Giustizia: con un convegno Napolitano fa dell’emergenza carceri un caso istituzionale Il Foglio, 27 luglio 2011 Quirinale, Csm e parlamentari di maggioranza e opposizione: d’un tratto, grazie a un convegno che si terrà da domani in Senato, la situazione della giustizia e delle carceri diventa un caso istituzionale. Certo, nel frattempo più che cambiare il vento ritorna. E così, a vent’anni dalla bufera mediatico giudiziaria di Tangentopoli, una brezza dello stesso tipo sta soffiando sul Parlamento italiano e sulla sua “casta”, nella quale, come ha scritto Francesco Piccolo sull’Unità, l’accanimento irrazionale dei giusti e degli onesti arriva a indicare “il male assoluto e generico, senza fare più distinguo”. “Basta guardare l’affanno dei dirigenti del Pd - nota Piccolo che fanno a gara a smarcarsi e a correre dalla parte del campo dove stanno gli irreprensibili che indicano con rabbia i reprensibili, ma non sanno che non hanno scampo in questo clima, che la casta è sempre condannata tutta intera”. Poco conta, infatti, se le manette scattate intorno ai polsi di Alfonso Papa (Pdl) abbiano solo lambito quelli di Alberto Tedesco (Pd); se il segretario dei democrat, Pier Luigi Bersani, ieri si sia affrettato a esternare, sul Corriere della Sera, la propria voglia di dimostrare “una diversità politica”: il clima neo manettaro, frenetico, passa sopra gli schieramenti politici, spinto dall’impulso di mettere alla sbarra l’intera classe dirigente. “Se si mostra un istinto garantista, che un tempo era considerato civile, o almeno un pudore verso le conseguenze private di un errore pubblico, sembra ormai di stare dalla parte di chi ha commesso l’errore”, scrive ancora Piccolo. Mentre, dunque, il venticello giustizialista investe il paese, per la prima volta da mesi le massime istituzioni dello stato si impegnano pubblicamente sul fronte della crisi del sistema penitenziario e per la riforma della giustizia italiana. Sollecitati dall’iniziativa nonviolenta del leader radicale Marco Pannella, e dal sostegno bipartisan arrivato da 270 deputati e 101 senatori oltre che da migliaia di cittadini comuni, i vertici della Repubblica si riuniranno in Senato domani e venerdì per un convegno dal titolo “Giustizia! In nome del popolo sovrano”, promosso appunto dal Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito ma sotto l’alto patronato del presidente della Repubblica e con il patrocinio di Palazzo Madama. L’emergenza carcere ha infatti superato i livelli di guardia: le strutture sono in affanno sotto il peso del sovraffollamento, considerato che ci sono oltre 67 mila reclusi stipati in spazi sufficienti per 44 mila. Non solo: più del 40 per cento della popolazione penitenziaria è in attesa di giudizio e le statistiche suggeriscono che almeno la metà sarà riconosciuta innocente o vedrà prescritti i propri reati. “Sono centinaia di migliaia i procedimenti che ogni anno cadono in prescrizione”, dice al Foglio la deputata radicale Rita Bernardini, “da questo convegno e dal suo portato di proposte riformatrici può giungere quella risposta benefica anche per la politica, oggi così paralizzata e incapace di fornire coraggiose proposte di governo”. Da destra a sinistra, è la novità di queste ore, quasi tutti concordano sull’urgenza di affrontare la questione carceraria con misure strutturali: “Quella delle carceri dovrebbe essere al primo posto tra le preoccupazioni del nuovo ministro della Giustizia - spiega al Foglio il sottosegretario del ministero dell’Interno, Alfredo Mantovano - Franco Ionta, capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria al ministero della Giustizia, fa i tripli salti, mortali, ma effettivamente la situazione resta insostenibile. Bisogna approvare il piano carceri, lavorare a una razionalizzazione del personale e avviare il piano di edilizia carceraria, ma anche per queste misure non si può fare a meno di porre il problema dei fondi”. Secondo il responsabile Giustizia del Partito democratico, Andrea Orlando, bisognerebbe rilanciare le pene alternative, avviare un ampio processo di depenalizzazione e superare la legge Cirielli sulle recidive. Interpellato dal Foglio, si mostra dello stesso avviso il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia: “La strada maestra per risolvere il drammatico problema del sovraffollamento delle carceri italiane e per avere quindi condizioni di detenzione meno disumane - osserva il sindaco, firmatario anche lui dell’appello radicale - è quello della riforma del Codice penale, - sempre più urgente. È necessario che per alcuni reati minori la pena principale non sia la detenzione, ma ci siano misure alternative al carcere, come i lavori socialmente utili, che sono più efficaci e che servono a diminuire la popolazione carceraria”. Mentre per i Radicali, sottolinea Bernardini, la riforma della giustizia dovrà necessariamente passare da un provvedimento di amnistia e di indulto, “che sgravi la magistratura dall’arretrato mostruoso di processi pendenti e faccia rientrare le nostre carceri nella legalità”. Se sulle proposte ci si può dividere, l’iniziativa di promuovere un convegno istituzionale sul tema raccoglie un plauso trasversale: “Finalmente si è messo al centro dell’agenda un tema che pone il nostro paese ampiamente fuori dalle indicazioni costituzionali - dichiara Orlando - Accogliamo con piacere l’attenzione complessiva delle istituzioni, è questo il vero terreno su cui si misura il tema del garantismo che viene utilizzato a sproposito come sinonimo di impunità, mentre a nostro avviso rappresenta l’attenzione alle persone più deboli”. “Anche se l’Italia è il paese dei molti convegni e delle poche riforme”, premette il giurista e deputato del Pdl Gaetano Pecorella, “credo sia un’iniziativa importante. La questione penitenziaria, una delle grandi emergenze del paese, è stata spesso trascurata. Affrontarla a quel livello, con quei nomi e con l’alto patronato della presidenza della Repubblica è significativo”. Al convegno, che nella giornata di apertura vedrà il saluto del presidente del Senato, Renato Schifani, e l’intervento del capo dello stato, Giorgio Napolitano, prenderanno parte tra gli altri Luigi Giampaolino, presidente della Corte dei conti, Ernesto Lupo, primo presidente della Corte di cassazione, Michele Vietti, vicepresidente del Csm e Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Giustizia: da domani due giorni di convegno sulle carceri con Napolitano e Schifani Tm News, 27 luglio 2011 Si apriranno domani alle 10.30, nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, i lavori del convegno “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano”, promosso dal Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito, sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica con il patrocinio del Senato della Repubblica. Articolati in più sessioni, i lavori della due giorni inizieranno, alla presenza del Capo dello Stato, alle ore 10.30 di giovedì 28 luglio con il saluto del Presidente del Senato Renato Schifani. Moderati dalla Vice Presidente dell’Assemblea di Palazzo Madama, Emma Bonino, prenderanno la parola Luigi Giampaolino, Presidente della Corte dei Conti; Ernesto Lupo, Primo Presidente della Corte di Cassazione; Giacomo Caliendo, sottosegretario alla Giustizia e Giorgio Lattanzi, in rappresentanza del Presidente della Corte Costituzionale. Successivamente interverrà il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La sessione inaugurale proseguirà con la relazione introduttiva di Marco Pannella dal tema “L’imperativo dell’immediato rientro dagli attuali connotati di Stato penale ad un pieno rispetto dello Stato di diritto e della legalità costituzionale, europea e internazionale”. La sessione pomeridiana, con inizio alle ore 15, affronterà “La situazione della giustizia e delle carceri italiane”. Dopo le relazioni del professor Giuseppe Di Federico sullo stato dell’amministrazione della giustizia e del professor Tullio Padovani sullo stato dell’amministrazione penitenziaria, seguiranno gli interventi di Giuseppe Frigo, giudice della Corte Costituzionale; Vladimiro Zagrebelsky, già giudice Corte Europea dei Diritto dell’Uomo, Carlo Nordio, Procuratore aggiunto di Venezia, già Presidente Commissione per la riforma del codice penale; Carlo Federico Grosso, professore emerito di diritto penale, Università di