Giustizia; nelle carceri 22mila detenuti di troppo; da inizio anno 23 suicidi e 337 tentativi Ansa, 13 maggio 2011 Sovraffollati senz’altro (67.510 detenuti al 30 aprile scorso contro 45.543 posti regolamentari), i 208 penitenziari italiani hanno di recente avuto una lieve boccata di ossigeno grazie alla recente legge “svuota carceri” che, consentendo la detenzione domiciliare a chi ha una pena residua non superiore ad un anno, ha fatto uscire fino ad oggi 2.115 detenuti, di cui 533 stranieri. In attesa della realizzazione dei 9.150 nuovi posti che il piano del governo ha previsto con la costruzione di 11 nuovi istituti e 20 padiglioni in quelli già esistenti per un costo complessivo di 675 milioni di euro, il mondo carcerario continua ad essere afflitto da eventi che denotano un sistema in emergenza. Secondo i dati del Dap, su 67.510 detenuti ben 24.923 sono stranieri (si cui 5.193 marocchini, 3.656 romeni, 3.240 tunisini e 2.808 albanesi). I detenuti in attesa di giudizio sono 28.226, i condannati 37.567 e gli internati circa 1660. In semilibertà (escono di giorno per lavorare e tornano la sera in cella) ci sono 890 detenuti, l’affidamento in prova a strutture sociali conta, al 31 marzo scorso, 8.842 condannati, la detenzione domiciliare 6.927 condannati. In attesa della realizzazione di istituti a custodia attenuata previsti dalla recente legge sulle detenute madri, dietro le sbarre ci sono 42 madri e 43 bambini fino a tre anni di età (gli asili nido funzionanti in carcere sono 17), e a loro vanno aggiunte 15 detenute in stato di gravidanza al 31 dicembre scorso. In carcere si muore: 23 i detenuti che si sono tolti la vita conteggiati dal Dap dall’inizio dell’anno fino al 10 maggio scorso, 337 i tentati suicidi, 38 i decessi per cause naturali. Gli atti di autolesionismo sono arrivati a 1.858, mentre le aggressioni hanno portato a 1.389 ferimenti e 508 colluttazioni. Nel 2011 le manifestazioni di protesta, specie contro il sovraffollamento, hanno portato finora 1.964 casi di sciopero della fame e 361 di rifiuto di vitto e terapie. Due le evasioni da istituti penitenziari, alle quali però ne vanno aggiunte altre 45 di cui: una da permessi di necessità, 17 da permessi premio, 3 dal lavoro all’esterno, 3 dalla semilibertà, 14 da arresti o detenzione domiciliare, 6 da ospedali senza piantonamento, una da ospedale con piantonamento. Sette i detenuti arrestati dopo l’evasione. Dodici le tentate fughe. Giustizia: Napolitano; l’emergenza carceri va risolta, gratitudine a Polizia penitenziaria Dire, 13 maggio 2011 Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione dell’annuale festa del Corpo di Polizia Penitenziaria ha inviato al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Franco Ionta, un messaggio in cui esprime “a nome di tutta la Nazione e mio personale, i più vivi sentimenti di gratitudine agli uomini e alle donne della Polizia Penitenziaria che adempiono quotidianamente alle loro funzioni istituzionali sia garantendo la sicurezza negli istituti sia contribuendo fattivamente - in attuazione del dettato costituzionale - al trattamento rieducativo dei soggetti detenuti”. “Anche in un momento reso più difficile e faticoso dal sovraffollamento carcerario - scrive il Capo dello Stato, la Polizia Penitenziaria assolve in silenzio alle sue complesse e delicate funzioni con dedizione, coraggio, competenza e umanità. Un continuativo sforzo di formazione, aggiornamento e specializzazione degli appartenenti al Corpo ha portato anche ad affinarne le capacità investigative e a rendere perciò più efficace il rapporto con le autorità giudiziarie inquirenti, che ad essi si rivolgono con sempre maggiore fiducia nella loro specifica professionalità”. “Con l’auspicio che le iniziative assunte per contrastare la situazione di emergenza del sistema carcerario conseguano il risultato di un progressivo miglioramento delle condizioni generali degli istituti e nel commosso ricordo di coloro che hanno portato sino all’estremo sacrificio l’attaccamento al dovere, giungano a tutti voi, ai colleghi non più in servizio e alle vostre famiglie i più fervidi voti augurali”, conclude Napolitano. Giustizia: Alfano; record di detenuti perché sistema sicurezza e repressione funziona bene Ansa, 13 maggio 2011 Il sistema carcerario italiano sta gestendo il più alto numero di detenuti nella storia della Repubblica, oltre 67 mila, in quanto “funziona meglio il sistema di sicurezza e repressione dello Stato nei confronti della grande e della piccola criminalità e perché non abbiamo fatto amnistie o indulti”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, in occasione dei 194 anni dalla fondazione del corpo della Polizia Penitenziaria. “È opportuno ricordare che questa notte hanno dormito nelle nostre carcere di 67 mila detenuti con un significativo incremento di stranieri. Stiamo cioè gestendo il più alto numero di detenuti della storia repubblicana e lo stiamo facendo grazie allo sforzo e alla dedizione al dovere di ciascuno di voi”. Alfano ha anche sottolineato: “stiamo gestendo un così alto numero di detenuti per due motivi: perché funziona meglio il sistema di sicurezza e repressione dello Stato nei confronti della piccola e della grande criminalità” e “perché non abbiamo fatto amnistie o indulti. È giusto che tutti abbiano coscienza - ha aggiunto il ministro - che il sistema penitenziario è il punto di approdo sia del sistema di sicurezza che del sistema processuale e penale del nostro Paese”. Entro luglio chiusura gara appalto per 20 nuovi padiglioni detentivi “Entro la fine del mese di giugno o luglio” si concluderanno le procedure di gara relative ai progetti definitivi di 20 padiglioni che andranno ad ampliare gli istituti di pena esistenti. Lo ha annunciato il Guardasigilli, Angelino Alfano, partecipando alla festa della Polizia Penitenziaria che si è appena conclusa all’Arco di Costantino, a Roma. “Lo scorso mese di febbraio - ha spiegato il ministro della Giustizia - si sono concluse tutte le progettazioni definitive dei 20 padiglioni previsti da realizzare in ampliamento sui sedimi carcerari esistenti. I progetti definitivi saranno ora approvati dal Commissario delegato e nel rispetto dei tempi tecnici e delle previsioni normative si procederà alacremente alla consegna dei lavori. A Piacenza i lavori sono già iniziati il 28 febbraio scorso e a Trento abbiamo inaugurato il nuovo carcere dotato di tecnologie tra le più avanzate d’Europa”. Le procedure di gara “potranno tutte concludersi entro la fine del mese di giugno o luglio 2011 -ha concluso il titolare del dicastero di via Arenula - la successiva consegna dei lavori ed il loro avvio potrà avvenire nei successivi 60 giorni e, da quella data, la completa realizzazione di un padiglione è stata stimata in un tempo di 450 giorni di lavoro”. Per quanto riguarda la costruzione di nuovi istituti, ha detto ancora il ministro, “ad oggi sono state firmate le necessarie intese con la provincia autonoma di Bolzano, con il Veneto, la Sicilia, le Marche, il Piemonte e il Friuli Venezia Giulia per la costruzione di nove nuove strutture ed entro il 2011 si concluderanno le progettazioni preliminari di tutti i nuovi istituti, in totale 11”. Record di detenuti al 41 bis, sono 690 “Oggi i detenuti al 41 bis sono 690, tanti quanti non sono mai stati nella storia della nostra Repubblica”. Lo ha sottolineato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, intervenendo alla festa della polizia penitenziaria e sottolineando il ruolo svolto dal corpo “nell’attività di contrasto nei confronti della criminalità mafiosa”. Il Guardasigilli ha poi ricordato le iniziative del governo