Giustizia: vergogna carcere, viaggio nella discarica di un paese colpevole di Valentina Ascione Gli Altri, 8 luglio 2011 Luglio è già qui e spalanca le porte al periodo più caldo dell’anno. La colonnina di mercurio sale inesorabile. L’asfalto si scioglie sotto le suole delle scarpe, nei parchi l’erba ingiallisce seccata dal sole. I condizionatori lavorano a pieno regime, nelle case e negli uffici. Che man mano si svuotano per le ferie. Le spiagge invece si riempiono, come le strade del centro di turisti. Intanto si celebra il rito stagionale del primo maxi esodo e migliaia di vacanzieri si riversano nelle autostrade a bordo delle proprie macchine verso lidi o montagne, dove starsene un po’ al fresco. Al fresco per davvero. Non per quel beffardo modo di dire che, mentre la temperatura aumenta, sembra prendersi gioco di decine di migliaia di persone. 67400, secondo gli ultimi dati del ministero della Giustizia. La calda estate italiana dietro le sbarre è già torrida. Il sovraffollamento arroventa le celle piccole e fatiscenti, dove l’umidità e il sudore di troppi corpi stipati in pochi metri rende l’aria pesante, irrespirabile. In carcere, del resto, perfino la doccia può essere un lusso, concesso solo alcuni giorni a settimana o per pochissimi minuti al giorno. E a volte i detenuti devono scegliere se lavarsi o uscire in cortile per l’ora d’aria: una decisione non semplice per chi è costretto a trascorrere in cella venti, ventidue o addirittura ventitré ore, a guardare il soffitto sdraiato sulla propria branda. Sdraiati, perché in letti a castello di tre o quattro piani la distanza tra un materasso e l’altro è di appena poche decine di centimetri. Sdraiati, poiché lì dove non c’è spazio per le sedie l’alternativa è stare in piedi. Ma se si è in troppi diventa necessario fare i turni anche per quello: perfino per starsene appoggiati al muro. Fermi. Nel carcere di Padova ci sono 96 posti e 196 detenuti: nelle celle singole si sta in 3, in quelle da 4 ci si arrangia in 6 e in quelle da 6 in 9. A Siano, in provincia di Catanzaro, fino a 5 persone possono dividere una cella di quattro metri per quattro, mentre nel sesto raggio di San Vittore, a Milano, 6 detenuti si spartiscono 7 metri quadri. A Poggioreale, carcere tra i più grandi d’Europa, si possono contare fino a 14 persone in un’unica cella dove il bagno confina con l’angolo cottura. E se a Santa Maria Capua Vetere uno spazio di 2,7 metri per 4 può ospitare anche 8 reclusi, al Canton Mombello di Brescia in 30 metri quadri sono sistemati, come sardine, ben 15 detenuti. Sono questi alcuni esempi contenuti nel dossier dell’associazione Antigone sulle condizioni detentive in Italia, dal quale emerge un quadro ai limiti del grottesco, se si pensa che una direttiva europea recepita dal nostro Paese in materia di protezione dei suini dispone che questi vadano allevati in una superficie minima di sei mq, ottimale di nove. Un quadro drammatico, allarmante che viola apertamente gli standard europei secondo cui a ciascun detenuto spetterebbe uno spazio di almeno 7 mq in cella singola e di 4 in cella multipla: parametri al di sotto dei quali la detenzione diventa una forma di tortura, vietata dall’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo. E proprio sulla base di questa violazione 350 detenuti di istituti italiani hanno presentato ricorso alla Corte di Strasburgo, che su due casi ha già chiesto spiegazioni al nostro governo. E forse farebbe bene a preoccuparsi, il governo, alla luce del precedente che nel 2009 ha visto lo Stato italiano a condannato risarcire Izet Sulejmanovic, detenuto bosniaco recluso nell’istituto romano di Rebibbia dal novembre 2002 all’aprile 2003, perché per tutta la durata della pena aveva potuto disporre di soli 2,7 mq. La mancanza di misure efficaci per far fronte al grave stato di sovraffollamento presta il fianco a una potenziale pioggia di ricorsi, soprattutto se la popolazione carceraria continuerà ad aumentare a ritmi vertiginosi. Antigone ha calcolato che in tre anni, dal 2007 al 2010, il numero di detenuti è aumentato del 50 per cento, staccando di oltre 20 mila unità il limite considerato “regolamentare”. Una corsa inarrestabile, che di certo non ha contribuito a rallentare la scarna azione di governo. La legge sulla detenzione domiciliare per le pene inferiori a un anno, fortemente voluta dal guardasigilli Alfano e battezzata con l’ambiziosa denominazione di “svuota carceri”, ha finora permesso la scarcerazione di appena 2.600 reclusi. Un vero flop, determinato dall’eliminazione in sede di discussione del ddl di quel prezioso automatismo che avrebbe evitato di dover sottoporre ciascun caso ai meccanismi lenti e malandati del nostro pachidermico sistema giudiziario; e che invece è stata posta come condicio sine qua non per l’approvazione del testo da parte chi, sventolando la bandiera securitaria, aveva agitato il fantasma di un nuovo indulto. Come se quello varato nel 2006 non avesse dato risultati lusinghieri in termini di recidiva. Solo il 30 per cento di coloro che cinque anni fa hanno usufruito di quel provvedimento è infatti tornato a delinquere, a fronte di un tasso medio di recidiva “ordinario” che si aggira intorno al 68 per cento. È un indicatore illuminante, la recidiva. Un dato inconfutabile, che inchioda alla propria inefficacia un sistema penitenziario che affonda le proprie radici in una cultura repressiva e coercitiva. Una cultura che confonde la pena con la mortificazione della personalità, dei diritti dell’uomo, prima che del detenuto. Ciò fa sì che il lavoro, canale principale per quelle finalità rieducative che la legge attribuisce alla pena e per la reintegrazione di chi ha imboccato la strada sbagliata, venga confinato nel superfluo, tagliato, sacrificato. Eppure le statistiche dimostrano che l’accesso a un’attività lavorativa durante la pena contrasta fortemente la recidiva; così come le misure alternative alla detenzione in carcere, capaci di abbassarla fino al 20 per cento. Per un carcerato lavorare è sempre più difficile. I rubinetti della cosiddetta legge Smuraglia, la quale prevede sgravi fiscali per cooperative che assumano detenuti, sono ormai a secco. Ma anche le occupazioni intra moenia scarseggiano. Per non parlare delle altre attività trattamentali o delle risorse per il sostentamento stesso dei detenuti. Le ore di assistenza psicologica, già al lumicino, hanno subito ulteriori tagli e i sindacati di polizia penitenziaria avvertono che tra pochi mesi inizieranno a mancare i fondi perfino per il vitto dei detenuti. Da qualche parte accade già. A Viterbo, ad esempio, dove i reclusi hanno raccontato che il carrello dei pasti arriva vuoto alla fine del corridoio perché non ci sono abbastanza soldi per sfamare tutti; e così ogni giorno il carrello inizia il giro da un lato diverso così da evitare di lasciare a bocca asciutta sempre le stesse persone. Nel carcere bolognese della Dozza invece sono finiti i letti e, riferiscono gli agenti, alcuni detenuti sono stati costretti a dormire sul pavimento. Ci sarebbe da chiedersi cosa debba ancora accadere perché le istituzioni intervengano per fermare il collasso del sistema, la strage di vite, lo scempio di legalità che quotidianamente si compie nelle nostre galere. Anche ai danni di innocenti. Di migliaia di reclusi in attesa di giudizio che - chissà fra quanto - saranno rimandati a casa con tante scuse, ma senza più un capo da cui riprendere il filo del proprio destino. Sono oltre il 40 per cento, infatti, i detenuti che non hanno una condanna definitiva e le statistiche suggeriscono che la metà di loro sarà riconosciuta innocente. Circa il 30 per cento, invece, sono tossicodipendenti; molti dei quali, in base alla legge, potrebbero essere affidati a comunità terapeutiche e invece marciscono in galera imbottiti di psicofarmaci, facili prede di istinti suicidi. La custodia cautelare, la legge sugli stupefacenti e sull’immigrazione sono le falle che ingolfano la macchina giudiziaria e riempiono le galere. Nonostante questo nessuno ai posti di comando si assume la responsabilità di invertire la rotta e scegliere la strada della depenalizzazione. Il pianeta carcere non può più sostenere l’impatto di politiche securitarie, giustizialiste, messe in atto per intercettare, cavalcare e montare gli umori peggiori del paese alla ricerca del consenso elettorale. Del paese che nulla sa e nulla può sapere dell’emergenza umanitaria in corso al di là delle mura di cinta, perché l’informazione, sempre più spesso a rimorchio della politica, presta maggiore attenzione alla giustizia di pochi, ad personam. E non a quella che, con il suo carico di processi arretrati - sia penali che civili - tiene in ostaggio milioni e milioni di cittadini italiani e danneggia anche la nostra già disastrata economia, ad esempio scoraggiando chi anche dall’estero potrebbe investire in Italia, ma non lo fa per paura di restare intrappolato nel tunnel di una causa legale senza fine. E non sa, il paese, nemmeno della mobilitazione in atto da quasi tre mesi nelle carceri su tutto il territorio nazionale. E fuori, tra i familiari dei detenuti che scontano una pena solo in apparenza meno dura di chi oltre le sbarre - mariti e mogli, padri e madri, figli e figlie - aspetta solo di riabbracciarli. Tra gli operatori penitenziari: i direttori, gli agenti di polizia penitenziaria, gli avvocati, gli psicologi, gli educatori. Della mobilitazione dell’intera comunità penitenziaria, dove tutti - liberi e non - sono vittime del medesimo carnefice: uno Stato “delinquente” perché incapace di rispettare la propria legge. La mobilitazione che ha visto e vede, ormai, circa 20 mila persone aderire allo sciopero della fame lanciato il 20 aprile scorso dal leader radicale Marco Pannella, per sollevare l’attenzione sull’emergenza carceraria e sulla crisi della giustizia. In 20 mila chiedono un’amnistia. Un’”Amnistia per la Repubblica”, per sbloccare il sistema e riavviarlo. Per riportare le nostre galere a livelli minimi di legalità costituzionale e non tornare indietro, mai più. Un’amnistia vera contro quella strisciante, e di classe, che ogni anno manda in prescrizione quasi 200 mila procedimenti per chi ha i mezzi per assoldare giganti del Foro. Mentre le prigioni diventano discariche sociali per poveri, stranieri, disabili psichici, tossicodipendenti: scuole di delinquenza dove in moltissimi casi si entra innocui e si esce criminali. E si muore ogni giorno, anche restando vivi. La lotta di questo esercito nonviolento non fa notizia, o comunque è meno appetibile dei tafferugli, delle cariche o delle sassaiole. Eppure è proprio la nonviolenza dei detenuti a far sì che il sistema non imploda del tutto. Il senso di responsabilità con cui collaborano - in fondo - alla gestione dell’ordine, resistono e sopportano la violazione quotidiana dei diritti per conservare intatta la propria dignità. È una rivolta da ammirare e sostenere, fino a rompere il muro del silenzio e porre fine alla scandalosa inciviltà delle nostre carceri. Una rivolta da cui ciascuno può perfino imparare. Imparare, perché no?, da chi ha sbagliato. Giustizia: grazie, Pannella… di Piero Sansonetti Gli Altri, 8 luglio 2011 La sua battaglia non violenta contro l’orrore delle carceri e del sistema della detenzione è un esempio per tutti. Non l’indignazione o la ricerca di giudici che stanghino gli avversari, non la sola difesa da propri, interessi, ma la difesa delle vere minoranze e l’affermazione dei principi essenziali della civiltà umana. Per fortuna che Marco c’è. È impressionante la distanza che corre tra l’iniziativa e la sensibilità di Marco Pannella, “vecchio arnese” della politica italiana, e il modo di comportarsi e di pensare del “giovane” ceto politico - per esempio quello del Pdl, o del Pd, o quello che siede al governo - oppure del giornalismo o dell’intellettualità. Da anni il ceto politico italiano non è in grado di proporre una idea, di aprire una battaglia politica ragionevole. Il giornalismo e l’intellettualità sono schiacciati dalle polemiche sul sesso, o sul gossip, oppure sono in cerca di iniziative giudiziarie in grado di danneggiare l’avversario e di supplire alla propria mancanza di pensiero. L’intera classe dirigente di questo paese si dimostra, persino con orgoglio, priva di qualunque idea e anche robustamente ostile alla stessa idea di poter avere qualche idea. E alla fine è lui, ormai ottantenne, il discolo che negli anni Sessanta sosteneva l’obiezione di coscienza antimilitarista, negli anni Settanta sosteneva il diritto al divorzio e poi all’aborto, negli anni Ottanta si batteva contro la partitocrazia e la sottomissione della Rai