Speciale Convegno “Giustizia! In nome della Legge e del Popolo sovrano” Napolitano (Presidente Repubblica): nelle carceri una realtà disumana, che ci umilia in Europa Dire, 28 luglio 2011 La situazione dei detenuti nelle carceri italiane è spesso “una realtà che ci umilia in Europa e che ci allarma per la sofferenza quotidiana di migliaia di esseri umani in condizioni che definire disumane è un eufemismo”. Lo dice il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano partecipando a un seminario organizzato dai Radicali sulla situazione carceraria italiana. Il Capo dello Stato osserva che “c’è un abisso tra questa realtà e il dettato della Costituzione”. La politica, che in Italia, “appare debole e divisa e incapace di scelte coerenti e condivise” può trovare nel miglioramento delle condizioni dei detenuti un motivo di impegno comune, sottolinea il Presidente. “È dalla politica che devono venire risposte”. E spiega che “è proprio in scelte di questa natura” che la politica può trovare una motivazione forte e comune. “Non dovremo tutti essere capaci di un simile scatto, di una simile svolta non fosse altro che per istinto di sopravvivenza nazionale? Ci si rifletta seriamente e presto da ogni parte”, dice Napolitano. Per Napolitano sul sovraffollamento carcerario grava “il peso gravemente negativo di oscillanti e incerte scelte politiche e legislative”, oscillanti tra la “depenitenziarizzazione” e la ciclica “ripenalizzazione” con il “crescente ricorso alla custodia cautelare” in carcere. Intervento di Napolitano in versione integrale Questo incontro ha un’ispirazione e un’impronta che lo rendono diverso da altri tradizionalmente rivolti, per iniziativa di singole forze politiche o di competenti istanze parlamentari, a porre in evidenza un tema di interesse più o meno rilevante o attuale. Perché esso da un lato nasce dalla sollecitazione di un movimento e di una personalità non riducibili agli schemi politici dominanti e dall’altro lato si concentra su una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile. La figura di Marco Pannella animatore di una lunga teoria di battaglie radicali nel Parlamento e nel paese ha sempre avuto un suo singolare timbro di assoluta autonomia da tutte le logiche di schieramento, di intransigenza morale e di forza mobilitatrice ben oltre i limiti del partito-raggruppamento di avanguardia da lui guidato. Il filo rosso delle battaglie radicali è sempre stato essenzialmente quello dei diritti costituzionali e del progresso civile, in una visione non puramente formale e non reticente dei problemi e dei limiti della nostra democrazia : è oggi l’occasione, per l’insieme delle istituzioni repubblicane, per darne a Marco pieno riconoscimento, al di là di tutte le differenziazioni legittime rispetto a suoi giudizi o a sue iniziative. E tra i problemi costantemente da lui posti c’è stato certamente quello della giustizia, del diritto dei cittadini a una “giustizia giusta” e all’effettivo rispetto della loro dignità se colpiti da sanzioni per imputazioni o per condanne. Ora, quel che ci si vuole e ci si può proporre nel Convegno che si apre oggi non è una ricognizione o ricapitolazione esaustiva di infiniti confronti e scontri su tutti gli aspetti della questione giustizia. Si intende piuttosto mettere a fuoco il punto critico insostenibile cui è giunta la questione, sotto il profilo della giustizia ritardata e negata, o deviata da conflitti fatali tra politica e magistratura, e sotto il profilo dei principi costituzionali e dei diritti umani negati per le persone ristrette in carcere, private della libertà per fini o precetti di sicurezza e di giustizia. I più clamorosi fenomeni degenerativi che si sono prodotti - in primo luogo quello delle condizioni delle carceri e dei detenuti - e anche le cause di un vero e proprio imbarbarimento di quella già pesante e penosa realtà, e anche le indicazioni circa possibili vie d’uscita, hanno formato oggetto di interventi di alto livello come quelli degli oratori che mi hanno preceduto. E di ciò credo che dobbiamo essere grati in special modo, per la loro sapienza ed esperienza specifica, al giudice Lattanzi e al Presidente Lupo. Non è mio compito - e comunque non potrei pretendere di farlo - ribadire o integrare considerazioni e orientamenti così puntuali e giuridicamente appropriati. Mi limiterò a ricordare come - e ve ne è abbondante documentazione - io sia tenacemente intervenuto, nei già trascorsi cinque anni del mio mandato, su preoccupazioni ed esigenze relative sia al superamento di gravi inadeguatezze e insufficienze del “sistema giustizia” in Italia sia al rispetto degli equilibri costituzionali nel rapporto tra politica e giustizia. L’ho fatto ancora pochi giorni fa nell’incontro con i nuovi magistrati in tirocinio, dopo averlo fatto in numerose occasioni dinanzi al CSM o in altre sedi. E non è necessario, e sarebbe di cattivo gusto, che io ricorressi ad auto-citazioni. Quel che mi preme riprendere e sottolineare è un dato molto significativo emerso dagli interventi precedenti : e cioè il peso gravemente negativo di oscillanti e incerte scelte politiche e legislative. Oscillanti e incerte tra tendenziale, in principio, depenalizzazione e “depenitenziarizzazione”, e ciclica ripenalizzazione con crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estensione, in concreto, della carcerazione preventiva. Di qui una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all’impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo, per non parlare dell’estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari, inconcepibile in qualsiasi paese appena appena civile - strutture pseudo-ospedaliere che solo recenti coraggiose iniziative bi-partisan di una commissione parlamentare stanno finalmente mettendo in mora. Evidente in generale è l’abisso che separa, come si è detto, la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona. È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita, e dalla quale non si può distogliere lo sguardo, arrendendosi all’obbiettiva constatazione della complessità del problema e della lunghezza dei tempi necessari - specie in carenza di risorse finanziarie adeguate, come ha spiegato il Presidente Giampaolino - per l’apprestamento di soluzioni strutturali e gestionali idonee. C’è un’emergenza assillante, dalle imprevedibili e al limite ingovernabili ricadute, che va affrontata senza trascurare i rimedi già prospettati e in parte messi in atto, come ha ricordato il sottosegretario Caliendo, ma esaminando ancora con la massima attenzione ogni altro possibile intervento e non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria. Ho apprezzato il richiamo del Presidente Lupo allo sforzo cui l’emergenza carceraria chiama anche i giudici, ma è fondamentalmente dalla politica che debbono venire le risposte. Sappiamo che la politica, quale si esprime nel confronto pubblico e nella vita istituzionale, appare debole e irrimediabilmente divisa, incapace di produrre scelte coraggiose, coerenti e condivise. Ma non sono proprio scelte di questa natura che ogni giorno di più si impongono, dinanzi alla gravità dei problemi e delle sfide che ci incalzano non solo nel campo cui si riferisce questo Convegno ma in altri non meno fondamentali? Non dovremmo tutti essere capaci di un simile scatto, di una simile svolta, non foss’altro per istinto di sopravvivenza nazionale? Ci si rifletta seriamente, e presto, da ogni parte. Schifani (Presidente Senato): sovraffollamento delle carceri va affrontato con coesione nazionale 9Colonne, 28 luglio 2011 “Il problema del sovraffollamento delle carceri e della giustizia va affrontato con grande urgenza e nello spirito di coesione nazionale che è indispensabile per ogni processo di riforme”. Così il presidente del Senato Renato Schifani nel suo intervento al convegno a Palazzo Giustiniani promosso dal Partito radicale sulla giustizia e la situazione delle carceri italiane. Il presidente del Senato ha ricordato che “al 20 luglio si registrano 66.841 presenze in carcere, a fronte di una capienza regolamentare di 45.681 posti e di una necessità di 69.194”. Una situazione complessa, a fronte della quale “alcune soluzioni sono state adottate”, sottolinea Schifani, citando ad esempio il decreto “che consente il trasferimento dei detenuti stranieri senza il loro consenso negli Stati di appartenenza”. E poi c’è il piano carceri del governo, che “ha portato ad oggi un ampliamento di 1.100 posti e a breve si avrà un ulteriore incremento di 2.900 posti”, continua Schifani avvertendo però che “diviene tuttavia necessaria la ricerca di ulteriori valide soluzioni, durature e strutturali”, perché “la detenzione non può e non deve significare scontare la pena in condizioni non umane” e “la migliore tutela della vittima di reato è l’effettività sia della pena sia della sua funzione primaria che è la rieducazione”. Lupo (Presidente Cassazione); sono urgenti norme per ridurre il numero dei detenuti Dire, 28 luglio 2011 Sono “indispensabili interventi legislativi idonei a non incrementare e anzi a ridurre progressivamente la popolazione carceraria”. Lo dice il primo presidente della Corte di Cassazione Ernesto Lupo, partecipando a un seminario sulla giustizia organizzato dai Radicali a Palazzo Giustiniani. Lupo spiega che