per rafforzare il regime speciale del 41 bis attraverso una modifica “che ci consente oggi di applicarlo stabilmente riducendo la possibilità di elusioni o aggiramenti. Oggi abbiamo un regime pi? sicuro e pi? temuto dai mafiosi, dai camorristi e dagli ‘ndranghetisti, senza dimenticare che tale regime si applica anche ai terroristi”. Il ministro si è detto inoltre grato “alla polizia penitenziaria in prima linea nella lotta contro la mafia che ogni giorno rende effettivo un regime detentivo che costa attenzione, sacrifici e rischi personali. Proprio per questo non dimentichiamo i tanti caduti della polizia penitenziaria anche in questo giorno di festa”. Polizia Penitenziaria: intervento per riallineamento ruoli Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, intervenendo alla festa della polizia penitenziaria ha ribadito che intende sollecitare “un intervento normativo che, pur nei limiti delle attuali contingenze economiche, disponga il giusto riallineamento dei ruoli e qualifiche della polizia penitenziaria con omologhi ruoli e qualifiche della altre forze di polizia ad ordinamento civile”. Il Guardasigilli ha poi ricordato che sul fronte degli organici “nel marzo 2011 sono stati assunti 760 agenti a compensazione dei collocamenti a riposo del 2009, mentre nei prossimi giorni raggiungeranno la prima sede di servizio 142 vice commissari neo vincitori di concorso”. Giustizia: Ionta (Dap); emergenza carceri non superata, ma avviata stabilizzazione sistema Agi, 13 maggio 2011 “Le difficoltà del sistema carcerario che sono esplose in maniera drammatica e che hanno determinato la dichiarazione dello stato di emergenza non possono certo dirsi superate ma abbiamo delineato e avviato il progetto per superare l’emergenza e ragionare in termini di stabilizzazione del sistema”. Lo ha detto Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, intervenendo alla festa della polizia penitenziaria. “Il piano carcere è partito da questa consapevolezza: ampliare le strutture, introdurre misure deflattive, incrementare gli organici - ha spiegato Ionta - il punto di partenza è il record assoluto di presenze di detenuti degli ultimi anni, strutture vecchie e fatiscenti, organici del personale insufficienti. Un sistema inadeguato per assolvere al dettato costituzionale che negli ultimi anni non ha ricevuto risposte appropriate bensì interventi di emergenza come è stato per l’indulto del 2006”. Il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha ricordato che grazie al piano carceri ci sarà un incremento dell’organico di circa 3.400 unità che però a suo avviso “non è ancora sufficiente per il pieno raggiungimento dell’organico previsto di 45.000 unità, ma certamente il più sostanzioso che sia mai stato previsto per la polizia penitenziaria”. Ionta ha sempre ritenuto, e lo ha ribadito anche stamane nel corso della cerimonia presso l’Arco di Costantino, che l’indulto del 2006 è stato una “occasione mancata”, dal momento che “all’eccezionalità della misura deflattiva, che aveva consentito una massiccia riduzione delle presenze, non sono seguiti provvedimenti in grado di risanare il sistema”. Se il 2010 è stato “l’anno dell’emergenza e della progettualità”, il 2011 - ha assicurato il capo del Dap - è stato aperto con l’avvio delle sottoscrizioni dei protocolli d’intesa con le Regioni per avviare la costruzione dei nuovi edifici penitenziari e con l’avvio dei lavori per la costruzione di nuovi padiglioni all’interno degli istituti esistenti. Il sovraffollamento è ciò che desta maggiore preoccupazione perché - ha fatto notare Ionta - il sovraffollamento determina condizioni di vita a volte insopportabili, rende difficile la gestione della quotidianità, della sicurezza e rende il lavoro della polizia penitenziaria faticoso e logorante. Dalla stampa ancora pregiudizi e stereotipi La lettura che la stampa dà delle carceri italiane “risente ancora di pregiudizi e stereotipi, mentre la polizia penitenziaria troppo spesso viene posta sullo sfondo, ci si riferisce ai suoi operatori con espressioni obsolete come guardie carcerarie e addirittura secondini, espressioni che insistono in una connotazione negativa del ruolo”. È quanto ha lamentato Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, nell’intervento alla festa della polizia penitenziaria. “Dobbiamo ripartire anche da qui, da un mutamento culturale - ha detto Ionta - e in questo l’informazione può e deve fare molto, se vogliamo che si esca dal falso dualismo di un carcere o troppo buono o troppo cattivo”. Giustizia: Bernardini (Ri); Alfano racconta favole, il sistema penitenziario non funziona Agi, 13 maggio 2011 “È triste che proprio nel giorno in cui si celebra la festa della Polizia penitenziaria, il ministro Alfano se ne esca affermando che il sistema penitenziario funzioni”. Lo dice Rita Bernardini, deputata radicale del gruppo Pd, che aggiunge: “Ciò accade mentre gli agenti di polizia penitenziaria sono sotto organico di 6.000 unità, non vedono il loro contratto rinnovato da anni, fanno turni massacranti e si vedono pagare gli straordinari e le missioni con enormi ritardi. La situazione è talmente drammatica che ieri sera il Nucleo traduzioni di Rebibbia nuovo complesso si è autoconsegnato e la direttrice del Carcere di Siano ha appena annunciato che si rifiuta di far entrare altri detenuti in carcere, perché non ci sono più posti”. Bernardini incalza: “Gliel’ho proposto più volte ad Angelino Alfano: venga con me e Marco Pannella (giunto oggi al 24esimo giorno di sciopero della fame proprio per quell’amnistia che Alfano si vanta di non aver promosso) a farsi un giro a Poggioreale o all’Ucciardone, a San Vittore, a Regina Coeli, nel Carcere di Gazzi a Messina o a Piazza Lanza a Catania. L’elenco delle carceri, della loro illegalità, del loro portato di morte e disperazione è lunghissimo. Marco Pannella, parlando di galere italiane, usa, a regione, l’espressione “nuclei consistenti di Shoah”. Stasera alle 21 - conclude Rita Bernardini - il leader radicale parteciperà ad un’edizione straordinaria di Radio Carcere e, da radicali, invitiamo tutti a organizzare l’ascolto”. Giustizia: Perduca (Ri); Alfano conferma il totale disinteresse del Governo per le carceri Adnkronos, 13 maggio 2011 “È certo che senza la partecipazione al limite dello sfruttamento-professionale della Polizia penitenziaria, ormai cronicamente sotto-organico, la situazione sarebbe già esplosa da tempo, ma che il ministro della Giustizia esalti la gestione del sistema carcerario italiano affermando che esso funziona anche perché non son stati-adottati atti di clemenza nei confronti dei detenuti conferma il totale disinteresse del governo per il patente stato di illegalità-costituzionale in cui versa la nostra amministrazione della giustizia”. Lo afferma il parlamentare dei radicali italiani Marco Perduca, nel commentare le dichiarazioni del ministro Angelino Alfano nel corso dell’annuale festa della Polizia Penitenziaria. “Degli oltre 67mila carcerati, ristretti in strutture spesso fatiscenti e che ne potrebbe contenere a norma di legge 30mila in meno, un buon 40% è in attesa di giudizio definitivo e le statistiche dicono che di questi quasi un 30% alla fine verrà trovato innocente. Altro che funzionare meglio il sistema repressivo, queste sono politiche da stato di polizia! Allo stesso tempo il ministro ha omesso di ricordare anche la drammatica carenza dei direttori delle carcere (nella sola Toscana ne mancano sette su 17) e il silenzio con il quale vengono corrisposte le richieste di rinnovo di contratto oltre che della necessità di bandire concorsi per le nuove necessarie assunzioni. La prima