ai partiti, negli anni Novanta chiedeva la riforma del nostro sistema istituzionale, è sempre lui, il vecchio Pannella, il capo del più antico e del più piccolo dei partiti italiani, a buttare sul tappeto i problemi enormi e veri e misconosciuti del nostro tempo. Le carceri. Beh, non gliene importa niente a nessuno delle carceri. Il fatto che nel corso di questa calda estate le celle saranno piene all’inverosimile, e che in alcuni penitenziari i detenuti dovranno fare a turno per mettersi seduti, il fatto che più della metà dei prigionieri è in attesa di giudizio, ma non può attendere il giudizio a casa propria, il fatto che più della metà di questi detenuti in attesa di giudizio a termine dell’iter giudiziario risulterà innocente, il fatto che i giudici dispongano di un potere mostruoso, che modifica la vita di migliaia e migliaia di persone - e spesso la rovina senza ragione - e che non siano chiamati a rispondere dei loro eventuali errori, il fatto che piccoli reati di scarsissimo impatto sociale e di nessun valore etico - come persino il consumo di droghe o piccolissimi furti, o lo stesso essere cittadini stranieri senza permesso - siano ferocemente puniti con mesi e mesi di galera... tutti questi fatti messi insieme contano mille o duemila volte meno di uno scoop su Lele Mora o degli incomprensibili colloqui - a occhio abbastanza innocui - tra un tal Bisignani e parte del mondo politico italiano. Il problema delle carceri oggi è uno dei grandi problemi italiani. E una gigantesca questione di civiltà. E voi sapete bene che questo giornale lo grida ai quattro venti da molto tempo. E chiede che il problema sia affrontato, con nuovi indulti, con amnistie e soprattutto con una robustissima depenalizzazione che si muova nella prospettiva di una graduale abolizione del carcere, istituzione obsoleta, violenta, persecutoria e di sopraffazione. Sapete anche che le righe che noi scriviamo servono a pochissimo. Non ci dà retta quasi nessuno. E soprattutto non ci dà retta la sinistra, dalla quale il tema carceri, in genere, è visto come fumo negli occhi. La sinistra italiana è obnubilata dalla nuova passione, quella della legalità e della severità delle pene. Non se la sente di affrontare il tema delle carceri, anche perché i carcerati non stanno simpatici, in fondo sono una minoranza, o non votano o votano poco. Per questo diciamo: “meno male che Marco c’è”. Perché solo lui ha la forza, il carisma e l’intelligenza per farsi sentire. E anche il coraggio: persino il coraggio fisico, visto che affrontare uno sciopero totale della fame e della sete non è una cosa da niente. Quello che colpisce di più, nelle battaglie di Marco Pannella, è il valore assoluto dei temi che propone e la semplicità dei mezzi con i quali svolge la sua lotta. E esattamente il contrario del degrado della politica al quale assistiamo. Quando i giornali sbandierano la questione morale - mi chiedo - a cosa si riferiscono? La questione morale è nitida solo se si guarda alle battaglie di Pannella: nel suo combattimento e nella sua passione civile c’è molta moralità. C’è nel porre il tema delle carceri e c’è nella limpidità della sua nonviolenza. Nell’ignorare Pannella e i problemi che pone (slegati dalla necessità di controllare i consensi, di “vendere”, o di “vendersi”) c’è una carica enorme di immoralità. E dico queste cose anche con un po’ di rabbia. Perché ci sono tantissimi aspetti del pensiero di Pannella - soprattutto il suo “spietato” liberismo - che io non condivido e non sopporto. E perché mi ricordo di quegli anni - i Settanta, gli Ottanta - nei quali da giovane militante del Pei ero furentemente ostile a Pannella e al suo anticomunismo. E però, non c’è niente da fare, guardo ora Pannella e la sua capacità di privilegiare la realtà e la verità: è mille miglia più in alto di tutto il resto del mondo politico. Giustizia: nonviolenti, dunque silenziati di Valter Vecellio Europa, 8 luglio 2011 Le violenze, da qualsiasi parte vengano e chiunque le commetta, sono sempre da condannare; chi si arma di spranghe, scaglia pietre, getta acido sul viso delle persone, chi mette in essere azioni di guerriglia come hanno fatto i black bloc in occasione delle recenti manifestazioni anti Tav è il peggior nemico della causa che dice di voler difendere: se i mezzi qualificano i fini, la pagina scritta in Val di Susa è amara come il fiele. Detto questo una riflessione sorge spontanea, e riguarda soprattutto noi che facciamo informazione. Da oltre due mesi Marco Pannella è in sciopero della fame, per alcuni giorni ha fatto anche quello della sete. Con Pannella, per uno, due, cinque giorni, hanno digiunato e lottato altre quindicimila persone, almeno la metà detenuti e le loro famiglie; e poi gli avvocati penalisti, gli educatori penitenziari; il presidente della repubblica Napolitano ha scritto quello che ha scritto e lo ha fatto in modo ufficiale. Un appello di sostegno alla lotta nonviolenta di Pannella e dei detenuti è stato sottoscritto da centinaia di personalità della politica e della cultura; e molto altro ancora. Ebbene, tutto in due mesi: ciò non ha avuto un decimo della visibilità che le proteste violente dei No Tav ha avuto in un giorno solo. Pannella e i detenuti digiunano, lottano con gli strumenti della nonviolenza e vengono mortificati, nessuno si preoccupa di raccontare il motivo per cui lo fanno. Degli scriteriati usano spranghe, tirano pietre, e subito sono pagine e pagine sui giornali, una quantità di servizi alla radio e alla televisione. Il nonviolento è silenziato, il violento “premiato” con una straordinaria visibilità e con la possibilità di essere conosciuto e valutato. “Ormai abbiamo raggiunto il limite della capienza tollerabile. Certamente non possiamo andare avanti così”. L’allarme, questa volta, viene dal capo dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta: “La situazione è molto complessa e faticosa. I detenuti ospitati nelle 206 strutture italiane toccano quota 67mila, un numero ai limiti della capienza fisica tollerabile”. Bene. Per far fronte a questa emergenza che si fa? “Verranno costruiti venti nuovi padiglioni e undici nuovi istituti”. Perfetto, quando accadrà? “Entro tre anni dall’affidamento degli appalti dovrebbe essere tutto ultimato”. Sì, abbiamo capito bene: se ne parla nel 2015, nel migliore dei casi. E nel frattempo? Perché a parte le condizioni inumane, letteralmente illegali in cui si costringono a vivere 70mile persone, un buon terzo delle quali in attesa di giudizio (e almeno la metà sarà dichiarata innocente), accade che ogni anno circa 150mila processi anno siano chiusi per scadenza dei termini. Solo quest’anno si calcolano circa 200mila prescrizioni. Ogni giorno almeno 410 processi vanno letteralmente in fumo. Sono le cifre di un’amnistia che viene tranquillamente accettata, e che si può permettere chi, avendo denaro, si può permettere bravi avvocati, capaci di districarsi tra le maglie dei codici e delle leggi, esperti nell’arte dell’allungare i tempi e procrastinarli. Non solo un’amnistia quotidiana e silenziosa, ma di classe. In galera, per lo più, restano dei poveri cristi. L’altro giorno a Roma, i direttori penitenziari, hanno manifestato contro il governo e quella classe politica che sta facendo “macelleria di diritti sia delle persone detenute che degli operatori penitenziari, negando ai primi la dignità di un sistema carcerario civile, ai secondi quelli che afferiscono il trattamento giuridico ed economico di lavoratori in uno dei settori del pubblico tra i più difficili e tormentati”. È la prima volta nella loro storia che i direttori delle carceri e quelli degli uffici dell’esecuzione penale esterna scendono in piazza per protestare sullo stato penoso del sistema carcerario italiano. Ne ha parlato qualcuno? Un messaggio di sostegno e di solidarietà non formale viene dal sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani: “Dobbiamo riconoscerlo: è grazie a Pannella, se l’Italia scopre oggi di doversi vergognare, ancor di più che del clima romano da basso impero, per la situazione carceraria del nostro paese. L’assunto “lontano dagli occhi lontano dal cuore” si sta infrangendo contro un grido disperato che denuncia in Italia una situazione disumana, che riguarda uomini e donne, detenuti e guardie carcerarie...”. Sarebbe bello, e utile, se si creasse un movimento dei sindaci, tutti insieme mobilitati per trovare forme di lotta e iniziativa politica comuni. Continuano intanto le tragedie all’interno del carcere. Un detenuto a Busto Arsizio, dove sono recluse 400 persone e dovrebbero essere 160, ha tentato di impiccarsi. Gli agenti all’ultimo minuto sono riusciti a salvarlo. Bisogna fare come i black bloc per avere visibilità, perché ci si accorga di questa realtà, e si cominci a riflettere, a confrontarsi sulle possibili soluzioni? Giustizia: nelle carceri strage di legalità e di diritto… i sicari e i mandanti di Maria Cristina Massili Notizie Radicali, 8 luglio 2011 L’articolo di Luca Ricolfi sul quotidiano “La Stampa” il 3 luglio scorso dovrebbe essere letto con distacco e insieme con adesione emotiva per capire da dove derivano le difficoltà di intellettuali, politici e “classe dirigente “ a capire ciò che per Marco Pannella è semplice da comprendere. Dalla comprensione razionale, per un essere umano dotato di ragione e sentimento deriva la necessità del gesto concreto e dell’azione pratica. Il prof. Ricolfi parla di “catastrofe umanitaria” delle carceri e descrive le condizioni disumane e incivili in cui si trovano ammassati degli esseri umani. Ma questa situazione non sembra condizione “sufficiente” per sostenere le ragioni dell’amnistia. Sembra prevalere il sospetto inconfessato di demagogia. L’amnistia sembra costituire uno strumento desueto,quasi arcaico in uno stato moderno per godere di una qualche credibilità. Nell’ultima parte del suo articolo il prof. Ricolfi tocca il vero cuore del problema: “…in Italia esiste un drammatico problema di modernizzazione civile. Un problema che ovviamente chiama in causa i comportamenti di ognuno ma che è prima di tutto un problema di civiltà giuridica nei rapporti tra lo stato e i singoli cittadini. Oggi in Italia, di fronte allo stato e ai suoi apparati, troppe volte il singolo cittadino è inerme, sottoposto ad ogni tipo di vessazione, abuso, negligenza, sordità. Sotto questo profilo, a 150 anni dall’unità d’Italia siamo ancora sudditi e non cittadini. E lo siamo ovunque, sia quando siamo ancora liberi e ci troviamo di fronte ad apparati che violano le regole e abusano del loro potere, sia quando incappiamo nelle maglie della giustizia e, fin dalla condizione di detenuti in attesa di giudizio, sperimentiamo l’inferno delle carceri italiane”. Il prof. Ricolfi non sembra però cogliere il punto centrale della questione, cioè che l’ostacolo principale alla comprensione delle ragioni dell’amnistia è, paradossalmente, proprio la grave assenza di stato di diritto del nostro paese e il livello insopportabile di illegalità criminale e criminogena raggiunto da certi gruppi sociali: colletti bianchi, funzionari e burocrati di stato nonché dagli apparati dei servizi, che hanno smarrito il senso del loro compito o lo hanno barattato con l’avidità personale, la corruzione individuale o corporativa. È questa assenza di stato di diritto che produce la sudditanza, il conformismo mentale dei “sudditi” che non riescono ad identificare le vere ragioni della dilagante situazione di disagio e illegalità in cui ristagna la società italiana. P2, P3, P4 sono solo nomi diversi di uno stesso modus operandi criminale e oltraggioso per i cittadini italiani che vogliono vivere in una società retta dalla Costituzione Repubblicana. Mentre individui dello spessore criminale di un Mokbel vanno ai domiciliari e ,altri spregevoli individui, come De Gennaro, non si sa neppure se abbiano mai fatto un solo giorno di carcere, migliaia di disgraziati vengono oggettivamente torturati da condizioni carcerarie disumane. Ciò che rende l’amnistia ostica e difficile da accettare ai più è proprio il fatto che un’amnistia generalizzata, farebbe uscire il colletto bianco della banda della Magliana, l’estorsore, il corrotto di alto rango, il concussore di stato, il delinquente professionale, assieme al poveraccio che si trova dentro per reati ridicoli o all’immigrato vittima della tratta di esseri umani. L’incidenza del problema droga nel sovraffollamento delle carceri è stata già ampiamente denunciata, per esempio da Franco Corleone che da anni si occupa del problema: “I dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, confermano i tremendi danni sul carcere che la legge antidroga votata nel 2006 