se anche “non tocca alla Cassazione pronunciarsi sui provvedimenti di clemenza” è “indispensabile un progetto che punti alla riduzione della pena carceraria e che punti anche all’area della penalità”. Il primo presidente della Cassazione sottolinea che questo aspetto è “assente” dalla relazione che il sottosegretario Giacomo Caliendo ha tenuto al seminario. “Eppure è urgente un ponderato e selettivo programma di depenalizzazione e di attribuzione al diritto amministrativo di molti dei reati puramente formali, accompagnato dall’introduzione di formule estintive del reato, nell’ambito di condotte non gravi. Questo - spiega Lupo - potrebbe determinare effetti notevoli nel prosciugare il flusso di detenuti che entra in carcere” per un periodo limitato di tempo. Giampaolino (Presidente Corte dei conti); troppo pochi i fondi per le carceri, cambiare sistema Ansa, 28 luglio 2011 Sono troppo poche le risorse che l’amministrazione centrale dello Stato destina alle carceri italiane. A sottolinearlo, nel corso di un seminario sul tema organizzato dai Radicali a Palazzo Giustiniani, è il presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino. L’analisi economico-finanziaria per il 2010 non ha fatto emergere “miglioramenti sotto il profilo della spesa” destinata alle carceri italiane. Se infatti l’esame degli indicatori finanziari ha confermato “la tendenza a una migliore efficienza della gestione della spesa sia in termini di competenza che di cassa, ed è cresciuta la velocità della spesa” stessa, dice il presidente della Corte dei conti, anche nel 2010, le carceri italiane hanno dovuto “confrontarsi con le difficoltà riconducibili all’esiguità degli stanziamenti”. Questo in particolare per quanto riguarda “la riduzione delle risorse apportate in corso di esercizio” relativamente ai fondi per il funzionamento della giustizia e per i beni intermedi. Alla fine del 2010, le risorse sono risultate ridotte rispetto al precedente esercizio e “questo ha portato a delinearsi l’ennesima esposizione debitoria che risultata pari a 131,5 milioni con un incremento del 17 per cento rispetto alla fine del precedente esercizio”. Giampaolino sottolinea che “le spese per la gestione degli istituti sono in gran parte incomprimibili per l’amministrazione” essendo in gran parte legate al costo per il personale. E osserva inoltre che “risorse non adeguate ai fabbisogni espongono l’amministrazione” con “l’intuibile conseguenza sull’ordine e la sicurezza delle strutture” ma anche sulla “razionalizzazione dei costi attraverso procedure accentrate per ottenere costi più bassi”. La Corte dei conti auspica quindi un “cambiamento di rotta e una forte accelerazione sia nella costruzione di nuove strutture che nell’ampliamento di quelle esistenti”. Caliendo (Sottosegretario alla Giustizia); il “Piano carceri” è la vera soluzione ed è ben avviato www.giustizia.it, 28 luglio 2011 Intervento del sottosegretario Giacomo Caliendo al convegno “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano”, promosso dal Partito Radicale e sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica ed il patrocinio del Senato. Signor Presidente della Repubblica, Signor Presidente del Senato, Autorità tutte, mi preme innanzitutto porgere i miei ringraziamenti per l’invito a partecipare a questo incontro di così grande ed elevato valore politico-istituzionale su di un tema come quello della giustizia penale in generale, e dell’emergenza carceraria più in particolare, di estrema attualità ed importanza, la cui centralità nel quotidiano dibattito non solo politico e parlamentare, ma anche culturale nel suo complesso, è oggi ulteriormente testimoniata dalla presenza del Capo dello Stato cui va la mia sincera e profonda gratitudine per la sensibilità da sempre dimostrata su questi argomenti e ribadita oggi con la sua partecipazione. Presenza cui, mi consenta Presidente, io annetto, tra gli altri, il significato di un invito a riprendere, semmai si fosse in qualche modo interrotto, e, comunque, a rinnovare un confronto costruttivo e propositivo, scevro da impostazioni ideologiche, per una soluzione rapida ed efficace del problema cui tutti, partendo dai responsabili di funzioni di governo per arrivare fino a chi profonde il proprio impegno sul campo, dobbiamo guardare con grande attenzione. La situazione del nostro sistema penitenziario è ormai da anni segnata da elementi di drammatica ed insostenibile emergenza sia per quanto riguarda la popolazione carceraria che per ciò che riguarda i compiti e le condizioni dei soggetti istituzionali e di controllo in esso operanti. Una situazione che si è sedimentata nel corso degli anni e che era irrealistico pensare di risolvere in brevissimo tempo ma che, comunque, richiedeva un adeguato ed immediato intervento. Come sempre succede in tali condizioni, il tema dei provvedimenti indulgenziali ritorna prepotentemente agli onori del confronto politico e parlamentare. Tuttavia, al di là di preconcette posizioni a favore e contro la ciclica concessione dell’amnistia e dell’indulto, non può sottacersi come sia da tempo condivisa una valutazione fortemente negativa nei confronti dei detti istituti. Come ho avuto già modo di evidenziare nel mio colloquio di qualche giorno fa con l’On. Pannella, questo sfavore si basa essenzialmente su un giudizio di fondo difficilmente contestabile: attraverso questi provvedimenti, per loro natura contingenti ed eccezionali, non viene data alcuna soluzione vera ai problemi critici del sistema penale-penitenziario italiano. Storicamente, infatti, gli effetti deflattivi dei provvedimenti di clemenza sono stati mediamente assorbiti in meno di due anni. Allo stesso tempo, la loro adozione porta a distrarsi da quella che può essere la vera soluzione, e cioè, un intervento di tipo strutturale e fisiologico. Il cosiddetto “piano carceri”, con tutti i suoi addentellati, va senz’altro in questa direzione. Questo Governo, fin dal suo insediamento, ha inserito tra i punti principali della propria agenda politica la soluzione del problema “carcere”, cercando di avere un approccio quanto mai pragmatico, immaginando e proponendo nelle sedi deputate soluzioni praticabili, tempestive ed efficaci, anche e soprattutto in considerazione della difficile congiuntura economica. È stato da subito chiaro che la situazione richiedeva l’adozione di misure straordinarie per cui nel gennaio del 2010, su richiesta del Ministro della Giustizia, il Consiglio dei Ministri dichiarava lo stato di emergenza carceraria. Svanito l’illusorio effetto dell’indulto in conseguenza del trend continuamente crescente degli ingressi nelle carceri, la dichiarazione dello stato di emergenza costituiva uno strumento fondamentale per provvedere a quegli interventi strutturali che sono sembrati essere la risposta più efficace al problema emergenziale. Il “piano carceri”, che è scaturito da quella dichiarazione, si è poggiato su tre pilastri fondamentali: a) interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione di nuovi padiglioni in ampliamento di quelli già esistenti e, successivamente, anche di nuovi istituti; b) interventi normativi per deflazionare i flussi di ingresso nel sistema carcerario ed accentuare il ricorso alle misure alternative alla detenzione, secondo un’impostazione tutt’altro che retributiva e punitiva, che, invece, a dire di molti, sarebbe la logica che caratterizzerebbe l’operato di questo Governo in materia di sistema penale e penitenziario; c) la rideterminazione della pianta organica del Corpo della Polizia penitenziaria. Quanto al primo settore di intervento, il 30 giugno del 2010 il Comitato interministeriale presieduto dal Ministro della Giustizia, ha approvato il piano per la realizzazione di 11 nuovi istituti carcerari e di 20 nuovi padiglioni. Si è dato così avvio ad un intervento infrastrutturale senza precedenti nella storia della Repubblica, sia per l’entità degli investimenti (pari a circa 675 milioni di euro), sia per la tempistica della loro esecuzione (nell’arco di un triennio), sia, infine, per la portata strategica volta a soddisfare un fabbisogno carcerario pari a circa 9.150 posti. In esecuzione del citato piano straordinario, sono state già concluse nove intese istituzionali tra il Commissario delegato e le Regioni ed i Comuni interessati, che coprono circa il 75% del volume complessivo degli investimenti previsti. Nel frattempo, e parallelamente al predetto piano, dall’insediamento di questo Governo, la capienza dei posti è stata aumentata di 2998 unità, laddove, per il passato, simili crescite hanno richiesto un arco temporale tre volte superiore, mentre un ulteriore incremento di circa 2.728 posti sarà conseguito entro quest’anno. Altri 3.106 saranno pronti entro il 2012. Per quanto riguarda il secondo fronte di intervento, in data 26 novembre 2010 è stata approvata la legge n.199, che ha introdotto nuove disposizioni con riguardo all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno. Dalla sua entrata in vigore, dicembre dello stesso anno, fino a maggio compreso, hanno beneficiato della predetta misura più di 2.400 detenuti. Con il decreto legislativo 7 settembre 2010, n.161 sono state, poi, approvate le disposizioni per conformare il diritto interno alla Decisione quadro 2008/909/Gai. Si tratta di un importante