuto delle direzioni delle carceri e di Aprica. Promuovere la raccolta differenziata è un dovere dell’amministrazione comunale: a Brescia i numeri sono positivi, ma bisogna comunque impegnarsi per migliorare. Ed è un dovere particolarmente qualificante promuovere la raccolta differenziata all’interno della struttura carceraria, non soltanto per la quantità di persone coinvolte, oltre 700 considerando detenuti e personale di sorveglianza, che rende il carcere di Canton Mombello rilevante quasi quanto un quartiere della città anche in termini di produzione di rifiuti, ma anche sotto il profilo educativo”. Secondo il vicesindaco “la detenzione non deve ridursi esclusivamente a una limitazione della liberta personale, ma deve essere anche un occasione di reinserimento sociale, se si vuole realmente combattere la recidiva, il male principale del nostro sistema penitenziario e giudiziario. E per combattere la recidiva, quindi per reinserire, è fondamentale far conoscere, apprezzare e condividere le regole, per avviare i detenuti, una volte dimessi, a percorsi di inserimento nella comunità. Questo vale soprattutto in una realtà dove il 70% dei detenuti sono stranieri e dove il rispetto delle regole è un fattore propedeutico all’integrazione”. “Ancora una volta”, ha concluso Rolfi, “al di là delle chiacchiere politiche, nei fatti, la nostra amministrazione comunale si conferma attenta alla dignità della pena e alle condizioni di vita dentro il carcere, con progetti d’avanguardia a livello regionale e nazionale”. “Brescia è da sempre all’avanguardia in materia ambientale e in particolar modo nella raccolta differenziata”, ha commentato Daniele Belotti, assessore al Territorio e all’Urbanistica di Regione Lombardia, “ed è una città che ha saputo andare oltre, con il progetto Parr, promosso da comune e Regione e volto a ridurre i rifiuti solidi urbani. Incentivare la raccolta differenziata nelle carceri è segno di grande sensibilità ambientale e non appena ci sarà l’occasione di analizzare le ricadute positive del progetto, verificheremo la possibilità di esportare questo modello anche ad altre realtà carcerarie lombarde”. Roma: domani presentazione del progetto “La famiglia di fronte al reato” Apcom, 15 maggio 2011 Domani mattina alle 10.30, presso la Sala 32 di via della Mercede 22, il capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile, Bruno Brattoli, e il capo del Dipartimento per le Politiche della Famiglia, Roberto Marino, presentano l’Accordo di Collaborazione La famiglia di fronte al reato: azioni sperimentali a supporto delle famiglie dei minori autori di reato. L’Accordo è finalizzato alla realizzazione di attività di sperimentazione e ricerca sui modelli innovativi d’intervento con le famiglie dei minori autori di reato, a prosecuzione ed ampliamento delle attività già sviluppate nel progetto Family Roots finanziato dall’Unione Europea. Nello specifico si fornisce una protezione e un sostegno alle famiglie dei minori autori di reato che si vengono a trovare in situazione di vulnerabilità e si previene la ricaduta potenzialmente traumatica sula sistema familiare. I territori interessati alla sperimentazione sono Roma, Napoli, Palermo e Milano, che sono in grado di rappresentare il fenomeno sia dal punto di vista geografico sia dalla tipologia dei reati commessi. Il Progetto Il progetto “La famiglia di fronte al reato: azioni sperimentali a supporto delle famiglie dei minori autori di reato” prosegue il lavoro svolto nell’ambito del progetto europeo “Family Roots” (co-finanziato dal Dg Home Affairs, Prevention of and Fight Against Crime) che ha messo in rilievo la potenziale traumaticità dell’evento reato sui nuclei familiari (in particolar modo su quelli con basso livello di problematicità interna), sottolineando allo stesso tempo la necessità dei Servizi della Giustizia minorile di rispondere adeguatamente non solo ai bisogni del minore che commette il reato ma anche della sua famiglia, in vista di unitarie e coerenti azioni di supporto. Il progetto “Family Roots” ha evidenziato che le famiglie dei minori autori di reato, venendosi a trovare in una condizione di vulnerabilità, necessitano di interventi di sostegno mirati, al fine di prevenire le ricadute potenzialmente traumatiche dell’evento reato sul sistema familiare, ricadute che possono esitare in forme di disagio di minore o maggiore intensità, a seconda dei casi, fino a determinare, in casi estremi, il collasso o la disgregazione del sistema familiare. L’innovatività del progetto “La famiglia di fronte al reato: azioni sperimentali a supporto delle famiglie dei minori autori di reato” è data dal restituire centralità alla famiglia, considerandola valore e risorsa positiva e dal ritenere i suoi bisogni come essenziali per la tenuta dell’intervento socio-educativo rivolto al minore. Al centro è il concetto di empowerment della famiglia capace di autodeterminarsi ed il ruolo dello Stato come sostegno alla famiglia senza deprivarla delle sue capacità e potenzialità. Il progetto, a carattere sperimentale, ha una durata di 24 mesi e interessa quattro territori: Milano, Napoli, Palermo e Roma coinvolgendo sia i Centri della Giustizia minorile, sia i Servizi territoriali, vista