dalle Camere già sciolte ha prodotto nei cinque anni di applicazione e in particolare nel 2010. Eravamo stati facili profeti a immaginare le conseguenze delle norme punitive introdotte per pura ideologia e a ridicolizzare la retorica salvifica secondo la quale la gravità delle punizioni avrebbe spinto alla cura i tossicodipendenti. La strage che si compie ogni giorno nelle carceri italiane in termini di violazione della legalità e dei diritti e che va sotto il nome pudico di “sovraffollamento”, non è un accidente naturale, ma ha una causa nella legge criminogena che si appella alla “guerra alla droga”. Arriviamo alle cifre. Al 31 dicembre 2010 il numero dei tossicodipendenti in carcere era di 16.245 detenuti pari al 24% dei 67.961 presenti (la cifra è sottostimata perché mancano i dati di Roma e di altri Istituti minori). Per una valutazione completa del fenomeno, va aggiunto il numero imponente di 27.294 ristretti per violazione dell’art. 73 (detenzione e spaccio) del Dpr 309/90, pari al 40,16% delle presenze. Il quadro diventa ancora più sconvolgente se esaminiamo i flussi di entrata in carcere in un anno e non le presenze in un giorno. Nel 2010 nelle carceri italiane sono entrati dalla libertà 84.641 soggetti per droga, di questi 24.008 (pari al 28,5%) classificati come tossicodipendenti e 26.141 (pari al 29%) per fatti inerenti l’art.73 della legge antidroga. Una giustizia di classe che in Italia è bene espressa dalla legge Cirielli che salva gli incensurati e calpesta i recidivi. Il bilancio fallimentare della legge Giovanardi deve spingere a raccogliere le sollecitazioni autorevoli della Global Commission on Drug Policy per un cambio di paradigma.” Contro una infame ingiustizia di classe occorre avere il coraggio di proporre un’amnistia “di classe” che faccia uscire dalle carceri quelli che vi sono stati rinchiusi a causa delle leggi Bossi - Fini, Fini - Giovanardi e la Cirielli. Costoro sono oltre il 60% dei carcerati italiani. Il restante, costituito dai veri criminali e dai corrotti invece non dovrà essere amnistiato. Solo rompendo gli schemi del demenziale conformismo che corrompe il cuore e il cervello degli italiani saranno ben chiare e, vogliamo scommettere, anche ben accette, le vere e profonde ragioni dell’amnistia. Ad una situazione arretrata giuridicamente e socialmente quale è quella italiana di oggi, è necessario ricorrere all’istituto antico dell’amnistia per raggiungere quel minimo di condizione per cui lo stato possa ancora considerarsi civile e provare ancora un pòdi rispetto per se stesso. Gli italiani non sono stupidi, sono solo schiacciati da una realtà economico - sociale di tipo “terroristico”, la medesima che causa le dinamiche della carcerazione selettiva. L’abominio che si consuma nelle carceri italiane è infatti della stessa natura di quello che si consuma nella società italiana deprivata di stato di diritto e di legalità nelle istituzioni. Questo aspetto è stato ben colto dalla sensibilità del prof. Ricolfi quando denuncia che gli italiani ancora sudditi dopo 150 anni di unità d’Italia. In Italia non solo è gravemente carente lo stato di diritto, ma mancano i luoghi informali e istituzionali dove poter discutere e affrontare realmente i problemi. Per poter attuare questa indispensabile amnistia è necessario riuscire a pensare in modo pratico e concreto, perché mentre chi è fuori chiacchiera, chi è dentro muore o rischia di morire. A Marco Pannella ho inviato qualche giorno fa questa mail che ripropongo anche oggi : Caro Marco, voglio sottoporre alla tua attenzione alcune riflessioni sulla questione dell’amnistia e quindi sul tuo sciopero della fame (e della sete). Cercherò di essere molto sintetica: 1) Occorre innanzitutto capire la natura degli ostacoli che sbarrano la strada ad un sentimento vasto e diffuso a livello popolare nei confronti della proposta di amnistia. L’ostacolo principale credo sia dovuto alla confusa ma diffusa percezione ,in larghissimi strati della popolazione, della capillarità dei fenomeni criminali nel nostro paese. Ciò induce una resistenza forte ad accogliere la tua proposta di amnistia. È difficile che i cittadini, vittime d abusi e violenze da parte di un potere sempre più illegale riescano a percepire la differenza tra la vera criminalità contro lo stato e la società, quella connessa ad una situazione di clandestinità e di bisogno indotto proprio dalla criminalità di stato. Tanto più che la situazione di sbando istituzionale e legislativo in cui si trovano gli immigrati non favorisce certo la comprensione della verità sottostante. 2) Che fare per superare questa resistenza conscia o inconscia? Innanzitutto delimitare l’amnistia a quel 60% di disgraziati ,vittime della legge Bossi - Fini, della legge Fini-Giovanardi e della Cirielli sulla recidiva; non allargando però la richiesta di amnistia ai reati commessi dai colletti bianchi, dai concussori di stato, dagli altri criminali dell’economia e della finanza e ovviamente ai mafiosi. L’accoglimento della proposta produrrebbe uno svuotamento delle carceri già di per sé sufficiente. 3) Prospettare l’immediata creazione di cooperative per l’inserimento lavorativo dei beneficiati dall’amnistia. Eventualmente utilizzando come sedi gli immobili sequestrati all’ndrangheta, a cosa nostra e alla camorra. I fondi a cui attingere potrebbero essere quelli dei sequestri ai mafiosi . 4) Predisporre azioni di protesta con cartelli davanti ai Comuni, alle prefetture, ai tribunali con le cifre dei suicidi in carcere, del sovra popolamento carcerario. Rassicurando però i cittadini sul fatto che i colletti bianchi del crimine non saranno amnistiati. Vorrei che ti fosse risparmiata la triste meditazione che ebbe a fare Ernesto Rossi quando, dopo essere riuscito a sfuggire alla polizia fascista, non trovando nessuno disposto a nasconderlo , fu ripreso dai fascisti e si trovò a pensare : ma io per chi faccio tutto questo? Credo dunque che occorra portare i cittadini dalla parte del diritto e dello stato di diritto ma che, proprio per questo, occorra tener fuori dall’amnistia coloro che non sono vittime ma malfattori beccati in flagranza di reati contro l’assetto costituzionale della repubblica. Giustizia: contro i miei interessi (di diavolo) propongo di rendere utili le galere di Renato Farina Tempi, 8 luglio 2011 L’inferno non è come il carcere. Infatti, come si può notare, i diavoli possono a turno uscire dalle tenebre eterne per ragioni di lavoro. Quelli bravini poi, come il qui presente Diavolo della Tasmania, sono praticamente a spasso in permanenza oltre lo Stige. Per cui, lasciatemelo dire visto che me ne intendo: la prigione - almeno quella italiana - è diversa dall’inferno. Per due motivi. Il primo è amarissimo: si sta peggio dal punto di vista logistico che giù da noi. Da Belzebù e Satanasso c’è più spazio, più fantasia nelle pene, non ci prende per i fondelli nessuno con la storia delle amnistie e neanche lo si fa credere ai nostri dannati. C’è però un altro aspetto delle galere italiane (ma forse vale per l’intero pianeta) che le fa immensamente diverse dagli inferi. Qualche volta Dio va lì, qualche volta benedice, rende il tempo utile, prezioso, lo carica di umanità. A prescindere dai metri quadrati a disposizione dei singoli detenuti. Le carceri sono una possibilità di miracolo permanente. Qualche volta lì il bene si raccoglie a secchi. Il dossier proposto in questo numero di Tempi dice tante cose. Una la vorrei testimoniare io. Quando nei panni di deputato giro le galere, e ne ho visitate tante, almeno una ventina, vedo cose e incontro persone che sono un forziere pieno d’oro. Sia chiaro: qui non si tratta di soste nere come in cella finisca gente che non ha commesso reati o che meriterebbe vacanze stipendiate invece delle sbarre. Ma di tenere desta la consapevolezza che non esiste colpa che può spegnere la scintilla di infinito e il desiderio di bellezza che c’è anche nel petto più carico di infamia. Questo non toghe affatto la necessità della giustizia. La misericordia non sostituisce o annulla l’espiazione. Ma dà a ciascuna vita, anche a quella dell’assassino, una utilità impensabile. Ultimamente sono stato a San Vittore. Il raggio numero sei, salvo errori od omissioni, è contro qualsiasi legge. Credo che sia vietato vendere sardine in scatola con una concentrazione come quella che ho verificato. Sei detenuti in buchi forse di 8 metri quadrati. Un tavolino. Ripeto, dopo essere stato in quel sudatolo e affumicato - io avrei fatto volentieri un tuffo nel pentolone della pece per rinfrescarmi. Eppure lì ho trovato una voglia di vivere misteriosa. Così parlando anche con altri, dentro l’umiliazione, un diamante di dignità. Mi dicono che il sovraffollamento sia endemico. E un’amnistia oggi farebbe perdere cinque milioni di voti ai partiti che osassero proporla. Dunque è impensabile, nonostante le ottime intenzioni di Pannella. Se però la gente, anche quella che ha subito soprusi, visitasse di più le celle, e le scolaresche lo facessero con gli insegnanti, si otterrebbero due cose: 1) un deterrente contro l’intenzione di darsi al crimine, 2) la compassione che spacca un cuore sensibile. Le galere non sono fuori dal mondo: sono tra noi. Facciamo in modo che facciano del bene al mondo. Lo dico contro il mio interesse diabolico. Questa gente chiede di lavorare. Diamoglielo ‘sto lavoro. In carcere ci sono italiani che accetterebbero mansioni che fuori dal carcere nessun connazionale vuole. Fare il pane di notte, lavorare il legno, assemblare. Ho depositato con Alessia Mosca del Pd una proposta di legge per rendere più facile la presenza di aziende negli istituti di pena, con lavori seri, utili alla rieducazione, sul modello di Padova. Costa poco. Giace in Commissione lavoro alla Camera dal 2 dicembre 2009, ha firme di tutti i partiti. Si chiama “C. 3010 Modifiche alla legge 22 giugno 2000, n. 193, in materia di agevolazioni per le imprese e le cooperative sociali che favoriscono l’inserimento lavorativo dei detenuti”. Farebbe del gran bene. Giustizia: la custodia cautelare è indecente di Paolo Cirino Pomicino Il Tempo, 8 luglio 2011 Il dramma delle carceri dà per intero l’immagine di un paese che scivola verso il burrone della inciviltà incompatibile con una democrazia moderna. L’urlo di indignazione non buca il video né l’opinione pubblica per diversi motivi, non ultimo il fatto che il digiuno del coraggioso Marco Pannella è un film visto troppe volte e a cui, drammaticamente, si fa l’abitudine. E invece mai come questa volta la protesta di Pannella è sacrosanta. A fronte di una capienza di 48 mila posti ad oggi nelle nostre carceri vi sono stipati 67.288 detenuti con tutto quel che si può immaginare in termini di igiene e di spazio vitale visto e considerato che in molti penitenziari si è chiusi in cella per 22 ore su 24. Le responsabilità sono molteplici a cominciare da quelle del governo, naturalmente. Ma vi sono anche altre responsabilità che se affrontate con il buon senso e con la tradizionale e, ahimé, smarrita cultura giuridica italiana potremmo avere risultati immediati. E ci spieghiamo. Dagli ultimi dati del ministero di grazia e giustizia dei 67 mila e passa detenuti 29.836 sono in attesa di sentenza definitiva. Di questi 14.671 sono in attesa del primo giudizio (molti anche dell’udienza preliminare). È quasi certo che di questi 14 mila e passa detenuti in attesa del primo giudizio almeno 2/3 potrebbero essere o mandati agli arresti domiciliarlo controllati con annesso ritiro del passaporto. L’uso smodato della custodia cautelare, infatti, ha raggiunto punti di oscenità vergognosa tanto che meraviglia il silenzio del parlamento, tanto sensibile, invece, ad altri aspetti giudiziari. L’uso smodato e incivile della custodia cautelare, inoltre, determina in moltissimi casi ingiustizie ancora più gravi dell’affollamento visto che spesso si mantengono in galera persone poi riconosciute innocenti. Ebbene in nessuno di questi casi abbiamo mai sentito una parola di scuse da parte di qualche pm o di qualche gip. Tanfo per ricordarlo ai lettori tra i tantissimi innocenti tenuti in carcere per quasi due mesi ci fu l’ex sindaco di Roma Clelio Darida, l’indimenticabile Franco Nobili presidente dell’Iri e Francesco Gaetano Calta - girone, uno dei migliori imprenditori del paese. Dietro di questi c’è stato e continua ad esserci, un mare di sofferenza inflitta senza alcuna sentenza di condanna e senza alcuna certezza di colpevolezza. Ma è possibile che gli inquirenti italiani sappiano fare le indagini solo arrestando preventivamente le persone o intercettandole “a strascico”? Basterebbe utilizzare la custodia cautelare lasciandola