amnistia necessaria - conclude Perduca - sarebbe per certe dichiarazioni impunite”. Giustizia: Belisario (Idv); da Napolitano parole di speranza agli agenti penitenziari Il Velino, 13 maggio 2011 “Le parole di stima e gratitudine che il presidente Napolitano ha rivolto agli uomini e alle donne della Polizia penitenziaria, in occasione della festa annuale, sono una boccata d’ossigeno, ma mi auguro siano occasione per riflettere seriamente sulla difficile situazione del sistema carcerario italiano, perché motivi per festeggiare non ne vedo”. Lo dichiara il presidente del gruppo Italia dei valori al Senato, Felice Belisario, che aggiunge: “Proprio ieri ho ricevuto una lettera da parte degli agenti di Rebibbia che hanno annunciato l’inizio di uno sciopero della fame e del sonno per la tragica carenza d’organico. Già le colleghe della sezione femminile del carcere romano sono state costrette a ricorrere ad un’analoga protesta, che ha visto il solo gruppo Idv al Senato impegnato per ottenere una soluzione almeno parziale del problema degli organici. Ora Alfano intervenga subito per accogliere le richieste degli agenti ai quali va tutta la mia solidarietà. Il ministro - prosegue Belisario - non è stato finora in grado di risolvere neanche uno dei tanti problemi che affliggono le carceri italiane, problemi che colpiscono i detenuti a causa del sovraffollamento, ma anche gli agenti penitenziari costretti a fare turni massacranti per la grave carenza di personale. Il governo, anziché sprecare tempo, soldi e personale per scorte e auto blu non necessarie, trovi in fretta una soluzione per un’emergenza che - conclude Belisario - coinvolge la dignità professionale degli agenti, il diritto alla salute e alla sicurezza, nonché il reinserimento sociale dei detenuti, così come previsto dalla Costituzione”. Giustizia: se i giudici costituzionali cancellano i pilastri del “decreto sicurezza” di Fiorenza Sarzanini Corriere della Sera, 13 maggio 2011 Due articoli di legge bocciati nel giro di un mese. Due norme che rappresentavano i pilastri del “pacchetto sicurezza” varato dal governo cancellate dalla Corte costituzionale perché ritenute illegittime. Una sconfitta per l’esecutivo, ma prima di tutto per i cittadini. Perché in questa materia non possono essere ammessi errori o passi falsi. Garantire protezione alle persone che vivono nelle grandi città, così come nei piccoli centri, è un dovere per chi amministra. Sentirsi tranquilli è un diritto irrinunciabile e come tale deve essere trattato quando si progetta una riforma così importante. Più volte negli ultimi anni si è scelto di intervenire sull’onda dell’emergenza e dunque dell’emozione. Un fatto di cronaca eclatante, o una scarcerazione che suscita la protesta delle vittime animando il dibattito politico, vengono troppo spesso presi a pretesto per varare nuove regole. Era accaduto anche per la norma annullata ieri, ideata per cercare di frenare le polemiche dopo due episodi di presunti stupri che si erano verificati tra la fine del 2008 e gli inizi del 2009. “Nessuna indulgenza per i violentatori”, proclamò la maggioranza di centrodestra decidendo il carcere obbligatorio poi ampliato ai casi di omicidio che furono equiparati ai delitti di mafia. Una forzatura inammissibile, dicono adesso i giudici della Consulta, che lo scorso anno avevano già eliminato la parte relativa alla violenza sessuale, n ministro dell’Interno Roberto Maroni si dice allibito e non nasconde rabbia e delusione per sentenze che stanno di fatto svuotando il “pacchetto”. Il rammarico è legittimo, ma forse queste decisioni dovrebbero servire a riflettere su come vengono confezionate le leggi e a comprendere che la sicurezza non può diventare un tema di propaganda. Meno che mai in campagna elettorale come invece è accaduto quando i governi di destra e sinistra hanno varato improbabili “giri di vite” per fare fronte agli allarmi estemporanei. Quando si decide di intervenire, sono necessari provvedimenti strutturali, meglio se con un’ampia condivisione parlamentare, che si occupino davvero delle necessità dei cittadini. Ma bisognerebbe avere chiaro che nella maggior parte dei casi le norme già in vigore - se applicate in maniera corretta - sarebbero sufficienti a garantire la sicurezza. Dunque è sbagliato trasformarle nel terreno su cui scontrarsi. Giustizia: fino alla condanna nessuno è colpevole di Carlo Federico Grosso Corriere della Sera, 13 maggio 2011 Il pacchetto sicurezza varato dal governo Berlusconi tra il 2008 e il 2009 ha perso un altro pezzo. La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima un’altra norma del “pacchetto”. i tratta della norma che aveva stabilito che la misura cautelare applicabile a chi è attinto da gravi indizi di colpevolezza per il reato di omicidio volontario può esser soltanto il carcere e non un’eventuale misura alternativa come gli arresti domiciliari. Apparentemente la decisione può stupire. In realtà essa è invece coerente con quanto i giuristi ritengono, comunemente, con riferimento ai provvedimenti giudiziari di natura cautelare. Si sta discutendo di decisioni assunte nei confronti di indiziati o di imputati di omicidio, non nei confronti di condannati. Si sta discutendo, per altro verso, di provvedimenti di natura cautelare, che possono, cioè, essere assunti dal giudice quando risulti necessario prevenire eventi quali la fuga, l’inquinamento delle prove, la reiterazione del reato; non di sanzioni penali applicate a chi è stato riconosciuto colpevole da una sentenza definitiva di condanna. Ed allora, non possono che valere le regole unanimemente riconosciute nei confronti dei provvedimenti cautelari. La libertà personale è diritto inviolabile di ciascuna persona; la presunzione di non colpevolezza costituisce, a sua volta, diritto fondamentale di garanzia riconosciuto dalla Costituzione. Evitare che coloro nei confronti dei quali esistono pesanti indizi di colpevolezza per reati gravi si diano alla fuga, inquinino le prove, ripetano i reati, costituisce a sua volta esigenza riconosciuta di difesa sociale. Trattandosi di restrizioni della libertà realizzate nei confronti di persone che devono essere considerate presuntivamente non colpevoli, e la cui responsabilità non è stata ancora giudizialmente accertata, nell’irrogazione e nella selezione dei relativi provvedimenti il legislatore ha tuttavia previsto il principio di “proporzione e ragionevolezza”. Occorre, in altre parole, che si adotti la misura cautelare idonea a prevenire la fuga, l’inquinamento o la reiterazione criminosa, che sia comunque la meno invasiva possibile della libertà del presunto innocente: se è necessario il carcere, si adotti il carcere, se è sufficiente la restrizione domiciliare, si adotti tale restrizione, se è sufficiente qualcosa di ancor meno invasivo (ad esempio, un semplice controllo di polizia), si adotti tale ultima misura. Se questi sono i principi, la decisione della Cor te Costituzionale appare ineccepibile. Vietare a giudice di considerare elementi specifici relativi ai singoli casi concreti per disporre la misura cau telare restrittiva della libertà idonea alle necessità di prevenzione, che sia tuttavia la meno lesiva possibile della libertà personale, viola sia la norma costituzionale che riconosce il diritto di libertà, sia quella che prevede che nessuno può essere considerato colpevole fino alla condanna definitiva, e la cui libertà personale sino a tale condanna non può essere, pertanto, di regola ristretta. Vi possono essere, certo, reati la cui pericolosità sociale è, ictu oculi, talmente forte da giustificare una sorta di “presunzione