Torino; Mauro Palma, Presidente del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e dei trattamenti inumani e degradanti e Antonio Bultrini, professore di diritto internazionale dell’Università di Firenze. Alle 17 si confronteranno Filippo Berselli, Presidente della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica; Giulia Bongiorno, Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei deputati; Luca Palamara, Presidente dell’Associazione nazionale Magistrati; Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e Commissario delegato per il Piano carceri; Bruno Brattoli, capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria minorile e Valerio Spigarelli, Presidente dell’Unione delle Camere Penali. Venerdì 29 luglio alle ore 9.30 inizierà la seconda sessione dei lavori dedicati agli “Obiettivi e strumenti necessari ed urgenti per l’affermazione dei diritti umani nella giustizia. Amnistia e indulto come precondizione alla riforma strutturale e legalizzatrice dell’amministrazione della giustizia”. Moderati da Giuseppe Rossodivita del Comitato radicale Piero Calamandrei, prenderanno la parola Fabio Bartolomeo, Direttore generale statistiche del Ministero della Giustizia; Rita Bernardini, deputato radicale, membro della Commissione Giustizia della Camera dei deputati; l’avvocato Giandomenico Caiazza; Carlo Fiorio, docente di Procedura Penale all’Università degli Studi di Perugia; Alessandro Margara, Garante dei Detenuti Regione Toscana e Luigi Manconi, docente di Sociologia dei fenomeni politici dell’Università Iulm. Interverranno, inoltre, Ada Palmonella, psicologa, esperto del Ministero di Giustizia per gli Istituti Penitenziari; Irene Testa, presidente dell’Associazione “Il detenuto ignoto”; Stefano Anastasia, Associazione “A buon Diritto/Associazione Antigone”; Ornella Favero, presidente Associazione “Ristretti Orizzonti”; Cosimo Ferri, segretario generale Magistratura indipendente; Enrico Sbriglia, Segretario nazionale Sidipe; Leo Beneduci, Segretario Osapp; Eugenio Sarno, Segretario Uilpa - Penitenziari e Gian Battista Durante, segretario Sappe. Alle 15 le relazioni di Sergio Zavoli, Presidente Commissione parlamentare di vigilanza servizi radiotelevisivi e di Corrado Calabrò, Presidente Agcom introdurranno alla tavola rotonda dedicata al tema “Il senso e il luogo comune su giustizia e carceri: il ruolo dell’informazione”. Moderati da Mario Staderini, Segretario Radicali Italiani, interverranno Gianni Betto, Centro d’ascolto informazione televisiva; Stefano Folli, editorialista del Sole 24Ore; Bianca Berlinguer, Direttore Tg3 e Marco Pannella. Giustizia: “piccole” storie carcerarie… di Valter Vecellio Notizie Radicali, 27 luglio 2011 Ci sono storie, piccole storie, che raccontano più di tante analisi e di tanti discorsi. Solo in apparenza sono piccole storie. Andiamo a Massa, in Toscana. Nel carcere di Massa c’è un detenuto, si chiama Salvatore Iodice. Forse è colpevole, forse no, non importa saperlo. Iodice prima di essere incarcerato, in quel carcere ci viveva buona parte della sua giornata, perché ne era il direttore. Lo accusano di aver pilotato delle gare per la realizzazione di lavori proprio di quel carcere. Chissà. A noi interessa quello che dice: “Sono stato arrestato nel luglio 2010; ho vissuto in isolamento, in un ambiente angusto e malsano. In piena estate sotto il suo letto crescono i muschi. Ero guardato a vista 24 ore su 24, senza alcuna possibilità di socialità. Solo quando manca un mese dalla scarcerazione l’isolamento finisce. Per 20 giorni non ho potuto ricevere lettere, ho potuto chiamare casa dopo 30. A farmi compagnia tantissimi scarafaggi e insetti di ogni tipo. E ora se nessuno mi darà una spiegazione sarò portato a credere che la carcerazione sia stata usata come strumento di tortura. Ho subito una carcerazione umiliante e degradante, chi toglie la libertà ad una persona ha l’obbligo morale di garantire i diritti minimi. Ogni Pubblico Ministero sa che in quelle condizioni si dice il vero o il falso pur di uscire dalla disperazione. Mentre gli inquirenti acquistavano visibilità, io ero alla gogna”. Un’altra piccola storia. La racconta il senatore Salvo Fleres del Pdl, che è anche garante dei detenuti in Sicilia. La storia che racconta è quella di un detenuto, si chiama Francesco Cardella. Anche in questo caso non sappiamo cos’abbia fatto Cardella, e neppure interessa. Forse è innocente, forse no. Cardella ha praticamente perso tutta la famiglia in un incidente stradale. Proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto svolgersi un colloquio ha perso le due figliolette di 8 e 2 anni; la suocera, i cognati. Una strage. L’unica sopravvissuta è la compagna, ricoverata in ospedale a Palermo. Cardella, deve solo trascorrere altri tre mesi in carcere, chiede di poter essere trasferito a Palermo, per poter sostenere la sorella e appoggiarsi ai fratelli. Aspetta che la burocrazia prenda una decisione. Magari arriverà quando avrà finito di scontare la condanna. Terza piccola storia, riguarda uno dei sei Ospedali psichiatrici giudiziari italiani, uno tra i peggiori, quello di Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sono strutture che non dovrebbero esserci, che dovrebbero essere state abolite. Ma ci sono, non sono state abolite. E in quelle strutture che sono dei carceri che non dovrebbero essere carceri ma luoghi di cura, sono detenute alcune migliaia di persone, alcune delle quali hanno commesso crimini orribili, ma che sono dichiarate incapaci di intendere e volere, e dunque andrebbero curate, assistite; e invece vivono come detenuti, condannati come detenuti. Ma occupiamoci di Barcellona Pozzo di Gotto. Ignazio Marino e Donatella Poretti, presidente e vice - presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale piombano senza preavviso in quell’ospedale psichiatrico giudiziario, ed effettuano una ricognizione dei reparti, da cui emerge, cito le loro parole, “l’elevata e drammatica criticità. Con una disponibilità di risorse sempre più esigua, la situazione resta preoccupante: oltre 360 pazienti - detenuti, locali che richiedono manutenzione urgente, personale insufficiente”. È quello che succede un pò ovunque. Ma solo in Sicilia accade che da tempo immemorabile la Regione non recepisce il Decreto per il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario regionale; e gli accordi della Conferenza Stato - Regioni restano inattuati. C’è un prete. Un prete di buona volontà, don Pippo Inzana; è cappellano di Barcellona Pozzo di Gotto. Dice che c’è carenza di acqua, sovraffollamento, personale insufficiente, celle con letti a castello che ospitano fino a 10 persone e il letto di contenzione, che ancora si utilizza, anche se più raramente. Di fronte a tutto ciò, e senza il sostegno delle istituzioni competenti, anche il direttore, nonostante la sua intraprendenza, sensibilità e l’apertura, è impotente. Chiudiamo con il carcere di Siracusa acqua razionata, 15 o 20 minuti al giorno. Davide Amenta, deve scontare una condanna a trent’anni per omicidio. Racconta che nel momento in cui vengono aperte le docce l’acqua arriva o gelida o caldissima, col rischio di ustionarsi. Oltre al problema dell’acqua, che nessuno è mai riuscito a risolvere, c’è quello del sovraffollamento. In celle di pochi metri quadrati devono coabitare anche quattro detenuti. La situazione è destinata ulteriormente ad aggravarsi per gli arrivi di nuovi reclusi distribuiti nelle varie sezioni, nonostante siano tutte stracolme. Altra nota dolente è quella del servizio sanitario: il detenuto che intende farsi visitare dal medico deve mettersi in lista d’attesa almeno tre mesi prima. Giustizia: il super pentito Mannoia tenta il suicidio; lo Stato ci ha abbandonati di Salvo Palazzolo La Repubblica, 27 luglio 2011 È stato uno dei mafiosi più temuti di Cosa nostra. E poi uno dei pentiti più importanti della lotta alla mafia, grazie al giudice Giovanni Falcone. Oggi, Francesco Marino Mannoia si vede solo e disperato: alcuni giorni fa, ha tentato di suicidarsi, ingerendo un cocktail di farmaci, ma sua moglie è riuscita a salvarlo in extremis, portandolo in ospedale. Era già accaduto un’ altra volta, un me se fa. E qualche giorno dopo Mannoia aveva affidato il suo sfogo al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, che era andato a interrogarlo per una vecchia inchiesta: “Sono deluso, amareggiato, dopo tutto quello che ho fatto per la lotta alla mafia, dal 1989”. Mannoia, che oggi ha 60 anni, ha vissuto a lungo sotto protezione negli Stati Uniti. Poi, ad aprile, ha deciso di tornare in Italia, perché la moglie e i due figli non si sono mai integrati oltreoceano. Ma è stato l’inizio di altri problemi: l’ex chimico delle cosche, grande esperto nella raffinazione della cocaina, si è ritrovato senza una casa, e oggi è ancora più preoccupato per il fu turo dei suoi due figli. Oggi, suonano come una drammatica profezia le prima parole di Mannoia che Falcone mise a verbale, l’8 ottobre 1989: “Il mio pentimento è un gesto di fiducia nelle istituzioni, anche se non noto un vero impegno dello Stato nella lotta alla mafia”. Due mesi dopo, Cosa nostra uccise la madre, la sorella e la zia del neo pentito. Mannoia disse a Falcone: “Non mi fermeranno, voglio cambiare vita”. Ma dei rapporti fra mafia e politica parlò solo dopo la morte di Falcone. Svelò che nel 1980 Giulio Andreotti aveva incontrato a Palermo il boss Stefano Bontade. E la Cassazione gli ha creduto (anche se l’accusa è stata dichiarata prescritta). Così Mannoia, che è stato sempre assistito dall’avvocato Carlo Fabbri, è diventato il pentito più attendibile della storia della lotta alla mafia. Ha già scontato una condanna a 17 anni, oggi è un uomo libero. Ma questo è un momento difficile per i collaboratori: qualcuno è stato anche sfrattato da casa, perché lo Stato non ha i soldi per pagare l’affitto. Tutta colpa dei tagli al servizio di protezione: nel 2006, c’erano 70 milioni per lo strumento principale dell’Antimafia, i collaboratori. Oggi, i fondi per i pentiti e i loro legali sono stati dimezzati. Ecco perché alcuni collaboratori hanno già iniziato una singola protesta, denunciando nelle aule di tribunale le carenze del sistema di protezione. Venerdì, un pentito si è impiccato. Giuseppe Di Maio, 33 anni, ex esattore del pizzo della cosca palermitana della Guadagna, viveva un personale dramma della solitudine dopo essere stato abbandonato dalla moglie, che non aveva condiviso la sua scelta. Adesso, un altro pentito di mafia, Manuel Pasta, accusa: “Lo Stato non fornisce assistenza in nulla ai collaboratori, limitandosi allo stretto indispensabile, che si esprime in un tetto, un sussidio quando arriva e le spese per gli impegni di giustizia. Si poteva evitare quel suicidio - scrive Pasta, anche lui ex esattore del pizzo, in una lettera aperta - Di Maio aveva già tentato di togliersi la vita in cella, nel momento in cui è uscito bisognava dargli assistenza psicologica”. Pasta esprime senza mezzi termini il disagio dei collaboratori: “Forse, c’è una volontà superiore affinché questo fenomeno del pentitismo sia disincentivato”, dice. “Ci sono tanti Di Maio che vanno aiutati”, è il suo appello: “Il nucleo di protezione non riesce ad affrontare l’enorme lavoro con un numero esiguo di personale, e spesso non c’è nemmeno un protocollo da seguire, se non quello dell’anima”. Lettere: in Norvegia carceri a “misura d’uomo” e recidiva al 20% (da noi è al 60-70%) di Andrea Spinelli Barrile Agenzia Radicale, 27 luglio 2011 Carceri umane. Potrà sembrare un’espressione ironicamente ossimorica ai 70mila cittadini delle carceri italiane, ma la dimostrazione che è reale, e non occorre cercare in capo al mondo per rendersene conto, ce la dà la Norvegia. Al centro di un comprensibile dibattito pubblico, la strage di Oslo ed Utoya ha aperto nel Paese scandinavo la questione sulla pena da infliggere all’eccida: 21, 30 anni, ergastolo? “Perché così poco?”, si chiedono tanti altri cittadini europei ed italiani, indignati da un sistema così liberale e garantista: “il sistema carcerario norvegese si basa sul rispetto e sui diritti umani” è la risposta che danno gli stessi norvegesi. E, in base a questo, persino l’ergastolo è inumano. Celle con tv, frigorifero e doccia, sovraffollamento inesistente, arredamenti stile Ikea, cucina, trattamenti umani per i detenuti, guardie disarmate, secondo il principio che il reinserimento nella società è più facile se il trattamento detentivo è umano. Possono sembrare case dello studente di lusso, ma in verità sono vere e proprie carceri di massima sicurezza contenenti assassini, violentatori, corrieri della droga, come quello di Halden (alla periferia di Oslo), considerato “il carcere più avanzato del mondo”: 252 detenuti per 252 posti che sembrano in vacanza, ma che attendono spasmodicamente 10, 15 anni prima di dimostrare alla società di non essere “casi irrecuperabili”. Ironizzare sul sistema carcerario norvegese (meno di 4mila detenuti) è materia per blogger: “se dovessi commettere un crimine lo farei in Norvegia” è il sarcasmo con cui si analizza il sistema scandinavo, ma è inequivocabile la validità dello stesso sistema: “l’aver perso la libertà deve essere l’unico elemento punitivo” afferma Synnove Sørland, coordinatrice delle attività artistiche di Halden, “non sta scritto da nessuna parte che le finestre debbano essere piccole, il cibo cattivo, o che uno debba subire abusi”. Mandare i detenuti “in vacanza”, direbbero in tanti, è sbagliato? Statisticamente no: solo il 20% di loro torna in carcere. In Italia siamo tra il 60 ed il 70%. Il “carcere modello” di Bollate ha una percentuale del 12. Giustizialisti, di cosa stiamo parlando? Breivik verso la prigione a cinque stelle (Affari Italiani) Halden Prison. In Norvegia gli assassini, gli stupratori e tutti i criminali che si macchiano delle peggiori nefandezze finiscono qui. Probabilmente non farà eccezione Anders Behring Breivik, attentatore di Oslo e killer di Utoya, destinato a un “soggiorno” di 21 anni in questo carcere. Non se la passerà male, in fondo, Breivik. La Halden Prison è un carcere di massima sicurezza, certo, ma a cinque stelle. L’edificio aveva già sorpreso il mondo quando era stato inaugurato poco più di un anno fa: le foto delle sue 252 celle dotate di ogni comfort - TV ultrapiatte e bagni privati per ogni detenuto - avevano fatto immediatamente il giro del web. E ora, visto che Breivik potrebbe essere il suo prossimo “ospite”, si riaccende l’attenzione nei confronti di una prigione in cui le guardie girano disarmate e spesso mangiano fianco a fianco dei criminali che sorvegliano. La metà del personale impegnato nella struttura, inoltre, è costituito da donne. Una scelta precisa che punterebbe a creare un’atmosfera meno aggressiva all’interno del carcere. Un articolo apparso ieri sull’inglese The Telegraph faceva notare come la detenzione soft della Halden Prison, definita da Time Magazine “la prigione più umana del mondo”, dia i suoi frutti: solo il 20% dei criminali che passano di qui torna dietro le sballe dopo la scarcerazione. Contro il 50% circa che si registra negli Usa o in Inghilterra. La Halden è costata al governo norvegese poco più di 200 milioni di dollari. Un investimento che ha portato alla creazione di un carcere che assomiglia a un residence, con arte contemporanea alle pareti, palestra con pareti da scalare e laboratori di cucina in cui i detenuti seguono corsi. “Era la cosa più importante quando l’abbiamo pensata - ha spiegato nel corso dell’inaugurazione Hans Henrik Hoilund, uno degli architetti che l’ha progettata - fare in modo che la prigione assomigliasse il più possibile al mondo esterno”. Lazio: Radicali; in Regione ancora un rinvio per la mozione sulle carceri, sgarbo a Napolitano Agenzia Radicale, 27 luglio 2011 Dichiarazione dei Consiglieri regionali della Lista Bonino Pannella - Federalisti Europei Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo. Per la seconda volta il Consiglio regionale rinvia la discussione in aula della mozione n. 62 sulla gravissima situazione di sovraffollamento delle carceri nel Lazio. Ciò avviene proprio alla vigilia del Convegno “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano”, promosso dal Partito Radicale con il Patrocinio del Senato della Repubblica, al quale, per dar corpo alla sua preoccupazione rispetto alla gravissima situazione delle carceri, parteciperà domani, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano insieme alle più alte cariche dello Stato e della magistratura. La maggioranza del Consiglio Regionale, con la anticipazione della discussione del piano casa rispetto alla mozioni sulle carceri, nonostante le sollecitazioni del Capo