come strumento necessario per quei pochi giorni necessari alle perquisizioni e al ritiro del passaporto. Se si ritornasse a questa “ratio” legislativa che prevede anche custodie cautelari più lunghe in caso di pericolosità pubblica (criminalità organizzata, traffico di droga, omicidio, rapina a mano armata) oltre 10 mila detenuti potrebbero essere mandati agli arresti domiciliari o a piede libero. La bulimia dei lunghi arresti preventivi è segno di decadenza giuridica e morale e dà a un Paese l’inevitabile profilo di un declino civile. Il governo, il parlamento, l’ordine giudiziario e lo stesso consiglio superiore della magistratura ci pensino e anche in fretta. Eviterebbero sofferenze inutili a innocenti e torture quotidiane ai tanti colpevoli e certamente la sera potrebbero addormentarsi con maggiore serenità. Giustizia: “svuota-carceri”; appello dei Garanti dei detenuti alle Associazioni ed ai Comuni Ristretti Orizzonti, 8 luglio 2011 Appello per le Associazioni di volontariato e per i Comuni per rendere maggiormente applicabile la Legge Alfano sulla detenzione domiciliare. Il Coordinamento nazionale dei Garanti territoriali per i diritti dei detenuti, si è riunito lo scorso 28 giugno a Firenze e ha discusso ovviamente della situazione degli istituti penitenziari, che continua a essere caratterizzata da una presenza di detenuti superiore alla capienza regolamentare. La preoccupazione dei Garanti è determinata anche dalla qualità della composizione sociale dei detenuti, in particolare dall’alto numero di detenuti tossicodipendenti e di persone che hanno violato il Dpr 309/90 per detenzione e piccolo spaccio, per i quali occorrerebbe trovare forme alternative alla detenzione dentro il carcere. In questo ultimo periodo è stata sollevata la richiesta di amnistia, che in molti istituti sta suscitando speranze sostenute da scioperi della fame e altre forme di proteste. Questo quadro complesso si manifesta all’inizio di una estate calda e che non può consentire distrazioni e che obbliga ad un impegno eccezionale. Quasi un anno fa, esattamente il 26 novembre 2010, il Parlamento approvò una legge che suscitò contraddittoriamente speranze e preoccupazioni e che aveva lo scopo di favorire una forma particolare della detenzione domiciliare per i detenuti con pena residua sotto i 12 mesi. Nonostante alcuni giornali e forze politiche la definissero polemicamente una legge “svuota carceri,” nei fatti solo pochi soggetti hanno potuto usufruire di questa possibilità, soprattutto perché sprovvisti di domicilio. La legge all’art. 1 comma 1 prevede la possibilità che “la pena sia eseguita presso l’abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza”. Il Coordinamento dei Garanti territoriali ha deciso di rivolgere un appello alle grandi organizzazioni di volontariato e di impegno sociale, affinché mettano a disposizione le loro sedi presenti nel territorio, per ospitare i detenuti delle carceri vicine. Una adesione al progetto anche per non grandi numeri, consentirebbe di alleggerire il peso del sovraffollamento, specialmente in un periodo difficile come l’estate. In qualche modo vorremmo praticare il modello utilizzato dalla Regione Toscana e da altre Regioni per i profughi, evitando mega strutture e creando una rete sul territorio tra piccoli Comuni e volontariato. Ovviamente perché il progetto abbia basi solide occorrerebbe anche il sostegno dei Comuni per garantire i servizi di sussistenza e a questo proposito ho inviato una lettera al Presidente dell’Anci. Questo intervento va inteso non come una forma di supplenza, ma come una forma di impegno sociale, perché una legge non rimanga sulla carta e soprattutto si dia attuazione ai principi della Costituzione sul senso della pena e sul reinserimento sociale delle persone detenute. Per il Coordinamento dei Garanti Franco Corleone Giustizia: Garanti dei detenuti; lettera al Capo del Dap Ionta “In carcere non è mai Ferragosto” Ristretti Orizzonti, 8 luglio 2011 Gentile Presidente Ionta, il Coordinamento nazionale dei Garanti territoriali per i diritti dei detenuti, si è riunito lo scorso 28 giugno a Firenze e ha discusso ovviamente della situazione degli istituti penitenziari, che continua a essere caratterizzata da una presenza di detenuti superiore alla capienza regolamentare. La nostra preoccupazione è determinata anche dalla qualità della composizione sociale dei detenuti, in particolare dall’alto numero di detenuti tossicodipendenti e di persone che hanno violato il Dpr 309/90 per detenzione e piccolo spaccio, per i quali occorrerebbe trovare forme alternative alla detenzione dentro il carcere. In questo ultimo periodo è stata sollevata la richiesta di amnistia, che in molti istituti sta suscitando speranze sostenute da scioperi della fame e altre forme di proteste. Questo quadro complesso si manifesta all’inizio di una estate calda e che non può consentire distrazioni e che obbliga ad un impegno eccezionale. Il Coordinamento ha deciso di impegnarsi su tre fronti: il primo garantire nel mese di agosto iniziative non demagogiche in carcere, dando voce alle richieste dei detenuti con una campagna che abbiamo denominato “In carcere non è mai Ferragosto”; il secondo basato su un appello ai Comuni e alle maggiori associazioni di volontariato, perché si rendano disponibili luoghi di accoglienza per rendere maggiormente applicabile la legge sulla detenzione domiciliare. Infine, e questa è la proposta che è indirizzata particolarmente al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che riguarda la costituzione una “unità di crisi”, che potrebbe avere come durata quella indicata nella legge n. 199 del 26.11.10 (31.12.2013) per la realizzazione del piano carcere. Il Coordinamento vuole che sia ben compreso lo spirito di questa iniziativa, che non vuole essere intesa né come una sfida né tanto meno come una provocazione, ma un terreno di coinvolgimento dei soggetti che hanno responsabilità diverse ma impegno comune per la riforma del carcere e il rispetto dei principi costituzionali e della legge sull’Ordinamento Penitenziario e del Regolamento del 2000. Siamo quindi disponibili a valutare le modalità di lavoro di uno strumento straordinario che a nostro parere dovrebbe vedere coinvolti anche le istituzioni come l’Anci, la Conferenza Stato Regioni, il Coordinamento dei Magistrati di Sorveglianza e la partecipazione delle associazioni di volontariato e di impegno sociale e gli osservatori sul carcere, come quello delle Camere Penali. Sono a disposizione per qualsiasi chiarimento e mi auguro che questa ipotesi di collaborazione venga accolta positivamente. Per il Coordinamento dei Garanti Franco Corleone Giustizia: ok del Senato alla Commissione per proteggere i diritti umani, ma senza poteri ispettivi di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 8 luglio 2011 Ok dalla Commissione affari costituzionali del Senato lo scorso 28 giugno al disegno di legge che istituisce la Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani. La proposta legislativa era stata approvata dal consiglio dei ministri lo scorso 3 marzo. L’Italia, neo membro dello Human Rights Council delle Nazioni Unite, in questo modo cerca di rimediare a una antica lacuna. Infatti il diritto internazionale dei diritti umani da quasi un ventennio prevede che gli Stati istituiscano organismi indipendenti di monitoraggio dei diritti dell’uomo. Il disegno di legge, approvato all’unanimità, intende dare attuazione della Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite n. 48/134 del 20 dicembre 1993, più diffusamente nota con il nome di “Principi di Parigi”. Era il 9 febbraio del 2010 quando il Consiglio dei diritti umani dell’Onu, in sede di esame periodico universale, segnalava alle autorità italiane come il nostro ordinamento fosse ancora doppiamente monco: mancava una autorità di supervisione dei diritti umani e mancava una autorità di controllo dei luoghi di detenzione così come previsto dal Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, dall’Italia firmato nel 2003 ma mai ratificato. L’Italia aveva promesso all’Onu, al fine di divenire membro del nuovo Consiglio dei diritti umani, che avrebbe colmato tutte le proprie mancanze. Mentre la istituzione della Commissione ha avuto un suo avvio di discussione parlamentare, anche grazie all’impegno del presidente della Commissione diritti umani del Senato Pietro Marcenaro, l’introduzione di un organismo di controllo dei luoghi di privazione della libertà non ha fatto passi in avanti. Si tenga conto che la Commissione di cui al testo approvato in Senato non ha poteri ispettivi né di accesso in carceri, centri di identificazione per stranieri o commissariati. Il disegno di legge approvato dalla Commissione affari costituzionali del Senato prevede che il nuovo organismo sia composto da tre membri, di cui due eletti con maggioranza dei due terzi dalle Camere e un terzo, il presidente, che sarà nominato congiuntamente dai presidenti di Camera e Senato. Deve trattarsi di soggetti che, come recita l’articolo 2 del disegno di legge, devono essere scelti tra persone “altamente qualificate nel settore dei diritti umani, di riconosciuta indipendenza e idoneità alla funzione e che possiedano un’esperienza pluriennale nel campo della tutela e della promozione dei diritti umani”. Il compito principale della Commissione sarà quello di monitorare il rispetto dei Trattati sui diritti umani ratificati dall’Italia. Tra i compiti ulteriori e più significativi della Commissione vi è quello di formulare pareri, raccomandazioni e proposte al governo e al parlamento su tutte le questioni concernenti il rispetto dei diritti della persona. Vi è anche la possibilità di ricevere segnalazioni di violazioni dei diritti umani provenienti dagli interessati o dalle associazioni. I poteri di indagine sono però abbastanza circoscritti. La Commissione potrà avvalersi dei suggerimenti del Consiglio per i diritti umani e le libertà fondamentali costituito da non più di quaranta persone, di cui venti scelte da organizzazioni non governative, quattro dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, sei in virtù della propria esperienza professionale, tre dall’Anci, dall’Upi e dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, sei dalla presidenza del consiglio dei ministri, dal Ministero degli affari esteri, dal Ministero dell’interno, dal Ministero della giustizia, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, e infine uno dall’Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali. Giustizia: continua raccolta di adesioni alla proposta di legge per estensione ingiusta detenzione Ristretti Orizzonti, 8 luglio 2011 Si rilancia la raccolta di adesioni perché inizi la discussione in Parlamento della proposta di legge per l’estensione dell’ingiusta detenzione. Sono state depositati ad inizio legislatura i testi riguardanti l’estensione della riparazione alla Camera da parte dell’On. Rita Bernardini (radicali-Pd) e dell’On. Pier Luigi Mantini (Udc), ed al Senato dalla Sen. Poretti Donatella e dal Sen. Marco Perduca dei radicali - Pd. Le ragioni delle vittime dell’errore giudiziario, contemplato dall’art. 314 del codice di procedura penale, approvato nel 1989, che restano prive della giusta riparazione perché i loro procedimenti si sono conclusi prima dei quella data, sono state presentate in una conferenza stampa a Roma il 12 maggio dagli on. Bernardini, Giovanni Russo Spena, Eletta Deiana e Patrizio Gonnella presidente di Antigone. La raccolta, che fra le personalità della società civile, del sindacato, della politica e dell’associazionismo, dal 29 maggio annovera fra gli altri i nuovi sindaci di Milano e Napoli, Pisapia e Demagistris, ed ora riprende con l’impegno di Mauro Palma, Comitato europeo contro la tortura, Michele Passione, Osservatorio camere penali, Carmen Bertolazzi, Ora d’aria, e Sandra Bettio, carcere e giustizia Arci Genova, per sottolineare il bisogno di giustizia nel momento in cui si rischiano i tagli alle cooperative che assumono detenuti dentro e fuori del carcere (legge Smuraglia) e vengono raggiunti i 100 detenuti morti in sei mesi. Marcello Pesarini Osservatorio permanente sulle carceri Giustizia: associazioni, penalisti e magistrati, insieme denunciano condizioni disumane carceri Ansa, 8 luglio 2011 Associazioni, penalisti e magistrati per una volta insieme per denunciare le disumane condizioni in cui versano gli istituti penitenziari italiani destinate a peggiorare durante il periodo estivo e presentare proposte concrete per fronteggiare l’emergenza. Accadrà mercoledì prossimo, il 13 luglio, con una conferenza stampa che si terrà nella sede dell’Unione