assoluta” di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere. In questa prospettiva sia la Consulta sia la Corte europea dei diritti dell’uomo hanno ritenuto giustificabile tale presunzione nei confronti dei delitti di mafia, stante l’oggettiva e intrinseca pericolosità della criminalità organizzata e la necessità di troncare, con riferimento a tale tipo di realtà criminosa, ogni possibile rapporto fra l’indiziato e il sodalizio. Il delitto di omicidio, seppure oggettivamente grave, non giustifica analoga presunzione. Come ha scritto esattamente la Corte, “tale reato può ben essere, e sovente è, un fatto meramente individuale, che trova la sua matrice in pulsioni occasionali o passionali”. Di conseguenza, in un numero elevato di casi le esigenze cautelari sono suscettive di trovare idonea risposta anche in misure diverse da quella carceraria. In questa prospettiva si può pertanto sicuramente ritenere, come ha ritenuto la Corte, che trattare sotto una comune etichetta di “presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura cautelare carceraria” sia i delitti di mafia sia l’omicidio, come ha fatto il pacchetto sicurezza, significhi realizzare una ingiustificata parificazione di fatti del tutto diversi, in spregio del principio di uguaglianza stabilito dall’art. 3 Cost. D’altronde, se non esistono esigenze cautelari, anche con riferimento a reati gravissimi gli imputati affrontano, di regola, il processo senza alcuna restrizione della libertà (per rendersene conto, è sufficiente pensare ai più noti processi per omicidio, quali Cogne, Garlasco, Stroppiana). Ed è assolutamente giusto, perché, al di fuori delle necessità di cautela, la restrizione della libertà personale può intervenire soltanto quando, con la pronuncia di una sentenza definitiva di condanna, è caduta ogni presunzione di non colpevolezza e chi ha sbagliato deve esser chiamato a pagare le sue colpe. Giustizia: Ucpi; sentenza sacrosanta, la custodia cautelare non può essere pena anticipata Il Velino, 13 maggio 2011 “Grossolani attacchi politici e commenti parziali”. Il presidente dell’Unione delle camere penali Valerio Spigarelli liquida così le reazioni alla sentenza della Consulta secondo la quale anche chi è accusato di omicidio potrà attendere il processo agli arresti domiciliari e non più obbligatoriamente in carcere: “Ai professionisti della sicurezza, che stravolgendo il vero urlano la loro indignazione poiché in questa maniera si risparmia la galera agli omicidi, si deve rammentare che la Corte - sottolinea - ha premesso che la custodia cautelare in carcere, cioè la privazione della libertà prima del riconoscimento della responsabilità, è cosa diversa dalla pena, e che la ‘compressione della libertà di una persona indagata o imputata nel corso di un processo è un evento che deve essere ritenuto eccezionale e contenuto entro limiti strettamente indispensabili, come vogliono gli articoli 13 e 27 della Costituzione. Quella stessa Costituzione - chiosa Spigarelli - di cui molti parlano senza neppure conoscerla”. Peraltro, dopo questa decisione “nessun pericoloso indagato sarà ‘rimesso in libertà, come si affanna a dire chi vuole disinformare, posto che quel che è stato cancellato - spiega Spigarelli - è solo l’automatismo assurdo che disponeva l’obbligo della misura della custodia cautelare in carcere in tutti i casi di omicidio, ma non certo la possibilità che ciò avvenga per quegli indagati che siano ritenuti concretamente pericolosi”. Insomma, la sentenza della Corte costituzionale, “auspicata da tempo dall’Unione delle camere penali, stabilisce semplicemente che mandare in carcere un presunto innocente - insiste il presidente dei penalisti - deve essere un fatto eccezionale, non automatico: di questo dovrebbero rallegrarsi prima di tutto i cittadini onesti e poi anche i rappresentanti politici che scoprono le virtù della presunzione di innocenza ogni tanto, e non per tutti. Ma, forse, l’indignazione di molti - conclude - si spiega con il fatto che la Corte ha ribadito che il contenimento dell’allarme sociale prodotto dal reato non può essere annoverato tra le finalità della custodia cautelare. Una indicazione rigorosa e assieme coraggiosa, che rischia di mettere in crisi il Moloch della sicurezza su cui tante carriere, politiche e non, si sono basate”. Giustizia: gli errori giudiziari e il giusto risarcimento di Giovanni Russo Spena Liberazione, 13 maggio 2011 Ostinatamente, nonostante l’inquinamento doloso prodotto dal presidente del consiglio, continuiamo ad impegnarci sui temi fondamentali della giustizia e, in primo luogo, della condizione carceraria, in direzione assolutamente garantista alla luce dell’art. 3 della Costituzione: eguaglianza e pari dignità delle cittadine e dei cittadini. Un ampio arco di associazioni, di giuristi, di operatori penitenziari, di dirigenti politici delle sinistre sta rilanciando, in questi giorni, la campagna che attiene al dramma degli errori giudiziari, affinché lo Stato riconosca il giusto risarcimento in senso anche retroattivo; non si comprende, infatti, perché le persone che hanno subito una ingiusta detenzione debbano ottenere la riparazione solo dal 1989, data dell’introduzione della norma in Italia con il nuovo codice di procedura penale. Molte vittime dell’errore giudiziario, contemplato dall’art. 314 del codice di procedura penale, sono rimaste prive della giusta riparazione “e ciò è accaduto in aperta violazione degli articoli 2 e 24 della Costituzione, nonché delle norme della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” come scriviamo nell’appello che ha già raccolto centinaia di firme di grande autorevolezza giuridica, politica, sociale. Dal 1945 ad oggi, in base ai dati Eurispes, ben quattro milioni e mezzo di persone sono state vittime di errori giudiziari; ma solo 25mila persone hanno avuto un risarcimento. È indecente il fatto che leggi che ricostruiscono un equilibrio risarcitorio dello stato di diritto (presenti nei principali ordinamenti europei) non siano retroattive, lasciando fuori centinaia di migliaia di casi identici per una tagliola costituita arbitrariamente dal legislatore, mentre le cosiddette leggi “ad personam” sono, invece, retroattive. Il garantismo non può essere inteso come arrogante prevaricazione dei potenti. “C’è da dire - spiega Marcello Pesarmi, membro dell’Osservatorio permanente sulle carceri, impegnatissimo in questa battaglia - che se negli anni Settanta e Ottanta la questione riguardava soprattutto detenuti politici, incarcerati in attesa di giudizio a causa del clima speciale dovuto agli anni di piombo, oggi la questione riguarda soprattutto i migranti che, messi tra le sbarre per non aver ottemperato alla legge Bossi-Fini, si scopre solo dopo duri mesi di detenzione senza quasi diritti che avrebbero avuto diritto al riconoscimento dello status di rifugiato”. Purtroppo, queste giuste battaglie -che richiamano anche il sistema giudiziario ad una precisa responsabilità che deriva dalla delicatezza del tema, legato spesso alla carcerazione preventiva, cioè alla esclusione dalla società di menti, corpi, vite per erro- ri che vengono riconosciuti anche sul piano giudiziario - vengono oscurate dal clamore delle indegne proposte berlusconiane sulle commissioni di inchiesta contro l’associazione sovversiva dei pubblici ministeri solo perché esercitano il dovere di indagare per il costituzionale controllo di legalità assegnato loro dalla Costituzione. Richiamiano, quindi, ad un impegno garantista serio che valga per tutte le persone. Chiediamo con forza che il parlamento, oppresso dalle leggi ad personam berlusconiane, trovi lo spazio, dopo la calendarizzazione in