strumento di cooperazione giudiziaria che sta consentendo e consentirà di trasferire le persone condannate dall’Italia verso lo Stato membro di cittadinanza per l’esecuzione delle pene detentive a prescindere dal loro consenso. In Italia i detenuti non cittadini italiani sono circa il 37% dell’intera popolazione carceraria e di questi, il 19,9% sono cittadini comunitari. Un ultimo cenno, continuando nella elencazione degli interventi normativi, va fatto al fenomeno della detenzione femminile, e più specificamente, al problema della permanenza in carcere delle detenute madri, rispetto al quale, con l’approvazione della legge n.62 del 21 Aprile scorso, sono state previste misure più attenuate e maggiori tutele per i figli minori. Il terzo piano di interventi ha infine riguardato il Corpo della Polizia penitenziaria. Al 31.12.2010, a fronte di una dotazione organica nazionale di 41.676 unità, ne risultavano in servizio solo 39.254. A marzo di quest’anno sono stati assunti 816 agenti della Polizia penitenziaria ed in esecuzione della legge 199/2010, è prevista l’assunzione di ulteriori 1.611 unità per una parte delle quali sono state già avviate le procedure di selezione. Infine, è stata richiesta l’autorizzazione all’assunzione di altre 1145 unità di personale, suddivisi tra agenti e vice commissari, a copertura delle cessazioni dal servizio che si sono verificate al 31.12.2010. Ciò consente di prevedere un incremento complessivo di circa 2.000 unità già alla fine di quest’anno o al massimo entro la prima metà del 2012. Ci si è mossi con tempestività ed efficacia anche in ordine al comparto Ministeri attraverso una serie di assunzioni di personale di varia qualifica, prevalentemente educatori e contabili, compatibilmente con le restrizioni previste dalle norme finanziarie. Negli incontri avvenuti in questi anni in occasioni di mie visite ad istituti penitenziari, ho potuto constatare che nelle carceri ci sono uomini e donne - magistrati di sorveglianza, poliziotti, educatori - che vivono il loro lavoro con grande umanità e rispetto per le persone; che sono la testimonianza quotidiana di una presenza che fa rinascere la speranza in un ambiente dove è facile pensare di non aver più speranza; e che, al contempo, con questa loro opera di rieducazione svolgono un ruolo determinante, ed ormai irrinunciabile, in una prospettiva di reinserimento del condannato. A queste persone va ribadito l’impegno del Ministero della Giustizia e dell’intero Governo a trovare le soluzioni perché quelli che sembrano due aspetti in astratto difficilmente conciliabili, repressione e riabilitazione, possano essere efficacemente perseguiti nel pieno rispetto dei valori consacrati nella nostra carta costituzionale e nella tradizione cristiana che è alla base della nostra storia e cultura. Pannella: Napolitano è Garante dei diritti degli ultimi… e non dei privilegi di pochi 9Colonne, 28 luglio 2011 “Onore al presidente Giorgio Napolitano e un grazie mio personale per l’onore che vuole farmi, che è l’unico modo per impormi di essere un buon cittadino”. Lo ha detto Marco Pannella subito dopo l’intervento del capo dello Stato al convegno a Palazzo Giustiniani promosso dal Partito radicale sulla giustizia e la situazione delle carceri italiane. Prima di svolgere la sua relazione introduttiva Pannella ha voluto sottolineare che “in modo nobilissimo e forte ha parlato il garante della legge”. “Ha parlato - ha concluso il leader radicale - colui di cui tutti gli Stati europei hanno probabilmente bisogno: un Capo di Stato che sia effettivamente garante dei diritti degli ultimi e non dei privilegi di pochi o di tanti”. Favi (Pd): Napolitano ha ragione, il ministro Palma presenti misure urgenti per le carceri Dire, 28 luglio 2011 “Non possiamo che concordare con il presidente Napolitano che ha definito la questione del sovraffollamento delle carceri ‘un tema di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civilè”. Lo dice Sandro Favi, responsabile nazionale carceri del Pd. “Il Pd - ricorda Favi - ha già elaborato le proprie proposte per l’emergenza che prevedono: la revisione dei meccanismi della custodia cautelare; l’abrogazione delle norme della legge ex-Cirielli; il rilancio delle pene alternative; la modifica della legge Fini-Giovanardi in materia di stupefacenti e l’aumento delle risorse per l’affidamento ai Sert ed alle comunità terapeutiche dei tossicodipendenti autori di reato; l’estensione dell’istituto della messa alla prova, già previsto per i minori, agli adulti; la predisposizione delle condizioni per l’accesso a misure alternative per gli immigrati condannati, da eseguirsi anche nei paesi di provenienza, come previsto dalle sentenze della Cassazione; il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari; la revisione delle altre misure di sicurezza divenute pressoché indistinguibili dalla pena carceraria”. Il piano carceri del governo, invece, “continua a mascherare gli effetti deteriori sul sistema penitenziario delle politiche degli scorsi anni in materia di sicurezza, giustizia, tossicodipendenze ed immigrazione e dopo tre anni di annunci è ancora lontano dal produrre alcun effetto sulle condizioni reali delle nostre carceri e delle persone che vi sono ristrette o che ci lavorano. Chiediamo, perciò, al nuovo ministro Francesco Nitto Palma di predisporre e presentare altre misure urgenti, oltre al programma di costruzioni a lunga scadenza, per fronteggiare lo spaventoso sovraffollamento delle carceri e consentire un confronto libero e responsabile per il superamento dell’emergenza”. Centrella (Segretario Generale Ugl): le parole di Napolitano scuotano il Governo Agenparl, 28 luglio 2011 “Le parole del Presidente della Repubblica scuotano dall’immobilismo il governo sulla grave condizione in cui versa il sistema carcerario, ormai al collasso”. Lo chiede Giovanni Centrella, segretario generale dell’Ugl, commentando la dichiarazioni odierne del Capo dello Stato sul tema. Per il sindacalista “sono altrettanto condivisibili le parole del Presidente del Senato. È significativa la pressione esercitata oggi dalle più alte cariche dello Stato, perché un Paese civile non può permettere che il sistema penitenziari o cada letteralmente a pezzi e che le condizioni di sovraffollamento raggiungano livelli tali da mettere a rischio la tenuta stessa dell’intero apparato, portando tante persone al suicidio. Ci aspettiamo dal governo e in particolare dal neo ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, quelle risposte urgenti e indispensabili li che le lavoratrici e i lavoratori della Polizia Penitenzia ria attendono da tanto, troppo tempo”. Per il segretario nazionale Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, “anche l’analisi economico-finanziaria per il 2010 della Corte dei Conti non fa altro che confermare la grave carenza di risorse che denunciamo da sempre e che si è drammaticamente aggravata negli ultimi anni, rendendo impossibile l’ordinaria gestione dei servizi penitenziari”. “Per questo - spiega, abbiamo manifestato in piazza Montecitorio lo scorso 7 luglio, abbiamo incontrato il Capo della Segreteria Istituzionale della Presidenza della Camera, Alberto Solia, e stiamo raccogliendo firme fra i colleghi per chiedere interventi ormai improcrastinabili: un piano straordinario di assunzione di almeno 5.000 agenti per affrontare i carichi di lavoro; l’incremento dei fondi per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle carceri; l’adeguamento delle strutture e dei mezzi; l’utilizzo del fondo comune beni confiscati mafie per pagare gli arretrati dei servizi di missione del personale; il superamento dei vincoli di bilancio per l’utilizzo delle risorse; la revisione del Regolamento e delle norme ordinamentali del Corpo di Polizia Penitenziaria; la defiscalizzazione al 10 per cento delle voci stipendiali accessorie, in particolare dello straordinario; l’introduzione di un sistema di decontribuzione stipendiale in ragione del quoziente familiare e del costo della vita”. Giustizia: il ministro Palma; per sfollare le carceri bisogna depenalizzare i reati minori www.voceditalia.it, 28 luglio 2011 “La prima cosa che farò sarà dimettermi dalla magistratura, per non rientrare più”. Nitto Francesco Palma, da ieri sera nuovo Ministro della Giustizia, è deciso ad affrontare subito i temi più caldi che hanno accompagnato la sua nomina. Intervistato da Corriere, Stampa e Mattino, il neoguardasigilli ha stilato un agenda politica per i venti mesi del suo mandato. Più garanzie per i parlamentari sotto inchiesta, stop all’abuso delle intercettazioni, depenalizzazione dei reati minori e definitiva risoluzione del contrasto politica magistratura, queste le priorità. “L’obiettivo - sottolinea il nuovo inquilino di via Arenula - è varare le riforme che rispondano al principio costituzionale del giusto processo, che puntino a velocizzare i processi nel rispetto dei diritti su tutte le parti. Per questo - continua - mi impegnerò ad avere un dialogo chiaro con l’opposizione politica e principalmente con magistratura e avvocatura”. Per garanzie e maggiori tutele ai parlamentari sotto inchiesta, Palma pensa a una diversa procedura per l’attribuzione delle competenze dei giudici: “Se il Parlamento non concede l’autorizzazione per l’arresto di un