dello Stato rivolte a tutte le istituzioni che hanno delle responsabilità in materia di farsi carico del problema carceri con la massima urgenza, dimostra, purtroppo, di aver raggiunto livelli davvero bassi. La “roba” e gli interessi dei costruttori prima del diritto alla vita ed alla dignità delle persone. Le carceri scoppiano, le convenzioni internazionali sui diritti umani calpestate, così come la nostra costituzione e la maggioranza di questo Consiglio non sa pensare ad altro se non a cementificare il territorio. Questa politica è non politica, è squallore allo stato puro e l’atteggiamento di questa maggioranza dimostra che qualsiasi dialogo, anche sul Piano casa, è davvero impossibile. Vedremo a questo punto se e quando si discuterà la mozione sulle carceri e con essa gli oltre 50 emendamenti depositati dal gruppo de La Destra - un vero e proprio armamentario della destra che si pone contro i diritti umani fondamentali, forcaiola, grezza, populista e xenofoba di cui, proprio in questo momento così delicato per l’Europa, non si sente il bisogno e che invitiamo i giornalisti a leggere con attenzione - che da soli certificano la ‘qualità’ delle proposte politiche di questo gruppo che sta trascinando dietro di sé l’intera maggioranza della Polverini. Parma: una Casa di accoglienza per aiutare gli ex detenuti a ricominciare a vivere Redattore Sociale, 27 luglio 2011 Promossa dall’associazione San Cristoforo e finanziata dalla Fondazione Cassa di Risparmio, la “Casa di Betzaida” è un appartamento pensato per chi esce dal carcere. Don Umberto Cocconi: “I primi due ospiti hanno già trovato lavoro” Una casa per ricominciare a vivere. Apre le porte a Parma la “Casa di Betzaida”, un appartamento pensato per ospitare gli ex detenuti appena usciti dal carcere. Promossa dall’associazione San Cristoforo e finanziato dall Fondazione Cassa di Risparmio, con la collaborazione del centro servizi per il volontariato Forum Solidarietà, la casa può ospitare sei persone ed è situata in un normale condominio, in via Giuseppe Rossi. “È un’opportunità che viene data a chi deve riprendere in mano la propria vita - spiega don Umberto Cocconi, presidente dell’associazione San Cristoforo. Gli ospiti vengono scelti già in carcere, in un percorso portato avanti dai nostri volontari: grazie alla casa può partire l’affidamento e i detenuti possono uscire prima dal carcere”. L’associazione si occupa anche di reinserire gli ex detenuti nel mondo del lavoro. Il primo passo è il coinvolgimento nell’attività di sgombero, traslochi e trasporti che l’associazione gestisce. “È una specie di tirocinio - prosegue don Umberto - e per ora ha funzionato. I primi due ospiti hanno già trovato un lavoro e adesso vivono in una casa tutta loro”. La “Casa di Betzaida” ospita attualmente altre due persone. “Si tratta di ex detenuti che non hanno una famiglia alle spalle e che non possono tornare nel luogo da cui provengono”, continua il presidente. Secondo don Umberto, le richieste per entrare nella “Casa di Betzaida” sono già molte, ma soddisfarle non è facile. “Molte persone potrebbero uscire prima dal carcere, se ci fossero opportunità di lavoro. Avere una casa dove andare è già un passo importante fra i criteri considerati dal magistrato di sorveglianza, l’altra ‘gambà è il lavoro, ma in un periodo di crisi economica trovarlo non è facile”. Don Umberto però è positivamente sorpreso dall’accoglienza che gli ospiti della casa hanno ricevuto nel condominio. “I vicini di casa sono molto comprensivi - spiega - , anche solo nell’accettare i controlli che la polizia e i carabinieri devono fare. Noi ci prendiamo la responsabilità e cerchiamo di essere bravi, tenendo in ordine i balconi e i cassonetti”. L’inaugurazione ufficiale della casa, alla presenza dell’assessore alle Pari opportunità della Provincia di Parma Marcella Saccani, è avvenuta lunedì 25 luglio. Pavia: a Torre del Gallo troppi detenuti, gli agenti non bastano La Provincia Pavese, 27 luglio 2011 I sindacati: “Situazione drammatica, c’è una sola guardia ogni 60 reclusi” Celle e cortili affollati. Il direttore: “Attività e associazioni per migliorare la vita”. Tre settimane fa dalle sbarre del carcere di Torre del Gallo si levava il rumore secco dei cucchiai che sbattevano in segno di protesta. Due mesi fa era scoppiata l’infestazione dei pidocchi in alcune celle. Ora la situazione è più tranquilla. Ma mentre fuori dalla struttura di sicurezza il mondo va in vacanza, dentro si soffrono il caldo e gli spazi pensati per ospitare una persona alla volta in cui, invece, le persone sono tre. E se i detenuti sono più del dovuto, le guardie sono sempre meno: “In 30 sono distaccati fuori regione - spiega Gian Luigi Madonia, Uil. E le condizioni di lavoro peggiorano”. Una conseguenza pratica della carenza di organico? La chiusura dello spaccio interno al carcere: è chiuso per ferie, il personale non basta per tenerlo aperto. “Tra carenza di personale e congedi ordinari - spiega uno dei delegati sindacali - ci dobbiamo arrangiare - c’è un agente solo per sezione, ce ne dovrebbe essere uno ogni 50 detenuti con un rinforzo per sei ore al giorno”. Duecento celle. Sono circa duecento, pensate per una sola persona. Fino al 2010, quando i detenuti erano poco più di 400, ne ospitavano due. Ora, invece, anche la doppia è diventata un lusso: la direzione si è dunque dotata di brande da campeggio, che vengono aggiunte in caso di necessità. Da giugno i detenuti sono lievemente calati - erano 508, ora sono 493 - ma l’emergenza sovraffollamento, comune in tutta Italia, non passa. E le televisioni a colori con il telecomando o i frigoriferi non bastano ad alleviare la tensione. L’ora d’aria. I cortili sono sei. Le sezioni otto. Per questo anche solo fare due passi diventa difficile, la socializzazione complessa: in ogni cortile passeggiano circa 85 detenuti, e lo si capisce al primo sguardo che sono troppi. Agenti lontani. “Abbiamo trenta agenti in meno - spiega Gian Luigi Madonia, Uil - anche quelle a tempo determinato che dovevano rientrare sono ancora fuori regione. E questo comporta oltre all’aggravio dei turni, sempre da 8 ore invece che da sei, l’impossibilità di fare ferie, di fare i riposi prescritti, di chiedere altri trasferimenti da parte di chi ha esigenze familiari”. Guardie e assistenti sociali, doppio ruolo per tutti. L’auspicio è che da ottobre, quando entreranno in servizio due nuovi commissari, si potrà ripensare l’organizzazione. La Uil polemizza con i politici: “Non ci è dato sapere se siano intervenuti dopo la denuncia sindacale delle condizioni igieniche scarse”. Si raddoppia in sei mesi. Da 247 a 550 posti, che poi saranno quasi mille detenuti, se si considerano i tassi di affollamento attuali. “I lavori procedono, la consegna è prevista per l’inizio del 2012 - assicura il direttore del carcere Jolanda Vitale - ma l’aumento della capienza, purtroppo, non significa che diminuirà il sovraffollamento. Forse accadrà per un breve periodo iniziale, ma sappiamo che il numero dei detenuti nelle carceri è in continuo aumento”. Così si cerca di tornare alla funzione educativa della pena coinvolgendo il territorio e portandolo dentro i corridoi del carcere con laboratori e iniziative utili a stemperare le tensioni: torneo di calcetto, a breve quello di ping pong. Laboratori di teatro. Una biblioteca. Un giornalino che a breve dovrebbe essere pronto per uscire con le voci dei detenuti. Viaggio in Pavia con l’associazione Cesare Angelini. Gruppi di lettura. E uno spazio radiofonico per far sentire la propria voce che ha già coinvolto trenta detenuti. Lo spirito dietro le sbarre. Don Giuseppe Bossi, il cappellano dovrebbe tornare a metà agosto dopo un’operazione. In questi mesi è stato sostituito da fra Luca Volonté e padre Cesare Vaiani per le sezioni di alta sicurezza e i protetti, quelli accusati di reati sessuali, don Dario Crotti per i detenuti comuni. Nono solo messa per i detenuti, ma anche un orecchio attento ai problemi: dalla lontananza dalle famiglie alla solitudine degli stranieri soli che non hanno nessuno che li vada a trovare, ma soprattutto la paura per il “dopo”. La paura di illudersi di trovare una vita normale, con un lavoro. E la quasi certezza di non riuscire a trovarlo. Genova: ieri fiaccolata per i detenuti; il sindaco Marta Vincenzi “situazione disumana” Secolo XIX, 27 luglio 