commissione giustizia, di approvare la legge di un solo articolo presentata da Rita Bernardini e altri parlamentari radicali anche a nome delle sinistre che il maggioritario bipolare con la soglia di sbarramento ha escluso dal parlamento. È anche una battaglia antiemergenziale. L’emergenzialismo, pretendendo di mettere tra parentesi norme, regole, garanzie in nome dello “stato di eccezione” sta pugnalando ogni giorno al cuore lo stato di diritto. Con questa campagna noi vogliamo anche ribadire che non accettiamo che si creino, da parte del governo, situazioni di allarme per meglio governare popolazioni impaurite e, quindi, a volte, rancorose (come nel caso dei fenomeni migratori in alcuni momenti storici) per sospendere lo stato di diritto. L’emergenzialismo è, infatti, un errore gravissimo perché è mutilazione della democrazia costituzionale. Giustizia: Amnesty; in Italia politici alimentano intolleranza e xenofobia Ansa, 13 maggio 2011 I politici italiani alimentano un clima di crescente intolleranza versi rom, migranti, lesbiche, gay, bisessuali e transgender. L’accusa arriva da Amnesty International, che nel suo rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani nel mondo evidenzia come in Italia, nel 2010, “i diritti dei rom hanno continuato a essere violati”, ci sono state “nuove violente aggressioni omofobe” e “i richiedenti asilo non hanno potuto accedere a procedure efficaci per ottenere protezione internazionale”. “Commenti dispregiativi e discriminatori formulati da politici nei confronti di rom, migranti e persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender hanno alimentato un clima di crescente intolleranza”, si legge nel rapporto. Tuttavia, ha sottolineato Giusy D’Alconzo, direttrice dell’ufficio campagne e ricerche di Amnesty in Italia, “sono migliaia gli italiani che hanno detto no all’intolleranza”. D’Alconzo ha ricordato le 27.000 firme raccolte in una settimana lo scorso aprile per fermare gli sgomberi forzati dei rom a Roma. “Alcune famiglie sono state sottoposte a ripetuti sgomberi forzati - ha denunciato - che hanno disgregato le loro comunità, il loro accesso al lavoro e hanno reso impossibile ad alcuni bambini la frequenza scolastica”. Anche “i richiedenti asilo e i migranti hanno continuato a essere privati dei loro diritti, in particolare per quanto riguarda l’accesso a una procedura di asilo equa e soddisfacente”, si legge nel rapporto. “Le autorità non li hanno adeguatamente protetti dalla violenza a sfondo razziale e, facendo collegamenti infondati tra immigrazione e criminalità, alcuni politici e rappresentanti del governo hanno alimentato un clima di intolleranza e xenofobia”. D’Alconzo ha quindi sottolineato gli “effetti nefasti” del Trattato di amicizia siglato dall’Italia con la Libia, come il drastico calo delle richieste di asilo. “La rivolta in Libia ha svelato la linea politica italiana, perché l’Italia sapeva delle violazioni dei diritti umani commesse dal regime nei confronti degli immigrati”, ha aggiunto. Oggi, l’Italia e l’Europa sono chiamate a intervenire per aiutare le persone ancora imprigionate nel Paese del nord Africa, ha continuato: “Meno di 30.000 persone arrivate in Europa dall’inizio dell’anno non giustificano il panico del vecchio continente”. Lo scorso marzo, ha quindi ricordato D’Alconzo, Amnesty ha avuto un incontro con il ministro degli Esteri, Franco Frattini, per chiedere l’evacuazione dei rifugiati dalla Libia, e il ministro ha garantito la propria collaborazione. Infine, nel suo rapporto Amnesty ha denunciato “nuove violente aggressioni omofobe”, ricordando che “a causa di una lacuna legislativa, le vittime di reati di natura discriminatoria basati sull’orientamento sessuale e l’identità di genere non hanno avuto la stessa tutela delle vittime di reati motivati da altre tipologie di discriminazione”. Catania: detenuto di 33 anni morì di peritonite, chiesto giudizio per il medico di guardia La Sicilia, 13 maggio 2011 Una diagnosi inesatta, una terapia altrettanto sbagliata e la morte del paziente. Di questo è accusato Giovanni Musumeci, 50 anni, il 2 marzo del 2007 medico di guardia del servizio integrativo di assistenza sanitaria del carcere di piazza Lanza. Per la morte di Salvatore Caruso, un detenuto di 33 anni, Musumeci dovrà difendersi dall’accusa di omicidio colposo nell’udienza preliminare fissata dal gip, Alfredo Gari, per il 27 maggio. Secondo l’accusa, il medico di guardia non avrebbe richiesto per Caruso - che accusava forti dolori addominali - esami strumentali che avrebbero fatto emergere la grave patologia addominale sofferta, limitandosi a diagnosticare una colica addominale e prescrivendo quale terapia il farmaco “Spasmex” che non servì a nulla. In realtà Caruso, grande obeso e con un solo rene, avrebbe dovuto essere operato immediatamente per una perforazione intestinale acuta. Invece, dopo la visita del medico dell’ospedale trascorse ancora una notte nella propria cella a Piazza Lanza e solo l’indomani, arrivò all’ospedale Garibaldi in condizioni cliniche ormai gravi. Morì il 6 marzo del 2007 nel reparto di rianimazione dell’ospedale. I familiari con l’avvocato Michele Ragonese presentarono la denuncia che ha portato all’apertura dell’inchiesta. A corredo delle accuse ci sono le relazioni di tre consulenti il prof. Salvatore Mangiameli, il dott. Giuseppe Ragazzi e i dott. Carlo Rossitto e Pietro Piccirillo che concordano nel ritenere come un tempestivo ricovero di Caruso in ospedale avrebbe potuto offrirgli concrete possibilità di salvezza. Per il pubblico ministero Andrea Bonomo il dott. Giovanni Musumeci “per colpa consistita in imperizia, imprudenza e negligenza e per non aver disposto immediatamente i necessari esami strumentali e nell’avere effettuato un’affrettata diagnosi errata con conseguente prescrizione di terapia inefficace e determinante ritardo nell’adozione della terapia adeguata consistente nell’immediato intervento chirurgico a fronte della sussistente perforazione intestinale con peritonite acuta, cagionava la morte di Salvatore Caruso per choc settico da perforazione intestinale con peritonite acuta”. Cagliari: servono aggiornamenti tecnici, slitta l’apertura del nuovo carcere L’Unione Sarda, 13 maggio 2011 I tempi per la consegna del nuovo carcere di Uta slittano di oltre due mesi. La conclusione dell’opera era prevista alla fine di giugno, ma aggiornamenti tecnici sollecitati dal ministero della Giustizia e da quello delle Infrastrutture hanno costretto la società che sta realizzando l’istituto di pena, La Opere pubbliche, a posticipare la data di fine lavori. Contemporaneamente 50 dei 170 operai impegnati nella costruzione della struttura sono stati collocati in mobilità in attesa di nuove riassunzioni. Alessandro Gariazzo, uno dei responsabili della società Opere pubbliche, non vuole neanche sentir parlare di difficoltà economiche. “Nessuna crisi o ritardo nei pagamenti. Stiamo mantenendo i programmi fissati dalla gara d’appalto e dal relativo contratto. Il ritardo di due mesi nella consegna è dovuto al fatto che stiamo eseguendo lavorazioni aggiuntive. In sostanza - precisa Gariazzo - abbiamo ricevuto nuove disposizioni sull’aggiornamento dei sistemi di sicurezza e su altri aspetti legati alle norme in vigore e in continuo cambiamento”. Nel cantiere di Uta sono stati messi in mobilità circa 50 operai. “Nessuna crisi, è solo cambiata la lavorazione. Abbiamo concluso le opere civili e siamo passati agli impianti e alle apparecchiature. Non si può impiegare un carpentiere come un idraulico. Ecco spiegata - aggiunge Gariazzo - la riduzione del personale”. Quanti non lavorano più? “Su 170 