parlamentare, ma l’indagine e il processo vanno avanti lo stesso”, osserva, “a mio parere sarebbe meglio immaginare di spostare la competenza territoriale e far proseguire il processo davanti a un altro magistrato”. Napolitano aveva chiesto una personalità di alto profilo, lontana da interessi di parte, mentre Calderoli si era spinto più in là, reclamando esplicitamente un Ministro della Giustizia che, a contrario dei suoi predecessori, non avesse rapporti privati con gli avvocati del Premier. Anche il Pd, attraverso il suo responsabile Giustizia Andrea Orlando, aveva espresso la speranza di un cambiamento di linea, in particolare riguardo la legge del cosiddetto processo lungo in discussione al Senato, a parere dei Democratici “l’ennesima legge ad personam a favore di Silvio Berlusconi”. Ma alle porte della sua nomina ufficiale Palma promette equidistanza, soprattutto nelle decisioni così delicate: “Sentirò le ragioni dell’opposizione - assicura. Sono disposto a ragionare su tutto, anche a cambiare idea se mi dimostrano che le norme, sul piano tecnico, sono contrarie alla Costituzione, sono causa di inefficienza o del mancato raggiungimento di un verdetto giusto”. Sulle intercettazioni la linea è quella ufficiale del Pdl: “lo strumento è indispensabile, ma bisogna eliminare le anomalie. Intercettare è un sistema rapido - sostiene il neo guardasigilli - ma deve essere usato eccezionalmente”. Quando poi si arriva a parlare di sovraffollamento delle carceri, tema strettamente collegato a una riforma generale del sistema giudiziario, Nitto Palma si dice intenzionato a mettere a punto un programma di depenalizzazione dei reati minori per svuotare gli istituti di reclusione, “dal momento che l’inefficienza dell’ elefantiaca macchina della giustizia dipende dall’eccessiva criminalizzazione, cioè da sanzioni penali sovrastimate per violazioni punite negli altri paesi con semplici sanzioni amministrative o civili. E se il Pd rimane cauto e sospende il giudizio, arriva netto il commento di Massimo Donadi dell’Idv: “Con la nomina a ministro della Giustizia di Nitto Palma, che negli anni passati lasciò traccia di sè in Parlamento solo per essersi reso promotore di alcune norme ad personam a tutela di Cesare Previti, possiamo dire che il centrodestra continua a percorrere la solita strada. Una nomina in assoluta coerenza con chi lo ha preceduto”. Giustizia: Ionta (Dap); il ministro Palma migliorerà il sistema penitenziario Ansa, 28 luglio 2011 “Esprimo a Francesco Nitto Palma i miei più vivi sentimenti di congratulazione per la nomina a ministro della Giustizia. Reciproca e sincera stima professionale e profonda amicizia mi legano al ministro che, sono certo, opererà proficuamente per il miglioramento del sistema penitenziario, salvaguardando la dignità delle persone detenute e la dignità del lavoro di tutti i gli operatori della comunità penitenziaria. Ringrazio il ministro uscente Angelino Alfano per la fiducia e il sostegno che ha garantito nella complessa gestione del sistema carcere. Auguro al Ministro Palma buon lavoro, certo che farà un buon lavoro”. Così, in una nota capo del Dap, Franco Ionta. Giustizia: perché l’emergenza carceri non è affare dei soli detenuti Il Foglio, 28 luglio 2011 Se c’è una cosa che bisogna fare quando si parla di carcere è fuggire dalla retorica del “guardie e ladri”. Dalla supposizione, per esempio, che i detenuti siano gli unici a soffrire del sovraffollamento degli istituti penitenziari. Lo stato di crisi ha infatti compattato la “comunità penitenziaria”, come la chiamano con insistenza i Radicali, mettendo dalla stessa parte reclusi, personale di polizia, amministratori e operatori, tutti vittime allo stesso modo dello stato di sofferenza del sistema. Oggi e domani se ne parlerà a Palazzo Madama al convegno “Giustizia! In nome del popolo sovrano”, promosso dal Partito radicale con l’alto patronato della presidenza della Repubblica e il patrocinio del Senato. In prima linea ci sono per esempio gli agenti di polizia penitenziaria, sottodimensionati rispetto all’incremento della popolazione detenuta: “Nel 2001 infatti si contavano circa 43.800 reclusi e 43.500 agenti; oggi i detenuti sono più di 67 mila e l’organico di polizia supera di poco le 38 mila unità”, spiega al Foglio il segretario generale della Uil-pa Penitenziari, Eugenio Sarno. Un solo agente può essere chiamato a sorvegliare un’intera sezione con almeno cento persone e solo nel primo semestre del 2011 la polizia ha sventato in extremis circa trecento tentativi di suicidio. “In queste condizioni cadono tutti i presupposti di sicurezza - spiega Sarno - e non possiamo contribuire in alcun modo all’osservazione e al trattamento dei detenuti”. Senza contare, notano alcuni osservatori, che il disagio contribuisce a spiegare un tasso di suicidi tra gli agenti penitenziari quattro volte più alto rispetto agli altri corpi di sicurezza. Funzioni sempre più sacrificate anche per la mancanza di operatori: “Noi psicologi penitenziari siamo 400 in tutta Italia”, dichiara al Foglio la dottoressa Ada Palmonella che presta servizio nel carcere romano di Regina Coeli. “Il regolamento del Dap dispone che al loro arrivo i detenuti passino prima dalla matricola poi dallo psicologo, ma quando arriviamo li troviamo sparpagliati tra le sezioni. Molti mi sfuggono, in un turno di tre ore riesco a vederne al massimo cinque”. Un disagio che affligge pure medici, infermieri educatori, ma anche i dirigenti, che poche settimane fa sono scesi in piazza distribuendo l’ordinamento penitenziario listato a lutto per sottolineare la distanza tra ciò che si dovrebbe fare e ciò che invece si fa all’interno degli istituti in materia di sicurezza, salute e rieducazione. “La situazione è ogni giorno più difficile per uomini che lavorano sul campo”, osserva interpellato dal Foglio Luigi Pagano, provveditore agli istituti penitenziari della Lombardia, “si rischia di non riuscire a rispondere alle istanze dei detenuti e di non raggiungere finalità come la sicurezza pubblica anche attraverso il reinserimento sociale”. Quanto al piano carceri messo a punto dal governo, dichiara al Foglio il capo del Dap Franco Ionta, commissario delegato del governo per il piano carceri: “La misura che riguarda la nuova edilizia penitenziaria è assolutamente indispensabile, ma è solo uno dei tasselli di quello che giornalisticamente viene indicato come piano carceri. In realtà il piano che riguarda la stabilizzazione del sistema penitenziario intende fornire nuove strutture detentive all’avanguardia sotto il profilo della sicurezza interna, esterna e della gestione da parte del personale della popolazione detenuta”, A questo, spiega, si accompagnano altre misure: “Tra il 2011 e il 2012 assumeremo 2.500-3.000 unità di polizia penitenziaria”. C’è poi la legge sulla detenzione domiciliare “che ha portato fuori oltre 2.500” persone. Quanto alla mancanza di risorse, Ionta spiega che l’amministrazione penitenziaria ha ricevuto dalla distribuzione del Fondo unico della giustizia 6 milioni di euro “che ci consentiranno di andare avanti ancora per qualche mese. Se riusciremo ad avere anche un assestamento di bilancio, dopo l’estate per il 2011 saremo coperti”, conclude il capo del Dap che oggi tornerà a confrontarsi con le altre istituzioni e la società civile, avendo già annunciato la sua presenza al convegno su giustizia e carceri previsto in Senato. Giustizia: Opg a rischio chiusura; Nas chiudono sezioni a Montelupo e Barcellona Pozzo di Gotto Redattore Sociale, 28 luglio 2011 Dopo il sequestro di alcune sezioni nei due ospedali, la Commissione d’inchiesta intima di adeguare le parti non sequestrate entro sei mesi, pena la confisca. Adesso rischiano anche gli altri 4 Opg. Napolitano: “Estremo orrore”. Opg di Montelupo (Fi) e di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) a rischio sequestro. È quanto ha annunciato Ignazio Marino, presidente della Commissione nazionale di inchiesta sul servizio sanitario, all’indomani del sequestro di alcune sezioni dei due ospedali da parte dei carabinieri Nas a causa delle inadeguate condizioni igieniche e assistenziali. Il senatore Pd chiede “l’adeguamento delle intere strutture, quindi anche delle parti non sequestrate, ai requisiti minimi previsti dalle leggi nazionali e regionali entro 180 giorni. Trascorso questo tempo - si legge nella nota di Marino - la Commissione si riserva di procedere al sequestro dell'intero ospedale psichiatrico giudiziario”. In sostanza, se entro sei mesi le strutture non saranno adeguate all’accoglienza dei malati psichiatrici, rischiano la confisca. Un’eventualità che potrebbe far scatenare un vero e proprio effetto domino sugli altri quattro Opg italiani, dove permangono situazioni di estrema criticità. In materia di Opg si è pronunciato anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, secondo cui “i residui ospedali psichiatrici giudiziari” denotano una situazione di “estremo orrore, inconcepibile in qualsiasi paese appena civile”. Si tratta, dice il presidente della Repubblica partecipando a un seminario sulla giustizia organizzato dai Radicali, di “strutture pseudo ospedaliere che solo recenti coraggiose iniziative bipartisan di una commissione parlamentare stanno finalmente mettendo in mora”. Sull’argomento, l’associazione