2011 Si è tenuta ieri la fiaccolata per protestare contro la detenzione disumana del carcere di Marassi. La manifestazione, guidata dall’Associazione Radicali Genova si è riunita nel piazzale davanti l’edificio carcerario. Insieme alla folla il sindaco Marta Vincenzi. Intensa fiaccolata quella di ieri sera, martedì 26 luglio, che simbolicamente ha assediato il carcere di Marassi, e al contempo ha portato un abbraccio a tutti i detenuti, letteralmente stipati nel complesso circondariale sovra sfruttato. La manifestazione, guidata dall’ Associazione Radicali Genova, voleva essere un gesto di solidarietà per chi sta subendo una detenzioni disumana, vittima di un sistema giuridico sbilanciato e latente: su tutto il territorio italiano, le case circondariali, infatti, scoppiano, e l’unica risposta politica è quella di progettare e costruire nuove carceri. “Il problema non può essere risolto in questo modo - aggiunge Marta Vincenzi, presente all’iniziativa - devono essere presi dei provvedimenti giuridici che attivino risorse nuove, e che possano riequilibrare il concetto stesso di detenzione. I comuni possono fare molto poco: la radice del problema rimane nazionale”. Va ricordato che, a partire da leggi come la Bossi - Fini, la legislazione italiana prevede la detenzione in carcere per molteplici reati, che in altri paese sono “puniti” con pene diverse da quella del carcere. A questo di aggiunge il collasso del sistema infrastrutturale, che da anni è sull’orlo della deflagrazione umanitaria. Recentemente una delegazione di Radicali ha visitato e ispezionato il carcere di Marassi, e la relazione parla di: “a popolazione è aumentata del 10% raggiungendo il picco di 807 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 450. A ciò si aggiungono i problemi tipicamente italiani di amministrazione della giustizia. Infatti, degli 807 presenti, i definitivi erano 354, in attesa di giudizio 452 di cui imputati 262, appellanti 122, ricorrenti 69. Gravissime anche le carenze relative alla pianta organica, gli agenti di polizia penitenziaria dovrebbero essere 472, di cui assegnati 390, ma effettivamente in servizio sono solo 315”. Se il carcere dovrebbe riconciliare le devianze con la società, portando ad una sorta di reinserimento di chi commette reati, a queste condizioni il concetto di detenzione perde forse il suo senso civico, rimanendo solamente un inferno quotidiano, vissuto in condizioni disumane e sicuramente non all’altezza del concetto di civiltà di cui spesso ci rendiamo portatori nel mondo. Genova: inaugurata l’area verde del carcere di Pontedecimo www.cittadigenova.com, 27 luglio 2011 Una cornice di siepi e piante fiorite attorno a centocinquanta metri quadrati di prato inglese dove tra l’erba brillano i colori dei giochi e dei tavolini per i bambini che qui, in uno spazio protetto, aperto e piacevole potranno incontrare e abbracciare i padri o le madri detenute. È la nuova area verde, per coltivare anche in carcere gli affetti familiari, della Casa Circondariale di Pontedecimo. Realizzata con il sostegno dell’assessorato alle Carceri della Provincia che ha finanziato anche le borse lavoro per i detenuti inseriti nel progetto (ideato dalla direzione del carcere e curato dalla cooperativa Il Rastrello) è stata inaugurata dal presidente della Provincia Alessandro Repetto con l’assessora provinciale alle Carceri Milò Bertolotto e il direttore della Casa Circondariale Maria Milano, alla presenza del vescovo monsignor Luigi Paletti, dell’assessora regionale Lorena Rambaudi, della senatrice Roberta Pinotti, della consigliera comunale Maria Rosa Biggi, del responsabile tecnico della cooperativa Il Rastrello Lorenzo Monteverde e delle persone detenute che hanno lavorato al progetto. Fra loro c’è Tanel, nato in Estonia, un po’ emozionato quando, dopo il taglio del nastro di Milò Bertolotto, la benedizione del vescovo e gli interventi delle istituzioni (con il sottofondo di voci dalle celle che protestano per il sovraffollamento delle carceri e gridano “amnistia!”) il direttore Milano gli dà la parola: “questo lavoro - dice Tanel - è stato un bel rifugio davanti a tutti i problemi che viviamo nelle celle e mentre contribuivo a far nascere l’area verde mi sentivo come una persona libera, non reclusa. Fra tre mesi dovrei uscire, però lascio qualcosa di positivo e di importante perché insieme abbiamo fatto un bel lavoro”. L’area verde “è un tentativo per umanizzare la pena - ha detto Maria Milano - e quella del carcere di Pontedecimo è la seconda della Liguria, dopo quella di Chiavari, realizzata anch’essa con il sostegno della Provincia. Questa giornata vuol essere anche una riflessione sulle altre vittime dei reati: i bambini, i familiari delle persone recluse e l’area verde è nata proprio per restituire spazio agli affetti familiari, con l’impegno fondamentale anche della Polizia Penitenziaria”. Il presidente Alessandro Repetto definisce l’area verde “un elemento di speranza” ribadendo l’impegno della Provincia, “in nome di un nuovo umanesimo” per tutto il mondo oltre le sbarre, “malgrado i pesanti tagli nazionali ai bilanci che incidono anche sulle risorse per l’inclusione sociale e sulle iniziative per il reinserimento delle persone recluse e una situazione carceraria sotto gli occhi di tutti”. I nuovi spazi verdi di Pontedecimo per gli incontri fra i detenuti e i loro figli e familiari “sono un piccolo, grande successo - dice Milò Bertolotto - per mantenere vivi i diritti alla maternità e alla paternità anche in carcere e ne abbiamo sostenuto la realizzazione con molto entusiasmo e convinzione, come abbiamo fatto in questi anni anche per numerose altre iniziative e attività in tutti e tre gli istituti penitenziari della provincia di Genova per favorire il reinserimento e migliorare la qualità della vita delle persone che in carcere sono recluse e di quelle che vi lavorano, come la Polizia Penitenziaria che con grande abnegazione e impegno, nonostante una situazione drammatica, è sempre protagonista di ogni progetto”. Per far nascere l’area verde è stata ripulita una scarpata, scavato lo spazio per il prato, consolidato poi da opere di ingegneria naturalistica, costruite le palizzate e seminate l’erba e le piante, ora in pieno rigoglio. Uno dei cinque detenuti che vi ha lavorato è già stato assunto dalla cooperativa Il Rastrello che ha curato la realizzazione dell’area e ogni mattina esce dal carcere di Pontedecimo, dove ritorna a fine giornata, per occuparsi di altri spazi verdi. Augusta (Sr): Ugl; carcere al collasso, poco più di 200 agenti per circa 700 detenuti Gazzetta del Sud, 27 luglio 2011 L’Ugl Polizia penitenziaria chiede la chiusura della casa di reclusione di contrada Piano Ippolito. “La struttura è al collasso e tutto il personale è fortemente demotivato e stanco di operare in continua emergenza. È in pericolo - denuncia Nello Bongiovanni, componente del consiglio nazionale Ugl polizia penitenziaria - la sicurezza e l’ordine riguardante tutto il personale, e la società civile stessa, abbiamo circa 700 detenuti e siamo poco più di 200 unità con una carenza di organico di circa 130 unità di Polizia Penitenziaria, la tipologia variegata di detenuti qui presenti è difficile da gestire e spesso il personale, specialmente in questo periodo di ferie, lavora espletando doppio turno di servizio e facendo più posti di servizio. Non abbiamo mezzi per la traduzione di soggetti bisognosi di invio al pronto soccorso e soprattutto per il rientro dei medesimi e ci adeguiamo e risolviamo le emergenze come possiamo, spesso dobbiamo sopperire ai piantonamenti perché anche il nucleo traduzioni è carente di organico”. “Abbiamo fatto tante proteste - ribadisce il sindacalista - , abbiamo scritto a qualsiasi Ente, ma adesso penso che siamo intenzionati a protestare in maniera seria, continua ed in modo eclatante, ma questa volta ci auguriamo che a nostro fianco ci sia anche la direzione della casa di reclusione di Augusta. Nessuno interviene nemmeno relativamente alla struttura dove le cose stanno peggio, difatti se si considera che siamo soggetti a potenziali infezioni a pericoli di incendi indomabili a problematiche elettriche e soprattutto a problematiche di acqua che in questa struttura esistono da venti anni circa, oppure all’antincendio che non funziona e dei sotterranei pieni di fogna, nei quali vi è una