operai, ora sono a libro paga 120. Cinquanta sono in mobilità”. Il loro destino? “Stiamo partendo con cinque cantieri Abbanoa, qualcuno verrà assunto”. I lavori del nuovo istituto di pena che sta sorgendo in località Santa Lucia, a pochi passi dalla comunità di padre Morittu, sono iniziati a novembre del 2006. Nel progetto sono previsti 750 posti per detenuti (500 comuni, 150 ad alta sicurezza, 50 riservati alle donne e 50 ai reclusi in semilibertà). L’appalto inizialmente era fissato in 72 milioni di euro, ma i costi sono lievitati sino a 85 milioni di euro, divisi in due tranche. Il primo gruppo da 42 milioni di euro è stato completato. Nella seconda fase da 43 milioni di euro sono realizzati aumenti di volumetrie. Nel nuovo istituto di pena verranno realizzati anche gli edifici destinati agli agenti di Polizia penitenziaria e al personale amministrativo. Il progetto prevede la costruzione di sei palazzine dove saranno alloggiati circa 80 poliziotti. Lucca: politici Udc visitano carcere; situazione critica, regge per professionalità operatori Il Tirreno, 13 maggio 2011 Nella mattinata di ieri l’onorevole Nedo Poli dell’Udc, il candidato alla provincia Gabriele Brunini e il candidato dell’Udc Giovanni Marchi, si sono recati per una visita all’istituto penitenziario San Giorgio di Lucca. Il direttore Francesco Ruello e il vice comandante di reparto isp. superiore Pasquale Di Gennaro hanno esposto le problematiche strutturali del carcere che potrebbero essere risolte con un nuovo edificio. Secondo i dirigenti, però, la difficoltà più urgente da affrontare è la grave carenza del personale di polizia penitenziaria, pari al 45% in meno di organico previsto. Brunini, Poli e Marchi hanno ascoltato con attenzione l’illustrazione della situazione, prendendo impegno di rappresentare ai massimi livelli politici e istituzionali queste forti problematiche. “Certamente la situazione è difficile e in questo senso- hanno dichiarato Brunini, Poli e Marchi - assume ancora maggiore valore la professionalità e lo spirito di sacrificio di chi opera nel carcere. Un pensiero va anche ai detenuti, sperando che anche per loro si possa fare qualcosa. Ci auguriamo che il corso per formazione per allievi agenti di polizia penitenziaria, in programma a settembre, possa consentire di migliorare la situazione degli organici”. Roma: domenica 15 maggio sit-in dei Radicali davanti a Regina Coeli Ansa, 13 maggio 2011 Domenica 15 maggio dalle ore 10 si terrà un sit-in radicale davanti al carcere di Regina Coeli, in via della Lungara a Roma, a sostegno dei detenuti del carcere romano che a partire dallo stesso giorno inizieranno un digiuno a oltranza per accompagnare l'iniziativa di Marco Pannella, giunto oggi al 24esimo giorno di sciopero della fame affinché l'Italia «torni a poter essere considerata, in qualche misura, una democrazia». E' da 21 anni che non viene varato un provvedimento di amnistia, misura indispensabile, più che necessaria, per far funzionare il sistema giudiziario: "perché i magistrati possano lavorare, contro la giustizia di classe e di massa che assicura milioni di prescrizioni". Al sit in saranno presenti parlamentari, dirigenti e militanti radicali, oltre al “Gruppo carceri” di Radicali Italiani che ha promosso l’iniziativa. Roma: Festa della Polizia penitenziaria; il Sappe non partecipa, ma sospende la protesta Redattore Sociale, 13 maggio 2011 Lunedì l’incontro con il Capo del Dap Ionta “Non presenzieremo, ma sospendiamo il volantinaggio”. Il sindacato chiede “impegni concreti”, a partire dall’istituzione della Direzione generale del Corpo. Il Sappe, sindacato di polizia penitenziaria sospende la protesta annunciatate in occasione della celebrazione del 194° Annuale del Corpo, che si terrà domani venerdì 13 maggio 2011 a Roma. “Ho avuto un colloquio con il Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta - spiega il segretario Donato Capace - che ci ha fissato un incontro per la giornata di lunedì prossimo, 16 maggio. Abbiamo apprezzato questa disponibilità e, pur avendogli comunque detto che non presenzieremo alla Cerimonia, abbiamo deciso di sospendere il preannunciato volantinaggio contro quella vecchia nomenclatura e quella dirigenza dell’Amministrazione penitenziaria - sopravvissuta persino al crollo del Muro di Berlino - che da vent’anni ostacola ogni evoluzione ed accrescimento professionale della Polizia penitenziaria, condizionando via via l’operato di tutti i Capi Dipartimento che fino ad oggi si sono avvicendati alla guida del Dap”. “La disponibilità di Ionta, l’alta considerazione che il Sappe ha per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria e per il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che domani sarà presente alla Festa del Corpo e che è da sempre molto sensibile rispetto alle criticità penitenziarie ed al lavoro dei Baschi Azzurri, ci hanno quindi convinto a sospendere le proteste già organizzate per domani”, aggiunge, sottolineando che dall’incontro di lunedì il sindacato “impegni concreti”. Il Sappe chiede l’istituzione della Direzione generale del Corpo, “indispensabile e necessaria per raggruppare tutte le attività ed i servizi demandati alla quarta Forza di Polizia del Paese. Restano invece confermate le nostre proteste in occasione delle Feste regionali, provinciali e locali del Corpo che si terranno nelle prossime settimane nelle varie città italiane.” Ancona: al Teatro delle Muse il progetto “Don Giovanni”, in scena i detenuti di Montacuto Corriere Adriatico, 13 maggio 2011 Cinque percorsi per un teatro sociale ed educativo, questo è il progetto Muse per la città della Fondazione Teatro delle Muse. L’obiettivo è quello di integrare e sempre più ampliare lo spettro di partecipazione di spettatori e soggetti attivi in percorsi articolati e condivisi, intorno alla pratica teatrale, sull’attività laboratoriale e creativa e sulla funzione pedagogica di quest’ultima in grado di intervenire sugli aspetti personali e relazionali. In un’unica Rassegna Muse per la città dal 15 al 22 maggio la Fondazione presenta, i lavori di cinque progetti Don Giovanni in carcere, Mozart a scuola, Tutti i suoni della città, L’Aspetto, Lo strano mega sogno di una notte, tra il Teatro delle Muse e il Teatro Sperimentale con spettacoli, mostre, video, conversazioni e incontri. Gli appuntamenti sono 15 con più di 600 partecipanti. Il primo appuntamento è domenica 15 maggio alle ore 19 al Ridotto delle Muse, un incontro - conversazione, con video proiezione del lavoro, con il regista Luciano Colavero sul progetto-laboratorio Don Giovanni in carcere, realizzato lo scorso anno in collaborazione con la Casa Circondariale di Montacuto. I protagonisti di questo laboratorio sono, infatti, i detenuti provenienti dalle varie sezioni del carcere che attraverso la conoscenza e la pratica dei linguaggi teatrali e musicali hanno già messo in scena all’interno della casa circondariale Don Giovanni in carcere. Il progetto, nato dalla collaborazione tra la Fondazione Teatro delle Muse, la Casa Circondariale di Montacuto, e il Comitato Carcere e Territorio del Comune di Ancona, si propone di approfondire da varie angolature le tematiche e le potenzialità relative al lavoro teatrale in carcere. Durante l’incontro-conversazione il regista Luciano Colavero presenterà momenti di lavoro, estratti del video Don Giovanni in carcere, dando così modo al pubblico di avvicinarsi alle pratiche e ai risultati artistici, ma anche al pensiero, al dibattito e alle sfide che il Teatro in Carcere stimola e lancia al di là dei suoi perimetri. Un territorio teatrale per molti versi nascosto, che deve essere riconosciuto come