delle Camere Penali Italiane. All’incontro con i giornalisti, coordinato da Stefano Anastasia, interverranno Luca Palamara (Anm), Cesare Antetomaso (Giuristi Democratici), Franco Corleone (Coordinatore nazionale dei garanti territoriali dei diritti dei detenuti), Rossana Dettori (Cgil-Fp), Piergiorgio Morosini (Magistratura Democratica), Giuseppe Mosconi (Antigone), Ornella Favero (Ristretti Orizzonti), Valerio Spigarelli (Ucpi) e Franco Uda (Arci). Sarà anche l’occasione per la presentazione del documento “Sovraffollamento: che fare?” alla cui realizzazione hanno contribuito A buon diritto, Acli, Antigone, Arci, Associazione nazionale Giuristi Democratici, Beati i Costruttori di Pace, Cgil-Fp, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Forum droghe, Magistratura Democratica, Ristretti Orizzonti, Unione Camere Penali Italiane. Giustizia: Sarno (Uil); l’amministrazione penitenziaria è in piena crisi, ha 134 mln € di debiti Il Velino, 8 luglio 2011 “Come da noi anticipato il graduale esaurimento dei fondi sui principali capitoli di gestione ordinaria dell’amministrazione penitenziaria sta creando gravi problemi amministrativi ed operativi, tanto da farci dire che la paralisi ed il totale tracollo del sistema si avvicinano a passo di corsa”. Così il segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, sulla situazione che investe il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. “Nel volgere di poche ore un automezzo della polizia penitenziaria (con una percorrenza di circa 500mila km) adibito alle traduzioni, in Puglia è finito fuori strada con scorta e detenuto a bordo (per fortuna senza gravi conseguenze). In Toscana - informa il segretario generale della Uil Penitenziari - una traduzione si è interrotta per l’esaurimento del carburante dell’automezzo di servizio. Solo le anticipazioni del personale di scorta hanno consentito che il mezzo ripartisse e che il detenuto potesse essere presente nelle aule dibattimentali e, poi, fare rientro nell’istituto di appartenenza. Questi due ultimi episodi, che si sommano a tanti altri analoghi, marchiano con il timbro della realtà e dell’attualità le condizioni in cui versa il sistema penitenziario italiano, sempre più sull’orlo del fallimento economico. Questa situazione, ovviamente, non può non generare dirette conseguenze sulla operatività dei servizi e sull’incolumità fisica del personale e degli stessi detenuti”. La situazione debitoria dell’amministrazione penitenziaria assomma a circa 134 milioni di euro e secondo la Uil Pa Penitenziari solo un intervento del Guardasigilli potrebbe assicurare un futuro immediato meno preoccupante. “Se il ministro Alfano, oltre ad esercitare le prerogative di un segretario di partito, si industriasse anche nell’ambito delle sue competenze di ministro della Giustizia potrebbe concorrere ad offrire al sistema penitenziario una boccata di ossigeno quanto mai necessaria”, conclude Sarno. Fra le proposte del segretario generale Uil, spicca inoltre l’eventualità di mettere mano ai fondi del Fug (Fondo Unico Giustizia), per finanziare le missioni del personale e garantire altri interventi urgenti. Giustizia: Fp-Cgil; con tagli “manovra” per Polizia penitenziaria condizioni proibitive Adnkronos, 8 luglio 2011 “La manovra economica colpisce per l’ennesima volta le forze di Polizia carceraria che sono costrette a lavorare in condizioni sempre più proibitive”. Lo afferma Francesco Quinti, responsabile nazionale Fp-Cgil comparto sicurezza si in un comunicato. “Come se non bastassero i pesanti interventi del 2008 e del 2010, il blocco di assunzioni, rinnovi contrattuali e indennità accessorie - continua - con questa manovra si penalizza ulteriormente il settore sicurezza, negando quella specificità operativa più volte riconosciuta dai ministri competenti e dal ministro Brunetta”. “Questo Governo non riesce a garantire nemmeno il regolare pagamento del lavoro ai dipendenti delle forze di pubblica sicurezza - incalza - come da tempo accade ai poliziotti penitenziari, a cui per mesi non vengono rimborsate le somme anticipate di tasca propria né corrisposta l’indennità di missione stabilita per il servizio di traduzione dei detenuti”. Fp-Cgil denuncia inoltre che la manovra eliminerà inoltre il pagamento delle indennità accessorie nei primi dieci giorni di malattia, anche se contratta per causa di servizio. Il sindacato chiede “al Presidente della Repubblica, in qualità di garante della Costituzione, di salvaguardare i principi cardine della nostra carta e la tutela dei diritti e delle retribuzioni dei lavoratori del Comparto Sicurezza - conclude - ingiustamente colpiti dagli effetti di una manovra iniqua che rompe equilibri delicatissimi, anche in un comparto che ha la responsabilità di garantire la sicurezza del Paese”. Lettere: morto detenuto paraplegico, gli sono state negate cure esterne al carcere di Franco Corbelli Ristretti Orizzonti, 8 luglio 2011 Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, denuncia un “nuovo gravissimo, tragico episodio verificatosi nelle carceri”. “Un detenuto calabrese, E. M., di 52 anni, gravemente malato, costretto alla sedia a rotelle - afferma Corbelli - è deceduto in carcere mercoledì mattina, in una città siciliana, dove era stato trasferito da un mese, ai familiari è stato impedito di vedere la salma che è stata chiusa in una bara e trasportata in Calabria dove è arrivata giovedì sera alle 19”. L’uomo, a favore del quale nei mesi scorsi era intervenuto Corbelli con un appello umanitario, era stato da un mese trasferito dalla Calabria in Sicilia, per scontare una condanna passata in giudicato di pochi anni di carcere”. “Nonostante le sue gravi condizioni di salute, perché era paraplegico - afferma Corbelli - E.M. non aveva ottenuto né gli arresti domiciliari, né la possibilità di essere ricoverato e curato in un centro specializzato di Catania o Parma (quelli attrezzati per la sua patologia). Mercoledì mattina l’uomo alle 9,30 si è sentito male. Sono stati disposti degli esami. Un’ora dopo è stato trovato già morto per terra. Alle 14 è stata informata la famiglia in Calabria. Ai familiari è stato, di fatto, impedito di poter vedere la salma perché poche ore dopo il decesso, alle 17, è stata chiusa in una bara e il giorno dopo, ieri giovedì, trasferita in Calabria, dove è giunta ieri sera alle 19”. “È doveroso in un Paese civile - sostiene Corbelli - dare risposte a questi interrogativi. Perché si è tenuto in carcere quell’uomo paraplegico? Perché non è stato curato adeguatamente? E soprattutto cosa è accaduto mercoledì mattina dal momento che si è sentito male sino a quando è morto?”. Lettere: una richiesta di civiltà, dai detenuti del carcere Don Bosco di Pisa Liberazione, 8 luglio 2011 Cara “Liberazione”, Zone del Silenzio si fa portavoce di alcune istanze sollevate dai detenuti in una lettera aperta inviata dal Don Bosco di Pisa: “Le carceri italiane scoppiano e la soluzione non è quella di costruire nuovi istituti di pena, carceri galleggianti, trasformare la questione umanitaria e politica in emergenze da affrontare (non certo risolvere) con provvedimenti e legislazioni di emergenza che sfuggono a qualunque logica e diritto democratico. Se fotografiamo la popolazione carceraria, in soli 5 anni sono ben 13mila in più i detenuti per reati legati al possesso e piccolo spaccio di sostanze stupefacenti, il 70% poi dei segnalati alle autorità giudiziarie è legato al possesso e al consumo di cannabis. Per molti detenuti uccidersi o compiere atti di autolesionismo è diventata la sola arma di difesa contro la sofferenza e la emarginazione. Le leggi in materia di immigrazione e di droga approvate in questi anni e rafforzate con abominevoli dispositivi legislativi dal governo di destra sono una delle principali cause dell’emergenza sociale e carceraria. L’istituto di pena Don Bosco non è una oasi felice e anzi quei padiglioni destinati a detenuti malati o iscritti all’università sono stati progressivamente smantellati per il sovraffollamento del carcere. Nei giorni scorsi, i detenuti del Don Bosco hanno affidato al garante per i diritti delle persone private della libertà personale, avvocato Callaioli, e al direttore Vittorio Cerri una lunga lista di richieste che noi intendiamo inoltrare al sindaco del Comune di Pisa Marco Filippeschi e al presidente della Provincia Pieroni. I detenuti non chiedono certo la luna ma carta igienica, docce funzionanti interne ed esterne (utili nel periodo estivo), sapone, strumenti minimi e indispensabili per salvaguardare salute, igiene e decoro della persona (in carcere si prende sovente la scabbia). I detenuti chiedono la possibilità di dividere la cella dal bagno (come prevedrebbe in teoria lo stesso regolamento penitenziario), lavori di manutenzione alle celle (la struttura ha oltre 70 anni e dispone per i lavori di soli 1.500 euro annui grazie ai continui tagli imposti da Tremonti), maggiori momenti e spazi di socialità e la possibilità di fare un pò di attività sportiva (manca tutto ciò che permetterebbe queste attività...). Le prime risposte sono arrivate dal direttore del Don Bosco che ha accolto alcune richieste sui menù dei pasti, ma allo stesso tempo ha palesato l’urgenza di riparare rubinetti e docce che da anni attendono di essere sostituiti (e per fare questo servono pochi soldi che oggi non sono nel budget). Molto possiamo fare ancora, per esempio destinare al carcere qualche attrezzo sportivo in disuso nelle palestre comunali o assicurare interventi per la realizzazione dei quali basterebbero poche migliaia di euro che certo enti pubblici possono trovare direttamente o adoperarsi per sollecitare un gesto di solidarietà da parte della società civile. Questa è la nostra richiesta di civiltà a Comune e Provincia perché attorno al carcere non sia eretto quel muro fatto di silenzio e di rassegnazione, quel muro di demagogia che consente la diffusione di autentici luoghi comuni, come quelli che dipingono le carceri italiane come luoghi di villeggiatura quando sono strutture spesso fatiscenti dove il diritto viene sospeso e la dignità umana lesa. Federico Giusti e Adriano Ascoli Associazione Zone del Silenzio, Pisa Lettere: carcere di Udine, si susseguono i giorni… aspettando la libertà di Winfried Sebald Messaggero Veneto, 8 luglio 2011 Al 31 maggio le persone detenute, nei 208 istituti penitenziari italiani, ammontavano a 67.174 contro una capienza regolamentare di 45.551 posti. Nella nostra regione, alla stessa data, la popolazione detenuta è di 843 persone contro una capienza regolamentare di 548 posti. Nell’istituto di Udine con una capienza regolamentare di 90 posti le persone di media sono 200. Il sovraffollamento carcerario, nonostante la diminuzione dei reati e l’approvazione del provvedimento definito impropriamente “svuota carceri” (in sei mesi dalla sua entrata in vigore 2.400 sono state le persone scarcerate e poste in detenzione domiciliare) è la condizione ormai permanente del nostro sistema penitenziario. Non si dimentichi poi l’indulto del 2006, da quella data nessuna riforma sostanziale è stata effettuata per affrontare la deriva del sovraffollamento carcerario e la critica condizione di molti istituti. Recentemente, la protesta non violenta di Marco Pannella e quelle di diversi istituti penitenziari hanno riproposto l’urgenza di un intervento clemenziale. Nella struttura di via Spalato cerchiamo, da diversi giorni, con la battitura delle sbarre, di destare l’attenzione della società esterna per la situazione che vivono le persone detenute onde sollecitare un’approfondita riflessione su questa, come sulle altre, isole infelici e anomale, non lambite dal mare, circondate da alte e possenti mura di cemento sulle quali gli agenti armati fanno la vigilanza. La “nostra” isola è stata ristruttura nel 2004, ma l’opera è rimasta incompiuta per mancanza di fondi: il settore della sicurezza, le celle più semplicemente, hanno acquistato in vivibilità, ora notevolmente compromessa dal sovraffollamento, ma gli spazi di socialità presenti nel progetto di ristrutturazione non sono stati ancora realizzati e ciò incide non poco sulla quotidianità della vita detentiva. Molti detenuti passano la maggior parte del tempo nella propria cella, fatta eccezione per “l’ora d’aria” in cui possono andare in cortile, che non è altro che cemento attorniato da altro cemento, dove possono fare una partita al calcio balilla, a ping-pong, a carte o a scacchi; un paio di volte alla settimana poi una decina di detenuti si mette insieme per fare una partita di calcetto in un altro piccolo cortile, sempre di cemento. Altri frequentano i corsi scolastici, altri ancora i corsi