Antigone invita il nuovo ministro della giustizia, Nitto Palma, a prendere una posizione ufficiale: “Spero che il ministro - dice il presidente dell’associazione Patrizio Gonnella - prenda in mano la situazione e dica esplicitamente che queste strutture vanno ripensate e territorializzate attraverso trattamenti psichiatrici uguali a quelli ospedalieri”. Da più parti arriva un appello alla chiusura definitiva e indiscriminata di tutti gli Opg italiani. “Il sequestro delle sezioni degli Opg di Montelupo e di Messina - auspica la radicale Donatella Poretti - è un passo fattivo, finalmente, verso la loro definitiva chiusura”. “Non bisogna fermarsi ai casi più clamorosi - incalza il comitato No Opg. Bisogna andare fino in fondo e abolire definitivamente gli Opg, aprendo la strada a progetti di assistenza individuali, che privilegiano il territorio, le strutture leggere e il più possibile personalizzate” utilizzando “trattamenti sanitari che, come affermano due sentenze della Corte Costituzionale e le norme sul superamento degli Opg, siano alternativi al ricovero e all’internamento e si svolgano nel territorio di residenza”. Montelupo: sigilli Nas a carcere psichiatrico, mancano requisiti igienici e assistenziali Celle senza le condizioni igienico sanitarie minime, padiglioni senza le dovute caratteristiche assistenziali e questa volta i Nas mettono i sigilli a una struttura comunque riconducibile allo Stato come un ospedale psichiatrico giudiziario. Due ali dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino sono state sequestrate oggi pomeriggio e i pazienti detenuti che le occupavano sono stati trasferiti in un’altra parte della struttura. I sigilli, apposti dal Nas di Firenze, è avvenuta in esecuzione di un decreto di sequestro amministrativo firmato ieri dalla Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale presieduta dal senatore Ignazio Marino. Il provvedimento sarebbe stato deciso perché nell’Opg mancherebbero le condizioni igienico-sanitarie, clinico-assistenziali e strutturali e quindi sarebbe leso il diritto fondamentale alla salute. In particolare, i sigilli sono stati messi al padiglione pesa, sala contenzione, e alla sezione ambrogiana dove ci sono 21 celle. Bosone (pd): passo decisivo per superare orrore opg “La relazione approvata, in modo unanime, dalla Commissione d’Inchiesta sul Sistema Sanitario Nazionale a conclusione dell’indagine sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari è un fatto storico verso il superamento di un istituto disumano e fuori dal tempo e lo ha confermato oggi anche il Presidente Napolitano, apprezzando il lavoro svolto dalla Commissione”. Lo afferma il senatore Daniele Bosone, relatore del provvedimento e vice presidente della Commissione Sanità del Senato. “Le conclusioni indicano la via di una riconversione ai parametri sanitari di strutture oggi del tutto carcerarie, in cui i pazienti autori di reato non vengono curati ma segregati in condizioni spesso animalesche in attesa di modifiche legislative che permettano il loro completo superamento”. “Stavolta il parlamento - ha detto Bosone - non si è limitato a guardare indignato e a scrivere una relazione, ma ha agito nell’ambito dei poteri operativi che la Costituzione gli conferisce, per rimuovere immediatamente le situazioni più gravi e lesive della dignità umana oltre che inaccettabili dal punto di vista igienico e sanitario”. “In quest’ottica si inseriscono gli interventi operativi di chiusura operati direttamente dalla Commissione a Montelupo Fiorentino e a Barcellona Pozzo di Gotto. Ma come è possibile curare persone affette da grave patologia psichiatrica in buchi bui, sovraffollati e maleodoranti, luoghi dove la cura è l’ultima delle preoccupazioni e spesso del tutto inesistente”. Montelupo: pazienti non toscani trasferiti in loro regioni Dei trenta pazienti che dimoravano nelle aree sequestrate, la maggior parte “saranno spostati in altre strutture sanitarie”, mentre “i sette pazienti toscani resteranno a Montelupo”. Sono circa trenta i pazienti dell’Opg di Montelupo che dimoravano nelle due ali che sono state sequestrate dai carabinieri dei Nas su disposizione della Commissione nazionale di inchiesta sul servizio sanitario presieduta da Ignazio Marino. Entro trenta giorni dovranno essere trasferiti in luoghi più adeguati. In queste ore, l’amministrazione penitenziaria regionale sta valutando varie ipotesi, ma quella più accreditata, come spiega il provveditore toscano Maria Pia Giuffrida, è quella di “trasferire i 23 pazienti non toscani in adeguate strutture sanitarie nelle regioni di provenienza”, mentre i sette pazienti toscani “troveranno dimora in un’altra area dell’Opg di Montelupo”. Nel frattempo, stanno continuando i lavori per la ristrutturazione della cosiddetta area Ambrogiana, che dovrebbe essere pronta tra novembre e dicembre prossimi e potrà accogliere circa novanta pazienti e dove, spiega Giuffrida, “ho chiesto di accelerare i finanziamenti al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”. Appello di Antigone a Nitto Palma: dica esplicitamente che gli Opg vanno chiusi Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, si rivolge al nuovo ministro della giustizia: “Ripensare gli Opg attraverso trattamento psichiatrici uguali a quelli ospedalieri”. “Spero che i sequestri agli Opg siano un segnale per il nuovo ministro della giustizia Nitto Palma” affinché “prenda in mano la situazione e dica esplicitamente che queste strutture vanno ripensate e territorializzate attraverso trattamenti psichiatrici uguali a quelli ospedalieri”. Così Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, in merito ai sequestri effettuati dai carabinieri Nas agli Opg di Montelupo e Barcellona Gotto Pozzo di Gotto. “È però pazzesco - aggiunge Gonnella - che si sia dovuto aspettare i Nas per procedere alla chiusura di queste sezioni” visto che “sono ormai anni che vengono denunciate le condizioni di vita intollerabili che ci sono in molti Opg”. Il comitato Stop Opg: intervento indispensabile, ora abolire tutti le altre strutture Il comitato, dopo il sequestro di alcune sezioni agli Opg di Montelupo e Messina, chiede di “non fermarsi ai casi più clamorosi” e di “aprire la strada a progetti di assistenza individuali”. “Un intervento indispensabile di fronte alle vergognose condizioni in cui sono costretti a vivere nostri cittadini internati e a lavorare gli stessi operatori”. Con queste parole il comitato “Stop Opg” plaude all’intervento della Commissione parlamentare d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale, presieduta dal Senatore Marino, che ha disposto la chiusura di alcuni reparti negli Ospedali psichiatrici giudiziari di Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Gotto. Il comitato adesso chiede l’abolizione degli Opg: “Non bisogna fermarsi ai casi più clamorosi, bisogna andare fino in fondo e abolire definitivamente gli Opg, aprendo la strada a progetti di assistenza individuali, che privilegiano il territorio, le strutture leggere e il più possibile personalizzate, al posto delle istituzioni totali. Trattamenti sanitari che, come affermano due sentenze della Corte Costituzionale e le norme sul superamento degli Opg, siano alternativi al ricovero e all’internamento e si svolgano nel territorio di residenza. Solo così - spiega il comitato -, come si è fatto con i manicomi, affermeremo il rispetto alla dignità della persona, sancito come inviolabile dalla nostra Costituzione”. Poretti (Radicali): passo fattivo verso la definitiva chiusura degli Opg Secondo la senatrice radicale “per una volta le istituzioni, davanti alla palese violazioni dei diritti umani, hanno sentito il dovere di intervenire, reagendo all’orrore”. Il sequestro delle sezioni degli Opg di Montelupo e di Messina è “un passo fattivo, finalmente, verso la loro definitiva chiusura”. Così la senatrice radicale Donatella Poretti, secondo la quale “per una volta le istituzioni davanti alla palese violazioni dei diritti umani, alla negazione del diritto alla salute e alla non attuazione del principio costituzionale che prevede la pena tendente alla rieducazione hanno sentito il dovere di intervenire”. Per Poretti si tratta di “un passaggio, da monitorare, seguire e verificare, che si deve alla presidenza della Commissione, sen. Ignazio Marino, ai due relatori di maggioranza e di opposizione Michele Saccomanno e Daniele Bosone, e a tutti i gruppi che davanti all’orrore hanno reagito unanimemente. Per la prima volta, infatti, nel pieno rispetto dei poteri conferiti dalla Costituzione all’art. 82 e pari alla magistratura, nella giornata di ieri sono stati notificati dei provvedimenti giudiziari emessi dalla commissione stessa. Provvedimenti inappellabili verso i quali può essere sollevato un conflitto di poteri alla Consulta solo dalla magistratura o dal Governo”. Formisano (Udc): ospedali psichiatrici giudiziari luoghi di tortura “Siamo grati al Capo dello Stato per aver sottolineato l’orrore che trasuda dagli ospedali psichiatrici giudiziari. Queste strutture sono spesso veri e propri luoghi di tortura: vanno chiusi subito, senza ‘sè e senza ‘mà. Definirli ‘ospedalì è un abuso”. Lo dichiara la deputata Udc Anna Teresa Formisano. “Le condizioni disumane con cui vengono trattati i cosiddetti ‘ospitì, spesso