una delle espressioni più fertili dell’innovazione e dell’interazioni con le politiche culturali e sociali del territorio. Tutte le fasi del lavoro sono state documentate in un diario di bordo, curato da Simona Rossi, e durante l’incontro di domenica si proiettano alcuni estratti del video Don Giovanni in carcere risultato del lavoro fatto l’anno scorso con i detenuti. L’ingresso è libero. Muse per la città prosegue dal 16 al 19 maggio con i progetti dedicati alle scuole i cui protagonisti sono i bambini e i ragazzi che hanno aderito a: Mozart a scuola e Tutti i suoni della città. Il 20 maggio alle 18 al Ridotto del Teatro delle Muse l’appuntamento è con L’Aspetto: un incontro/ conversazione sul progetto – laboratorio teatrale condotto dal regista Simone Guerro. Il regista illustra il ciclo di laboratori che sta tenendo anche quest’anno con un gruppo di giovani diversamente abili, in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Ancona. L’obiettivo è quello di dare un’espressione nuova alla disabilità attraverso il linguaggio teatrale che diventa un percorso di creatività, confronto, scambio e crescita. L’ultimo appuntamento con doppia replica è sabato 21 maggio alle ore 21 e il 22 maggio alle ore 17 al Teatro Sperimentale con lo spettacolo Il mega strano sogno di una notte che vede protagonisti i pazienti del Dipartimento di Salute Mentale guidati dal regista Lorenzo Bastianelli. Torino: intesa tra Prap e Cgm per continuità trattamentale di giovani adulti in area penale Ristretti Orizzonti, 13 maggio 2011 In data 18 maggio 2011, alle ore 10.30, verrà firmato il Protocollo d’intesa tra il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per il Piemonte e Valle d’Aosta e il Centro per la Giustizia Minorile per il Piemonte, Valle d’Aosta e la Liguria, che ha per oggetto la continuità trattamentale dei giovani adulti sottoposti a provvedimenti penali dell’Autorità Giudiziaria. Il Provveditore Regionale, Aldo Fabozzi, e il Dirigente del Centro Giustizia Minorile, Antonio Pappalardo, sottoscriveranno l’importante intesa presso gli Uffici del Provveditorato di Torino a seguito del lavoro di analisi delle problematiche presentate nella fase di transito tra i due sistemi penitenziari e dell’individuazione di prassi utili alla loro risoluzione. Tale accordo, infatti, è il risultato di una positiva collaborazione già in essere tra le due Amministrazioni, finalizzata a favorire l’unitarietà degli interventi trattamentali e a limitare gli effetti negativi per i giovani provenienti dal circuito penitenziario minorile che, compiuta la maggiore età, devono continuare a scontare la pena in un istituto penitenziario per adulti. Le due Amministrazioni intendono riaffermare, anche attraverso questo atto formale, il comune impegno nel realizzare il proprio mandato istituzionale e sociale e mettere in campo ogni risorsa utile a favorire il reinserimento delle persone detenute, con una particolare attenzione ai giovani per i quali l’Ordinamento Penitenziario prevede (art.14, legge 26 luglio 1975, n. 354) sezioni distinte all’interno degli istituti, finalizzate a evitare influenze negative da parte di altri detenuti e ad avviare programmi trattamentali specifici. Ciò anche nella situazione di particolare difficoltà in cui versano oggi le strutture penitenziarie a causa delle scarse risorse finanziarie nonché di personale e a fronte del grave problema del sovraffollamento che caratterizza il sistema penitenziario in questa fase storica e sociale. Radio: Barbara Alberti racconta la sua esperienza come tutor di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 13 maggio 2011 Barbara Alberti nella sua trasmissione “La guardiana del faro” (Radio 24) ha raccontato la sua esperienza di tutor di Carmelo Musumeci al Concorso Letterario “Racconti dal carcere” e intervista Nadia Bizzotto. La trasmissione è stata quella dello scorso 24 aprile. Prefazione integrale di Barbara Alberti al racconto “Notte da ergastolano”, di Carmelo Musumeci. È leggendo “Notte da ergastolano” che ho davvero capito un romanzo di Jack London “Il prigioniero delle stelle”, dove il detenuto seviziato dai secondini e immobilizzato in una camicia di forza, evade rivivendo le sue vite precedenti. Riesce a resistere perché non è più lì - è in Egitto 5000 anni fa o nella Spagna moresca. Mentre i suoi aguzzini infieriscono sul suo corpo, lui passeggia nel mondo e nel tempo, e così si salva. Più interessante la fuga di Musumeci, che evade senza evadere dalla sua vera esistenza ma sprofonda in se stesso, nella sua realtà che doppia quella della prigione. Più fortunato del personaggio di London, che non ha la grande compagna di fuga, la scrittura. Musumeci ha il dono. Le idee, il ritmo, il linguaggio. Mentre lavoravo alla prefazione del suo racconto mi ha scritto: “Non essere tenera, non ce n’è bisogno perché sono ancora vivo. Ho sempre paura che mi dicano che scrivo bene perché sono un detenuto”. Non c’è pericolo. Ergastolano o libero, la scrittura c’è o non c’è, e nessun elogio può fingerla. In una notte in cui “il dolore è più forte delle altre notti”, il protagonista sa che non vuole arrivare a giorno. “Certe sere, anche se là fuori sei amato, ti senti solo e non hai altro che te stesso”. Quella notte si suiciderà. È deciso. “La pena di morte è meno crudele dell’ergastolo”. Mentre prepara minuziosamente l’impiccagione, pensa una silenziosa lettera d’addio alla moglie, ai figli, al nipotino, al cane - “ci mancava anche il cane, questa non è più una lettera d’addio, sta diventando un romanzo”. Carmelo conosce la scienza degli addìi. “Ora sei pronto, non perdere più tempo e non lasciarti scappare questa occasione per scappare. (…) Meglio morto che zombi, è l’unica via di fuga che hai, dà sto cazzo di calcio allo sgabello”. La tenerezza lo tenta, ma sa bene che nulla potrà trattenerlo. E invece l’amore lo trattiene. La vita lo trattiene. Il piacere del pensiero, lo straziante pensiero lo trattiene, con tutte le sue torture. “Per questa notte preferisco vivere, mi rimetto a letto…è stata proprio una brutta nottataccia da cani, una notte da ergastolano”. È un rito, lo fa quasi ogni notte. Si dà tutte le buone ragioni per morire, poi quelli che ama lo riportano in vita. Più forte e arrabbiato che mai. È un gioco, un gioco che riesce sempre perché lui gioca sul serio: vuole davvero morire, e sa che da un momento all’altro potrebbe farlo. Ogni volta non sa, fino all’ultimo, come andrà a finire. Altrimenti l’esorcismo non funzionerebbe. È una roulette russa fra due passioni opposte. Continuare-chiudere. Ogni volta fa ruotare il tamburo della pistola, se la punta alla tempia, e spara. Se finora ne è uscito illeso, è perché un grande giocatore. Un po’ gigione ma pronto alla morte, come De Niro nel film “Il cacciatore”. “Notte da ergastolano” è bello non solo perché è vero (in letteratura conta ben poco), ma perché è mirabilmente scritto, irradia una forte emotività, senza fronzoli, con un tono che sa essere tenero e perfino ironico mantenendo la terribile durezza di fondo. Leggendo una raccolta di scritti di Musumeci, “L’assassino di sogni”, il ritmo spietato, la verità letteraria di ogni parola, l’abilità, la secchezza, mi hanno fatto pensare che abbia il fiato per un grande romanzo. L’autore dice di sé: “Ho 55 anni. Sono nato colpevole. Famiglia povera. Genitori separati. Collegio e botte da preti e suore. Carcere da minorenne a maggiorenne. Ho sempre tifato da piccolo per i “cattivi” piuttosto che per i “buoni”, perché i cattivi mi sono sempre sembrati più veri dei buoni. E poi chi non è stato cattivo è difficile che riesca a diventare buono. Ho una compagna che mi