di formazione professionale, chi il periodico “La voce nel silenzio” promosso dai volontari; uno sparuto numero lavora in cucina, chi è addetto alle pulizie, ai conti correnti, al magazzino, lavori essenzialmente di sostentamento, svolti a rotazione in quanto i posti sono ovviamente limitati e per ora non sono utilizzabili altri spazi per apposite attività lavorative utili al reinserimento sociale. Nei giorni previsti le persone detenute possono incontrare i loro cari, per un’ora nella sala colloqui, chi non ha riferimenti parentali incontra, se lo desidera, i ministri di culto o gli assistenti volontari. All’ufficio matricola o all’ufficio educatori invece le persone detenute accedono solamente per chiamata, poi c’è il servizio infermeria per le visite e per curare i malanni della detenzione che sono sempre in agguato, quindi la distribuzione dei farmaci... Nelle nostre celle dobbiamo tornare fare sempre i conti con un nemico assai temibile, il tempo, che costringe alcuni a rifugiarsi nelle braccia di Morfeo, altri nelle lettere da inviare ai propri cari, alcuni a camminano avanti e indietro in un percorso di un paio di metri, chi inizia “un’attività ginnica”, i più fortunati si dilettano nell’arte culinaria in proprio. Poi c’è la televisione, per favore non dite che abbiamo anche la televisione... Verso mezzanotte c’è un concerto di chiavi e serrature, le celle sono chiuse da un ulteriore portone detto “blindo” che sarà riaperto solo la mattina. Così si susseguono i giorni aspettando la libertà: “Chiuso in questo carcere, temo che la realtà sia scomparsa per sempre, e sotto l’effetto degli analgesici, mi sento come un viaggiatore in mongolfiera, fluttuante senza gravità in mezzo a montagne di nuvole. Avverto una crepa attraversare la mia vita e il mio corpo. La crepa, la scalfittura, questo è il segno della ferita oscura che, forse un giorno, non lontano, potrà rimarginarsi ed indirizzarmi verso una nuova vita”. Veneto: Bond (Pdl); la Regione raddoppia fondi per reinserimento… costa meno della detenzione Agenparl, 8 luglio 2011 “La prossima sfida per il Veneto sarà quella del reinserimento lavorativo degli ex detenuti. È una questione di civiltà, ma anche di risparmio economico per la collettività”, questo quanto afferma il capogruppo del Pdl in Consiglio regionale, Dario Bond, in un comunicato. Stando al comunicato “Bond questa mattina a Feltre (Belluno) ha promosso un incontro tra i dirigenti della cooperativa sociale Portaperta e l’assessore regionale Remo Sernagiotto. In ballo l’avvio di un progetto per il reinserimento e la formazione degli ex carcerati o di chi è interessato da una misura alternativa al carcere. “Finora - spiega Bond - questo genere di attività è stato portato avanti soprattutto all’interno degli istituti di pena; lo scarto sta nel coinvolgere anche soggetti esterni. Portaperta ne è un esempio. Sul questo tema l’attenzione della Regione è massima, infatti, nella finanziaria regionale 2011 - ricorda l’esponente del Pdl - il sostegno a favore della formazione e del reinserimento lavorativo degli ex detenuti è stato raddoppiato, passando da 500 mila euro a un milione. È stata una battaglia del Pdl e dell’assessore Sernagiotto in particolare. E questa è la strada da percorrere”. A sostegno di questa scelta Bond sottolinea alcune “buone ragioni”. “La detenzione di una persona - precisa - costa mediamente 300 euro al giorno. Formarlo e assicurargli un futuro, fuori dalla delinquenza, costa molto meno, oltre ad essere, ovviamente, una questione di civiltà. Occorre dare gli strumenti a chi ha perso la bussola. Insegnare un mestiere a una persona, che sia un ex detenuto o chiunque altro, è un investimento per tutta la società. In futuro - conclude Bond - vorrei vedere tanti di questi ragazzi, che in passato hanno sbagliato, aprire una partite Iva e mettere a frutto quanto imparato”. Voghera: detenuto in sciopero di fame e sete; viviamo in un 1 metro quadro, come cani Ansa, 8 luglio 2011 Da 28 giorni senza mangiare, da 5 senza bere. È questo il modo di protestare scelto da un detenuto 60enne contro il sovraffollamento delle carceri. A renderlo noto il suo legale Massimiliano Meda che, tramite il figlio, ha ricevuto quanto scritto dal 60enne: “Un detenuto del carcere di Voghera è in sciopero della fame da 28 giorni e della sete da 6. Il testimone di Marco Pannella è stato raccolto. Si vive in meno di un metro quadro che è meno dello spazio che la legge garantisce ai cani”. Roberto Lucchini, questo il suo nome, si trova in carcere dall’ottobre scorso, indagato nell’ambito dell’indagine anti - ndrangheta Infinito. Non ha contestato il reato associativo, ma l’ipotesi di tentata estorsione e tentata usura. Secondo l’accusa, avrebbe aiutato un appartenente alla ndrangheta nel recupero crediti. È alla sua prima detenzione. Trento: Mattia Civico (Pd) ha presentato due interrogazioni sulla gestione del nuovo carcere Il Trentino, 8 luglio 2011 Trento non sorprende del tutto: molte e da più parti sono state negli ultimi mesi le voci critiche rispetto alla gestione, alla impostazione del rapporto di lavoro con le guardie, al non riconoscimento di alcuni diritti fondamentali, come per esempio quello alla salute. Spetta agli ispettori il compito di verificare puntualmente quanto sta avvenendo, ma è del tutto evidente che la cosa non riguarda solo l’amministrazione penitenziaria, ma chiama in causa anche la nostra responsabilità di amministratori e il nostro essere cittadini di questa comunità. Quello che ora accade fra quelle mura ci riguarda molto da vicino, perché il carcere non può essere considerato un luogo a noi estraneo e chi ci vive, per lavoro o per scontare una pena, è pienamente membro della nostra comunità. Mi associo dunque alle richieste di chiarezza che ufficialmente hanno avanzato alcuni parlamentari (sono due negli ultimi tre mesi le interrogazioni alla Camera inerenti la gestione del nostro carcere) i sindacati di categoria, i sanitari dell’istituto. La Provincia ha investito importanti risorse nella costruzione del nuovo carcere di Trento. Abbiamo realizzato un istituto certamente all’avanguardia dal punto di vista strutturale e tecnologico. Abbiamo così garantito alla popolazione carceraria e a chi ci lavora, luoghi e spazi dignitosi. Non era così in via Pilati ove sovraffollamento e fatiscenza dell’immobile imponevano a tutti condizioni umanamente inaccettabili. Abbiamo dunque salutato l’apertura della nuova struttura come un evento importante per l’intera comunità e come espressione di una responsabilità concretamente agita. Penso sia comprensibile e legittima pertanto l’aspettativa, severa ed esigente, che il nuovo carcere di Trento possa esprimere pienamente le potenzialità che sono state messe a disposizione e che possa dunque essere un luogo in cui ai detenuti è riconosciuta piena dignità e concreta opportunità di cambiamento. Vorremmo davvero che il nuovo carcere di Trento rappresentasse un modello non solo per la bellezza della sua struttura ma soprattutto per l’approccio di trattamento che viene proposto. Credo che un buon carcere si caratterizza non solo per elementi di sicurezza e rigore nella applicazione delle regole interne, ma anche per la qualità delle relazioni che dentro quelle mura si sviluppano, per la consistenza e quantità delle occasioni formative, lavorative, occupazionali che vengono messe in campo. Il detenuto che deve scontare la pena è giusto che abbia il tempo per riflettere anche sugli errori commessi, ma deve vedere riconosciuto un tempo in cui poter “riparare” e quindi acquisire competenze culturali, relazionali e lavorative che lo definisco in maniera nuova. Le istituzioni devono credere fermamente alla possibilità di cambiamento delle persone, altrimenti a nulla serve lo sforzo messo in campo da tutto il sistema, educatori, insegnanti, guardie e detenuti. Su questo fronte credo sia necessario rinnovare un impegno comune, Provincia e Amministrazione penitenziaria, per aprire prospettive ulteriori a quelle fino ad ora esplorate e che sono a mio avviso ancora insufficienti: sono ancora troppe le ore che i detenuti passano in cella a “guardare il soffitto”, poche le esperienze di formazione e lavoro anche in esterno. Alla base del rinnovato impegno non può che esserci il rispetto delle intesa siglata nell’aprile del 2008 da Governo e Provincia e che, all’articolo 9, fissa in 240 il limite massimo di detenuti accoglibili. Trasferire a Trento detenuti dal resto d’Italia fino a raddoppiare la capienza significherebbe rendere impossibile l’ampliamento delle attività formative e lavorative e quindi soffocare nel sovraffollamento le potenzialità della struttura. Inoltre credo doveroso garantire gli organici previsti per quanto riguarda il personale di polizia penitenziaria: è evidente che la attuale carenza di guardie sovraccarica di lavoro e tensione quelle che ci sono e limita al minimo le possibilità di movimento interno. Infine, ma su questo l’ultima parola spetta alla direzione, credo che vada incentivato il rapporto tra il carcere e il territorio, promuovendo con convinzione la presenza di volontari, di operatori, di realtà associative. Vanno create le condizioni e gli spazi per far sentire il carcere di Trento una parte viva ed importante della nostra comunità. Ora che la sua nuova collocazione lo sottrae alla vista dei più, è più alto il rischio che ci si possa dimenticare di questo luogo, contenitore di fragile umanità, che ha diritto ad essere pensata e considerata pienamente parte. Genova: il Sindaco sostiene iniziativa Marco Pannella; tornare discutere dei problemi del carcere Ansa, 8 luglio 2011 Il sindaco di Genova, Marta Vincenzi, ha siglato l’appello a sostegno dell’iniziativa ‘nonviolentà di Marco Pannella sull’emergenza del sovraffollamento delle carceri e, più in generale, sulla necessaria riforma della giustizia. Quella di Pannella, secondo la prima cittadina, è una proposta che merita un confronto serio e senza pregiudizi. Sottoscrivo l’appello - aggiunge - in un giorno importante per Genova, che apre oggi la quarta edizione della Settimana Internazionale dei Diritti, durante la quale affronteremo anche i problemi del carcere e della comunità penitenziaria che comprende detenuti, agenti, e direttori. “Il continuo taglio delle risorse agli enti locali - sottolinea la sindaco Vincenzi - e al pianeta carcere impediscono, di fatto, la realizzazione di veri progetti di reinserimento dei detenuti, per aiutarli, una volta usciti, a non delinquere più. Come sindaco, oltre che come cittadina - conclude Marta Vincenzi - non posso che unirmi alla richiesta di Marco Pannella affinché si torni a discutere al più presto dei problemi del carcere e, più in generale, della crisi della giustizia. Non possiamo continuare ad ignorare i segnali di allarme che ci giungono da questo mondo: il dovere di un sindaco - conclude - è farsi carico delle istanze che arrivano da tutti i cittadini, a prescindere dal loro status giuridico” Bari: “Il carcere possibile onlus”; barbarie nelle carceri, ritardi anche dell’Asl Bari Sera, 8 luglio 2011 Il suicidio nel carcere di Bari, il 27 giugno scorso, del detenuto 28enne Salvatore Di Matteo ha riaperto il dibattito sulla situazione carceraria. Dopo le organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria, sul caso interviene l’avvocato Virginia Ambinosi, responsabile della delegazione barese della onlus “Il carcere possibile”, intitolata Giuseppe Castellaneta. “La morte di un detenuto in carcere è una sconfitta per la società civile - afferma Virginia Ambruosi. Il grave problema del sovraffollamento e delle condizioni di vita nelle carceri italiane non può continuare ad essere risolto solo con discussioni salottiere. Le condizioni delle carceri Italiane minano ogni giorno la salute e la dignità dei detenuti e l’art 6 del regolamento penitenziario afferma die i locali in cui si svolge la vita dei detenuti devono essere igienicamente adeguati”. Ma la Asl, che ha la responsabilità dell’assistenza sanitaria dei detenuti “ci sembra che svolga il suo ruolo in maniera deficitaria e con gravi ritardi - sottolinea l’associazione . A Bari dal dicembre 2009 la Asl non si è ancora attrezzata per inviare telematicamente all’Inps le domande per il riconoscimento dello stato di invalidità, di handicap e di disabilità avanzate dai detenuti. Ciò è ancora più grave in guanto il carcere è dotato di uno dei pochi centro diagnostici terapeutici in Italia, il più ampio nel meridione e che ha numerosi detenuti con patologie gravi che abbisognano di ausili che sono concessi solo a seguito di regolare domanda da inviarsi in via telematica”. Di qui un appello