vittime di errori giudiziari, sono filmate e certificate - sottolinea l’esponente centrista -: legati in letti fatiscenti, lasciati senza cure, curati con medicinali scaduti o allettati con lenzuola mai cambiate per settimane. Lo abbiamo detto in Aula a marzo durante un nostro Question Time proponendo una soluzione condivisibile e immediata: il governo trovi subito un accordo con le regioni affinché si utilizzino gli ospedali dismessi e li si riconverta in tempi brevi in strutture con personale adeguato per il trattamento sanitario degli internati da sottoporre poi ad accurate visite medico-psichiatriche in grado di attestare il loro stato effettivo di salute mentale”. Giustizia: “sopravvitto” troppo caro; il Dap avvia un’indagine sulla gestione degli appalti Redattore Sociale, 28 luglio 2011 Il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta: “I prezzi non possono essere superiori a quelli fuori”. Dopo la segnalazione di Ristretti Orizzonti e l’intervento dei Radicali, in particolare di Rita Bernardini, il Capo del Dap, Franco Ionta, annuncia “una indagine approfondita e una valutazione attenta sui costi del sopravvitto”. Il Dipartimento di amministrazione penitenziaria ha avviato un’indagine relativa ai costi del sopravvitto, per verificare che i prezzi siano adeguati alle norme e in linea con quelli che si trovano fuori dal carcere. Lo ha annunciato Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, a margine di un incontro con le realtà attive in carcere. I costi non possono in alcun modo essere superiori a quelli che il detenuto sosterrebbe se stesse fuori dal carcere - ha spiegato il capo dipartimento. Vogliamo vedere se le ditte che hanno vinto gli appalti poi rispettano le disposizioni”. La notizia dell’indagine è stata accolta con entusiasmo da Ristretti Orizzonti. Quella del sopravvitto troppo caro, infatti, è una questione che da tempo sta a cuore all’associazione padovana. Nei mesi scorsi l’impegno su questo fronte è sfociato anche in un’astensione dalla spesa da parte dei detenuti della casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Il problema, inoltre, è stato al centro di un’inchiesta dal titolo “Fare la spesa in carcere: paghi tre, prendi due”. Alla luce delle dichiarazioni di Ionta, Ristretti chiede che “i risultati di questa indagine siano presto resi pubblici e che se ne traggano anche delle conseguenze rapide”. La prima richiesta è di rimuovere la “dittatura del prodotto unico”, che non consente di scegliere tra prodotti più economici, come in qualsiasi supermercato. Giustizia: i volontari insieme per ridurre di “danno da sovraffollamento” in poche mosse Redattore Sociale, 28 luglio 2011 Le associazioni hanno elaborato “proposte minime” comuni, poi presentate al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Ristretti Orizzonti: “Misure di sollievo applicate solo a macchia di leopardo” Associazioni e realtà impegnate nel mondo del carcere smettono di fare le soliste per produrre progetti e iniziative comuni. Il mondo del volontariato carcerario ha così deciso di unire le forze per elaborare un piano di riduzione dei danni del sovraffollamento. Le proposte sono state elaborate da Antigone e Ristretti Orizzonti e presentate a Franco Ionta, capo del Dap, che le ha definite “misure sagge”. Si tratta perlopiù di richieste non nuove, ma applicate solo a macchia di leopardo in alcuni istituti. In generale, l’obiettivo è di offrire “una boccata di ossigeno in una situazione di aria ormai irrespirabile”. Le priorità evidenziate: maggiore apertura delle celle durante la giornata, più ore d’aria, maggiori possibilità di impegnare il tempo in attività utili. Per facilitare il rapporto con i familiari si chiede poi la possibilità di avere due telefonate supplementari al mese e due ore di colloquio in più per tutti i reclusi. L’impegno delle associazioni è di garantire a tutti i detenuti gli stessi diritti, per non creare divisioni tra istituti - e reclusi - di serie A e di serie B. Il fatto che solo alcune carceri offrano misure di “sollievo dal sovraffollamento”, rende infatti la situazione pericolosa: “La vita del detenuto diventa un terno al lotto - spiega Ristretti Orizzonti: se ti va bene sei in un carcere con le celle sempre aperte, la possibilità di telefonare di più quasi automatica, i volontari che fanno attività e sono presenti fino alle sei di sera. Se ti va male, ti ritrovi a far colloquio ancora con i vecchi banconi divisori (succede) e a stare in cella ventidue ore su ventiquattro”. Da parte del Dap è arrivata una promessa di impegno concreto: “Pare che in periferia ci sia un’applicazione a volte non corretta delle indicazioni che arrivano dal centro - ha sottolineato Ionta -, quindi farò una circolare con disposizioni, e non semplici indicazioni, su come gestire questa situazione, e mi impegno a vigilare che queste misure siano effettivamente applicate”. Giustizia: intervista a Marco Pannella “l’unica soluzione è l’amnistia” Tempi, 28 luglio 2011 Marco Pannella confida che “se riusciamo a spiegare alla gente le nostre ragioni, la gente ci seguirà”. Il leader radicale parla di amnistia, una parola che fa accapponare la pelle ai contrari e che fa tirare sospiri di sfiducia ai favorevoli. Pannella, però, ci crede e dice a Tempi: “Confido che dopo trent’anni che la ripetiamo, questa volta, sebbene non abbiamo avuto la possibilità di andare in televisione come tanti altri, ce la faremo”. L’occasione è un convegno che si terrà a Roma a Palazzo Giustiniani, alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e del presidente del Senato, Renato Schifani, dal titolo “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano”. Sono tanti i punti che Pannella ha segnato sull’agenda del suo intervento e con cui vorrebbe anche ribaltare alcune verità che a suo parere “sono propagandate dalle tv necrofile che vogliono farci credere di vivere in un paese violento. Invece è vero il contrario, come confermano i numeri che vedono negli ultimi anni un calo dei delitti violenti”. A questo vanno aggiunti i soliti impietosi numeri sul sovraffollamento dei penitenziari italiani, dove i carcerati vivono ormai in condizioni proibitive e dove, solo a fare i conti degli ultimi otto mesi, si sono verificati ventinove suicidi. “L’amnistia - dice Pannella - serve a tutti. Serve alla politica, serve ai magistrati e serve al paese. È un atto di ragionevolezza politica e istituzionale”. La via, però, è impervia. Per varare un provvedimento del genere è necessario un largo consenso e, ad oggi, i favorevoli non paiono tanti. Ma Pannella non si scoraggia: “Una volta l’amnistia si concedeva ogni morte di papa, perché il potere riconosceva necessario, in occasione di un evento tanto raro, introdurre nel vivere sociale un elemento pacificatore straordinario. Oggi, invece, sentiamo questo continuo refrain che insiste sulla mancanza di numeri, possibilità, opportunità storiche”. Così, però, osserva Pannella, non accadrà mai nulla. Per questo, come suo solito, anziché ritirarsi, rilancia: “L’amnistia come primo passo per la riforma della giustizia”. L’ascolteranno Pd e Pdl? “Bisogna obbligarli ad ascoltarci. E far loro capire che hanno più da perderci a non farla che a farla”. Giustizia: Sappe; il nuovo ministro Nitto Palma non trascuri emergenza carceri Ansa, 28 luglio 2011 “Salutiamo con favore la nomina a ministro della Giustizia di Nitto Francesco Palma, magistrato e parlamentare che abbiamo avuto modo in più occasioni di apprezzare per la serietà e le competenze tecniche in materia di giustizia. Sono molti i fronti sui quali è chiamato ad intervenire, ma siamo certi che porrà la non più trascurabile emergenza penitenziaria tra le sue priorità di intervento. Rivolgiamo, nel contempo, un saluto al Guardasigilli uscente, Angelino Alfano, che ha posto in essere provvedimenti concreti di attenzione verso la Polizia Penitenziaria, a cominciare dall’assunzione concreta di nuovi Agenti, dimostrandosi sempre sensibile alle esigenze dei Baschi Azzurri del Corpo ed alle criticità del sistema carcere”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. “Al neo ministro Palma chiediamo di trovare soluzioni all’emergenza penitenziaria e su questo siamo pronti da subito ad un confronto costruttivo. A nostro avviso bisognerebbe ripensare il carcere e realizzare un nuovo ruolo per l’esecuzione della pena in Italia, che preveda circuiti penitenziari differenziati ed un maggiore ricorso alle misure alternative attraverso, da un lato, un carcere invisibile sul territorio cui affidare tutti coloro che commettono un reato che non crea allarme sociale e, dall’altro, un carcere di massima sicurezza, per i 41 bis o comunque riservato ai soggetti che si macchiano di gravissimi reati. Bisognerebbe pensare un carcere che non peggiora chi lo abita, non lo incattivisce, non crea nei suoi abitanti la convinzione di essere una vittima: questi risultati si possono realizzare con il coinvolgimento del sociale ma soprattutto con il lavoro durante la detenzione, anche attraverso progetti concreti per il recupero ambientale del territorio, che abbatta il fenomeno dell’ozio in carcere. In questo contesto si dovrà delineare per la Polizia Penitenziaria un nuovo impiego ed un futuro operativo, al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale. Donne