situazione che è stata definita inaudita anche dalle ultime ispezioni che sono state fatte da parte del Dap e del Prap”. Il personale di polizia penitenziaria, i dirigenti sindacali della casa di reclusione di Augusta, si dicono stanchi ed amareggiati e si sentono soli ed abbandonati. “Le autorità, gli Enti preposti - ammonisce Bongiovanni - non comprendono che l’Istituto è una mina che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Anche la Direzione sta continuando a scrivere e sollecitare interventi e fa il possibile per reggere a questa precarietà strutturale e di personale. Nei giorni scorsi la Direzione ha inoltrato al Dap ulteriori note nel quale viene evidenziato il problema igienico - sanitario ulteriormente compromesso dalle condizioni climatiche”. Novara: avvocati digiunano a “staffetta” per protesta contro il sovraffollamento delle carceri La Stampa, 27 luglio 2011 Avvocati senza cibo né acqua per 24 ore per protestare contro il sovraffollamento delle carceri. Approda ufficialmente a Novara la “staffetta” promossa dal leader dei radicali Marco Pannella. Il primo ad aderire nel foro novarese è l’avvocato Fabrizio Cardinali, presidente della Camera penale di Novara. Per un giorno resterà a digiuno, poi Avvocati senza cibo né acqua per 24 ore per protestare contro il sovraffollamento delle carceri. Approda ufficialmente a Novara la “staffetta” promossa dal leader dei radicali Marco Pannella. Il primo ad aderire nel foro novarese è l’avvocato Fabrizio Cardinali, presidente della Camera penale di Novara. Per un giorno resterà a digiuno, poi passerà idealmente il testimone della protesta ad altri colleghi. “Ci sembra un gesto simbolico, ma soprattutto doveroso - continua Cardinali - per sensibilizzare l’opinione pubblica su quella che ormai è diventata una situazione insostenibile in tutta Italia e anche a Novara. Anche a detta di miei clienti, in celle pensate per 3 - 4 persone si ritrovano ad essere anche in otto. E con l’arrivo delle temperature estive la situazione non può che peggiorare ulteriormente”. Il disagio è stato più volte denunciato anche dai sindacati della polizia penitenziaria sia per la carenza di organico che per questioni di sicurezza interna: su 260 agenti previsti ne sono presenti soltanto 200 e in passato hanno anche subito diverse aggressioni dai detenuti. Varese: detenuti in sciopero della fame, amici e familiari solidali con loro Varese News, 27 luglio 2011 Parenti e conoscenti scrivono una lettera per dare voce ai carcerati che manifestano contro il sovraffollamento battendo sulle porte delle celle. Di seguito la lettera che parenti e amici dei detenuti del carcere dei Miogni di Varese hanno scritto a sostegno alle persone che manifestano contro il sovraffollamento e le dure condizioni nelle carceri. “Siamo amici e conoscenti di alcuni detenuti del carcere Miogni di Varese. Scriviamo questa lettera - appello per a dare voce alla bellissima e coraggiosa lotta che loro conducono in questi giorni: contro le vergognose condizioni di sopravvivenza in cui sono costretti. La loro lotta è cominciata il 23 giugno, in seguito all’appello di Marco Pannella ed ha coinvolto i detenuti di tutte le carceri italiane. Per diversi giorni sono state effettuate le “battiture dei blindati” (le porte delle celle), che sono state udite anche dagli edifici e dai passanti intorno a via Morandi, insieme al chiaramente distinguibile grido: “Liberta! Liberta!”. Contemporaneamente è partito uno sciopero della fame a tempo indeterminato. Quei detenuti che, per motivi di salute, non possono digiunare, stanno invece rifiutando il cibo che passa loro l’amministrazione (mattina, pranzo e cena). Sappiamo con certezza che lo sciopero si è protratto fino al 19 luglio. Purtroppo le notizie sono a volte frammentarie e confuse, a causa degli enormi ritardi nella loro posta. Nel disastro generale del sistema penitenziario nazionale, le condizioni del carcere di Varese sono fra le peggiori d’Italia. I detenuti sono più di tre volte quelli che la struttura potrebbe contenere e sono letteralmente stipati peggio degli animali: 6 persone in una cella di 6 metri x 2 mentre la legge italiana stabilisce che le misure minime per i box dei canili debbano essere, per ogni cane, di 9 metri x 4! Gran parte dei detenuti sono rinchiusi per esperienze riconducibili alla tossicodipendenza (furti, spaccio, detenzione di sostanze, piccole rapine). I detenuti denunciano inoltre la vergognosa carenza di assistenza per coloro che necessitano di (riprendiamo le loro parole) “rimettere insieme i pezzi della loro vita fisica e mentale” e non hanno “nessuna prospettiva, né lavorativa, né di ricostruzione emotiva”. Di seguito riportiamo il documento comune redatto dai detenuti di Varese, che riporta in calce 85 firme. Ci uniamo a loro nel chiedere, e anzi pretendiamo, il rispetto dei basilari diritti umani, consapevoli che il riconoscimento di questi diritti è soltanto un primo passo, in quanto riteniamo che il diritto primario e fondamentale di ogni essere umano sia quello della libertà! Il documento comune sottoscritto da 85 detenuti del carcere di Varese I detenuti del carcere di Varese sono solidali con l’iniziativa dei radicali e del loro leader On. Marco Pannella e con la sua protesta pacifica volta ad evidenziare lo stato di drammaticità della carceri italiane, per il rispetto dei valori, di civiltà e umanità di cui anche i detenuti hanno diritto in quanto uomini. A questo proposito vogliamo citare l’Articolo 1 dell’Ordinamento Penitenziario (L. 26 luglio 1975 n° 354 capo 1 - Principi direttivi). “Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”. A questa protesta hanno già aderito oltre 18.000 detenuti e circa 300 tra Parlamentari e uomini di cultura. Dichiariamo che è in atto una protesta pacifica per sensibilizzare gli organi preposti e i media riguardo la situazione delle carceri italiane”. effettueremo lo sciopero della fame a tempo indeterminato! Questa nostra adesione avrà le seguenti modalità: lo sciopero verrà effettuato alternativamente da ogni piano dell’istituto penitenziario per la durata giorni 3. (Da questa iniziativa saranno esentati tutti coloro che per motivi di salute assumono farmaci o terapie in modo da non gravare sulle loro condizioni fisiche) Roma: ok dalla Provincia ai corsi di italiano per minori detenuti a Casal del Marmo Adnkronos, 27 luglio 2011 “Anche quest’anno l’assessorato alle Politiche Scolastiche della Provincia di Roma si è attivato per organizzare corsi di lingua italiana per i minorenni che si trovano all’interno della struttura penale di Casal del Marmo. La giunta Zingaretti infatti questa mattina ha approvato il finanziamento per dare il via all’iniziativa”. Lo dichiara in una nota l’assessore alle Politiche scolastiche della Provincia di Roma, Paola Rita Stella. “Il nostro assessorato - afferma Stella - nell’ambito delle attività di educazione permanente e, in particolare, di quelle rivolte alle categorie che sono più a rischio di emarginazione, come detenuti e immigrati, anche quest’anno ha voluto rispondere alle esigenze esposte dal Dipartimento di Giustizia Minorile intervenendo a sostegno dei minorenni della struttura penale di Casal del Marmo proprio attraverso l’organizzazione di corsi di lingua italiana per stranieri”. L’intervento, nato con il protocollo di intesa firmato tra la Provincia di Roma e l’Università popolare di Roma (Upter), è diretto a sopperire alla mancanza di attività formative all’interno del carcere durante il periodo estivo; i corsi infatti partiranno dal prossimo mese di agosto fino al 15 settembre 2011. Palermo: caso Cardella; tempi lunghi per il trasferimento in un carcere vicino casa Live Sicilia, 27 luglio 2011 Non c’è traccia del provvedimento che dovrebbe consentire il trasferimento di Francesco Cardella. Nonostante le richieste avanzate dall’ufficio del Garante dei diritti dei detenuti, nessuna risposta dal Dap (il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) è ancora arrivata sulla scrivania di Salvo Fleres. La prima richiesta del trasferimento in un istituto penitenziario palermitano di Cardella, il detenuto a Paola che ha perso le figlie in un incidente stradale sulla Salerno - Reggio Calabria, era partita dall’ufficio del garante dei detenuti lo scorso 4 luglio, su richiesta dell’avvocato della famiglia Cardella. “È inutile