alla società civile perché si mobiliti: “L’indifferenza verso ciò che accade oggi nelle carceri è una barbarie. Persone detenute rinchiuse in piccole celle per 22 ore al giorno, celle buie, fredde d’inverno e calde d’estate, con un piccolo lavandino, da cui spesso l’acqua non esce, con letti a castello accatastati alle pareti, dove i detenuti consumano anche i loro pasti”. A parte lo sciopero della fame di Pannella, dice Ambruosi, “non mi risultano cortei, fiaccolate, girotondini, dichiarazioni di pubblico lutto quando abbiamo letto di detenuti suicidi. La nostra Costituzione è frutto di battaglie per l’affermazione e la tutela dei diritti, pertanto credo che l’opera di denuncia e di sensibilizzazione è importante per far comprendere che senza il superamento della cultura della pena carceraria non risolveremo mai i problemi di sovraffollamento, dei suicidi in carcere, delle recidive. La situazione di degrado degli istituti penitenziari italiani richiede un’assunzione di responsabilità da parte di tutti Non si possono più sopportare, in nome delle istanze di sicurezza, violazioni dei diritti inalienabili di qualsiasi detenuto. Occorre, inoltre, denunciare chele cause del sovraffollamento delle carceri risiedono anche nell’abuso della misura cautelare in carcere, che vede l’Italia detenere il triste record negativo europeo con stime prossime al 50% della popolazione detenuta. È necessario che si ritorni all’eccezionalità e alla residualità della custodia cautelare in carcere”. Solo l’indignazione e l’impegno da parte di tutti - conclude la nota - “ci può far sperare in una azione civile risolutrice di questa situazione di degrada che fa si che nelle carceri italiane ogni giorno vengono calpestati i fondamentali valori umani”. Rovigo: Azzalin (Pd); criminale far finta non vedere problemi del carcere, la Regione intervenga Il Resto del Carlino, 8 luglio 2011 Il consigliere regionale del Pd ricorda lo sciopero della fame dei detenuti rodigini e sprona la Giunta “ad intervenire al ministero della Giustizia per alleviare le drammatiche condizioni in cui si trovano i condannati. “Il primo muro da abbattere è quello del silenzio. O meglio, dell’omertà, perché quella delle carceri italiane, e quella di Rovigo ne è un drammatico esempio, è una situazione nota ma sulla quale in troppi preferiscono tacere”. Il consigliere regionale Graziano Azzalin torna a puntare i riflettori sulla situazione carceraria e lo fa presentando un’interpellanza affinché la Regione intervenga presso il ministro della Giustizia per risolvere la grave situazione della casa circondariale di Rovigo e adempia alle proprie competenze in materia sociale, sanitaria e di interventi per la sicurezza. Inoltre, chiede alla Giunta “se intenda ripristinare i fondi necessari all’attività delle associazioni di volontariato, finalizzate al reinserimento sociale dei detenuti presso le strutture carcerarie; se intenda ripristinare i fondi regionali per la sicurezza, destinandone una parte agli investimenti necessari a garantire vigilanza, prevenzione e capacità d’intervento della polizia penitenziaria, anche attraverso un sistema di telecamere diffuse; se consideri ragionevole avviare e sostenere percorsi di reinserimento lavorativo dei detenuti che possano alleviare le drammatiche condizioni in cui questi si trovano e favorire strategie d’intervento che favoriscano il ricorso a pene alternative diverse dalla detenzione in carcere”. “Le carceri venete - spiega il consigliere regionale - ospitano quasi il doppio dei detenuti previsti e la dotazione organica della polizia penitenziaria è al di sotto del fabbisogno. In particolare, la casa circondariale di Rovigo, che dovrebbe ospitare un massimo di 66 detenuti, registra una media giornaliera di oltre il doppio di presenze, a fronte di un organico di polizia penitenziaria inferiore al reale fabbisogno. Il sovraffollamento è estremamente problematico anche sul piano sanitario”. Non solo, ma aggiunge Azzalin, “le attività svolte dalle associazioni di volontariato per la rieducazione e il reinserimento dei detenuti sono state drasticamente ridotte soprattutto a causa dell’azzeramento dei finanziamenti regionali. Mancano i fondi per attrezzature idonee a garantire la sicurezza e quelli per gli interventi di ordinaria manutenzione, molti dei quali rinviati sine die in attesa della costruzione del nuovo carcere, sul cui completamento mancano notizie certe”. Da lunedì 13 a venerdì 17 giugno scorsi, sottolinea ancora l’esponente del Pd “i detenuti della casa circondariale di Rovigo hanno attuato uno sciopero della fame, come si legge nella lettera aperta inviata ai giornali, “perché venga rispettata la nostra dignità umana”, “per lo stato in cui siamo ristretti”, “per il sovraffollamento che ci rende gli spazi a noi adibiti assolutamente insufficienti”, “perché la polizia penitenziaria è sotto organico, cosa che si ripercuote anche su di noi”. La polizia penitenziaria, dal canto suo, denuncia la cronica carenza di fondi e di personale e il sovraffollamento del carcere che li costringe a turni di lavoro massacranti e insostenibili”. “Il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Rovigo Livio Ferrari - aggiunge Azzalin - nella sua ultima relazione al Consiglio comunale ha sottolineato che “il problema più grave di Rovigo resta quello del sovraffollamento, con tutto quello che si correla a questa situazione, risolto per un periodo troppo breve grazie al provvedimento di indulto del 2006”. La popolazione detenuta attuale ammonta mediamente a 110/130 persone, delle quali 90 - 100 uomini e 20 - 30 donne, suddivisi nella maniera seguente: in attesa di giudizio 38%; condannati in attesa di appello 16%; definitivi condannati: 46%. Il 62% della popolazione detenuta maschile e l’80% di quella femminile, è costituita da persone straniere in maggioranza extracomunitari, spesso privi di titolo di soggiorno e di punti di riferimento nell’area rodigina, per i quali formalmente è possibile l’accesso alle misure alternative, ma che comunque a fine pena sono soggetti all’espulsione. Azzalin, nell’interpellanza ricorda anche che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in una recente lettera a Marco Pannella, ha richiamato “l’attenzione di tutti i soggetti istituzionali responsabili sollecitandoli ad adottare le indispensabili misure amministrative, organizzative e legislative. Non sono ammissibili sottovalutazioni e fatalismi di fronte a situazioni drammaticamente incompatibili con il rispetto della dignità delle persone e con la necessità di fornire un servizio giustizia efficiente, a garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini”. “Per tutti questi motivo - conclude amaramente Azzalin - penso che far finta di non vedere sia davvero criminale”. Civitavecchia (Rm): detenuti del carcere di Aurelia in sciopero della fame Il Tempo, 8 luglio 2011 Dopo le denunce dell’Osapp, l’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria, e le interrogazioni parlamentari presentate dal deputato del Pd, Pietro Tidei, sono direttamente i carcerati a protestare per le condizioni in cui sono costretti a vivere. In una lettera indirizzata alla direzione della casa circondariale di Borgata Aurelia, i detenuti dei settori A e B annunciano che domenica inizieranno lo sciopero della fame ad oltranza, non faranno più lavori e acquisteranno solo bevande, zucchero, cartacei e tabacco. I detenuti confidano nella comprensione della direzione per la loro protesta pacifica, che punta a rendere più vivibili le carceri italiane, sia per chi è in prigione che per gli agenti di Polizia Penitenziaria e per gli operatori che quotidianamente vivono le case circondariali con tutti i loro disagi, visto il livello di sovraffollamento. La protesta che sarà attuata al carcere di Borgata Aurelia vuol essere anche un gesto di solidarietà e di sostegno nei confronti di Marco Pannella, che è in sciopero della fame e della sete proprio per denunciare le condizioni disumane dei penitenziari italiani, nei confronti dei Radicali, che da sempre si battono per i diritti dei detenuti, e nei confronti degli psicologi penitenziari, dell’Unione delle Camere Penali, delle migliaia di carcerati e dei loro famigliari. Una manifestazione per chiedere un provvedimento di amnistia, per la giustizia e la legalità, per il diritto alla salute dei detenuti, ma anche contro per l’indifferenza della politica alle problematiche carcerarie. Un’accusa netta, motivata con leggi che ormai stanno trasformando la rieducazione e il reinserimento in concetti astratti, quando invece bisognerebbe, ad esempio, rendere più automatico l’ingresso in comunità terapeutiche per i tossicodipendenti, che sono un terzo della popolazione carceraria. Per tutti questi motivi domenica i detenuti dei settori A e B della casa circondariale di Borgata Aurelia inizieranno lo sciopero della fame a oltranza. Rovigo: campagna dei Garanti dei detenuti “In carcere non è mai Ferragosto!” Ristretti Orizzonti, 8 luglio 2011 La cantautrice Paola Turci, l’attore Luigi Marangoni, la presentatrice Daniela Melle e Livio Ferrari venerdì 15 luglio tutti insieme per la sesta edizione de “Il carcere in piazza (per non dimenticare)” a Rovigo per cercare, una volta di più, di alzare la cortina fumogena che nasconde l’universo carcere alla vista della gente, con i suoi drammi: suicidi, morti e violenze. “Negli ultimi anni è diventata consuetudine - afferma Livio Ferrari - una passerella in aumento da parte del mondo politico a visitare i detenuti a ferragosto, per poi far tornare tutto nel silenzio del disinteresse e della lontananza. Noi vogliamo che il carcere sia visto nelle sue problematiche con il rispetto dovuto a tutti coloro che lo vivono, ristretti e personale, e che nel mese di agosto ci siano iniziative non demagogiche in carcere, dando voce alle richieste dei detenuti con una campagna che come Coordinamento nazionale dei garanti abbiamo denominato “In carcere non è mai Ferragosto”. La situazione nei 207 istituti penitenziari per adulti continua ad essere caratterizzata da una presenza di detenuti superiore alla capienza regolamentare (67.394 persone al 30 giugno a fronte di circa 43.000 posti, uomini 54.481, donne 2.913, di cui stranieri 24.232), dall’alto numero di morti (dall’inizio dell’anno sono 100 i deceduti) e dal numero sempre alto di suicidi (32 di cui 8 giovani tra i 20 e 30 anni e 12 tra i 30 e 40 in sei mesi) e la preoccupazione è determinata anche dalla tipologia della composizione sociale dei detenuti, in particolare dall’alto numero di reclusi tossicodipendenti e di persone che hanno violato il Dpr 309/90 per detenzione e piccolo spaccio, per i quali occorrerebbe trovare forme alternative alla detenzione dentro il carcere. In questo ultimo periodo, poi, è stata sollevata da più parti la richiesta di amnistia, che in molti istituti sta suscitando speranze sostenute da scioperi della fame e altre forme di protesta. Questo quadro complesso si manifesta all’inizio di una estate calda, che non può consentire distrazioni e che obbliga ad un impegno eccezionale da parte di tutti”. “La serata di venerdì 15 nella piazza principale di Rovigo vuole anche essere l’opportunità per lanciare un appello agli enti locali, comune in testa, e alle organizzazioni presenti sul territorio polesano perché si rendano disponibili all’utilizzo di luoghi chiusi o dismessi che possono diventare spazi di accoglienza per rendere maggiormente applicabile la legge sulla detenzione domiciliare. Insomma: è in atto un disastro che segna la vita di tante persone e ogni comunità deve farsi carico di questo sfacelo, per quanto nelle sue possibilità, alimentando risposte attraverso la disponibilità a mettere a disposizione risorse inutilizzate, rimuovendo paure e distanze che spesso sono prima di natura culturale che materiale”. L’evento è organizzato dal Coordinamento Volontari Carcere con il contributo del Comune di Rovigo, Centro di Servizio per il Volontariato, Casa Circondariale e Provincia di Rovigo. Livio Ferrari Garante dei diritti dei detenuti di Rovigo Torino: progetto “Liberiamo le competenze”, come rendere ecologicamente sostenibile il carcere Edilgreen, 8 luglio 2011 La palazzina degli uffici amministrativi del carcere di Torino da oggi consumerà molto meno gas in meno grazie a un progetto finanziato dalla Regione Piemonte. L’iniziativa ha previsto un corso di formazione teorico-pratico sulla riqualificazione energetica degli edifici che ha coinvolto ben 24 detenuti della casa circondariale di Torino “Lorusso e Cotugno”. Il progetto si chiama “Liberiamo le competenze” ed è stato realizzato in collaborazione con il gruppo