segue da trent’anni, due figli e due nipoti che sono tutti la mia vita. Mia figlia è severa, ho più paura di lei che di dieci carabinieri. Sono un “Uomo Ombra”, condannato alla “Pena di Morte Viva” che è l’ergastolo ostativo, senza nessuna possibilità di uscire se non metti un altro al posto tuo. Sono entrato in carcere con la quinta elementare. Mi sono laureato in giurisprudenza (ora sono in tesi per la specialistica). Senza contare gli anni scontati prima dell’ultimo arresto, mi trovo ininterrottamente da 20 anni in carcere. Ma mi sento un uomo libero, felice e innamorato dell’amore, nonostante la tristezza infinita di non poter stare accanto ai miei figli e alla mia compagna. Mi girano le palle che dovrò invecchiare e morire in carcere, anche per questo da molti anni lotto per l’abolizione dell’ergastolo ostativo”. Come Malcolm X studia in carcere. Nasce in carcere. Si forma. Scopre la passione politica. Deve studiare una difesa dalla disumanizzazione, mettere un muro fra sé e il muro. La condanna non è solo stare rinchiusi, ma essere in balìa del sistema carcerario in ogni sua forma, in ogni sua prepotenza. Invece di abbrutirsi si eleva, diventa un preparatissimo ribelle (“non sono un comunista, sono un anarchico puro). Come Malcom X, in carcere assume a fondo il senso della giustizia. Invece di farsi distruggere, diventa. Una corsa a non far dormire mai l’intelletto, l’affettività, la dignità, la percezione. Grazie al terzo occhio (il senso dell’umorismo), può esprimere la sua affettività con un pathos mai patetico. È un leader. Il suo blog ha un grande seguito, di estimatori e come si dice oggi, di fans affezionati, di gente che gli vuole bene. Visto il suo carisma, da una parte ha trovato attraverso i contatti esterni e la scrittura l’evasione perpetua, dall’altra, la cella deve stargli dieci volte più stretta che a un altro (parlo di un uomo che conosco solo per iscritto, e ciò che dico di Carmelo Musumeci sono impressioni che non si pretendono giudizi). Mi sembra che abbia una grande personalità, uno spettacolare narcisismo, un implacabile sentimento della giustizia, e titaniche passioni, e tormenti profondi, e una eccellente eloquenza letteraria. Tutto enorme, fuor di misura. Un gigantismo che sa esprimersi, come in Majakovskij, il poeta russo, dominatore anche quando non voleva. In “Biografia di un bambino criminale”, dove parla della sua infanzia, Carmelo Musumeci mi ricorda invece Langston Hughes, il poeta della dignità afroamericana. Il padre emigrato in Svizzera, la madre che fa avanti e indietro fra mariti e figli, la nonna che li tira su, e per nutrirli gli insegna a rubare prima che a scrivere. Ma una volta che viene scoperto, lo prende a schiaffi davanti a tutti. E poi in privato, perché s’è fatto beccare. Eppure anche allora la vita è più forte e si affaccia sfrenata la gioia “passavo le giornate nella viuzza insieme agli altri bambini, scalzi e affamati ma felici di stare tutto il giorno a scorrazzare nei campi a rubare la frutta dagli alberi, a caccia di lucertole e rane”. A nove anni muratore, a dieci il collegio “la mia prima prigione”, da cui evade. Il prete lo massacra di botte, lo chiude in uno stanzino senza acqua né cibo. Si vendicherà dandogli una sprangata in testa. Lavora in fabbrica. Poi la prima rapina. La prima prigione. La mia conoscenza della vita e delle opere di Carmelo Musumeci passa attraverso Nadia Bizzotto, una indomabile e affascinante ragazza che ha con lo scrittore un rapporto dialettico e complementare, fortissimo. Lo segue da molti anni. Si tengono testa a vicenda, e dev’essere una bella lotta. La ringrazio anche per la capacità di mettersi in gioco, nella vita e nelle lettere che ci siamo scambiate. Barbara Alberti Mondo: Amnesty; tortura in 98 paesi, esecuzioni capitali in 23, processi iniqui in 54 Dire, 13 maggio 2011 Siamo di fronte a cambiamenti epocali, la richiesta di libertà e diritti civili è sempre più diffusa ed è arrivata dal basso. Ma di fronte al dilagare dei sommovimenti sociali si sono anche acuite le rappresaglie e le repressioni, in diversi paesi del mondo. Il rapporto annuale di Amnesty International mette in evidenza anche i fatti più recenti, e lo fa con un fascicolo apposito sui primi mesi del 2011, distribuito in aggiunta alla pubblicazione principale, che invece contiene dati e avvenimenti dell’anno precedente raccolti in 157 paesi. Amnesty sottolinea che le sollevazioni in Medio Oriente e Africa del Nord hanno ispirato proteste pacifiche anche in Sudan e Azerbaigian, mentre l’incitazione alla rivoluzione in Cina è circolata sul web. Tuttavia arresti, imprigionamenti e condanne hanno cercato di impedire che in questi paesi continuassero le richieste di maggiori libertà e diritti civili. Come in Cina, anche in Iran e Azerbaigian i governi stanno cercando di impedire preventivamente proteste e manifestazioni di malcontento. Particolare accento è stato posto sul ruolo della comunicazione: nuove tecnologie e social media hanno creato scenari prima impensabili: “La tecnologia digitale è stata una finestra sulle lotte che si sono diffuse anche grazie alla velocità di propagazione di certi messaggi - ha detto Christine Weise, presidente della sezione italiana - abbiamo visto che i social media sono utili per organizzare manifestazioni di protesta e a tessere reti di solidarietà”. Per questo è stato sottolineato il ruolo e la responsabilità che hanno alcune aziende: quelle che forniscono accesso a internet, servizi di telefonia mobile, piattaforme per social network e altri supporti alla comunicazione digitale. Gli esponenti di Amnesty hanno esplicitamente sottolineato che queste aziende non devono diventare pedine o complici di governi autoritari che usano questi mezzi per reprimere la libera espressione, o per spiare i loro cittadini. Amnesty fa inoltre il punto della situazione anche in paesi come Libia, Siria, Yemen, Arabia Saudita e Bahrein, dove ci sono state repressioni a volte anche molto violente e sanguinose. E a proposito di Libia, durante la presentazione del rapporto alla stampa, i relatori hanno dichiarato che “Amnesty non ha preso posizione a favore di un intervento militare in Libia”, ma la richiesta fatta ai governi occidentali è stata piuttosto quella di lavorare a favore di una giustizia che possa neutralizzare i responsabili dei massacri. In seguito, quando l’intervento armato è stato deciso, “Amnesty ha chiesto innanzi tutto di tutelare adeguatamente i civili e il rispetto del diritto umanitario in tutte le sue parti”. Invece, riguardo al 2010, l’associazione ha contato casi di tortura e maltrattamenti in 98 paesi (erano 111 nel 2009), in 54 paesi si sono registrati processi iniqui (stesso numero nel 2009), la libertà di espressione è stata illegalmente limitata in 89 paesi (erano 96 nel 2009), in 48 paesi ci sono stati prigionieri di coscienza (48 anche nel 2009), in 23 paesi ci sono state esecuzioni di condanne a morte (18 nel 2009), mentre nuove condanne a morte sono state emesse in 67 paesi (56 nel 2009). In totale due terzi della popolazione mondiale non ha avuto possibilità di accesso alla giustizia a causa di sistemi giudiziari assenti, corrotti o discriminatori. È stato anche ricordato il dato dei 400 giornalisti imprigionati o minacciati nell’America meridionale. Inoltre l’associazione segnala che lontano dai riflettori e dalle prime pagine internazionali, migliaia di difensori dei diritti umani sono stati minacciati, imprigionati, torturati e uccisi in paesi come Afghanistan, Angola, Brasile, Messico, Russia, Turchia e vari altri. E che in Angola, Benin, Camerun e Togo sono state vietate manifestazioni pacifiche.