dire - si legge nella richiesta di trasferimento inoltrata da Fleres al Dap - che al dolore per la perdita dei familiari, Cardella vive anche un profondo senso di colpa dovuto proprio al fatto che il tutto si è verificato per via del suo stato di detenzione”. Fatto sta che quella lettera non ha mai ricevuto risposta. Fino all’inizio di questa settimana, quando Live Sicilia ha abbracciato l’appello della compagna di Cardella, Antonella Laurendino, chiedendo che Francesco sia riportato in un istituto penitenziario palermitano, in cui scontare gli ultimi mesi di pena. Lo scorso 25 luglio, il sollecito di trasferimento. Il Garante dei diritti dei detenuti ha nuovamente inoltrato la missiva al Dap, mentre Live Sicilia continuava a raccogliere adesioni alla campagna per Francesco. Ieri sera l’annuncio: Cardella tornerà a Palermo. Ma resta il nodo dei tempi. Nessuna conferma ufficiale, ma si vocifera che non passerà meno di una settimana prima che Francesco rientri in un carcere palermitano. I passaggi burocratici a questo punto sono: la trasmissione del fax con l’autorizzazione al trasferimento dal carcere di Paola a un istituto palermitano. Contestualmente la stessa missiva inviata dal Dap deve essere ricevuta dal Provveditorato regionale, che comunica la destinazione al direttore del penitenziario (probabilmente si tratterà del Pagliarelli). Soltanto allora bisognerà predisporre il trasferimento, concordato con la Polizia penitenziaria. Ma intanto dal 4 luglio - data della prima richiesta recapitata al dipartimento penitenziario - sono già passati 23 giorni. E, a quanto pare, ne passeranno ancora. Il Garante Salvo Fleres: Francesco torni a Palermo entro questa settimana “Francesco è sempre nella sua cella nel carcere di Paola e la moglie Antonella è sempre in attesa di una notizia che sia certa”. È la denuncia del senatore Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti: “Non capisco il motivo di tale ritardo considerato che già dai primi giorni di luglio seguo questa vicenda - continua Fleres - sottolineando l’irrilevanza di alcuni aspetti di carattere detentivo/disciplinare in presenza di situazioni particolarmente gravi come quelle che hanno colpito Francesco Cardella”. I consiglieri del Dap e il responsabile del trattamento dei detenuti assicurano che il trasferimento è già stato comunicato. Ci vorrà una settimana per organizzare fisicamente lo spostamento, predisponendo un mezzo con relativa scorta. Resta, però, la preoccupazione per le condizioni psicologiche di Francesco. Che impongono celerità e richiedono certezze. “Mi auguro - continua il Garante - che il Dap inoltri quanto prima il trasferimento in modo che si possa organizzare la traduzione e consentire a Francesco di poter fare rientro a Palermo già entro questa settimana”. Insomma, secondo Fleres, “prima il detenuto sarà trasferito prima si ricomporrà una situazione spiacevole.” Le responsabilità maggiori sono dunque, a suo dire, imputabili all’eccessiva lentezza burocratica del sistema carcerario italiano. Il Garante dei diritti è piuttosto contrariato: “Ancora non ho ricevuto alcuna comunicazione. Sono consapevole dei motivi di sicurezza che impongono riservatezza per le procedure di trasferimento dei detenuti da un istituto all’altro; ma io non voglio conoscere l’ora o il giorno esatti. Aspetto semplicemente il segnale di una comunicazione ufficiale”. Infine tiene a precisare: “Secondo la mia esperienza posso dire che finché non vedrò Francesco varcare le soglie di un carcere palermitano, non considererò chiusa questa spiacevole vicenda”. Oristano: detenuto ingoia forchetta per ottenere trasferimento a Roma, vicino alla famiglia Ansa, 27 luglio 2011 Chiede il trasferimento a Rebibbia per poter effettuare regolari colloqui con la madre che vive e lavora a Roma. Ma in assenza di risposte ha inghiottito nel carcere di Oristano una forchetta di metallo e attualmente si trova ricoverato nel Centro diagnostico terapeutico della Casa Circondariale Buoncammino a Cagliari. È la disperata vicenda di un polacco Bartolomeo Gerboris, di 30 anni, che sta scontando una pena di cinque anni e sei mesi di reclusione. Arrestato per rapina a Pisa tre anni fa l’uomo, che non vede la madre da un anno e mezzo, è stato recluso in sette istituti di pena. Da Pisa a San Gimignano, a Rebibbia, Benevento, Avellino, fino a giungere a Oristano e infine a Cagliari dove è ora monitorato. “È evidente - ha spiegato Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme - che Gerboris è un soggetto difficile e con problematiche che necessitano di particolare attenzione. È però altrettanto vero che punirlo costantemente, trasferendolo da un carcere all’altro non serve. Sarebbe opportuno, in questi casi, promuovere un reale recupero dell’uomo, che finirà di scontare la pena fra 30 mesi, agendo di concerto con la famiglia”. Immigrazione: aprire le porte dei Cie… di Filippo Miraglia (responsabile immigrazione Arci) Terra, 27 luglio 2011 Anche l’Arci aderisce alla giornata di mobilitazione promossa dalla Federazione nazionale della stampa italiana per chiedere il ritiro della circolare firmata dal ministro Maroni che vieta ai giornalisti l’ingresso nei CIE. Ci troviamo infatti di fronte all’ennesima violazione dell’articolo 21 della nostra Costituzione che sancisce il diritto a informare ed essere informati. Una violazione in questo caso particolarmente odiosa, poiché si vuole impedire che l’opinione pubblica venga a conoscenza delle condizioni di degrado e sopruso cui i migranti sono costretti a causa di una detenzione che non ha fondamento giuridico. Vogliamo contribuire a squarciare questa coltre che oscura la verità raccontando l’esperienza fatta dai nostri operatori all’interno del centro di Lampedusa. L’Arci è stata infatti recentemente autorizzata dal ministero dell’Interno a svolgere le proprie funzioni di ente di tutela in favore dei cittadini stranieri nel cpsa dell’isola. Operatori e volontari dell’associazione sono presenti a Lampedusa sin dal 2005, con varie attività (dai campi di lavoro, all’organizzazione di eventi culturali, alla denuncia di abusi e violazioni di legge, ad un’azione costante di controinformazione). Fino all’autunno si occuperanno di assistenza durante gli sbarchi, monitoraggio della situazione nel centro, raccolta di testimonianze sul “viaggio”, condizioni di vita in Libia e/o nei paesi d’origine, informazione sulla situazione giuridica dei migranti trattenuti, informazione sulla legislazione italiana su immigrazione e asilo, tutela dei minori, delle categorie vulnerabili, dell’unità familiare, assistenza nell’accesso alla procedura d’asilo, tutela legale dei migranti “economici”, assistenza del migrante e richiedente asilo tramite il numero verde nazionale dell’Arci e la rete territoriale dell’associazione. Dai primi report inviati dagli operatori che hanno accesso al cpsa emergono in particolare le seguenti criticità: gli spazi sono degradati e le persone vivono in un posto “di passaggio” un periodo troppo lungo; non c’è alcuna giustificazione per questo trattenimento lungo e illegittimo (...); il trattenimento per più di 48 ore in assenza di provvedimenti del giudice non è legale, un sopruso più volte denunciato anche da organizzazioni e istituzioni internazionali; i minori hanno un trattamento simile a quello degli adulti, detenuti per periodi lunghi e in stato di abbandono. Non risulta siano presi in carico da nessuno e si trovano quindi in una condizione che è contraria a quanto prevede la legge; i maghrebini subiscono un trattamento discriminatorio, trattenuti in attesa di rimpatrio coatto (l’ultimo, l’11 luglio con un volo che li ha portati da Lampedusa a Palermo e da qui in Tunisia); le richieste d’asilo raccolte dall’Arci non ricevono trattamento analogo a quelle raccolte da altri organismi perché mancherebbe “uno specifico protocollo in materia”; è certo che 4 tunisini che avevano espresso la volontà di fare richiesta d’asilo e nominato un legale sono stati rimpatriati senza che la loro domanda venisse esaminata. È dunque evidente quanto sia fondamentale poter fornire notizie su quel che succede realmente all’interno dei centri. La prima condizione per poter chiedere il ripristino della legalità e dei diritti democratici è conoscere la verità. Immigrazione: ispezione al Cie di Ponte Galeria, inferno inutile di Furio Colombo