Saint-Gobain, l’Agenzia energia e ambiente di Torino e la fondazione Casa di carità arti e mestieri. In particolare, i detenuti coinvolti nel lavoro, che potranno poi rivendere una volta usciti dal carcere questa loro esperienza e le competenze, hanno lavorato per impermeabilizzare e coibentare sia le pareti interne che quelle esterne. Grazie ai lavori effettuati, infatti, il costo annuo per il riscaldamento della palazzina sarà drasticamente ridotto: dagli attuali 26.630 a 7.049 euro, con una riduzione del 73,52%. Stessa percentuale di risparmio per quanto riguarda il consumo di metano, che diminuirà dai 48.242 metri cubi di adesso a soli 12.770 m3. “Abbiamo creduto sin dall’inizio in questo progetto - ha commentato il presidente Gianni Scotti del gruppo Saint-Gobain - è un’iniziativa in cui si coniugano l’aspetto umano, sociale e ambientale. Ci auguriamo che casi virtuosi come questo, dove pubblico e privato si incontrano in modo proficuo, si possano ripetere altrove”. Una dimostrazione di come si possa legare sostenibilità ambientale e progetti sociali grazie allo sforzo congiunto di più realtà. Arborea (Or): ex detenuto vince la causa; la Coop condannata a pagargli gli stipendi arretrati La Nuova Sardegna, 8 luglio 2011 Il Samaritano perde in tribunale. Il giudice dà ragione all’ex detenuto Antonino Padovano che, quando era in regime di semilibertà, lavorava nella struttura gestita sino a qualche mese fa da Don Giovanni Usai. Ma con questo caso nulla hanno a che vedere le questioni di tipo penale. Il giudice ad aver dato torto alla cooperativa Onlus e ragione ad Antonino Padovano è Maddalena Della Casa che si occupa di lavoro e previdenza. Sul suo tavolo era finita qualche settimana fa un’opposizione a un decreto ingiuntivo presentata dall’avvocato Gianfranco Cubadde per conto del Samaritano. Il decreto ingiuntivo, presentato dall’avvocato Andrea Crobu, era quello con cui Antonino Padovano chiedeva il pagamento di poco più di 23mila euro. All’ex detenuto, durante il periodo in cui aveva prestato la sua opera, non sarebbero stati dati i soldi che mensilmente gli spettavano. Nelle sue mani finivano solo le buste paga, ma gli euro sarebbero stati trattenuti dall’amministrazione della struttura. Versione che ha fatto rizzare i capelli a chi gestisce Il Samaritano, che ha così deciso di presentare opposizione al decreto ingiuntivo sostenendo che i soldi erano stati pagati regolarmente. Lo scontro in tribunale è finito con la vittoria di Antonino Padovano, al quale il giudice ha riconosciuto compensi pari a 21mila e 274 euro. Secondo precedenti pronunciamenti della Corte di Cassazione, non basta la consegna delle buste paga per dimostrare l’avvenuto pagamento. Serve altra documentazione che però Il Samaritano non è stato in grado di produrre di fronte al giudice. Tanto più che come recita la sentenza “l’opponente era un detenuto in regime di semi libertà per cui il datore di lavoro aveva l’obbligo di versare la retribuzione del lavoratore alla ragioneria del carcere”, secondo il programma predisposto per Antonino Padovano dal Tribunale di Sorveglianza. E allora bisogna pagare le retribuzioni non corrisposte e in più le spese processuali pari a duemila euro. Torino: Osapp; detenuto prima tenta il suicidio, poi l’evasione dall’ospedale Ansa, 8 luglio 2011 Prima tenta di impiccarsi, poi di evadere: è accaduto ieri nel carcere di Torino. Lo denunciano gli agenti di polizia penitenziaria dell’Osapp. Il detenuto è un francese di 36 anni, in cella dal settembre 2010 per furto aggravato. A salvarlo sono stati gli agenti di polizia. Trasportato sotto scorta dal 118 all’ospedale Maria Vittoria per accertamenti, ha poi tentato di scappare cercando di impossessarsi dell’arma di un agente. “Dopo l’ultimo grave episodio accaduto ieri a Torino - dichiara Leo Beneduci, segretario generale Osapp - non sappiamo più cosa aspettarci come poliziotti penitenziari. Solo lo zelo e la professionalità che sempre manteniamo nell’assolvimento del servizio hanno consentito di non trasformare un tentativo di suicidio apparentemente sventato con immediatezza in una beffa grave in danno nostro e dell’intera collettività”. Massa: detenuti-poeti per concorso di poesia dedicato alla memoria di Maria Emilia Minuto Il Tirreno, 8 luglio 2011 Detenuti poeti al carcere cittadino. Il concorso di poesia dedicato alla memoria di Maria Emilia Minuto, educatrice di generazioni di studenti e preside della scuola Milani, organizzato dal coordinamento dei gruppi di volontariato che operano nel carcere di Massa, ha visto la partecipazione di 26 detenuti che hanno presentato complessivamente 39 liriche. Le poesie sono state premiate il 22 giugno, in occasione di San Cafasso, patrono dei detenuti con una lettura pubblica nello spazio verde all’interno del carcere alla presenza della direzione della casa circondariale e di autorità cittadine. Il primo premio è andato alla lirica Sarajevo (all’autore è andata una borsa di studio di 150 euro); secondo premio a “La Luna” (borsa di studio da 100 euro); terzo premio “Solo” (50 euro). Segnalazione per “Tu non sei tutto quello che vorrei” (25 euro). Nella sezione delle poesie in lingua straniera, la giuria, presieduta dal prof. Adriano Godano) ha premiato: “Hombre de Paja” (borsa di studio di 150 euro); seconda borsa (da 100 euro) per la lirica “La Montagne en jouant”, la giuria ha deliberato di non assegnare il terzo premio. Empoli: martedì 12 luglio in scena le attrici detenute con “Rosa rosso” Il Tirreno, 8 luglio 2011 Martedì 12 luglio alle 21 alla casa circondariale femminile di Empoli andrà in scena “Rosarosso”, uno spettacolo realizzato dalle donne detenute, che segna il termine di un percorso teatrale realizzato da Maria Teresa Delogu e Rossella Parrucci, operatrici di Giallo Mare Minimal Teatro, nell’ambito del progetto regionale Teatro Carcere. “Il teatro nelle carceri toscane non è più un fatto isolato o episodico - spiega Delogu - ma si è andato sempre più consolidando come strumento di crescita culturale per tutti i soggetti che ne vengono toccati: dai detenuti che partecipano e realizzano tali attività, alle istituzioni che vengono coinvolte, ai cittadini che hanno modo di creare, anche solo per la durata della rappresentazione, un ponte possibile di sensibilizzazione e di relazione con la realtà detentiva”. “Fra le ragioni forti di un’esperienza teatrale - spiega ancora - la più rilevante è senz’altro la constatazione del senso di consapevolezza che questa opportunità dà alla persona che la pratica, persona intesa nella sua interezza”. Lo spettacolo è ad invito. Per informazioni rivolgersi a Giallo Mare Minimal Teatro, via della Repubblica 41 a Empoli, telefono 0571/81629 e - mail info@giallomare.it. Libri: “Dopo la guerra alla droga… un piano per la regolamentazione legale delle droghe” La Nuova Ferrara, 8 luglio 2011 Il libro “Dopo la guerra alla droga. Un piano per la regolamentazione legale delle droghe”, edito da Eds, presentato ieri da Melbook Store, realizzato dalla fondazione britannica Transform, segue alla denuncia da parte di studiosi inglesi del fallimento della War on drugs. Elencandone i danni sanitari, sociali, culturali ed ambientali, li segnala all’Onu affinché cambi subito e radicalmente la politica sulle droghe. Lo hanno ribadito concordemente sia Giuseppe Bortone responsabile tossicodipendenze Cgil, sia Franco Corleone, segretario Forum droghe, con Leonardo Fiorentini responsabile Società della Ragione. “Non è possibile considerare il problema generalizzando - ha esordito il sindacalista - equiparando cioè ogni sostanza e ogni tipo di consumatore, arrivando fino al licenziamento. Lo studio inglese cerca una normativa differenziata ma il nostro Stato da un lato è latitante e dall’altro è invasivo”. Corleone ha poi criticato soprattutto i vertici italiani rappresentati da Giovanardi e Serpelloni da cinque anni impegnati a contrastare il fenomeno, senza ottenere risultati. “Il dibattito sulla politica delle droghe - ha dichiarato Corleone - sembra assente. Si parla invece della giustizia e del carcere, questioni che nel nostro funzionamento sono condizionati da procedimenti di repressione verso i consumatori e i piccoli spacciator, che rappresentano oltre la metà della popolazione dei detenuti, invece di puntare ai grandi trafficanti. Noi invece riteniamo con gli studiosi inglesi diverse regolamentazioni come la vendita di cannabis in di altre sostanze in farmacia con ricette mediche. Usa: giustiziato in Texas, malgrado l’intervento di Obama che chiedeva di fermare l’esecuzione Ansa, 8 luglio 2011 Anche il governo del Messico e la difesa di Leal avevano chiesto alla Corte Suprema di fermare l’esecuzione per dare il tempo al Congresso degli Stati Uniti di considerare una legge che potesse chiedere ai tribunali di rivedere le decisioni per casi in cui i condannati stranieri non abbiano ricevuto assistenza dai loro consolati. Il cittadino messicano Humberto Leal è stato giustiziato nel carcere di Huntsville in Texas con iniezione letale, nonostante l’amministrazione Obama avesse chiesto di fermare l’esecuzione. Leal, 38 anni, era stato condannato a morte per aver stuprato e poi ucciso la 16enne Adria Sauceda a San Antonio, in Texas, nel 1994. L’amministrazione Obama aveva chiesto lo stop dell’esecuzione temendo ripercussioni per i detenuti americani in Messico e in altri Paesi, visto che Leal non aveva potuto ricevere l’assistenza del suo consolato. Secondo l’avvocato della difesa, infatti, al giovane non è stato detto che aveva il diritto di contattare il consolato messicano e pertanto la polizia texana avrebbe violato il diritto internazionale. Tuttavia ieri in serata la Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso di ignorare l’appello della Casa Bianca e procedere all’esecuzione. Il giovane si era trasferito da Monterrey negli Stati Uniti da bambino con la famiglia, ma aveva mantenuto la cittadinanza messicana, punto chiave su cui i legali hanno basato l’impalcatura della difesa. “L’esecuzione di Mr. Leal viola gli impegni degli Stati Uniti nei trattati internazionali, minaccia gli interessi nella politica estera della nazione e mette in pericolo la sicurezza di tutti gli americani all’estero”, ha detto Sandra L. Babcock, l’avvocato di Leal. L’amministrazione Obama, il Messico e la difesa di Leal avevano chiesto alla Corte Suprema di fermare l’esecuzione per dare il tempo al Congresso degli Stati Uniti di considerare una legge che potesse chiedere ai tribunali di rivedere le decisioni per casi in cui i condannati stranieri non abbiano ricevuto assistenza dai loro consolati. Nel 1994 Leal ha stuprato e ucciso Adria Sauceda, una ragazza di 16 anni il cui corpo nudo e martoriato è stato trovato ore dopo che l’uomo si era allontanato con lei da una festa di strada a San Antonio, in Texas. La testa era stata sfondata con un blocco di asfalto di circa 15 chilogrammi. Usa: riviste pornografiche vietate; detenuto denuncia governatore del Michigan Ansa, 8 luglio 2011 Perché a un detenuto è concesso di leggere Newsweek o Time magazine in carcere ma non una rivista pornografica? Se lo chiede Kyle Richards, un ventunenne del Michigan in carcere dal gennaio scorso per rapina in banca che ha presentato formale denuncia contro lo Stato e il governatore Rick Snyder e rivendica il diritto a consultare materiale pornografico anche dietro le sbarre. Il divieto è a suo avviso una “punizione crudele e inusuale” e una violazione della sua libertà in contrasto con il Primo Emendamento della Costituzione americana. Secondo alcuni addetti ai lavori, la denuncia - cinque pagine scritte a penna dalla prigione della contea di Macomb, alla periferia di Detroit - avrebbe discrete possibilità di successo. Richards si è dichiarato colpevole per una rapina in banca a dir poco goffa - la polizia lo ha arrestato seguendo le impronte lasciate sulla neve e la traccia di banconote fino alla sua abitazione - ed è in attesa della sentenza. I mesi che ha trascorso in carcere lo hanno lasciato - dice - in uno stato di disagio e sofferenza profondi, a causa della privazione del materiale pornografico. Nelle carceri del Michigan in verità le riviste a luci rosse non sono esplicitamente vietate, ad eccezione di quelle dai contenuti violenti. Lo sono tuttavia nel carcere della contea. Non sono solo i prigionieri, tuttavia, ad appoggiare l’iniziativa di Richards. Anche chi si occupa della rieducazione dei detenuti è contro il divieto alla consultazione di materiale pornografico, in atto nella maggior parte dei carceri americani. L’accesso al porno servirebbe a ridurre l’aggressività e la tensione dei detenuti e sarebbe di aiuto al loro lavoro.