l’importanza del lavoro di rete nel lavoro con la famiglia. I modelli di intervento che verranno esplorati, sulla base del progetto “Family Roots” sono quattro: gruppi di mutuo-aiuto, gruppi multifamiliari, gruppi gestalt e il family group conference. Le attività progettuali includono una prima fase di co-progettazione per gli operatori della Giustizia minorile e dei Servizi territoriali; la seconda fase del progetto è dedicata, invece, alla sperimentazione di un modello in ciascuno dei quattro territori; la terza fase è dedicata al trasferimento dei modelli dai Servizi della Giustizia minorile ai Servizi territoriali. Roma: venerdì convegno su giustizia e sicurezza con l’Associazione Antigone Adnkronos, 15 maggio 2011 Venerdì 20 maggio a partire dalle ore 9, alla Sala del Refettorio della Camera dei Deputati, il sociologo francese Loic Wacquant, professore all’Università di Berkeley, aprirà il convegno “Giustizia, sicurezza, carcere: gli ultimi vent’anni italiani”, che l’Associazione Antigone ha organizzato per festeggiare il ventennale della sua fondazione. Interverranno, tra gli altri, Franco Ionta, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che parlerà delle politiche della sicurezza e Giuseppe Cascini, Segretario dell’Associazione nazionale magistrati, che, insieme a Valerio Spigarelli, Presidente Unione Camere Penali, discuteranno delle politiche della giustizia. L’incontro è coordinato da Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella, conclusioni di Mauro Palma. Iran: ondata di impiccagioni in tutto il paese, eseguite 11 pene capitali Adnkronos, 15 maggio 2011 Nuova ondata di condanne a morte eseguite nella Repubblica Islamica. Secondo i media iraniani, sette uomini sono stati impiccati per traffico di droga nei penitenziari di Kerman, nel sud, Qazvin, ad ovest e Tonekabon, nel nord. Altre quattro persone accusate di stupro sono salite sul patibolo a Yazd, nell’Iran centrale, tre delle quali sono state giustiziate in pubblico. Nella Repubblica Islamica il possesso di più di 30 grammi di sostanze stupefacenti è punibile con la morte, così come l’omicidio, lo stupro, la rapina a mano armata e l’adulterio. Con le condanne di oggi sale a oltre 120 il numero delle sentenze capitali eseguite in Iran dall’inizio dell’anno. Iran: 26 detenuti politici di primo piano denunciano torture Ansa, 15 maggio 2011 Ventisei tra i più importanti detenuti politici in Iran, tra i quali un ex ministro, due ex vice ministri e un ex portavoce del governo del presidente riformista Mohammad Khatami, hanno sporto una denuncia per “violenze, insulti e umiliazioni” subiti a partire dai loro arresti, seguiti alle contestate elezioni presidenziali che nel giugno del 2009 videro riconfermato in carica Mahmud Ahmadinejad. Lo scrive oggi il sito dell’opposizione Kaleme. Tra i detenuti, rinchiusi nelle carceri di Evin a Teheran, di Rajai Shahr e del Khuzistan, figurano l’ex ministro dell’Industria Behzad Nabavi, che tra l’altro condusse le trattative con gli Stati Uniti nel 1980-81 per la liberazione degli ostaggi americani nell’ambasciata di Teheran, e gli ex vice ministri dell’Interno, Mostafa Tajzadeh, e degli Esteri, Mohsen Aminzadeh. A sottoscrivere la denuncia sono stati anche l’ex portavoce del governo di Khatami, Abdollah Ramezanzadeh, e l’ex presidente della commissione Esteri del Parlamento, Mohsen Mirdamadi. Nella denuncia i detenuti affermano di essere stati “duramente picchiati e torturati”, di essere stati tenuti in isolamento mesi dopo l’arresto senza poter contattare un avvocato, di essere stati tenuti bendati anche durante le ore d’aria. Nell’estate di due anni fa le manifestazioni di protesta contro la rielezione di Ahmadinejad - che l’opposizione giudicò viziata da pesanti brogli - furono stroncate con un bilancio di decine di morti e migliaia di arresti. Russia: il presidente Medvedev; pene più dure contro i pedofili, anche castrazione chimica Adnkronos, 15 maggio 2011 Oltre 2.500 minori sono stati uccisi l’anno scorso in Russia e molti di questi bambini e bambine sono stati assassinati da pederasti. Per questo motivo è previsto un inasprimento delle pene per i responsabili, compresa la castrazione chimica con farmaci che riducono i livelli di testosterone e, di conseguenza, il desiderio sessuale. “La pena deve essere la più dura possibile”, ha affermato il presidente russo, Dimitri Medvedev, che firmerà le legge sulla castrazione chimica, chiarendo che si tratterà di un trattamento volontario. Una legge che conta su una vasta approvazione, mentre i critici non ottengono ascolto. Tra gli scettici ci sono i medici, secondo i quali il sistema sanitario russo, in cronico deficit di finanziamenti, non può garantire un trattamento speciale di questo tipo. Secondo alcuni esperti, però, i pederasti potrebbero facilmente decidere di sottoporsi alla castrazione chimica perché il carcere per loro è molto più duro che per altri criminali. Negli istituti di pena russi, spesso diretti con piglio brutale come ai tempi di Stalin, i pedofili sono considerati una preda. In media non sopravvivono a condanne tra gli 8 e i 15 anni e spesso i quotidiani riferiscono che gli assassini dei pedofili non vengono condannati o ricevono pene lievi.