Il Fatto Quotidiano, 27 luglio 2011 Una ragione grave ha indotto un gruppo di senatori e deputati (tutti di opposizione) ad andare a Ponte Galeria, il cosiddetto Centro di Identificazione e di espulsione di Roma, ovvero la prigione di immigrati e profughi catturati a caso, rinchiusi a caso, detenuti senza spiegazioni, senza ragioni e senza capire. Lo stesso giorno, il 25 luglio, altri deputati e altri senatori si sono presentati ai Cie in tutta Italia. È accaduto che il governo Bossi - Maroni (al momento ancora formalmente presieduto da Berlusconi) abbia appena stabilito, in modo del tutto arbitrario e mentre tutto accade, nel mondo e in Italia, tranne che un’emergenza immigrati, che la detenzione cieca, che era di sei mesi, sia adesso improvvisamente diventata una detenzione cieca di un anno e mezzo. Ho scritto “cieca” perché niente è chiaro o spiegato o documentato in questa brutta storia. Per essere sicuro che resti cieca, il governo Bossi - Maroni ha deciso, contro la Costituzione, di vietare l’ingresso ai giornalisti, impedendo dunque qualunque informazione per i cittadini e per l’opinione pubblica internazionale. Il 25 luglio a Roma c’erano il presidente dell’Ordine dei giornalisti. C’era il segretario della Federazione della stampa. C’erano televisioni e decine di colleghi giornalisti. Dal tetto di uno degli edifici prigione alcuni detenuti ribelli chiedevano di incontrare i giornalisti e di parlare. Per la stampa non è entrato nessuno. E purtroppo nessun giornale o Tv (breve eccezione, il Tg3) ha condiviso la protesta o almeno dato spazio a questa notizia non insignificante. Siamo entrati noi, i deputati e senatori, e abbiamo incontrato gente disperata in un carcere costruito con mura altissime, sbarre da massima sicurezza, impianti da grave e pericolosa emergenza. Intorno, con la funzione umiliante dei carcerieri, soldati italiani in divisa da guerra, con l’identificazione tricolore sul braccio, qualcosa che i prigionieri, che sono tutti giovani e prima o poi ritorneranno nel mondo, non dimenticheranno. Dentro funzionari e agenti di polizia, prigionieri a loro volta di una folle invenzione, a cui è stato imposto, nonostante la ben diversa professionalità di fare i sorveglianti, di qua dalle sbarre altissime, che tengono a bada prigionieri che non hanno commesso alcun reato. Tutto è folle qui, dalla violazione dei più elementari diritti garantiti dai trattati che l’Italia ha firmato, allo sfregio della nostra Costituzione. Tutto, tranne il dolore e il senso di assurdo che viene dal non sapere il perché (l’arresto) e quando (la liberazione). Le mani si protendevano dietro le sbarre e noi le abbiamo strette facendo promesse che, da minoranza nelle Camere, non potremo mantenere. Due cose però accadranno. I giornalisti non smetteranno di rivendicare il loro diritto (e avranno tutto il nostro sostegno e il sostegno di molti cittadini). E costituiremo, sul modello proposto dai Radicali, un gruppo di giuristi e avvocati per affrontane questo grave problema legale e morale che infetta e degrada la vita italiana. India: funzionario ambasciata incontra i due italiani condannati all’ergastolo Ansa, 27 luglio 2011 Il funzionario dell’Ambasciata italiana a Nuova Delhi, Cesare Bieller, ha incontrato i due italiani, Tomaso Bruno 27 anni, ed Elisabetta Boncompagni 37, condannati tre giorni fa all’ergastolo per la morte del loro amico Francesco Montis, avvenuta all’inizio del 2010. Stando a quanto si apprende dalla Farnesina, Bellier ha presenziato all’udienza e ha atteso la sentenza con gli accusati e i genitori di Bruno, che hanno raggiunto il figlio nella città di Varanasi. Elisabetta Boncompagni è apparsa visibilmente scossa per la sentenza, mentre Tomaso Bruno è sembrato in condizioni migliori, anche grazie al costante sostegno dei genitori. I due connazionali hanno chiesto e subito ottenuto l’intervento dell’Ambasciata italiana presso le autorità locali, per rimanere in custodia nell’attuale luogo di detenzione e non essere trasferiti in altro carcere, come avviene abitualmente nei casi di sentenze di condanna. L’Ambasciata ha immediatamente provveduto a inviare una lettera in proposito, come indicato dagli avvocati difensori, al District Magistrate e al Sovrintendente della prigione di Varanasi. Bieller ha anche incontrato il Sovrintendente della prigione di Varanasi in occasione della visita in carcere, accompagnando i genitori di Tomaso Bruno. Il Sovrintendente ha mostrato sensibilità per il caso (permettendo nuovamente il giorno successivo ai genitori di Tomaso Bruno di rendere visita ai detenuti) e ha fatto sapere che la richiesta deve essere inoltrata al “Secretary” del Ministero degli Interni dello Stato dell’Uttar Pradesh, al quale l’Ambasciata ha già inviato formale richiesta. Ad avviso del Sovrintendente, in ogni caso, l’eventuale trasferimento non avrebbe luogo prima di circa dieci giorni, su istruzione del Ministero degli Interni dello Stato. Ai due italiano è stato garantito che l’Ambasciata, in continuo raccordo con la Farnesina, continuerà a prestare assistenza. La sede diplomatica continua inoltre a prestare assistenza ai familiari dei due connazionali e ai loro legali, anche ai fini della messa a punto, di modalità e tempi dell’appello, che si intende presentare quanto prima. Iran: verranno costruite cinque nuove carceri, stanziato “fondo speciale” Agi, 27 luglio 2011 L’Iran costruirà cinque nuove prigioni. Lo ha riferito i capo del comitato di Sicurezza Nazionale e delle Forze di Polizia del Majlis durante un incontro con il ministro della Giustizia, con il capo dell’organizzazione delle carceri e i funzionari del ministero dell’Interno, volto a riconsiderare l’attuale condizione delle carceri iraniane. Durante l’incontro si è deciso di stanziare un fondo speciale per la costruzione di almeno cinque carceri a Teheran e in altre città. Nonostante la promessa del Procuratore iraniano e la sua famiglia abbia versato la cauzione, rimane invece in carcere l’attrice iraniana Pegah Ahangarani. Pegah voleva visitare la Germania per fare un servizio sulla coppa del mondo femminile di calcio per la rivista tedesca Deutsche Welle 3. Attivista nel comitato per le elezioni di Mir Hussein Musavis due anni fa, il portavoce della polizia giudiziaria Mosheni Ezhei ha riferito in una conferenza stampa che è stata arresta su richiesta delle forze di sicurezza. Etiopia: per la prima volta le detenute potranno usufruire di corsi di formazione Agi, 27 luglio 2011 Per la prima volta le detenute delle prigioni etiopiche potranno usufruire di corsi di formazione, con l’obiettivo di facilitare il loro reinserimento nella società. Fonti ufficiali di Addis Abeba hanno, infatti, annunciato che la Commissione etiopica per i diritti umani (Ehrc) e il Dipartimento per gli istituti di pena della regione centrale di Amhara hanno raggiunto un’intesa che prevede per il prossimo autunno l’inizio dei corsi a beneficio delle detenute nelle carceri regionali. Al termine della cerimonia per la firma del protocollo di intesa tra i due organismi, il presidente dell’Ehrc, Tiruneh Zena, ha annunciato la realizzazione di iniziative analoghe anche in altre regioni dell’Etiopia. Siria: arrestati 100 manifestanti in periferia Damasco Aki, 27 luglio 2011 Circa 100 manifestanti, in maggioranza giovani, sono stati arrestati stamani dalla forze di sicurezza siriane a Zabadani, una zona periferica di Damasco. Lo riferisce l’attivista Nur Ugli, in un’intervista. “La maggioranza delle persone arrestate oggi partecipava ad una manifestazione pacifica contro il regime”, spiega l’attivista. “Le forze di polizia, che da ieri assediano Damasco - aggiunge - hanno portato via circa cento giovani”. Secondo Ugli, “sono giovani di età compresa tra dodici e ventisei anni” le otto persone uccise oggi dalle forze della sicurezza nella repressione messa in atto a Kankar, città vicina alla capitale siriana. Intanto a Damasco e nella città di Homs, a nord della capitale, sono attualmente in corso alcuni sit-in di attivisti che chiedono il rilascio dei detenuti. “I sit-in sono in corso davanti a scuole e magazzini che l’esercito siriano sta utilizzando in questi giorni come centri provvisori di detenzione, visto che le prigioni a disposizione del regime non sono sufficienti a contenere il numero degli arrestati”, dichiara l’attivista Bassam F. ad Aki.