e uomini con il Basco Azzurro che, mi sia consentito ricordarlo ancora una volta, nel contesto sovraffollato delle carceri italiane, svolgo un lavoro particolarmente stressante e duro con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità. E credo sia importante ricordare i sacrifici che affrontano ogni giorno le donne e gli uomini della polizia penitenziaria per garantire vigilanza e sicurezza all’interno e all’esterno degli istituti di pena liguri partecipando nel contempo alle attività di osservazione e di trattamento rieducativo dei detenuti. È utile ricordare gli eventi critici occorsi in carcere nell’ultimo anno per comprendere cosa intendo dire. Nel 2010, nelle sovraffollate carceri italiane, 1.137 detenuti hanno tentato il suicidio e sono stati tempestivamente salvati dai nostri agenti e oltre 5.700 hanno compiuto atti di autolesionismo. Tanto basta per comprendere quanto sia urgente intervenire sul sistema penitenziario italiano”. Toscana: Evangelisti(Idv); situazione delle carceri è inaccettabile, urge riforma Dire, 28 luglio 2011 “Le condizioni delle carceri toscane non sono accettabili. Come ha ricordato proprio questa mattina lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, c’è un abisso tra il dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e una realtà non più giustificabile. Lo leggiamo oggi sulle cronache locali, lo abbiamo potuto toccare con mano, come Italia dei Valori, venerdì scorso, quando, con i nostri consiglieri regionali, abbiamo effettuato dei sopralluoghi a Sollicciano, all’Opg di Montelupo a Le Sughere di Livorno e al Don Bosco di Pisa”. Lo dichiara, in una nota, Fabio Evangelisti, segretario Idv Toscana. “Personalmente - spiega Evangelisti - a Sollicciano ho riscontrato problemi strutturali che accumunano tutti gli istituti della nostra regione. A un sovraffollamento oltre i limiti della tollerabilità si aggiungono i gravi problemi di organico del corpo di guardia e l’inadeguatezza strutturale dei penitenziari. Una situazione drammatica che rappresenta un rischio per la salute e l’umanità della pena, garantita dalla Costituzione, dei detenuti, ma anche un serio problema di stress e sicurezza per chi nelle carceri lavora quotidianamente. Ad aggravare una situazione già di per sé insostenibile è che la pena non è mai accompagnata da un vero percorso di riabilitazione e riscatto perché mancano le strutture, gli strumenti e il personale adeguato per garantirlo”. “È evidente - aggiunge Evangelisti - la necessità di un cambiamento radicale nella gestione delle strutture carcerarie italiane. Servono urgenti interventi straordinari di manutenzione, è necessario che il personale impiegato sia quello effettivamente previsto dalla legge e, più in generale, occorre pensare anche a pene alternative al carcere che allentino la piaga del sovraffollamento e offrano una vera prospettiva di recupero”. “Il nostro auspicio - conclude Evangelisti - è intanto che il nuovo Garante dei Detenuti della Toscana metta in campo ogni iniziativa necessaria per alleviare le condizioni di detenzione. Noi dell’Italia dei Valori intendiamo continuare a tenere alta l’attenzione su questi problemi e, per questo, anche quest’anno, torneremo nei penitenziari toscani tra qualche settimane, partecipando all’iniziativa del Ferragosto in Carcere”. Reggio Emilia: fuoco nella cella, la Polizia penitenziaria salva 3 detenuti Agi, 28 luglio 2011 Ieri sera, nel carcere di Reggio Emilia, la polizia penitenziaria ha salvato la vita a tre detenuti magrebini che rischiavano di morire bruciati all’interno della stanza, dove erano detenuti. Ne dà notizia il segretario del sindacato Sappe, Giovan Battista Durante. L’incendio, originato da una delle bombolette di gas che i detenuti usano per cucinare, è divampato all’improvviso. Solo grazie alla prontezza della polizia penitenziaria sono state evitate conseguenze drammatiche. Ciò, nonostante le gravi carenze di personale di polizia che a Reggio Emilia - ricorda il Sappe - ammontano a circa cinquanta unità. In questo periodo, tra l’altro, gli agenti sono ancora di meno, poiché una parte di loro sta fruendo delle ferie estive che, quest’anno, in molte carceri sono state ridotte, proprio a causa della carenza di agenti. Il Sappe chiede che agli agenti intervenuti ieri sera per salvare i detenuti minacciati dall’incendio il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria conferisca la lode per l’alto senso del dovere dimostrato e con le prossime assegnazioni mandi almeno duecento agenti in Emilia Romagna, dove ne mancano seicentocinquanta; di questi, almeno venti dovrebbero andare a Reggio Emilia. Il sindacato chiede, inoltre, che venga vietato l’uso delle bombolette di gas. Genova: dal Comune un progetto per inserire i figli delle detenute in asili nido Adnkronos, 28 luglio 2011 Un progetto per favorire l’inserimento dei figli delle detenute negli asili nido è stato approvato oggi dalla giunta comunale di Genova. Il progetto, messo a punto dal Comune in collaborazione con la casa circondariale di Pontedecimo, ha lo scopo di favorire l’inserimento dei figli delle detenute negli asili nido e fornire un sostegno alle madri che possono tenere con loro i propri figli di età inferiore ai tre anni, per migliorare sia la qualità di vita dei bambini all’interno del carcere, sia quella delle donne stesse, garantendo loro la possibilità di beneficiare di alcuni momenti personali e di socializzazione, mentre la cura dei bimbi è affidata a personale qualificato. La giunta ha inoltre deliberato di proporre un Patto cittadino di sussidiarietà per promuovere una politica di lotta alla povertà e all’esclusione sociale attraverso la costruzione di un sistema partecipativo e interattivo di tutte le realtà cittadine - istituzioni, organizzazioni sindacali, privato/sociale, forze economico/sociali, fondazioni bancarie, imprese private, chiesa e realtà ecclesiali, volontariato, associazioni, famiglie e singoli cittadini - per favorire lo sviluppo di servizi, strumenti e progetti sociali a favore delle persone in condizione di bisogno. Il Comune avrà il ruolo di catalizzatore di risorse, la funzione di regia e di garanzia dei processi di collaborazione da avviare, sia attraverso l’accoglimento di proposte e progetti da parte di soggetti/enti, sia con la ricerca attiva di interlocutori interessati alla collaborazione. In quest’ambito, verrà anche costruita una mappatura cittadina delle esperienze sussidiarie e solidali presenti sul territorio, e verranno attivate attività promozionali al tema delle sponsorizzazioni che, oltre a costituire risorse aggiuntive per il perseguimento di alcuni progetti significativi per l’ente, sono fonte di partnership tra soggetti del pubblico e del privato. Libri: “Giustizia relativa e pena assoluta”, di Silvia Cecchi … ti condanno a non finire in carcere Tempi, 28 luglio 2011 E se non fosse la detenzione il migliore dei sistemi possibili per “ottenere giustizia”? Il sorprendete saggio del magistrato Silvia Cecchi spiega cosa fare contro la “collera del diritto” in tempi di manette egualitarie “Cerco solo giustizia”. Quando sentiamo pronunciare queste tre paroline siamo già in vista di un tintinnar di manette. C’è la vittima (o il rappresentante di un’associazione di vittime) che parla da qualche parte. Sarà un salotto lacrimante? Un corridoio di tribunale? Con tutt’intorno alle telecamere il grappolo di curiosi e supporter? Siamo qui per trarre commercio dall’eccitazione sentimentale degli spettatori. Perciò quelle tre paroline sono sempre uguali. Sul set. Come dentro un articolo di giornale che, austero, ci sta spiegando per il ventesimo anno consecutivo perché a Palermo c’è solo quell’industria lì. Ecco forse la ragione vera per cui non viene mai in mente a nessuno il famoso “braccialetto elettronico”. Ecco perché non si pensa e non si insegna a pensare che la forma retributiva di un delitto può consistere in una pena alternativa al carcere. Sembra aver l’aura di quelle istituzioni sorte con Adamo ed Eva: un po’ come la guerra del famoso soldato fatto prigioniero in Iraq, l’istituzione carceraria sembra fatta apposta “per rimettere a posto le cose rotte”. E dire che, al contrario, perfino il Logos sostiene fin da principio le pene alternative. Adamo ed Eva non vengono imprigionati dopo la violazione dell’Eden. Vengono buttati fuori e condannati a lavorare. La paternità di questa osservazione è di Vittorio Mathieu. Filosofo che ha firmato la postfazione a un saggio di vibrante e brillante accento anti carcerario. E poi un saggio sorprendente. Perché l’autore non è uno psicologo, un assistente sociale o una vittima di malagiustizia, ma un magistrato, un pubblico ministero. Insomma, uno che fa questo mestiere di mandare in galera le persone. Già il titolo è in controtendenza rispetto alla vulgata messianica: “Giustizia relativa e pena assoluta”. È l’ammissione di un limite insuperabile piuttosto che un’esaltazione della legge e dei suoi amministratori. L’autrice è Silvia Cecchi, sostituto procuratore a Pesaro. Agile e denso di osservazioni, molte delle quali frutto di vicende vissute in prima persona dall’autrice, il volumetto è appena uscito per i tipi di Liberi Libri, piccolo editore di Macerata, ma con una produzione interessante che spazia dalla saggistica storica a escursioni nella cronaca e nel dibattito di attualità. Quello della Cecchi ha il pregio di abbracciare entrambi i campi, la storia e la cronaca, con sintesi e appropriatezza. Dunque, tanto per cominciare, la moderna istituzione ove c’è chi amministra (lo Stato guardia penitenziaria) e chi sconta le pene (i detenuti) nasce solo nel 1700. E nasce in conflitto di civiltà con il cristianesimo. Che nell’epoca più perfetta della storia (altro che “secoli bui”), il Medioevo, era privo di istituzioni carcerarie propriamente dette e si affidava a forme di restrizione della libertà che erano avventizie (reclusione in attesa del processo) o claustrali (in seguito a una condanna) e seguivano i principi del diritto canonico. Tale diritto prevedeva la pena di morte (pena che giustamente il catechismo cattolico non ripudia totalmente ancora oggi), ma non esisteva l’idea di teorizzare la colpa e la pena in se stesse, farne oggetto di imperativo morale (come il categorico kantiano), di diritto dello Stato a punire e di dovere del reo di accettare la punizione. Fino all’illuminismo e alle sue prime giustificazioni teoriche-filosofiche (in Kant, Hegel e Feuerbach), spiega la Cecchi, “la pena carceraria è una pena residuale e sussidiaria rispetto alla pena pecuniaria, assolutamente predominante in periodo medievale, nel ruolo collaterale alle pene capitali e alle pene corporali”. Muri, chiavi, blindi, catene Mutatis mutandis, oggi non occorre essere cristiani per riscoprire la razionalità e l’equilibrio di un sistema (quello medioevale) che era molto più pratico e molto meno dispendioso per la collettività di quello attuale, ipocritamente egualitario e obbligatorio per ogni reo. Oggi però, avverte la Cecchi, non foss’altro che per gli errori giudiziari e la situazione catastrofica in cui versano le carceri italiane, si avverte la necessità di trovare misure cautelative alternative. Il nostro circuito penitenziario scoppia di detenuti in attesa di giudizio che, secondo le statistiche, almeno per il 40 per cento, saranno dichiarati innocenti. E allora, si chiede la Cecchi, cosa osta a questa ricerca razionale e giuridica di una giustizia “mediativa, riparatoria, restituiva, conciliativa”? Il problema, par di capire, è un pò quello delle case farmaceutiche che vanno forte con un certo medicinale: per quale ragione dovrebbero finanziare la ricerca di un’altra molecola, magari più efficace ma alternativa all’altra che intanto garantisce a una certa industria remunerazione e successo? Così, osserva la Cecchi, “la sopravvivenza, nell’ordinamento, di una sanzione penale afflittiva-retributiva come è quella carceraria attuale è l’ostacolo maggiore all’affermazione di una giustizia mediativa e ripartiva”. Ma la pena ci deve essere e dev’essere afflittiva, “per una ragione di simmetria” come pensa il cattolico Mathieu? Siamo sempre lì, senza fantasia e depressi a subire l’ideologia dell’egualitarismo (astrazione indifferente a qualsiasi avvenimento): “Il colpevole ha diminuito la libertà di altri e la sua libertà deve subire una diminuzione corrispondente” (Mathieu). Dunque nel mezzo dell’epopea delle “manette egualitarie”, dove perfino i radicali finiscono (per la prima volta nella loro storia) a votare l’arresto di un collega deputato, cresce la voglia anche tra i magistrati di smarcarsi da un pensiero unico dominante che accarezza l’audience, vuole il sangue e cerca la plebaglia. Non è la prima e non è il solo magistrato Silvia Cecchi. Abbiamo visto il Procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio discutere con l’avvocato e neosindaco di Milano di giustizia minacciata dai giustizialisti. E abbiamo sentito con quale precisione chirurgica e scientifica il presidente di Corte di Appello di Bari Vito Marino Caferra ha scritto di Giustizia e i suoi nemici. Guido Brambilla, magistrato di sorveglianza a Milano, ha espresso su queste pagine la propria personale pena sul “declino del diritto penale”. “Non solo la stessa logica del “processo” sarebbe ormai desueta, ma anche gli stessi concetti tradizionali di evento, di colpa, di punizione” ha sintetizzato Brambilla. Così, ponendosi nelle stessa linea dei magistrati non politicizzati e piuttosto coscienti dei propri limiti, anche Silvia Cecchi mostra nel suo libello di non credere a quella “collera del diritto” che è la pena carceraria. E non ci crede non per ragioni umanitarie, religiose o socio-psicologiche. Non ci crede perché “il problema della pena carceraria risiede innanzitutto nel suo essere un male”. Sia per la sua antigiuridicità che si esprime in prevalenza assoluta della ragione retributiva su ogni altra funzione (educativa) raccomandata dalla Costituzione. Sia per il suo essere “congenitamente vendicativa, indebitamente afflittiva, perché totalizzante, sì che resterebbe tale anche là dove venissero soppressi o mitigati i muri, le chiavi, i blindi e le catene”. Immigrazione: Touadi e Melis (Pd); abolire il reato di immigrazione clandestina Agenparl, 28 luglio 2011 “Ha creato spezzatino normativo irrazionale, illegale ed inefficace”. Ddl per cancellarlo “Fra pochi giorni compirà due anni il pacchetto sicurezza ma c’è ben poco da festeggiare: con l’introduzione nel nostro ordinamento del reato di immigrazione clandestina, l’Italia si è posta in palese conflitto con la legislazione europea, dando vita ad una politica dell’immigrazione illegale, inadeguata ed inefficace”. Non usano mezzi termini Jean-Leonard Touadi e Guido Melis, deputati del Partito Democratico, presentando alla Camera una proposta di legge per l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina e per la modifica della normativa in materia di Centri di identificazione ed espulsione (Cie) “Come è stato più volte notato - continuano - il reato di clandestinità è innanzitutto incostituzionale, perché punisce la persona non in ragione di quello che fa ma per quello che è, per il semplice fatto di trovarsi in una condizione personale. Inoltre, è in conflitto con la normativa europea sui rimpatri, che prevede l’allontanamento dal Paese solo come estrema ratio di un processo in tutela dei diritti della persona. In generale, la normativa viola il diritto comunitario laddove prevede la reclusione fino a 5 anni per mancato allontanamento, circostanza che ha causato all’Italia una condanna della Corte Europea di Giustizia. Il fallimento della politica del centrodestra in materia di immigrazione, tuttavia, non risiede solo nello spezzatino di norme contraddittorie che la sua vessatoria irrazionalità ha prodotto, ma sta soprattutto nei suoi deleteri effetti pratici: nell’inutile sovraccarico delle procure, nella difficoltà del lavoro delle questure ma in particolar modo nel tipo di vita cui vengono costrette migliaia di persone detenute senza colpa in quelle isole del non-diritto che sono i Cie. Non è garantita nessuna tutela rispetto all’assistenza legale, ai rapporti con il mondo esterno, alla salvaguardia dell’integrità fisica e psichica. I Cie sono luoghi dove i diritti delle persone sono sospesi, con l’aggravante del recente divieto d’ingresso alla stampa che rende questi centri veri e propri buchi neri del diritto e dell’informazione. Tutto questo pone il governo italiano in una situazione d’illegalità, di inadeguatezza funzionale rispetto alla normativa europea e di inefficienza nella gestione dell’immigrazione. È urgente quindi un cambiamento radicale delle politiche sino ad oggi portate avanti dal governo, cambiamento che deve cominciare proprio dall’abrogazione della sua norma simbolo, il reato di immigrazione clandestina, e dal recepimento finalmente organico delle norme europee in materia, passaggio imprescindibile per gettare le basi di una nuova visione della politica italiana sull’immigrazione. Afghanistan: centro riabilitazione per giovani detenuti realizzato grazie a cooperazione italiana Ansa, 28 luglio 2011 I giovani afgani che hanno avuto problemi con la giustizia da oggi hanno nuove possibilità di inserirsi nella società. Questo grazie a laboratori per la formazione professionale e una palestra, costruiti dalla direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina nel Centro di riabilitazione minorile di Kabul e appena completati. La nuova struttura è stata inaugurata alla presenza del vice ministro della Giustizia afgano, Mohammad Yousef Halim, e del primo segretario dell’ambasciata d’Italia a Kabul, Andreina Marsella. Il Centro è dotato di una sezione sperimentale “aperta”, la prima nel suo genere nel paese asiatico, dove risiedono bambini e ragazzi che hanno il permesso di uscire per tornare dalle famiglie. Alcune delle storie dei giovani afgani della struttura sono state raccolte come casi di studio in una nuova pubblicazione, finanziata dalla Cooperazione italiana e realizzata dall’Ong afgana Aschiana, che riassume i risultati di un progetto messo in atto nei Centri di riabilitazione minorile, maschili e femminili, a Kabul e a Herat con fondi italiani. Il progetto da cui è nata la pubblicazione ha interessato diverse componenti: alfabetizzazione ed educazione, assistenza legale, formazione professionale, sostegno psicologico, sanità, sport ed attività ricreative; azioni parte di un approccio integrato volto a garantire opportunità di riabilitazione e reinserimento ai giovani detenuti.